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DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE Di Luisa Rotondo I CAPITOLO DIRITTO AD ADEMPIERE E RAPPORTO OBBLIGATORIO ESISTENZA DEL DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE: SPUNTI INTRODUTTIVI. La cultura e l'esperienza giuridica insegnano che l'uomo tende ad unirsi con altri uomini per costituire gruppi sociali, in quanto vi sono interessi che non possono essere soddisfatti se non attraverso la collaborazione di più uomini. "Unus homo, nullus homo" affermavano gli antichi romani, proprio per sottolineare l'importanza che la collaborazione e la

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DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE

Di Luisa Rotondo

I CAPITOLO

DIRITTO AD ADEMPIERE E RAPPORTO

OBBLIGATORIO

ESISTENZA DEL DIRITTO AD ADEMPIERE DEL

DEBITORE: SPUNTI INTRODUTTIVI.

La cultura e l'esperienza giuridica insegnano che l'uomo

tende ad unirsi con altri uomini per costituire gruppi sociali, in

quanto vi sono interessi che non possono essere soddisfatti se non

attraverso la collaborazione di più uomini.

"Unus homo, nullus homo" affermavano gli antichi romani,

proprio per sottolineare l'importanza che la collaborazione e la

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vita di relazione avrebbero avuto per lo sviluppo economico-

sociale, sia del singolo che della collettività.

Le posizioni di signoria, di esclusività, presentandosi come

situazioni di supremazia tutelate nei confronti di tutti, non

possono essere sufficienti alla vita sociale, che si basa sulla

collaborazione. Per la realizzazione di alcuni interessi si richiede

la relazione di consociati, dando luogo alla nascita di un rapporto,

che essendo riconosciuto degno di tutela dall'ordinamento

giuridico, acquista la denominazione di giuridico1. Presentandosi

come relazione di dare-avere, in cui il soggetto prestante è titolare

di un obbligo e il soggetto ricevente titolare di un potere, questo

rapporto viene denominato obbligatorio.

Esso, o più semplicemente obbligazione, sta ad indicare

una particolare categoria di situazioni nelle quali assistiamo al

fenomeno per cui un soggetto si trova giuridicamente tenuto ad

un dato comportamento nei confronti di un altro. L'obbligazione,

quindi si struttura come una relazione in cui la posizione di 1 Trabucchi, Istituzioni di Diritto Civile, Padova, 1991, pag.470 ss.

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subordinazione assume carattere peculiare, tale da costituire

elemento di identificazione del rapporto. L'obbligo di effettuare la

prestazione del soggetto passivo e nello stesso tempo il suo

adempimento costituisce oggetto principale della tutela

normativa. L'ordinamento giuridico si preoccupa che tale obbligo

venga ottemperato nei modi e nei tempi stabiliti nell'obbligazione,

concedendo al titolare attivo una serie di poteri e facoltà al fin di

vedere scongiurato il pericolo della non realizzazione del suo

diritto alla prestazione. Per cui il rapporto obbligatorio si presenta

strutturato come la contrapposizione di due definite posizione

soggettive: l'una costituita dal diritto del creditore di ricevere la

prestazione e l'altra dall'obbligo del debitore di adempiere la

prestazione. E' in questo contesto, in questa definizione della

struttura del rapporto obbligatorio, che s’inserisce la problematica

dell'esistenza di un diritto ad adempiere del debitore, accanto al

citato obbligo. Si è discusso se il creditore sia vincolato alla

prestazione se, sia tenuto ad avere un comportamento tale da

dover ricevere la prestazione, e se il debitore abbia un vero e

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proprio diritto a porre in essere ciò che sia necessario per attuare

l'oggetto della prestazione. La natura e la struttura di questo

diritto devono essere specificati in relazione a quella particolare

posizione soggettiva che il debitore assume all'interno del

rapporto obbligatorio, verificando se l'ordinamento giuridico

concede al subietto passivo gli stessi strumenti cautelativi, per la

realizzazione del suo obbligo, che concede al subietto attivo. Una

prima differenza, riguardante gli strumenti concessi

dall'ordinamento alle contrapposte parti, riguarda la tutela

dell'interesse costitutivo del rapporto. Viene preso in

considerazione come elemento funzionale soltanto l'interesse

creditorio, mentre l'interesse debendi non solo non viene previsto

e tutelato esplicitamente dalla normativa vigente, ma non si

considera elemento determinante per la costituzione

dell’obbligazione.

La differenza di tutela svanisce del tutto se però, prendiamo

in considerazione solo le posizioni soggettive del rapporto e se

consideriamo l'elemento del debito e del credito inscindibili.

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Partendo dall'inscindibilità degli elementi costitutivi ne deriva che

le posizioni di debito e di credito sono uguali e paritetiche,

concedendo al titolare attivo e al titolare passivo le stesse

possibilità di realizzare successive scelte differenziate dei loro

comportamenti in relazione al proprio interesse nel rapporto

obbligatorio. Entrambi sono titolari di poteri e di facoltà

giuridiche idonee ad attuare il proprio interesse e, quindi

entrambe possono utilizzare questi poteri quando l'interesse viene

leso. La possibile lesione dell'interesse debitorio costituisce il

punto di partenza per la delineazione della posizione soggettiva

di diritto ad attuare la propria prestazione, accanto alla principale

posizione di obbligo2. La problematica sulla verifica reale

esistenza e della configurazione di poteri e facoltà non può essere

effettuata se non si esaminano gli elementi oggettivi e soggettivi

del rapporto obbligatorio. La delineazione della posizione di

diritto all'interno del rapporto obbligatorio può essere compresa

2 Barassi, Teoria Generale delle Obbligazioni, Vol.I, Milano, 1946, pag.65 ss.

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solo se si effettua una disamina contenutistica sugli elementi che

lo costituiscono, e in particolare, sul concetto di obbligazione.

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IL RAPPORTO OBBLIGATORIO IN GENERALE.

II codice attuale evita di definire il concetto di

obbligazione, designando con tale termine una situazione

giuridica complessiva, da cui emerge il dato caratterizzante della

subordinazione del debitore. La proposta di scrivere una

definizione esauriente di obbligazione venne avanzata al tempo

della redazione del codice, nella prima relazione ministeriale del

1940, la quale contiene la formulazione del relativo concetto

nell’articolo 1: "Obbligazione è un vincolo in virtù del quale il

debitore è tenuto verso il creditore ad una prestazione positiva o

negativa. Il tentativo di imitare l'insegnamento di qualche codice

straniero, in particolare quello tedesco, che dedica una parte

generale alla spiegazione del concetto di obbligazione, fallì per

una serie di motivi. Si ritenne, in particolare, che la legge,

nell'assolvere il compito di creare categoria e concetti giuridici,

avesse prodotto effetti disastrosi se la definizione, avendo

acquisito valore di norma, fosse stata applicata in un contesto non

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giuridico; si temeva di concedere alla classe politica l'opportunità

di utilizzare affermazioni di principio ricavate dall'ideologia

dell'epoca3. L'obbligazione, non definita dal codice attuale ne da

quello del 1865, doveva essere, quindi, sottoposta ad uno studio

accurato per definire le caratteristiche strutturali e funzionali. La

moderna speculazione giuridica, nell'assolvere questo compito, ha

tratto insegnamento dai dati formati dalle fonti giuridiche romane,

in quanto proprio i Romani dedicarono una particolare attenzione

al momento obbligatorio del rapporto, inteso quale vincolo a

carico del debitore. E' al Corpus Juris che bisogna riferirsi per

intendere la natura giuridica dell’obbligazione e il posto che tale

nozione ha nell'ambito del diritto moderno4. Nelle Istituzioni di

Giustiniano il concetto era così descritto: "Obligatio est vinculum

iuris quo necessitate adstringimur alicuis solvandae rei secundum

nostrae civitatis iura" da cui deriva che l'obbligazione è un

3 Giorgianni, Le Obbligazioni, Catania, 1945, pag.14 ss. 4 Longo, Diritto delle Obbligazioni, Torino, 1950, pag.473.

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vincolo il quale si differenzia da tutti gli altri vincoli in quanto è

riconosciuto dall'ordinamento giuridico.

Le ultime parole di Giustiniano "secundum nostra civitatis

iura", sottolineano la necessità di questo riconoscimento e

l'importanza di esso in quanto funge da elemento di

differenziazione e di identificazione di questo rapporto rispetto ad

altri rapporti da cui discendono obblighi non giuridici, come ad

esempio morali o di concorrenza. Ciò che caratterizza questo

vincolo giuridico è lo stesso legame che esiste tra i soggetti del

rapporto; l'etimologia della parola "obligatio" chiarisce il

significato della sua natura, in quanto esso deriva da "ligure" che

vuol dire legame che in base al riconoscimento giuridico diventa

necessità5. Questa necessità si caratterizza come impossibilità di

risolvere il rapporto per volontà di una sola parte, poiché si deve

assolvere l'obbligazione anche contro la volontà di colui che ha

assunto: a testimonianza di ciò Modestino ci dice: “debetor

intelligitur is a quo invito exigi pecunia potest". L'obbligazione,

5 Trabucchi, op.cit., pag.473.

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essendo un rapporto quo necessitate destrigiunur, ha in sé il

carattere della coercibilità, in quanto l'inadempienza dell'obbligo

comporta l'applicazione della sanzione giuridica prevista dalla

norma. I doveri presenti nella vita di relazione sono molteplici,

ma non tutti sono azionabili, coercibili, e in quanto tali, sono

considerati irrilevanti per il diritto. Venendo meno la coercibilità

viene meno l'obligatio, la quale viene così intesa per realizzare

"alicens solvandae rei". Esso costituisce il contenuto dell'obbligo,

la sostanza dell'obbligazione, dalla cui definizione di Giustiniano

non è possibile rilevare quello che sono i suoi requisiti

fondamentali. La definizione non è inesatta ma incompleta in

quanto se per "solvere rem" si deve intendere il pagamento di una

cosa naturale, si farebbe riferimento soltanto ad una particolare

ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo

a cui far risalire tutte le ipotesi in cui un soggetto si obbliga nei

confronti di un altro. A chiarire i dati caratterizzanti il contenuto

del rapporto obbligatorio è di valido supporto la definizione di

Paolo contenuto nel Digesto: "Obligatiorum substantia non in eo

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consistit, ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat,

sed ut alium nobis abstringat ad dandum aliquid vel faciundum

vel prestantum: cioè "la sostanza dell'obbligazione non consiste

nel fatto che sia nostra qualcosa di materiale o qualche servitù,

ma consiste nel fatto che altri siano costretti a dare, a fare o a

prestare a noi qualche cosa". La definizione è molto importante,

poiché non solo enuncia la differenza tra diritti reali e diritti

relativi, ma pone in evidenza la necessità giuridica del vincolo ed

una migliore determinazione dell'oggetto dell'obbligazione. La

parola "prestare" vuol dire stare per, stare innanzi ed è proprio da

essa che deriva la parola tecnica "prestazione" con la quale si

designa il contenuto dell'obbligazione6. La prestazione deve

soddisfare l'utilità del creditore, comprende un dare, un fare o il

non fare, e quindi può avere contenuto positivo o negativo.

Quest'ultimo si caratterizza come oggetto immediato della

prestazione ed oggetto mediato dell'obbligazione che deve essere

adempiuto per garantire il raggiungimento dell'utilità creditoria.

6 Scuto, teoria Generale delle Obbligazioni, Napoli 1953, pag.8 ss.

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L'adempimento della prestazione costituisce l'elemento che

differenzia quest'obbligo da tutti gli altri obblighi giuridici,

presenti nel nostro diritto, che devono essere semplicemente

osservati. Per cui, l'obbligazione si concepisce come vincolo

giuridico per mezzo del quale una persona ha diritto di esigere

una determinata attività, in una data direzione. da un soggetto che

deve realizzare l’utilità richiesta mediante l'adempimento della

prestazione. Essa si caratterizza come contrapposizione di due

posizioni soggettive, l'una di diritto della prestazione e l'altra di

dovere che insieme all'interesse alla prestazione, determinano gli

elementi costitutivi del rapporto.

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I SOGGETTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO.

Per far si che l'obbligazione possa costituirsi è necessario la

presenza di due soggetti distinti rappresentati da almeno un

numero di due persone, che, nell'ambito del rapporto, assumono

l'uno la qualità di soggetto attivo, denominato creditore, l'altro

quello di soggetto passivo, denominato debitore.

In alcuni casi la posizione di debitore o di creditore è

caratterizzata da più persone e in questo caso si parla di

obbligazione a soggetti plurimi o con pluralità di soggetti, che

possono essere presenti nell'obbligazione al suo costituirsi, o

successivamente, in quanto all'unico debitore o all'unico creditore

si succedono più persone. La parola debitore si ricollega, nella

sua origine etimologica, a dabere, cioè da da habere che vuol dire

avere qualcosa per restituirla, ed in quanto tale, con essa si

designa il titolare della posizione soggettivo di debito. La parola

creditore deriva dal latino creditore, e racchiude in se l'idea di

fiducia, di aspettativa di ricevere ciò che è stato dato.

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Originariamente fu indicato con detto termine colui che avesse

affidato ad altri qualcosa, oggi viene indicato il titolare della

posizione soggettiva di credito, caratterizzata dalla legittima

aspettativa che la prestazione venga eseguita7. Essendo titolari

delle distinte posizioni soggettive, il creditore e il debitore non

sono elementi costitutivi del rapporto, ma i suoi presupposti

soggettivi di essi. La necessità che le posizioni di debito o di

credito abbiano un loro titolare è dettato dalla regola generale

dell'imputazione soggettiva delle posizioni giuridiche, secondo la

quale ogni posizione giuridica è creata in funzione di un

soggetto: così le posizioni di debito o di credito devono essere

imputate al creditore e al debitore, loro rispettivi titolari. La

necessaria imputazione si specifica nel principio di dualità del

rapporto che impone la correlazione tra il titolare attivo e il

titolare8. Il venire meno della correlazione determina l'estinzione

dell'obbligazione per confusione in quanto nessuno può essere

7 Scuto, Teoria Generale delle Obbligazioni, Napoli, 1953, pag.195 ss. 8 Bianca, Diritto Civile, 4, Obbligazioni, Milano, 1991, pag.49 ss.

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debitore e creditore di se stesso; nessuno può essere

contemporaneamente debitore e creditore dello stesso rapporto.

Normalmente il rapporto obbligatorio si costituisce tra dati

soggetti, ai quali è destinato a rimanere aderente, nel senso che

una volta assunto l'obbligo esso inerisce l'individuo, la persona

dell’obbligata. Esso, quindi, è di regola un rapporto a soggetti

fissi, determinati, dai quali si può derivare quando la trasmissibili

sia consentita dalla natura intrinseca dell'obbligo. Questo

principio della determinatezza dei soggetti costituisce il carattere

distintivo delle obbligazioni rispetto ai doveri generici, in quanto

quest’ultima sussistano nei confronti di tutti i consociati

regolando la vita di relazione. La determinatezza dei soggetti,

quindi, caratterizza quel particolare rapporto in base al quale un

soggetto è tenuto ad assolvere un dovere nei confronti di un altro

soggetto per soddisfare l'interesse che quest'ultimo è portatore.

Questo principio della determinatezza esprime il carattere

di certezza del rapporto in quanto non potrebbe identificarsi il

vincolo senza che le posizioni soggettive siano imputabili a

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persone determinate. L'ordinamento, però, ammette la non

necessità di questo principio obbligatorio ab inibito, cioè, al

momento della costituzione del rapporto, ritenendo che la

semplice incertezza iniziale della persona del creditore o del

debitore non sia di ostacolo alla esistenza dell'obbligazione. E'

concepibile che il soggetto sia inizialmente indeterminato, salvo

che successivamente venga individuato in base a parametri certi

che si possono ricavare sia dal titolo che dalla legge9. Per cui i

soggetti possono essere non solo determinati, ma anche

determinabili, la cui incertezza non incide sugli elementi

strutturali della fattispecie, ma solo sul destinatario degli effetti.

L’indeterminatezza è destinata ad essere rimossa dal verificarsi di

un presupposto di fatto o di diritto o dal compimento di uno

specifico atto rimesso alla volontà del debitore o di un terzo.

Tradizionali ipotesi di obbligazioni a soggetto determinabili sono:

la promessa al pubblico e l'individuazione della persona onerata

da una liberalità testamentaria. Nel primo caso il codice afferma

9 Longo, Diritto delle Obbligazioni, Torino, 1950, pag.20 ss.

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che quando taluno faccia promessa di eseguire una prestazione a

favore di chi compie una determinata azione, è vincolata a tale

promessa, se è resa in pubblico. Per la successiva ipotesi lo stesso

codice ci dice, nell'art. 631, che è valida la disposizione

testamentaria fatta a titolo particolare a favore di una persona che

dovrà essere scelta dall'onerato. In entrambi i casi, una volta

realizzato ciò che è previsto come termine costituito della

fattispecie, l'obbligazione sarà conclusa tra persone determinate e

come tale si adegua alle regole ai principi dell'ordinamento.

L'indeterminatezza, quindi, come caratteristica soggettiva viene

ad essere considerata esaustiva per l'esistenza dell'obbligazione

solo se è transitoria, solo quando gli elementi di riferimento si

verificano e il rapporto viene ad essere regolato dalla normativa

generale. L'obbligazione a soggetto determinabile vanno, poi,

distinto dall'obbligazione a soggetto incerto, ossia dalle

obbligazioni di cui è incerto se il loro titolare è attualmente

esistente o se verrà ad esistenza. La differenza si specifica nel

fatto che il soggetto incerto rende incerta l'obbligazione, mentre

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la determinabilità dell'individuo-parte non altera il carattere di

certezza del rapporto.

Esse si differenziano anche dalle obbligazioni ambulatorie

che si hanno quando la persona dell'uno o dell'altro soggetto sia

mutevole; la mutabilità del soggetto, infatti, non implica un vera e

propria indeterminatezza poiché in ogni momento della vita del

rapporto il soggetto è rigorosamente determinato in base ai

parametri che la legge fornisce per l'individuazione di esso.

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SITUAZIONE SOGGETTIVA PASSIVA E LA

RESPONSABILITA' PATRIMONIALE (ART.2740 COD. CIV.)

Il debito è la posizione soggettiva correlativa a quella di

credito, e si presenta come l'obbligo di adempiere la prestazione

per soddisfare l'interesse creditorio. Esso rientra nella categoria

del dovere giuridico, che si specifica nella più ampia categoria

del dovere di condotta, cioè nel dovere di tenere un dato

comportamento. Il dovere giuridico si differenzia da tutti gli altri

doveri in quanto è riconosciuto da una norma di diritto la quale fa

acquisire valore giuridico al relativo rapporto. In esso la posizione

di dovere si specifica nel particolare atteggiamento di

subordinazione tenuto dal debitore per realizzare il risultato utile

per la soddisfazione della pretesa creditoria10.

Il contegno del debitore deve essere tale da raggiungere il

risultato, oggetto dell'obbligo, in quanto soltanto un adempimento

10 Betti, Teoria Generale delle Obbligazioni, vol.II, Struttura dei rapporti obbligatori, Milano 1953, pag.47 ss.

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esatto della prestazione può soddisfare il diritto del subito attivo.

Per cui la legge detta precise regole per l'attuazione dell'obbligo,

richiedendo in primus una diligenza media, in base alle quali si

possa valutare l'esecuzione senza che al debitore venga richiesto

qualcosa in più o in meno rispetto a ciò che è posto in

obbligazione. L'art. 1176 ci dice: “nell'adempiere il debitore deve

usare la diligenza del buon padre di famiglia”, volendo

considerare come punto di riferimento l’esempio un uomo

accorto, serio e parsimonioso. Ad esso, quindi, bisogna far

riferimento nel valutare l'attuazione dell'attività solutoria, la quale

quando non assolve in pieno il suo compito soddisfattivo

determinerà inattuazione dell'obbligo. L'attività del debitore deve

porre in essere esattamente il contenuto della prestazione, poiché

in caso contrario vi sarà responsabilità per inadempimento.

Proprio per questa particolare funzione di adempiere esattamente

la prestazione che il dovere debitore viene definito come dovere

di prestazione. Tale dovere, considerato come evento rimesso

alla volontà del debitore, è il contenuto dell'obbligo.

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L'inottemperanza dell'obbligo implica responsabilità

patrimoniale, infatti, l'art. 1218 c.c. ci dice che "il debitore che

non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al

risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il

ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione

derivante da cause a lui non imputabile"11. La salvezza contenuta

nella seconda parte dell'art. 1218 testimonia la ratio di tutta la

disciplina legislativa in tema di obbligazione in generale,

pretendendo contegno debitorio corretto, diligente

nell'adempimento, ma non tale da addossare sempre e comunque

una responsabilità' patrimoniale quando è stato fatto tutto ciò che

è stato richiesto per ottemperare l'obbligo. La responsabilità

quindi, si presenta come conseguenza dell'inosservanza

dell'obbligo. e la sua connessione con il debito si spiega come

condizione per garantire la giuridicità del rapporto. Un obbligo

totalmente sfornito di sanzione non è vincolante per il diritto in

quanto non garantisce in tutti i casi la soddisfazione del relativo

11 Trabucchi, op.cit., pag.475.

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Page 22: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

diritto12. Dovere di prestazione e responsabilità da

inadempimento sono legati da un atteggiamento di

disapprovazione sociale nel senso che solo quando il dovere non

viene adempiuto la responsabilità si definisce. Esso si presenta

come garanzia del patrimonio dell’obbligata, poiché la legge

concede al creditore una particolare tutela caratterizzata dalla

possibilità di realizzare il proprio diritto sul bene del debitore. Il

principio è formulato nella regola contenuta nell'art. 2740 c. c. in

base al quale "il debitore risponde dell'adempimento

dell'obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri". Questa

norma vuol significare che la garanzia del debitore si sostanzia su

tutti i beni del debitore, non limitandola a una tutela presente, in

base alla quale il diritto poteva essere realizzata solo sui beni

presenti nel patrimonio debendi nel momento in cui la prestazione

non veniva adempiuta, ma anche nel caso in cui detto patrimonio

12 Bianca, op.cit., pag.10 ss.

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Page 23: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

fosse aumentato13. Così come le obbligazioni che gravano sui

soggetti non costituiscono un ostacolo per la crescita della

consistenza patrimoniale, anche la garanzia dell'adempimento non

si pone come limitata al momento del suo verificarsi ma si

estende sui beni entrati a far parte del patrimonio dopo

l'inottemperanza dell'obbligo. La possibilità concessa al creditore

sui beni del debitore non vuol significare che il contenuto

dell'obbligo sia costituito da un'alternatività tra adempimento del

dovere e possibilità di lasciar fare o di lasciar prendere qualcosa

nel patrimonio del subbietto passivo. Il rapporto rimare sempre

strutturato come correlazione delle due posizione soggettive

ruotanti intorno all'oggetto dell'obbligazione: adempimento della

prestazione. Bisogna sempre distinguere l'obbligo del debitore

dalla sua responsabilità che si specifica nell'applicazione della

sanzione. Essa non è altro che la proiezione del diritto creditorio

insoddisfatto sul patrimonio del soggetto passivo, e come tale

13 Rescigno, Obbligazioni (nozioni), in Enciclopedia del diritto, XXIX, Milano, 1979, pag.134 ss.

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Page 24: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

rappresenta solo un evento patologico atto a soddisfare

l'interesse in gioco.

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LA SITUAZIONE SOGGETTIVA ATTIVA: DIRITTO DI

CREDITO.

La posizione soggettiva di credito è caratterizzata dalla

presenza di un soggetto, il creditore, titolare del diritto ad ottenere

l'esecuzione della prestazione nei confronti di un altro soggetto ,il

debitore, il quale ha il dovere di realizzare l'oggetto

dell’obbligazione. Questo diritto, denominato diritto di credito, si

specifica nel fatto che la prestazione dovuta dal debitore spetta,

appartiene, al creditore, nel senso che solo questi può pretendere

l’adempimento o ricavarne la titolarità verso altri. Questo diritto

rientra nella categoria della pretesa giuridica, intesa come sicura

attuazione dell'attività solvendi, e viene tutelato e garantito

dall’ordinamento giuridico14.

I mezzi concessi dalla norma per la realizzazione del

diritto, nei confronti del debitore inadempiente, si giustificano in

relazione alla particolare natura di esso, essendo configurato 14 Barassi, op. cit. pag.13ss

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Page 26: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

come diritto soggettivo. La negazione di tale natura muove dalla

considerazione riduttiva della nozione di diritto soggettivo

,limitata ad esprimere una situazione di appartenenza di cose o di

beni ,rispetto ai quali disporre della più ampia libertà di

godimento e di disposizione. Se si guarda alla struttura del diritto

soggettivo intesa come una posizione di vantaggio di un soggetto

tutelata dall’ordinamento, non vi sono ostacoli ad affermare tale

natura al diritto di credito, concepita come situazione in cui è

garantita l'utilità o il beneficio derivante dall'altrui

comportamento. La conclusione non può essere neppure smentita

dall'originaria discussione dottrinale sulla configurazione della

struttura diritto soggettivo come signoria assoluta sulle cose, e

come tali tutelate nei confronti di tutti15. La configurazione di

15 Sulla disputa dottrinale riguardante la distinzione tra diritto reale e diritto di credito vedi: Tilocca , La distinzione fra diritti reali e diritti di credito , in Arch. giur., 1950 , pag 1-26;Sante Romano , Frammenti di un dizionario giuridico. Diritti assoluti , Milano , 1947, pag . 58 e ss ; Nella dottrina tedesca più recente si discute se la distinzione fra diritti reali e di credito debba conservarsi o meno vedi : Scheuerle , L'antigiuridicità come presupposto del risarcimento del danno extracontrattuale secondo il codice civile sovietico, in Ann. dir. com.XXIX,1953,pag 53 e ss.

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detto diritto riferito solo al diritto reale viene superata se

consideriamo il lato cosiddetto "esterno" del diritto di credito,

rappresentato dal fatto che il credito assume il valore di bene non

semplicemente giuridico, ma anche economico, avente una sua

consistenza patrimoniale. Essendo acquisito come bene nel

patrimonio del creditore, si presuppone la proprietà del credito,

quindi la possibilità che esso diventi oggetto di usufrutto, di

pegno, di qualsiasi diritto reale16. Prescindendo, però, dalla

considerazione del lato "esterno" del diritto, che determinerebbe

una considerazione paritaria, la natura di quest'ultimo si delinea

nell'aspetto cosiddetto "interno", caratterizzato dalla presenza del

debitore che deve eseguire la prestazione nei confronti del

creditore, e che vede nell'immediata realizzazione dell’interesse,

il segno rilevativo della struttura di un diritto soggettivo.

Genkin , Obzor Zasedaiì sektora grazdauskogo prava , in Sovetskoe Gosudarsstvo i pravo ( Stato e Diritto Sovietico )1949, pag 75 e ss Il Tedeschi , La tutela aquiliana del creditore contro i terzi , in Riv. Dir. Civ. , 1955, pag 316 , sostiene che la predetta distinzione è invece ineliminabile . 16 Cicu, L'obbligazione nel patrimonio del debitore,Milano,1948 pag 5ss

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Esso è costituito da un potere, attribuito alla volontà del

soggetto e riconosciuto dall’ordinamento, per conseguire il

soddisfacimento dei propri interessi. e da facoltà giuridiche, che

sono manifestazioni del diritto stesso. La forza del diritto

soggettivo che si fa valere proviene direttamente dalla norma, in

base alla quale le facoltà giuridiche che lo ineriscono vengono ad

essere attuate quando l'interesse costitutivo venga leso. Esse,

quindi non lo precedono ne hanno una vita autonoma ma si

verificano solo in un momento successivo a quello, potendo

anche mancare senza che il diritto venga meno. Tenuto conto di

ciò, è da osservare che il prius dell’obbligazione è costituito dal

dovere giuridico imposto nell'interesse del creditore, al quale la

legge attribuisce una serie di poteri verso l'obbligato, per la

soddisfazione dell'interesse medesimo. La relazione tra le parti è

particolarmente intensa, nella quale la posizione creditoria non

può non essere considerata come una situazione di preminenza

,avente natura del diritto soggettivo, per la quale il diritto di

credito viene ad essere considerato come prototipo del diritto

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relativo17. Tale prerogativa si giustifica in quanto nel diritto di

credito il carattere della relatività assume una maggiore

definizione dei contorni, poiché la pretesa creditoria può essere

fatta valere solo nei confronti di una o più persone determinate.

