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Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS Working paper n. 55 October 2005 La sussidiarietà nei trattati e nelle istituzioni politiche dell'UE Francesco Ingravalle UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo AvogadroALESSANDRIA

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Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS

Working paper n. 55

October 2005

La sussidiarietà nei trattati e nelle istituzioni politiche dell'UE

Francesco Ingravalle

UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA

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1

Premessa

La sussidiarietà, e il principio che la enuncia, costituiscono un corposo problema di storia delle

dottrine politiche e di storia dei trattati e delle istituzioni politiche europee. Disponiamo di una

vasta bibliografia che affronta i problemi della storia dell’integrazione europea, il carattere

giuridico del principio di sussidiarietà, i suoi aspetti politici. Manca, tuttavia, un tentativo di

considerare il principio stesso come elaborazione peculiare di quel momento del processo di

integrazione economica in cui diviene oggettivamente urgente pensare funzioni politiche per le

istituzioni che garantiscono l’unità sovranazionale attraverso la diversità degli Stati membri. E’

questo un momento chiaramente dispiegato durante la costruzione dell’Unione Europea e, allo

‘stato nascente’, in alcuni processi extraeuropei di integrazione regionale. E’ un momento-

chiave nella logica storica nel processo dell’integrazione europea: il momento in cui il sistema

economico è sollecitato dal proprio sviluppo a farsi sistema politico.

In questo paper si tenta di suggerire un approccio analitico e storico che considera le istituzioni

politiche dell’Unione Europea sia alla luce del problema generale dell’integrazione regionale,

sia alla luce della storia delle istituzioni politiche che il processo di costruzione europea ha

creato, e che vede nel principio di sussidiarietà l’ espressione peculiare di questo processo. La

tesi che viene qui proposta considera la sussidiarietà come espressione, pratica e teorica, di una

situazione amministrativa e politica in cui non si possono e non si vogliono trasformare le

molteplici fonti di potere, costituite dagli Stati membri, in mere funzioni di un solo centro

decisionale; al contrario la decisione politica e amministrativa viene prospettata come esito di

una molteplicità di livelli di governo organizzati nei termini di una gerarchia non centralistica.

Per effetto dell’esigenza statunitense, maturata già negli ultimi anni del secondo conflitto

mondiale, di creare un’area europea economicamente integrata, si è venuta configurando,

prima attraverso l’integrazione settoriale dovuta alla CECA (Comunità economica del carbone

e dell’acciaio), poi attraverso la CEE (Comunità economica europea), una zona di mercato

comune; dopo le crisi degli inizi degli anni settanta ha preso forma una zona di stabilità

monetaria con lo SME e infine, con le turbolenze legate alla implosione del sistema degli Stati

legati all’URSS e della Jugoslavia, si è configurato, col Trattato di Maastricht (il Trattato

sull’Unione europea), un piano di unificazione monetaria e politica. Il criterio della

sussidiarietà, che aveva regolato implicitamente il funzionamento della CECA e quello della

CEE, viene esplicitamente posto come criterio per la realizzazione di un potere sovranazionale

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senza configurare propriamente le linee progettuali di uno Stato federale e, d’altra parte,

superando in parte la logica meramente confederale. Il principio di sussidiarietà assume una

centralità tale che, a partire dal Trattato di Amsterdam, gli sono dedicati specifici protocolli di

applicazione. Il principio sembra rendere esplicita, dunque, a partire dal Trattato di

Maastricht, la logica di funzionamento che ha presieduto fin dall’inizio, implicitamente, alla

formazione, con l’avanzare del processo di integrazione e con l’ampliamento del mercato

comune, nell’arco di oltre un cinquantennio, della struttura istituzionale dell’UE; una struttura

istituzionale che risulta essere, come ha affermato Mario Telò, un tertium genus tra

federazione e confederazione per il quale è stata utilizzata, di recente, sul piano giuridico, la

denominazione di “costituzionalismo a più livelli”.1

Questo lavoro è finalizzato – quale prima parte “fondativa” sul piano ricostruttivo storico-

teorico – a un’indagine più istituzionale-amministrativa su come il principio di sussidiarietà,

sancito nel Trattato di Maastricht, è stato applicato. Esso rappresenta i primi risultati di un

work in progress iniziato in occasione del convegno organizzato da Corrado Malandrino

«Popolo/popoli europei: questione di identità e/o di costituzione?», tenutosi il 27-28 marzo

2003 a Torino, e proseguito con due brevi ricerche presentate alla “Scuola estiva AUSE”

nell’estate del 2004 e del 2005 (rispettivamente sui Protocolli di applicazione del principio di

sussidiarietà e sul tema dei dibattiti degli anni sessanta relativi all’unione monetaria europea).

Ringrazio il prof. Corrado Malandrino che mi ha fornito numerosi suggerimenti.

Senza il supporto degli Archivi Storici delle Comunità Europee di Firenze (in particolare del

dottor Gherardo Bonini) e della biblioteca dell’Istituto Universitario Europeo di Badia

Fiesolana questo lavoro non sarebbe stato possibile.

Infine, la disponibilità del Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive

dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” presso il quale svolgo la funzione

di assegnista di ricerca nell’ambito della attività della “Cattedra Jean Monnet” del prof.

Malandrino, è stata per me di importanza decisiva.

Francesco Ingravalle

1 Cfr. I. PERNICE-F. MAYER, La Costituzione integrata dell’Europa in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, coordinamento scientifico di S. Dellavalle e J. Luther, Roma- Bari, Laterza, 2003, pp. 43-68.

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Introduzione: ambiguità o flessibilità del concetto di

sussidiarietà?

1. “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli

obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato.

Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene

secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi

dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati

membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in

questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento

degli obiettivi del presente trattato.”2

Così recita l’articolo 3 B del Trattato sull’Unione europea del 7 febbraio 1992

(TUE). Fino all’eventuale entrata in vigore del Trattato che istituisce una

Costituzione per l’Europa, firmato il 29 ottobre 2004, è questa la formulazione del

principio di sussidiarietà alla quale ci si deve attenere nella prassi amministrativa.3

2 Cfr. Unione europea, Raccolta dei trattati, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali

delle Comunità europee, 1993, Tomo I, p. 112; il testo si legge anche in A. Tizzano, Codice dell’Unione europea. Il Trattato di Maastricht, Il Trattato CE e i testi collegati, Padova, C.E.D.A.M., 1995, p. 6. L’art. 3 B è stato inserito dall’articolo G, par. 5 del Trattato sull’Unione europea nel Trattato che istituisce la Comunità europea, cfr. Unione europea, Raccolta dei trattati, cit., p. 101, Nota degli editori, e Tizzano, Codice dell’Unione europea, cit., p. 103. Nella versione consolidata del Trattato l’articolo 3 B viene rinumerato come articolo 5, cfr. F. POCAR-M. TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea, decima edizione, con la collaborazione di L. Sandrini, Milano, Giuffrè, 2002, p. 5. 3 In questo trattato (consultato nella versione intitolata Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, CIG 87/04, Bruxelles, 6 agosto 2004, p. 3) la formulazione del principio è la seguente (art. I-11, § 3): “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione.” Si nota che l’azione dell’Unione non deve più rispettare soltanto il livello giurisdizionale degli Stati membri, come era stabilito per la Comunità dall’art. 3 B del Trattato di Maastricht, ma anche quello delle regioni e degli enti locali. Questa innovazione si trova già nel Progetto di Trattato del 2003, art. I-9 § 3, cfr. Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2003, p. 15.

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L’importanza del principio che vi viene richiamato non risulta soltanto dalla

collocazione all’interno delle partizioni del trattato (dato che si trova tra i principi

fondamentali), ma anche dal fatto che il principio di sussidiarietà disciplina il

concreto funzionamento della Comunità nella sua articolazione fondamentale,

quella cioè della relazione tra Stati membri e Comunità, fra livello della sovranità

nazionale e livello della sovranazionalità. Questi due aspetti della centralità del

principio ritornano sia nel Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per

l’Europa (2003), art. I-9, sia nel Trattato che istituisce una costituzione per

l’Europa(2004), art. I-11. Li possiamo considerare pertanto acquisizioni definitive

nel processo di sviluppo intergovernativo che ha portato dalla legge fondamentale

della Comunità a quella (in attesa di ratifica) dell’UE (Unione europea). Si è

autorevolmente sostenuto che esso vale “per l’applicazione a qualsivoglia dei tre

pilastri.”4 E in effetti l’articolo 3 B è richiamato dall’articolo B il quale afferma che

gli obiettivi dell’Unione “saranno perseguiti conformemente alle disposizioni del

presente trattato, alle condizioni e secondo il ritmo ivi fissati, nel rispetto del

principio di sussidiarietà definito dall’articolo 3 B del Trattato che istituisce la

Comunità europea”5 e non contiene alcuna limitazione per quanto riguarda

l’ambito di applicabilità del principio.

L’articolo 3 B implica una visione precisa delle delimitazioni, sotto il profilo delle

competenze, tra ambito comunitario e ambito degli Stati membri, cioè una

delimitazione di sovranità, o, se si preferisce, di ambiti giurisdizionali. La implica,

ma non è esso stesso a produrla. Il principio di sussidiarietà articola le competenze

sulla base della lettera del trattato. Tuttavia, esso contiene, di per sé, il concetto

della limitatezza del potere sovranazionale rispetto agli Stati membri della

Comunità; questo concetto non è una mera articolazione giuridica della ripartizione

delle competenze operata dal trattato. Né si potrebbe negare il valore lato sensu

politico delle norme che reggono la Comunità. Se questo è vero, il principio di

sussidiarietà è sia articolazione giuridica delle competenze fissate dal trattato, sia

principio architettonico in qualche misura autonomo rispetto a quanto viene fissato

dal trattato. Se applicare il principio di sussidiarietà significa assicurare che le

funzioni amministrative vengano svolte da istituzioni il più possibile vicine al

cittadino, tale principio implica: 1) che gli Stati membri sono le istituzioni più

4 B. OLIVI, L’Europa difficile, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 389.

5 Cfr. Unione Europea, Raccolta dei trattati, cit., Tomo I, p. 24.

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vicine al cittadino; 2) che per conseguire gli obiettivi della Comunità alla quale

hanno dato luogo gli Stati membri, riconoscendo così un certo numero di obiettivi

come al di fuori della loro portata, sono necessarie istituzioni che trascendano gli

Stati membri, cioè istituzioni sovranazionali. L’analisi del principio ci permette di

derivarne quei contenuti che il Trattato impone quale esito dell’accordo fra gli

Stati membri. Se è il principio stesso, dunque, a fissare il criterio per la

ripartizione delle competenze, la prima questione che si pone è se il principio

politico prevalga sulla norma giuridica6 oppure viceversa. Il senso della prima

questione emerge con chiarezza dalla seconda questione, quella del significato del

principio in relazione alla prospettiva di sviluppo dell’UE in senso federale oppure

in senso confederale.7 A entrambe le questioni è connessa la domanda circa il

carattere decentratore o, all’opposto, accentratore del principio. Come principio

giuridico, il principio di sussidiarietà norma quanto disposto dai trattati e risulta

essere un mero dispositivo atto a tutelate gli Stati membri dall’ “invadenza” della

Comunità sul piano giuridico e amministrativo, e a rafforzare sul piano politico una

immagine confederale della Comunità; come principio politico esso tende invece a

configurare un modello federale basato su una ‘duplice sovranità’ (della Comunità

e degli Stati membri), su una ripartizione della sovranità in due livelli correlati ma

distinti.8 Dire Comunità, significa dire istituzioni sovranazionali nel loro rapporto

con le istituzioni degli Stati membri: il principio di sussidiarietà può apparire, volta

a volta, come principio che favorisce il massimo decentramento a vantaggio degli

Stati membri, o, all’opposto, come lo strumento per la creazione di una sorta di

‘super-Stato’ federale. Se ci si colloca sul terreno della concreta storia

dell’integrazione europea, si constata che il principio permette questa duplice

lettura perché è stato formulato sulla scorta di istanze intergovernative, allo scopo

6 Cfr. G.P. ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, Roma, Istituto Italiano di Studi Legislativi, 1993, pp. 81-84. 7 Ivi, p. 91: “Il principio di sussidiarietà consente di riferirsi a due preoccupazioni opposte, quella di difendere i poteri degli Stati membri (…) e quella di allargare le competenze dell’Unione e di rafforzare i suoi poteri in una prospettiva federale. 8 Per la distinzione tra federazione e confederazione cfr. C. MALANDRINO, Federalismo. Storia, idee, modelli, Roma, Carocci, 1998, p. 17: “La federazione denomina un vero e proprio superstato federale, mentre la confederazione – che non ha carattere statale – indica un mero ambito pattizio, temporaneo e transitorio, che non implica alcuna limitazione o rinuncia di sovranità da parte dei suoi membri. Naturalmente una confederazione può, entro determinate condizioni che sono stabilite dal e nel contesto storico-politico, evolvere nel tempo verso l’obiettivo della federazione: lo dimostrano vari esempi, come quello della Confederazione Elvetica o degli Stati Uniti d’America, o ancora, la possibilità che la Comunità Economica Europea (che è una forma di associazione confederale funzionale tra Stati sovrani) si trasformi, attraverso lo sviluppo dell’Unione Europea, nella federazione (tanto agognata da alcuni, temuta da altri) degli Stati Uniti d’Europa”

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di regolare il settore economico che, grazie alla compenetrazione delle economie

dei paesi membri, era il più segnato dal prevalere di logiche sovranazionali e,

quindi, il più bisognoso di un criterio che ripartisse le competenze. In seguito al

movimento di allargamento dell’Unione e al “contestuale movimento di sblocco di

un’area crescente di decisioni comunitarie, rispetto al potere di veto dei singoli

Stati membri, che allarga i casi in cui concretamente potrà esserci contrasto tra

indirizzo sovranazionale e posizioni di uno Stato in minoranza”,9 l’area di queste

materie tenderà a allargarsi e stimolerà l’applicazione del principio di sussidiarietà

agli altri due pilastri di Maastricht.

2. Il termine ‘sussidiarietà’ è relativamente recente10 e il concetto al quale esso si

riferisce è chiamato a regolare i rapporti tra lo Stato e i cittadini considerati come

organicamente, naturalmente inseriti nelle loro comunità di appartenenza. La prima

osservazione da fare è la traslazione del principio, operata dal TUE, dall’ambito

dei rapporti Stato-cittadini all’ambito dei rapporti sovrastatualità-statualità (i

rapporti Comunità – Stati membri). Questo implica una precisa indicazione:

l’analogia implicita tra i due ordini di rapporti, ben presente negli intenti del

legislatore.

La teorica della sussidiarietà, presto sviluppatasi, distingue: 1) sussidiarietà

‘negativa’ (che realizza il divieto di intromissione eccessiva ai livelli

amministrativi superiori)11 e sussidiarietà ‘positiva’ (che obbliga i livelli superiori

ad agire nei casi in cui ciò sia necessario); 2) sussidiarietà ‘verticale’ (che

disciplina i rapporti tra i diversi livelli del potere politico) e sussidiarietà

‘orizzontale’ (che disciplina i rapporti tra pubblico e privato)12; 3) sussidiarietà

‘diretta’ (le carenze degli Stati obbligano la Comunità a intervenire) e sussidiarietà

‘inversa’ (le carenze della Comunità obbligano gli Stati ad agire). La sostanza del

principio è nella garanzia che le decisioni siano prese al livello più vicino

9 Cfr. G. COTTURRI, Potere sussidiario. Sussidiarietà e federalismo in Europa e in Italia, Roma, Carocci, 2001, pp. 62-64

10 Cfr. G. D’AGNOLO, La sussidiarietà nell’Unione europea, Padova, C.E.D.A.M., 1998, pp. 3-4. 11 Ivi, p. 5.

12 Distinzione operata da J. DELORS, Le principe de subsidiarité: contribution au débat in AA.VV. Subsidiarité: défi et changement, Maastricht, Institut d’Administration européenne, 1991, pp. 7-19. I numerosi interventi di Delors sul principio di sussidiarietà sono elencati da C.G. ANTA, Il rilancio dell’Europa. Il progetto di Jacques Delors, Milano, Angeli, 2004, pp. 88-89, nn. 98-100. Si v. anche le riflessioni di N. MANCINO, La sussidiarietà orizzontale, Roma, Senato della Repubblica, s. d.

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possibile ai cittadini;13 se si considerano istituzioni nazionali e istituzioni

comunitarie come dotate di pari grado di “rappresentatività”, è chiaro che le prime

sono più vicine ai cittadini che non le seconde.14

Il principio può intendersi come criterio per l’attribuzione di competenze a un

centro di potere piuttosto che a un altro, oppure come criterio per l’esercizio di

competenze cui concorrono più centri di potere; nel primo caso, il principio risulta

essere politico, nel secondo, esso si configura maggiormente come principio

giuridico, come avviene nell’art. 3 B riportato in apertura.15 Alla domanda su chi

ripartisca le competenze non c’è che una risposta: il Trattato, che è opera

intergovernativa. Tuttavia, per chi consideri i tre pilastri di Maastricht, è chiaro che

nel primo, quello comunitario, il principio è destinato a funzionare in senso

sovranazionale e federalizzante, mentre negli altri due (PESC e GAI) il principio è

portato a funzionare in senso confederale configurando un’architettura complessiva

non statuale in senso classico, ma con una sua peculiare statualità, non interamente

federale, ma neppure interamente confederale. Questo è dovuto al caratteristico

sviluppo dell’integrazione europea, che si è maggiormente approfondita in

direzione della costruzione di un potere sovranazionale sul piano economico

(soprattutto con la istituzione dell’euro e della BCE, la Banca centrale europea),

mentre è rimasta ancorata al livello di azioni intergovernative sul piano della

politica estera e di sicurezza e sul piano della giustizia e degli affari interni.16 Per

ora ci troviamo di fronte a un tertium genus17 rispetto all’antitesi federalismo-

confederalismo.18 Il principio di sussidiarietà esprime interamente questa

situazione che può essere intesa come ambiguità, ma che rivela anche la

fondamentale flessibilità del principio stesso che riesce a adattarsi a una realtà

13 L’idea di avvicinare il più possibile il governo ai governati può essere scoperta fin nella Bibbia, secondo J.B. D’ONORIO, La subsidiarité, analyse d’un concept in Id. (a cura di), La subsidiarité. De la théorie à la pratique, Actes du XII colloque national de la Conféderation des Juristes catholiques de France, Paris, 20-21 novembre 1993, Paris, Téqui, 1994, pp. 13-14. 14 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 2-3. 15 K. LENAERTS-P.VAN YPERSELE, Le principe de subsidiarité, “Cahiers de Droit Européen”, nn. 1-2, 1994, p. 10. 16 K. VAN KERSBERGER-B. VERBEEK, Subsidiarity as Principle of Governance in the European Union in “Comparative European Politics”, 2004, v. 2, n. 2, agosto, pp. 142-162 hanno sostenuto che intergovernamentalismo e Multilevel Governance sono tipici del sistema della UE e fanno sì che la sussidiarietà vari da ambito a ambito della policy. 17 Cfr. M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, p. 144: “Se la dinamica federal-funzionale avesse prevalso fino in fondo, esisterebbero uno Stato federale europeo e una nazione europea. Se avesse totalmente fallito, avremmo secessioni e un effetto valanga verso l’implosione dell’UE. L’equilibrio raggiunto dall’UE alla fine del XX secolo è una terza cosa.” 18 Sull’antitesi cfr. C. MALANDRINO, Federalismo,cit.

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complessa e, per così dire, inedita sul piano politico. Nella formulazione dell’art. 3

B l’interpretazione del principio di sussidiarietà dipende effettivamente dal

principio di attribuzione delle competenze; ma questo, a sua volta, è legato alla

concezione dei limiti rispettivi e reciproci della sovranità degli Stati e di quella

della Comunità: che cosa è effettivamente fuori della portata degli Stati e, per ciò

stesso, è competenza della Comunità? Sia nel Rapporto della Commissione

sull’Unione europea del 1975 che fu una delle basi del Rapport di Leo Tindemans

intitolato L’Union européenne, sia nel Progetto di Trattato sull’Unione europea

elaborato dal Parlamento nel 1984 il criterio per l’attribuzione delle competenze

era proprio il principio di sussidiarietà, inteso come principio politico, dunque, non

meramente giuridico. Sembra che gli organi più caratterizzati in senso

sovranazionale tendano a privilegiare l’interpretazione politica del principio,

mentre gli organi legati all’intergovernatività tendono a interpretarlo in senso

giuridico.

Il principio di sussidiarietà ha una storia assai lunga che non è il caso di

ripercorrere qui esistendo già trattazioni eccellenti ed esaurienti.19 Si potrebbe dire

comunque che più che di una storia si tratta della genealogia di un principio dalle

molteplici radici: la Politica di Aristotele, il pensiero di Tommaso d’Aquino, la

“teologia federale” calvinista, la Politica di Johannes Althusius, il pensiero politico

liberale, la tradizione del pensiero sociale cattolico (espresso nell’enciclica Rerum

Novarum di papa Leone XIII e nell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI). Per

dirla con precisione ed efficacia “si parte dal presupposto che ogni azione sociale e

statale debba essere per natura sussidiaria, ossia che abbia valore di sostegno

aggiuntivo da parte delle unità più elevate dello Stato e della società nei confronti

delle minori qualora queste non riescano per proprio conto ad assolvere a

determinate funzioni.”20 A queste varie tradizioni di pensiero sembra essere

comune una situazione configurata dall’esigenza di realizzare l’unità

amministrativa e politica attraverso la pluralità dei corpi sociali e politici. In

Althusius, a esempio, questa esigenza si caratterizza come “rispetto dell’autonomia

delle consociazioni minori e particolari” e come “affermazione di un intervento

(…) da parte delle consociazioni maggiori” nel quadro di un “autogoverno delle

19 Cfr. C. STEWING, Subsidiarität und Föderalismus in der Europäischen Union, Köln – Berlin – Bonn – München, Heymann, 1992, pp. 7-30; C. MILLON DELSOL, Le principe de subsidiarité, Paris, P.U.F., 1993, pp. 9-35; ID. Lo Stato della sussidiarietà (1992), Gorle, Casa Editrice C.E.L., 1995. 20 C. MALANDRINO, Federalismo, cit., p. 19, n. 5.

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collettività (universitates).”21 L’esigenza espressa in questo modo sembra essere

particolarmente forte nel periodo del lento declino dello ‘Stato giurisdizionale’22 in

Europa tra XVI e XVII secolo e pare eclissarsi, nel pensiero politico e

amministrativo europeo, nel momento in cui si afferma la concezione della

sovranità espressa dall’asse Bodin-Hobbes-Rousseau in teoria e, nella pratica,

soprattutto nel momento in cui si afferma lo Stato amministrativo di matrice

napoleonica. Essa ricompare nel pensiero liberale e libertario del secolo XIX e nel

cattolicesimo sociale e, da quel momento, diventa una componente decisiva di ogni

forma di pensiero anticentralistico.

Da queste rapide osservazioni possiamo dedurre che la sussidiarietà è espressione,

tanto nella pratica, quanto nella teoria, nell’Europa della prima modernità, di una

situazione amministrativa e politica in cui non si possono e non si vogliono

trasformare le molteplici fonti di potere in funzioni di un solo centro decisionale: la

decisione amministrativa e politica scaturisce da una molteplicità di livelli di

governo organizzati nei termini di una gerarchia non centralistica. Quest’immagine

della gerarchia politico-amministrativa viene ripresa, con diversi livelli di

consapevolezza storica sia dal pensiero liberale, sia da taluni filoni del pensiero

socialista e libertario, sia dal pensiero sociale cattolico, sia dal pensiero federalista

(il federalismo politico-istituzionale, in particolare).23 Il secondo conflitto

mondiale rappresenta una linea di confine oltre la quale la forma dello stato-

nazione è superata da quella dello Stato continentale.24

21 C. MALANDRINO, Die Subsidiarität in der “Politica” und in der Praxis des Johannes Althusius in Emden, in P. Blickle-T.O. Hüglin-D. Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und Gesellschaft. Genese, Geltungsgrundlagen und Perspektiven an der Schwelle des dritten Jahrtausends, in “Rechtstheorie”, Beiheft 20, Berlin, Duncker &Humblot, 2002, pp. 237-258 (versione italiana: La «sussidiarietà» nella Politica e nella prassi antiassolutista di J. Althusius a Emden in “Il Pensiero Politico”, XXXIV, 2001, pp. 47 e 51); cfr. anche T. O. HUEGLIN, Early Modern Concepts for a late World. Althusius on Community and Federalism, Wilfried Laurier University Press, 1999, pp. 152 ss. e M. SCATTOLA, Subsidiaritäi und gerechte Ordnung in der politischen Lehre des Johannes Althusius, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di) Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 337-367. 22 Per la nozione di ‘Stato giurisdizionale’ cfr. L. MANNORI-B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 36-71 e 75-181. Sulla fine dell”ordine antico” cfr. pp. 182-221. 23 Cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit., passim. 24 Fu F. Nietzsche a intuire che nel XX secolola forma dello Stato nazione sarebbe stata gradualmente sostituita dallo Stato continentale, cfr. F. INGRAVALLE, Stato,Groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. Nietzsche, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Alessandria, Working Paper n. 40, febbraio 2004. Indipendentemente dalla prospettiva nietzscheana L. Einaudi da un lato, Altiero Spinelli con E. Rossi, nel Manifesto di Ventotene giunsero a conclusioni analoghe.