La pretesa creditoria ha in se' il concetto di direzione obbligata,

nel senso che solo il soggetto passivo e non altri è vincolato

all’osservanza dell'obbligo, la sua attuazione è garantita solo

verso il soggetto-obbligato18. Quest'ultimo deve adempiere

l'obbligazione ponendo in essere una prestazione avente

contenuto patrimoniale. L'art. 1174 c. c. ci dice che "La

prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere

suscettibile di valutazione economica....." per cui essa deve

consistere in un bene che sia valutabile in danaro. La

patrimonialità della prestazione non fa altro che caratterizzare il

contenuto del diritto di credito, in base al quale esso viene

qualificato come diritto patrimoniale. Così caratterizzata, la

17 Rescigno , voce obbligazione, in Enciclopedia del Diritto op. cit. pag.144. 18 Di Maio , Delle Obbligazione in generale, in Commento del Codice Civile , a cura di Scaloja-Branca Bologna-Roma 1975 pag 141 ss.

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prestazione, costituisce non solo l'oggetto dell’obbligazione, ma

anche l’oggetto delle correlative posizioni di debito e di credito,

in quanto essa è ciò che il debitore è tenuto ad eseguire e ciò che

il creditore ha diritto di ottenere19. La considerazione che oggetto

del diritto di credito sia la prestazione debitoria non è stata

pacificamente ammessa, dando luogo ad vivaci dibattiti dottrinali

sulla stessa concezione del diritto di credito, considerandolo ora

come pretesa, ora come potere o come mera aspettativa. Le

diverse concezioni partono da una differente valutazione

dell'elemento patrimoniale o di quello personale, creando

teorizzazioni contrapposte in cui essi assolvono il compito di

termini strutturali. Un vivace dibattito si sviluppò nel secolo

scorso nella dottrina tedesca, la quale pose come punto fermo

l'impossibilità che possa costituire oggetto del diritto di credito la

persona del debitore. A tale conclusione era pervenuto l’antico

diritto romano in relazione al concetto di obligatio, in cui il

vincolo si indirizzava nei confronti della persona del debitore, e il 19 Bianca , op cit.pag. 33.

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cui corpo era assoggettato alla podestà del creditore20. Se il

debitore non avesse adempiuto, il creditore poteva impadronirsi

della persona dell'obligatus, riducendola in una condizione

servile, disponendo di lui nella maniera che riteneva più

opportuna, vendendolo, o addirittura, uccidendolo. Inserire nel

nostro ordinamento un simile principio sarebbe assurdo e

anacronistico e, non risponderebbe alla struttura dell’obbligazione

moderna, in cui oggetto dell’esecuzione, in caso di

inadempimento, non è la persona del debitore ma il suo

patrimonio. Parlare ancora del credito quale diritto sulla persona,

come faceva qualche rappresentante della Pandettistica, voleva

piuttosto significare che il creditore ha un potere che si esercita su

singoli atti della persona del debitore. Il Savigny, maggiore

esponente di questa dottrina, aveva definito il concetto di

obbligazione come signoria sopra la persona del subbietto

passivo, non intesa come totalità , poiché resterebbe soppressa la

personalità, ma sulle singole operazioni concepite come sottratte 20 Longo, op,cit. pag. 6 ss

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alla sua volontà e posti nel dominio del creditore. In qualunque

modo fosse stata strutturata, la formulazione del diritto di credito

sulla persona veniva respinto in pieno, in quanto idoneo ad

evocare una soggezione personale, in contrasto con i principi di

libertà e di dignità dell’uomo. La prima alternativa alla

concezione del diritto sulla persona fu rappresentata dalla tesi che

ravvisa l’oggetto di detto diritto nei beni del debitore. Queste

teorie, denominate patrimoniali, considerato come fulcro della

loro ricostruzione non il dovere del debitore, ma il potere del

creditore. Questo potere, infatti, caratterizza tutta l’obbligazione,

poiché si manifesta quando il rapporto viene meno a causa

dell’inadempimento del debitore, realizzando il contenuto del

diritto patrimoniale. Quest’ultimo vuol dire proprio avere la

facoltà giuridica di esigere ciò che è dovuto, la quale è protetta

dall’ordinamento, ponendo a disposizione del creditore tutti i

mezzi necessari per assicurare di avere nel suo patrimonio il bene

oggetto del suo diritto o, un suo equivalente capace di

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soddisfarlo21. La più preziosa e compiuta dimostrazione della

prevalente importanza che, nella struttura del rapporto

obbligatorio, occorrerebbe assegnare all’elemento patrimoniale

venne dato da una corrente dottrinaria che venne denominata del

debito e della responsabilità.

21 Giorgi, Le Obbligazioni,Firenze ,1924, pag. 35.

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TEORIA DEL DEBITO (SCHULD) E DELLA

RESPONSABILITA' (HFTUNG).

Questa teoria ebbe largo seguito in Italia , oltre che in

Germania, suo luogo di origine, il cui successo fu dovuto al

modo con il quale essa riusciva al esporre l'aspetto centrale del

problema della strutturazione dell'obbligazione: i riflessi della

incoercibilità del dovere del debitore e la funzione dell'esecuzione

forzata. Questa teoria prese spunto da una tesi del Brinz, il quale

ha voluto mettere in evidenza che la persona del debitore ed il suo

assoggettamento alla podestà del creditore non hanno rilievo

alcuno per definire la sostanza del rapporto obbligatorio. Ed

infatti, Egli afferma che l'attività debendi, nel momento che viene

realizzata, non può essere oggetto della signoria del creditore,

perché si esaurisce con l'adempimento; mentre, nel momento

antecedente alla sua esplicazione costituisce un mero "quid ",

appartenente alla sfera psichica del debitore. Per cui, oggetto

della signoria creditoria non può che essere il patrimonio del

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soggetto passivo, anzi il vincolo giuridico proprio nasce tra i due

patrimoni dei soggetti costituenti le parti del rapporto

obbligatorio. L'Amida, sviluppando ampiamente questa tesi e

studiando le fonti giuridiche della Germania del nord, intese

dimostrare che due elementi si possono distinguere e separare

nel rapporto obbligatorio: uno di debito (schuld) e l'altro di

responsabilità (haftung). Nei riguardi del medesimo creditore,

infatti, il debito può risiedere nella persona del soggetto-obbligato

e la responsabilità in una persona diversa; essere in debito non

comporta necessariamente essere obbligato e, così pure essere

obbligato non vuol dire essere debitori. Questa differente struttura

degli elementi del rapporto obbligatorio è presente presso altri

Ordinamenti e, in particolare fu sostenuta dal Partsch sull’antico

diritto greco, dal Koschaker sull’antico diritto assiro- babilonese,

ma la più esaustiva definizione del fenomeno è stata effettuata dai

Romani, che formularono i termini di riferimento, presi come

esempio dalla cultura giuridica moderna. Nell’antico diritto

romano. tale distinzione esisteva, indipendentemente dal fatto che

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il garante fosse un estraneo, infatti la figura del nexus fu

realizzata proprio per dare attuazione alla responsabilità, in caso

di inadempimento. In una figura più evoluta la garanzia

dell'adempimento fu rappresentata dall’"obnoxiatio", che si

presentava come forma particolare di autopignoramento, per il

quale il debitore costituiva se stesso in pegno. Con lo scorrere del

tempo, a Roma si istituì la prassi in base alla quale il debitore

consegnava altre persone, che si chiamavano vades o praedes

(garanti), a garanzia dell’adempimento del proprio debito. In base

a questa forma di tutela, il creditore poteva rivolgersi direttamente

al garante, per cui si verificava una situazione particolare

mediante la quale chi aveva il debito non aveva responsabilità,

cadendo sull’estraneo, il quale non era titolare dell'obbligo22.

Secondo i fautori di questa teoria, quindi, l'obbligazione

sarebbe costituita da due distinti elementi ciascuno dei quali

avrebbe vita autonoma e darebbe luogo a dei singoli rapporti

caratterizzati l'uno dal debito e l'altro dalla responsabilità. Il 22 Longo, op. cit ., pag. 8 e ss; Scuto, op. cit., pag 134 e ss.

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casi di responsabilità senza debito che si dovrebbero ravvisare

nell’ipotesi di un debito futuro o condizionato garantito da un

rapporto accessorio di pegno o di fideiussione, in quanto mentre il

debito non sussiste ancora si delinea la responsabilità del

debitore; si possono altresì individuare separatamente la

responsabilità di un soggetto e il debito di un altro , nel caso in

cui si garantisca, con la costituzione di un pegno sulla cosa

propria, un debito altrui.

Tutto ciò è stato rivisto e ristudiato da brillanti esponenti

della cultura giuridica italiana, tra le quali spicca, per coerenza

teoretica, le ricostruzioni effettuate dal Pacchioni e dal Rocco.

Il Pacchioni sostiene che i due elementi dei quali

l'obbligazione si costituisce danno luogo a due diversi rapporti,

ognuno dei quali è formato da una coppia di termini correlativi.

Il puro rapporto di debito , infatti, sarebbe costituito da un lato dal

dovere del debitore, che egli definisce di pressione psicologica in

cui il debitore si trova, e dall’altro da una legittima aspettativa del

creditore, che egli definisce come stato di fiducia di ricevere la

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prestazione. Il rapporto di responsabilità sarebbe, a sua volta.

Costituito da un lato da uno stato di assoggettamento, e dall’altro

dal diritto del creditore di avvalersi di questo stato, per ottenere il

valore della prestazione, ove quest’ultima non venga

spontaneamente eseguita. Il creditore, in base al rapporto di

rispondenza, ha un diritto di garanzia sui generis sul patrimonio

del debitore, diritto che in un primo momento , cioè nel periodo in

cui si costituisce il credito, avrebbe il carattere di un controllo

gestorio, e che in un secondo momento cioè nel periodo che inizia

l’inadempimento, esso si trasformerebbe in un vero diritto di

aggressione diretta sul patrimonio. Nella prima fase il debitore si

trova nella piena libertà e disponibilità di amministrare il proprio

patrimonio ,pur essendo soggiogato psichicamente dalla norma

giuridica , che gli impone l'adempimento; nella seconda fase,

invece, contestata l'inadempienza, i creditori possono procedere

all’esecuzione , nei modi che la legge ammette nei singoli casi.

Il Rocco, invece, effettua un’esaltazione del diritto di

credito, tale da portare alle estreme conseguenze la teorizzazione

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della dottrina tedesca, definendolo come un vero e proprio diritto

di pegno generale su tutti i beni del debitore. Il processo esecutivo

non fa altro che realizzare un precedente diritto sostanziale del

creditore, caratterizzato dalla possibilità di riscattare, e , quindi,

di vendere i beni del debitore in caso di non attuazione

dell’interesse. La sola nascita del rapporto obbligatorio porrebbe

il creditore in una posizione di preferenza tale da veder garantito

il proprio credito senza che il debitore abbia fatto nulla per non

ottemperare il suo obbligo. Il contenuto del suo diritto

assomiglierebbe ad un diritto reale, in quanto si indirizzerebbe nel

confronti di tutti i beni, ed in quanto tale , realizzerebbe una tutela

erga rebus , anziché erga homines. Assumerebbe i caratteri di

diritto reale indeterminato, la cui esistenza giuridica è non solo

opinabile, ma difficilmente dimostrabile, per cui il Rocco anziché

parlare di questa configurazione giuridica, definisce il diritto di

credito come un diritto di pegno generale (senza privilegio) sui

beni del debitore.

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CRITICA ALLA TEORIA DEL DEBITO E DELLA

RESPONSABILITA'.

Questa teoria ha subito suscitato molti dissensi in dottrina ,

in quanto la scissione dei due elementi del debito e della

responsabilità costituenti differenti rapporti non è rispondente alla

struttura dell’obbligazione, e anzi può apparire dannosa per le

conseguenze che si vogliono trarre. Il debito e la responsabilità

sono due aspetti, e non due elementi, dell’obbligazione e come

tali non possono non appartenere al medesimo fenomeno

giuridico Non si può essere debitori senza essere responsabili,

non si può essere responsabili se non si è debitori: non esiste

obbligazione giuridica se il debitore non possa essere in qualche

modo costretto all'adempimento. L'argomento principale che si fa

valere per dimostrare l’esistenza o la necessità della distinzione

viene tratto dalla constatazione che vi sono casi in cui ricorre

solo uno dei due elementi: cioè ipotesi di debito senza

responsabilità , come le obbligazioni naturali, e viceversa, come

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le obbligazioni garantite da pegno o da fideiussione. Gli esempi

addotti dalla teoria non sono idonei a suffragarla in quanto le

obbligazioni naturali, anche se si costituiscono come un rapporto

giuridico, non sono un vincolo giuridico perfetto, mentre

l’esempio della fideiussione ha fatto subito rilevare che essa pone

in essere un secondo rapporto obbligatorio di cui è titolare una

terza persona. In questo rapporto sono presenti entrambi i due

elementi, sia il debito che la responsabilità, tanto è vero

l’obbligazione fideiussoria può essere a sua volta garantita da un

rapporto di carattere personale o reale, ed in quanto tale non può

essere assunta come elemento probante. La conseguenza del

verificarsi della responsabilità, rappresentata dalla

sottoesposizione dei beni del debitore all’azione esecutiva del

creditore, non è un carattere esclusivo e peculiare del fenomeno

obbligatorio, ma deriva da un principio generale valevole per

qualsiasi dovere giuridico. La violazione di questo dovere, infatti,

con conseguente realizzazione del danno, trasforma

automaticamente la responsabilità personale in patrimoniale; per

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cui è la stessa struttura del dovere, oggetto dell’obbligo, che

determina l’impossibilita' di effettuare la scissione dei due

elementi23.

Le stesse costruzioni teoretiche degli illustri esponenti della

dottrina italiana sono state sottoposte a critiche, che si sono

indirizzate sulla coerenza teoretica delle loro ricostruzioni. Il

Pacchioni , dando maggiore rilevanza al secondo dei due rapporti,

non fa altro che identificare come vero diritto di credito solo

quello presente nel rapporto di responsabilità, in quanto solo in

esso la posizione del creditore viene ad essere qualificata come

diritto soggettivo. Ed ,infatti, Egli non solo evita di qualificare

come diritto soggettivo la posizione del creditore nel rapporto di

debito, ma ritiene che il diritto soggettivo è soltanto quello che

attribuisce al titolare la podestà sul mondo esterno. Il diritto di

credito viene ad essere considerato, quindi, esclusivamente come

un potere sul patrimonio del debitore, che si caratterizza come

potere di controllo prima, e di aggressione poi. In questo modo il 23 Miccio,Delle Obbligazioni in generale,Torino 1966, pag. 16

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Page 44: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

diritto di credito perde le sue caratteristiche strutturali, venendo a

costituirsi come un potere immediato sulla cosa e come tale

difficilmente distinguibile dai diritti reali.

La costruzione teoretica del Rocco è apparsa azzardata

anche ai fautori della teoria del debito e della responsabilità, non

solo per aver completamente snaturato la configurazione del

diritto di credito, considerando un diritto reale, ma in quanto

vengono a mancare gli elementi caratterizzanti il diritto

pignoratizio del creditore. Requisiti essenziali alla struttura del

pegno la prelazione, che la legge accorda al creditore per essere

privilegiato sul ricavato della vendita rispetto agli altri creditori, e

lo spossessamento della cosa (o del documento rappresentativo)

che assolve la funzione di pubblicità, analoga all’iscrizione

dell’ipoteca. Entrambi gli elementi mancano nella ricostruzione

fatta dal Rocco, in quanto si parla di un diritto di pegno generale,

senza privilegio, per cui la sua ricostruzione pecca di coerenza

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strutturale tale da escludere che il diritto di credito potesse

rientrare in tale categoria giuridica24.

I sostenitori della teoria del debito e della responsabilità

non hanno fatto altro che mettere in evidenza l’aspetto

patrimoniale del rapporto giuridico, nella consapevolezza che il

creditore nell’assumere un 'obbligazione tende ad acquisire un

bene economico. La prestazione obbligatoria deve essere

suscettibile di valutazione economica, per cui il diritto del

creditore, che tende ad ottenere la cosa dovuta, non può non

contenere in se l’indice della patrimonialità. E' proprio su questo

carattere della patrimonialità del diritto che parte della dottrina ha

indirizzato la propria attenzione teoretica, sottovalutando del tutto

l’elemento personale, dando vita a quelle che sono definite"

teorie patrimoniali" del diritto di credito.

24 Giorgianni , Obbligazioni, op. cit., pag. 192 ss.

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LE TEORIE PATRIMONIALI E IL "BENE DOVUTO"

Le teorie patrimoniali che si sono succedute, nelle sottili

disquisizioni circa l’oggetto del diritto di credito, sono legate a

nomi prestigiosi della cultura giuridica, a partire dal Savigni e da

Windscheid. Queste teorie considerano come fulcro del rapporto

obbligatorio l’elemento patrimoniale, il bene oggetto della

prestazione obbligatoria, che in quanto è sempre suscettibile di

una valutazione economica. Essendo l'interesse creditorio

soddisfatto dalla prestazione, ed essendo essa costituita da un

oggetto valutabile in danaro, si è ritenuto che l’interesse potesse

essere soddisfatto da qualsiasi mezzo, disposto dall’ordinamento,

tra cui anche l’adempimento del debitore. Ciò che si garantisce è

la realizzazione del risultato economico a cui il creditore tende ,

finendo per dare diversa rilevanza alle posizioni obbligatorie, con

una maggiore considerazione del momento realizzativo, del

diritto credendi rispetto a quello attuativo del dovere debendi.

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Nell'ambito della struttura del rapporto, quindi, si è finito

per accentuare il "dover ricevere" del debitore al posto del "dover

dare" del debitore , volendo significare con ciò che l’obbligazione

svolge la sua funzione e si esaurisce anche quando il dovere non

venga osservato; mentre la caratteristica essenziale

dell’obbligazione è costituita dalla necessità che il creditore

raggiunga l'oggetto della prestazione, e non che il debitore

adempia. Tenendo presente ciò che si comprende la ricostruzione

dogmatica fatta dalla teoria facente capo al Koepen, il quale ha

considerato l’obbligazione come un diritto al valore economico

della cosa dovuta realizzabile sul patrimonio del debitore.

Strutturando l'obbligazione in questi termini si evidenzia la

possibilità pragmatica, per il creditore, di raggiungere l'oggetto

del proprio diritto mediante esecuzione forzata, in quanto si

realizzerebbe il valore in danaro della cosa dovuta. Per cui

oggetto del diritto di credito costituito dal valore della cosa

dovuta, la cui acquisizione può essere effettuata in qualsiasi

momento, venendo ed essere considerato come aspetto

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fondamentale, tale da giustificare la qualifica di diritto subbietivo

alla posizione giuridica del creditore, la possibilità di realizzare

coattivamente il valore della prestazione sul patrimonio del

debitore25.

E' stato però obiettato che l’esecuzione forzata garantisce

solo l’equivalente in danaro del valore della cosa dovuta,

percependo un surrogato di quello che costituisce oggetto

dell’obbligazione e per il quale l’interesse creditorio può essere

soddisfatto. L'obbligazione è strutturata per garantire al creditore

l’acquisizione della cosa dovuta, oggetto della prestazione, e

come tale deve entrare a far parte del suo patrimonio, e non come

semplice somma di danaro, quale ricavato di una vendita. Il

debitore è tenuto ad avere un dato comportamento che ha origine

nel vincolo giuridico per realizzare un certo risultato, cioè è

sempre tenuto ad assolvere una prestazione personale per

garantire l’assunzione del bene giuridico nel patrimonio del

creditore. E' in relazione a ciò che bisogna distinguere la 25 Giorgianni , op. cit. pag. 197 ss

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prestazione dal suo oggetto, giacché prestazione vuol dire il

contegno dovuto dal debitore, cioè il complesso dell’attività che

deve svolgere per soddisfare il creditore, oggetto della

prestazione, è, invece, il contenuto dell’obbligazione, il bene che

il creditore attende. Si può affermare conseguentemente che

l’oggetto è il risultato della prestazione vista dal debitore, mentre

il risultato è l’oggetto della prestazione vista dal creditore; è

chiaro che quest’ultimo mira al risultato del comportamento del

debitore per soddisfare il proprio interesse26. Questo risultato non

può non avere, come suo contenuto, il bene dovuto, per cui

oggetto del diritto del creditore non può non essere che questo

bene. Tutto ciò è stato sostenuto da insigni giuristi appartenenti

alla teoria del "bene dovuto", in base alla quale, il diritto del

creditore ha come oggetto, non l'atto del debitore, ma il bene

giuridico al cui conseguimento l’atto è predisposto. Ciò che si

vuole evidenziare è la finalità che l’ordinamento giuridico si pone

attraverso il rapporto obbligatorio, cioè di far raggiungere al 26 Miccio, op. cit. pag. 4 ss.; Cicala , Saggi, Napoli, 1990 pag. 9

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creditore il "bene ", la cui realizzazione viene demandata al

debitore, ma non come l’unico strumento atto a realizzare

l’interesse creditorio. L'attività solvendi viene ad essere

considerata come un semplice mezzo, tra gli altri concessi dalla

norma,per la realizzazione dell’interesse, il cui collegamento con

il bene è sempre garantito. In questo modo perde il suo ruolo da

protagonista il debitore, in quanto considerato mero strumento

attuativo, fino a divenire una figura dai contorni assai ambigui,

per cogliere il vero significato del metodo adottato.

Lo spessore contenutistico della figura del debitore si

dissolve del tutto nella teorizzazione effettuata dal Carnelutti, il

quale pur essendo un sostenitore della teoria del bene dovuto,

considera l’oggetto dell’obbligo del debitore non un

comportamento positivo, di far pervenire al creditore il bene, ma

di "pati" di lasciarlo prendere dal proprio patrimonio. In tal modo

Egli giunge a parificare la posizione in cui la legge pone il

debitore nei confronti del creditore, a quella che il debitore ha nei

confronti dell’organo esecutivo incaricato di apprendere

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forzatamente il bene. Il Carnalutti ricollega il "bene dovuto" al

potere del creditore non nel senso che la legge garantisce il suo

raggiungimento, ma nel senso più immediato per la realizzazione

della propria tutela, cioè attribuendogli il diritto di agire in ordine

al bene medesimo. E' facilmente comprensibile come il contenuto

del dovere del debitore si riduca ad una semplice limitazione della

sua libertà in ordine al bene, e cioè di permettere al creditore di

lasciar prendere o godere il bene dal proprio patrimonio. La sua

costruzione teoretica parte, dunque, dalla considerazione che il

diritto del creditore è un potere in ordine alla cosa dovuta e che

rispetto ad esso l’unica collaborazione che è possibile richiedere

al debitore non può consistere che nell’astensione atta a

permettere al creditore la realizzazione del suo potere sulla

"cosa". Questa costruzione gli consente di dimostrare che

l’esecuzione forzata rende attuato il contenuto del diritto del

creditore, poiché anche rispetto ad essa il debitore è tenuto ad

avere un comportamento di "mero pati". Tutto ciò è stato

sostenuto senza modificare i termini del rapporto obbligatorio,

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ponendo sempre la perfetta correlazione delle due posizioni

soggettive, l’una di debito e l’altra di credito, essendo elementi

costitutivi del rapporto obbligatorio. Una certa artificiosità

teoretica, però, la si può riscontrare nella dimostrazione di ciò che

costituisce oggetto dell'obbligazione e ciò che è oggetto del

dovere, in quanto si è voluto distinguere un'attività eventualmente

positiva del debitore dal suo comportamento di "pati". L'Autore,

infatti, ritiene che l’eventuale attività positiva costituisce

contenuto dell'obbligazione, mentre il comportamento negativo

determina l'oggetto dell'obbligo, in quanto la prestazione sarebbe

caratterizzata dal tollerare che altri (il creditore) possano godere i

beni o le energie del debitore. Nell’obbligazione della

collaboratrice domestica, ad esempio, la sua prestazione è

caratterizzata dal fatto che il "dominus" usufruisce delle sue

energie indirizzandole verso attività determinate, come cuocere le

vivande o rifare i letti, mentre se ella non fosse obbligata le

impiegherebbe per altri fini , o non le impiegherebbe affatto. Si

ha, quindi, un’inusuale strutturazione dell’inadempimento

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dell’obbligo, in quanto se il diritto del creditore si rivolge al bene,

il comportamento di "mero pati "determinerebbe adempimento

dell’' obbligo, mentre il verificarsi dell’attività positiva debendi

costituirebbe un ostacolo all’esercizio del potere del creditore sul

bene, determinando l’inadempimento dell’obbligo.

La concezione carneluttiana si distingue per elaborazione

teoretica, senza però che venga mai meno il dato caratteristico

della struttura del rapporto obbligatorio che consiste nel

collegamento del dovere del debitore con il diritto del creditore,

dato che manca nella costruzione teorica di un altro esponente

della teoria del bene dovuti, il Nicolò, il quale nega che il "bene

dovuto " costituisca il punto di riferimento del dovere del

debitore. Il contenuto di questo dovere sarebbe dato da un

comportamento positivo o negativo, a seconda della natura della

prestazione, il quale costituirebbe un mero mezzo per garantire al

creditore il raggiungimento del bene dovuto, oggetto del suo

diritto. Il dovere del debitore ha una vita, un compito

completamente autonomo ed indipendente rispetto alla vita del

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diritti del creditore, in quanto egli è tenuto ad avere solo un

determinato comportamento, senza che esso sia in assoluto lo

strumento per raggiungere la soddisfazione dell'interesse

creditorio. Tutto ciò si può verificare facendo riferimento ai

diversi modi d’estinzione dell’obbligazione, caratterizzati dalla

non necessaria relazione tra i due termini del rapporto, come, ad

esempio, nel caso dell’esecuzione forzata o dell’adempimento del

terzo, nei quali si realizza il contenuto del diritto del creditore, ma

non per effetto dell’attuazione del contenuto dell’obbligo del

debitore. Si è anche rilevato, viceversa, che vi sono casi in cui il

debitore compie il contenuto del proprio obbligo senza che venga

contemporaneamente realizzato il diritto del creditore, come ad

esempio avviene nel caso di pagamento fatto per errore al

creditore apparente, e nel caso dell'offerta reale seguita dal

deposito della cosa dovuta. L'assenza di una perfetta correlazione

tra diritto e obbligo sarebbe dimostrata dalla considerazione che ,

se dal punto di vista strutturale sono paritetici, dal punto di vista

funzionale si trovano su piani completamente diversi. Il dovere

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del debitore eserciterebbe, rispetto al diritto creditorio, infatti ,

una funzione tipicamente strumentale, che in una fase preliminare

si esprime nella garanzia che l’ordinamento giuridico assicura al

creditore attraverso l’imposizione dell’obbligo, e

successivamente, cioè quando l’obbligo viene adempiuto, esso

determina un puro mezzo idoneo a realizzare il diritto; per cui

tutta l’obbligazione è strutturata per garantire il conseguimento

del bene dovuto, oggetto del diritto del creditore.

Prescindendo dal diverso modo di strutturare lo stesso

fenomeno, le contrapposte tesi sono accomunate dallo stesso

risultato finale, cioè dall’affermazione teoretica in base alla quale

l'oggetto del diritto del creditore sia costituito dal raggiungimento

del "bene dovuto". E' proprio il risultato a cui perviene questa

teoria che costituisce il principale elemento d’allontanamento

dalla cosiddetta "teoria tradizionale" che pone al centro della

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propria indagine l'elemento personale, il comportamento del

debitore, considerandolo come oggetto del diritto del creditore27.

27 Giorgianni , op. cit . pag. 200 ss

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LE DOTTRINE COSIDDETTE "PERSONALI": IL

COMPORTAMENTO DEL DEBITORE

Nell'ambito della dottrina contemporanea si assiste ad una

rivalutazione della teoria tradizionale, la quale ritiene che

l'oggetto dell'obbligazione sia costituito dalla prestazione e che

essa consista nel dovere del debitore di assumere un determinato

comportamento per poter soddisfare l’interesse creditorio.

L’affermazione che l’obbligo del debitore abbia come

punto di riferimento la prestazione e, che questa consiste in un

comportamento del soggetto passivo è dimostrata dall’insieme

delle regole giuridiche dettate per disciplinare il fenomeno

dell'adempimento. La legge, infatti, caratterizza il contenuto del

dovere debendi con elementi che riguardano il soggetto-debitore ,

imponendogli una certa diligenza nell’adempimento (art. 1176

c.c.) , ricollegando la sua responsabilità, per il ritardo,

l’inesattezza o l'inesecuzione della prestazione, alla violazione

dolosa o colposa del dovere (artt.1225, 1229, Comma I, 1228

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c.c.), considerando fatti la cui esistenza rendono impossibile la

realizzazione dell’obbligazione per causa a lui non imputabile

(art. 1218)28. L'obbligo, avendo come contenuto la condotta del

debitore, viene ad essere adempiuto solo con il suo verificarsi,

senza che in qualche modo sia legato al risultato del suo

comportamento. Ciò è dimostrato dalla considerazione che il

debitore, realizzando il contenuto del suo dovere, è liberato

dall'obbligazione, anche se il creditore non raggiunga il

soddisfacimento del suo interesse, come avviene nel caso del

pagamento fatto al creditore apparente o nell’ipotesi d’offerta

reale seguita dal deposito, o da atti equivalenti.

La teoria tradizionale non fa altro che invertire i termini

teoretici della teoria del "bene dovuto", in quanto l’utilità'

desiderata può essere realizzata solo se vengono posti tutti gli atti

idonei a raggiungerla. Per cui il diritto del creditore non può avere

come oggetto quest’utilità, il bene considerato, ma deve

indirizzarsi nei confronti delle operazioni, cioè il comportamento 28 Rescigno , voce Obbligazione, in Enciclopedia del diritto, op. cit. pag.184

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del debitore: diritto del creditore si dirige nei confronti della

condotta debendi per raggiungere il bene. Tutto ciò si spiega in

quanto il diritto di credito ha una natura eminentemente evolutiva,

dinamica che caratterizza tutta la vita del diritto, che si presenta

come un continuo modificarsi di stati, al fine di raggiungere il

bene. Questa particolare propensione al bene testimonia lo stato

di legittima attesa creditoria, in quanto il bene in questione non è

ancora entrato nel suo patrimonio, ma fa parte della sfera

giuridica del debitore, il quale se lo deve, vuol dire che n’è

proprietario. Si verifica quel fenomeno generale per il quale il

credito si presenta come moltiplicatore della circolazione dei

beni, in quanto si verifica che il bene si trovi

contemporaneamente nella sfera giuridica e patrimoniale di due

distinti soggetti: quella del proprietario e quella del creditore del

suo proprietario. Per cui il debitore (proprietario del bene) si pone

come un divisore, come un distanziatore (diaframma) tra il bene

ed il creditore, rilevando che il creditore non ha un diritto sul

bene dovuto, ma ha un diritto ad avere il bene. La sua funzione è

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quella di acquisire il bene che, una volta realizzata, fa si che il

diritto diviene diritto sul bene ed, in quanto tale, si estingue. Il

diritto di credito, infatti, ha carattere provvisorio in quanto vive e

trasforma in un tempo limitato per l’acquisizione del bene, ed una

volta che esso è entrato nel patrimonio del creditore, il diritto si

distacca dal suo titolare e si dissolve; per cui se si ha la proprietà

del bene non si ha diritto, se si ha diritto non si ha la proprietà del

bene. Se il diritto di credito non è un diritto sul bene, è un diritto

caratterizzato dalla necessità giuridica di avere il bene, che gli

può essere assicurato solo da quelle serie d’operazioni debendi,

che lo pongono in diretto rapporto con il bene. Ciò vuol dire che

non solo il debitore è sempre tenuto ad avere un certo

comportamento che atto a garantire l'acquisizione del bene, per

cui solo quest’attività debendi può essere oggetto del diritto del

creditore. In virtù del vincolo giuridico il debitore pone una

limitazione alla sua volontà e alla sua libertà futura, in quanto

dovrà tenere nei confronti del creditore un certo comportamento

che costituisce la prestazione. E' ad essa che bisogna riferirsi

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poiché da essa non si può prescindere per la realizzazione del

diritto del creditore, in quanto egli è interessato solo al risultato di

quella determinata prestazione.

Si è obiettato il comportamento del debitore non può

costituire oggetto del diritto creditorio, in quanto l'attività debendi

inerisce la persona del soggetto passivo e come tale non può

essere considerato come punto di riferimento del potere derivante

dalla natura del diritto soggettivo. L'impossibilità che il diritto

soggettivo possa avere come oggetto il comportamento del

soggetto passivo è stato affermato con maggior forza nei

confronti delle obbligazioni di fare che hanno come oggetto un

servizio, un 'attività, il cui contenuto può essere del più vario

compreso il semplice consenso. Esse, quindi, hanno come oggetto

atti che si riferiscono alla persona del debitore, per cui il

comportamento del debendi, essendo attività volontaria

caratterizzata come atteggiamento della sua personalità, non può

essere oggetto del diritto di credito.

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L’obiezione è superabile se si considera la natura del diritto

di credito e, soprattutto, quella del diritto soggettivo, in quanto il

credito, per sua definizione, è caratterizzato dalla relatività, e

come tale si dirige verso l'altro, il debitore, ma non è un diritto

sulla persona-debendi. La natura del diritto soggettivo fa si che il

soggetto sia titolare di un potere giuridico dal quale scaturisce una

posizione di supremazia e che gli garantisce l'attuazione della

tutela normativa, in caso di non realizzazione del suo oggetto.

Stabilire i confini entro cui si può delineare il contenuto

dell’oggetto è importante per stabilire se la posizione di

preminenza può essere costituita, e quando il soggetto-titolare

possa utilizzare il potere, senza che venga superato l'ambito

d’applicazione della tutela giuridica. In particolari situazioni, così

come non si può avere un potere sulla persona, non si può

neanche parlare di potere sul patrimonio del subbietto passivo, in

quanto la realizzazione della pretesa creditoria non può

indirizzarsi su un bene determinato, poiché questo bene non esiste

nella sfera giuridica debendi. Il ricco imprenditore, ad esempio,

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che ingaggia un tenore, per far si che canti in una festa, non può

non avere come oggetto del suo diritto il canto, cioè un'attività

che riguarda una qualità personale del soggetto-debitore, che,

come tale, non può mai essere considerata come bene esistente

nel patrimonio debendi. Questo comportamento, se dal punto di

vista dell’obbligo, viene considerato una limitazione della libertà

dell'obbligato, non può essere considerato un valido argomento

per giustificare l'impossibilità che essa diventi oggetto di diritto,

soprattutto quando è dettato dalla libera scelta del soggetto

adempiente. La particolare attività solvendi, infatti, se rientra

nella sfera autonoma e disponibile di un determinato soggetto, e

se quest’ultimo accetta di limitarla in cambio di una determinata

controprestazione, non vi sono ostacoli a considerare come

oggetto del diritto di credito quella parte d’autonomia privata

della quale il soggetto si priva, mettendola a disposizione del

creditore. Ulteriore conferma del risultato teoretico raggiunto è

rappresentato dall’esempio dell’obbligazione negativa di non

fare, che ha per oggetto l'obbligo del gestore di un cinematografo

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di non proiettare un certo film nei giorni in cui questo viene

programmato in una sala vicina. In questo caso è palesemente

evidente che oggetto del diritto di credito del proprietario della

sala cinematografica accanto non può non essere che il

comportamento negativo di quel determinato soggetto. Vi è una

perfetta correlazione tra adempimento dell'obbligo e realizzazione

del diritto in virtù dell’attuazione del comportamento del soggetto

passivo, mentre la mancata attuazione dell'obbligo implica lesione

del diritto con relativa nascita del potere derivante dalla

situazione di preminenza caratterizzante il diritto soggettivo. Il

potere ha la sua funzione nel tutelare il creditore contro

l’inadempimento, cioè nella possibilità giuridica di un

risarcimento nel caso in cui si fosse verificato il danno. Esso

rende giuridicamente possibile risarcimento del danno causato

dalla violazione dell'obbligo, e come tale, quindi, s’indirizza non

al comportamento ma alla responsabilità del debitore, per la quale

risponde delle obbligazioni con tutto il suo patrimonio. Non c'è,

quindi, incompatibilità tra il potere inerente al diritto soggettivo e

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l'oggetto del diritto di credito costituito dal comportamento del

debitore, potendo coesistere in una perfetta simbiosi giuridica29.

La teoria tradizionale ha dato una rilevanza particolare al

comportamento del debitore, inteso come oggetto del diritto

creditorio, in quanto lo considera come l’unico modo per

soddisfare l’interesse del creditore, a cui tutta l'obbligazione

tende.

La disputa dottrinale sulla determinazione di cosa potesse

formare oggetto del diritto del creditore sottintende una più ardua

problematica che come suo principale argomento teoretico la

struttura e la funzione che l'interesse creditorio ha all'interno del

rapporto obbligatorio. L'analisi della natura e dei differenti modi

che possono determinare la realizzazione dell'interesse hanno

posto un fondamento teoretico per la possibile verifica

dell'esistenza del diritto, accanto all'obbligo, del debitore di poter

attuare l'oggetto della propria prestazione.

29 Miccio , le Obbligazioni, op, cit, pag. 5 ss.

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L'INTERESSE DEL CREDITORE.

L'obbligazione presuppone che l'obbligo del debitore trovi

il suo punto di riferimento soggettivo nell’interesse di un soggetto

determinato che di tale obbligo risulti l'immediato destinatario.

L’interesse, che in generale significa bisogno obiettivamente

valutabile di usufruire di beni o di servizi, nel rapporto

obbligatorio si specifica come elemento funzionale, in quanto

tutta l'obbligazione è strutturata per realizzarlo. Esso è necessario

nel momento in cui il rapporto si costituisce e durante tutta la sua

vita, in quanto l’obbligazione non sorge se tale interesse viene

meno o se la prestazione non è in grado di soddisfarla , e inoltre il

suo venir meno è causa di estinzione dell'obbligazione. In

maniera più incisiva l'interesse è stato definito come elemento

fisionomico, cioè facente parte della sua fisionomia costitutiva e

per la quale è destinato ad essere attuato dal dovere del debitore30.

Il carattere costitutivo dell'interesse creditorio, e la sua rilevanza 30 Giorgianni , Obbligazioni, op. cit. pag. 58; Di Maio . Delle Obbligazioni op. cit. pag 265.

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sulle sorti del rapporto, sono stati contestati da alcuni illustri

giuristi, in quanto questi ultimi hanno dato maggiore rilievo al

fatto che l'obbligazione perderebbe la sua certezza giuridica se

dovesse dipendere da un elemento che attiene alla sfera interna

del creditore, e che si presta ad essere difficilmente valutato.

Questa obiezione è stata facilmente superata poiché si è ritenuto

che il suo carattere costitutivo trova conferma in un principio che

deve essere considerato basilare nel nostro ordinamento: ossia che

tutti i diritti sono posizioni attribuite al soggetto per la tutela di un

suo interesse. Espressione di tale principio e conferma del suo

carattere costitutivo è contenuta nella norma che lo prevede,

infatti l'art. 1174 espressamente sancisce "la prestazione deve

essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere

a un interesse anche non patrimoniale del creditore." La formula

legislativa distingue con chiarezza la prestazione, che forma

oggetto dell'obbligazione deve avere carattere patrimoniale,

dall’interesse, nei cui confronti essa si indirizza, che non deve

essere suscettibile di valutazione economica. Dalla norma, quindi,

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si possono distinguere due disposizioni: l'una riguardante la

pecuniarietà della prestazione e l’altra riferita all’interesse.

Una lettura frettolosa della norma indusse a ritenere che il

carattere patrimoniale della prestazione non fosse un requisito

necessario in quanto non lo era per l’interesse, per cui si arrivò a

formulare il principio in base al quale la prima disposizione

annullava la seconda. L'equivoco fu chiarito da esponenti di

spicco della nostra dottrina , tra cui Scialoja, il quale sottolineò

l’importanza normativa della distinzione e l’impossibilità di

ricadere in stati confusionali di fronte al chiaro modo con cui è

espresso l'art.117431. Il legislatore conferma, quindi, che

l'obbligazione non è destinata soltanto a soddisfare gli interessi

patrimoniali del soggetto, ma anche i suoi interessi culturali,

religiosi , morali cioè i non patrimoniali; data l'infinita varietà di

bisogni dell'uomo si conferma che il rapporto obbligatorio sia, più

di ogni altro istituto giuridico, il più adatto a soddisfare questi

bisogni. La funzione che l’obbligazione possa avere di soddisfare 31 Miccio op. cit. pag. 8.

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un interesse non patrimoniale del creditore è riconosciuto anche

nelle fonti romane, tra le quali un brano del Digesto XVII, 1 di

Papiniano che ci narra :"placuit enim prudentioribus affecus

rationem in bonae fidei iudiciis habendam"32. Innumerevoli

esempi di dette obbligazioni si possono ritrovare nella nostra

cultura giuridica come quella caratterizzata dalla presenza

dell'obbligo di non suonare il violino assunto dal vicino di casa , o

quella in cui l'obbligo è assunto verso il domestico di lasciarlo

libero un giorno della settimana.

La disposizione contenuta nella seconda parte dell'art.1174

ribadisce un principio che è completamente autonomo rispetto

alla distinzione enunciata nella norma, cioè quello che la

prestazione deve corrispondere ad un interesse del creditore

Quest'interesse che, per sua natura può essere anche non

patrimoniale, deve essere tipico, cioè non si deve identificare con

quello concreto e individuale del singolo creditore, ma con

32 In tale frammento viene riportato il caso di un mandato di manomettere uno schiavo ed per il quale mandato potrebbe agire anche il venditore "affectus ratione". Scuto , op. cit. pag.73

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l'interesse tipico di un determinato rapporto. La differenza si può

riscontrare nei loro distinti caratteri strutturali in quanto l'interesse

tipico inerisce il rapporto ed è soddisfatto dalla prestazione,

mentre l'interesse individuale fa riferimento solo al movente che

ha dato luogo al costituirsi del rapporto in questione, senza però

avere alcuna influenza sulla successiva vita del rapporto. Nella

maggior parte dei casi, poi, l'interesse tipico ha una sua finalità

che non coincide con quella dell’interesse individuale, che in caso

di conflitto non assume rilevanza giuridica. Si pensi all'ipotesi di

un decreto che blocca i possibili licenziamenti, facendo divieto

alla aziende di un particolare tipo. In questo caso abbiamo che

l’interesse individuale viene meno per il contrasto con il dettato

del decreto che impone di non licenziare gli operai, ma ciò non

toglie che l'interesse tipico di quel determinato rapporto

obbligatorio venga soddisfatto, in quanto l'operaio svolgendo il

proprio lavoro, soddisfa in pieno l'interesse di quel tipo di

obbligazione che garantisce un tipo di produzione. Solo l'interesse

tipico può essere oggetto di attenzione giuridica e come tale esso

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costituisce il punto di riferimento dello studio dei diversi modi

che si possono determinare per soddisfarli.

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I DIVERSI MODI DI SODDISFAZIONE DELL’INTERESSE

CREDITORIO.

La dottrina, nell'assolvere il compito teorico di verificare

l’esistenza di questi diversi modi di analizzare l'interesse, ha

posto la propria attenzione all’interno del rapporto, e più

precisamente lo studio giuridico si è indirizzato nel determinare

quale fosse l'oggetto del diritto di credito, e quale attività

giuridica potesse garantire la realizzazione dell'interesse. Le

teorie che si sono susseguite sul palcoscenico giuridico partono

dal diverso rilievo dato all'elemento patrimoniale ed all'elemento

personale dell'attività solvendi, con diversa soluzione al problema

intorno ai diversi modi di soddisfazione di questo interesse. La

teoria del bene dovuto considera oggetto del diritto il bene, e

come tale la sua realizzazione può essere determinata da qualsiasi

attività che lo possa realizzare. Il debitore viene considerato come

un puro mezzo per la realizzazione dell'interesse in quanto esso

può essere raggiunto sia mediante esecuzione forzata, sia

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Page 73: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

mediante adempimento del terzo. L'ordinamento giuridico

concede al titolare del diritto una serie di poteri atti a garantire

l'attuazione del suo diritto e la soddisfazione del proprio interesse.

Questi poteri si indirizzano nei confronti di apparati dello Stato

che hanno come compito quello di realizzare la pretesa creditoria.

Per cui gli organi dell'apparato esecutivo, una volta, che i poteri

sono stati utilizzati nel richiedere l'intervento di questi ultimi, non

fanno altro che agire coattivamente, garantendo l'acquisizione del

bene. La possibilità che l'obbligazione possa essere adempiuta da

un soggetto estraneo al rapporto è garantita dalla norma contenuta

nell'art. 1180 c.c., che si pone come argomento normativo per

eccellenza il più esaustivo per testimoniare che la soddisfazione

dell'interesse non può essere legata all'attività debendi. Si

garantisce l'estinzione dell'obbligazione determinata da un

comportamento di un terzo, per cui implicitamente si ritiene

realizzato anche l'interesse creditorio, con la conferma

dell'esistenza di più mezzi giuridici atti a garantire l'attuazione.

Questi diversi strumenti soddisfattivi sono accomunati da

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realizzazione, cioè un interesse generico ad ottenere l'attuazione

dell'oggetto del proprio diritto. Ciò si spiega dal fatto che il

creditore, mediante esecuzione forzata, non raggiunge sempre lo

stesso bene che avrebbe costituito il risultato della prestazione,

ma, nella maggior parte dei casi, si raggiunge che un bene

totalmente diverso, costituito da una somma di denaro

corrispondente al danno causato dall'adempimento. Nel caso, ad

esempio, che l'oggetto dell'obbligazione sia un quadro di un certo

autore, e come tale insostituibile, l'inadempienza del pittore

determinerebbe solo la possibilità per il creditore di essere

risarcito del danno patrimoniale, ma non potrà mai soddisfare il

vuoto lasciato dall'acquisizione di un opera d'arte. Si è preso, in

considerazione solo un interesse generico, di realizzare il credito,

che come tale ha un carattere economico ed è posto fuori dal

rapporto obbligatorio, senza, quindi, aver dato la giusta rilevanza

a quello che viene designato come interesse specifico che fa parte

del rapporto ed è indirizzato ad ottenere il solo oggetto del diritto

di credito posto in obbligazione. Si è obbiettato che la

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realizzazione dell'interesse del creditore può essere garantito

dall'esecuzione forzata in forma specifica nel senso che essa non

si indirizza verso un bene sostitutivo, o equivalente al bene

dovuto (risarcimento del danno realizzato in una somma di

denaro) ma nel far sì che il creditore possa ottenere lo stesso bene

in caso di lesione del suo diritto. Nelle obbligazioni negative, vi è

un obbligo primario del debitore di non fare, di non avere un

determinato comportamento, come ad esempio di non costruire

un fabbricato ad una certa distanza, il quale può essere violato

ponendo in essere il comportamento (es. costruire il fabbricato).

L'intervento dello Stato si effettua in questi casi, con una serie di

operazioni degli organi giudiziari diretti alla distruzione quanto il

debitore ha effettuato in violazione dell'obbligo, ripristinando lo

status quo. Per cui l'esecuzione forzata in forma specifica viene

ed essere considerata come un idoneo strumento atto a realizzare

l'obbligazione, pari all'adempimento del debitore considerando

entrambi capaci di compiere la stessa funzione soddisfattiva.

Questa esecuzione forzata può essere considerata, quindi, come

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strumento idoneo a soddisfare perfettamente il medesimo

interesse che avrebbe trovato uguale soddisfacimento per mezzo

dell'adempimento del debitore.

Questa parità di effetti viene ad essere smentita dalla

constatazione che ad un’uguaglianza funzionale non corrisponde

la realizzazione dello stesso interesse. L'esecuzione forzata e

l'adempimento hanno in comune, infatti, solo un risultato

mediato, che sarebbe rappresentato dall'interesse generico del

creditore, dalla realizzazione di un generico interesse tipo del

creditore (es. nell'obbligazione negativa è quello di non

modificare un determinato stato) mentre si differenziano per il

risultato immediato che possono raggiungere. La considerazione

nasce dalla diversa struttura dei rapporti che intercorrono tra il

creditore e il debitore e tra il creditore e gli organi dell'apparato

esecutivo in quanto ciò che si pretende dal debitore è diverso da

ciò che si richiede all'organo esecutivo.

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Se prendiamo in considerazione la struttura di una

qualsiasi obbligazione ci rendiamo conto della differenza dei due

rapporti, in quanto l'attività richiesta dal creditore al soggetto

passivo determina la soddisfazione di un interesse diverso rispetto

a quello detenuto dal titolare della posizione attiva nei confronti

della struttura processuale statale. Nelle obbligazioni negative

l'interesse tipico è caratterizzato dal mantenimento dello status

quo il quale viene violato da un comportamento positivo del

debitore consistente nel porre in essere l'attività considerata (es.

costruzione di un fabbricato). Una volta violato l'obbligo, sorge in

capo al creditore un interesse al ripristino dello status quo

(distruzione del fabbricato) è per la soddisfazione di questo nuovo

interesse che la legge impone, a richiesta del creditore, certe

operazioni agli organi dello Stato a ciò proposti.

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Siamo, quindi, in presenza di due interessi diversi, l'uno

attinente al rapporto obbligatorio e l'altro che si pone al di fuori

dell'obbligazione in quanto nasce come necessità giuridica di

garantire il ripristino dello status quo. L’interesse tipico

considerato , quindi, è solo quello nascente dall’obbligazione,

cioè di non alterare lo status quo e, come tale, può essere

realizzato solo dal comportamento del debitore.

La teoria tradizionale, quindi, arriva ad un risultato

teoretico opposto a quello della teoria del bene dovuto, le cui

affermazioni non possono essere smentite neanche dalla presenza,

nell'ambito del sistema normativo, della disposizione contenuta

nell'art. 1180 c. c. riguardante l'adempimento del terzo. I risultati

raggiunti per l'esecuzione forzata possono essere applicati anche

al caso in cui l'obbligazione venga estinta dall'adempimento del

terzo, in quanto qui l'interesse che si considera implicitamente

realizzato non è quello specifico del rapporto obbligatorio, ma la

realizzazione di un generico interesse ad ottenere un determinata

attività soddisfattiva. Il parallelismo di risultati termina nel

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momento che viene presa in considerazione la diversa funzione

assunta dai due strumenti in quanto, mentre l'esecuzione forzata

costituisce uno strumento messo a disposizione del creditore,

affinché, ove il debitore violi il suo dovere, raggiunga la

realizzazione del proprio diritto, altrettanto non può dirsi per

l'adempimento del terzo.

Esso è un possibile modo di realizzare l'obbligazione la cui

funzione viene ad essere ricercata nella sua ratio, la quale non

costituisce punto di contatto con il rapporto sottostante. Il terzo,

infatti, interviene senza che il creditore abbia una pretesa nei suoi

confronti, ne che quest'ultimo abbia un particolare dovere da

assolvere, anzi in alcuni casi la sua attività può essere realizzata

anche contro la volontà del creditore. Per cui l'intervento del terzo

non fa altro che rendere inutile il rapporto obbligatorio tra

creditore e debitore, la cui previsione legislativa è dettata solo

dalla necessità giuridica di non lasciare vuoti legislativi sui

possibili modi diversi di estinguere l'obbligazione. La norma

contenuta nell'art. 1180, quindi, non può essere considerata come

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valido argomento atto a smentire l'approvazione teorico della

teoria tradizionale in base alla quale l'obbligazione designa quel

rapporto in virtù del quale è titolare di un interesse che deve

essere soddisfatto dal comportamento del creditore; il diritto del

creditore designa nient'altro che la posizione attiva in cui viene a

trovarsi il soggetto titolare di quell'interesse33. Le varie

teorizzazioni sulle diverse possibilità giuridiche di realizzare

l'interesse creditorio hanno posto l'attenzione sul problema di un

interesse proprio del debitore a realizzare l'interesse dal lato

attivo. Si è discusso se nell'assumere di questo proprio obbligo il

debitore potrebbe essere animato da un proprio interesse non solo

alla costituzione del rapporto ma soprattutto alla liberazione dal

vincolo mediante attuazione della prestazione. L'indagine si dirige

all'interno del rapporto obbligatorio nel verificare se questo

interesse esiste e quali caratteristiche possa assumere, e , a questo

scopo possano essere utilizzate alcune fattispecie tipizzate le quali

garantiscono un valido supporto teoretico all'analisi intrapresa. 33 Giorgianni op. cit .pag. 215 ss.

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La mora credendi, l'adempimento del terzo, la remissione del

debito sono istituti considerati dai vari autori capaci di porre in

evidenza la particolare posizione debitoria e comprendere quando

l'interesse all'adempimento possa costituire substrato di un diritto

.

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II CAPITOLO

CONFIGURABILITA' DI UN DIRITTO SOGGETTIVO AD

ADEMPIERE DEL DEBITORE

TESI CHE RICONOSCE L'ESISTENZA DI UN DIRITTO

SOGGETTIVO AD ADEMPIERE

L'obbligazione nasce e si costituisce in virtù di un

particolare interesse, l’interesse creditorio, che deve essere

soddisfatto dalla prestazione del debitore, a cui tutta

l’obbligazione tende. Quest'interesse, espressamente disciplinato

nell’art. 1174, non è il solo ad essere presente nel rapporto

obbligatorio, infatti, accanto ad esso possono essere individuati

interessi, sia appartenenti al lato attivo che al lato passivo del

rapporto considerato. La posizione di obbligato non esclude la

titolarità di situazioni di interesse emergerti dal rapporto, ma anzi

presuppongono che in determinati casi vi sia proprio un interesse

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del debitore alla costituzione o all’estinzione del vincolo .Il

legislatore fa più volte riferimento all’interesse del debitore,

anche se però non ci da nessun chiarimento sulle caratteristiche

strutturali e funzionali di questo interesse, non avendo formulato

alcuna disposizione normativa pari a quella posta per tutela

dell’interesse creditorio, contenuta nel menzionato art. 1174. Non

essendo previsto da una norma positiva, la quale ne descriva la

natura ed il presupposto, non si può parlare d 'interesse , al quale

l’obbligazione dovrebbe tendere, ma di interessi aventi tutti la

stessa rilevanza giuridica, nascenti dal e per il rapporto in

momenti differenziati34.

La rilevanza dell'interesse debitorio infatti può verificarsi

sia nel momento costitutivo del rapporto, come nel caso

dell'assunzione dell'obbligo di trasportare al sol fine di avere in

cambio l'altrui compagnia, sia nella fase dell'adempimento del

rapporto, come per esempio, nel caso del fideiussore, che,

34 Enciclopedia del Diritto, op. cit. pag. 196; Breccia , Le Obbligazioni, Milano, 1991. pag. 52

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essendo tenuto a surrogarsi nei diritti del creditore, ha un suo

interesse al pagamento ed all'estinzione dell'obbligazione.