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La sostanza del principio di sussidiarietà, come si è già detto, è che le decisioni

amministrative vanno prese al livello più vicino ai cittadini. Si tratta di un principio

che disciplina la vita politica all’interno dello Stato. Se guardiamo all’art. 3 B del

TUE dobbiamo constatare che, una volta portato dal livello dei rapporti intra-statali

al livello dei rapporti inter-statali, il principio si trasforma notevolmente perché

cambia completamente di contesto e, con le sue epifanie in ambito di storia delle

dottrine politiche, il principio stesso intrattiene soltanto rapporti di analogia. Non si

tratta, peraltro, di una trasformazione radicale. Che siano in questione i rapporti tra

cittadino e Stato oppure i rapporti tra Stati membri e istituzioni sovranazionali il

problema è lo stesso, vale a dire tutelare la pluralità all’interno dell’unità. La scelta

di utilizzare il nome di ‘sussidiarietà’ per designare il principio espresso dall’art. 3

B non è stata casuale;25 si trattava di dare un nome di cosa nota sul piano teorico a

qualche cosa di istituzionalmente inedito (a parte, com’è risaputo, le esperienze del

Sacro Romano Impero Germanico nell’interpretazione di Althusius nella Politica

del 1614,26 degli U.S.A. e della Repubblica federale Tedesca fondata nel 1949).

Il principio di cui ci occuperemo qui è interamente radicato, nel suo significato

concreto, nella storia dell’integrazione europea, è coniato sulla sua misura e sulla

sua sostanza, anche se in rapporto analogico con una ricca tradizione. Rivolgeremo

la nostra attenzione, pertanto, esclusivamente alla contestualizzazione del principio

nella storia dell’integrazione europea cercando di privilegiarne gli aspetti storico-

istituzionali. non vogliamo assolutamente negare la rilevanza dal punto di vista

teorico e della storia delle dottrine politiche della genealogia tracciata nelle

autorevoli trattazioni storiche già richiamate. Il quesito che ci poniamo è perché

proprio il principio di sussidiarietà sia stato scelto come criterio del difficile

rapporto fra Stati membri e Comunità, quando questo rapporto aveva, ormai

quarant’anni di storia alle spalle. La risposta non va ricercata solo nella storia del

principio, ma anche nella storia della concreta realtà che esso è stato chiamato a

regolare. Una storia che non si lascia del tutto esaurire nell’alternativa

federazione/confederazione perché la ripropone su due livelli: il livello della

Comunità economica e il livello dell’Unione politica. La storia dell’integrazione

25 J.-P. JACQUE, La subsidiarité en droit communautaire, in D’Onorio (a cura di), La subsidiarité, cit., pp. 86-97. 26 Cfr. MALANDRINO, La sussidiarietà nella Politica e nella prassi antiassolutista di J. Althusius a Emden, cit., pp. 41-58. Cfr. A. BRETON-A. CASSONE, A. FRASCHINI, Decentralisation and Subsidiarity: Toward a Theoretical Reconciliation, in “Journal of International Economic Law”, XIX, 1998, 1, pp. 21-51; il riferimento si trova alle pp. 21-22.

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europea ha prodotto un tertium genus tra federazione e confederazione, come si

può già notare ai tempi del TUE. Che il principio di sussidiarietà non sia stato

considerato anche alla luce del suo esprimere questo tertium genus spiega le

caratteristiche salienti del vasto dibattito critico iniziato nella prima metà degli anni

’90. Esso si lascia riassumere, nonostante tutto, in una contrapposizione netta fra

chi ritiene il principio di sussidiarietà un pericoloso strumento di centralismo

sovranazionale e chi lo vede come un elemento centrale, anche se ambiguo, di un

processo istituzionale federalizzante democratico in fieri dal significato tutt’altro

che accentratore.

J. B. d’Onorio afferma recisamente che l’art. 3 B del Trattato di Maastricht

comporta una visione centralizzatrice del principio di sussidiarietà. Egli inizia

ricordando la competenza esclusiva della Comunità prima di ricordare quelle degli

Stati e soprattutto, afferma, “le principe de subsidiarité n’est appelé à s’appliquer

que hors du champ de cette exclusivité, c’est-à-dire qu’il ne pourra jouer qu’au

profit des autorités de Bruxelles pour les domaines de competence concurrente

(dite aussi “partagée”) entre la Communauté et les États membres ou encore pour

les compétences communautaires à venir […].”27 Per d’Onorio si tratta di

un’interpretazione estensiva che sarebbe confermata dal Consiglio delle Comunità.

Ma perché “estensiva”? Secondo l’autore, perché la finalità stessa del trattato era di

approfondire “la solidarité entre les peuples” e tale approfondimento significa

gettare le basi di un potere federale, qui interpretato, evidentemente, come

centralistico. Ma perché ‘centralistico’? Perché il principio di amministrare gli

affari pubblici al livello più vicino al cittadino è destinato a rivelarsi tale se lo si

‘distorce’ ampliando gli ambiti di intervento della Comunità come avviene nel

titolo II, articolo G del Trattato sull’Unione europea.28 Sotto questo profilo, la

sussidiarietà propugnata dalla Commissione29 appare ambigua a d’Onorio: da un

lato essa afferma il principio secondo cui “la règle est la compétence nationale,

l’exception la compétence communautaire”, dall’altro afferma una competenza,

nel fissare i limiti dell’azione degli Stati membri, che conduce direttamente al

centralismo sovranazionale. Così, la sussidiarietà comunitaria si avvicina molto

alla sussidiarietà prevista dal “Progetto Spinelli,” cioè a una sussidiarietà come

27 D’ONORIO, La subsidiarité, cit., p. 31. 28 D’ONORIO, La subsidiarité, p. 33.

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principio politico di attribuzione di competenze e nucleo di una visione federalista.

Sulla medesima linea è anche la ricostruzione della storia del principio di

sussidiarietà fatta da Chantal Millon-Delsol.30 Per quanto molto lontano

ideologicamente dagli autori qui richiamati, Réné Lourau, muovendo dai

presupposti della “analisi istituzionale” (che mirano alla realizzazione

dell’autogestione sociale e alla decostruzione in chiave libertaria del potere sociale

e politico),31 giunge a conclusioni analoghe, sostenendo che la sussidiarietà di

Maastricht è una sussidiarietà imposta dall’alto, che evoca e concentra in sé

l’intero quadro dei deficit di democrazia della Comunità e dell’Unione32. Per

questa linea di pensiero la sovranazionalità nella versione degli atti della

Commissione equivale a centralismo.

Al contrario Giuseppe Cotturri vede nel principio di sussidiarietà e soprattutto nel

Protocollo di Amsterdam il fondamento di un metodo dialogante che pone le basi

per intendere l’espansione dell’intervento comunitario come frutto di un processo

“molto negoziato”; tale processo coinvolge i livelli del potere sovranazionale e i

poteri nazionali e “pur avendo necessità pratica di articolarsi e di agganciarsi a

organizzazioni di potere nello spazio, rimanda anzitutto alla costituzione di

soggetti, al riconoscimento di identità collettive, al senso degli scambi

multiculturali, a vincoli di solidarietà e a confini di autonomia.”33 La sussidiarietà

trasforma il potere in “prassi dialogica” che coinvolge livello sovranazionale,

livello nazionale e livello subnazionale.

Un momento decisivo nello studio del principio di sussidiarietà è rappresentato

senza dubbio dal voluminoso Beiheft 20 pubblicato da “Rechtstheorie” e intitolato

Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und

Gesellschaft.34 Si tratta della messa a punto più completa fino a oggi della

discussione critica e storica e della ricerca sul principio di sussidiarietà, poiché essa

29 Cfr. Le principe de subsidiarité – Communication au Conseil et au Parlement européen in "Revue trimestrielle de droit européen” (28) 4, ottobre-dicembre 1992, pp. 728-739 si v. specialmente p. 734. 30 Cfr. MILLON-DELSOL, L’État subsidiarie, Paris, P.U.F., 1992, tr. it Lo Stato della sussidiarietà, Gorle, Editrice C.E.L., 1995, pp. 151 ss., la quale richiama gli usi distorti perché centralistici e autoritari del principio di sussidiarietà. 31 Cfr. G. LAPASSADE, L’analisi istituzionale, tr. it. Milano, ISEDI, 1974; R. LOURAU, L’analyse institutionnelle, Paris, Editions du Minuit, 1970; ID., La chiave dei campi. Un’introduzione all’analisi istituzionale, tr. it. Roma, Sensibili alle foglie, 1999. 32 Cfr. R. LOURAU, Le principe de subsidiarité contre l’Europe, Paris, P.U.F., 1997. 33 COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 21. 34 Cfr. P. Blickle-T.O. Hüglin-D. Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit.

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comprende i fondamenti del principio nella cultura confessionale cristiana e nei

presupposti generali della teoria politica e della società, nei presupposti della teoria

costituzionale, del diritto e dello Stato. Inoltre perché a tali ambiti riconduce la

prassi regionale e comunale della sussidiarietà vista sotto il profilo storico-sociale,

le connessioni fra ordinamento corporativo, federalismo e sussidiarietà, la duplice

caratteristica di principio giuridico e politico del principio nell’Unione Europea e,

infine, la sua presenza nella prospettiva del diritto delle genti e in quella del mondo

globale. Dall’angolo visuale della presente ricerca è di particolare importanza ciò

che osserva Stefan Ulrich Pieper: “L’introduzione del principio di sussidiarietà ha

portato amitigare le tendenze alla regolazione centralistica.”35 Al tempo stesso esso

obbliga a considerare l’istanza sovranazionale con come una realtà “altra”, ma

come garante del libero sviluppo della vita sociale e politica. Per Thomas O.

Hüglin36 il principio costituente (Gestaltungsprinzip) di sussidiarietà è un principio

politico, non giuridico, come mostra l’ancoraggio del principio alla dottrina

althusiana della consociatio. E’ il principio che esprime la politica come

formazione di una comunità (Gemeinschaftsbildung) e che, secondo lo studioso è

completamente diverso dal federalismo costituzionale americano: “Nel federalismo

costituzionale americano questa coordinazione [dei distinti ambiti della società, N.

d. R.] avviene soltanto attraverso azioni intergovernative effettuate sulla base

dell‘ordine costituzionale dato secondo il quale federazione e Stati membri, per

quanto riguarda le loro competenze, si dividono principalmente in modo

dualistico”37 Christian Calliess vede nel principio di sussidiarietà l’elemento chiave

per lo sviluppo di un sistema di governo a più livelli e vede nel “principio di

solidarietà,” inteso come ‘anima’ del decentramento, un correttivo alle possibili

derive centralistiche del principio di sussidiarietà.38

Affine al modello di indagine che vede nel principio di sussidiarietà il nucleo

fondante di una prassi governativa dialogica, anche se non esplicitamente centrato

35 PIEPER, Das Subsidiaritätsprinzip im Europäischen Gemeinschaftsrecht, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 445-471: 459. 36 HÜGLIN, Föderalismus und Subsidiarität. Ein Beitrag zu Schnittstellen in der politischen Ideengeschichte, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 325-336, specialmente pp. 326-327. Sul nesso tra federalismo e sussidiarietà cfr. già H. BRUGMANS, La pensée politique du Fédéralisme, Leyde, A.S. Sijthoff, 1969, pp. 65-81. 37 HÜGLIN, Föderalismus und Subsidiarität in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., p. 327.

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sul principio di sussidiarietà, è il modello federalista-comunicativo elaborato da

Malandrino in merito alla possibile federalizzazione dell’Unione Europea.39

Secondo questo modello “gli individui-soggetti federativi esplicano la loro attività

nei vari livelli di esistenza che coincidono con i diversi piani di aggregazione

sociale e politica, legandosi ai valori culturali e sostantivi specifici di ognuno di

questi, pur rimanendo capaci di esperienze plurali e di appartenenze plurali. Dal

loro vario e necessario entrare in rapporti pattizi in ognuno di tali livelli si genera

una pluralità di patti federali e di popoli federali, dai quali promana nel contempo

una pluralità di poteri costitutivi (o “costituenti”) federali infranazionali, nazionali

e sovranazionali.”40 In questa prospettiva, potremmo dire che il principio di

sussidiarietà viene a essere il principio architettonico dei rapporti pattizi di cui è

intessuto il sistema qui descritto.41 La sussidiarietà rende possibili i foedera e

questi rendono possibile la sussidiarietà; il centro ideale di questa “circolarità

virtuosa”42 non è il puro criterio di ripartizione delle competenze, ma anche

l’insieme di “spinte di indipendenza e di autogoverno”43 rispetto a cui il potere

sussidiario sovranazionale è governo, non signoria.

Sia l’interpretazione di Cotturri, sia quella di Malandrino aprono un nuovo fronte

nel dibattito. Non si chiedono se la sussidiarietà sia accentratrice o decentratrice,

ma si interrogano sulle concrete potenzialità democratiche, in termini di

sussidiarietà,44 del rapporto fra entità substatali, Stati e istituzioni sovranazionali

proprio a partire dal fatto che attualmente la costruzione europea è un tertium

genus che può evolvere in senso federale.

Nella diffidenza verso il principio politico di sussidiarietà si fondono componenti

sovranistiche, componenti anti-autoritarie, ma anche autentiche perplessità sui

38 CALLIESS, Subsidiaritätsprinzip und Solidaritätsprinzip, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 371-400. 39 Cfr. MALANDRINO, Sovranità nazionale e pensiero critico federalista. Dall’Europa degli Stati all’unione federale possibile, in “Quaderni Fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno”, 31, 2002, Tomo I, pp. 169-244.

40 Ivi, p. 241. 41 Cfr. F. INGRAVALLE, Principio di sussidiarietà, potere sussidiario e ‘popolo europeo’ in C. Malandrino (a cura di), Un popolo per l’Europa unita. Fra dibattito storico e nuove prospettive teoriche e politiche, presentazione di D. Velo, Firenze, Olschki, 2004, p. 132. 42 Cfr. le osservazioni di J. LUTHER, Il principio di sussidiarietà: un «principio speranza» per il diritto costituzionale comune europeo in F.P. CASAVOLA-J. LUTHER, Federalismo, sussidiarietà, estratto da “Il Foro Italiano”, aprile 1996, pp. 16-29. 43 COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 74. 44 Per N.W. BARBER, The Limited Modesty of Subsidiarity, in “European Law Journal”, 11, 2005, n. 3, pp. 308-325, il principio di sussidiarietà è principio della strutturazione democratica e dell’identità costituzionale dell’Unione.

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deficit di democrazia dell’ Unione.45 Nella fiducia nei confronti di esso si

raccolgono le capacità di vederne tutte le potenzialità in vista di una

federalizzazione dell’Unione. E’ opinione comune alle impostazioni qui presentate

che il dettato dell’art. 5 legittimi tanto la diffidenza, quanto la fiducia, apra la

strada a concezioni tanto federaliste, quanto confederaliste dell’Unione- come

ricordato da Orsello.46

Muoveremo, nella nostra analisi, da quanto sembra acquisito dalla letteratura

scientifica qui richiamata: 1) il principio di sussidiarietà esprime e norma una

situazione47 in cui la governance (che deve esserci perché soprattutto

l’integrazione economica la impone48) deve attuarsi in una pluralità di livelli, e, di

fatto, essa è istituita per via sovranazionale, ma intergovernativa, e quindi decisivo

è il peso degli Stati membri nell’interpretare il principio di sussidiarietà come

strumento di difesa delle loro prerogative sovrane; 2) per questo motivo esso

oscilla continuamente, a seconda delle interpretazioni che ne danno gli organi

istituzionali della Comunità, tra la configurazione di principio politico e quella di

principio giuridico, di artefice della ripartizione di competenze tra livello

sovranazionale e livello degli Stati membri e di strumento di quella ripartizione

fissata a livello intergovernativo dai trattati; 3) il principio di sussidiarietà, in

questa sua ambiguità, e nella ‘lotta’ tra le interpretazioni di cui è oggetto, esprime

il processo contraddittorio dell’ integrazione europea in ciò che esso è già stato e in

ciò che esso è. I trattati e i documenti ufficiali regolano la Comunità sulla base di

quello che essa è; essi sono, per così dire, proiezioni giuridiche di un’insieme di

pratiche via via consolidatesi prevalentemente per via intergovernativa sin

45 Cfr. a esempio J.-P. FITOUSSI, La régle et le choix. De la souveraineté économique en Europe, Paris, Seuil, 2002, tr. it. Il dittatore benevolo. Saggio sul governo dell’Europa, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 7-19.

46 Cfr. ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., p. 91. 47 Senza usare il termine sussidiarietà, una delle maggiori figure della scuola funzionalista della teoria dell’integrazione, D. MITRANY, nel volume Le basi pratiche della pace. Per una organizzazione internazionale su linee funzionali, Cambridge University Press, 1945 (ediz. orig. ivi, 1943), p. 52, espone con chiarezza la situazione sussidiaria ‘tipica’: “L’unico principio possibile di garanzia democratica è che l’attività pubblica sia intrapresa solo ove, quando, e perché la necessità di azione comune divenga evidente e venga accettata nell’interesse del comune benessere.” L’Alta Autorità della CECA, ideata da J. Monnet e dal suo gruppo di lavoro, sarà strutturata secondo un’impostazione analoga a questa. Va tuttavia sottolineata l’avversione di Mitrany al federalismo (documentata da ultimo nel suo saggio The Prospect of Integration:Federal or Functional in “Journal of Common Market Studies”, 4 (1965), di cui si leggono significativi estratti nel Reading curato da M. O’Neill, The Politics of European Integration, London and New York, Routledge, 1996, pp. 187-191), un’avversione che traccia la linea di confine rispetto alla visione dell’integrazione federalista propria di Monnet. 48 Ma non la semplice cooperazione. Per la distinzione tra cooperazione e integrazione cfr. A. ETZIONI, Unificazione politica, cit., pp. 230-281.

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dall’inizio del processo di integrazione. Queste tre acquisizioni inducono a

orientare la ricerca verso un ‘territorio’ che si trova al di là della storia del

concetto nelle diverse dottrine politiche e ad ancorarla alla storia dell’integrazione

europea che è storia dei trattati e delle istituzioni politiche messe in opera da essi.

La storia dell’integrazione europea è, anche, dal punto di vista comparativo e

analitico, un precorrimento del fenomeno della integrazione regionale, soprattutto

delle integrazioni regionali degli anni settanta-novanta del secolo scorso.49 Per

acquisire strumenti idonei a fornire una risposta al quesito centrale, cioè quale sia il

ruolo reale, nella storia dell’integrazione europea, della sussidiarietà, cioè della

situazione economica e politica che richiede lo sviluppo di un potere di tipo

sussidiario in grado di sintetizzare livelli differenziati di unità con la pluralità degli

Stati membri e quale possa esserne, realisticamente, il ruolo futuro, sarà utile

innanzitutto vedere che posizione essa abbia in un’ottica comparativa con i

fenomeni di integrazione regionale, se essa abbia un ruolo nelle altre pratiche

dell’integrazione regionale e quale eventualmente esso sia.50

I quesiti ai quali cercheremo di rispondere sono fondamentalmente quattro.

L’integrazione regionale è giunta finora a creare soltanto in Europa una situazione

sussidiaria, vale a dire una situazione di interdipendenza economica che richieda

un potere in grado di agire politicamente in modo sussidiario, oppure vi sono

tracce di questo processo anche in altri contesti di integrazione regionale?

Qual è il processo attraverso il quale la situazione sussidiaria evolve in Europa sino

a configurare il ricorso alla formulazione esplicita di un principio di sussidiarietà?

Perché tale principio assume un’importanza così cospicua da essere oggetto di

precisi protocolli di applicazione?

Quale rapporto esiste tra lo sviluppo della situazione sussidiaria e lo sviluppo di

istituzioni a carattere sovranazionale nel processo dell’integrazione europea?

49 Cfr. R. HARRISON, Europe Question:Theories of Regional International Integration, London Allen and Unwin, 1975;A. SAPIR, Reginal Integration in Europe, Brussels, Commission of the European Communities, Directorate General for Economic and Financial Affairs, 1992; S. Fountas-B. Kennelly (a cura di), European Integration an Regional policy, Galway Centre for Development Studies Social Sciences Research Centre, University College Galway, 1994; J.A. CAPORASO, The European Union Dilemmas of Regional Integration, Oxford, Westview Press, 2001. 50 La stretta connessione tra integrazione e sussidiarietà è stata dimostrata sul piano analitico da R. SINNOTT, Integration Theory, Subsidiarity and the Internationalisation of Issues: the Implications for Legitimacy, European University Institute, Badia Fiesolana, San Domenico (Fi), 1994, specialmente alle pp. 11 ss. Sinnott concepisce la sussidiarietà come situazione- anche se non usa questo termine.

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Capitolo 1. Integrazione e sussidiarietà

Il processo di integrazione europea nasce dall’integrazione economica settoriale

con il “piano Schuman.” Questo piano, a sua volta, è maturato in un preciso

contesto che è quello dei tentativi di realizzare una “economia europea integrata”

nel quadro dei progetti United Nations Relief and Rehabilitation Administration

(UNRRA) e European Recovery Program (ERP) attraverso l’azione della

Organisation for European Economic Cooperation (OEEC, comunemente nota

con l’acronimo OECE) e della European Union for Payments (EPU, solitamente

indicata con l’acronimo UEP).51 Dire “economia integrata” o “integrazione

economica” significa fare riferimento al modello dell’economia statunitense, vale a

dire a un sistema di interazioni governato da istituzioni che si debbono collocare al

di sopra degli Stati, che debbono essere quindi ‘sovrastatali’. L’integrazione è

impossibile senza una governance, mentre piani di cooperazione economica,

oppure piani di unione doganale possono, entro certi limiti, realizzarsi e funzionare

senza alcuna necessità di creare istituzioni sovranazionali.

Che cos’è, in questo senso e in questo contesto, una istituzione sovranazionale? E’

un potere che agisce in vista della realizzazione di obiettivi comuni i quali, a loro

volta, pur derivando dal consenso dei singoli Stati associati non sono riducibili al

“tiro alla fune” tra i singoli interessi, ma esprimono un interesse unitario che

comporta il sacrificio di singoli interessi di parte. Gli obiettivi comuni che non

sono realizzabili dai singoli Stati con i mezzi propri, richiedono l’intervento

dell’autorità sovranazionale.

Se si ripercorrono le vicende che vanno dagli inizi dell’attuazione dell’ERP al 9

maggio 1950 si nota non soltanto l’ostilità reale, curiosamente contraddetta da

dichiarazioni di principio, dei paesi europei a qualsiasi piano di integrazione e di

51 Il concetto si trova in un intervento di Paul Hoffmann, del 31 ottobre 1949 riportato da E.H. VAN DER BEUGEL, From Marshall Aid to Atlantic Partnership, Amsterdam-London, Elsevier, p. 185, citato da FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 87-88.

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unione dei mercati,52 ma, significativamente, anche il timore che sorga un’autorità

sovranazionale. Nonostante il ridimensionamento della sovranità degli Stati-

nazione, conseguente alle due guerre mondiali e, particolarmente, all’esito della

seconda, sopravvive a lungo l’aura dello Stato-potenza.

L’ERP muove dall’ipotesi che la ripresa economica europea sia essenziale agli

interessi statunitensi a lungo termine;53 la ripresa non è giudicata possibile senza

“una grande economia integrata da libere forze di mercato nella quale le istituzioni

centrali che si occupano del coordinamento e del controllo pongano le basi per una

nuova era di crescita economica e di stabilità sociale.”54 La realizzazione di questo

obiettivo dipende dall’OECE e dall’ European Cooperation Administration (ECA),

organismi di esecuzione dell’ERP. L’OECE, in particolare, tuttavia, non dispone di

autorità sovranazionale, essendo piuttosto un organismo consultivo e di

coordinamento. Molti i tentativi di costituire un’istanza economica sovranazionale:

dal piano Petsche (luglio 1950: creazione di una Banca Europea per gli

Investimenti che dovrebbe farsi carico degli interventi finanziari capital-intensive

di cui i paesi europei potevano avere bisogno per migliorare la loro competitività)

al piano Stikker (giugno 1950, “Piano d’azione per l’integrazione economica

europea” che prevede, tra l’altro, un Fondo Europeo di Integrazione per permettere

ad alcuni settori industriali di reggere con maggiore successo l’impatto del libero

scambio con la modernizzazione, la riallocazione della forza lavoro e nuovi

investimenti), al piano Pella (che prevede ugualmente la creazione di un Fondo

europeo di integrazione).55 Il Consiglio dell’OECE affida i tre piani a uno speciale

Working Party per ricavarne un piano generale di integrazione comune europea,

ma nessuno di essi va oltre la discussione della commissione e nell’autunno del

1951 essi sono lasciati cadere. Si tratta di tentativi di pensare istituzioni

economiche sovranazionali con funzioni sussidiarie, completive coerentemente con

il vasto disegno americano che implica la creazione di funzioni di sovranazionalità;

52 Cfr. FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 79; sul piano Marshall cfr. A.S. MILWARD, The Reconstruction of Western Europe, London, Methuen, 1984; E. Aga Rossi (a cura di), Il piano Marshall, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,1983; V. ZAMAGNI, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 201-224. 53 Cfr. M. GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 7-12. 54 FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 32; M.J. HOGAN, The Marshall Plan. America, Britain, and the Reconstruction of Western Europe 1947-1952, Cambridge, Cambridge University Press, 1987, pp. 26-27. 55 FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, pp. 87-91.

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la sovranità dei singoli Stati europei non sarebbe eliminata, ma limitata secondo gli

obiettivi comuni della cooperazione e la loro realizzabilità da parte degli Stati.