Particolare rilevanza acquista l'ipotesi in cui il vincolo

obbligatorio sia stato assunto dal debitore al fine di compiere la

prestazione, cioè, di ottenere la liberazione dal vincolo ponendo

in essere il contenuto dell'attività solvendi. Il contenuto

dell'obbligo può avere rilevanza contenutistica tale da poter

assumere il ruolo di causa primaria della nascita

dell’obbligazione, come nel caso di un chirurgo che è stato

ingaggiato per una difficile operazione che rappresenta per lui un

interesse scientifico importantissimo.

Si è obiettato però, che l'interesse ad essere liberato

mediante adempimento apparirebbe non congruo e privo di

rilievo pragmatico se si prendesse in considerazione le

obbligazioni pecuniarie. Il contenuto di queste obbligazioni è

sempre rappresentato dal dovere dare una certa somma di denaro,

per cui colui che paga realizza una perdita patrimoniale, un

sacrificio che per chiunque sarebbe di difficile sopportazione. Per

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cui si è ritenuto nella fattispecie vi sarebbe solo un semplice

interesse alla liberazione e non all'adempimento, in quanto si nega

che il soggetto passivo potrebbe essere titolare di un interesse a

pagare. Questa obiezione non tiene presente, però il sistema

organico dei fini connessi all'attività della prestazione, la quale

può presentarsi agli occhi di colui che la compie come un valore

positivo, sia dal punto di vista morale che patrimoniale, si da

richiedere una particolare tutela ad opera dell'ordine giuridico.

La protezione concessa dal diritto all'interesse del debitore

per il compimento della prestazione risponde alla particolare

rilevanza che esso assume all'interno del rapporto, il quale,

quando è supportato dalla volontà di adempiere, da luogo alla

costituzione di una nuova posizione soggettiva, accanto a quella

di obbligo.

La volontà, costituisce l'elemento per identificare nel

mondo esterno la consapevolezza di porre in essere quella serie di

attività finalizzate ad un certo risultato. In questo caso esso si

realizza con il porre in essere tutte le operazioni necessarie per

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garantire al creditore l'ottenimento del bene, oggetto della

prestazione. Si sono così realizzati i due elementi costitutivi di

quella particolare posizione soggettiva, definita di diritto

soggettivo: l'interesse e la volontà. In questi casi il debitore è

titolare di un vero e proprio diritto soggettivo o più precisamente

di diritto soggettivo ad adempiere. Un’impostazione

prevalentemente dogmatica e formalistica del rapporto

obbligatorio aveva escluso la possibilità che si costituisse un tal

diritto all'interno del rapporto in quanto la struttura è

caratterizzata da un dovere del debitore di adempiere e il diritto

del creditore di pretendere l'adempimento. Più mature riflessioni

hanno parimenti smentito detta rigida contrapposizione e hanno

contribuito a chiarire che il rapporto obbligatorio ruota intorno ad

interessi diversi tali da poter garantire la pacifica convivenza di

un diritto-obbligo, nell'ambito di una stessa posizione

soggettiva. La possibilità che in un medesimo rapporto

obbligatorio un soggetto abbia, ad un tempo, il dovere di tenere

un certo comportamento verso il creditore, ma insieme il diritto a

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realizzare il contenuto del proprio obbligo si ricava da

moltissime ipotesi dedotte dal diritto positivo.

Tipico esempio si ha quando un soggetto deve consegnare

ad un altro la merce che ha nel proprio negozio, è chiaro che vi è

l'interesse del soggetto ricevente ad ottenere la merce ma, non si

può nemmeno trascurare che il soggetto adempiente abbia un

proprio interesse a consegnare la merce. Si osserva inoltre che ,in

certe figure, il concetto di diritto-dovere è estremamente visibile

in quanto le posizioni sono talmente legate tra loro da essere

considerate inscindibili come avviene nel contratto di società. In

questo tipo di contratto, si rileva che il socio ha non soltanto

l'obbligo di conferire la sua quota o di dare il contributo di

attività, ma anche diritto di prendere parte agli utili sociali35.

Altro esempio significativo è rappresentato dal contratto di

lavoro nelle sue più varie espressioni applicative. L’art. 18 dello

Statuto dei Lavoratori tutela la pretesa del lavoratore subordinato

di essere reintegrato nel posto di lavoro, poiché illegittimamente 35 Luzzatto,Le obbligazioni nel Diritto Italiano,Torino, 1950,pag.7ss

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licenziato, concedendogli mezzi di coercizione sia diretti che

indiretti. Si è ritenuto che l’intera normativa , che ha introdotto

limiti ai licenziamenti, sia in funzione della tutela dell’interesse

del lavoratore al posto di lavoro, cioè all’esecuzione della

prestazione.

Tutto ciò si può evidenziare anche nella normativa dettata

per le prestazioni degli interpreti e degli esecutori di opere

artistiche, per le quali l'art. 48 della legge n. 633/1941 dispone

che detti lavoratori possono pretendere che il loro apporto venga

inserito e pubblicizzato nella riproduzione dell'opera36.

La posizione del debitore nel rapporto obbligatorio si pone,

dunque, sotto il profilo teleologico come interesse a conseguire la

liberazione mediante adempimento. L’estinzione del vincolo si

verifica solo quando si soddisfa l'interesse creditorio e si liberi il

debitore da qualsiasi aggravio, momenti questi che possono

realizzarsi pienamente solo con il compimento della prestazione.

36 Di Maio , Delle Obbligazioni in generale , in Commento al Codice Civile , a cura di Scaloja-Branca , op.cit., pag . 402 ss

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L'adempimento però, non sempre consiste nel realizzare una serie

di operazioni la cui connessione causale è lasciata alla sola

volontà del debitore, molto spesso per aversi la prestazione

necessita anche un'attività positiva del soggetto attivo. Ed è

proprio in riferimento a quest'aspetto dell'adempimento,

costituito, da un fatto di collaborazione che quel particolare

interesse ad essere liberato assume un peculiare aspetto

caratterizzante le diverse posizioni soggettive del debitore o del

creditore. Riferito, infatti, all'attività di cooperazione del creditore

l'interesse presenta rilievo costitutivo in quanto diviene la base

per la determinazione dell’obbligo di ricevere la prestazione. Si

realizza una diversa contrapposizione di posizioni, in cui l’una è

caratterizzata da un obbligo del creditore di ricevere la

prestazione, e, l'altra costituita da un diritto del debitore di

adempiere l’obbligazione37. Un valido esempio di costituzione di

un obbligo credendi lo possiamo ritrovare già nelle fonti romane,

e precisamente nel Digesto possiamo leggere :"si is qui lapides ex 37 Falzea , L'Offerta Reale e Liberazione Coattiva del Debitore , Milano , 1947, de pag 33.

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fundo merit, tollere eos nolit, ex vendito agi cum eo potest , ut eos

tollat " . Qui il compratore si era assunto anche (come parte di suo

corrispettivo) di sgombrare l’area del venditore, il quale pertanto

poteva costringerlo con l'actio vendicti ad effettuare la rimozione.

Questo esempio della vendite del materiale rimasto dalla

costruzione di un edificio evidenzia la funzione di quel

particolare interesse all’adempimento che caratterizza la

posizione creditoria come un vero e proprio obbligo ad effettuare

una certa attività collaborativa.

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DIRITTO DEL DEBITORE AD ADEMPIERE E

CORRELATIVO OBBLIGO DEL CREDITORE DI RICEVERE

LA PRESTAZIONE.

Effettuando una disamina del contenuto delle leggi e dei

codici ci rendiamo conto che una normativa positiva che ci

indichi questa posizione di obbligo non è espressamente prevista.

La struttura del rapporto evidenzia che la sua stessa

configurazione postula la presenza di una contrapposizione di

diritto obbligo, il cui diritto però, appartiene al soggetto attivo.

Per cui ci si rende conto che nella struttura di un rapporto può

anche mancare un atto del creditore necessario all'adempimento

dell'obbligazione, in quanto si può avere realizzazione dell'attività

solvendi avendo il debitore il completo dominio delle operazioni

attinenti alla prestazione, per la quale il creditore è in uno stato di

completa attesa di ricevimento del bene. Solo quando dalla natura

del rapporto emerge l'interesse del debitore ad eseguire la

prestazione, si ha il suo diritto, e non solo l’obbligo, ad attuarla e

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il creditore a sua volta è titolare del relativo dovere di riceverla.

Classico esempio in cui si può rilevare la nascita di quest'obbligo

dalla natura del rapporto viene ad evidenziarsi nel contratto di

struttura teatrale. In questo contratto l'interesse del debitore, cioè

l'attore, deve intendersi tutelato mediante la nascita di un obbligo

di fare agire l'artista scritturato, posto a carico dell'impresario,

(cioè del creditore). Quest'obbligo del creditore, qualora non

derivasse dalla natura o dalla circostanza del negozio, può essere

fissato da un patto, in quanto è sempre concessa all'autonomia

privata la facoltà di regolamentare diversamente i propri interessi.

La libera disponibilità delle parti interviene quando la natura del

rapporto non richiede un comportamento attivo, potendo

riscrivere la disciplina giuridica dettata per quel determinato tipo

di rapporto, in quanto l'ordinamento gli conferisce il relativo

potere di strutturare diversamente le posizioni giuridiche del

rapporto obbligatorio. Anche la legge può raggiungere questo

risultato, ma non può arrivare a strutturare un obbligo generale

del creditore in quanto ciò sarebbe sovversivo dell'intero sistema

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giuridico, per cui l'obbligo dovrebbe essere imposto per legge

soltanto in quei rapporti che naturalmente lo necessitano. Il

creditore ha un proprio obbligo, quindi, o quando la natura del

rapporto evidenzia un particolare interesse del debitore , o quando

è stato stabilito dalla legge o da un patto. Una volta accettata

l'esistenza di quest'obbligo è interessante vedere quale sia la sua

posizione all'interno del rapporto obbligatorio e la sua natura

giuridica. L'indagine non può essere condotta se non si parte da

una critica di quelle posizioni dottrinali che sono giunte a

risultati diversi, considerando dapprima la tesi che perviene a

formulare l'esistenza di un obbligo tour court del creditore38.

La costruzione dogmatica pecca di rigore tecnico-giuridico

in quanto è impensabile che per raggiungere e costruire un siffatto

38 Per la tesi che afferma l’esistenza di tale obbligo vedi per la dottrina tedesca:Wolff, Die Lehre von der Mora , Gottingen 1845, pag 406 ,il quale sostiene esplicitamente :"Die mora des crede

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obbligo la prestazione deve degenerare in qualcosa di obbiettivo,

un valore a se stante che vincola sia il creditore che il debitore.

Gli obblighi corrono da una parte all'altra nelle posizioni

soggettive del rapporto, mentre la prestazione è oggetto nel quale

si racchiude l'attività di una delle due parti del rapporto. Ciò non

può essere considerato come valido argomento per ritenere che il

creditore sia vincolato alla prestazione non meno del debitore, in

quanto il contenuto dell'obbligazione del creditore nei rapporti

con l'adempimento è diverso rispetto a quello esistente con il

debitore. L'obbligo del creditore, infatti, quando esiste, è una

limitazione della sua libertà, nel senso che non può rifiutare la

prestazione, deve lasciarla eseguire39. Se, inoltre, si concepisse

l'obbligo del creditore posto nel medesimo piano dell'obbligo del

debitore, tutte le obbligazioni, almeno tutte il cui adempimento

esiga il concorso del creditore risulterebbe a struttura bilaterale.

La non accettazione di una simile teorizzazione non induce a

39 Bellini , Sull’Obbligo del creditore di prestarsi per l’adempimento dell’obbligazione in "Riv. Dir:Civ."XIII,1921pag. 30 ss

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considerare degna di fondamenta un'altra costruzione teoretica

che considera l'attività di cooperazione del creditore una mera

facoltà, con esclusione di ogni posizione di vincolo40.

L'interesse del debitore in questo modo non solo viene del

tutto sottovalutato ma se si ammettesse la possibilità per il

creditore di disporre liberamente del diritto di prestazione, nello

stesso senso e negli stessi termini di come si può disporre un

diritto reale, si dovrebbe convenire che nessuna conseguenza

pregiudizievole potrebbe derivare dal rifiuto di ricevere la

prestazione. Ma così non è in quanto si costringe il debitore a

ricorrere a complesse procedure per sciogliere il vincolo, con

dispendio di attività che esorbita dai confini del suo obbligo e va

perciò indennizzato. L'impossibilità di strutturare l'attività

creditoria in una facoltà di accettazione non può neanche

condurre o riscrivere o ridimensionare l'attività del creditore

40 Barassi, teoria generale delle obbligazioni , op cit., pag 68 e ss. Per il diritto Francese vedi:Crome, Teorie fondamentali delle obbligazioni nel diritto francese, Milano , 1908, pag. 187. Per il diritto tedesco vedi: Mommsen , Die Lehre von der Mora , in"Beitrage zum Obligationencht",III,Braunschweig, 1885 , pag134 e ss ; Hasenhorl, Das osterreichiosche obligationenrecht, II, Wien, 1889 pag 348 e ss.

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configurandola come una figura di minor spessore rispetto

all'obbligo. E' stato sostenuto che la posizione del creditore

rispetto all'attività di cooperazione è di onere in senso tecnico41.

Se si vuole concedere una vera e propria autonomia alla figura

dell'onere essa deve essere momentaneamente incentrata, nella

piena libertà di comportamento del soggetto, il quale, per il

conseguimento di taluni interessi di cui è titolare, deve sacrificare

altri interessi propri, mentre il soddisfacimento di interessi altrui

avrebbe soltanto rilievo mediato e indiretto42. Nello spazio

concettuale dell'onere non vi è possibilità di inserire la tutela

dell'interesse del debitore, giacché l'onere intanto si distingue

dall'obbligo, in quanto nessun interesse giuridico del terzo viene

pregiudicato dalla sua inosservanza. L'onere non è una posizione

41 In questo senso vedi:Betti , Teoria generale delle obbligazioni , vol II, op. cit., pag. 63. Per la dottrina tedesca vedi:Matthiass, Lehebuch des Burgerlichen Rechts , 5°ed., Berlin, 1910 , pag 198; Buchka , die indirekte Verpflichtnug zur Leistung , Leipzig,1904, pag 5 e ss; Schenker, Erfullungs-bereitshaft und Erfullungsangebot .Zur Lehre vom Glaubigerverzug , in "Jher J. "LXXIX, 1928, pag 146; Ehrenzweig, System des osterreichischen allgemeinen Privatrechts, 2° ed , II, Wien , 1928, pag. 389. 42 In questo senso vedi : Auletta , Istituzioni di diritto privato , Napoli, 1964, pag 80 e ss , il quale ripone l’onere nella " necessità di un soggetto di sacrificare , mediante un proprio atto , un proprio interesse per attuarne un altro."; Carnalutti , Lezioni di dir. proc. civ. , II, Padova , 1931 , pag 127 e ss ; Sistema del dir. proc . civ., Padova , 1936 , pag 55 e ss.; Per il diritto tedesco vedi : Goldschmidt , Der Prozess als Rechtslage , Berlin . 1925 , pag 118 e ss.

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giuridica autonoma, ma vive nell'ambito di un diritto soggettivo;

la sua realizzazione comporta sovente sacrificio, patrimoniale o

personale, atto a dare attuazione al diritto medesimo. Esso si

concentra in una posizione di vincolo in cui viene a trovarsi il

creditore tutte le volte in cui la legge subordina la realizzazione

del diritto all'assunzione di un determinato contegno. Per cui la

figura soggettiva dell'onere è inidonea a definire la posizione

soggettiva del creditore in quanto rifiutando di effettuare il

proprio concorso si mette in gioco solo l'interesse del creditore e

non anche quello del debitore43. La dottrina che nega l'esistenza

di un vincolo del creditore rispetto all'attività di cooperazione si è

fermato all'ostacolo che solleva l'antitesi tra diritto e obbligo: data

la presenza del diritto alla prestazione sembrerebbe una vera e

propria contraddizione in termini strutturare un obbligo.

L'esperienza giuridica mostra però ipotesi sempre più complesse

di interferenza tra posizioni soggettive che impongono di

rettificare l'idea tradizionale, molto semplicistica e astratta, 43 Ravazzoni , Mora credendi, In Novissimo Digesto , X; Torino, 1964, pag. 904.

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dell'esistenza di un’antitesi tra obbligo e diritto. In un rapporto

obbligatorio fondamentale si costituiscono posizioni giuridiche

diverse che molto spesso assumono fisionomie inverse e

reciprocamente opposte. E' necessario stabilire all'interno del

rapporto delle zone di libertà, di regolamentazione di confini in

modo da delineare il potere riservato al creditore. Questo potere

non è altro che l'estrinsecazione del contenuto del diritto

soggettivo creditorio, in quanto indirizzato a realizzare la

prestazione debitoria. Sicché la zona di libertà del soggetto attivo

si esaurisce nella possibilità di pretendere la prestazione e di

conseguenza quella di disporre del diritto. Ed è proprio nella zona

che residua dalla pretesa di ricevere la prestazione, può emergere

l'interesse del debitore a un determinato comportamento del

creditore, potendosi creare, quindi, un vincolo giuridico. Il dovere

di cui il soggetto attivo è titolare discende da un più generale

dovere che la legge impone al titolare di ogni diritto soggettivo,

quello cioè di non oltrepassare i confini delle facoltà accordate

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dall'ordine giuridico per soddisfare il proprio diritto, aumentando

l'aggravio del soggetto passivo.

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OBBLIGO DEL CREDITORE SULLA BASE DEL PRINCIPIO

CONTENUTO NELL'ART. 2043 c.c..

Il credito, essendo un privilegio legato alla titolarità del

soggetto attivo, comporta una limitazione della libertà del

soggetto passivo, il quale è tenuto ad una rigorosa osservanza del

limite entro il quale il privilegio è accordato. Il complesso

fenomeno in cui l'attività solutoria si specifica, evidenzia che la

zona di libertà del creditore si esaurisce entro i confini

dell'apporto del debitore costituito dalla prestazione, egli è libero,

infatti, di richiedere tale apporto o di lasciare la controparte nel

suo stato di inerzia. Questa zona di libertà è ben delineata dal

contenuto della prestazione debitoria, per cui è posta fuori dai

propri confini quella sezione residua dell’attività solutoria che è

costituita dall’apporto del creditore necessario all’adempimento

della prestazione. A sua volta il debitore è vincolato nei limiti

dell'attuazione della prestazione, al di là della quale ha inizio la

sua situazione di libertà. Il titolare del credito, dunque, è libero di

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esercitare o meno la pretesa, ma una volta che la controparte ha

attuato la prestazione, sorge la necessità giuridica di apprestare il

concorso, che come tale si pone al di fuori dell’esercizio del

diritto di credito e attiene al momento della realizzazione

dell'obbligazione. Momento che, essendo rimesso essenzialmente

alla volontà di un soggetto diverso (debitore), mette in gioco la

sfera di interessi di costui e esclude che possa essere dominata

dalla volontà incondizionata del creditore. Il punto di emersione

dell'interesse debitorio è dato proprio dal mancato concorso del

creditore, la cui omissione deve essere collegata ad una tutela

giuridica, la quale non incide sulla normativa concessa al

creditore per garantire l'attuazione della propria pretesa. Il gioco

di interessi delle correlative posizioni giuridiche dei protagonisti

dell'obbligazione emerge con particolari rilievo quando il

concorso del creditore incida spiccatamente sul profilo liberatorio

dell'adempimento , come ad esempio nel caso di mancato rilascio

della cambiale a chi effettua il pagamento44. 44 Sull'ufficio della restituzione del titolo , nei riguardi della liberazione del debitore , vedi;

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Il creditore che non rifiuti le somme indicate nel titolo, ma

non effettua la restituzione del documento, viola il diritto del

debitore di conseguire la propria definitiva liberazione mediante

pagamento45. In questo caso vi è chiara manifestazione

dell'ingerenza del credito nell'altrui sfera giuridica e i margini

della propria sfera di libertà sono stati notevolmente superati. Il

principio generale delle interlimitazioni delle sfere giuridiche

differenziate, per cui ogni soggetto è obbligato a non ledere la

sfera giuridica altrui è trascritto nell’art. 2043 c.c. che sancisce

espressamente l'obbligo di non danneggiare negativamente gli

altri, cioè di non determinare una colpevole lesione della sfera

giuridica altrui. Il comportamento del creditore costituisce la

causa del danno sofferto dal debitore sia dal punto di vista

soggettivo che dal punto di vista oggettivo. Dal punto di vista

La Lumia , L’Obbligazione cambiaria e il rapporto fondamentale , Milano , 1923 ,pag 145 e ss,; Minervini , Mancata presentazione della cambiale e mora del creditore cambiario , in foro Italiano ,1953, I,986 e ss . 45 Falzea , Offerta Reale e Liberazione Coattive del Debitore ,op. cit., pag . 55 ss. Sulla concezione di torto derivante dalla lesine dell'altrui sfera giuridica determinata da un ingerenza del soggetto estraneo vedi: Jung Delikt und Schadensverursachung,Heidelbeg 1897 , pag 228.

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oggettivo il danno è dimostrato dal fatto che il debitore non

poteva, mediante un proprio atto, evitarlo, mentre ciò poteva

essere compiuto dal creditore. Dal punto di vista soggettivo,

invece, ciò è dimostrato dal fatto che il creditore abbia agito

coscientemente, nell’aver commesso una determinata attività; per

cui si può qualificare il comportamento del creditore come

antigiuridico, determinando, così, una lesione della sfera

giuridica del debitore. Alcune difficoltà di carattere tecnico,

causate dal tenore letterale del testo contenuto nell’art 2043,

sembrerebbe non riconoscere il carattere antigiuridico della

condotta creditoria. Quest'articolo, infatti, recita: "Qualunque

fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto ,

obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno",

sancendo, quindi, il carattere negativo dell’attività richiesta, cioè

di non commettere il fatto cagionevole del danno. Ciò che è

previsto sembrerebbe essere in contrasto con ciò che è richiesto al

creditore, avendo il suo concorso all'attività solutoria un carattere

determinato e positivo.

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Si può, però, osservare che il carattere negativo ed

indeterminato è l'aspetto naturale del principio giuridico sancito

nell'art. 2043, il quale, essendo indirizzato alla regolamentazione

di situazioni specifiche, può, assumere carattere positivo. Ed è

proprio in questo processo di progressiva determinazione che

l'obbligo di non ledere assume un atteggiamento positivo, perché

solo un'azione, e non un omissione, è idonea a scongiurare il

danno. Al dovere di omissione si sostituisce un dovere di azione;

cioè dovere di svolgere quell'attività che sembra necessaria a far

cessare l'ingerenza nell'altrui sfera giuridica. Questo dovere

positivo ha una sua valenza contenutistica in quanto è posto in

relazione con il principio di elasticità della sfera giuridica, il

quale consente di ritenere che quando il termine entro il quale la

legge permette l'ingerenza del diritto altrui scade, la sfera

giuridica compressa deve riprendere la sua estensione. Se a far

cessare l'ingerenza dell'altrui diritto si richiede un atto positivo,

l'omissione di quest'atto impedirebbe alla sfera compressa di

riespandersi, e verrebbe a ledere gli interessi giuridicamente

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tutelati che in tale sfera si sono costituiti. Per questo l'atto diventa

giuridicamente dovuto, oggetto di un obbligo, in quanto è l'unico

mezzo atto ad evitare la lesione di interessi tutelati dalla legge.

L'omissione di tale atto viola l'obbligo generale attraverso

l'obbligo speciale, che è insito in un rapporto determinato,

intercorrente tra il soggetto che ha effettuato l'ingerenza e il

soggetto che la subisce. La responsabilità che ne deriva è legata

essenzialmente al rapporto, e come tale viene a gravare sul

creditore nel caso di inadempienza dell'obbligo di riavere la

prestazione: un obbligo, quindi, una responsabilità, che gravano

esclusivamente sulla posizione soggettiva del creditore46.

46 Falzea, Offerta Reale , op. cit. pag. 71 ss.

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OBBLIGO DEL CREDITORE FORMULATO ANCHE IN

RIFERIMENTO ALLA DISCIPLINA CODICISTICA

CONTENUTA NEGLI ART. 1175 E 1180 c.c.

La costituzione dell'obbligo viene ad essere evidenziato

come manifestazione di quella particolare attenzione che il

legislatore pone affinché i rapporti costituiti possano avere una

vita giuridica senza troppo divagazioni dal loro iter naturalistico.

Si ritiene infatti che i comportamenti assunti dalle parti devono

essere il più rispondente possibile a quelle che sono le regole

poste dall'ordinamento per il raggiungimento del fine che si sono

prefissate. Una prima regola è posta dal dispositivo contenuto

nell'art. 1175, in base al quale "il debitore e il creditore si

debbono comportare secondo le regole della correttezza”.

Si è ritenuto che questa norma si rivolge più al debitore

che al creditore, affermando che per il primo questa regola non fa

altro che rafforzare il principio del diligente comportamento

dovuto per l'adempimento. Il creditore, come il debitore, deve

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comportarsi secondo il principio della correttezza, la cui nozione

contiene in se l'idea di un comportamento scrupoloso,

particolarmente serio ed onesto. E' corretto il comportamento non

solo di chi non vuole comportarsi male, ma anche di chi pone in

essere una condotta atta ad impedire che essa possa

obiettivamente recare danno ai terzi. La condotta del creditore

acquista particolare rilevanza proprio in relazione al momento

dell'attuazione dell’obbligazione, essendo essa necessaria per la

realizzazione dell'adempimento.

Ciò è dedotto dal fatto che quando l'evento solutorio per

insufficienza dei mezzi posti a disposizione del debitore, richiede

che il creditore concorra con le proprie energie ad adempierlo,

costui ha un vero e proprio obbligo di porre in essere quel

comportamento, poiché, in caso contrario lederebbe la sfera

giuridica del debitore47.

47 Sull'esistenza di questo obbligo vedi per la dottrina tedesca:Dernburg , System des romischen Rechts , 8° ed.,Leipzig 1912 , pag 119; Larenz , Vertrag und Unrecht, II, Hamburg 1936, pag 188 e ss. Mullereisert, Die

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Un riconoscimento generale di quest’obbligo si ha

nell’art.44 del Cod. Fed. delle Obbl., il quale configura come

causa di riduzione o di esonero della responsabilità del debitore i

fatti del creditore che abbiano aggravato la situazione giuridica

del debitore.

La funzione assolta dall'art. 1175, è di primo piano,

nell'ambito del sistema normativo, in quanto creativa di obblighi

integrativi di protezione delle rispettive sfere giuridiche del

debitore e creditore. Il soggetto passivo del rapporto sarà, quindi

tutelato nei confronti di comportamenti capricciosi e arbitrari che

possono ledere il proprio diritto ad adempiere l'obbligazione

facendo discendere dall'obbligo generale di correttezza l'obbligo

particolare di condotta positiva. E' stato espressamente sostenuto

che il creditore non solo deve avere interesse al comportamento

del debitore, ma deve altresì usare il suo diritto esclusivamente

per soddisfare il suo interesse e non deve servirsi della situazione Verwirkungkeine unzulassige Rechtsausubung des Glaubigers, sondern eine Beschrankung der Hauftung des Schuldners , in Jhering J., 1935 , pag 267. Per il diritto francese vedi :Saleilles, Etude sur la thèorie gènèral des obligation d' après le premier projet du code civile puor l’empire allemand ,3°ed. Paris, 1925, pag 34.

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di preminenza accordatagli dall'ordinamento giuridico nei

confronti del debitore per aggravare la posizione di

quest'ultimo48. Il non aggravare questa posizione significa far sì

che il debitore possa porre in essere tutti gli atti necessari per

adempiere. Se si contrae un debito stabilendo che deve essere

restituito in un determinato periodo, non è conforme alle esigenze

del diritto oggettivo e allo spirito del contratto che il debitore

deve tenere presso di se questa somma di danaro solo per un

comportamento incomprensibile del creditore. La correttezza

implica soprattutto di vedere osservati quelli che sono i limiti

naturali delle posizioni soggettive e dei presupposti delle

obbligazioni49. Una volta che un determinato comportamento del

creditore è disposto da una norma legale o contrattuale il suo

compimento non solo è sottratto al suo arbitrio, ma proprio per gli

effetti che è destinato a svolgere nella sua sfera giuridica, è

oggetto di un vincolo giuridico, per cui il creditore appare quale

48 Giorgianni, L’Obbligazione, op. cit., pag 149. 49 Ferrini e De Crescenzo Nell'appendice sulla Mora del creditore, alla voce Obbigazione dell'Enciclopedia giuridica Italiana, XII, parte I°, Milano 1900, pag. 916.

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debitore ratione accipiendi. Il che risulta chiaro da alcuni esempi

di fattispecie giuridica di diritto positivo come nel caso del

contratto di appalto nel quale è prevista la facoltà di recedere ad

entrambe le parti.

Il recesso deve essere portato a conoscenza della

controparte, e fin quando il soggetto agente (il committente) non

effettua ciò perdura l'obbligo dell'appaltatore di condurre a

termine l'opera, e il committente è tenuto a fornire

tempestivamente i materiali che si era impegnato a dare. Se egli

omette di fare ciò, altera in modo illegittimo i piani di lavoro

della controparte e lede così un interesse del debitore a realizzare

l'opera. Per cui non solo non vengono rispettati i presupposti

normativi del contratto ma sono in netto contrasto con la norma

che impone in via generale il dovere di comportarsi secondo le

regole della correttezza. Il contegno del creditore costituisce

perciò illecito da un duplice profilo: da una parte perché

contraddice all'obbligo negativo di non ostacolare l'adempimento,

e dall'altra perché contraddice l'obbligo positivo di porre in essere

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un comportamento connaturato alla struttura del contratto. In

rapporto al fenomeno di cooperazione, esiste un dovere giuridico

di entrambe le parti, il quale, nei casi concreti, differisce per

grado e intensità, ma che consiste comunque in un obbligo di

condotta.

Quest'obbligo di condotta della pars credendi in funzione

dell'adempimento, è testimoniato anche dalla presenza nel nostro

ordinamento, della disposizione contenuta nell'art. 1180 c.c. in

base al quale il diritto alla liberazione mediante adempimento non

viene fatto valere dall'obbligato, ma da un terzo. A prescindere

della questione relativa alla natura della prestazione o dalla

necessità della dichiarazione di volontà del creditore, è da rilevare

che se l'adempimento necessiti della relativa cooperazione del

creditore il terzo, allo stesso modo del debitore, ha diritto che tale

cooperazione venga effettuata. Ciò si deduce dall'art. 1180 che

concedendo al terzo ad adempiere l'obbligo altrui anche contro la

volontà del creditore, gli riconosce per ciò stesso diritto di

pretendere la sua cooperazione. Da ciò si prova in modo evidente

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che il diritto del creditore non è incompatibile con l'obbligo di

cooperare.

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NATURA DELL'OBBLIGO DEL CREDITORE E DEL

DIRITTO DEL DEBITORE.

L'obbligazione nasce essenzialmente perché l'esigenza

patrimoniale del creditore venga realizzata, e solo in questo

modo che si determina una limitazione della sfera di libertà

dell'obbligato, il quale deve subire questo sacrificio nei limiti di

ciò che è necessario per effettuare l'adempimento. L'attività di

prestazione costituisce il limite per definire i confini del diritto

del creditore di pretenderla e del dovere del debitore di eseguirla.

E' nel margine che residua dai diritti e obblighi principali

delle parti, che quel particolare interesse del debitore ad essere

liberato riaffiora e reclama tutela giuridica non appena il creditore

non rende possibile l'adempimento. Vige nel nostro ordinamento

un elementare criterio giuridico, a norma del quale si deve

raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo, per cui i

mezzi occorrenti per la realizzazione degli interessi vengono ad

essere impiegati in misura proporzionale al fine che si conviene di

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raggiungere. Da ciò ne consegue un principio, che rifrangendosi

nelle posizioni giuridiche soggettive, si specifica affermando che

ogni soggetto ha un interesse giuridicamente tutelato a non subire,

per l'attuazione dell’interesse altrui, un sacrificio maggiore di

quanto sia a norma di legge strettamente necessario. Il

raggiungimento di un equilibrio economico degli interessi si

traduce nella predisposizione legale di strumenti atti a garantire, a

colui che deve soddisfare l'interesse altrui, di adempiere nei limiti

ad esso consentiti.

Questi rimedi sono necessari quando il contegno richiesto

per realizzare l'interesse altrui non sia sotto il controllo esclusivo

del soggetto passivo, ma sono condizionati dal concorso di fattori

esterni. Per garantire la realizzazione di quest'interesse, l'ordine

giuridico crea un sistema di rapporti complementari, l'uno

fondamentale l'altro accessorio. Il primo concernente l'attività

necessaria a realizzare l'interesse principale del titolare del diritto,

il secondo concernente l'attività necessaria a preservare l'interesse

secondario del titolare dell'obbligo. Questi principi, valevoli sul

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piano generale dei rapporti intersoggettivi, si specificano, sul

piano particolare, dell'obbligazione quando l'adempimento ha

bisogno di un’attività di cooperazione del creditore e quest'ultima

viene a mancare. Al costo delle energie originariamente

necessarie per effettuare l'attività debendi, si aggiunge il costo

dell'energia supplementare causata dal mancato concorso del

creditore, per cui, si impone che l'ordine giuridico garantisce al

debitore il risparmio di energie eccedente. Ciò avviene con la

costituzione di un rapporto complementare, rispetto a quello

destinato ad attuare l'interesse creditorio, in cui si figura il diritto

alla cooperazione del creditore. L'interesse del creditore ad essere

soddisfatto dalla prestazione non può incidere sulla sfera giuridica

del debitore al punto da pretendere un sacrificio maggiore di

quello strettamente necessario all'adempimento. La coesistenza

dei due interessi giuridici imporre di riconoscere una regola di

subordinazione per la quale vengono ad assumere un diverso

significato l'attività di impulso del debitore e quella di concorso

del creditore. Logica conseguenza del carattere di subordinazione

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dell'interesse menzionato determina l’impossibilità di far ricorso

agli strumenti necessari per garantire il debitore da un sacrificio

eccedente se non sono assicurate il totale soddisfacimento della

pretesa creditoria. Questa gerarchia di interessi si rifletta nella

strutturazione differenziata delle posizioni giuridiche dei soggetti

del rapporto obbligatorio. Il diritto del debitore nella

cooperazione risulta subordinato al vincolo del creditore alla

prestazione e viceversa, l'obbligo di prestare assume una

posizione di preminenza rispetto all'obbligo di cooperare. Per cui

tutte le volte che, il rapporto di credito richieda la cooperazione

del soggetto, sussiste, accanto al vincolo principale un vincolo

secondario che lega il creditore al debitore rispetto all'attività di

cooperazione, in cui il creditore riveste la posizione di obbligo e il

debitore assume quella di diritto50.

50 Falzea ,op. cit., pag. 77 ss.

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MORA CREDENDI.

L'interesse tipico del rapporto di credito è costituito dal

particolare tipo di cooperazione economica delle parti, le quali

pongono in essere fatti e atti per la trasformazione e la traslazione

di beni. Il fenomeno che racchiude in sé tutti i momenti salienti di

questa realizzazione è costituito dall'adempimento, il quale, nella

maggior parte dei casi necessita, per essere attuato, della

cooperazione del creditore.

Nell'economia del fenomeno solutorio acquista, però,

prevalenza, quale momento fondamentale, la prestazione

dell'obbligato, mentre il concorso del creditore non può assolvere

che una funzione secondaria e complementare. La posizione che

in seno al rapporto ha la condotta dell'accipiens, rispetto a quello

del solvens, riflette la posizione giuridica che all'interno del

rapporto assume l'interesse (principale) del creditore ad ottenere

la prestazione e l'interesse (secondario) dal debitore ad essere

liberato mediante adempimento. La legge conferisce al soggetto

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passivo il potere di richiedere al creditore di realizzare tutti gli atti

complementari per sopportare l'adempimento. In questo caso il

creditore, ritenendo il proprio atto indispensabile per il

compimento della prestazione, non può non avere che un obbligo

di comportamento, indirizzato al dispiegamento dell'energia

supplementare.

Il rapporto obbligatorio, in questo caso, si caratterizza per

la presenza di un legame secondario per il quale il creditore è

vincolato al debitore rispetto all'attività di cooperazione,

costituendo un obbligo, di minore intensità e grado rispetto

all'obbligo debendi, di effettuare tutto ciò che è necessario per far

sì che l'obbligazione si estingua. E' proprio quando quest'obbligo

rimanga inadempiuto che la legge fornisce al debitore il potere di

costituire in mora il creditore. Mora significa ritardo; il creditore

non collabora e il debitore non è in grado di eseguire la

prestazione, per cui essa viene a costituirsi proprio quando il

creditore non effettua la cooperazione adempitiva, determinando

un ingiustificato prolungamento del rapporto obbligatorio. Qui

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l'interesse secondario, presente nella struttura del rapporto

giuridico, prende forma in quanto leso, acquista quella rilevanza

giuridica atta a determinare definitivamente l'impossibilità per il

creditore di comportarsi liberamente. Non può ricevere o rifiutare

la prestazione offertagli a suo piacimento ne può decidere a suo

piacimento di porre in essere tutto ciò che è necessario per

mettere il debitore in condizione di adempiere. Il non porre in

essere il concorso necessario per l'adempimento determina il

persistere di un'attività nel patrimonio debendi, il quale vede

aggravata oltre misura la sua sfera di libertà. Se il diritto del

creditore consiste nel ricevere un determinato "bene" in un

determinato periodo di tempo e pretende che il debitore continui a

tenere la cosa a sua disposizione all'infinito, evidentemente, a

parte il danno materiale, si effettua un prolungamento della durata

del rapporto che determina l'invadenza della altrui sfera giuridica

in modo non lecito.

L'inadempienza del creditore determina una chiara lesione

della sfera giuridica del debitore realizzando quel processo di

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specificazione giuridico di non causare danno giuridicamente

rilevante ad altri contenuti nell'art. 2043 c.c. . I presupposti,

affinché possa sorgere un danno ex art. 2043 c.c , sono due: un

presupposto negativo determinato dalla impossibilità del

danneggiato di evitare la lesione della propria sfera giuridica con

l'assunzione di un determinato comportamento; un presupposto

positivo dettato dalla possibilità di evitare il danno mediante

l'assunzione di un certo contegno da parte del soggetto

interessato. La specificazione di questo precetto consiste nel fatto

che il creditore non compie che quella determinata attività

(presupposto negativo) che crea il danno, mentre realizzando

quella seria di atti richiesti (presupposto positivo) evita di

compiere la lesione dell'altrui sfera giuridica. Per cui il

comportamento del creditore costituisce l'oggetto della pretesa

debitoria a far sì che il suo interesse ad essere liberato mediante

l'adempimento possa essere soddisfatto. All'obbligo di assumere

un determinato comportamento atto a ricevere la prestazione si

contrappone il diritto soggettivo del debitore ad ottenere tale

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risultato, il quale è caratterizzato da una minore attività da non

potersi porre sullo stesso piano del diritto del creditore, ma attiene

sempre al rapporto, sia pure con una rilevanza secondaria e

subordinatsemisempi l d i r i r e c s e m s e m s e m

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LE IPOTESI DI MORA CREDENDI: ART. 1206

a) Mancanza di un motivo legittimo di rifiuto della prestazione.

Le attività in base alle quali si determina un

comportamento illegittimo tale da rendere applicabile la

disciplina della mora sono contenute nell'art.1206 il quale

espressamente sancisce: "Il creditore è in mora quando, senza

motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli o non

compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere

l'obbligazione". Quest'articolo indica due situazioni qualificate

come mora credendi entrambe caratterizzate da un difetto di

cooperazione del creditore in cui la prima si presenta come un

rifiuto ingiustificato di ricevere la prestazione, la seconda si

caratterizza come il mancato compimento di quanto è necessario

affinché il debitore possa adempiere.

Il dato normativo, nella parte in cui ricollega direttamente

al rifiuto gli effetti della mora, non ha causato particolari

problemi per quanto riguarda la natura di detto rifiuto. Esso può

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essere espresso oppure può essere attuato medianti fatti

concludenti, potendo anche consistere semplicemente nel

silenzio, come nel caso in cui il pubblico ufficiale, nell'ambito

delle procedure dell'offerta reale, attende la dichiarazione del

creditore e non riceve nessun tipo di risposta. Indubbiamente si

tratta di una manifestazione di volontà avente carattere negoziale,

che come tale, però, presuppone il requisito della capacità di agire

del creditore. Affermare, che il creditore deve essere capace

equivale a richiedere l'imputabilità del rifiuto al creditore,

aprendo quindi la strada a quello che viene considerato uno dei

problemi più difficile da affrontare in materia di mora credendi:

se per l'esistenza della mora credendi sia sufficiente un puro e

semplice verificarsi dei fatti giuridici contenuti nella disciplina o

se necessita l'imputabilità del rifiuto, ovvero se occorre una vera e

propria colpa del creditore (mora culpata). In proposito non si può

ricavare una risposta certa dalle fonti romane, in quanto in

qualche testo si parla di " nolle accipiendi", mentre altre volte si

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usano espressioni equipollenti riferito sia alla mora credendi che a

quella solvendi.

Il giureconsulto Africano52, nella frase 37, del Digesto

XVII, ci dice "per promissorum steterit, quominus suo die

solveret aut per creditorem quominus acciperet, neutri eorum

frustatio sua prodesse debat" con le quali frasi fa riferimento solo

alla mancanza di una legittima scusa. Il Windscheid, pur

considerando ambigui i passi del Digesto, osserva che la mora

accipienti arreca delle conseguenze dannose e che esse non

possono essere addebitate a chi è innocente.

Una sentenza storica53, della Corte di Cassazione di Napoli

27 Luglio 1889 ha ritenuto costituito in mora il creditore che si

era assentato nel momento in cui il debitore aveva proceduto in

conformità alla procedura di liberazione prevista dal vigente

codice di procedura civile, senza indagare se l’assenza fosse

volontaria o forzata. Il tribunale di seconda istanza, al contrario, 52 Il riferimento del frammento del digesto lo si può ritrovare nell’Enciclopedia giuridica del Novecento , op cit, pag 625. 53 Il riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione lo si può ritrovare in Enciclopedia giuridica del Novecento,op.cit. pag 915.

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aveva considerato l'assenza come calcolata ed atto quindi di

volontario rifiuto.

La considerazione che ne consegue è la possibilità di

ritenere che l’elemento dell'imputabilità sia indispensabile per

verificare se l'omesso comportamento del creditore sia la causa

per dar luogo alla costituzione della mora. Si ritiene, infatti, che

un fondamento puramente oggettivo della mora potrebbe

determinare delle conseguenze dannose, non solo sul creditore

non imputabili, ma anche sul debitore, in quanto si potrebbe

verificare l'ipotesi di mora accipiendi i cui effetti verrebbero ad

essere sopportati dal soggetto passivo54. La necessità di

considerare l'imputabilità della condotta omissiva del creditore si

ha, non già per dimostrare la nascita della mora credendi, ma per

provocare l'estinzione della mora solvendi. L'art. 1221, c.c.

infatti, togliendo efficacia all'art. 1218 c.c., fa ricadere sul

debitore moroso la conseguenza dell'impossibilità sopravvenuta

54 Ferrini, De Crescenzo, Mora del creditore , voce obbligazione in Enciclopedia giuridica, op.cit., pag.625 ss.

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della prestazione, anche quando ciò dipenda da una causa non

imputabile al debitore. Questo principio vale anche nel caso di

impossibilità temporanea, in base al quale il debitore è

responsabile del ritardo anche quando a perpetuare tale ritardo

non sia un fatto da lui voluto. Ne consegue che quando

l'impossibilità temporanea dipende dal creditore, essa è a carico

del soggetto passivo che si è reso responsabile del ritardo. Dato

che la pugatio morae avviene mediante adempimento, o mediante

un surrogato di esso consistente nella procedura coattiva di

liberazione, ne consegue che se l'adempimento non è possibile per

un fatto del creditore ma a costui non imputabile, il debitore,

finchè non si avvale della procedura di liberazione, resta nella

situazione di mora e non si scioglie della relativa responsabilità.

Per cui per far sì che il debitore sia esonerato dalla responsabilità

per ulteriore ritardo è indispensabile che il fatto da cui deriva il

ritardo dipende dal creditore, cioè richiede che sia a lui

imputabile e il conseguente suo stato di mora sia fondato su un

suo fatto colposo. La necessità di un fatto colposo del creditore

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come causa della mora assume particolare rilevanza sotto il

profilo della responsabilità per danni, che vengono causati dal

ritardo della prestazione al debitore. Questa responsabilità intanto

sussiste in quanto il ritardo sia causato da un fatto imputabile al

creditore, manifestandosi come omissione colposa della

cooperazione. La mora accipiendi è capace di fare sorgere nel

creditore l'obbligo del risarcimento soltanto perché fondato su un

fatto imputabile al creditore e si riallaccia alla considerazione che

la colpa può sussistere solo se vi è un obbligo da attuare e un

diritto da rispettare. La determinazione del comportamento

imputabile postula la realizzazione di una responsabilità, la quale

sussiste solo se esiste un obbligo. Il non rispetto dell'obbligo pone

responsabilità, la quale si concreta come manifestazione della

lesione del diritto. E' in questo contesto che riemerge e prende

corpo quel rapporto complementare caratterizzato dalla posizione

di diritto del debitore ad attuare la prestazione e quello di obbligo

del creditore di ricevere la prestazione. La necessità che vi sia

un'intenzionale attività omissiva è testimoniata anche dalla

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struttura delle fasi della procedura di liberazione, in quanto se il

creditore dovesse cadere in mora perché è mancata la sua

cooperazione e fosse quindi del tutto irrilevante indagare le

ragioni che hanno determinato l'omissione, non si spiegherebbe

perché la nostra legge richiede, il presupposto indeclinabile

dell'offerta formale. Quest'atto influisce direttamente sulla

volontà del creditore, in quanto il debitore lo informa della

mancata attività richiestagli e della necessità di questa attuazione,

ponendolo nell'alternativa di fornire tale concorso o subire le

misure disposte dalla legge a suo danno55. Qui la manifestazione

volitiva è elemento determinante per la sorte della procedura di

liberazione, la quale contiene in se la chiara imputabilità

dell'attività omissiva del creditore. Ciò non può essere smentito

neanche dall'inciso contenuto nella prima ipotesi dell'art. 1206

c.c. "senza motivo legittimo", in quanto da essa non può essere

dimostrata l'esistenza di un'omissione ingiustificata. Un'attenta

lettura del testo indica "motivo legittimo" non allude certamente 55 Falzea op. cit. pag.177 ss.

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alla mancanza di un elemento soggettivo come la colpa, ma si

riferisce a situazioni che costituiscono cause di giustificazione del

rifiuto del creditore. Esse possono essere ricondotte ad ipotesi di

comportamento scorretto del debitore o nel caso in cui l'attività di

cooperazione potesse determinare per il creditore rischi

ingiustificati alla stregua del principio di correttezza. I casi

proposti in giurisprudenza sono quelli in cui il debitore compie

l'atto di costituzione in mora in modo incompatibile con il

principio di buona fede, o quando l'ammontare del debito è

giudiziariamente in contestazione56. Questi esempi dimostrano

come il motivo legittimo non esclude la colpa, anzi la

presuppone.

b) Parallelismo tra mora solvendi e mora accipiendi.

56 In riferimento ai casi di giurisprudenza vedi: Visentini, Mora del creditore, in Trattato di diritto privato , a cura di Rescigno , IX; 1, Torino , 1984 pag. 135.

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Nel nostro diritto positivo la mora debendi e la mora

credendi vengono a coordinarsi sullo stesso piano nella disciplina

generale dell'adempimento, ponendosi come istituti

corrispondenti e paralleli. Questa peculiare caratteristica viene ad

essere determinata dall'omogeneità degli elementi costitutivi in

quanto così come alla base della mora accipiendi è posta la colpa

del creditore così nella mora debendi vi è la colpa del debitore. La

figura della mora accipiendi è stata oggetto di considerazione

giuridica limitata, dato che i problemi giuridici erano tutti

monopolizzati nei confronti della mora solvendi. La crescente

importanza giuridica che nella vita commerciale e industriale è

venuta ad assumere la mora del creditore ha indotto i giuristi ad

accentuare i suoi profili normativi, attenuando qualsiasi legame

con la figura della mora solvendi, arrivando a distinguere

totalmente i due istituti, soprattutto dal punto di vista della loro

finalità normativa. A smentire ciò si è rilevato che l'adempimento

realizza l'obbligazione e attua i contrapposti interessi delle parti

costituite nel rapporto. L'inadempimento, invece, comporta il

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sacrificio di questi interessi per i quali l'ordine giuridico

interviene, predisponendo mezzi per la realizzazione di un

duplice scopo. la legge in primo luogo vuole evitare che la rottura

dell'equilibrio dei contrapposti interessi dell'obbligazione

determini ulteriori aggravi, e che la parte veda perciò aumentare

il pregiudizio causato dal contegno della controparte, assolvendo

una funzione cautelativa. Persegue, in secondo luogo, il fine di

ricomporre l’equilibrio tra gli interessi lesi, soddisfacendo, senza

la volontà di colui che si è reso colpevole dell’inadempimento e

tramite gli organi dello Stato, l'interesse del soggetto violato,

assolvendo una funzione satisfattiva. Entrambe queste finalità

sono presenti negli istituti della mora, la cui realizzazione di

interessi divergono verso opposte direzioni. A prescindere dalla

funzione soddisfattiva presente in entrambe con la sanzione del

risarcimento del danno, la legge si preoccupa, con la creazione

dell'istituto della mora solvendi, di impedire che possa continuare

a nuocere all'interesse creditorio lo stato di inadempimento

causato dal debitore; con la mora accipiendi, invece, si

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preoccupa di impedire che il debitore subisca ulteriori danni nella

propria sfera giuridica causati dal perdurare dell’obbligazione.

L’analogia di compiti, nella quale si riflette la differente posizioni

dei soggetti dell'obbligazione in seno al rapporto, e l'identità di

struttura nella formulazione della tutela giuridica contro il

comportamento illecito di una delle parti, impone di configurare

come paralleli i due distinti istituti. Essi vengono a costituire, con

la loro diversa sfera di efficacia, uno degli spazi normativi più

significativi nell'ambito della disciplina giuridica

dell’inadempimento57.

C) Omissione dell'attività necessaria.

La seconda ipotesi indicata nell'art. 1206 c. c. consiste nel

mancato compimento di quanto necessario affinché il debitore

possa adempiere. Questa situazione potrebbe essere facilmente

57 Falzea op. cit. pag. 86 ss. Per il diritto tedesco vedi:Madai, Die Lehre von der Mora , Halle, 1837 ,pag 227 e ss.; Wolff, Die Lehre von der Mora ,op.cit., pag 406 e ss .

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confusa con la prima ipotesi contenuta nell'art.1206, poiché

quando il creditore rifiuti di ricevere “il pagamento offertogli”

egli non compie quanto è necessario affinché il debitore possa

adempiere. In questo modo viene ad essere ricompreso la seconda

ipotesi nella prima, limitando, l'esperibilità della procedura

liberatoria solo nei confronti delle obbligazioni pecuniarie. Così

non è in quanto la ratio discriminante viene ad essere messa in

rilievo dal fatto che l'offerta reale necessita ogni qualvolta

l'attività del creditore consiste esclusivamente nel ricevere la

prestazione e quindi si tratta di un obbligazione di dare o di

consegnare, aventi per oggetto, "beni" e non semplice moneta58. Il

contenuto dispositivo indica un esplicito rinvio ai singoli rapporti

obbligatori, in quanto non è possibile stabilire in via astratta

quanto è necessario senza far rinvio alla concreta attività di

cooperazione la cui mancanza fa scattare, gli effetti della mora.

La collaborazione di cui si lamenta la mancanza deve essere

strumentale all'adempimento, il che avviene quasi sempre nelle 58 Ravazzoni op. cit. pag. 902

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obbligazioni di fare o di consegnare; come ad esempio gli

obblighi di fornire informazioni, di dare istruzioni, eseguire lavori

preliminare.

Gli obblighi di cooperazione, però, oltre che risultare dal

contenuto del contratto, o da norme specifiche del codice civile,

possono risultare dalla interpretazione del principio di correttezza.

Questo principio si configura come determinante nel creare figure

di obblighi atti a prevenire comportamenti che non sono conformi

alle regole dettate dal singolo contenuto e dal quale non sia

desumibile un'esplicita tutela. La creazione di obblighi integrativi

di protezione delle posizioni soggettive dei titolari del rapporto

giuridico ha fatto si che essi potessero essere controllati e

determinati da coloro i quali del diritto garantiscono

l'applicazione. Al giudice, infatti, è garantito. tramite la norma

contenuta nell'art. 1175, un valido strumento di controllo della

pretesa del creditore, ritenendo possibile verificare che la non

attuazione della prestazione dipenda da circostanze non

direttamente relazionabili al comportamento del debitore. Una

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recente sentenza del tribunale di Napoli59 ha fatto applicazione di

questo principio ai fini dell’applicazione dell’istituto della mora,

desumendo dalla particolare natura del contratto, in base al quale

una società commerciale aveva assunto l'impiego di organizzare

un'agenzia di vendita per conto di un'altra società produttrice, un

obbligo di dare informazioni sulla propria produzione a carico

della società creditrice.

Una sentenza recente della Cassazione60, nella quale

veniva esaminato il caso riguardante un contratto di

somministrazione a prestazioni ripartite, ha ritenuto, in base alla

regola di correttezza, in mora il creditore che, avendo trascurato

di ricevere le singole prestazioni alle rispettive scadenze, le aveva

pretese tutte in un solo momento, senza tener conto della capacità

produttiva del somministrante. L'ampia formulazione adottata dal

legislatore consente ai giudici di individuare alla stregua del

principio di correttezza una seria di obblighi di cooperazione a

59 Il riferimento alla sentenza del tribunale di Napoli:Visentini , Mora del cerditore, op,cit.pag 139 60 Cass,28 luglio 1977 n. 3360, in giur, It 1977 pag 715

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carico del creditore, la cui osservanza è strumentale

all'adempimento; dovendosi ritenere tale anche la cooperazione

diretta a tutelare la sicurezza della persona del debitore tutte le

volte che sia strettamente implicata nell'esecuzione del rapporto e

nell'ambiente in cui questo si svolge61.

61 Visentini , Mora del creditore , in Trattato di Diritto Privato a cura di Rescigno, voce obbligazioni e contratti, op. cit. pag.133 ss.

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FACOLTA' E POTERI GIURIDICI INERENTI AL DIRITTO

SOGGETTIVO DEL DEBITORE: ART. 1207 c. c.

Il diritto soggettivo è caratterizzato dalla presenza di poteri,

e facoltà, atti a dare piena attuazione allo stesso diritto in caso di

sua violazione. Il diritto del debitore è accompagnato da

particolari poteri atti a dar vita alla sua piena realizzazione

potendo agire richiedendo l’applicazione di particolari sanzioni.