Dire ‘istituzioni sovranazionali’ in un sistema economico ipotizzato come sistema

integrato di Stati, che mantengono una sovranità reciprocamente limitata in

relazione alle finalità sistemiche, equivale a dire istituzioni che completano

l’azione degli Stati membri. Una funzione completiva, questa, che mira a realizzare

finalità le quali consistono in obiettivi comuni, fissati attraverso una rete di patti tra

gli Stati. Nessuno Stato, da solo, infatti, può svolgere tale funzione completiva:

soltanto istituzioni sovranazionali possono farlo. Non si tratta di amministrare i

bisogni e le risorse di un solo territorio strutturato in forma statale da istituzioni

politiche storicamente consolidatesi, ma di integrare le esigenze di una molteplicità

di Stati le cui potenzialità, sul piano della produzione e dello scambio, sono state

ridotte drasticamente dalla guerra. Che le istituzioni sovranazionali non siano

necessariamente nemiche della sovranità degli Stati in quanto tale, ma soltanto in

quanto tendente all’assolutezza tipica dello Stato-potenza, lo mostra concretamente

l’ International Monetary Fund (IMF, comunemente noto con l’acronimo FMI) su

ben altra scala di grandezza.56 E lo avrebbe dimostrato, con maggiore chiarezza,

anche se su una scala di grandezza ben più ridotta, il primo tentativo riuscito di

integrazione settoriale, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio

(CECA).

Le conseguenze di progetti di questo genere considerate, sul piano della teoria,

sono di grande rilievo. Fare parte di un mercato integrato comporta certamente la

limitazione della sovranità (in ambiti che non paiono, a prima vista, politici), di

certo non la sua scomparsa; ciò implica indubbiamente il problema di una sorta di

‘sovranità multilivello’, sia pure soltanto sul piano economico, che mantiene le

vecchie forme di sovranità politica, ma le rende funzionali a una dimensione che le

trascende; infine, fare parte di un mercato integrato richiede una ripartizione di

competenze fra Stati nazionali e istanze economiche sovranazionali. I progetti di

integrazione economica, via via che si realizzano, creano situazioni sussidiarie,

situazioni che richiedono l’esercizio di un potere sussidiario in ambito economico,

situazioni in cui la compresenza di istanze sovranazionali e della sovranità degli

Stati richiede una ripartizione di compiti ove il livello sovranazionale non può che

56 Un’eccellente e chiara sintesi in merito è costituita dal vol. di G. SCHLITZER, Il Fondo Monetario Internazionale, Bologna, Il Mulino, 2004.

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presentarsi in funzione di sostegno, di subsidium; qui matura l’aspetto politico

della situazione sussidiaria, la questione della ripartizione delle competenze e di

quale istituzione sia legittimata a fissare il criterio di tale ripartizione. Il problema

non si pone, naturalmente, finché le istituzioni sopranazionali hanno funzioni

consultive; ma se l’interpenetrazione economica si approfondisce a tale punto che

istituzioni consultive non bastino più allo scopo di armonizzare le diverse

economie, allora il problema politico emerge. Ma non è necessario che esso sia

risolto, nei suoi diversi aspetti e ambiti con una logica unitariamente

sovranazionale.

Un nesso forte sembra legare sul piano progettuale integrazione, sovranazionalità e

sussidiarietà già negli anni che precedono l’esperienza della CECA.

Parlare di integrazione in questo contesto significa parlare non già della

giustapposizione di diverse entità economiche, ma di una sia pur limitata

armonizzazione che incide nell’intimo di queste entità economiche, spingendole a

decidere in comune. Per fare questo esse devono dotarsi di organi, di istituzioni che

siano in grado di trascendere la sovranità degli Stati senza eliminarla, ma di

inserirla in un sistema complesso. Qui si crea la situazione sussidiaria.

Prendiamo come esempio, prescindendo naturalmente dalla scala di applicazione,

il primo articolo dello statuto del FMI che prevede l’instaurazione di un sistema di

cambi fissi basato sulla convertibilità del dollaro in oro, secondo un rapporto fisso,

e di tutte le altre monete in dollari secondo un rapporto che poteva oscillare entro

un margine non superiore all’ 3% in più o in meno della parità ufficiale.57 La

singole divise monetarie non vengono abolite, e non lo è neppure l’importante

funzione sovrana che gli Stati esercitano tramite esse, ma vengono inserite in un

sistema di cambi nei quali l’oro e il dollaro svolgono una funzione completiva o, al

limite, di garanzia.

Un altro esempio: secondo le norme dell’ERP gli Stati europei avrebbero dovuto

accordarsi per definire insieme le richieste di aiuti.58 Qui, ancora una volta, la

concessione degli aiuti è vincolata all’accordo, cioè alla limitazione delle pretese

nazionali in vista di obiettivi comuni. Nelle pretese nazionali si esprime il modello

della sovranità illimitata degli Stati; nel piano comune si esprime l’esigenza della

57 Cfr. L. LEVI-U. MORELLI, L’Unificazione europea. Cinquant’anni di storia, Torino, Celid, 1994, p. 41; SCHLITZER, Il Fondo Monetario Iinternazionale, cit., pp. 21 ss. 58 Cfr. FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., pp. 33-34

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ricostruzione come esigenza che riguarda tutti gli Stati, non separatamente, ma

insieme.

Ancora un esempio: l’art. 1 dello statuto dell’ OECE (16 aprile 1948) recita: “Le

parti contraenti devono agire in stretta cooperazione e avere come compito

immediato l’elaborazione e l’attuazione di un programma comune di

ricostruzione.”59

La risoluzione politica del Congresso dell’Aja (7-10 maggio 1948), nelle

Raccomandazioni immediate consiglia:60

“1. eliminare progressivamente e prima possibile dall’Unione gli ostacoli al

commercio che risultano dalle restrizioni quantitative allo scambio delle merci .

2. ridurre e in ogni caso ove questo è possibile abolire finalmente le tariffe

doganali tra gli Stati partecipanti.

[…]

3. preparare così la libera convertibilità delle monete ed il ristabilimento

progressivo della libertà di commercio tra i paesi dell’Europa.”

Queste raccomandazioni sono finalizzate alla realizzazione della libera

circolazione dei capitali, al risanamento delle politiche dei bilanci e del credito e

all’unione monetaria.61

Le finalità mirano, con ogni evidenza, a creare un mercato unico. I mezzi

disponibili di fatto sono due: o affidarsi agli accordi (e alla sorveglianza della loro

esecuzione) in via intergovernativa, oppure creare istituzioni all’uopo, vale a dire

istituzioni sovranazionali. Non si tratta, com’è chiaro, di eliminare gli Stati sovrani,

ma di inserirli in un quadro di rapporti in grado di creare subito l’esigenza di

istituzioni sovranazionali.

Quando il deputato laburista R.W.G. MacKay, membro della delegazione inglese

all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, propone (e l’Assemblea del

Consiglio d’Europa approva), il 6 settembre 1949, come scopo del Consiglio

d’Europa il “creare un’autorità politica europea dotata di funzioni limitate, ma di

poteri reali”, il Comitato dei Ministri si oppone (inflessibile fu il veto britannico).

MacKay pensa chiaramente, come rivelano gli aggettivi che definiscono le

funzioni della ipotizzata “autorità politica europea”, a una funzione sussidiaria.

59 Cfr. L. LEVI- U. MORELLI, L’Unificazione europea., cit., p. 56. 60 Ivi, p. 66. Le prime due raccomandazioni si leggono nel capoverso relativo al settore degli scambi, mentre la terza è compresa nel capoverso dedicato al settore dei problemi monetari. 61 Ivi, p. 67.

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La situazione creata con l’ERP richiede soluzioni sovranazionali, è una situazione

sussidiaria che implica un potere completivo sovranazionale, dato che il fine del

piano è creare un’area economica europea integrata. Tuttavia l’OECE è un

Consiglio ministeriale di Stati sovrani in cui ogni paese ha il diritto di veto.

L’esistenza di una situazione sussidiaria non implica che le risposte istituzionali

siano tali da realizzare un potere sussidiario e in questo caso mancano istituzioni

sovranazionali che abbiano la forza di agire. La loro forza non potrebbe derivare,

realisticamente, che da un trasferimento di sovranità economica da parte degli

Stati. Ma, come si è detto, l’aura dello Stato-potenza è troppo forte, troppo presente

nel modo di pensare i rapporti interstatali.

Il 28 agosto 1950 viene votata dall’Assemblea una raccomandazione che indica

come politica alternativa per la costruzione europea quella delle autorità

“specializzate” con il compito di gestire il processo di integrazione in settori

specifici (come quello carbo-siderurgico o quello militare) solo tra gli Stati disposti

ad aderire a questi organismi (punti I e IV delle Raccomandazioni).62 Questa

raccomandazione fa eco alla dichiarazione del ministro degli Esteri francese

Robert Schuman con la quale, il 9 maggio 1950, ci si propone “di mettere

l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune

Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri

paesi europei.”

Già il 17 marzo 1948 viene promossa dal ministro degli esteri britannico Ernest

Bevin un’alleanza politico-militare, estensione del trattato anglo-francese di

Dunkerque del 4 marzo 1947 tra i paesi del Benelux nei confronti di una eventuale

ripresa della politica offensiva tedesca, ma soprattutto in funzione anti-sovietica.

L’art. 1 recita: “ Convinti della stretta solidarietà dei loro interessi e della necessità

di unirsi per affrettare la ripresa economica dell’Europa, le Alte Parti Contraenti

organizzeranno e coordineranno le loro attività economiche allo scopo di ottenere

il massimo rendimento, eliminando qualsiasi divergenza nella loro politica

economica mediante l’armonizzazione della loro produzione e lo sviluppo dei loro

scambi commerciali.”63 Armonizzare la produzione è una strategia che può

certamente realizzarsi attraverso strumenti intergovernativi, ma anche attraverso la

creazione intergovernativa di istituzioni sovranazionali.

62 Ivi, p. 71. 63 Ivi, p. 54, corsivo nostro.

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L’urgenza di compattare l’Europa in funzione anti-sovietica è il reale stimolo dei

politici statunitensi a cercare di contribuire alla realizzazione di un’Europa unita

per lo meno sotto il profilo economico. Tuttavia, dopo la crisi di Berlino, diviene

chiaro che è anche più urgente, data la scarsa disponibilità degli Stati europei a

gettare le basi per un’economia integrata, ricostruire politicamente la Germania e

farne un baluardo anti-sovietico.

L’intenzione di far giungere l’Europa all’ integrazione economica è molto forte da

parte statunitense, ma che altrettanto forte era l’ostacolo epistemico europeo

costituito dal pensare la politica nel quadro dello Stato-nazione superiorem non

recognoscens e quindi ostile, in linea di principio, alla creazione di istituzioni

sovranazionali.

Guardando la realtà europea dal punto di approdo attuale si deve vederla, come già

si è accennato, come un aspetto del fenomeno delle integrazioni regionali.

L’integrazione produce un sistema (vale a dire un insieme di istituzioni, di gruppi e

di processi politici “caratterizzati da un certo grado di interdipendenza

reciproca”64) la cui articolazione di base implica, a un certo grado di sviluppo,

proprio l’insieme dei meccanismi che vanno sotto il nome di sussidiarietà. Se si

crea un potere sovranazionale, ciò è segno che si è creata anche l’esigenza di un

potere sussidiario in grado di realizzare un sistema plurale di governance. Nulla,

tuttavia, garantisce che tale esigenza venga anche soddisfatta: il processo di

integrazione non è un processo automatico (come ritenuto invece da certa vulgata

funzionalistica), ma l’esito di volontà politiche condizionate dal livello di sviluppo

raggiunto dall’integrazione stessa. E non vanno dimenticati, in questo schizzo

comparativo, i concreti fattori storici che hanno stimolato il processo

dell’integrazione europea: la logica della “guerra fredda” nella ‘politica europea’

statunitense, l’esigenza da parte francese di non favorire in alcun modo il riarmo

autonomo della Germania a opera degli USA e quindi la particolare ‘urgenza’ che

riveste, al tempo della sua apparizione il “piano Schuman”.

Il potere sovranazionale può esplicarsi nella sfera economica o nella sfera politica:

esso si configura in quelle che abbiamo designato con l’espressione “situazioni di

sussidiarietà.” Che le “situazioni di sussidiarietà” non siano sufficienti a innescare

64 Cfr. G. URBANI, Sistema politico in Bobbio-Matteucci-Pasquino, Dizionario di politica, Torino, UTET, 1978; G.A.ALMOND-B.G.POWELL, Comparative Politics. System, Process, and Policy, Boston, Little, Brown and Co, 1978, tr. it. Politica comparata, Bologna, Il Mulino, 1995. Per la

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tendenze allo sviluppo di un potere sussidiario lo mostra con chiarezza l’insieme

degli esempi forniti dai processi di integrazione extra-europei. Attualmente,

soltanto deboli tendenze caratterizzano in questo senso unioni regionali come

l’Association of South-East Asian Nations (ASEAN, dal 1967), il North American

Free Trade Agreement (NAFTA, dal 1989) il Mercato Comùn del Sur

(MERCOSUR, dal 1985), la Southern African Development Community (SADC,

dal 1992) e l’Unione Africana (UA, dal 2003). Che nel MERCOSUR si siano

sviluppate una Carta dei diritti umani (2002), un Parlamento andino, una Corte e

un insieme di sistemi di sicurezza che rendono impossibile la guerra (questi sono

chiari segni di tendenze a realizzare una governance sovranazionale); che

nell’Unione africana esista una Corte dei diritti umani e una Commissione

(analoga, potenzialmente, alla Commissione della Comunità europea); che nel

NAFTA le Commissioni abbiano tendenze sovranazionali, limitatamente ad alcune

competenze significa che “in assenza di un’egemonia espansiva credibile,

oggettivamente incombe anche sulle organizzazioni regionali la sfida di contribuire

alla governazione65 regionale più attivamente;”66 e ciò significa che i nessi

regionali giungono quasi a ‘richiedere’ di essere istituzionalizzati in senso politico.

Questa tendenza preannuncia il problema di una ripartizione delle competenze fra

Stati nazione e organismi sovranazionali perché si sta creando una situazione

sussidiaria, perché in una certa misura operano già concretamente istituzioni

sovranazionali. Perché queste tendenze si sviluppino nel senso in cui esse si sono

sviluppate nella vicenda dell’integrazione europea occorrono, come già si è

accennato, dei ‘catalizzatori storici’ (come sono stati, in tempi e modi diversi,

l’inizio della “guerra fredda” per la CECA e l’implosione del blocco dei paesi

“socialisti” per il Trattato di Maastricht).

Là dove le istituzioni sovranazionali sono più sviluppate si nota il sorgere di una

situazione sussidiaria che si configura come problema della ripartizione delle

competenze tra livello sovranazionale e livello degli Stati nazione. Vi possono

essere tuttavia realtà regionali in cui le istituzioni sovranazionali sono molto

sviluppate, ma risulta essere poco coerente l’attuazione delle decisioni comuni (è il

nozione generale di sistema cfr. L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, tr. it. Milano, ISEDI, 1971, c. 3. 65 Il termine è stato introdotto da M. TELÒ, Europa potenza civile, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. IX, Nota terminologica. 66 Ivi, p. 96.

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caso dell’Economic Community of West African States, ECOWAS, del 197567),

oppure reatà come il MERCOSUR68 in cui si registrano inizi di costruzione di un

sistema giuridico di regolazione dei conflitti interni con evidente configurarsi di

una situazione sussidiaria.

Tuttavia, la vicenda dell’integrazione europea rappresenta un caso di maggiore

durata (oltre cinquant’anni), un caso in cui il passaggio dall’integrazione settoriale

all’integrazione economica complessiva è ben chiaro e solido e, infine, un caso in

cui emerge la ristrettezza di vedute puramente funzionalistiche riguardo al

passaggio ‘automatico’ dall’integrazione economica all’integrazione politica.69 In

questo passaggio, la funzione concettuale e pratica della sussidiarietà è decisiva,

proprio per la caratteristica di “cerniera,” svolta dal principio che la esprime, tra

livello sovranazionale e livello nazionale all’interno del processo di integrazione.

Possiamo vedere il problema nella sua complessità: non eliminare gli Stati nazione;

renderli parte di un processo che li trasforma in parte autonome di un sistema

integrato.70

Dove inizia questo processo di integrazione che tende a dare luogo a un sistema?

Nell’economia. Dove può ‘incepparsi’? Sia nell’economia, sia nella politica. Dove

sorge il principio di sussidiarietà nell’ambito comunitario? Nell’economia.71

Quando assume esso la duplice valenza politico-giuridica, con la flessibilità (non

ambiguità) richiesta dalla situazione? Nel momento in cui l’integrazione

economica tende ad assumere un senso politico: per ciò che riguarda la storia

dell’integrazione europea questo momento è quello del Trattato di Maastricht. Ma

la situazione che caratterizza l’integrazione europea è già sussidiaria a partire dalla

CECA, sino a partire dal piano Schuman e dal piano Monnet. Il potere dell’Alta

67 Cfr. F. SÖDERBAUM, the Political Economy of Regionalism in Southern Africa, Göteborg University, Göteborg, 2002. 68 Sul MERCOSUR cfr. R. Roeff (a cura di), Mercosur: Regional Integration, World Markets, Boulder, Lynne Rienner, 1999. 69 Si vedano le osservazioni autocritiche di E.B. HAAS nel saggio The Uniting of Europe and the Uniting of Latin America in “Journal of Common Market”, 4 (1967), pp. 315-343. 70 Sul significato dei processi di integrazione cfr. il classico A. ETZIONI, Unificazione politica, cit. per il concetto di ‘sistema integrato’ cfr. F. INGRAVALLE, I Protocolli di applicazione del principio di sussidiarietà dal Trattato di Amsterdam al Trattato che istitituisce una Costituzione per l’Europa in “Atti della scuola estiva AUSE 2004”, in corso di stampa. 71 Si osservi, del resto, che alla metà degli anni sessanta l’economista italiano P. Onida considera il principio di sussidiarietà come un principio di grande rilievo (per quanto maturato in ambito extra-economico) al quale ricorrere normalmente per concepire la regolazione dei rapporti Stato-impresa nelle economie miste, cfr. ONIDA, Lo Stato imprenditore e il principio di «sussidiarietà» nele economie miste in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, XVIII, n. 2, marzo-aprile 1967, pp. 175-189. I contesti evocati nel saggio sono comuni alle economie dei sei stati membri della CEE.

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Autorità è già federatore e il suo ‘dirigismo’ è già potere sussidiario, su scala

settoriale.

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Capitolo 2. Integrazione europea e sussidiarietà’implicita’

Il ‘dirigismo’ dell’ Alta Autorità della CECA è rivolto a eliminare il fattore di

divisione introdotto dai cartelli nazionali.72 In nome della libera concorrenza?

Certo, ma nella prospettiva di uno spazio economico europeo di cui il settore del

carbone e dell’acciaio era il primo nucleo. Nella realizzazione della CECA

vengono implicitamente finalizzate a un piano di integrazione settoriale tutte le

indicazioni sulla creazione di un’area economica integrata contenute sia nell’ERP,

sia nel suo organismo di esecuzione, l’OECE, sia nell’ECA: il programma comune

di ricostruzione poteva funzionare soltanto sulla base del mutuo aiuto e della

condivisione delle risorse73, come emerge con chiarezza anche dalle disposizioni

del Consiglio dei ministri OECE del 31 ottobre 1949.74 Come per l’ERP, così per

la CECA emerge l’esigenza di istituzioni sovranazionali che gestiscano

l’integrazione economica;75 esse, per quanto siano limitate al piano economico non

possono dirsi estranee al piano politico e non soltanto per il manifesto obiettivo

politico dell’ERP e della CECA, ma soprattutto perché mutuo aiuto e condivisione

delle risorse richiedono un certo numero di limitazioni nell’azione degli Stati a

vantaggio di autorità sovrastatali. Queste ultime nell’ERP hanno un potere

meramente consultivo, mentre nella CECA assumono un ruolo deliberativo.

Il 28 marzo 1950 Monnet invia al presidente del Consiglio francese un

memorandum nel quale si legge la proposta di istituire la Comunità Economica del

Carbone e dell’Acciaio: bisogna “integrare l’industria della Ruhr nel contesto

europeo e porre l’industria pesante europea sotto la supervisione di una singola

72 D. SPIEREMBURG-R.POIDEVIN, Histoire de la Haute Autotité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Une expérience supranationale, Bruxelles, Bruylant, 1993, p. 4. Per la matrice funzionalista dell’idea dell’Alta Autorità vd. supra, c. 1, nota 40. Sul ‘dirigismo’ di Monnet, cfr. W. BÜHRER, Dirigismus und europäische Integration in A. Wilkens (a cura di), Interessen verbinden. Jean Monnet und die europäische Integration der Bindesrepublik Deutschland, Bonn, Bouvier, 1999. 73 Cfr. HOGAN, The Marshall Plan Cambridge University Press, 1987, pp. 60-61. 74 ID., The Marshall Plan, cit., pp. 273-274. 75 Il potere dell’OECE, come si è visto, si è configurato soltanto come potere consultivo. Ben altrimenti si configura, per quanto su scala settoriale il potere dell’Alta Autorità della CECA.

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autorità internazionale”76. Non è casuale che nel celebre discorso del 9 maggio

1950 Schuman insista sulla prospettiva federale di questo progetto di integrazione

settoriale: dire “federazione” equivale a dire ruolo decisivo di un’autorità

sovranazionale. Nel trattato CECA questo ruolo è attribuito all’Alta Autorità; art.

8: “L’Alta Autorità ha l’ufficio di assicurare l’attuazione degli scopi stabiliti dal

presente trattato alle condizioni da esso previste.” Fa questo prendendo decisioni,

facendo raccomandazioni o esprimendo pareri (art. 14); le decisioni sono

vincolanti in tutto e per tutto e riguardano gli scopi e i mezzi della Comunità, le

raccomandazioni sono obbligatorie soltanto in relazione agli scopi che prescrivono

(art. 15), mentre i pareri non sono vincolanti. Si tratta con ogni evidenza di gestire

un sistema plurale, di coordinare attori autonomi e di distinguere fra ciò che è

competenza dell’Alta Autorità (gli scopi e, in parte i mezzi) e ciò che è competenza

degli Stati membri (una parte dei mezzi). Gli scopi sono fissati in modo pattizio,

ovviamente; l’Alta Autorità dispone di un potere che le deriva dall’accordo degli

Stati (positivizzato nel trattato); ma, una volta ottenutolo, essa lo gestisce

indipendentemente dagli Stati per la semplice ragione che gli scopi che le sono

stati affidati dagli Stati perché li realizzi trascendono per loro natura la dimensione

di ciascuno Stato nazionale. I nove membri nominati dai governi degli Stati

membri, di comune accordo, per sei anni e scelti in base alle loro competenze

agiscono in base a una logica sovranazionale, perché sovranazionali sono gli

obiettivi in vista dei quali sono stati nominati. Presso l’Alta Autorità è istituito un

Comitato consultivo nominato dal Consiglio composto da membri non vincolati da

alcun mandato. La consultazione di questo Comitato è obbligatoria per l’Alta

Autorità soltanto nei limiti in cui il trattato la configura come tale. Assieme

all’Assemblea (composta dai rappresentanti dei popoli riuniti nella Comunità) e al

Consiglio (composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto a turno per

tre mesi dal rappresentante di uno Stato membro, secondo l’ordine alfabetico degli

Stati membri), l’Alta Autorità costituisce il nucleo decisionale della Comunità.

Questo complesso istituzionale dovuto a Monnet, Etienne Hirsch, Pierre Uri e Paul

Reuter77 risponde, com’è noto, sia alla preoccupazione di assicurare le basi della

76 FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 96. 77 Cfr. J. MONNET, Mémoires, Paris, Fayard, 1976, pp. 348 ss. Sulle connessioni fra la cultura di Monnet e la cultura industrialista e tecnocratica si trovano cenni nel volume di TELÒ, Dallo Stato all’Europa, cit., p. 113. Il clima di tale cultura in Francia è ricostruito accuratamente da A. SALSANO, Ingegneri e politici. Dalla razionalizzazione alla «rivoluzione manageriale», Torino, Einaudi, 1987, pp. 60-93.

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pace attraverso l’integrazione economica della zona-causa delle due ultime guerre

mondiali (preoccupazione prevalente di Schuman78), sia all’urgenza di integrare la

Germania nell’Europa occidentale (urgenza avvertita dal segretario di Stato

americano Dean Acheson che tra il 30 ottobre 1949 e il marzo 1950 aveva

esercitato notevoli pressioni in tale senso)79 ed è chiaramente orientato a creare

un’autorità sovranazionale, “veritable embryon d’un gouvernement européen”.80

Fin da principio si teme la “dittatura” dell’Alta Autorità,81 come accadrà sovente in

seguito a proposito delle funzioni svolte dalle autorità sovranazionali. Fino al 1958

l’Alta Autorità sostiene “gli alti costi delle aree minerarie belghe imponendo una

tassa di perequazione sulla vendita del carbone tedesco e olandese”, che è meno

costoso; si prende carico con un certo successo dell’agenzia tedesca monopolistica

di acquisto del carbone; riesce a ottenere un prestito generoso dal Governo

americano e a proporre altri prestiti sui mercati di capitali americani.”82 Tali

prestiti vengono poi usati per gli investimenti. Si tratta di interventi a carattere

completivo, sussidiario, prescritti nel trattato istitutivo della CECA.

Nel trattato che istituisce la CECA il principio di sussidiarietà non è menzionato

esplicitamente. E’ merito di Orsello e d’Agnolo avere sottolineato la presenza

implicita del principio di sussidiarietà in questa fase della storia dell’integrazione

europea e nella fase contrassegnata dal Trattato che istituisce la Comunità

Economica Europea (CEE). Ma perché è legittimo e necessario interpretare in

questo modo la fase che si estende fra CECA e CEE? E soprattutto, perché

dobbiamo andare oltre e vedervi la creazione di un potere sussidiario di tipo

politico anche se pertinente questioni economiche? La risposta è che, in tal modo,

il passaggio dal mercato integrato del carbone e dell’acciaio al Mercato Comune

risulterebbe essere, così, l’estensione di un potere sussidiario che sorge

78 Cfr. POIDEVIN, Robert Schumann, homme d’État, Paris, Imprimerie Nationale, 1986, pp. 258-260. 79 SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, cit., pp. 5-6. 80 Ivi, p. 11. Cfr. M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, cit., p. 38: “La CECA rappresentava, in teoria, una nuova concezione di governance economica internazionale. Invece di privilegiare gli interessi di breve termine delle loro industrie nazionali, i sei Stati membri si impegnavano ad agire nell’interesse comune delegando i poteri esecutivi a un’autorità indipendente soggetta ad appropriate garanzie istituzionali.” Di “hybrid Form, Short of Federation” parla invece, a proposito della CECA, E. B. HAAS, The Uniting of Europe: Political, Social, and Economical forces, 1950-1957 (1958), Stanford University Press, Stanford, California, 1968, pp. 51-58; sul carattere sovranazionale delle pratiche dell’Alta Autorità cfr. Id. p. 484. 81 Per le discussioni sull’Alta Autorità ai negoziati di Parigi il 20 giugno 1950 cfr. SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, cit., pp. 15-23. Sull’attività dell’Alta Autorità vd. Anche il lucido quadro tracciato da Haas, The Uniting of Europe, cit., pp. 451-485. 82 GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit., pp. 38-39.

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dall’integrazione settoriale e dall’integrazione economica con caratteri

marcatamente politici.83 Si tratterebbe di una lettura sostanzialmente continuistica

dell’integrazione europea nel passaggio dalla CECA alla CEE. L’integrazione

cambierebbe soltanto quanto a scala di grandezza in tale passaggio. Ma nell’ambito

delle integrazioni regionali il cambiamento quantitativo di scala implica sempre

anche un cambiamento qualitativo: l’esigenza di un potere sussidiario si fa più

forte.

Vediamo alcuni fatti che esemplificano l’azione dell’Alta Autorità. L’Alta Autorità

stabilisce nel luglio 1954 un lunga lista di pratiche che essa giudica incompatibili

con il trattato: si tratta delle pratiche che permettono alla Ruhr di determinare il

prezzo e le condizioni di vendita del carbone, come a es. la ripartizione “des

commandes entre les producteurs, la mise en commun des produits, des frais

d’administration et de vente.”84 E’ questo il proseguimento, la realizzazione di una

politica anti-cartello che urta contro consolidate tradizioni nazionali francesi e

tedesche. Nel 1955 (febbraio) l’Alta Autorità definisce un programma nel quale

vengono equilibrate la libera concorrenza e la stabilità del mercato assicurata da

una “organisation de vente centralisée”: solo un terzo delle vendite di carbone

saranno vendite comuni a paesi terzi e alle ferrovie federali tedesche e ai grandi

consumatori. Nel settore dell’acciaio il problema analogo delle ententes che

distorcevano la concorrenza: l’Alta Autorità si muove cercando di favorire

l’interpenetrazione dei mercati dei Sei e lasciandola agire sull’abbassamento del

livello dei prezzi dell’acciaio.85 Che cosa ci dicono questi due esempi in merito al

potere sussidiario dell’Alta Autorità?

I due esempi sono da ricondursi all’art. 5 del trattato che istituisce la CECA: le

istituzioni comunitarie agiscono soltanto nei limiti delle attribuzioni che sono loro

conferite dal trattato. “la Comunità compie la sua missione, alle condizioni previste

dal presente trattato con interventi limitati. A tal fine essa:

-chiarisce e facilita l’azione degli interessati raccogliendo informazioni,

organizzando consultazioni e definendo scopi generali […].

83 Il che risulta dal fatto che in questione sono una fonte energetica di valore primario in quel momento e un prodotto fondamentale per l’industria moderna; si tratta quindi di fattori che determinano il reale peso di un apparato politico nell’economia mondiale, la sua forza politica. 84 SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, pp. 124-125. 85 Ivi, pp. 131 ss.

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-assicura la costituzione, il mantenimento ed il rispetto delle condizioni normali di

concorrenza ed esercita un’azione diretta sulla produzione e sul mercato solo

quando le circostanze lo richiedano […].” 86

Definire scopi generali, esercitare un’azione diretta qualora le circostanze lo

richiedano significa esercitare un potere completivo, sussidiario, un potere politico

in ambito economico. Non si tratta di sostituirsi agli Stati membri nelle funzioni

che essi possono svolgere, ma di supplire alle funzioni legate alla interdipendenza

delle economie che gli Stati-nazione non possono svolgere, per loro natura. Essi

sono nati come entità legate alla statualità territoriale nazionale, non certo come

funzioni di integrazione fra territori nazionali diversi; ma è proprio questa la

funzione storicamente necessaria dopo che il secondo conflitto mondiale ha

ridimensionato le prerogative reali degli Stati nazione europei ponendo di fatto

all’ordine del giorno la statualità continentale o, per lo meno, l’integrazione

economica continentale.

La vicenda del fallimento della CED e della CEP87 rivelano che il passo

dall’integrazione economica pur se carica di significati implicitamente politici

all’integrazione politica esplicita non è ancora possibile. E rivelano anche quanto

dell’impeto integratore dovesse essere ricondotto alla situazione della guerra

fredda e quanto esso fosse soggetto alle sue vicende. La CED e la CEP falliscono

perché la morte di Stalin fa intravedere la possibilità di una coesistenza pacifica tra

il blocco americano e il blocco delle democrazie popolari e rendono meno urgente

la creazione di un blocco europeo dotato di autonomia e basato, nella sua

funzionalità interna, sulla netta ripartizione delle competenze fra funzioni

sovranazionali e funzioni degli Stati nazione.88

Il Trattato che istituisce la CEE evidenzia almeno tre priorità, secondo l’angolo

visuale che abbiamo scelto per questo lavoro: innanzitutto si tratta di rafforzare gli

esiti della ricostruzione inserendoli nel quadro di una nuova realtà integrata più

ampia, evitando la rinascita di tendenze legate alla logica dello Stato-potenza. In

secondo luogo, si tratta di estendere la logica funzionale all’insieme del mercato

86 Cfr. Unione europea, raccolta dei trattati, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, 1995, tomo I, vol. II, p. 23 87 Su cui cfr. D. PREDA, Storia di una speranza. La battaglia della CED e la Federazione europea, Milano, Jaca Book, 1990; EAD., Sulla soglia dell’Unione. La vicenda della Comunità politica europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1994. 88 Cfr. B. OLIVI, L’Europa difficile, cit., pp. 41-45; B. OLIVI-R. SANTANIELLO, Storia dell’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 25-29; GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit., pp. 39-46.

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europeo. Collaborando e integrando le loro economie, i sei Stati europei, già

partecipi della CECA, realizzano la pace, la prosperità e realizzano un

rafforzamento del loro ruolo nel mondo.89

La scelta che emerge dal Trattato che istituisce la CEE è strettamente legata alla

percezione della imprescindibilità di un’integrazione economica completa, nella

quale la politica però dovrebbe essere lasciata in sordina. La convinzione di fondo

è che l’integrazione economica sia il fattore trainante dell’integrazione politica. E

anche qui, il potere sussidiario ha una funzione centrale. L’art. 100 sostiene che

l’armonizzazione tra le disposizioni legislative, amministrative e regolamentari

degli Stati membri a opera della Comunità si giustifica solo con l’esigenza di

salvaguardare il mercato comune.90 Ciò equivale a dire: non possiamo non volere

il mercato comune, data l’interpenetrazione delle economie dei Sei; certo essa urta

contro i presupposti tradizionali dello Stato nazione inteso come Stato-potenza, ma

si tratta di una condizione realisticamente ineludibile che obbliga a traghettare il

vecchio Stato nazione in una dimensione di integrazione economica assolutamente

inedita che esso deve gestire assieme agli altri Stati; per farlo, esso non ha altra

possibilità che cedere alle istituzioni sovranazionali una serie di prerogative e di

poteri in ambito economico di cui, peraltro, non potrebbe più servirsi in modo

adeguato. Esso deve, pertanto, fornire alla Comunità le competenze necessarie al

conseguimento degli obiettivi del trattato. Non a caso, l’art. 235 afferma che, nel

caso che il trattato non fornisca alla Comunità le competenze necessarie al

conseguimento, nell’ambito del mercato comune, di un obiettivo posto dal trattato

stesso, il Consiglio, “deliberando all’unanimità” su proposta della Commissione e

dopo aver consultato il Parlamento europeo prenda le disposizioni del caso.91 Gli

Stati membri decidono, così, di attribuire alla Comunità le competenze necessarie

alla realizzazione degli obiettivi fissati dal trattato stesso, cioè dall’ agreement

degli Stati membri. La sovranazionalità non è dunque qui qualche cosa di estraneo

alla volontà degli Stati: è una loro creazione stimolata da una realtà economico-

politica che decreta ogni giorno di più e nei più diversi ambiti della politica

economica l’insufficienza degli Stati nazione. Nulla di nuovo, forse: in fondo, la

89 Cfr. OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 51: “L’impalcatura giuridico-istituzionale del Trattato era il capolavoro del «funzionalismo». Invero il trasferimento progressivo (e graduale!) della sovranità (o di sue porzioni, quelle necessarie agli atti «integrativi») si doveva effettuare nell’ambito di una struttura di «negoziato permanente» costituita dal sistema delle Istituzioni.” 90 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 30 in apparato. 91 Ivi, pp. 80-81.

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prima prova dell’insufficienza degli Stati nazione a fissare obiettivi comuni per il

buon funzionamento del mercato mondiale senza ricorrere a istituzioni

sovranazionali sono proprio gli accordi di Bretton Woods, è proprio il FMI con il

quale si tentava di porre fine all’anarchia monetaria (e, in prospettiva, anche

all’anarchia economica) che non era stata una delle ultime responsabili del secondo

conflitto mondiale. Può essere certamente paradossale che per salvare le loro

funzioni basilari e le loro economie, gli Stati nazione debbano trascendersi nella

dimensione sovranazionale cedendo parte della loro sovranità; ma se così non

facessero, il destino del mondo non sarebbe diverso da quello decretato dal

fallimento della Società delle Nazioni descritto da L. Einaudi.92

L’art. 189, terzo comma afferma che “la direttiva vincola lo Stato membro cui è

rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la

competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi.”93 Lo Stato

non è privato della sua sovranità; ma questa viene inserita in un contesto (il

mercato comune) che lo vincola alla realizzazione di finalità comunemente statuite

rispetto alle quali la Comunità interviene in funzione completiva, non sostitutiva;

essa interviene sussidiariamente

Attraverso i trattati gli Stati membri si vincolano (vincolo comunitario volontario,

cioè liberamente stipulato) al conseguimento di obiettivi comuni. E’ la stessa

procedura degli accordi di Bretton Woods e dell’ERP, tranne che per un aspetto

decisivo: da questa procedura nascono istituzioni istituzioni sovranazionali dotate

di un effettivo potere d’intervento. Il problema è stabilire quando la maggiore

efficacia imponga in prospettiva l’azione comunitaria e quando invece sia

sufficiente l’azione degli Stati membri. Questo è un problema politico, non un

problema meramente economico, né meramente giuridico. Se la logica della

sussidiarietà tende a configurarsi come una linea di demarcazione “fra i diversi

livelli di intervento normativo,”94 la logica stessa della sussidiarietà impone che

soltanto la Comunità la stabilisca, la fissi. Infatti, chi ha lo sguardo rivolto alla

realtà sovranazionale è la Comunità; ma la Comunità è l’esito dei rapporti

intergovernativi, il risultato di un patto tra governi, l’esito di una tensione dialettica

fra spinte alla sovranazionalità e tutela dei poteri sovrani degli Stati membri.

92 Cfr. L. EINAUDI (JUNIUS), Lettere politiche, Bari, Laterza, 1920. 93 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 67. 94 ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., p. 11.

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L’anima dell’integrazione negli anni sessanta è la PAC. Come osserva Robert

Marjolin nelle sue memorie:95 “Senza la politica agricola comune, non ci sarebbe

mai stato un mercato comune.” Infatti, se si considera con attenzione l’art. 39 § 1

del Trattato che istituisce la CEE dedicato alla politica agricola comune96 sembra

chiara la sua funzione centrale nella prospettiva di un’unione doganale nella quale

la Francia aveva interessi fortissimi. Sulla PAC poggia, peraltro, la stabilità

monetaria dei sei paesi membri fino alla metà degli anni sessanta. Ma dire Trattato

che istituisce la CEE significa dire anche nuovo assetto istituzionale: nuovo nel

senso che approfondisce e precisa i rapporti fra le istituzioni già tracciati

nell’architettura della CECA. Che la Commissione della CEE abbia un ruolo di

implementazione, oltre che di elaborazione in merito alla politica agricola

evidenzia il ruolo sussidiario della Commissione stessa. Essa – che rappresenta,

come l’Alta Autorità della CECA, l’istanza sovranazionale - ha il potere della

proposta legislativa. Il potere decisionale invece è nelle mani del Consiglio dei

ministri CEE: durante le prime due fasi del periodo di transizione il Consiglio

avrebbe votato secondo la procedura dell’unanimità. Tuttavia, la forza della

Commissione sta nel suo compito di custode del mercato relativo alle procedure

antitrust, al settore degli aiuti di Stato, all’armonizzazione della politica fiscale,

all’implementazione delle misure comuni nell’ambito dei provvedimenti sociali;

tale compito ne fa un modello di potere sussidiario il cui peso politico è notevole.

Di notevole valore per lo sviluppo delle istanze sovranazionali è la sentenza della

Corte di Giustizia Europea riferentesi al caso Van Geld en Loos vs Nederlandse

Administratie der Berlastingen (caso 26/62) che affermava tra l’altro che

indipendentemente dalla legislazione vigente negli Stati membri, la legge

comunitaria non solo “impone delle obbligazioni agli individui ma deve inoltre

fornire loro diritti che divengono parte integrante del loro patrimonio legale.”97

Notevoli tensioni dialettiche erano destinate a svilupparsi per l’inevitabile tendenza

della Commissione a esercitare in pieno il potere sussidiario che essa de iure e de

facto parzialmente aveva.

Un esempio peculiare di questa situazione contraddittoria è la “crisi della sedia

vuota” intesa come una crisi maturata a proposito del voto a maggioranza o

95 Cfr. R. MARJOLIN, Architect of European Unity: Memoirs 1911-1986, London, Weinfeld & Nicholson, 1989, p. 303. 96 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, p. 15. 97 Citata in GILBERT, Storia politica dell’’integrazione europea, cit., p. 60.

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all’unanimità nell’organo decisionale più importante della CEE, il Consiglio, ma

occasionata dal conflitto del Governo francese retto dal generale De Gaulle con la

Commissione presieduta da W. Hallstein a proposito del finanziamento della PAC.

Secondo la Commissione, realizzato il mercato comune dei prodotti agricoli e

industriali il ricavato dei prelievi sulle importazioni agricole e della tariffa comune

sugli altri beni importati dovevano essere versati alla Comunità creando così

introiti propri per la Comunità stessa; inoltre, la Commissione sosteneva la

necessità di attribuire al Parlamento Europeo maggiori poteri di controllo sul

bilancio comunitario. A ciò si aggiunga che per il 1 gennaio 1966 era previsto dal

Trattato che istituisce la CEE che molte materie avrebbero potuto essere decise nel

Consiglio dei ministri con il voto a maggioranza qualificata e non più

all’unanimità. 98 La crisi durante la quale dal luglio 1965 la Francia disertò le

riunioni della CEE si concluse con il “compromesso di Lussemburgo. La tutela del

potere di veto nel Consiglio – che è il cuore dell’ “accordo del Lussemburgo” del

29 gennaio 1966 – sanzionò la tutela dei poteri sovrani degli Stati membri

minimizzando, in certo qual modo, il profilo tendenzialmente comunitario del

Consiglio pur presente nel Trattato che istituisce la CEE.99

La “crisi della sedia vuota” indicava come il potere sussidiario rivendicato dalla

Commissione Hallstein apparisse sospetto alla Francia gaullista e non fosse gradito

nemmeno agli altri governi. Dopo la fusione degli esecutivi (aprile 1965) la

funzione della Commissione è sempre più quella di un organo chiamato a stimolare

la supplenza comunitaria rispetto al conseguimento degli obiettivi della CEE da

parte degli Stati membri. Obiettivi che, alla metà degli anni sessanta sono di

portata maggiore che non al tempo della firma dei Trattati di Roma. Se nel 1958

gli scambi commerciali tra i Sei calcolata in dollari è pari al 30% del loro

commercio complessivo, alla fine degli anni sessanta essa è pari al 50%. Nello

stesso arco di tempo l’incremento dei commerci tra i Sei e i paesi terzi aumenta del

15% all’anno rispetto al tasso di incremento medio di tutto il commercio mondiale;

le frontiere doganali vengono abolite nel 1968. Sotto il profilo economico, è

98 Cfr. MALANDRINO, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota” (1965-66) Alessandria, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Working Paper n. 27, 2002, p. 5 e ID., «Tut Etwas Tapferes Compi un atto di coraggio». L’Europa federale di Walter Hallstein (1948-1982), Bologna, Il Mulino, 2005, in corso di stampa. 99 ID., Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale, cit., p. 10. Il testo del “Compromesso di Lussemburgo” è riportato in “Europarecht”, 1966, p. 79.

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innegabile che l’integrazione stia crescendo al di là di ogni aspettativa. Questa

crescita favorisce la percezione sempre più viva della necessità di pensare a fondo

il difficile rapporto tra sovranazionalità e Stati membri. Ma saranno necessarie le

difficoltà dell’economia mondiale a partire dal 1967 a stimolare la riflessione,

dapprima sul piano della gestione dell’ordine monetario in Europa (il piano Werner

porrà con chiarezza l’esigenza di istituzioni sovranazionali per il governo delle

monete), poi sul piano delle prime ipotesi sull’Unione Europea, alla metà degli

anni settanta.

In un certo senso, negli anni sessanta si stanno creando le premesse concrete, anche

grazie alla crisi della “sedia vuota” di due interpretazioni della sussidiarietà: una

rivolta alla tutela della sovranità degli Stati membri e l’altra rivolta non tanto

contro di essa, quanto a favore di una apertura sovranazionale dell’azione degli

organi comunitari. Il problema è: chi deve decidere sulla ripartizione delle

competenze? E in base a quale criterio? La risposta che ci viene dai trattati, finora

è: gli Stati membri, i quali decidono attraverso i Trattati anche tali criteri. Ma i

trattati stessi, attribuendo all’Alta Autorità della CECA e poi alla Commissione

della CEE poteri chiaramente sussidiari, tendono a prevedere o almeno a non

escludere una significativa limitazione di sovranità degli Stati membri. Il paradosso

è che una metodologia non comunitaria (il metodo del Trattato è intergovernativo)

porta a fissare i contorni e i caratteri della metodologia e della sostanza

comunitaria. Questo paradosso innerva la politica dell’integrazione, ma il discorso

è diverso per quanto concerne l’economia dell’integrazione. Lo sviluppo della crisi

monetaria mondiale a partire dal 1967, come si è accennato poco fa, pone ben

presto problemi che mettono tra parentesi tutte le caute proposte degli anni

sessanta in materia di politica monetaria unitaria (dalla “banca di tutte le banche

centrali” del “Rapporto van Campen” del 1962, al “Rapporto Dichgans” del

1966)100 per recuperare un progetto di integrazione monetaria di ben altro respiro

che si trova nel Memorandum della Commissione del 1962 e nel documento

Initiative ’64 ispirati da Hallstein, e, infine nel “piano Werner”.

Il problema che si pone alla fine degli anni sessanta è il seguente: per realizzare

una unione monetaria in grado di fare dell'Europa dei Sei una zona di stabilità

monetaria, occorrono istituzioni di governo della moneta; ma la moneta è il

100 Su cui cfr. F. INGRAVALLE, Alle origini dell’Unione monetaria europea: gli anni sessanta di prossima pubblicazione negli “Atti della scuola estiva AUSE 2005”.

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simbolo stesso della sovranità statuale. Una unione monetaria non potrebbe non

limitare significativamente la sovranità degli Stati membri La realtà economica

preme nella direzione di istituzioni dotate di funzioni sovrastatali. Ma come

distinguere ciò che è di pertinenza sovrastatale da ciò che compete agli Stati

nazione su di un terreno così delicato come quello della moneta? E a chi deve

essere assegnato il potere di decidere in quest’ambito e con quali limitazioni? A

diversi livelli viene a porsi il medesimo problema: che si tratti dei rapporti fra gli

Stati e l’istanza sovranazionale in ambito politico, o in ambito economico, la

questione è trovare una serie di strumenti che garantiscano l’unità della Comunità

senza alcuna intromissione illegittima negli ambiti di pertinenza degli Stati

membri. Ma dalla fine della seconda guerra mondiale gli ambiti di pertinenza sono

cambiati perché si è realmente ristretto il raggio d’azione dello Stato nazione,

mentre si è dilatato il raggio d’azione delle organizzazioni internazionali,

soprattutto per quello che riguarda la politica economica e monetaria. Di

conseguenza, si è concretamente modificato il limite oltre il quale un’intromissione

sopranazionale può essere considerata illegittima. La lunga e difficile crisi del

1967-1971 e le crisi energetiche dei primi anni settanta non si limitano a porre il

problema tecnico della stabilità monetaria nell’area del MEC: così facendo

pongono anche il problema dei caratteri che deve avere l’azione comunitaria nei

termini precisi di una situazione sussidiaria. Stabilire delle parità fisse tra le

monete europee pone una serie di problemi di politica economica che si

riverberano sulla politica tout court. Quale è il limite della politica sussidiaria della

Comunità? Se l’obiettivo di quest’ultima è realizzare il mercato unico, che cosa

spetta agli Stati membri e che cosa invece spetta alla Comunità? Se poi di fronte al

tramonto del dollaro come moneta affidabile di riferimento si pone il problema del

“che fare?” è possibile che la questione delle competenze della Comunità e degli

Stati membri si mantenga immutata nei termini in cui essa si poneva ai tempi della

CECA e del Trattato CEE, concepite quando il sistema di Bretton Woods era

ancora intatto?

Non è possibile. Questo spiega perché la sussidiarietà, dal livello implicito degli

anni sessanta passi, alla metà degli anni settanta, dopo la crisi del 1973 e

contemporaneamente all’ esperienza del “serpente monetario”, a un livello di

esplicitazione nel suo senso potenzialmente politico.

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Capitolo 3. Integrazione europea e sussidiarietà ‘esplicita’: il

Rapporto della Commissione e il Rapporto McDougall

I fatti che portano all’ordine del giorno la lettura del rapporto fra Stati membri e

Comunità nei termini del principio di sussidiarietà (rapporto che, come abbiamo

visto, è il punto cruciale della situazione sussidiaria), sono le turbolenze monetarie

dell’ultimo triennio degli anni sessanta. In quest’ambito, infatti, è chiaro, a fronte

della crisi del coordinamento monetario e poi, della fine del Gold Standard, che le

misure seguite fino a quel momento nella Comunità non sono sufficienti a

garantire la costruzione di una zona europea di stabilità monetaria.101 Se il “Piano

Werner” insiste con particolare vigore sulla necessità di istituzioni sovranazionali

per il governo dei rapporti tra le monete esso lo fa nella piena consapevolezza di

toccare un tasto molto importante sul piano politico. In effetti, la crisi innescatasi

già a partire dal 1967 aveva chiarito che la PAC non era sufficiente a garantire da

sola la fissità dei cambi. La situazione creatasi a partire dal 1971 e sviluppatasi

attraverso le controverse vicende del “serpente monetario” premeva

oggettivamente verso una soluzione dei problemi nei termini di una chiara

ripartizione dei compiti fra Comunità e Stati membri proprio sul problema dei

rapporti monetari. Dire rapporti monetari significa però dire anche rapporti fra le

differenti politiche economiche, le differenti politiche di bilancio. Il dibattito

annoso tra “economisti” e “monetaristi” faceva vedere, in fondo due angoli visuali

opposti del medesimo problema: l’armonizzazione doveva partire dalla fissazione

di una unità monetaria, oppure dalla convergenza delle politiche economiche? In

ogni caso, il punto d’approdo della disputa era pur sempre quello del rapporto fra

Comunità e Stati membri e quello della decisione politica dal punto di vista della

ripartizione dei poteri. Non a caso i documenti che esamineremo tengono bene in

101 Su questo momento della storia della Comunità, tra la folta bibliografia, cfr. B. ANSIAUX- M. DESSART, Dossier pour l’histoire de l’Europe monetaire 1958-1973, Bruxelles-Paris-Louvain,Vander Nauwelaerts , 1974, pp. 50-63; H. UNGERER, A Concise History of European Monetary Integration. From EPU to EMU, Quorum Books, Westport, Connecticut-London, 1997, pp. 88-95; 97-106.

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vista un “oggetto” eminentemente politico, l’Unione vista come sviluppo politico

della Comunità.