L'art. 1207 c. c., 2° comma stabilisce "Il creditore è tenuto a

risarcire il danno derivante dalla sua mora e a sostenere le spese

per la custodia e la conservazione delle cose dovute", per cui il

violato diritto del debitore dall'omissione del creditore viene ad

essere reintegrato mediante il risarcimento del danno. Si è rilevato

però che il risarcimento del danno rappresenta una sanzione

dell'illecito civile e come tale non può essere invocato per

dimostrare la natura di diritto soggettivo della posizione debendi.

La dottrina moderna tende a scindere la nozione di illecito, in

quanto lesione di un comando di legge, e di danno, in quanto

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lesione di un interesse giuridico62. La scissione dei due istituti

conduce alla definizione di particolari zone in cui è esclusa ogni

interferenza, essi vivono indipendentemente l'uno dall'altro: cioè

quale illecito non risarcibile e quale danno lecito. Il richiamo al

risarcimento del danno sembrerebbe essere infruttuoso in quanto

l'art. 1207 c.c. si riferisce ad un caso di responsabilità senza

colpa63 e che, di conseguenza, l’omissione di attività di

cooperazione costituisce violazione non di un diritto soggettivo

ma di un semplice interesse: concreta cioè un danno, ma non un

illecito64. Ma è stato obiettato che comunque venga configurata la

categoria dell'illecito non risarcibile non può essere messo in

62 In questo senso vedi:Coviello , La responsabilità senza colpa , in " Riv .It.Sc. giur. ", XXIII,1897, pag 188 e ss.; Carnalutti , Il danno e il reato , Padova , 1926 , pag. 19 ; Cesarini Sforza , Risarcimento e sanzione , in Scritti giur. in onore di S. Romano , I, Padova 1940 , Pag 149 e ss . 63 Infatti il Barassi op. cit. pag 59 e ss , pur essendo sostenitore della teoria della mora inculpata , afferma l’esistenza di un obbligo del creditore al risarcimento del danno. Nello stesso senso , lo stesso Autore in Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano , II, 2°ed., Jena 1863 , pag 659 e ss. Nello stesso senso : Scaloja , Lezioni di diritto romano . Diritto delle obbligazioni , Roma , 1899, pag 212 il quale sostiene che " la mora credendi non si può considerare come violazione di un dovere da parte del creditore , ma semplicemente come un fatto da cui il debitore non deve subire il danno." 64 Il diritto tedesco esclude l’esistenza di un obbligo del risarcimento del danno a carico del creditore in considerazione del principio accolto dal B.G.B.della mora incolpata :in questo senso vedi: Enneccerus-Lehmann, Lehrbuch des B.R., II, Recht der Schulderhaltnissen, 12° ed. Marburg, 1932, pag 22

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dubbio che la legge pone come principio generale la regola che

non ogni danno dà luogo a risarcimento, ma soltanto quello che

proviene da un illecito. Il complesso di diritti, assoluti e relativi,

che formano la sfera giuridica del soggetto realizza, invero, una

zona protettiva di tutti gli interessi personali e patrimoniali, che

ad esso fanno capo. Non si dà perciò lesione di un interesse

giuridico che non sia nel medesimo tempo lesione di un diritto

soggettivo e non concreti di conseguenza un’illecita65. Quando la

legge si limita a disporre l'obbligo del risarcimento del danno in

conseguenza di una determinata lesione, e non sussiste una norma

giuridica che tale lesione autorizzi, è inevitabile dedurre che il

danno, di cui è imposto il risarcimento, ha costituito lesione di un

diritto soggettivo alla persona titolare, concretando un illecito. Il

risarcimento del danno costituisce, dunque, la sanzione di un atto

antigiuridico e realizza perciò un fenomeno di giustizia correttiva

a favore del debitore, così come il risarcimento del danno per

65 Questo problema è stato affrontato dal Siebert, Verwirkung und Unzulassigheit der Rechtsausubung , Marburg in Hessen 1934, pag 100 e ss

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inadempimento costituisce un fenomeno di giustizia correttiva a

favore del creditore. Altro effetto che deriva dall'art. 1207 c.c. è la

sospensione degli interessi per la somma dovuta. La sospensione

dell'obbligo dagli interessi si chiarisce per il suo specifico ufficio

come sanzione inflitta al creditore, e precisamente una sanzione

volta ad attuare una coazione indiretta sullo stesso affinché esca

dalla situazione antigiuridica in cui si è messo con il rifiuto di

cooperare all'adempimento. Anche qui si evidenzia la

strutturazione della posizione debendi come diritto soggettivo, in

quanto questa sanzione non sarebbe giustificata, qualora non

discendesse dalla violazione di un obbligo giuridico66. Questi

effetti, che non sono strettamente legati alla necessità di alleviare

al debitore il peso della ritardata liberazione e che invece

colpiscono l'illegittimo comportamento del creditore, non

potrebbero spiegarsi se non come conseguenza della violazione di

un diritto soggettivo del debitore67.

66 Sul punto vedi:Thon, Norma giuridica e diritto soggettivo , Padova , 1939 , pag 60 e ss 67 Falzea op. cit. pag.65 ss.

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PROCEDURA COATTIVA DI LIBERAZIONE. RIMEDIO

GIURIDICO PER REALIZZARE IL DIRITTO SOGGETTIVO.

L'esigenza dettata proprio dalla possibilità di ripristinare

l'equilibrio violato degli interessi che figurano nell'obbligazione,

ed insieme al bisogno di rimuovere il turbamento arrecato da una

delle parti, hanno indotto il legislatore ad affidare ad un organo

dello Stato il compito di pronunziare la liberazione del debitore.

Un grave pregiudizio verrebbe a subire la sicurezza dei rapporti

obbligatori qualora la legge imponesse di considerare il debitore

liberato prima che il conflitto tra costui e il creditore abbia trovato

una composizione giudiziale. La complessa fattispecie dalla quale

discende lo scioglimento dell'obbligato dal vincolo risulta

composto da tre fatti esistenti, collegati da un rapporto necessario

e tutti convergenti al fine ultimo della liberazione.

Il fenomeno complessivo si presenta come un

procedimento in senso tecnico in cui le fasi salienti sono l'offerta

formale della res debita; il deposito (o il sequestro) della cosa

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preventivamente offerta, il giudizio di convalida. La fase

dell'offerta consiste in un’intimazione che il debitore indirizza

alla controparte, affinché sia fornito il predetto concorso

all'attività solutoria; la sua efficacia si concreta nel predisporre,

per il caso in cui il creditore non si uniformi all'invito rivoltogli,

una situazione giuridica che legittimi l’attuazione di fasi ulteriori

e più tipicamente liberatorie della procedura. Superato con detta

formalità lo stato iniziale o della costituzione in mora, il debitore

è senz'altro autorizzato a porre in essere gli elementi di fatto che

si indirizzano nel deposito ovvero nel sequestro della cosa

dovuta; essi rappresentano equipollenti approssimativi per quella

parte o frazione di adempimento che dipende dall'obbligato. Ma

la vera e propria liberazione avviene con la sentenza di convalida.

L'art. 1210 c. c., prevedendo la possibilità del deposito della res

debita, e considerando il debitore libero dalla sua obbligazione,

ne subordina l'efficacia al passaggio in giudicato della sentenza di

convalida. La pronuncia giudiziaria di convalida, che per effetto

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di legislazioni straniere68 era considerata momento marginale,

acquista, all'interno della procedura, una posizione di primo

piano. Basti rilevare, per questo, che la mora accipiendi non si

può costituire semplicemente mediante offerta ma occorre questo

provvedimento, i cui effetti retroagiscono al momento dell'offerta

e del mancato concorso. Essa è una sentenza costitutiva, poiché,

accertato il diritto del debitore alla liberazione coattiva, segue la

modificazione del preesistente rapporto obbligatorio in quanto il

debitore risulta esonerato dal vincolo giuridico. La funzione del

provvedimento consiste non già nella semplice contestazione o

verifica della validità degli anteriori atti della procedura

liberatoria, ma invece nella realizzazione coattiva del diritto alla

liberazione. La sentenza di convalida si pone, perciò, tra i

provvedimenti giurisdizionale che attuano una realizzazione

coattiva di interessi, e con essa assume questa funzione l’intera

68 Nel caso di specie vedi la legislazione tedesca che considera il mezzo giuridico del deposito come determinante per realizzare l’effetto liberatorio. In questo senso vedi : Muhlenbruch, Doctina Pandectarum , Bruxelles, 1851, pag 371; Hunterholzner, Quellenmassige Zusammenstellung der Leher des romischen Rechts von den Schuldverhaltnissen, I, Leipzig, 1840 , pag 107 e ss

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procedura di liberazione, della quale detta sentenza costituisce il

momento conclusivo. Nei confronti di questo rimedio la

posizione del creditore non può assolutamente definirsi di potere,

in quanto il subietto viene completamente soggiogato dalla

procedura liberatoria. La posizione che il creditore assume, in

riguardo al rimedio, è quella passiva, che ha come posizione

correlativa quella attiva del debitore, che concerne tutte le fasi in

cui si articola la procedura di liberazione, a cominciare

dall’offerta. Tale atto, presentandosi come un’intimidazione alla

controparte di prestare il proprio concorso, non costituisce una

semplice partecipazione all’adempimento, ma una vera e propria

manifestazione di volontà, che ha come contenuto un comando

giuridico rivolto al creditore, e presuppone un potere giuridico del

debitore rispetto all'attività comandata. Contro l'esistenza di una

pretesa del debitore al concorso della controparte, si è creduto di

trovare un argomento insuperabile nella circostanza che l'ordine

giuridico non conferisce il potere di conseguire coattivamente il

concorso del creditore, di costringere cioè quest'ultimo a

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cooperare, poiché l'offerta reale si presenta diversamente dai

rimedi giuridici previsti per la tutela del creditore.

Questa costruzione, però, è priva di fondamento logico in

quanto l'intervento in via esecutiva degli organi della

giurisdizione incida non sul mezzo, ma sullo scopo

dell'obbligazione, non mira a far funzionare il meccanismo

primario di attuazione del rapporto obbligatorio, ma si sostituisce

senz'altro a tale meccanismo, al fine di realizzare l'interesse

rimasto insoddisfatto. Il carattere di soggezione inerente ad ogni

rimedio giuridico sta nel realizzare l'interesse insoddisfatto

facendolo gravare sul patrimonio del debitore, indipendentemente

dalla sua volontà, cioè mediante un'aggressione nella sfera

giuridica del soggetto passivo, che non si concretizza quindi

nell'agire direttamente sulla volontà dell'obbligato per

costringerlo ad assumere forzatamente il contegno dovuto.

L'interesse che acquista rilevanza giuridica, in quanto rimasto

insoddisfatto, è quello del debitore il cui rimedio giuridico

riconosciutogli dall’ordinamento, (l'offerta reale) non si specifica

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nel determinare una costrizione della volontà del creditore atta ad

effettuare il concorso. Al pari dell'esecuzione forzata, essa

determina la soddisfazione dell'interesse facendolo gravare sul

patrimonio del creditore indipendentemente dalla volontà di

quest'ultimo.

Argomentazione ritenuta valida per smentire che la

posizione del debitore sia di diritto è stata ritrovata nella

particolare circostanza che la legge non conferisce alcuna azione

di condanna per costringere il creditore a cooperare

all'adempimento. Le azioni di condanna dovrebbero rappresentare

la logica conseguenze di una posizione di diritto in quanto

costituiscono il rimedio più adeguato per garantire la

realizzazione dell’obbligo.

Tutto ciò non può essere considerato come verità assoluta ,

in quanto se è vero che l'azione di condanna presuppone un

obbligo giuridico inadempiuto, non può essere smentita

l'affermazione opposta; non sempre cioè l'inadempimento

dell'obbligo comporta l'esercizio di un’azione di condanna. La

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violazione può essere sanata dando luogo ad una semplice azione

costitutiva, la cui natura è presente nella sentenza conclusiva del

procedimento liberatorio.

L'intervento dell’autorità giudiziaria è reso necessario per

l’attuazione dell’interesse debitorio, le cui fasi della procedura di

liberazione possono essere attivate solo quando si è garantita la

realizzazione di tutte le operazioni giuridiche che sono in grado di

realizzare l'interesse creditorio. La subordinazione della tutela

prevista per la posizione debitoria lascia intendere che la propria

attivazione necessita del compimento di atti capaci di estinguere

la pretesa creditoria, che, una volta attuati, lasciano emergere

l’interesse del debitore ad essere liberato, che viene soddisfatto

dalla sentenza di convalida.

E' stato sostenuto69 che questa sentenza rivestirebbe

carattere di mera accertamento trovando piena conferma logica-

giuridica nella definizione contenuta nell'art. 1210 c.c., in quanto

detta sentenza dichiara valido il deposito effettuato. Che non si 69 Scuto , La mora del Creditore , Catania , 1905, pag. 180.

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tratti di una sentenza di accertamento deriva dal fatto che essa

non si limita a contestare l'esistenza del diritto e a dichiarare

validi gli atti precedentemente determinati, ma aggredisce

direttamente il patrimonio del creditore, spogliandolo di un bene

giuridico: il diritto di credito. La formulazione contenuta nell'art.

1210 c. c. non rivela altro che un lessicismo arcaico, usato per

delineare la configurazione del fenomeno liberatorio. A conferma

di ciò si deve sottolineare che ogni volta che la pronuncia

giudiziaria si pone nel mezzo dell'iter costitutivo di una

modificazione giuridica, ogni nesso causale tra il fatto e la

modificazione deve inevitabilmente cessare. Per cui se

l'accertamento di un determinato fatto segue una modificazione

giuridica, si esorbita dai confini del pure accertamento e si attua

un’ipotesi di accertamento costitutivo. La sentenza di convalida

non presenta il fine ultimo delle mere pronunce di accertamento,

in quanto non previene la futura ed eventuale aggressione di un

precetto giuridico. Essa ha una funzione essenzialmente diversa,

consistente nel riparare l'avvenuta violazione del precetto che

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impone al creditore di procurare all'obbligato la liberazione dal

vincolo, cooperando alla realizzazione dell'adempimento.

Questa sentenza, quindi, si pone come realizzativa di una

modificazione giuridica, riparando all'adempimento dell'obbligo e

realizzando l'interesse del debitore alla liberazione. In quanto tale

si pone al servizio del diritto soggettivo violato del debitore

testimoniando la possibilità giuridica che questo diritto possa

essere realizzato esercitando un’azione che porta in se effetto

meramente costitutivo70.

70 Falzea, op. cit. pag. 384 ss.

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LA DISCIPLINA DELL’ADEMPIMENTO DEL TERZO:

DIFFERENZA TRA IL CODICE DEL 1865 E CODICE DEL

1942.

L'esperienza giuridica ha rilevato che molto spesso

l'obbligazione si estingue in base ad un evento che non è

connaturale alla struttura in quanto non è direttamente collegabile

all'attività solvendi del debitore.

La regola dell'esatto adempimento investe il soggetto

passivo del rapporto obbligatorio, la quale, però, può arrivare a

considerare legittimo le operazioni che un terzo compie nel

soddisfare l'interesse creditorio. Gli atti che il terzo compie nel

determinare l'esatto adempimento appartengono alla fase

esecutiva del rapporto, la cui determinazione è stata al centro di

un lungo dibattito dottrinale sulla sua natura e struttura. La

possibilità che il terzo possa realizzare tali tipi di operazioni è

dettata da una considerazione di carattere pratico posta

dall'assenza di una ragione, astratta tale da impedire che il

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legittimo intervento del terzo possa far pervenire al creditore lo

stesso bene e le stesse utilità che avrebbe realizzato con la

prestazione del debitore. Il principio è antico ed ha le sue radici

nel regime dell'obbligazione, in base al quale era considerato

normale il riscatto da parte del terzo del debitore inadempiente

assoggettato all'esecuzione personale, la cui fonte giuridica si

riflette nella forma originaria della sponsio. Nel Digesto, infatti, si

può leggere che "cum sit iure civili costituem licere etiam

ignoranti initique meliorem condicionem facere" avendo la sua

spiegazione in ciò che nel diritto antico, rappresentava il concetto

di "obbligatio", il quale era espressione di uno stato di

assoggettamento reale dell'obligatius, considerando naturale che

altri per esso potessero soddisfare il creditore71. Con il trascorrere

del tempo la struttura dell'obbligazione è mutata, con conseguente

modificazione del significato che l'intervento del terzo poteva

avere.

71 Cannata, Adempimento del terzo, In Commento al Codice Civile , a cura di Scaloja-Branca , Bologna-Roma, 1974, pag 79 e ss .

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L'obbligazione nasce e si struttura come, realizzazione

dell'interesse creditore mediante attuazione della prestazione da

parte del debitore, per cui l'atto del terzo viene ad essere

considerato come possibilità giuridica di adempiere l'obbligo

altrui, con effetti verso il debitore.

Il codice del 1865 dedicava all'adempimento del terzo due

articoli: il 1238 e 1239, che rappresentavano la riproduzione degli

articoli contenuti nel codice francese. L'art. 1238 affermava che

"le obbligazioni possono estinguersi col pagamento fatto da

qualunque persona che abbia interesse, come da un coobbligato o

da un fideiussore. Le obbligazioni possono anche essere estinte

con pagamento fatto da un terzo che non abbia interessi per la

liberazione del debitore”. In questo modo si mettevano sullo

stesso piano ipotesi assai diverse: nel primo comma il terzo

assume la veste di debitore, nel secondo comma si concentrava

l'ipotesi di un vero e proprio adempimento dell'obbligo altrui. La

disciplina codicistica mentre da un lato sanciva il principio della

possibilità dell'adempimento del terzo, dall'altro ha introdotto un

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criterio distintivo che non ha nessun rilievo dogmatico e

filologico in quanto si è lasciato libero di agire il terzo interessato,

non ponendogli alcun limite all'adempimento, e si è invece

subordinato l'interesse del terzo non interessato alle liberazioni

del debitore; nel caso in cui avesse agito in nome proprio, alla

condizione che esso non avesse beneficiato della surrogazione dei

diritti del creditore72.

Massima preoccupazione per il legislatore era di evitare

che la posizione del debitore risultasse aggravata per effetto

dell'intervento del terzo, rendendo attuabile il noto principio favor

debitoris.

La disciplina aveva dato vita a non poche divergenza sulla

sua applicazione , necessitando un processo di semplificazione-

astrazione che è stato realizzato dal legislatore del 1942. Dal

punto di vista sistematico questo risultato di semplificazione si è

raggiunto con la cancellazione della distinzione terzo interessato e

72 Natoli, L'Attuazione del rapporto obbligatorio , in Trattato di Diritto Civile e Commerciale , a cura di Massineo , Milano , 1974, pag, 182 e ss.

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non interessato73, cade ogni limite all'intervento fondato sul

vantaggio del debitore ma si pone una variante molto significativa

rispetto alla disciplina codicistica del 1865. Il codice prende in

considerazione gli interessi in gioco e concede ad entrambi le

parti la possibilità di effettuare opposizione. L'opposizione del

debitore ha creato sicuramente più dubbi e più perplessità sulla

propria strutturazione e sulla propria incidenza effettuale nella

sfera giuridica del creditore. Ed è proprio su questa capacità di

intervento del debitore, che si presenta come massima espressione

del suo disappunto nel concedere ad un terzo estraneo la

possibilità di un interesse solutorio, sono state avanzate svariate

opinioni sulla sua definizione normativa. Le varie tesi oscillano

tra poli completamenti opposti da quelle che ritenevano tale

opposizione del tutto priva di effetti, per cui il creditore aveva pur

sempre l'onere di accettare l'offerta del terzo o quella che si

riteneva il creditore avesse dovuto rifiutare tale offerta .

73 Di Majo ,Dell’obbligazione in generale, in Commento al codice civile a cura di Scialoja e Branca ,op. cit., pag .41 e ss.

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La tesi intermedia, in base alla quale il creditore ha una

mera facoltà di accettare la prestazione del terzo, è stata accolta

dal nostro codice, bilanciando, però, detta facoltà con il suo

interesse ad essere soddisfatto personalmente del debitore. Questa

esigenza in qualche modo già presente nel codice del 1865, che

prevedeva la possibilità normativa della non accettazione in caso

di interesse di una prestazione personale del soggetto passivo.

L'art. 1239 del codice abrogato, infatti, affermava che

"l'obbligazione di fare non può adempiersi da un terzo contro la

volontà del creditore, ove questi abbia interesse a che sia

adempiuta dal debitore medesimo". Secondo l'opinione prevalente

si tendeva ad escludere la rilevanza dell'intervento del terzo nei

casi in cui la prestazione del debitore avesse carattere

dell'infungibilità, e a tale carattere che si limitava la possibilità

del creditore di poter rifiutare l'offerta del terzo. Il codice attuale

ha notevolmente attenuato questi limiti, facendo riferimento

all'obbligazione in generale, obliando la natura della prestazione,

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ponendo in risalto l'interesse creditorio74. Il bilanciamento delle

contrapposte esigenze e la necessità di spostare il baricentro della

tutela sull'interesse del creditore ha posto le basi per la stesura

della norma contenuta nell'art. 1180 la quale recita:

"L'obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro

la volontà del creditore, se questi non ha un interesse a che il

debitore esegue personalmente la prestazione. Tuttavia il

creditore può rifiutare l'adempimento offertogli dal terzo, se il

debitore gli ha manifestato la sua opposizione.

74 Natoli, Attuazione del rapporto obbligatorio, op. cit. pag. 185.

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STRUTTURA DELL'INTERVENTO DEL TERZO E NATURA

DELL’OPPOSIZIONE.

La norma, se da un punto di vista pragmatico appare di

estrema semplicità, da un punto di vista teorico ha suscitato molte

discussioni riguardanti la struttura e la natura dell'intervento del

terzo. Il principio che viene dedotto dalla norma consiste nella

possibilità concesso ad ogni terzo di adempiere l'obbligo altrui,

investendo il lato passivo del rapporto, non viene ad incidere il

diritto di creditore, in quanto se rientrasse in tale ambito,

avremmo esercizio di diritti altrui, e non adempimento di obbligo

altrui. Premesso che la possibilità di effettuare la disposizione

riguarda il debito, è prevista quindi, che il terzo interviene nel

rapporto in base alla propria capacità di disporre, non essendo

legato all'attribuzione di uno specifico potere. L'attribuzione del

potere è indice rilevatore della distinzione normativa della figura

del terzo rappresentante rispetto al terzo adempiente, ipotesi

prevista e regolata dall'art. 1180 c. c. Quest'affermazione non ha

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avuto unanime consenso nel mondo giuridico,infatti, la dottrina

pandettistica75 ha sostenuto che il terzo, poteva agire o come terzo

o come rappresentante. Più incisivamente lo Jhering ha affermato

che l'atto solutorio dovrebbe essere ricompreso nella categoria

della rappresentanza diretta76. Ciò è dimostrato dalla particolare

osservazione in base alla quale la liberazione del debitore non

avviene quando il creditore ha ottenuto la prestazione, poiché se

così fosse, la liberazione dovrebbe aversi anche nel caso in cui il

terzo paghi credendo di pagare un debito proprio. Per cui

liberazione non si pone come la risultante di un’equazione il cui

termine risolutore si evidenzia nel pagamento, ma si realizza

nella circostanza che il risultato è stato determinato dallo stesso

debitore, tramite la mediazione del terzo. Al medesimo risultato,

percorrendo un iter differenziato, perviene anche un autorevole

esponente della nostra dottrina, il Nicolò, sottolineando la non

necessità di pervenire alla distinzione di terzo adempiente e terzo

75 Gruchot, Lehe von der Zahlung der Geldschund , 1871 , pag . 18. 76 Jhering , in Jahrbucher fur die Dogmayik, I, pag. 273e ss.

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rappresentante77 ritenendo applicabile i principi della norma

sull'andamento del terzo anche quando quest'ultimo abbia agito in

nome del debitore. L'autore ritiene, che, sotto il profilo esterno,

cioè tenendo presente il rapporto tra il solvens e il creditore, la

rappresentanza è uno schema sovrabbondante, la cui esistenza

non inficia. La realizzazione del diritto del creditore e l'estinzione

dell'obbligo, che in quanto tale si realizzano in tutti i casi,

indipendentemente dalla esistenza di un potere rappresentativo

nel solvens. Ciò è dimostrato dal fatto che il creditore è

legittimato a trattenere quanto il terzo ha adempiuto in nome del

debitore anche quando mancano gli estremi della rappresentanza.

Il creditore, infatti, potrebbe trattenere il risultato dell'attività

solutoria anche nel caso in cui vi fosse stato una dichiarata

proibizione del debitore di pagare in suo nome. La legge, infatti,

nel fenomeno dell'adempimento dell'obbligo si pone dal punto di

vista della tutela del creditore e riconosce efficacia solutoria

77 Orlando Cascio , Estinzione dell’obbligazione per il conseguimento dello scopo , Milano, 1938, pag. 130 e ss.

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anche alla prestazione da parte del terzo che agisce in nome

proprio, indipendentemente dalla volontà del debitore e persino

contro la volontà di questo. La costruzione teoretica dell'autore ha

suscitato molti dissensi, in dottrina, le cui critiche si sono

indirizzate nell'evidenziare la non giusta rilevanza che l'autore,

ha attribuito ad un atto che costituisce la fonte giuridica dell'agire

del terzo78. Ogni qualvolta si agisce come rappresentante è

necessario che il rappresentato abbia rilasciato una procura che

legittima l'intervento all'attività solutoria. ulteriore dato che

differenzia le due ipotesi nel potere concesso al creditore di

controllare se il terzo sia munito di procura, e nel caso contrario,

potrà rifiutare l'attuazione della prestazione. E' da rilevare che la

caratteristica principale della rappresentanza consiste nel riferire

direttamente gli effetti giuridici dell'attività dal rappresentante

nella sfera giuridica del rappresentato. Il rappresentante può

compiere l'atto in quanto esso è direttamente voluto dal

78 Zimmermann, Die Lehre von der stellvetretende Negotiorum gestio , Strassburg,1876, pag. 301; Wieland, Die Ermachtigung zum Leistungsempfang, in Archiv. fur die civ. Praxis, 1904 , pag 181 e ss

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rappresentato, il quale beneficia di tutti i vantaggi e svantaggi

giuridici provenienti dall'atto. L’istituto della rappresentanza

verrebbe snaturato nella sua fisionomia se si presentasse come

possibilità per un terzo di agire provocando effetti nell'altrui sfera

giuridica senza il consenso del soggetto interessato. Per cui

quando il solvens agisce quale rappresentante stiamo fuori dal

campo dell’adempimento del terzo, anzi, in alcuni casi la relativa

normativa viene ad essere utilizzata quando la tutela giuridica

dettata per la realizzazione degli interessi del rappresentato non è

ritenuta sufficiente79. Ciò avviene quando, ad esempio, il terzo

abbia abusato dei poteri conferitogli dal debitore e quest'ultimo

ritenga poco praticabile la norma dell'annullamento dell'atto del

rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato. In

questo caso il debitore potrà agire opponendosi all'intervento del

terzo in base alla disposizione contenuta nel secondo comma

dell'art.1180. Il debitore ha un diritto di opposizione al pagamento

del terzo illimitato e non ammette discriminazioni da parte del 79 Orlando Cascio , po cit. pag 134

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terzo o del giudice, salva soltanto la valutazione della

convenienza da parte del creditore, al quale spetta la scelta tra

l'accettazione della prestazione e la conservazione del proprio

credito80. La disputa sulla configurazione dell'intervento del terzo

si è completamente sopita in relazione alla pronuncia della Corte

di Cassazione, la quale ha previsto che questo intervento deve

essere del tutto svincolato da qualsiasi tipo di legame con la

posizione attiva81. La "massima" indicata nella sentenza rende

chiara l'idea di un intervento spontaneo ed autonomo,

presupponendo che il terzo non aveva altro scopo che quello di

liberare il debitore dall'adempimento e da quelle che potrebbero

essere le possibili conseguenze dell'inadempimento. Tale

adempimento deve essere caratterizzato dall'assenza di precedenti

accordi o convenzioni, tali da poter escludere qualunque interesse

del terzo alla prestazione e qualunque interesse del creditore a

pretenderla personalmente dal debitore. L'intervento del terzo

80 App. Roma , 8 Marzo 1952 , in Foro It. Rep. 1952. voce obbligazione e contratti , pag . 1839. 81 Cass. 20 maggio 1952 , n.1681 . in Giustizia Civile , parte prima , pag. 1499

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viene ad essere valevole solo quando non è coinvolto con

interessi strettamente legati al rapporto obbligatorio sottostante.