Il 26 giugno 1975 il presidente della Commissione François-Xavier Ortoli invia al

presidente in carica del Consiglio Europeo Liam Cosgrave il Rapporto della

Commissione sull’Unione Europea.102 Al vertice di Parigi del 1974, il Consiglio

Europeo aveva incaricato la Commissione, la Corte di Giustizia e il Parlamento

Europeo di redigere un rapporto sull’Unione Europea assegnando al primo

ministro belga Leo Tindemans il compito di stilare un rapporto finale. Nonostante

in precedenza non si sia mai parlato in sede ufficiale del principio di sussidiarietà,

il rapporto della Commissione fa del principio la chiave di volta che avrebbe

dovuto essere utilizzata “durante la fase costitutiva dell’Unione Europea come

criterio-guida nell’attribuzione delle competenze.”103 Analogamente il Rapport du

groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration

européenne104 (redatto tra aprile 1975 e marzo 1977 su richiesta della

Commissione da un gruppo di economisti indipendenti sotto la presidenza di Sir

Donald McDougall e citato talvolta come Rapporto McDougall), pur senza

appellarsi esplicitamente al principio, fissava un dispositivo (lo spill-over test) che

permetteva di stabilire quale tipo di politica economica si dovesse attribuire, in

virtù della intensità dei suoi effetti transfrontalieri, alla Comunità, applicando nel

concreto il criterio di base della sussidiarietà.

Perché accade questo? Perché il problema che travaglia la Comunità è quello dello

sviluppo di istituzioni in grado di gestire sovranazionalmente gli aspetti della vita

comunitaria che, per la loro estensione transnazionale, lo richiedono e di fare

questo senza ledere inutilmente il terreno delle prerogative sovrane degli Stati

membri. Il concetto di sussidiarietà teorizza, in tutte le sue varianti, un potere non-

invasivo, un potere genuinamente federale.105 E’ un’immagine, questa, trasversale

rispetto alla distinzione fra la cultura cattolica e la cultura laica francese,106 ben

102 Rapporto della Commissione sull’Unione Europea, “Bollettino delle Comunità Europee”, Supplemento 5/75. 103 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 38. 104 Commission des Communautés Européennes, Rapport du groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration européenne, vol. I: Rapport général; vol. II: Contributions individuelles et documents de travail, Collection Études, Sèrie économie et finances n. A 13, Bruxelles, avril 1977. 105 Cfr. H. BRUGMANS, La pensée politique du Fédéralisme, Leyde, A.S. Sijthoff, 1969, pp. 65-81. 106 Cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit., pp.154-155.

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noto alla cultura giuridico-politica tedesca.107 Diversa perché più legata

all’impostazione funzionalistica è l’impostazione del “Rapporto McDougall”.

Tuttavia, sia il Rapporto della Commissione, sia il “rapporto McDougall” parlano

di una situazione, quella della Comunità, per così dire, ad alta intensità sussidiaria.

I due rapporti deducono in maniera non sempre esplicita dal contenuto dei trattati

la norma che deve guidare il rapporto fra Stati membri e Comunità agganciandola

al problema politico di un processo di integrazione cresciuto troppo per poter

essere proseguito, a fronte delle sfide congiunturali, su di un piano meramente

economico e senza strumenti politici in senso pieno.. Ciò di cui si tratta è il

passaggio dalla Comunità all’Unione (Rapporto della Commissione del 1975) e il

passaggio dallo stadio dell’”integrazione prefederale” a quello dell’ “integrazione

federale” nel quadro di un fiscal federalism (fédéralisme financier), vale a dire la

trasformazione della Comunità in soggetto politico in senso pieno (nel Rapport du

groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration

européenne). Da due angoli visuali diversi, l’oggetto contemplato è il medesimo.

Se non stupisce la presenza del principio di sussidiarietà, come principio implicito,

silente (perché tale era il modo di affrontare la questione nei documenti ufficiali

della Comunità fino a quel momento), ma decisivo nel Rapport steso dal gruppo di

riflessione presieduto da MCDougall del 1977 (esso si riferisce esplicitamente e

analiticamente alle esperienze federali di Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti

d’America, Canada, Australia e Svizzera108), indubbiamente incuriosisce l’utilizzo

del principio nel Rapporto della Commissione del 1975.

La Lettera di trasmissione che introduce il Rapporto afferma con chiarezza che

“L’Unione europea (…) esigerà strutture efficienti e mezzi idonei, che non si

realizzeranno – le difficoltà lo dimostrano – senza un ritorno al principio

fondamentale della Comunità: organizzare la costruzione europea mediante

l’attribuzione di competenze a istituzioni comuni, là dove tali competenze

consentano meglio di provvedere alla prosperità e al progresso dell’Europa, e alla

sua influenza nel mondo.”109 Il principio di attribuzione delle competenze – più

avanti identificato con il principio di sussidiarietà – è funzionalizzato alla

107 Cfr. ID., Il federalismo, cit., pp.137-141; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 19 ss. 108 Su questi modelli federali cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit.; sulla Repubblica Federale Tedesca e sugli Stati Uniti d’America cfr. anche D’AGNOLO, La sussidiarietà, pp. 18-37. Utili prospetti si trovano anche in A. Duff (a cura di) Subsidiarity Within the European Community, Federal Trust, London, 1993, pp. 74-77 (Germania). 109 Rapporto, cit., p. 5.

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creazione di un’Europa-soggetto politico in senso pieno; ma questo non basta: si

afferma anche che tale principio è il principio fondamentale della Comunità, con

riferimento esplicito all’intera storia dell’integrazione. Ciò equivale a fare del

principio di sussidiarietà il fondamento della spinta a un’integrazione politica e a

giudicare quest’ultima, riprendendo la prospettiva di Monnet e Schuman, come il

télos dell’intera vicenda della costruzione europea. La sussidiarietà di cui si parla

qui ha più a che fare con quello che la Comunità è stata ed è divenuta, che con il

concetto di cui abbiamo notizia dalla storia delle dottrine politiche. Qui non è in

gioco il rapporto fra cittadini e Stato, né il rapporto fra entità substatali e Stato, ma

il rapporto fra Stati e sovranazionalità nei termini in cui esso si è andato

configurando dai primi passi della CECA fino al momento in cui è stato stilato il

rapporto. La Commissione non auspica soltanto che gli Stati membri “riconoscano

che la Comunità è il quadro nel quale devono ritrovarsi per vincere la battaglia

contro l’inflazione e la recessione e che essa è il punto di passaggio obbligato della

cooperazione internazionale,” ma afferma che è necessario “restituire alle

istituzioni comunitarie il loro vigore e renderle al più presto più democratiche.”110

Nel momento in cui la Comunità attraversa una fase di smarrimento conseguente

alle crisi economiche del 1971 e del 1973 non è un caso che ci si appelli al

principio di sussidiarietà: l’avvio nel 1975 della politica regionale (gli interventi a

favore delle aree economicamente più arretrate nei paesi membri), il

potenziamento degli interventi del Fondo Sociale Europeo (riguardo al

finanziamento di programmi di ingresso e di reinserimento nel mondo del lavoro)

sono segni di politiche che procedono in senso oggettivamente sussidiario, in veste

di interventi completivi rispetto alle politiche degli Stati membri.

Ridare vigore alle istituzioni comunitarie significa affrontare il problema della

ripartizione delle competenze. Il Rapporto111 lo fa con decisione partendo dalla

constatazione che “è logico ritenere che possano competere all’Unione quei campi

che sono o potranno essere oggetto di una cooperazione organizzata e permanente

tra l’insieme degli Stati membri.”112 Bisogna di certo tenere conto della

formidabile spinta politica contraria all’accentramento del potere in tutti gli Stati

della Comunità:113 “Per la Commissione, il processo di trasferimento di alcune

110 Rapporto, cit., p. 6. 111 Sul Rapporto cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 38-41. 112 Rapporto, cit., p. 9. 113 Rapporto, cit., p. 9.

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competenze al livello europeo non può e non deve mettere in pericolo l’attuazione

di un più ampio decentramento.”114 L’Unione va pertanto intesa come “coesione,”

termine usato non a caso per indicare l’esatto contrario di una unione monolitica.

Questo tertium quid tra unione ‘monolitica’ e la vecchia ‘anarchia nei rapporti

interstatali di potenza’ impone il ripensamento del rapporto tra Stati e Comunità:115

“L’Unione europea al pari delle Comunità attuali, non deve portare alla creazione

di un superstato accentratore. Di conseguenza, e conformemente al principio di

sussidiarietà, verranno attribuite all’Unione soltanto quelle funzioni che gli Stati

membri non potranno svolgere (…) L’Unione avrà dunque una competenza di

attribuzione: ciò significa che i settori di sua competenza saranno determinati

nell’atto costitutivo, mentre gli altri resteranno riservati agli Stati membri.”116 Le

competenze attribuite all’Unione potranno essere di tre tipi: esclusive, concorrenti

o potenziali. Il principio di sussidiarietà “trova un limite nella necessità che

l’Unione abbia competenze sufficienti a garantirne la coesione.” Il principio vale

dunque come forza politica antiaccentratrice che, per non avere una funzione

disgregatrice, deve essere limitato dal senso di appartenenza a una stessa

compagine, plurale, ma unitaria. Sarà competenza esclusiva dell’Unione, a

esempio, la politica commerciale che per sua natura non può che essere gestita nel

suo complesso che da istituzioni sovranazionali. Un’altra sfera di competenze,

quella delle “competenze concorrenti,” prevede l’intervento dell’Unione “soltanto

in funzione della necessità.”117 Infine sono previste competenze per le quali

“l’ampiezza e la natura dei poteri dell’Unione e la data dalla quale essa potrà

esercitarli dovrebbero essere oggetto di un’ulteriore decisione secondo speciali

modalità.”118 Queste ultime sono le “competenze potenziali”. La logica secondo la

quale vengono attribuite le competenze è facilmente individuabile attraverso il

concetto di “esternalità”: quanto maggiori sono gli effetti transfrontalieri di una

politica di cui l’Unione abbisogna per realizzare le finalità fissate

intergovernativamente nei trattati, tanto maggiore è la legittimità della

114 Rapporto, cit., p. 10. 115 In questo documento ‘Comunità’ e ‘Unione’ vengono usati significativamente come termini sinonimi. Va ricordato che l’espressione “Unione Europea” fu usata forse per la prima volta nel comunicato del vertice di Parigi del 1972; la paternità dell’espressione è fatta risalire da OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 177, a Georges Pompidou e il suo significato valeva “riorganizzazione «razionale» dei rapporti tra gli Stati membri della Comunità.” Nel Rapporto della Commissione, tuttavia, il senso dell’espressione non pare essere soltanto questo. 116 Rapporto, cit., p. 10 117 Rapporto, cit., p. 11.

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rivendicazione esclusiva di tale politica da parte sua; all’opposto, quanto minori

sono gli effetti transfrontalieri di una politica in seno all’Unione, tanto maggiore è

il diritto degli Stati membri di rivendicarla a sé come esclusiva. Dato che anche

una politica locale può in determinate congiunture, oppure per determinati aspetti,

avere effetti transfrontalieri, l’Unione può limitarsi in merito a una legislazione-

quadro che definisca i limiti degli interventi, suoi e degli Stati membri. Questa

logica è complementare con il principio di base della sussidiarietà: che l’azione

amministrativa venga svolta dal livello più vicino possibile al cittadino. Non si può

infatti tenere conto soltanto dell’esigenza del decentramento quando si tratta di

affrontare problemi la cui rilevanza non è soltanto locale o nazionale. Non si può

peraltro negare che i deficit di democrazia di cui soffre al momento la Comunità

possano far deviare questo principio verso una strada di gestione puramente

tecnocratica del potere (dal lato della Commissione) e meramente intergovernativa

(dal lato del Consiglio dei Ministri). E’ un rischio che lo stesso Rapporto paventa,

sia pure soltanto per accenni.

Il Rapport del 1975-1977119 ha il suo luogo centrale nell’assunzione come modello

delle economie integrate degli Stati federali; in base a questo modello le Comunità

risultavano essere uno stadio pre-federale nel quale – l’esempio era quello degli

Stati Uniti d’America - non risultava necessario, dato l’alto livello di integrazione,

realizzare una completa armonizzazione fiscale. Nell’ambito del processo di

integrazione sono d’importanza cruciale l’individuazione di quei settori della

politica economica che devono essere gestiti direttamente al livello comunitario. E’

pertanto di importanza decisiva stabilire quali settori della politica economica

debbano essere di competenza della Comunità. Ma, a questo scopo occorre un

metodo preciso per decidere. Il Rapport precisa che “L’intervention de la

Communauté se justifie lorsqu’elle permet de réaliser «économies d’echelle» et,

notamment, de lui conférer un plus grand poids dans la négociation avec les pays

tiers (…) Ensuite la Commmunauté est fondée à intervenir lorsqu’une évolution

localisée dans une partie de la Communauté a des effets qui «débordent» sur

d’autres, voire sur l’ensemble des autres parties.”120 In altri termini, per stabilire

che cosa compete alla Comunità e che cosa compete invece agli Stati membri è

118 Ibid. 119 Cfr. in merito G. DENTON, Reflections on Fiscal Federalism in the EEC, in “Journal of Common Market Studies”, 1978, pp. 283-301; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 41-43. 120 Rapport, cit., p. 14.

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fondamentale lo spill-over test: va condotta a livello comunitario quella politica i

cui effetti transnazionali sono più intensi. La Comunità svolge con ogni evidenza,

qui, una funzione completiva, sussidiaria; “l’administration fédérale est en général

amenée à agir ainsi perce que les avantages découlant de la fonction considérée

débordent, dans des proportions appréciables, le territoire dont l’administration de

niveau inférieur a la charge (ce phénoméne est connus sous le nom d’effets

externes ou de «débordement»).”121 Le sovvenzioni del Fondo Regionale, del

Fondo Sociale e della sezione di “Orientamenti” del Fondo Europeo Agricolo di

Orientamento e Garanzia (FEOGA) appartengono tutte ai compiti completivi della

Comunità. Le economie di scala e gli interventi completivi richiedono azioni

sussidiarie perché i loro effetti si fanno sentire in tutti gli Stati membri. La

sussidiarietà deriva qui, direttamente, da necessità tecniche: “L’interdépendence de

plus en plus étroite des économies nationales, qui résulte de l’intensification des

échanges commerciaux, des mouvements de capitaux et des phénomenes de

transmission internationale croissante de la Communauté dans la régulation

générale de l’activité économique. Plus les économies des Etats membres sont

ouvertes sous ces trois aspects, plus les instruments de politique économique

nationale perdent de leur efficacité.”122

Si tratta della traduzione in uno schema di razionalità di azione della pratica usuale

delle Comunità, a partire dalla CECA. Tale schema sembra inevitabilmente

incarnare la razionalità di un superstato, anche se non è una decisione meramente

politica a guidare in questa direzione, ma è lo sviluppo economico delle

interdipendenze che chiede di essere guidato. L’alternativa è l’anarchia economica,

cioè la disgregazione della coesione comunitaria.

Il Rapport stilato da Leo Tindemans123 nel capitolo V (Le renforcements des

Institutions) riconosce che il ritorno a pratiche di cooperazione intergovernativa

non offre alcuna soluzione ai problemi dell’Europa; al contrario, soltanto un

rafforzamento dell’apparato istituzionale comune potrebbe farlo. Realizzare

l’Unione europea implica lo sviluppo di istituzioni comuni dotate dell’autorità

121 Rapport, cit., p. 43. 122 Rapport, cit., p. 59. 123 Cfr. L’Union Européenne. Rapport de M. Leo Tindemans, Premier Ministre de Belgique, au Conseil Européen, “Textes et Documents. Collection «Idées et Études»” n. 306, Ministere des Affaires Etrangères, du Commerce Extérieur et de la Coopération au Developpement, Bruxelles, 1976.

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necessaria a definire una politica comune e un’azione comune.124Le proposte

avanzate da Tindemans sottolineano innanzitutto la necessità del riconoscimento

da parte de Consiglio del potere di iniziativa al Parlamento europeo e del suo

potere di deliberare su tutte le questioni che sono di competenza dell’Unione.125 Il

Consiglio europeo dovrà determinare l’orientamento generale e coerente

dell’Unione prendendo decisioni nell’ambito comunitario secondo le disposizioni

dei trattati, con la presenza della Commissione; negli altri casi dovrà decidere in

modo che le sue decisioni possano servire come linee direttrici a coloro che sono

incaricati di eseguirle.126 Per ciò che concerne il Consiglio dei ministri il Rapport

suggerisce di realizzare una maggiore coerenza tra le attività dei “Conseils

spécialisés,” di trasformare in pratica corrente il voto maggioritario quando si tratta

di questioni appartenenti all’ambito comunitario e di rafforzare l’autorità della

Presidenza per conferire maggiore continuità alla sua azione.127 Quanto al ruolo

della Commissione Tindemans propone di servirsi con maggiore energia dell’art.

155 del Trattato che istituisce la CEE che prevede la possibilità di conferire

competenze alla Commissione; la Commissione dovrebbe agire con poteri analoghi

a quelli posseduti dall’Alta Autorità della CECA.128

Nel Rapport di Tindemans, come si vede, il principio di sussidiarietà non gioca

alcun ruolo. La sussidiarietà proposta dalla Commissione nel 1975 era una

sussidiarietà prevalentemente politica e tale da mettere, almeno in parte, in

discussione indirettamente il "Compromesso del Lussemburgo;" tuttavia,

l’insistenza sull’esigenza di rafforzare le istituzioni comunitarie mostrava, sotto

traccia, quanto Tindemans avesse presente il nodo di problemi che scaturiva dal

Rapporto della Commissione.129 Rimasto all’ordine del giorno per quattro sessioni

del Consiglio Europeo, tra il 1976 e il 1977, il Rapport non ebbe fortuna

immediata. Come nota Olivi,130 “l’iniziale fervore giscardiano di «cambiamento»

era stato spento dalle preoccupazioni politiche ed economiche di una situazione

che si andava via via aggravando: era già stato rischioso dar via libera all’elezione

a suffragio diretto del Parlamento europeo, difficilmente digeribile dai rivali

124 Ibid., p. 45. 125 Ibid., p. 46. 126 Ibid., pp.47-48. 127 Ibid., pp. 48-49. 128 Ibid., pp. 49-50. 129 Per queste ragioni è forse troppo severo il giudizio dato da OLIVI sul Rapport di Tindemans che parla di “prudenza estrema”, ma nel senso di “reticenza,” L’Europa difficile, cit., p. 178. 130 OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 178.

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gollisti della sua maggioranza, mentre si avvicinavano pericolose scadenze

elettorali minacciate da un’opposizione che sembrava sulla via del successo”;

inoltre la Comunità non era, in quel momento, al centro dell’interesse del governo

tedesco e gli Inglesi non avevano interesse ad appoggiare iniziative di rilancio

dell’Unione europea. Tuttavia, gli Stati membri della Comunità, nota Gilbert,131

avrebbero attinto al Rapporto Tindemans “a piccoli sorsi nei successivi quindici

anni fino a quando, con il trattato di Maastricht, si diede forma a un’Europa simile

a quella prefigurata dallo statista belga.” Il Rapporto Tindemans non è in linea con

la situazione del momento, ma precorre i tempi.

Sia il Rapporto del 1975, sia il Rapport del 1975-1977 da un lato tirano le somme

del processo di integrazione, dall’altro non possono non prospettarsi uno sviluppo

politico della Comunità: la decisione in ambito economico è inevitabilmente

decisione anche in ambito politico. L’interdipendenza economica richiede

un’autorità gestionale che per la natura delle cose stesse che deve gestire è

sovranazionale. Soprattutto le vicende del “serpente monetario” lo hanno

dimostrato: l’integrazione economica richiede, a un certo livello del proprio

sviluppo, un’autorità politica, sia pure di politica economica, in grado di

amministrare un processo che per la sua configurazione è sovranazionale.

L’economia preme per una guida politica: per sua natura essa non è in grado di

affrontare i numerosi problemi giuridici sollevati dal processo di

internazionalizzazione, i problemi della stabilità monetaria. Fare questo è compito

della politica, cioè di una téchne architettonica. Ma il livello politico della

Comunità è in mano a una gestione intergovernativa, vale a dire, per sua natura

non in grado di gestire unitariamente, e in modo completivo, sussidiario, i

problemi che sorgono dallo sviluppo dell’integrazione.

131 Cfr. GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit, p. 114.

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Capitolo 4. Verso Maastricht

L’obiettivo dell’Unione europea, già proposto nel Rapporto Tindemans, riemerge

nel piano italo-tedesco proposto al Parlamento europeo nel novembre del 1981.

Qui esso era legato al coordinamento nella politica estera e di sicurezza, all’avvio

di una collaborazione in campo giudiziario e culturale e alla modifica delle

procedure decisionali per dare maggiore spazio al Parlamento europeo.

Integrazione economica e cooperazione politica sarebbero dunque confluite

nell’Unione europea.

Il piano ispirò la Dichiarazione solenne sull’Unione europea adottata dal Consiglio

europeo di Stoccarda (il 19 giugno 1983).132 Gli anni che vanno dal 1975 al 1983

vedono, tuttavia, un graduale eclissarsi dell’idea di un’Unione Europea; ma i

caratteri reali della situazione sussidiaria si consolidano soprattutto attraverso la

realizzazione del Sistema monetario europeo (SME, varato nel dicembre 1978 ed

entrato in funzione nel marzo 1979). Esso comportava una stretta cooperazione tra

i governi dei paesi membri corroborata dall’impulso franco-tedesco e riproponeva

il problema di istituzioni sovranazionali di governo delle monete.133 Ma appunto: a

questo corpo economico mancava una testa politica sovranazionale. Questa

mancanza, questa esigenza spiega i tentativi di progettare una Unione Europea,

una Unione politica, fondata sul principio di sussidiarietà, come avvenne con il

Progetto di Trattato dell’Unione europea134 ispirato da Altiero Spinelli.135 Il

progetto fu approvato dal Parlamento a larga maggioranza: con quest’approvazione

il Parlamento rivendicava sostanzialmente una funzione costituente saltando le

procedure del negoziato fra gli Stati membri. Esso contiene una lettura in senso

politico del principio di sussidiarietà: la sussidiarietà, già nel Preambolo, è

132 Il testo quasi completo della Dichiarazione solenne si legge in LEVI-MORELLI, L’Unificazione europea, cit., pp. 237-242. 133 Cfr. J. VAN YPERSELE- J.-C. KOEUNE, Il sistema monetario europeo. Origini, funzionamento e prospettive, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1985. 134 Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, “Bollettino delle Comunità europee”, n. 2, 1984, pp. 7-27; il progetto preliminare è stato pubblicato in “Bollettino delle Comunità europee”, n. 9, 1983, pp. 7-26. 135 Sulla genesi del Progetto ben presto denominato “Progetto Spinelli” cfr. A. SPINELLI, Diario europeo, vol. III, 1976-1986, Bologna, Il Mulino, 1992.

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presentata come il criterio da seguire per l’attribuzione delle competenze alle

istituzioni della Comunità. Si tratta, dunque, di un principio architettonico,

politico, secondo le linee emerse nel Rapporto del 1975 e del tutto coerente con

l’impostazione del Rapport del 1975-1977. Leggiamo, infatti, nel Progetto che le

parti affidano a istituzioni comunitarie “conformemente al principio di

sussidiarietà” soltanto le competenze necessarie ad assolvere i compiti che esse

avrebbero potuto realizzare in modo più soddisfacente che non gli Stati

isolatamente.136 Il principio è il fondamento dell’Unione europea. Se si guarda la

Risoluzione del Parlamento europeo sul progetto preliminare del trattato che

istituisce l’Unione europea137 si vede che il principio di sussidiarietà guida la

realizzazione dello sviluppo dell’economia dei popoli europei nella stabilità

“rafforzando la capacità dei suoi Stati membri, dei suoi cittadini e delle loro

imprese di adeguare le loro strutture e le loro attività alle mutazioni economiche

contemporanee;” di elaborare e attuare le politiche strutturali e congiunturali

dell’Unione finalizzate all’eliminazione degli squilibri esistenti fra le sue diverse

aree e regioni; di rendere gli Stati membri capaci “di rispondere congiuntamente e

solidariamente alle nuove sfide di ordine tcnologico, finanziario, monetario e di

altro tipo alle quali tutti si trovano confrontati;” a promuovere uno sviluppo umano

e armonico della società, cercando di raggiungere la piena occupazione, condizioni

di vita approssimativamente comparabili in tutte le regioni e un alto livello di

giustizia sociale, “di realizzare dei rapporti ecologicamente corretti con l’ambiente,

di sostenere e di rafforzare lo sviluppo scientifico e culturale dei suoi popoli; “ allo

sviluppo armonico e giusto di tutti i popoli del mondo per permettere loro di uscire

dal sottosviluppo e dalla fame e di esercitare pienamente i loro diritti politici,

economici e sociali;” a promuovere con la sua azione internazionale” la sicurezza,

la pace, la cooperazione, il disarmo e la libera circolazione delle persone e delle

idee;” a permettere la partecipazione, secondo forme appropriate, “delle collettività

locali e regionali alla costruzione europea;” a prendere “le misure necessarie alla

creazione e allo sviluppo di un civismo europeo.”

136 Progetto, cit., p. 9. L’importanza funzionale del principio di sussidiarietà nel progetto non ci sembra minore se si prende atto di quanto afferma M. BURGESS, Federalism and European Union: the Building of Europe, 1950-2000, London-New York, 2000, p. 230: “Altiero Spinelli, who initiated the EP’s struggle for European Union in the early 1980s, did not care much for the principle of subsidiarity and agreed to incorporate it in the draft treaty only at the insistence of the Christian Democrats.” 137 Risoluzione del Parlamento europeo sul progetto preliminare del trattato che istituisce l’Unione europea, “Bollettino delle Comunità europee”, n. 9, 1983, p. 9.

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Questo paragrafo prova che il principio di sussidiarietà è implicitamente inteso

come la chiave di volta della futura Unione europea. Nel Progetto approvato dal

Parlamento europeo il medesimo concetto è sviluppato in forma più compendiata e

più vicina al Rapporto del 1975: “L’Unione agisce esclusivamente per svolgere i

compiti che in comune possono essere svolti più efficacemente che non dai singoli

Stati membri separatamente, in particolare quelli la cui realizzazione richiede

l’azione dell’Unione giacché le loro dimensioni o i loro effetti oltrepassano i

confini nazionali.”138 Il principio di sussidiarietà si concretizza qui nella logica

della esternalità che abbiamo già visto nel Rapporto del 1975 e nel Rapport del

1975-1977. Non si tratta di un principio meramente ideologico, ma di un principio

conforme alla natura stessa di un sistema sovranazionale, nato dall’integrazione di

componenti un tempo ben separate le une dalle altre e dotate di identità ben

definite da secoli di storia politica e istituzionale. L' azione comune e la

cooperazione fra gli Stati membri erano due tra i più importanti mezzi per la

realizzazione degli obiettivi stabiliti nel Preambolo; se il primo comportava un

accentramento decisionale notevole rispetto al secondo,139 il principio di

sussidiarietà costituiva una cerniera che connetteva i due metodi come

articolazioni di un insieme, un sistema plurale. L’art. 11 del Progetto prevedeva

inoltre che le materie comprese nel campo della cooperazione interstatale

divenissero oggetto di azione comune – ma non l’inverso.140 Nel Progetto, rispetto

alla Risoluzione e al Rapporto del 1975, mancavano le competenze potenziali

dell’Unione, mentre, riguardo alle competenze concorrenti, nell’art. 12, comma 2

del Progetto (art. 15 della Risoluzione) il principio ricompariva, sia pure in forma

non esplicita. In ambito di politica del credito, compito dell’Unione sarebbe stato

quello di coordinare il ricorso al mercato dei capitali; in ambito di relazioni

internazionali dell’Unione la distinzione tra azione comune e cooperazione veniva

ripresa sempre lasciando spazio all’intervento dell’Unione qualora le politiche

estere degli Stati membri non fossero risultate sufficientemente idonee a realizzare

le finalità dell’Unione. Ciò significava preconizzare uno Stato federale europeo

fondandosi su una interpretazione politica del principio di sussidiarietà. Proprio

questa fu la ragione, almeno parziale, del fallimento della ratifica del Progetto da

parte degli Stati membri: il timore dell’accentramento. Se il principio di

138 Progetto, cit., p. 11. 139 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 44 e n. 163.

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sussidiarietà è inteso in modo meramente giuridico, esso può funzionare anche in

una realtà intergovernativa o confederale; ma se lo si intende come principio

politico, esso porta a un ordinamento federale.

Va rilevato che fino a questo momento l’orientamento verso un’interpretazione

politica del principio di sussidiarietà è caratteristico della Commissione e, grazie

all’impulso di Spinelli, del Parlamento europeo, non a caso le due istituzioni a

carattere maggiormente sovranazionale. Non è neppure un caso che la

Commissione sia, in certo modo, erede delle funzioni sovranazionali dell’Alta

Autorità della CECA. Nel 1984 la realtà politica preme in molteplici modi

sull’assetto delle Comunità europee, ma in modo particolare preme perché i paesi

membri si diano un assetto monetario più organico: dal marzo 1979 è in funzione

lo SME, che obbliga a una ripartizione sussidiaria delle competenze in materia di

politica monetaria. L’Unità Europea di Conto (European Currency Unit, ECU,

espressione delle parità delle valute comunitarie) comporta rapporti di cambio tra

le valute che obbligano i paesi membri a seguire una politica monetaria comune

(sono ammesse oscillazioni soltanto del 2, 25%, a eccezione dell’Italia alla quale

viene consentita una banda di oscillazione del 6%); soltanto con l’accordo unanime

dei partecipanti si possono ritoccare le parità. Una rete di facilitazioni creditizie

interne alla Comunità rendono il sistema più solido del “serpente monetario,” ma al

tempo stesso i singoli paesi devono contribuire al Fondo di cooperazione

monetaria con il 20% delle loro riserve in oro o in dollari. Se questo non impedisce

che si realizzi una netta divisione fra monete forti (marco e fiorino) e monete

deboli (lira italiana e franco francese), un nesso sovranazionale lega tutte le monete

della Comunità; l’interconnesione franco-tedesca, peraltro continua a essere il

motore del processo di integrazione. Al vertice di Parigi del 1974 la

regolarizzazione, l’istituzionalizzazione delle riunioni dei capi di Stato e di

governo, con la partecipazione dei ministri degli Esteri, nella forma del Consiglio

europeo sta indubbiamente a indicare che si riconosce il rilievo delle materie di

deliberazione comunitaria, anche se si ritiene di doverle gestire in chiave

integrovernativa. La Comunità non va verso un ordinamento federale; essa

presenta, piuttosto, una anomalia: l’ambito economico mostra un assetto pre-

federale, mentre l’ambito politico mostra un assetto intergovernativo. Sul piano

istituzionale, la prerogativa dell’iniziativa legislativa spetta a un organo

140 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 44-45 e n. 165.

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sovranazionale (la Commissione), mentre il potere esecutivo e legislativo è nelle

mani di un organo intergovernativo (il Consiglio dei Ministri) e l’orientamento

generale della Comunità dipende da un altro organo parimenti intergovernativo (il

Consiglio europeo); l’altro organo sovranazionale, il Parlamento europeo, ha

limitati poteri di tipo consultivo. In questo quadro, il principio di sussidiarietà può

facilmente essere concepito come tutela della sovranità degli Stati membri dal

Consiglio (dei Ministri ed europeo) e come tutela dei poteri della Comunità (dalla

Commissione e da rilevanti settori del Parlamento europeo). Ora le due

interpretazioni, quella giuridica e quella politica, del principio diventano gli indici

di una dialettica interistituzionale. La differenza ora è chiara: affermare che il

principio di sussidiarietà serve unicamente a disciplinare l’articolazione delle

competenze stabilite nei trattati, equivale a ricondurre il rapporto Stati membri-

Comunità alle disposizioni maturate per via intergovernativa; affermare invece che

il principio di per sé contiene il discrimine fra ciò che compete alla Comunità e ciò

che compete agli Stati membri significa sottrarre l’attribuzione di competenze al

solo controllo operato dalla sfera intergovernativa e fondarlo sulla

sovranazionalità.

Frattanto, l’esigenza di realizzare il completamento del mercato interno entro il

1992 visto come tappa per l’unione monetaria, affermata nel Libro bianco della

Commissione presieduta (dal 1985) da Jacques Delors e dal “Comitato Dooge”

stimola a considerare ineludibile l’esigenza di preparare un nuovo trattato che

aggiorni il Trattato che istituisce la CEE del 1957. Il “Comitato Dooge” suggerisce

la convocazione, a questo scopo, di una Conferenza Intergovernativa. Ma il

Comitato propone innovazioni istituzionali che avrebbero dilatato le competenze

degli organi comunitari a scapito dei governi nazionali; è, del resto, inevitabile che

in una Comunità a dodici paesi i meccanismi decisionali non possano strutturarsi

sui rapporti intergovernativi e sul vincolo dell’unanimità, ma debbano aprirsi a una

dilatazione delle funzioni sovranazionali. Se da un lato la Gran Bretagna del

premier Margareth Thatcher preme per la liberalizzazione commerciale e

finanziaria, dall’altro lato essa si oppone a qualsiasi governo politico della

dinamica economica che, così, viene a configurarsi. Il mercato comune europeo

non ha la fisionomia di una mera “area di libero scambio” e abbisogna di adeguate

istituzioni che gli permettano di funzionare; ma questo non può avvenire senza

drastiche limitazioni delle politiche economiche degli Stati membri; limitazioni

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che, d’altronde, sono imposte dall’incipiente processo di globalizzazione (sicché

per gli Stati membri l’alternativa pare essere: perdere parte della loro autonomia a

vantaggio della Comunità, oppure perderla a vantaggio dei processi di

globalizzazione). La CIG per la preparazione del nuovo trattato sulla cooperazione

in politica estera e di sicurezza e per la definizione delle modifiche ai trattati in

vigore passa, al Consiglio europeo di Milano (giugno 1985) con l’opposizione di

Gran Bretagna, Danimarca e Grecia. La CIG che si apre a Lussemburgo nel

settembre 1985 porta alla firma nel febbraio del 1986 dell’Atto Unico Europeo

(AUE).141 Significativamente esso riunisce in un solo testo sia le disposizioni sulla

cooperazione in materia di politica estera, sia quelle sul mercato, sulle politiche

comunitarie e sulle istituzioni della Comunità: segno che si intende indicare l’unità

fra esiti dell'integrazione economica e prospettive di integrazione politica.

Delors,142 artefice dell’AUE, ha ribadito a più riprese, tra il 1985 e il 1989,143 la

centralità del principio di sussidiarietà, sottolineandone l’aspetto anti-centralistico

e rifacendosi alla tradizione del cattolicesimo socialista francese e in particolare al

pensiero di Emmanuel Mounier.144 Tuttavia, anticentralismo non significa di certo

ostilità di principio a una concezione federalistica della statualità

sovranazionale.145 In altri termini, la sussidiarietà presuppone “un’organizzazione

della società in gruppi e non la sua atomizzazione in individui.”146 Ciò che sono gli

individui nella società, in questo passo di Delors risalente al 1991, lo sono gli Stati

membri nella Comunità.

In merito allo sviluppo in senso federale del principio di sussidiarietà, tuttavia,

l’AUE non dice direttamente molto. Certo, l’istituzione, in merito alle

deliberazioni riguardanti il mercato, di una procedura di cooperazione tra il

Consiglio dei Ministri e il Parlamento ha il sapore di una soluzione salomonica, se

paragonata alla generale impostazione sovranazionale del Preambolo del “Progetto

Spinelli” e del Rapporto della Commissione del 1975; l’introduzione del voto a

141 Il testo dell’AUE si legge in TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 86-99. 142 Su Delors cfr. la monografia di C.G. ANTA, Il rilancio dell’Europa. Il progetto di Jacques Delors, Milano, Angeli, 2004. 143 Cfr. M. BURGESS, Federalism and European Union: the Building of Europe, 1950-2000, London-New York, Routledge, 2000, pp. 231-232. 144 Cfr. ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., pp. 87-92. 145 Ivi, p. 89: nel pensiero deloriano “la sussidiarietà non rappresenta solo un limite all’intervento di un’autorità superiore nei confronti di una persona o collettività, quando sono in grado di agire da sole, ma è anche un obbligo per questa autorità di intervenire nei confronti di tali soggetti offrendo loro i mezzi necessari per realizzarsi.” 146 Il brano è citato da ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., p. 89.

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maggioranza qualificata in seno al Consiglio dei ministri sui provvedimenti relativi

all’instaurazione e al funzionamento del mercato interno indebolisce la logica

meramente intergovernativa, ma su un terreno sul quale, vista l’interpenetrazione

delle economie dei paesi membri,147 sarebbe molto difficile mantenerla intatta. E’

invece sul terreno della politica ambientale che si fa strada il principio di

sussidiarietà. Il che ha una sua logica: la politica dell’ambiente, per sua natura, ha

un alto tasso di “esternalità”, per usare il concetto del “Rapporto McDougall”.

Nell’articolo 130R, quarto comma, leggiamo:148 “La Comunità agisce in materia

ambientale nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possono essere

meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati

membri.” Il paragrafo 1 recita: “L’azione della Comunità in materia ambientale ha

l’obiettivo: - di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; - di

contribuire alla protezione della salute umana; - di garantire un’utilizzazione

accorta e razionale delle risorse naturali.”149 Il criterio implicito è la regola della

“esternalità.” Per l’adozione di un atto comunitario in materia ambientale, l’art.

130 S150 stabilisce che Il Consiglio si debba sempre pronunciare all’unanimità,

previa consultazione del Parlamento Europeo e del Comitato economico e sociale,

su proposta della Commissione. L’unanimità è la controprova che ci troviamo di

fronte a una materia ad alto tasso potenziale di “esternalità”, dunque incline a

sviluppare dinamiche sovranazionali che la procedura dell’unanimità varrebbe a

controllare.

L’art. 130 B151 stabilisce che “La Comunità appoggia” la realizzazione degli

obiettivi di coesione economica e sociale, di ricerca e sviluppo tecnologico

(articoli 130 A-130 C152) con l’azione che essa svolge attraverso fondi a finalità

strutturale,” attraverso la Banca Europea per gli Investimenti e altri strumenti

finanziari. Viene qui sottolineata la funzione completiva dell’azione della

comunità.153Questo è molto chiaro: salvaguardare la libertà d’azione degli Stati

147 Cfr. L. TSOUKALIS, La nuova economia europea, Bologna, Il Mulino, 1994; T. PADOA SCHIOPPA, L’Europa verso l’Unione monetaria. Dallo SME a Maastricht, Torino, Einaudi, 1992. 148 TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 94. 149 Ibidem. 150 Ibidem. 151 Ivi, p. 92. 152 Ibidem. 153 Cfr. art. 130F § 2: le azioni della Comunità nell’ambito della ricerca, dello sviluppo tecnologico e della cooperazione “integrano quelle intraprese dagli Stati membri” cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 92. Per altri esempi di indizi meno diretti di sussidiarietà nell’Atto Unico Europeo cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 61-62.

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membri in un mercato unico e in un sistema monetario composto di parità fisse

richiede un’azione di complemento che non può che essere architettonica,

ordinatrice, mai centralistica. Ma dovrà essere per forza centrata su obiettivi che

sono stati posti, per consenso, dagli Stati membri attraverso il trattato; con ciò

stesso, gli Stati accettano di autolimitarsi e di accogliere l’intervento completivo,

integratore, della comunità. Dov’è, però, la bilancia per pesare eventuali

trasgressioni del principio di sussidiarietà? C’è e chi è il guardiano della

sussidiarietà? La prima domanda sembrerebbe implicare una scelta fra sussidiarietà

giuridica e sussidiarietà politica. La seconda implica un’attribuzione di potere.

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Capitolo 5. La positivizzazione del principio di sussidiarietà:

premesse storiche e formulazione del Trattato di Maastricht.

Il 1989 è sotto molti aspetti un anno cruciale per l’integrazione europea; qui è

rilevante il fatto che l’implosione del “blocco orientale” modifica la condizione

decisiva dell’avvio e della continuazione del processo dell’integrazione europea: la

necessità per il “blocco occidentale” di fare quadrato contro la minaccia sovietica.

E’ vero che l’avvio della fase della distensione, dopo la morte di Stalin aveva già

contribuito a ridimensionare l’urgenza statunitense di una economia europea

integrata; la fine del Gold Standard aveva contribuito a spingere la Comunità a

pensarsi come un’area di stabilità monetaria autonoma rispetto all’area del dollaro;

ma non c’è dubbio che il crollo dei paesi dell’Est spinga ora le istituzioni della

Comunità a considerare molto seriamente l’opportunità di realizzare in tempi

relativamente brevi non soltanto un approfondimento dell’integrazione, ma anche

il suo allargamento.154 Un’opportunità che non può essere pensata esclusivamente

in termini economici o giuridici, ma che abbisogna di contrafforti politici. Tuttavia,

il versante strettamente politico della Comunità è strettamente legato alle pratiche

intergovernative, inidonee, di fatto, a configurare un potere politico sovranazionale

in grado di produrre decisioni in tempi brevi. E’ soprattutto la turbolenza del

disfacimento del “socialismo” nei Balcani a porre problemi inediti, problemi

geopolitici di territorialità, alla Comunità.

Il vissuto istituzionale della Comunità è, come si è visto, sussidiario, ma la

sussidiarietà della Commissione (e del Parlamento europeo), come si vedrà, non è

la sussidiarietà del Consiglio dei Ministri (e del Consiglio europeo): quanto la

prima è preoccupata di strutturare un efficace centro di decisione sovranazionale,

altrettanto la seconda è calibrata sull’esigenza di non erodere la sovranità degli

Stati membri. Non c’è dubbio, sul piano meramente teorico, che se la Comunità

vuole contare in qualche modo nel mondo segnato dall’evento epocale del “crollo

del socialismo reale,” essa deve darsi una certa statualità e che, data la sua

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configurazione geografica, politica e storica, questa statualità, per essere efficace,

non può che assumere una forma federale. Non c’è neppure dubbio che, di fronte

allo sviluppo della globalizzazione economica, l’area di stabilità monetaria deve

trasformarsi in area a moneta unica, oppure assoggettarsi all’instabilità. Ma

l’emissione di moneta unica dovrebbe implicare l’esistenza di una statualità,

l’esistenza di un soggetto politico, se non di un “super-Stato,” comunque di uno

Stato di Stati. L’alternativa è un organo tecnocratico privo di legittimazione

democratica quale arbitro della moneta unica. Nelle coordinate della complessa

vicenda della storia dell’integrazione europea è chiaro che se si concepisce la

futura architettura alla luce del principio politico della sussidiarietà, il risultato è

uno Stato federale, e proprio grazie alla logica anti-centralistica della ripartizione

delle competenze analiticamente contenuta nel principio di sussidiarietà. Se,

invece, la si concepisce alla luce del principio giuridico della sussidiarietà, il

risultato è un modello quasi federale sul piano dei rapporti economici, confederale,

intergovernativo, sul piano politico: capace di amministrazione e di decisione

relativamente tempestiva quasi sull’intero piano economico, ma incapace di ciò sul

piano della politica estera. Il sistema misto esistente possiede, quindi, due modelli

decisionali diversi: voto a maggioranza qualificata nell’ambito di molte decisioni

non soltanto economiche, voto all’unanimità nell’ambito delle decisioni più

propriamente politiche (politica estera). Non è strano che nell’emergenza della crisi

dei Balcani esso non riesca a darsi una logica di azione unitaria e incisiva. Non

senza ragione è stato affermato che l’Europa è “un’istituzione transnazionale

intergovernativa, almeno per quanto riguarda le componenti essenziali della

sovranità esterna, cioè la politica estera e militare. Gli organismi comunitari non

posseggono gli attributi propri della sovranità: la capacità di gestire gli «stati di

eccezione» e di fissare, anche impositivamente, valori, interessi e politiche.”155

Sono parole scritte nel 2004, ma sono idonee a descrivere anche la situazione

dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso.

E’ chiaro che il peso politico che potrebbe avere una netta scelta in favore di una

interpretazione politica del principio di sussidiarietà va valutato all’interno di una

complessa architettura istituzionale nella quale l’organo più incline a dare voce a

tale interpretazione non è di certo provvisto di peso trascurabile nel processo

154 Sugli allargamenti della CEE e dell’Unione cfr. A. Landuyt-D. Pasquinucci (a cura di), Gli allargamenti della CEE/UE 1961-2004, Tomo I, Bologna, Il Mulino, 2005, Introduzione, pp. 9-28.

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decisionale comunitario. E se la situazione determinata in senso lato

dall’implosione del blocco “socialista” e in senso molto più specifico dalla

dissoluzione della Jugoslavia impone alla Comunità di pensarsi come soggetto

politico, i suoi meccanismi di decisione politica in ultima istanza non la

favoriscono in questo. Il dilemma obiettivo ‘superstato federale / istituzione

transnazionale intergovernativa’ è, inoltre, condizionato dal rapporto assai

complesso con la NATO direttamente coinvolta nei problemi della sicurezza

originatisi dallo scioglimento del blocco sovietico e dalla crisi jugoslava. E’ anche

alla luce di questi problemi obiettivi che va valutato il dibattito che precede la

redazione del TUE.156 Gli esecutivi rappresentati al Consiglio dei ministri sono

logicamente gelosi delle loro prerogative politiche, educati come sono nel quadro

della logica dello Stato-nazione; nel contesto della Commissione, la formazione

culturale è tendenzialmente sovranazionale e tecnocratica, abituata a valutare i

problemi, soprattutto quelli economici, alla luce di una logica diversa, meno

angusta. Ma non sono soltanto diverse le epistemologie politiche che ‘governano’le

istituzioni comunitarie; sono anche numerosi i dilemmi concreti che si presentano e

tra essi il seguente è forse quello di maggiore rilievo dalla nostra prospettiva: la

liberalizzazione della circolazione dei capitali è ormai un fatto che può giocare a

vantaggio della globalizzazione, oppure a vantaggio del coagularsi di interessi

europei: dipende dalla capacità di governare il processo stesso; gli interessi statali e

locali possono funzionalizzarsi soltanto all’una o all’altra prospettiva. E’ invece

escluso che possano avere un ruolo a sé. Questo è oggettivamente chiaro nei primi

anni novanta; ma soggettivamente i titolari di interessi statali e locali continuano a

pensare come se la globalizzazione non esistesse: pensano in termini di rapporto

fra regioni e Stato nazionale (magari nei termini di uno svincolarsi delle unità

regionali anche dal quadro dello Stato nazione per giocare le proprie opportunità

nella realtà globalizzata fino a spingersi verso il secessionismo); per questo motivo

la risultante del dibattito sul principio di sussidiarietà non si configurerà in termini

chiari e tali da non ammettere repliche o chiose.

Nel concreto, richiamando l’art. 130 R, § 1 dell’AUE157 non si può non notare che

la scelta di attribuire una competenza sulla base della “esternalità” prodotta non

155 C. JEAN, Geopolitica del XXI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 78. 156 Cfr. A. MORAVCSIK, The Choice for Europe. Social Purpose and State Power from Messina to Maastricht, Cornell University Press, Ithaca, New York, 1998, pp. 379-471. 157 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 93-94.

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può far pensare che al primo Programma di azione comunitario della

Commissione in materia ambientale.158 Come si evince anche dagli artt. 130 T, 118

A, § 3 e 100 A, § 4,159 l’importanza dell’obiettivo da raggiungere incide sulla

ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri. Se questo vale in

materia ambientale, non c’è da stupire che valga anche in materia economica,

ambito nel quale l’”esternalità” è particolarmente pronunciata. Se si intende la

politica come amministrazione dell’economia e dei problemi ambientali, non si

può non vedere la frizione esistente tra una gestione di problemi che richiede una

gestione sovranazionale e la realtà di una politica degli Stati membri che tende a

pensare lo spazio politico nei termini dello Stato nazione. Si tratta dunque di

mediare tra una dimensione di politica economica e ambientale straordinariamente

avanzata e una amministrazione politica purtroppo straordinariamente arretrata.

Non a caso la sussidiarietà compare come espressione dello straordinario

avanzamento dell’integrazione economica in un documento del 1989, il Rapporto

sull’Unione economica e monetaria. Ivi si legge che per definire un corretto

equilibrio di poteri in ambito comunitario “ sarebbe essenziale attenersi

strettamente al principio di sussidiarietà […]. Tutte le funzioni di politica

economica che potrebbero essere esercitate ai livelli nazionali (regionali e locali),

senza ripercussioni sfavorevoli sulla coesione e sul funzionamento dell’Unione

economica e monetaria, resterebbero di competenza degli Stati membri.”160 Si

tratta di una estensione della funzione della sussidiarietà quale essa compare

nell’art. 130 R dell’AUE,161 di un parziale162 precorrimento dell’articolo 3 B del

TUE.

E’ stato osservato che “con il Trattato di Maastricht, la sussidiarietà viene elevata a

principio generale dell’ordinamento comunitario, come risulta dal suo inserimento,

attraverso l’art. 3 B, nella Parte Prima del Titolo II del Trattato CEE, intitolato,

appunto, “ Principi”.”163 Ci deve essere una ragione di questa centralità, anche se

non condividiamo del tutto la tesi di d’Agnolo secondo cui “in precedenza (…) la

158 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 58-59 il quale cita quale fonte per il testo del Programma d’azione la “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee”, C 112/1 del 20 dicembre 1973. 159 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, pp. 94 e 91. 160 Rapporto sull’Unione economica e monetaria (1989), § 20 citato da ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., p. 88. 161 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 93-94. 162 Perché, come si vedrà, nell’art. 3 B non si fa menzione dei livelli regionali e locali eventualmente coinvolti dall’esercizio delle funzioni di politica economica.

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sussidiarietà non costituiva un principio generale di diritto comunitario.”164

L’integrazione ha innescato fin dal principio una situazione sussidiaria, ha creato

un terreno idoneo a far sviluppare i primi germi di un potere sussidiario grazie alla

compresenza di sovranazionalità e di intergovernatività (Alta Autorità / Consiglio

dei Ministri; Commissione / Consiglio dei Ministri) che ha stimolato grandemente

lo sviluppo del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali. Ma dopo il

1989 indubbiamente, la spinta a vedere nella sussidiarietà il principio

architettonico della Comunità è stata rafforzata dal nesso individuato nel principio

stesso tra coesione e pluralità degli Stati. La sussidiarietà sembra essere il modo di

gestire il lento, contraddittorio e non ancora compiuto processo di estensione della

sovranazionalità dall’economico al politico senza eliminare l’autonomia degli Stati

membri, anzi, valorizzandola. Che questo processo si affacci sul piano della

redazione del TUE lo si deduce dall’importanza del pilastro PESC, per quanto esso

sia concepito intergovernativamente. Si parla apertamente di politica estera

europea in sede di trattato.