L'intervento del terzo, quindi, si pone autonomo, libero svincolato

da qualsiasi tipo di legame con le posizioni soggettive del

rapporto obbligatorio82.

82 Sull’impossibilità che l’adempimento del terzo possa essere assimilabile in tutte le sue caratteristiche strutturali alla figura giuridica della delegazione vedi :Schlesinger , Adempimento del terzo e delegazione di pagamento , in Temi , 1958, 572 e ss ;

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I POSSIBILI INTERVENTI DEL TERZO

Il terzo interviene per adempiere l'obbligazione, e questo

compito potrebbe ledere posizioni soggettive delle parti presenti

nel rapporto. L'intervento del terzo si pone, quindi, in modo

autonomo non legato da particolari rapporti o interessi, con i

soggetti dell'obbligazione. Quest'intervento, però, così strutturato

potrebbe ledere la sfera giuridica del debitore o del creditore da

un intervento non voluto ne desiderato. I rimedi giuridici previsti

contro queste possibili lesioni sono diversi, in quanto la loro

differenza è data dalla non omogenea tutela concessa alle parti

per la difesa dei propri interessi. La disciplina codicistica, infatti,

prevede una serie di strumenti adatti a realizzare l'interesse

creditorio, soprattutto quando quest'ultimo è caratterizzato dalla

necessità di essere soddisfatto solo dal comportamento del

debitore. Di converso, una tutela esplicita di quell'interesse che è

stato la base dell'assunzione del vincolo obbligatorio, da parte

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debenti, sembrerebbe essere solo accennata, ma non realizzata in

pieno.

L'autonomia gestionale di intervento del terzo, infatti,

metterebbe al riparo da qualsiasi tipo di tutela l'interesse debendi

menzionato, in quanto si ritiene meritevole di considerazione

giuridica la scusante pragmatica consistente nella impossibilità,

per il soggetto passivo, di esprimere un rifiuto nei confronti di

un’attività che comporta liberazione ed estinzione

dell'obbligazione. La giustificazione è soltanto apparente in

quanto non sempre la necessità è alla base dell'assunzione

obbligatoria; l'interesse potrebbe porsi come caratterizzato da una

funzione di adempiere, in relazione ad una situazione pratica in

base alla quale il rapporto nasce per liberarsi da un gravame.

Questo vincolo è determinato da un’esigenza di fondo per cui il

debitore assume questa veste per adempiere l'obbligazione; la

relativa estinzione posta dal terzo non renderebbe soddisfatta

quest'esigenza, laddove l'adempimento non fosse attuato. Non si

può assurgere a principio una situazione generalizzata di pura

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logica pragmatica che, non ritrova come suo contraltare,

un’espressa previsione normativa atta a realizzare un’esplicita

tutela. Non essendoci una norma positiva non si può neanche

ipotizzare la nascita di un'eccezione, la quale si pone come base

normativa per utilizzare gli strumenti giuridici previsti

dall'ordinamento per attuare la prestazione. L'esigenza di

adempiere la prestazione è direttamente ricollegabile all'interesse

del pars debitoria in quanto costui ha assunto l'obbligo per

liberarsi da un precedente gravame. L'obbligazione nasce come

necessità di liberarsi dal vincolo mediante adempimento, che

potrebbe essere compromessa nel momento in cui il terzo realizza

la prestazione. In caso di non opposizione creditoria,

l'adempimento del terzo verrebbe a soddisfare l'interesse del

creditore con consecutiva estinzione del suo diritto.

L'obbligazione però, è caratterizzata dalla stretta connessione di

quelle che sono le posizioni soggettive per cui se il diritto viene

meno, si estingue anche l'obbligo, che non ha ragione di esistere

senza il diritto. Se così fosse avremo realizzazione del diritto

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creditorio con conseguente lesione dell'interesse ad essere liberato

mediante adempimento del debitore, la vera causa della

limitazione della sfera di libertà del soggetto passivo. La lesione

di quest'interesse non fa altro che determinare la violazione del

rispettivo diritto soggettivo del debitore ad adempiere,

considerandolo privo di qualsiasi rilevanza giuridica. Un'attenta

disamina dell'applicabilità della disposizione contenuta

nell'art.1180 c. c. , dimostra non solo che l'interesse è degno di

rilevanza giuridica, ma che il relativo diritto non viene ad essere

leso. La finalità intrinseca della disposizione normativa si

presenta non come possibilità di tutelare l'interesse del creditore,

ne quello del debitore, ma essenzialmente quello terzo. Questo

interesse viene ad essere considerato dalla legge meritevole di

tutela, tale da giustificare l'intromissione in un rapporto giuridico

altrui e la sua estinzione.

Per attuare però la modificazione del rapporto sottostante il

solo interesse del terzo non basta, è necessario che abbia un

sostegno, che è dato da quello di uno dei due soggetti del

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rapporto. Il gioco reciproco degli interessi dei vari soggetti che

partecipano al fenomeno dell'intervento del terzo è determinabile

in funzione dell'efficacia giuridica delle singole volontà, assunte

come indici dei rispettivi interessi.

Dall'art. 1180 c. c. appare che nell'alleanza delle volontà e

degli interessi tra due soggetti prevale l'interesse e la volontà del

soggetto che rimane violato. L'opposizione separata di una o

dell'altra parte del rapporto risulta giuridicamente inefficace ad

impedire la validità dell'intervento del terzo, mentre la congiunta

opposizione dei titolari delle posizioni soggettive fa venir meno la

tutela giuridica. Il terzo interviene efficacemente con l'accordo

del debitore contro l'opposizione del creditore e viceversa, ma

non può intervenire contro la concorde opposizione di entrambi.

L'attuazione di questo gioco di interessi non pregiudica mai

l'interesse del debitore ad essere liberato mediante adempimento

ed una seria di situazioni giuridiche possono essere presi come

punto di riferimento per dimostrare l'impossibilità che il relativo

diritto della pars debendi sia leso dall'autonomia gestionale del

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terzo intervenuto. Occorre distinguere il caso in cui il terzo agisce

in virtù di un obbligo legale, in base al quale la preminenza degli

interessi sarà determinata dall’ordinamento giuridico.

L’impotenza del debitore di scongiurare l’intervento, e ad

escludere , quindi ,la liberazione per via diversa , dipende dal

fatto che la legge nel conflitto di interessi tra il terzo e il debitore,

ritiene che il primo abbia prevalenza giuridica. L'interesse, infatti,

del debitore è pienamente tutelato nei riguardi del creditore, ma

non lo può essere nei confronti del terzo, poiché rispetto a

quest'ultimo il debitore non si può opporre non perché non sia

titolare di un interesse giuridico, ma perché è intervenuta la legge

che , con una ponderata valutazione giuridica, ha ritenuto degno

di tutela l'intervento del terzo, garantendo un equilibrato

svolgimento dei rapporti giuridici.

Se il terzo interviene in forza di un obbligo che scaturisce

da un testamento, o da un negozio giuridico a favore di un terzo,

il debitore ha innanzitutto il potere di rinunciare al beneficio

dell'intervento. Ma, se nonostante la rinuncia o il rifiuto di

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profittare, il terzo si ostina a pagare, è impossibile per il debitore

impedire che la prestazione venga effettuata e che il creditore

consegna con tale mezzo l'attuazione della propria aspettativa.

Ma, in tal caso, il debitore che in forza dell'art. 1180 ha dovuto

soccombere di fronte ai coalizzati interessi del creditore e del

terzo, per quanto non può aspirare all'attuazione del proprio

obbligo nei confronti del creditore, può conseguirlo nei confronti

del terzo giacché nessun è tenuto ad accettare una liberalità non

gradita. Se il terzo interviene in forza di uno specifico potere che,

la legge gli accorda, è sempre la particolare circostanza che

determina la prevalenza. E’ la necessità di evitare un danno, o un

pericolo che potrebbe degenerare, determinando ulteriori

conseguenze giuridiche, che conferisce al terzo quel potere

particolare che gli consente di agire adempiendo l'obbligo altrui.

Il terzo possessore dell'immobile ipotecato, al fine di evitare

l’espropriazione, può pagare i crediti scritti e i loro accessori, più

le spese, così come per analogo diritto è accordato al terzo datore

di ipoteca. In tali ipotesi però l’impotenza del debitore contro

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l'intervento del terzo è dovuta all'inadempimento di cui si è reso

colpevole e che impone di tutelare l'interesse di coloro che

subiscono pregiudizio dalla sua insolvenza. Ma la relativa tutela

non viene meno se il debitore offre l'integrale soddisfacimento al

creditore precedente, evitando sia l’espropriazione che

l'intervento del terzo possessore o del terzo datore83. L'ipotesi che

può creare qualche preoccupazione sorge proprio nel momento in

cui il terzo non ha nessun tipo di interesse o di legame e il

creditore non effettua opposizione. In questo caso sembrerebbe

che vi sia quella lesione dell'interesse del debitore a liberarsi

mediante adempimento non avendo a disposizione nessun

rimedio giuridico atte a garantire la propria tutela. L'obbligazione,

può modificarsi senza alterare le condizioni base che hanno dato

vita al suo costituirsi, in virtù del fatto che la realizzazione di vari

interessi non pregiudica altri a realizzare la soddisfazione di

contrapposte posizioni di diritto.

83 Falzea, op.cit., pag.35 e ss.

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LE IPOTESI DI OPPOSIZIONE DEL CREDITORE.

L'adempimento del terzo è considerato una norma

particolare in quanto si inserisce in un rapporto giuridico altrui e

lo estingue. Quest'estinzione presuppone che il diritto di credito

sia stato soddisfatto mediante l'attività solutoria del terzo.

L'attuazione, quindi, si concentra sui possibili mezzi di cui il

titolare del diritto dispone per impedire che l'intervento possa

pregiudicare la realizzazione del proprio interesse. Il creditore, in

quanto titolare di un diritto soggettivo, dispone di una serie di

poteri, atti a garantirne la realizzazione.

L'attuazione del diritto dipende dal verificarsi di tutti quelli

che sono considerati gli elementi costitutivi della prestazione. Per

la particolarità della struttura della prestazione, alcune volte

questi poteri sono utilizzati per impedire la facoltà concessa al

terzo di intervenire nel rapporto ponendosi come un ostacolo per

la realizzazione di un’attività similare, ma non esaustiva per

l’attuazione dell'interesse. L'opposizione che viene effettuata

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dall'attività del terzo deve tener presente le caratteristiche della

prestazione, e la possibilità che detta attività possa ledere il diritto

di credito. Il limite posto dal creditore deve ricercarsi all'interno

dell'obbligazione, in ciò che consiste l'oggetto del proprio diritto,

il bene che deve ricevere. In relazione a ciò si possono

determinare le ipotesi in cui il terzo può agire con effetto

giuridico estintivo del rapporto giuridico altrui. La possibilità che

il terzo adempie si ha solo quando questi possa ottemperare

l'obbligo nello stesso modo in cui il debitore era tenuto, o quando

la diversità della persona prestante non si presenti ingiuriosa per il

creditore. Ciò avviene in quei negozi aventi come finalità

l'acquisizione di un prodotto dell'attività particolare di una data

persona, come ad esempio nell'obbligazione di fare, in cui la

personalità del prestante si proietta e si riflette sul fatto dovuto,

dove l'opera del terzo è del tutto diversa da quella del debitore,

diverso di conseguenza, l'oggetto che il creditore conseguirebbe.

I limiti del potere non vengono dedotti da principi speciali,

ma da quelli generali; il suo atto diventerà illecito in quanto lede

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il diritto altrui, cioè quando può portare pregiudizio o ingiuria.

Per cui, l'opposizione del creditore sarà legittima ed efficace

quando è indirizzata a realizzare un interesse (adempimento

personale del debitore) o quando è diretta ad impedire la lesione

del suo diritto (realizzazione di un'ingiuria).

Al di fuori di questi casi non sembra possibile riconoscere

al creditore il diritto di rifiutare la prestazione del terzo.

L'opposizione viene concessa in virtù, di particolari situazioni che

si specificano o nella tutela di un particolare interesse, o

nell'evitare la realizzazione di un danno. Al di fuori di questi casi

non vi è una vera e propria legittima opposizione, poiché ciò che

si chiede è la realizzazione del proprio diritto, mediante

acquisizione del relativo oggetto84.

84 Carboni , Delle Obbligazioni nel diritto Odierno , Torino , 1912 , pag, 191 e ss

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OGGETTO DEL DIRITTO DI CREDITO: IL BENE DOVUTO.

L'oggetto del diritto di credito può essere compreso solo se

si fa riferimento al concetto di obbligazione, in quanto solo da

esso è possibile determinare l'attività a cui tende il diritto e il

mezzo idoneo a realizzarlo. L'obbligazione non è considerata più

un vincolo personale nel senso che esso aveva nel diritto antico,

perché non tende e non si afferma sulla persona del subietto

passivo, ma sul suo patrimonio. Il concetto di obbligazione,

quindi, si esprime, nella sua totalità, come alienazione di valore,

in cui assume rilievo l'elemento patrimoniale, e si specifica come

necessità di raggiungere il "bene" dovuto. Esso diventa l'elemento

obiettivo, l'oggetto dell'obbligazione, che può essere sempre

realizzato, poiché è sempre suscettibile di una valutazione

economica. La determinazione dell'oggetto dell'obbligazione

influisce sul contenuto delle posizioni soggettive dei titolari del

rapporto, in quanto oggetto dell'obbligazione è la prestazione la

quale è al tempo stesso oggetto della pretesa creditoria ed è ciò

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che il debitore è tenuto ad adempiere. La realizzazione della

prestazione consiste quindi nell'acquisizione del bene dovuto, la

cui entrata nel patrimonio del creditore determinerebbe

soddisfazione del suo diritto. Ciò a cui si tende, con la

costituzione del rapporto obbligatorio, è il raggiungimento del

bene dovuto, il quale assume carattere funzionale che influisce

sulla stessa struttura del rapporto obbligatorio. Gli esponenti della

teoria del bene dovuto, pongono al centro della propria

condizione la necessità dell'acquisizione dell'oggetto, considerato

come risultato di una serie di operazione che costituiscono

l'attività solutoria. E' necessario, quindi, che si arrivi alla

realizzazione di quel risultato per garantire la soddisfazione del

diritto di credito, è il risultato che si pone come suo oggetto e non

il comportamento del debitore, che può rivestire la funzione

meramente strumentale per il raggiungimento del risultato. Per

cui il diritto di credito si presenta non come un diritto ad ottenere

dal debitore un certo comportamento, ne tanto meno come un

diritto sui suoi beni, ma semplicemente un diritto al

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conseguimento del bene dovuto. Così strutturato, il diritto del

creditore trae la sua ragione di esistere nel bene e la sua

realizzazione in qualsiasi mezzo idoneo a soddisfarlo. Per cui

l'adempimento del debitore costituisce un possibile, ma non

l'unico mezzo atto a realizzare il diritto del creditore, essendo

prevista allo stesso scopo sia l'esecuzione forzata che

l'adempimento del terzo, in quanto capace di garantire quel

determinato risultato, oggetto della prestazione. La possibilità di

intervento del terzo, previsto dall'art. 1180 c.c., sta a dimostrare

che, più della realizzazione dell'interesse, la legge non considera

sempre e necessariamente indispensabile la prestazione del

debitore. Vi può essere, in concreto, una fungibilità del mezzo

(attività del debitore) che nella previsione di legge o della parti

dovrebbe portare al soddisfacimento dell'interesse del creditore.

L'art. 1180 c. c., prevede, appunto, questo stato di cose,

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concedendo al terzo di intervenire realizzando l'interesse

creditorio85.

85 Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto Civile e ommerciale, a cura di Massimeo, op. cit., pag. 181

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L'INTERVENTO DEL TERZO NON DETERMINA LESIONE

DEL DIRITTO DEL DEBITORE.

L'intervento del terzo, come strumento soddisfattivo,

dell'interesse creditorio, non può essere considerato come

momento attuativo dell'obbligo del debitore, poiché, anche se

estingue la prestazione, non può mai alterare il contenuto della

posizione di obbligo. Il terzo, intervenendo nel rapporto, soddisfa

l’interesse creditore con un’attività che può essere definita di

surrogato dell'adempimento del debitore. I Romani affermavano:

" naturalis emin simul et civilis ratio suasit alienam condicionem

melior quidem etiam ignorantis et invitinos facere posse ,

deteriorem non posse (D. 14 , 1, 1 , 24, ) e concludevano alius

pro me solvendo me liberat". Il pagamento fatto dal non debitore

al creditore determina l’attuazione del suo diritto senza ledere la

posizione di obbligo del soggetto passivo, in quanto il fenomeno

dell’adempimento dell'obbligo altrui rientra nel quadro generale

della disposizione di rapporti instaurati fra terzi estranei. Il potere

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di disposizione si ritiene essere legato all'esercizio di un diritto

altrui, per cui la disposizione riguarderebbe quei singoli atti che

determinerebbe una modificazione del diritto in questione. Ogni

qualvolta, perciò, che vi è modificazione del diritto, si ha

invasione del rapporto da parte di un terzo con conseguente

modificazione del rapporto. L'intervento del terzo, essendo

autonomo, esterno ed indipendente dall'obbligazione, invade il

rapporto sottostante, realizzando il diritto, ma non attuando

l'obbligo. Per cui esso non fa altro che mutare i termini del

rapporto con un'attività unilaterale, determinando quindi una

disposizione del rapporto giuridico in questione.

Ogni volta che si pongono in essere degli atti con i quali si

esercita un diritto altrui si specifica il potere di disposizione verso

il mutamento del rapporto determinandone l'invasione di un terzo.

Se si perviene alla realizzazione del diritto ma non all'attuazione

dell'obbligo si arriva alla conclusione non solo dell'inidoneità

dell'intervento ad estinguere l'obbligo ma dalla logica

conseguenza che si verifica uno spostamento soggettivo del lato

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dettato dall'obbligazione con assunzione del correlativo diritto

creditorio da parte del terzo. Quest'ultimo, con la propria attività

non fa altro che surrogarsi nei diritti del creditore nei confronti

del debitore, il quale vedrà mutato l'altro soggetto del rapporto; il

debitore, quindi, non subirà particolari lesioni se la sua posizione

non venga alterata. La realizzazione del diritto comporta la non

modificazione giuridica della posizione soggettiva del debitore

con l'unica variante della persona nei confronti della quale

l'obbligo dovrà essere attuato86, che non sarà più il creditore ma il

terzo. L'adempimento si specifica in un comportamento che da un

lato che da un lato realizza l'obbligazione e dall'altro pone in

essere i termini di tutela per non veder alterato il contenuto

dell'obbligo. Nei termini in cui il vincolo giuridico è sorto

abbiamo che il diritto del creditore è tutelato per garantire in

pieno l'attuazione delle proprie aspettative, mentre la posizione

dell'obbligo del debitore viene tutelato solo per impedire che la

propria condizione non sia aggravata. Il soggetto passivo è tenuto 86 Miccio, Delle obbligazioni in generale, op. cit., pag. 48 e ss

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solo ad adempiere il suo obbligo e la legge esige che tutto ciò

possa essere realizzato senza che il proprio diritto

all'adempimento sia leso. Questa lesione può avvenire solo

quando l'obbligo non venga realizzato nella sua totalità e venga

mortificato nel suo contenuto giuridico. Ma quando l'intervento

del terzo si pone come mutamento dei termini del rapporto,

l'obbligo rimane obiettivamente identico, in quanto non viene

richiesto nulla di più di diverso di quello che deve, ed in questo

caso il diritto all'adempimento del debitore è tutelato, non solo

perché sostanzialmente la posizione non viene modificata dal

punto di visto contenutistico ma soprattutto perché la

patrimonialità dell'obbligazione, mentre da un lato rende

indifferente al creditore la persona prestante, dall'altro rende al

debitore indifferente la persona che deve esigere la prestazione87.

La norma contenuta nell'art. 1180 c. c. non fa altro che strutturare

un modo mediante il quale vi è realizzazione e estinzione

87 Carboni op. cit. pag . 195

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dell'obbligazione, senza ledere le posizioni soggettive del

rapporto obbligatorio.

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COMPORTAMENTO DEL DEBITORE COME OGGETTO

DEL DIRITTO DI CREDITO: LA TEORIA TRADIZIONALE.

La conclusione a cui perviene la teoria del bene dovuto,

ritenendo essenziale per l'estinzione dell'obbligo la soddisfazione

dell'interesse del creditore al risultato della prestazione, ha

causato l'allontanamento dalla teoria tradizionale.

I sostenitori della prima teoria hanno ritenuto che se il

diritto di credito è estinto dall'atto del terzo, non può avere come

oggetto l'atto del debitore, ma solo quello che costituisce

elemento comune ai due tipi di atti. Questo effetto in comunio si

specifica nel procurare al creditore un determinato bene, per cui il

diritto di credito non può non avere come oggetto che il

conseguimento del bene. Ma se la realizzazione effettiva del bene

è il sostrato della definizione concettuale, nota essenziale del

medesimo è la necessaria, costante ed uniforme attualizzabilità

del bene, in virtù della previsione che il diritto positivo

assicurerebbe sempre i mezzi necessari per il suo conseguimento .

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Connessa alla nozione comunemente accolta di diritto soggettivo

vi è l'idea che la garanzia in base alla quale ogni volta si assegna

un diritto ma si garantisce la realizzazione. Se l'oggetto del diritto

di credito è il bene a cui il creditore aspira, si afferma, di

conseguenza, che è la legge che prevede tutti i possibili modi per

l'acquisizione di quel bene. Quando si assegna al diritto

soggettivo un dato oggetto, si presuppone che quell'oggetto possa

essere sempre conseguito dal titolare del diritto.

Il diritto soggettivo è definito dalla legge come un potere di

conseguire un dato bene della vita, per cui in esso è implicita la

necessaria realizzabilità dell'oggetto del potere stesso88.

L'opposizione avanzate dalla teoria tradizionale si sostanzia

proprio nella determinazione dell'oggetto della garanzia, in

quanto non è il risultato, la situazione economicamente valutabile,

che costituisce oggetto di tutela, ma il contegno del debitore. Ciò

è desumibile dalla circostanza che l'obbligo si estingue anche 88 Bernatzik,Uber den Begriff der iuristischen Person , in Archiv fur offentliches Recht,V, 1890, pag 195; Kelsen, Hauptprobleme der Staatsrechtslehe entwicklelt aus der Lehre desRechtsatzes,Tubinga , 1911 pag 18 e ss.; Ferrara , Trattato di diritto civile italiano , Roma 1921 , pag 317 e ss.

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quando il bene non si sia trasferito nella sfera patrimoniale del

creditore, cioè quando il bene non viene realizzato. Tipici esempi

di estinzione del credito senza realizzazione del bene sono

l'esenzione forzata infruttuosa e il perimento dell'oggetto per caso

fortuito, la sopravvenuta impossibilità di adempiere per forza

maggiore, in cui la legge non garantisce il bene ma solo qualcosa

di diverso, che si specifica nella sanzione legale. Nell'ipotesi

esaminata non vi è alcuna sanzione, atta a far pervenire il bene

economico, la cui assenza ne fa dedurre l'impossibilità che esso

possa costituire oggetto del diritto di credito. In realtà esso, come

ogni diritto soggettivo, è "potere" di voler garantire al soggetto,

nei confronti di un altro soggetto, il compimento di una

determinata attività, sicché solo l'attività posta dal soggetto

destinatario può considerarsi oggetto del diritto di credito, capace

di estinguerlo. Essendo, quindi, oggetto del diritto il contegno del

debitore si evidenzia un palese contrasto con la facoltà concessa

al terzo di estinguere l'obbligazione in quanto non può produrre,

con proprio atto, il medesimo effetto prodotto dall'atto del

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debitore. Se dovere è presupposto di diritto, soltanto

l'adempimento del dovere può determinare l'estinzione del diritto,

solo chi ha l'obbligo di adempiere il dovere può estinguere il

diritto. Ma la possibilità del terzo di adempiere viene inserita in

una visuale differenziata rispetto all'oggetto del diritto, in quanto

esso rappresenta un aspetto del rapporto tutelato dalla legge,

mentre il terzo si inserisce con un intervento del tutto autonomo e

che si caratterizza come una disposizione del rapporto giuridico

sottostante.

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DIVERSO MODO DI CONSIDERARE IL DIRITTO

SOGGETTIVO: RISPETTO ALLA TEORIA TRADIZIONALE:

ADEMPIMENTO DEL TERZO COME ECCEZIONE ALLA

LUCE DELLA NUOVA CONCEZIONE DEL DIRITTO

SOGGETTIVO.

La definizione del diritto soggettivo ha determinato

l'impossibilità concettuale di definire in pieno la natura della

facoltà concessa al terzo di compiere un atto giuridicamente

rilevante per un altro soggetto senza che questo abbia la facoltà

di pretendere l'attuazione dell'atto. Tradizionalmente il diritto

soggettivo è considerato come un potere che sorge in un dato

istante, e si estingue in un altro e ha come contenuto la capacità di

un soggetto di produrre l'applicazione della sanzione in caso in

cui l'oggetto richiesto non sia soddisfatto. Ma se guardiamo il

fenomeno da una visuale completamente diversa considerando la

funzione del diritto soggettivo come l'insieme delle regole di

esperienza, atte ad indicare sistematicamente una quantità di

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situazioni che presentano caratteristiche simili, avremo non solo il

superamento della concezione tradizionale del diritto soggetto ma

la compatibilità di esso con l'adempimento dell'obbligo altrui. Il

diritto soggettivo si costituisce e si specifica in una regola che si

esprime nella tutela fornita dalla legge a un dato soggetto nei

confronti di un altro e in modo che quest'ultimo possa compiere

con efficacia giuridica l'atto che il primo ha la facoltà di esigere.

Così strutturata, la formazione della regola non può non avere

come suo controaltare l'eccezione. L'ordinamento giuridico

prevede come eccezione alla regola del diritto soggettivo proprio

l'adempimento dell'obbligo altrui. In determinate ipotesi la legge

consente ai terzi di compiere atti che sono oggetto della tutela

legale, senza che il terzo abbia un precedente rapporto con il

soggetto destinatario della tutela e preludendo a quest'ultimo la

facoltà di esigere che l'atto sia compiuto dal soggetto nei cui

confronti la tutela si indirizza. L'indagine compiuta non può

smentire quelli che sono i risultati dogmatici della teoria

tradizionale in quanto oggetto del diritto in questione non può

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essere altro che la condotta del debitore, il suo contegno, mentre

il superamento della concezione di esso viene a sostanziarsi in

quanto regola e non potere. La regola del diritto oggetto trova la

sua massima espressione nell'eccezione costituita

dall'adempimento del terzo. Si ha solo un superamento della

concezione tradizionale del diritto soggettivo, in quanto

quest'ultimo essendo solo un concetto, un'astrazione teorica, e

come tale è direttamente determinato dai fenomeni della vita

giuridica. L'adempimento del terzo si pone come relazione a

questa regola, non essendo ricompreso nello schema concettuale

che il diritto di credito designa.

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IDENTITA' FUNZIONALE TRA ATTO DEL TERZO E ATTO

DEL DEBITORE. LA NON LESIONE DEL DIRITTO DEL

DEBITORE.