Valéry Giscard d’Estaing, nella dichiarazione al Parlamento Europeo del 21

novembre 1989 propone di compilare una lista delle materie che sarebbero state

incluse, nel futuro, tra le competenze dell’Unione europea e di quelle che

sarebbero rimaste nelle mani degli Stati membri: si sarebbe trattato di definire,

così, i due livelli di legittimazione democratica nella Comunità.165 Viene qui

tematizzata non soltanto la stretta connessione fra federalismo e sussidiarietà, ma

anche la stretta connessione fra federalismo, sussidiarietà e democrazia nel

contesto della progettata Unione europea. Nel Parere della Commissione

sull’Unione Politica (21 ottobre 1990) la sussidiarietà è concepita finalizzandola

all’Unione europea come organizzazione di tipo federale.166 Il principio viene qui

considerato come principio prevalentemente politico.

163 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 62-63. 164 D’AGNOLO, la sussidiarietà, cit., p. 63, n. 44. 165 Cit. in BURGESS, Federalism, cit., p. 232. Si vedano le dichiarazioni conformi di DELORS, Discorso al Parlamento Europeo, 17 gennaio 1990, cit. da BURGESS, Federalism, cit., p. 232. Si cfr. anche V. GISCARD D’ESTAING, La règle d’or du fédéralisme européen in “Revue des Affaires Européennes”, 1, 1991, pp. 63-66 che si professa vicino al modo di intendere la sussidiarietà tipico del “Progetto Spinelli” (p. 65) e vede nel Consiglio il co-garante, in prospettiva, assieme alla Corte di giustizia, del principio di sussidiarietà – se il Consiglio evolverà a “Camera degli Stati.” 166 Cfr. Official Opinion of 21 October 1990 to the IGC on ‘Political Union’, COM (90), 600, Brussels, European Commission, 23 October 1990, p. 3.

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Il principio che leggiamo nel TUE, tuttavia, è l’esito di un compromesso tra

visione intergovernativa e visione sovranazionale della Comunità.167 Infatti,

l’azione della Comunità deve “innanzitutto trovare il proprio fondamento nelle

disposizioni del Trattato: in caso contrario, nella materia in oggetto, restano liberi

gli Stati membri.”168 Non è il principio che fonda il Trattato, ma il Trattato che

fonda il principio.169 L’articolo 3 B è suddiviso in tre commi che sono articolati

nella esposizione di tre principi: il principio di attribuzione delle competenze,170 il

principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. La legittimità di

qualunque azione della comunità “è valutabile alla stregua di tali principi,

considerati nell’ordine in cui gli stessi sono previsti nell’articolo in esame.”171 La

competenza comunitaria viene accertata sulla base dei primo principio; se si tratta

di competenza esclusiva, l’azione della Comunità sarà sottoposta al principio di

proporzionalità; se invece non si tratta di competenza esclusiva, essa sarà esercitata

se ci sono le condizioni richieste dal principio di sussidiarietà (fermo restando il

rispetto del principio di proporzionalità).

La Comunità non ha competenza generale, ma soltanto le competenze conferitele

dal Trattato. Se quest’ultimo esclude dalle competenze comunitarie la politica

fiscale, questa politica sarà affare degli Stati membri, nonostante i numerosi effetti

di spill-over che essa innesca. Non è sufficiente, cioè, constatare l’alto tasso di

esternalità di una politica perché ipso facto essa diventi oggetto sovranazionale.

Esiste un certo numero di materie il cui trattamento è destinato a essere nazionale

167 Cfr. A. Duff, Towards A Definition of Subsidiarity, in Id. (a cura di), Subsidiarity, cit., pp. 9-10. Per una ricca disamina sul principio nel Trattato di Maastricht cfr. T. SCHILLING, Subsidiarity as a Rule and a Principle or: Taking Subsidiarity Seriously (1995), versione elettronica disponibile inhttp://www.jeanmonnetprogram.org/papers/95/10ind.html; ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., pp. 47-52; P. AMADEI, Il principio di sussidiarietà nel processo di integrazione comunitaria in M.R. Saulle (a cura di), Il trattato di Maastricht, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp.11-51, specialmente pp. 11-16; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 72-86; per una esegesi prevalentemente giuridica dell’articolo 5 come ‘principio costituzionale’ cfr. B. BEUTLER-R. BIEBER-J. PIPKORN-J. STREIL-J.H. WEILER, L’Unione Europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Bologna, Il Mulino, 2001, 2a ediz., p. 92 che rinvia a V. COSTANTINESCO, L’art. 5 CEE, de la bonne foi à la loi communautaire, in Festschrift Pescatore, Baden-Baden, 1987 e a J. PIPKORN, Das Subsidiaritätsprinzip im Vertrag über die Europäische Union-rechtliche Bedeutung und gerichtliche Überprüfbarkeit in “Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht”, 1992. 168 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 73. 169 Cfr. la nota della Commissione, Le principe de subsidiarité, “Revue Trimestrielle de Droit Européen” (28), 4, 1992, p. 728: “Le principe de subsidiarité ne détermine pas les compétences qui sont attribuées à la Communauté: c’est le Traité lui-même qui les détermine.” 170 Di questo principio una esposizione cristallina era stata data già da F. CARDIS, Fédéralisme et intégration européenne, Centre de Recherches Européennes, École des H. E. C., Université de Lausanne, 1964, pp. 48-51: 49-50: “L’Union disposera seulement des pouvoirs qui lui seront expressément et limitativement reconnus par la constitution et, d’autre part, que le silence de cette dernière sur une matière la maintiendra ipso facto dans la compétence des Etats membres.”

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o, al massimo intergovernativo perché così stabilisce il Trattato. La forza

architettonica della Comunità non è il principio di sussidiarietà, ma il principio di

attribuzione delle competenze che dipende dalla logica politica intergovernativa,

una logica che non coincide con la logica dell’integrazione economica, né con gli

stimoli che essa fornisce in ambito politico. La logica dell’integrazione economica,

qui, non riesce a darsi una proiezione politica, cioè non riesce contribuire alla

formazione di un soggetto politico sovranazionale. Dei tre pilastri

dell’ordinamento di Maastricht uno è ampiamente federalizzato (la Comunità),

mentre gli altri due sono intergovernativi (PESC e GAI). La logica della

sussidiarietà è principio architettonico nei rapporti economici, nei rapporti sociali,

ma diventa mero principio subordinato alla attribuzione di competenze nei

rapporti politici. La cessione di sovranità, assai ampia sul terreno dei rapporti

economici tra gli Stati, diventa minima nei loro rapporti politici.

Sono tre i criteri in base ai quali va verificata la coerenza dell’azione comunitaria

con il principio di sussidiarietà:172 1) la capacità di azione degli Stati membri; 2) la

capacità di azione della Comunità; 3) il ‘valore aggiunto’ dall’azione comunitaria

rispetto a quella degli Stati membri. 1) sia nell’art. 12 del “Progetto Spinelli”, sia

nell’art. 130 R, § 4 dell’AUE, la Comunità era legittimata ad agire se avesse potuto

conseguire meglio degli Stati membri l’obiettivo proposto, nel testo approvato del

Trattato di Maastricht la Comunità agisce soltanto se l’azione degli Stati membri è

insufficiente al conseguimento degli obiettivi comunitari. 2) se il “Progetto

Spinelli” e il già citato articolo 130 R dell’AUE confrontavano la capacità di

azione dei singoli Stati membri con quella della Comunità, il testo definitivo del

Trattato di Maastricht confronta l’azione degli Stati membri con quella della

Comunità, aprendo la via alla possibilità di cooperazione fra Stati membri. 3)

dimostrata l’incapacità degli Stati membri a raggiungere determinati obiettivi

comunitari va dimostrato che risultati meno insufficienti sono raggiungibili da

parte dell’azione comunitaria.

Quanto al principio di proporzionalità, esso riguarda sia i settori di competenza

concorrente, sia quelli di competenza esclusiva ed è mirato a “conciliare, nel

171 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 73. Corsivo nostro. 172 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 78.

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perseguimento di un interesse di per sé legittimo, la maggiore efficacia dell’azione

comunitaria con la minore intensità della stessa.”173

Dall’applicazione di questi principi risulta un sistema coeso e pluralistico a livello

di rapporti economici (il Mercato Unico; lo SME), ma soltanto una pluralità di

nessi intergovernativi rispetto all’esterno del sistema.

Il TUE ha istituito il Comitato delle Regioni (articoli 198 A-C),174 il “guardiano

della sussidiarietà,” dotato di poteri consultivi; i rappresentanti regionali sono

ammessi alle sedute del Consiglio, in base alla decisione degli Stati membri, ogni

qual volta le materie trattate siano di competenza regionale. L’azione della

Comunità si presenta come sussidiaria, dunque, anche rispetto alle regioni degli

Stati membri, anche se le vere ‘controparti’ della Comunità sono gli Stati, non gli

organismi regionali.

La prevalenza dell’interpretazione del principio di sussidiarietà come principio

prevalentemente giuridico (ma di cui il trattato riconosce implicitamente il valore

architettonico e quindi la portata potenzialmente politica) è un segno del punto

critico raggiunto dal processo di integrazione europea all’inizio degli anni novanta.

Lo sviluppo dello SME, la fine del bipolarismo e il contemporaneo intensificarsi

dei processi di globalizzazione hanno condotto il sistema alle soglie dell’unione

politica, non a caso tematizzata a Maastricht. Questo è il momento in cui decidere

se la sussidiarietà praticata sino a ora sul terreno dei rapporti economici fra gli Stati

membri possa valere come principio di organizzazione di un soggetto politico che,

pur non essendo uno Stato, ha una sua statualità. Dal trattato viene posto in essere

invece un soggetto che decide sovranazionalmente e sussidiariamente quanto più è

lontano dalla dimensione politica, mentre nella dimensione politica propriamente

detta si affida a logiche intergovernative. Il TUE non fa che ‘fotografare’ questa

realtà com’essa è e com’essa si ripercuote sulle interpretazioni del principio di

sussidiarietà.

173 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 79. Sulle tematiche fin qui trattate cfr. anche la nota della Commissione Le principe de subsidiarité, cit., pp. 733-734. 174 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 70-71.

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Capitolo 6. Da Amsterdam al Trattato Costituzionale del 2004: il

problema dell’applicazione istituzionale del principio di sussidiarietà

Nella versione di Maastricht il principio di sussidiarietà è tanto il garante del

funzionamento dell’integrazione economica, quanto il garante dell’autonomia degli

Stati membri sul piano dei rapporti intracomunitari. Sottoposto al principio di

ripartizione delle competenze che dipende dalla lettera del trattato, esso garantisce

la giustapposizione di un modello quasi del tutto federale e di un modello

confederale. Il sistema dell’Unione europea si presenta con caratteristiche peculiari

non soltanto in quanto inedita combinazione di elementi federali e di elementi

confederali, ma anche perché “Il Consiglio rappresenta i governi degli Stati

membri, la Commissione rappresenta la competenza tecnica e la funzione

esecutiva, il Parlamento rappresenta i popoli europei. Rispettivamente la logica

politica intergovernativa, la logica tecnocratica e la logica democratica sono così

ben combinate nel governo in senso lato dell’Unione, secondo quella che possiamo

interpretare come una versione moderna del modello, attribuito a Montesquieu, del

“Governo misto.””175 Il Consiglio ha un potere legislativo, che condivide sempre

più con il Parlamento europeo, sia un potere esecutivo, che condivide con la

Commissione. Il nucleo di questo plesso istituzionale è il principio secondo il

quale le decisioni devono essere prese al livello più vicino al cittadino, fermo

restando il fatto che l’ “esternalità” di una decisione fa scattare immediatamente il

principio di sussidiarietà nel suo aspetto positivo per il “primo pilastro.”

Una realtà come quella dell’Unione europea in cui gli Stati membri rimangono

“padroni dei trattati,” ma in cui il livello di compenetrazione delle economie ha

creato istanze sovranazionali, trova in tale assetto istituzionale la sua forma

momentaneamente ottimale. Il rapporto fra sovranazionalità e intergovernatività è

garantito dal principio di sussidiarietà, subordinato al principio di ripartizione delle

competenze. Il principio di sussidiarietà si trova a essere quindi un principio

175 M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, p. 145.

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regolatore fondamentale per mediare un sistema eterogeneo, un sistema plurale

che, al momento, non si disgregato, né ha potuto evolvere a sistema federale. Nel

TUE è stata inserita la clausola dell’ opting out: uno Stato membro può rifiutare di

fare parte di politiche comuni senza, per questo, uscire dall’Unione. La moneta

unica, la difesa, la cittadinanza suscitano richieste di opting out che configurano

una “geometria variabile” dell’Unione. L’omogeneità-eterogeneità del sistema (che

si caratterizza come multilevel governance)176 comporta la scarsa solidità dell’UE

come soggetto politico sulla scena della politica mondiale e si sovrappone alla

solidità del sistema economico integrato esprimentesi ormai nella moneta unica.

Con il Trattato di Amsterdam177 si afferma l’esigenza di tutelare il rispetto del

principio di sussidiarietà enunciato dal TUE. Non a caso: esso è la cerniera che

connette sovranazionalità e Stati membri a livello dei rapporti comunitari. La

ripartizione delle competenze è tutelata dalla lettera dei trattati; la proporzionalità

dipende dalla sussidiarietà. Quest’ultima va adeguatamente normata perché da essa

dipende la vita stessa dell’Unione, la connessione tra i vari livelli della governance

al livello in cui più solidi sono stati i risultati del processo di integrazione.

La normazione contenuta nel Protocollo n. 30 sull’applicazione dei principi di

sussidiarietà e di proporzionalità del Trattato di Amsterdam introduce elementi

innovatori di grande momento.178 Il punto 3 recita: “La sussidiarietà è un concetto

dinamico179 e dovrebbe essere applicata alla luce degli obiettivi stabiliti nel

trattato. Essa consente che l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue

competenze, sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente,

ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata.” L’elasticità del principio

permette di adattare la funzionalità del principio stesso alle circostanze rispettando,

con ogni evidenza, la variazione delle geometrie dell’ Unione, variazione che non

può essere ininfluente riguardo ai poteri dell'Unione stessa. Variazione che dipende

dalla volontà degli Stati membri. Pertanto (punto 4) “le motivazioni di ciascuna

proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde giustificare la conformità

176 Cfr. W. Wessels (a cura di), The E.U. and Members States, Toward Institutional Fusion?, Manchester University Press, Manchester, 1996. 177 Cfr. F. POCAR-M. TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea, decima edizione, con la collaborazione di L. Sandrini, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 133-173 contenenti il testo del Trattato. 178 Si veda però l’Annex to the Conclusions of the Presidency of the European Concil at Edinburgh 11-12 December 1992 riprodotto in A. Duff (a cura di), Subsidiarity, cit., pp. 117-130

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della proposta ai principi di sussidiarietà e proporzionalità; le ragioni che hanno

portato a concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio

dalla Comunità devono essere confortate da indicatori qualitativi o, ove sia

possibile, quantitativi.”180 Siamo di fronte, come è stato notato,181 a un “metodo

dialogante.” I soggetti del dialogo sono la Comunità e gli Stati membri: ragioni si

oppongono a ragioni, entrambe fondate su indicatori qualitativi o quantitativi. Si

tratta, dunque, di esporre le ragioni che inducono, sulla base della “esternalità” a

preferire l’azione comunitaria, oppure l’azione degli Stati membri. Se l’azione

degli Stati membri non basta al conseguimento degli obiettivi fissati dai trattati,

allora subentra l’azione della Comunità. L’insufficienza degli Stati membri al

conseguimento di questi obiettivi deve risultare dal dialogo intracomunitario, non

da un’autorità, tecnica o politica. Non a caso, il punto 6 stabilisce che “a parità di

altre condizioni, le direttive dovrebbero essere preferite ai regolamenti e le

direttive quadro a misure dettagliate.”182 Ciò significa che la Comunità si riconosce

comunque poteri di indirizzo; sta negli Stati membri tradurre le indicazioni

generali in politiche locali. La Comunità: ma chi ha il diritto di iniziativa è la

Commissione; in merito il punto 9 stabilisce che essa dovrebbe: “-eccettuati i casi

di particolare urgenza o riservatezza, effettuare ampie consultazioni prima di

proporre atti legislativi e se necessario pubblicare i documenti delle consultazioni;

-giustificare la pertinenza delle sue proposte con il riferimento al principio di

sussidiarietà; se necessario, la motivazione che accompagna la proposta fornirà

dettagli a questo riguardo.”183 E’ la naturale evoluzione del dibattito sulla

sussidiarietà iniziato alla metà degli anni settanta: parlare di

sufficienza/insufficienza degli Stati membri rispetto al conseguimento di obiettivi

comunitari significa usare una terminologia diversa per parlare di “esternalità” o

“internalità” degli esiti delle politiche di cui gli strumenti legislativi sono mezzi.

Significa dirimere le inevitabili questioni ricorrendo al parametro raggio d’azione

della Comunità sopranazionale / raggio d’azione degli Stati membri in relazione a

obiettivi riconosciuti da tutti gli Stati membri. Significa introdurre un modello di

179 Cfr. Annex, cit., p. 118: “Subsidiarity is a dynamic concept and should be applied in the light of the objectives set out in the Treaty.”cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 288. Il testo del Protocollo occupa le pp. 287-288. 180 Cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 288. 181 Cfr. COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 66. 182 Cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 289. 183 Ibidem. Sul ruolo della Commissione nell’implementazione dell’art. 3 B del Trattato di Maastricht cfr. Annex, cit., pp.121-122.

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sussidiarietà circolare o orizzontale che deriva dalle pratiche dell’integrazione

economica. Un modello che potrebbe estendersi anche alle entità substatuali

tutelando autonomie locali, livello statale e livello sovranazionale e facendone un

sistema plurale, differenziato, ma unitario. Le categorie accentramento /

decentramento qui non servono: ci troviamo di fronte al progetto di una circolarità

sistemica, di una sussidiarietà positiva, che è democratica, data l’uguale dignità di

tutti i soggetti dialoganti e l’uguale possibilità di accesso al dialogo istituzionale.

La domanda in merito non è soltanto “chi decide?,” ma anche “come decide, in

base a quali elementi razionali, di pubblica ragione?” Ma qual è l’area di cui sta

parlando il Protocollo? Il criterio della sussidiarietà, sia pure subordinato al

principio della ripartizione delle competenze, è estensibile a tutti i pilastri

dell’Unione, a tutte le sue politiche, esso non riguarda necessariamente soltanto il

pilastro della Comunità economica. Sennonché, in aree gestite in modo

intergovernativo, non esiste una dimensione propriamente sovranazionale rispetto

alla quale porre il problema della sussidiarietà positiva circolare. Nel Consiglio dei

Ministri, così come nel Consiglio Europeo, Stati sovrani si confrontano con Stati

sovrani, anche se vincolati tutti al rispetto del Trattato comunemente sottoscritto; e

il Trattato non è istanza di potere sussidiario, non è istituzione: è l’esito di un

insieme di accordi, conseguiti secondo le regole della diplomazia. Non esiste una

istanza sovranazionale con la quale gli Stati debbano confrontarsi. La realtà è più

complessa, più simile ai regimi internazionali; sennonché il Consiglio può votare a

maggioranza qualificata e qui gli Stati riconoscono un livello di interesse comune

tale da fare si che la minoranza si pieghi alle decisioni della maggioranza. Ma

questo “livello di interesse comune” non è un’istituzione, non è un potere; la

sussidiarietà positiva circolare si ferma quindi, propriamente, alle porte del

Consiglio Europeo e del Consiglio dei Ministri; la sussidiarietà negativa invece vi

ha un ruolo plausibilmente notevole.184 La sussidiarietà positiva circolare entra in

gioco a partire dalle proposte della Commissione, a partire dall’azione del

Parlamento Europeo (codecisione legislativa con il Consiglio, parere conforme,

possibilità di censurare la Commissione): aree in cui il dialogo interistituzionale

configura il rapporto tra tecnocrazia, rappresentanti degli Stati e rappresentanti dei

popoli, vale a dire fra due istanze sovranazionali (Commissione e Parlamento

184 Cfr. Annex, cit., pp. 122-123 sul ruolo del Consiglio in merito all’implementazione dell’art. 3 B del Trattato di Maastricht.

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Europeo) e le istanze intergovernative (Consiglio Europeo e Consiglio dei

Ministri).

Sia il Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, sia il Trattato che

istituisce l’Unione Europea sono accompagnati da protocolli sull’applicazione del

principio di sussidiarietà.

Il Progetto, presentato nel giugno del 2003 al Consiglio Europeo di Salonicco e

utilizzato come base di negoziato nella CIG dell’ottobre 2003, è stato l’esito, per la

prima volta, di una procedura non di tipo diplomatico, ma della convocazione di

una Convenzione (28 febbraio 2002-13 giugno 2003) costituita da un organo

consultivo formato dai rappresentanti degli Stati e dai rappresentanti dei

Parlamenti nazionali, del Parlamento Europeo, della Commissione e degli

osservatori. Oggetto di valutazioni contrastanti quanto alle innovazioni in fatto di

sovranazionalità185 il suo Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà

e di proporzionalità costituisce un’articolata proposta che riflette alla perfezione la

realtà che l’Unione dovrebbe assumere in veste costituzionale.

Si stabilisce che “prima di proporre un atto legislativo, la Commissione effettua

ampie consultazioni. Tali consultazioni devono tener conto, se del caso, della

dimensione regionale e locale delle azioni previste. Nei casi di straordinaria

urgenza, la Commissione non procede a dette consultazioni. Essa motiva la

decisione nella proposta.”186 L’estensione spaziale della concreta realizzazione

delle proposte, vecchio retaggio del problema dell’”esternalità”, è definitivamente

acquisito; così come è acquisita la motivazione razionale della proposta. La

Commissione deve inviare tutte le proposte legislative e la proposte modificate ai

parlamenti regionali degli Stati membri “nello stesso momento in cui le invia al

legislatore dell’Unione.”187 Non appena adottate, le risoluzioni legislative del

Parlamento Europeo e le posizioni del Consiglio dei ministri sono inviate “da

questi ultimi ai parlamenti nazionali.”188 Il dialogo interistituzionale all’interno

dell’Unione e tra quest’ultima e gli Stati membri è posto come elemento principale,

centrale della dinamica politica.

185 Cfr. TELÒ, Dallo Stato all’Europa, cit., p. 238. 186 Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2003, p. 275, § 2. Il principio di sussidiarietà è esposto nell’art. I-9. La dimensione regionale e quella locale era già stata menzionata nel Rapporto sull’Unione economica e monetaria del 1989, § 20 in rapporto al principio di sussidiarietà. 187 Progetto, cit., p. 275, § 3. 188 Ibid.

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La Commissione deve motivare le sue proposte riguardo al principio di

sussidiarietà e di proporzionalità: “ogni proposta legislativa dovrebbe essere

accompagnata da una scheda contenente elementi circostanziati che consentano di

valutare il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tale scheda

dovrebbe fornire elementi che consentano di valutarne l’impatto finanziario e le

conseguenze, quando si tratta di una legge quadro europea, sulla regolamentazione

che sarà attuata dagli Stati membri, ivi compresa, se del caso, la legislazione

regionale.”189 Il dialogo istituzionale è visibilmente esteso agli impatti regionali

della legislazione europea, anche se il Comitato delle Regioni ha soltanto un potere

consultivo. Viene articolato uno spazio amministrativo che va definito

sovranazionale e va visto come un’entità articolata nazionalmente e regionalmente.

Sono previsti indicatori quantitativi e ove possibile qualitativi che meglio

permettano all’Unione di valutare l’incidenza di ogni azione sull’intero arco delle

articolazioni dell’Unione. Ogni Parlamento nazionale o ciascuna camera dei

parlamenti nazionali può inviare – entro sei settimane a decorrere dalla data di

trasmissione della proposta legislativa della Commissione – ai presidenti del

Parlamento Europeo, del Consiglio dei Ministri e della Commissione “un parere

motivato che esponga le ragioni per le quali ritiene che la proposta in causa non sia

conforme al principio di sussidiarietà.”190 Di questi pareri i destinatari tengono

conto. Si vede bene che ogni istituzione è chiamata a vigilare sul rispetto del

principio di sussidiarietà e che questa vigilanza fa parte integrante del dialogo

istituzionale.

Sia pure in subordine rispetto al principio di attribuzione delle competenze, il

principio assume una rilevanza costituzionale. Se l’Unione è fondata sul dialogo

tra istituzioni sovranazionali, Stati nazionali ed entità substatuali, la sussidiarietà è

la procedura sostanziale del decision making al quale è finalizzato il dialogo. I

deficit di democrazia sono indubbiamente un limite considerevole per un sistema

che sembra avviarsi sulla strada della doppia legittimità (rappresentanti degli Stati

e rappresentanti dei popoli). Un potere sussidiario funziona nella doppia

189 Progetto, cit., p. 275, § 4. 190 Progetto, cit., p. 276, § 5. La Commissione è tenuta a riesaminare la proposta se i pareri motivati rappresentano almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali degli Stati membri e alle Camere dei Parlamenti nazionali (Ibid., p. 276 § 6). La soglia è di almeno un quarto qualora si tratti di una proposta della Commissione o di un’iniziativa che emana da un gruppo di stati membri nel quadro delle disposizioni dell’articolo III-165 della Costituzione riguardante lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Al termine del riesame la Commissione può decidere di mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla, ma deve motivare la decisione.

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legittimità, ma quando un organo (il Parlamento) non ha potere legislativo e

quest’organo è proprio quello che rappresenta i popoli la menomazione del dialogo

è grave. Perché non c’è autentico dialogo fra realtà dotate di peso politico dispari.

Il Trattato firmato nel giugno del 2004191 reca, nel Protocollo alcune modifiche

nella disposizione degli articoli, ma mantiene inalterata la sostanza e, per lo più,

anche la lettera del Protocollo contenuto nel Progetto del 2003.

I Protocolli del 2003 e del 2004 sono figli legittimi del Protocollo di Amsterdam e

rappresentano lo sforzo di costituire l’architettura di un sistema estremamente

flessibile nel quale vengono a convergere tutte le tensioni, tutte le difficoltà che

hanno accompagnato il processo dell’integrazione europea.

Che l’Unione europea debba darsi una statualità ulteriore rispetto a quella,

contraddittoria e debole che essa già possiede, per quanto inedita e lontana dalle

forme già note nella tradizione politica occidentale, è un fatto evidente soprattutto

dall’esigenza di presentarsi come attore politico sulla scena mondiale.

I fatti dell’ 11 settembre hanno contribuito, secondo una interpretazione

interessante, “determinando nuove richieste di sicurezza e la necessità di

fronteggiare le emergenze economiche” a rafforzare gli Stati-nazione.192 Ciò ha

comportato un rafforzamento della natura intergovernativa dell’Unione nei settori

delle politiche estere, di sicurezza e difesa. Tuttavia, gli Stati nazione non hanno le

dimensioni per fronteggiare le emergenze economiche da soli;193 hanno potuto

farlo soltanto insieme, come la vicenda delle origini dell’Unione Monetaria

europea dimostra ampiamente nel suo intero arco di sviluppo, per limitarci a un

solo settore. E’ innegabile che anche l’emergenza-terrorismo non è agevolmente

contrastabile dagli Stati-nazione europei in condizioni di isolamento; la

cooperazione anti-terrorismo ha minori difetti della cooperazione monetaria, ma è

difficilmente discutibile che un soggetto politico europeo unitario potrebbe agire

con maggiore tempestività. Si tratta di questioni che convergono tutte verso una

domanda di guida politica che non potrebbe configurarsi altrimenti che come

potere sussidiario animato da un principio di movimento federalista-comunicativo.

191 “Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea”, 16. 12. 2004, C310/207-209. Il principio di sussidiarietà è esposto nell’art- I-11. 192 JEAN, Geopolitica del XXI secolo, cit., p. 78. 193 Sul rapporto fra Stato e globalizzazione considerato dall’angolo visuale del nostro problema, oltre al celebre volume di KENICHI OHMAE, La fine dello Stato, tr. it. Milano, Baldini & Castoldi, 1993, si veda il saggio sintetico, ma ricco di dati e di considerazioni analitiche, pubblicato da W. ANDREFF, Le multinazionali globali (1996), Trieste, Asterios, 2000, c. V.

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L’urgere di questa necessità oggettiva traluce dalle pagine del Trattato: l’Unione

europea ha espresso precisi interessi economici ai quali finora è mancata una ‘testa

politica.’ Che essa non possa essere esito immancabile, automatico,

dell’integrazione funzionale lo si è visto: può esserci moneta unica senza un centro

decisionale politico unitario; ma non può esserci politica unitaria economica nei

confronti di paesi terzi senza un centro decisionale politico. Esso non può, né deve

cancellare gli Stati-nazione; ma deve esserci, come potere sussidiario. Dall’assenza

di questo centro non è danneggiata soltanto la politica estera dell’Unione, né

soltanto il GAI (e sarebbe già troppo), ma la stessa politica estera economica. Che

il centro decisionale politico unitario possa essere concepito secondo le indicazioni

convergenti del modello di razionalità dialogica del potere sussidiario teorizzato da

Cotturri e di quello del paradigma federalista comunicativo ideato da Malandrino è

un’indicazione che crediamo faccia eco a quanto è stato scritto più di dieci anni

orsono da Padoa Schioppa: “La sussidiarietà, non il leviatano, è la parola d’ordine

per l’unione politica europea.”194

194 PADOA SCHIOPPA, L’Europa verso l’unione monetaria, cit., p. 210.

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Capitolo 7. Conclusioni

Il percorso che abbiamo tentato di ricostruire ha evidenziato che la vicenda

dell’integrazione europea è anche la vicenda di una situazione sussidiaria che si è

sviluppata fin dall’inizio enucleando l’esigenza di istituzioni sovranazionali dotate

di potere sussidiario a partire dai settori e dagli ambiti in cui più stretta era

l’interdipendenza fra gli Stati membri. L’esigenza di un potere sussidiario e di una

prassi dialogica, comunicativa, nel rapporto interistituzionale, si è manifestata con

connotati politici nel momento in cui le urgenze degli sviluppi storici dopo il 1989

hanno richiesto alla costruzione europea di compiere quei passi che avrebbero

potuto creare un soggetto politico europeo, attivo sulla scena mondiale. Abbiamo

visto, tuttavia, che la situazione sussidiaria può evolvere verso forme di potere

sussidiario dal punto di vista politico soltanto nella misura in cui lo stimolo a

creare e a potenziare istituzioni sovranazionali è effettivamente accolto dai paesi

membri. Nella misura in cui un ambito, un settore, è gestito intergovernativamente,

la situazione sussidiaria non può creare un potere sussidiario e la prassi dialogica

fra le istituzioni manca di unitarietà. Tuttavia fra i diversi casi di integrazione

regionale, l’UE è l’unica situazione sussidiaria che abbia sviluppato, finora, sia

pure in modo parziale e contraddittorio, come si è visto, l’esigenza esplicita di un

potere sussidiario.

L’Unione attualmente, come si è detto, non è una federazione, né una

confederazione; è l’esito contraddittorio e reversibile di una situazione sussidiaria

nata dalle contingenze della guerra fredda, sviluppatasi all’ombra del bipolarismo e

trovatasi nella necessità oggettiva di pensarsi come soggetto politico soltanto con il

crollo del blocco “socialista”: gli Stati membri non possono sussistere separati e

non possono integrarsi se non restando autonomi. Il loro livello di integrazione è

assai alto sul piano dei rapporti economici al punto che esso ha prodotto l’esigenza

dell’Unione Monetaria (anche se eurolandia non coincide con i confini politici

dell’Unione Europea, rispetto alla quale è più piccola), è molto basso sul piano dei

rapporti politici. Ed è chiaro che il giudizio che è possibile formarsi sul ruolo

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dell’Unione Europea nel mondo varia molto a seconda che la si consideri come

attore economico, oppure come attore politico. Nel primo caso il principio di

sussidiarietà ha dimostrato e dimostra pienamente la sua efficienza. Ciò non è

strano se si pensa che in linea generale, la situazione sussidiaria caratterizza le

integrazioni regionali presentandosi primariamente come esito dell’esigenza di

integrare economicamente determinate aree. L’esigenza dell’integrazione politica,

quando essa si presenta, tende a farlo come continuazione dell’integrazione

economica, e trova ostacoli da parte degli Stati membri. Di per sé il principio di

sussidiarietà non è più adatto alla prima di quanto non lo sia alla seconda e se si

rilegge l’art. I-11 del Trattato del 2004, si constata che il principio di sussidiarietà

ivi enunciato potrebbe attagliarsi bene a una forma di potere sussidiario. Che ciò

accada, però, dipende esclusivamente dall’uso politico che si fa del principio.

Dal punto di vista giuridico si è sostenuto che “in modo speculare a quanto avviene

con le costituzioni degli Stati membri, che non possono essere comprese nella loro

totalità reale senza tener conto del diritto comunitario, il diritto primario

dell’Unione Europea non funziona né si spiega nella sua natura e struttura senza

riferimento alle costituzioni nazionali.”195 Da questo punto di vista si delinea un

approccio in termini di “costituzionalismo a più livelli” convergente sia con la

prospettiva del ‘potere sussidiario’ avanzata da Cotturri, sia con il paradigma

federalista-comunicativo teorizzato da Malandrino. L'Unione europea forma “un

sistema costituzionale composto di un livello nazionale e di un livello

sovranazionale di potere pubblico legittimo, i quali si influenzano reciprocamente,

coinvolgendo a più dimensioni i singoli cittadini ovvero i medesimi soggetti di

diritto […].”196L’angolo visuale giuridico rispecchia fedelmente il carattere

peculiare della situazione sussidiaria creatasi in oltre cinquant’anni di storia

dell’integrazione europea: una vera poliarchia o una multilevel governance che

realizza effettivamente, nel concreto, una “terza via” tra centralismo e ‘atomismo’.

La sussidiarietà garantisce l’unità amministrativa attraverso la molteplicità delle

appartenenze e delle identità e potrebbe garantire allo stesso modo anche l’unità

politica.

L’unità politica non si definisce esclusivamente riguardo alla ‘politica interna’

dell’Unione. Non è un luogo comune riaffermare che essa, anche quando sia

195 I. PERNICE- F. MAYER, La Costituzione integrata dell’Europa in Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, cit., p. 48.

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articolata in forma di potere sussidiario e funzioni nei termini di una logica

federalista-comunicativa, ha, almeno in prospettiva, nella politica estera il suo

banco di prova. Ed è in questo ambito, probabilmente, che si preparano le sfide più

onerose per un organismo politico atipico, cresciuto per la estensione progressiva

dei legami di sussidiarietà soprattutto sul terreno economico. L’attuazione del

principio di sussidiarietà comporta la creazione di un sentimento di appartenenza;

quest’ultimo è anche un sentimento di distinzione rispetto alle altre compagini

politiche che calcano la scena della politica mondiale. Un simile sentimento non

può svilupparsi attraverso la prassi intergovernativa che governa la politica estera

europea; esso ha bisogno del radicamento in una molteplicità di centri decisionali

che esprimano istituzionalmente il senso dell’appartenenza all’Unione anche

attraverso la gestione della politica estera. L’estensione del principio di

sussidiarietà all’ambito della gestione della politica estera, richiederebbe

all’Unione una solida autoconfigurazione politica nell’ambito delle relazioni

internazionali; di quest’ultima, per ora, non ci sono che alcuni segnali contenuti,

tutti, nel Trattato costituzionale firmato il 29 ottobre del 2004 e attualmente

bloccato nel processo di ratifica.

L’Unione europea è in fase di crescita pacifica (ma non priva di contraddizioni) dal

punto di vista dell’estensione territoriale; un fattore in più che potrebbe rendere

necessario l’estensione dell’utilizzo del principio di sussidiarietà nell’Unione

Europea è proprio il processo dell’allargamento. Dall’originario gruppo dei sei,

l’Europa comunitaria si è allargata a nove (1972), poi a dodici, a quindici, sino a

giungere oggi a venticinque. L’allargamento al quale non corrisponda una forma di

statualità dotata di legittimità democratica nella forma di un potere sussidiario in

grado di produrre unità attraverso la diversità, può effettivamente indebolire

l’Unione.197 Ma la legittimità democratica dell’Unione dipende soprattutto da un

accresciuto ruolo del Parlamento europeo, dalla pubblicità delle sedute del

Consiglio quando esercita funzioni legislative: elementi, tutti, che si trovano nel

Trattato firmato nel 2004 la cui ratifica, com’è noto, si è arenata. E dipende,

196 Ivi, p. 49. Sullo statuto del cittadino europeo nell’Unione e sul ‘popolo’ europeo vd. pp. 53-55 197 Sul possibile indebolimento dell’Europa in conseguenza dell’allargamento cfr. Jean, Geopolitica del XXI secolo, cit., p. 90 che riporta ironicamente la formula “più europei, meno Europa.” Più articolato è invece il quadro che emerge dal saggio di P. S. BLESA ALEDO, The Consequences of the Enlargement of the EU for the Common Foreign Policy and for the Common European Defence Policy, in Landuyt- Pasquinucci (a cura di) Gli allargamenti della CEE / UE, cit., Tomo II, pp. 913-940.

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soprattutto, da un modo corretto di intendere la cittadinanza europea: “Gli

individui-soggetti federativi sono considerabili […] nella sfera individuale-

personale e in relazione ai gruppi di appartenenza già costituiti e legittimati: sono

“cittadini” presi singolarmente che, unitisi in popolo per una decisione

esclusivamente politica, grazie a un patto “costituzionale” divengono in

determinati periodi e contesti milanesi e parigini; piemontesi e bavaresi; italiani,

francesi e tedeschi, ecc; infine europei. Tutto ciò avviene senza che siano privati

della genetica capacità di appartenere identitariamente ai gruppi-soggetti locali,

regionali, nazionali o sovranazionali.”198 Un uso della sussidiarietà in senso

orizzontale potrebbe essere in questo caso una delle migliori premesse perché

l’allargamento proceda di pari passo con l’approfondimento.199 Un simile uso della

sussidiarietà richiede, quale conditio sine qua non per la propria efficacia, una

profonda democratizzazione della vita istituzionale dell’Unione che sia coerente

con i caratteri fondamentali delle istituzioni che hanno preso corpo in mezzo

secolo di storia della costruzione europea. Ma ciò non deriverà, sic et simpliciter,

dalle dinamiche economiche della situazione sussidiaria europea, come la storia

dell’integrazione ha mostrato e sta mostrando e come l’autocritica del

funzionalismo compiuta nel 1967 da Haas200 ha evidenziato. La logica

dell’integrazione intesa anche come logica del passaggio da una situazione

sussidiaria a un potere sussidiario è sempre una logica politica (pur se

economicamente condizionata), perché basata sulla scelta fra ciò che incrementa

l’unità nella pluralità (la lettura politica del principio di sussidiarietà) e ciò che

rischia invece di deprimerla; la logica politica, a sua volta, non è soltanto logica

della politica interna, ma è anche la ‘legge di movimento’ del soggetto istituzionale

europeo sull’arena della politica mondiale.

198 MALANDRINO, Sovranità nazionale e pensiero critico federalista., cit., p. 242 e ID.,’Popolo europeo’ e paradigma federalista-comunicativo. Dall’unione dei popoli alla federazione dei cittadini europei in ID. (a cura di), Un popolo per l’Europa unita, cit.,pp.1-39. 199 Sul nesso fra cittadinanza europea e sussidiarietà cfr. C. DU GRANRUT, La citoyenneté européenne. Une application du principe de subsidiarité, Paris, L.G.D.J., 1997, specialmente alle pp. 117-154. 200 Cfr. HAAS, The Uniting of Europe and the Uniting of Latin America, cit.; ID., The Uniting of Europe, cit., Preface, pp. XIV-XXXII.

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Elenco delle abbreviazioni

ASEAN: Association of South-East Asian Nations

AUE: Atto Unico Europeo

BCE: Banca Centrale Europea

CECA: Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio

CED: Comunità Europea di Difesa

CEE: Comunità Economica Europea

CPE: Comunità Politica Europea

ECA: European Cooperation Administration

ECOWAS: Economic Community of West African States

ECU: European Currency Unit

ERP: European Recovery Program

FEOGA: Fondo Europeo agricolo di orientamento e Garanzia

FMI: Fondo Monetario Internazionale

GAI: Giustizia e Affari Interni

MERCOSUR: Mercato Comùn del Sur

NAFTA: North American Free Trade Agreement

NATO: North Atlantic Treaty Organization

OECE: Organizzazione Europea di Cooperazione Economica

PESC: Politica Estera e di Sicurezza Comune

SME: Sistema Monetario Europeo

TUE: Trattato che istituisce l’Unione Europea

UE: Unione Europea

UEO: Unione Europea Occidentale

UEP: Unione Europea dei Pagamenti

UNRRA: United Nations Relief and Rehabilitation Administration

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SOMMARIO

Premessa……………………………………………………………… …… p. 2

Introduzione: ambiguità o flessibilità del concetto di sussidiarietà?….. p. 4

Capitolo1. Integrazione e sussidiarietà……………………………………. p. 18

Capitolo 2. Integrazione europea e sussidiarietà ‘implicita’……………… p. 27

Capitolo 3. Integrazione europea e sussidiarietà ‘esplicita’……………… p. 38

Capitolo 4. Verso Maastricht…………………………………………… p. 47

Capitolo 5. La positivizzazione del principio di sussidiarietà: premesse storiche e

formulazione del Trattato di Maastricht………………………………….. p. 55

Capitolo 6. Da Amsterdam al Trattato costituzionale del 2004: il problema

dell’applicazione del principio di sussidiarietà………………………… p. 63

Capitolo 7. Conclusioni……………………………………………. p.71

Bibliografia………………………………………………………… p. 75

Elenco delle abbreviazioni…………………………………………… p. 87

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Working Papers The full text of the working papers is downloadable at http://polis.unipmn.it/

*Economics Series **Political Theory Series ε Al.Ex Series

2005 n.55** Francesco Ingravalle, La sussidiarietà nei trattati e nelle istituzioni politiche dell'UE.

2005 n. 54* Rosella Levaggi and Marcello Montefiori, It takes three to tango: soft budget constraint and cream skimming in the hospital care market

2005 n.53* Ferruccio Ponzano, Competition among different levels of government: the re-election problem.

2005 n.52* Andrea Sisto and Roberto Zanola, Rationally addicted to cinema and TV? An empirical investigation of Italian consumers.

2005 n.51* Luigi Bernardi and Angela Fraschini, Tax system and tax reforms in India

2005 n.50* Ferruccio Ponzano, Optimal provision of public goods under imperfect intergovernmental competition.

2005 n.49* F.Amisano A.Cassone, Proprieta’ intellettuale e mercati: il ruolo della tecnologia e conseguenze microeconomiche

2005 n.48* Tapan Mitra e Fabio Privileggi, Cantor Type Attractors in Stochastic Growth Models

2005 n.47ε Guido Ortona, Voting on the Electoral System: an Experiment

2004 n.46ε Stefania Ottone, Transfers and altruistic Punishments in Third Party Punishment Game Experiments.

2004 n.45* Daniele Bondonio, Do business incentives increase employment in declining areas? Mean impacts versus impacts by degrees of economic distress.

2004 n.44** Joerg Luther, La valorizzazione del Museo provinciale della battaglia di Marengo: un parere di diritto pubblico

2004 n.43* Ferruccio Ponzano, The allocation of the income tax among different levels of government: a theoretical solution

2004 n.42* Albert Breton e Angela Fraschini, Intergovernmental equalization grants: some fundamental principles

2004 n.41* Andrea Sisto, Roberto Zanola, Rational Addiction to Cinema? A Dynamic Panel Analisis of European Countries

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2004 n.40** Francesco Ingravalle, Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. W. Nietzsche

2003 n.39ε Marie Edith Bissey, Claudia Canegallo, Guido Ortona and Francesco Scacciati, Competition vs. cooperation. An experimental inquiry

2003 n.38ε Marie-Edith Bissey, Mauro Carini, Guido Ortona, ALEX3: a simulation program to compare electoral systems

2003 n.37* Cinzia Di Novi, Regolazione dei prezzi o razionamento: l’efficacia dei due sistemi di allocazione nella fornitura di risorse scarse a coloro che ne hanno maggiore necessita’

2003 n. 36* Marilena Localtelli, Roberto Zanola, The Market for Picasso Prints: An Hybrid Model Approach

2003 n. 35* Marcello Montefiori, Hotelling competition on quality in the health care market.

2003 n. 34* Michela Gobbi, A Viable Alternative: the Scandinavian Model of “Social Democracy”

2002 n. 33* Mario Ferrero, Radicalization as a reaction to failure: an economic model of islamic extremism

2002 n. 32ε Guido Ortona, Choosing the electoral system – why not simply the best one?

2002 n. 31** Silvano Belligni, Francesco Ingravalle, Guido Ortona, Pasquale Pasquino, Michel Senellart, Trasformazioni della politica. Contributi al seminario di Teoria politica

2002 n. 30* Franco Amisano, La corruzione amministrativa in una burocrazia di tipo concorrenziale: modelli di analisi economica.

2002 n. 29* Marcello Montefiori, Libertà di scelta e contratti prospettici: l’asimmetria informativa nel mercato delle cure sanitarie ospedaliere

2002 n. 28* Daniele Bondonio, Evaluating the Employment Impact of Business Incentive

Programs in EU Disadvantaged Areas. A case from Northern Italy

2002 n. 27** Corrado Malandrino, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota”(1965-66)

2002 n. 26** Guido Franzinetti, Le Elezioni Galiziane al Reichsrat di Vienna, 1907-1911

2002 n. 25ε Marie-Edith Bissey and Guido Ortona, A simulative frame to study the integration of defectors in a cooperative setting

2001 n. 24* Ferruccio Ponzano, Efficiency wages and endogenous supervision technology

2001 n. 23* Alberto Cassone and Carla Marchese, Should the death tax die? And should it leave an inheritance?

2001 n. 22* Carla Marchese and Fabio Privileggi, Who participates in tax amnesties?

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Self-selection of risk-averse taxpayers

2001 n. 21* Claudia Canegallo, Una valutazione delle carriere dei giovani lavoratori atipici: la fedeltà aziendale premia?

2001 n. 20* Stefania Ottone, L'altruismo: atteggiamento irrazionale, strategia vincente o

amore per il prossimo?

2001 n. 19* Stefania Ravazzi, La lettura contemporanea del cosiddetto dibattito fra Hobbes e Hume

2001 n. 18* Alberto Cassone e Carla Marchese, Einaudi e i servizi pubblici, ovvero come contrastare i monopolisti predoni e la burocrazia corrotta

2001 n. 17* Daniele Bondonio, Evaluating Decentralized Policies: How to Compare the Performance of Economic Development Programs across Different Regions or States.

2000 n. 16* Guido Ortona, On the Xenophobia of non-discriminated Ethnic Minorities

2000 n. 15* Marilena Locatelli-Biey and Roberto Zanola, The Market for Sculptures: An Adjacent Year Regression Index

2000 n. 14* Daniele Bondonio, Metodi per la valutazione degli aiuti alle imprse con specifico target territoriale

2000 n. 13* Roberto Zanola, Public goods versus publicly provided private goods in a two-class economy

2000 n. 12** Gabriella Silvestrini, Il concetto di «governo della legge» nella tradizione repubblicana.

2000 n. 11** Silvano Belligni, Magistrati e politici nella crisi italiana. Democrazia dei

guardiani e neopopulismo

2000 n. 10* Rosella Levaggi and Roberto Zanola, The Flypaper Effect: Evidence from the

Italian National Health System

1999 n. 9* Mario Ferrero, A model of the political enterprise

1999 n. 8* Claudia Canegallo, Funzionamento del mercato del lavoro in presenza di informazione asimmetrica

1999 n. 7** Silvano Belligni, Corruzione, malcostume amministrativo e strategie etiche. Il ruolo dei codici.

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1999 n. 6* Carla Marchese and Fabio Privileggi, Taxpayers Attitudes Towaer Risk and

Amnesty Partecipation: Economic Analysis and Evidence for the Italian Case.

1999 n. 5* Luigi Montrucchio and Fabio Privileggi, On Fragility of Bubbles in Equilibrium Asset Pricing Models of Lucas-Type

1999 n. 4** Guido Ortona, A weighted-voting electoral system that performs quite well.

1999 n. 3* Mario Poma, Benefici economici e ambientali dei diritti di inquinamento: il caso della riduzione dell’acido cromico dai reflui industriali.

1999 n. 2* Guido Ortona, Una politica di emergenza contro la disoccupazione semplice, efficace equasi efficiente.

1998 n. 1* Fabio Privileggi, Carla Marchese and Alberto Cassone, Risk Attitudes and the Shift of Liability from the Principal to the Agent

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Department of Public Policy and Public Choice “Polis” The Department develops and encourages research in fields such as:

• theory of individual and collective choice; • economic approaches to political systems; • theory of public policy; • public policy analysis (with reference to environment, health care, work, family, culture,

etc.); • experiments in economics and the social sciences; • quantitative methods applied to economics and the social sciences; • game theory; • studies on social attitudes and preferences; • political philosophy and political theory; • history of political thought.

The Department has regular members and off-site collaborators from other private or public organizations.

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Please ensure that the final version of your manuscript conforms to the requirements listed below:

The manuscript should be typewritten single-faced and double-spaced with wide margins.

Include an abstract of no more than 100 words. Classify your article according to the Journal of Economic Literature classification system. Keep footnotes to a minimum and number them consecutively throughout the manuscript with superscript Arabic numerals. Acknowledgements and information on grants received can be given in a first footnote (indicated by an asterisk, not included in the consecutive numbering). Ensure that references to publications appearing in the text are given as follows: COASE (1992a; 1992b, ch. 4) has also criticized this bias.... and “...the market has an even more shadowy role than the firm” (COASE 1988, 7). List the complete references alphabetically as follows: Periodicals: KLEIN, B. (1980), “Transaction Cost Determinants of ‘Unfair’ Contractual Arrangements,” American Economic Review, 70(2), 356-362. KLEIN, B., R. G. CRAWFORD and A. A. ALCHIAN (1978), “Vertical Integration, Appropriable Rents, and the Competitive Contracting Process,” Journal of Law and Economics, 21(2), 297-326. Monographs: NELSON, R. R. and S. G. WINTER (1982), An Evolutionary Theory of Economic Change, 2nd ed., Harvard University Press: Cambridge, MA. Contributions to collective works: STIGLITZ, J. E. (1989), “Imperfect Information in the Product Market,” pp. 769-847, in R. SCHMALENSEE and R. D. WILLIG (eds.), Handbook of Industrial Organization, Vol. I, North Holland: Amsterdam-London-New York-Tokyo. Working papers: WILLIAMSON, O. E. (1993), “Redistribution and Efficiency: The Remediableness Standard,”

Working paper, Center for the Study of Law and Society, University of California, Berkeley.