L'adempimento dell'obbligo altrui è un fenomeno del tutto

estraneo alla sfera di influenza del diritto soggettivo capace, però,

di estinguere l'obbligazione. Il diritto del soggetto attivo, infatti,

viene soddisfatto dalla realizzazione dell'eccezione, la quale è

stata idonea a porre fine alla vita del rapporto giuridico in base ad

un riconoscimento legislativo, essendo, forse, l'unico caso in cui

la legge giustifichi il depauperamento di un soggetto e

l’arricchimento di un altro senza che vi sia una preesistente

rapporto tra chi si impoverisce e chi si arricchisce.

Dal punto di vista del soggetto passivo del rapporto,

l'identità determinata dalla correlazione diritto e obbligo non

realizzerebbe in pieno il suo diritto ad intervenire per

concretizzare la prestazione. L'attività del terzo si differenzia

totalmente dagli atti compiuti dal debitore, in quanto quest'ultimo,

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essendo parte del rapporto obbligatorio, pone un'attività dovuta.

Per cui se l'adempimento del debitore è un atto dovuto, questa

particolarità non può essere riconosciuta nell'attività del terzo, che

si presenta sempre libera e dominante da un espresso elemento

volitivo, l'animus di realizzare il diritto del creditore89.

Strutturalmente esso è completamente differente in quanto

presenta gli estremi di un negozio giuridico, essendo necessario

per l'uscita del bene, la dichiarazione di volontà e la libertà del

volere. Ma se dal punto di vista strutturale vi è distanza da un

punto di vista funzionale abbiamo identità di fattispecie: così

come l'atto del debitore realizza integralmente il contenuto

dell'obbligazione, la dichiarazione di volontà del terzo non fa

altro che realizzare l'oggetto del diritto creditorio.

La dichiarazione di volontà proveniente dal terzo relativa

all'obbligazione non può mai avere il compito di adempiere,

realizzando il contenuto del rapporto obbligatorio, in quanto è

89 Nicolo' , Adempimento del terzo , voce Adempimento, in Enciclopedia del diritto Milano, 1979, pag. 565 ss.

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l'ordinamento a voler risolvere in modo differente il conflitto di

interessi dei titolari delle contrapposte posizioni soggettive. Ma è

proprio dalla funzione che si evidenzia ciò che dalla struttura del

fenomeno interessa all'ordine giuridico90. La struttura giuridica è

data da quegli elementi della struttura psico sociologica ai quali

l'ordinamento giuridico ricollega conseguenza, ed essa costituisce

ciò che si vuole denominare fattispecie. Gli elementi di fatto che

costituiscono la fattispecie assumono per l'ordinamento giuridico

una determinata funzione. Il passaggio dalla funzione alla

fattispecie si chiarisce proprio in tema di adempimento in quanto

la legge struttura proprio la nozione di adempimento sulla

funzione, mentre non si rileva il dato strutturale. La legge,

quindi, riconosce efficacia giuridica a qualcosa che si risolve

nella determinazione della funzione ed acquista il carattere di

vero e proprio fenomeno giuridico. Da ciò il passaggio dalla 90 Sull’identità funzionale dissente la dottrina tradizionale tedesca , che differenzia gli effetti giuridici dell’atto del terzo rispetto a quello del debitore , attribuendo solo a quest'ultimo la qualifica di adempimento in senso tecnico .In questo senso vedi:Brecht, System der Vertrashaftung , in Jherings Jahrbucher fur die Dogmatik des burgerlichen Rechts LIV,1909, pag 374 e ss.; Un' opinione analoga a quella esposta vedi:Siber, Zur Theorie von Schuld und Haftung nach reichsrecht, in Jehrings Jahrbucher fur die Dogmatik,L,1906, pag 173 e ss.

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funzione alla fattispecie legale è chiaro, essendo esse solo

l'espressione del riconoscimento giuridico. L'adempimento

abbraccia, come l'espressa previsione normativa mostra, tanto

l'atto del terzo quanto quello del debitore, poiché la legge non

richiede per l'atto del debitore la capacità di volere e la volontà

normale, oltremodo bisogna dirsi per l'atto del terzo.

La differenza strutturale non incide sulla identità funzionale

in quanto l'atto del terzo può contemporaneamente essere

considerato fatto e negozio giuridico. Se gli elementi di fatto ai

quali il diritto riconosce efficacia nel proprio ordinamento

vengono scelti liberamente in base a un criterio di valutazione

estraneo alla loro natura fisica nulla vieta che ad un identico

fenomeno fisico corrispondono due diverse specie giuridiche.

Nulla vieta, cioè, che l'ordinamento giuridico richieda, per

riconoscere a un fenomeno una determinata efficacia, la presenza

di elementi di fatto, mentre per altri effetti richiede anche la

presenza di altri elementi di fatto del fenomeno stesso. E' ciò che

avviene nell'adempimento del terzo in quanto agli effetti

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dell'estinzione dell'obbligazione è giuridicamente sufficiente il

fatto che la prestazione sia effettuata dal terzo. Agli effetti del

trapasso dell'oggetto dell'obbligazione dal patrimonio del terzo in

quello del creditore, è giuridicamente necessaria la capacità di

agire e la normalità del volere del terzo: ossia si richiede che egli

compia una valida dichiarazione di volontà negoziale91.

Ogni volta che si può estinguere un diritto altrui si entra nel

campo del potere di disposizione del rapporto da parte dei

soggetti interessati. Ogni qualvolta che vi è invasione da parte di

un terzo in un rapporto giuridico finisce per causare una

disposizione del rapporto da parte di un terzo. Si arriva quindi a

uno stesso risultato partendo da due presupposti differenziati, in

quanto anche considerando oggetto del diritto di credito il

comportamento del debitore, l'intervento del terzo non fa altro che

determinare una modificazione dei termini e del rapporto,

rimanendo intatta la posizione di obbligo all'interno del rapporto

91 Guisiana L'Atto del Terzo, Il Diritto di Credito e l'Adempimento dell'Obbligazione Riv. dir.priv. 1937 pag. 230 ss.

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obbligatorio. Il terzo, quindi, non fa altro che surrogarsi nella

posizione soggettiva di credito, il diritto del debitore di adempiere

la prestazione non viene assolutamente lesa, essendo indifferente

la persona del creditore destinataria del risultato dell'attività

solutoria92.

92 Miccio po. cit . pag 50 ss

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OPPOSIZIONE DEL DEBITORE. ALL'ATTO DEL TERZO DI

AGIRE MEDIANTE PROCEDURA DI LIBERAZIONE.

Può proporre domanda giudiziale di liberazione chi, avendo

posto la condizione di validità richiesta dalla legge per la

pronuncia liberatoria, risulta titolare della relativa azione, per cui

si deve ritenere che può essere competente a domandare il

provvedimento giudiziale una persona diversa dal debitore.

La nostra dottrina e, con essa la giurisprudenza, è generalmente

favorevole a concedere al terzo la legittimazione ad agire in

giudizio, in quanto ciò discenderebbe dal dispositivo dell'art.

1180 c.c., nella parte in cui stabilisce che l'obbligazione viene

adempiuta da un terzo anche contro la volontà del creditore, se

questi non ha interesse che il debitore esegua personalmente la

prestazione. L’esecuzione della prestazione ad opera del terzo

può essere effettuata, invito creditore, con quel particolare mezzo

giuridico consistente nell'offerta di pagamento. Al terzo che

interviene, infatti, in un rapporto giuridico estraneo la legge

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accorda non il semplice diritto di attuare la prestazione, ma quello

di procurare al debitore la liberazione del vincolo mediante il

compimento di quanto è necessario per soddisfare l'aspettativa

creditoria, in luogo di lui. Tale diritto è distinto da quello del

debitore, per la propria liberazione, anche se gli strumenti di

realizzazione previsti dalla legge sono gli stessi. L'utilizzazione di

essi da parte del terzo sono condizionati dallo stato in cui si trova

il vincolo giuridico nel momento in cui si verifica l'intervento. Il

terzo, in forza del diritto che gli si accorda, penetra

nell’obbligazione si avvale della posizione giuridica del debitore

nello stato in cui si tratta, sicché se il debitore avesse già

costituito la controparte in mora accipiendi il terzo, può procedere

al deposito, senza essere costretto a ricominciare ab initio la

procedura. La legge può, autorizzare il terzo ad intervenire nel

rapporto a lui estraneo a condizione che entrambe le parti di tale

rapporto non concordino nell'opporsi all’intervento. Tranne in

casi particolari in cui la legge accorda all'interesse del terzo una

tutela prevalente rispetto a quella interna al rapporto, rendendo

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priva di efficacia la solidale opposizione del debitore e del

creditore, il diritto di intervenire del terzo deve essere coordinato

con il diritto di opposizioni delle parti.

L'esercizio del diritto di opposizione spiega tutta la sua

efficacia solo quanto è configurato, cioè quando sia esercitato a

un tempo dal creditore e dal debitore, in quanto solo in questo

caso si può paralizzare l'intervento del terzo. Concedendo la

possibilità del terzo di agire con la procedura di liberazione, vi è

l'impossibilità giuridica di impedire l'intervento in quanto il

creditore non può agire effettuando l'opposizione. Ammettendo in

linea di principio che il terzo possa agire sempre e comunque

anche quando il creditore non può manifestare la propria volontà

in proposito, significherebbe sopprimere la condizione prevista

dal 2° comma dell'art.1180 c. c.. Escludere del tutto il diritto del

terzo sembra non trovare valido appoggio nella ratio della norma,

in base alla quale il creditore, anche nel caso in cui potesse

esprimere la propria volontà, in difetto dell'opposizione debendi,

non può impedire l'intervento. Nel caso in cui il creditore non si

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trovi nella possibilità di esercitare il diritto di opposizione, questo

si specifica nella persona del debitore che da solo può paralizzare

l'intervento del soggetto esterno, determinando una giusta

realizzazione dei vari interessi in gioco93.

93 Falzea op. cit. pg. 230 ss.

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REMISSIONE DEL DEBITO: ART. 1236 C.C. SUA

STRUTTURA. REALIZZAZIONE DEL DIRITTO DEL

DEBITORE.

La struttura del rapporto obbligatorio impone

all'ordinamento di tutelare quelle che sono gli interessi che hanno

dato vita all'obbligazione. In relazione all'interesse del debitore ad

essere liberato mediante prestazione una particolare prova della

protezione concessa dal diritto è fornita dalla norma contenuta

nell'art. 1236 c.c. che prevede il caso in cui il creditore voglia

rinunziare al suo credito mediante remissione. In tale ipotesi, il

debitore sarebbe avvantaggiato dalla dichiarazione del creditore

di rimettere il debito, in quanto li si libera dal rapporto

obbligatorio senza che venga effettuata la prestazione. La legge,

gli riconosce il diritto di rifiutare la remissione e di ottenere

l'effetto liberatorio attraverso l'adempimento, prevedendo, quindi,

un valido strumento giuridico per realizzare il suo diritto ad

attuare la prestazione.

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Dubbi e perplessità si sono avanzate sulla possibile

struttura della remissione, in quanto non si è ritenuto che la

remissione rientri nello schema giuridico delle rinunce. La

disarmonia concettuale su detta struttura deriva anche dalla

formulazione non molto chiara dell'art.1236 c.c., il quale recita: “

La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue

l'obbligazione quando è comunicata al debitore, salvo che questi

in congruo termine non voglia approfittarne”94. A prima vista

sembrerebbe sancita l’unilateralità della rinunzia in quanto la

dichiarazione del debitore di non volerne approfittare risulterebbe

un elemento estraneo alla costituzione della fattispecie, capace

solo di modificare la determinazione dell'efficacia giuridica

dell'atto unilaterale. La testimonianza di ciò sembrerebbe essere

data dalla citazione contenuta nella relazione al codice, e

precisamente nell'art. 66, la quale espressamente ammetteva: "la

remissione è considerata atto unilaterale". Tuttavia, la volontà del

94 Una disposizione analoga contengono l'art .353 del codice tunisino delle obbligazione e dei contratti e l’art. 343 del codice deicontratti e delle obbligazioni del Morocco:"La remise de l’obligation n' a aucun effet lorsque ledèbiteur refuse expressement de l’accepter".

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debitore non è senza effetto , perché, pur non essendo elemento di

perfezione del negozio remissorio, può impedire che questo

produca le conseguenze giuridiche se il debitore dichiara di non

volerne approfittare." La remissione, si identificherebbe con la

dichiarazione del creditore, mentre il rifiuto del debitore

impedirebbe la produzione di conseguenza, cioè non

determinerebbe l'estinzione95. Se fosse così avremo due negozi

giuridici, autonomi e funzionalmente differenti: il primo

presupposto del secondo, mentre il secondo si verifica solo per

neutralizzare gli effetti del primo. Se avessimo la presenza di due

negozi si dovrebbe presupporre uno spazio temporale che

intercorre tra questi ultimi, necessario per la realizzazione

dell'effetto finale. Il negozio del creditore, infatti, avrebbe solo

come scopo il distacco dal diritto di credito dal suo titolare, senza

interferire nella sfera giuridica del debitore. Il soggetto attivo,

dichiarando di rimettere il debito, non fa altro che disporre di un

diritto suo, senza determinare l'estinzione dell'obbligazione, che si 95 Falzea op. cit. pag. 33

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verificherebbe in un secondo momento, mediante l'accettazione

del debitore della remissione effettuata. Ma tutto ciò è smentito

proprio dalla formulazione della norma, che parla di remissione

del debito e estinzione dell'obbligazione, momento unitario, che

non presuppone un intervallo temporale atto a dare vita ai due

negozi autonomi. Il legislatore, consapevole dell'unità effettuale,

ricollega alla dichiarazione remissoria una funzione estintiva

dell'obbligazione, permettendo al creditore non solo di dismettere

il credito, ma di interferire nel patrimonio del debitore

estinguendogli il debito e liberandolo, se il debitore non si

oppone. La previsione legislativa del rifiuto del debitore è un

eloquente riconoscimento della unitarietà del fenomeno, in

quanto, se non fosse così non si potrebbe spiegare come mai in

caso di opposizione l'estinzione dell'obbligazione sia esclusa e il

diritto si conserva nel patrimonio del creditore. Accanto

all'unitarietà del fenomeno, il ruolo dell'opposizione del debitore

acquista un significato ben determinato, in quanto non si limita a

costituirsi come un rifiuto della remissione, ma si pone elemento

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per neutralizzare tutti gli effetti della dichiarazione. Se al debitore

è riconosciuto il potere di rifiutare la remissione del creditore non

possiamo ritenere che la relativa dichiarazione possa rientrare

nella figura giuridica della rinuncia. Essa, infatti, rientra nello

schema del negozio unilaterale, per il quale l'effetto giuridico si

produce per il solo porre in essere della dichiarazione di volontà,

non potendo essere limitata da qualsiasi causa esterna. In base a

questo importantissimo rilievo di struttura giuridica, si può

ritenere impensabile che la remissione possa costituire una

rinuncia unilaterale, in quanto la realizzazione finale dell'effetto

voluto ricade su un soggetto estraneo al titolare della

dichiarazione di volontà. Se il debitore ha il potere di rifiutare ed

impedire che la fattispecie si perfezioni e sia produttiva, vuol dire

che il suo comportamento non attiene il piano dell'efficacia, ma

quello della costituzione della fattispecie96. Ciò è rilevabile anche

dal dettato normativo, in quanto, dopo la proclamata estinzione 96 Perlingieri, Modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in Commentario del Codie Civile a cura di A. Scialojia e G. Branca, Libro IV, Delle obbligazioni (art.1230, 1259). Bologna- Roma, 1975 pag. 169 ss.;Id. Remissione del debitore e rinuncia al credito, Napoli 1968 pag. 138 ss.

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dell'obbligazione, per effetto della dichiarazione del creditore, si

avverte che ciò è possibile solo se il debitore non dichiari di non

volerne approfittarne. Si rileva, quindi, che è necessaria un'attività

di cooperazione del soggetto passivo in quanto solo in base ad un

comportamento del debitore si può determinare la fattispecie

remissoria, non potendo essere considerato come un elemento

estraneo ad esso. Necessitando la cooperazione del debitore per

dare attuazione alla dichiarazione di volontà proveniente dal

creditore, l'accettazione del debitore deve essere considerata come

elemento costitutivo per la creazione della fattispecie. La

formulazione negativa del suo contenuto non può smentire il suo

carattere costitutivo, non potendo considerare come scusante

giuridica, il modo molto particolare della formulazione della

norma contenuta nell'art. 1236 c. c.. Questa particolarità non

viene ad essere considerata un valido ostacolo, in quanto se la

confrontiamo con la disciplina dettata per il contratto unilaterale è

evidente che essa costituisce solo una formula per caratterizzare

la dichiarazione proveniente dal debitore . L'art. 1333 c. c., infatti,

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oltre a considerare che la proposta diventa irrevocabile non

appena diventa conosciuta dalla controparte, si sancisce che "il

destinatario può rifiutare la proposta". In questo articolo viene

previsto l’iter costitutivo del contratto97, in cui il rifiuto del

soggetto passivo consiste in una non accettazione della proposta

contrattuale. Per cui, avendo posto questo parallelismo, ci si può

rendere conto che, la fattispecie remissoria, per essere costituita ,

necessita della presenza dell’accettazione, la quale ha contenuto

negativo98. Si da vita, quindi, alla costituzione di un contratto in

cui la dichiarazione del creditore diviene irrevocabile, quando è

comunicata al debitore; esso si forma quando, trascorso il termine

congruo, non v'è stata dichiarazione di rifiuto da parte del 97 Per coloro che sostengono che la remissione sia un contratto vedi: Lomonaco ,Istituzione di diritto civile , Napoli , 1904,vol 5°, pag 303; Ricci , Corso teorico-pratico di diritto civile , Torino, 1907, vol. 6°, pag. 302 Chironi , Istituzioni di diritto civile , Torino , 1912 , pag 209 e ss Simonelli , Istituzioni di diritto privato , Roma, 1921, pag 355 e ss Per il diritto tedesco vedi : Dernburg ,Pandette , Torino , 1903, vol 2°, pag 265 e ss Per il diritto austriaco vedi : Meissels, Zur Lehre vom Verzichte , in Rivista di Grunhut, Vol. 18°, n. 9 Per il diritto francese vedi: Pohier , Traitè des obligation , in Oeuvres, annotès par Bugnet , Paris, 1890 , pag 326 e ss Toullier, Le droite civil français, Paris , 1844 , pag 321 Laurent, Principes de droite civil , Paris , 1878, pag 276 e ss Fra le rarissime sentenze pronunciate sul punto vedi:App. Torino , 5 febbraio 1897, in Giur. it., 1897 , pag 306 ;App. Torino, 7 gennaio 1902 , in Mon. Trib. Mil. ,1902, pag 173. 98 Cariota Ferrara,Il negozio giuridico nel diritto privato , Napoli 1945 , pag 144 e ss

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debitore. La particolarità della fattispecie remissoria sta proprio

nella facoltà riconosciuta al debitore d'impedire l'estinzione

dell'obbligazione, in virtù della conservazione del rapporto stesso.

Il mezzo giuridico riconosciuto, quindi, tutela l'interesse del

debitore alla conservazione del rapporto, costituendo il sostrato

giuridico del suo diritto a rifiutare ciò che gli è stato posto dal

creditore. La legge, o meglio il mezzo tecnico predisposto dal

dato positivo, costituisce l'indice in base al quale, una volta

effettuata un'attenta valutazione degli interessi in gioco, può dare

rilevanza a quel particolare interesse che viene a porsi come

liberazione mediante adempimento. Tale interesse, quindi,

venendo ad essere tutelato mediante il potere di rifiutare la

remissione, non fa altro che dare piena attuazione al diritto del

debitore di adempiere l’obbligazione.

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REMISSIONE DEL DEBITO RIENTRANTE NELLO

SCHEMA DEL CONTRATTO TRASLATIVO.

La struttura della remissione si rileva anche dalla

particolare funzione che l'atto del creditore determina nel

momento in cui dismette il proprio credito. Il soggetto attivo, non

solo può ritenere che, il proprio credito, non gli fornisce nessuna

utilità, ma può, indirettamente, considerare di arrecare un

vantaggio al debitore, liberandolo. Il creditore, infatti, non può

disporre del proprio credito in favore del debitore, come farebbe

nei confronti di altri con la cessione, in quanto qui la particolarità

del rapporto sottostante fa sì che non vi può essere un'alienazione,

in senso ampio, che comprende ciò solo la separazione dalla

propria sfera giuridica e il trasferimento del diritto nell'altrui

sfera. Ciò che si verifica, in questa particolare circostanza, è

un'alienazione in senso stretto, che comprende la separazione di

un diritto della propria sfera giuridica, e l'attribuzione di un

vantaggio nell'altrui sfera. Questo accade proprio nella fattispecie

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descritta dall'art. 1236 c. c., che in quanto tale rientra nel concetto

di traslazione remissiva, caratterizzata dal particolare fenomeno

in base al quale l'alienante si spoglia di un diritto, che non si

trasferisce come tale nel ricevente, ma che per la sua dimensione

si estingue avvantaggiando il ricevente, il quale viene liberato

dall'obbligazione. Nelle fonti romane, anzi, recitano "Species

adquirendi est liberare dominum obligatione" (/11 Dig. 46,4,); "Si

quis obligatione liberatus sit, potest videri cepisse" (115 Dig.

50,17)99.

Se il creditore mira a togliere una passività dal patrimonio

del debitore si deve ritenere che ciò non può realizzarsi senza il

consenso del soggetto passivo, necessita, quindi, un accordo tra

creditore e debitore per effettuare quel particolare tipo di trapasso.

L'atto del creditore di porre in essere la dismissione del proprio

credito, assume carattere di una manifestazione di volontà atta a

porre l'accettazione di un determinato effetto giuridico, e come

tale esso non è altro che una semplice offerta di contratto. La 99 Fadda, Teoria del negozio giuridico Napoli 1909 pag. 106 ss.

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remissione del debito, riferendosi a una persona che dall'atto di

dismettere trae vantaggio, non può non significare che condono al

debitore del debito. Per cui esso non può non rientrare che nella

figura della traslazione remissiva, in cui l'atto negativo del

debitore determina l'accettazione della proposta, con conseguente

perfezionarsi del contratto100. L'opposizione prevista dalla

normativa viene ad essere riconosciuta al debitore quando gli

interessi in gioco, dimostrano una non propensione ad ottenere il

vantaggio determinato dall'atto. Si sancisce normativamente la

possibilità di rifiutare l'atto per la salvaguardia dell'interesse del

debitore alla conservazione del rapporto e per l'attuazione dello

stesso mediante adempimento.

100 Cerciello, Remissione del debito, Roma ,1923, pag. 28 ss.

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CRITICA ALLA TESI DELLA REMISSIONE TRASLATIVA.

La definizione di remissione come traslazione remissiva,

ha suscitato molte polemiche e critiche basate sull’incompatibilità

tra schema giuridico della remissione e quella dell'alienazione.

Il creditore, infatti, nel rimettere il debito, non aliena il credito,

altrimenti non solo l’obbligazione verrebbe ad estinguersi per

confusione , ma la remissione si identificherebbe con la cessione,

perdendo qualsiasi autonomia giuridica.

La funzione remissoria è completamente distinta dalla funzione

di alienazione e va ricercata al di fuori di essa. Con la remissione

non si ha trasferimento del credito dal titolare attivo al titolare

passivo del rapporto, in quanto l'opportunità di compiere una

simile operazione è lasciata allo strumento giuridico della

cessione, che può essere effettuata tra due soggetti, e quindi anche

tra i titolari delle posizioni soggettive del rapporto obbligatorio.

La dichiarazione remissoria, inoltre, produce, da sola, una nuova

situazione giuridica soggettiva a favore del debitore, che, se

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raffrontata con la precedente situazione, alla dichiarazione

creditoria, ma prima che sia passato il congruo termine per

effettuare opposizione, si rileva una momentanea paralisi del

debito. Il creditore, infatti, non può chiedere l’esecuzione della

prestazione nel periodo che intercorre tra la sua dichiarazione e il

termine riconosciuto al soggetto passivo per effettuare

opposizione101.

Nel medio tempero nasce a favore del debitore un nuovo

potere, quello di rifiutare la remissione, il cui effetto costituito è

eventuale e temporaneo, tale da far dubitare che possa essere

considerato come elemento caratterizzante la funzione

remissoria. La fattispecie remissoria si basa sulla possibilità

riconosciuta al creditore di non utilizzare più il proprio credito, di

ritenere inutile la titolarità del medesimo tale da non volerlo più

nel proprio patrimonio. Da questa particolare definizione che si è

arrivati a riformulare i canoni di riferimento per valutare la

struttura della fattispecie, considerando indispensabile ridefinire i 101 Perlingieri, Il fenomeno dell'estinzione dell'obbligazione, Napoli, 1972 pag. 64 ss.

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concetti giuridici per poterli applicare, una volta esaminati, al

fenomeno studiato.

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REMISSIONE DEL DEBITO COME RINUNCIA.

La disputa sulla bilateralità e unilateralità102 del negozio

giuridico, elemento costitutivo alla base del fenomeno remissorio,

ha spostato l'attenzione dalla normativa giuridica senza la quale

non è dato ricavare la struttura della fattispecie. La non possibile

negazione dello schema costitutivo della rinuncia come negozio

unilaterale non induce a ritenere che la remissione non possa

rientrare in tale figura giuridica. La rinuncia, indica sempre il

potere per il creditore di dismettere il debito, in cui la necessità di

riferire la rinuncia al potere pone in evidenza l'impossibilità di

procedere ad una giusta indagine se non si chiarisce che cos'è il

potere, e il conseguente diritto, e a che cosa la rinuncia si

riferisce. I poteri giuridici sono figure giuridiche riconosciuti

102 Per la tesi dell’unilateralità della remissione vedi : Brugi, Istituzioni di diritto civile italiano , Milano, 1914, pag 597 Atzeri , Delle rinunzie , Torino, 1915 pag 143 e ss De Ruggiero , Istituzioni di diritto civile, Napoli, 1915 , pag 256 e ss Per il diritto francese vedi : Zachariae, Manuale di diritto francese, Milano, 1907, pag 345 e ss ( tradotto da Barassi). Tra le rarissime sentenze vedi : App. Catanzaro 6 giugno 1916 in Giur. calabrese , 1916 , pag 467

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dall'ordinamento a un determinato soggetto per ottenere un dato

risultato, ed come tale sono personali, intrasmissibili e

imprescrittibili e irrinunciabili. Oltre a garantire la titolarità, ciò

che caratterizza il potere è il suo esercizio, il movimento

dell'azione, che può consistere in un fare o in non fare, nel senso

di compiere e di non avere un determinato comportamento atto a

fare ottenere un altro risultato.

I diritti sono anch'essi poteri, che si fondono però su un

contegno dell'ordinamento giuridico diverso da quello che ha

costituito i poteri in quanto tali. Quest’ultima provengono

dall'ordinamento come capacità costitutive, e si indirizzano nei

confronti di ogni singolo soggetto come capace di dar vita ad i

singoli rapporti. I diritti sono invece poteri che l'ordinamento

generale configura all'interno del rapporto e, come tali, seguono

le vicissitudini di questo, evolvendosi nello stesso modo in cui si

modifica il rapporto. I soggetti possono creare rapporti,

esercitando i loro poteri, mentre i diritti sono configurazioni di

poteri determinati dall'ordinamento, per cui un soggetto può

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costituire rapporti con cose, persone, mentre i poteri e i diritti

sono formati dall'ordinamento. Per cui abbiamo che per i diritti

valgono le stesse regole che sono sancite per i poteri,

determinando, quindi, che essi non possono essere rinunciabili.

Per cui ciò che si specifica è la possibilità che essi possono essere

esercitati, il cui esercizio può rivestire carattere positivo o

negativo.

Assume altro significato giuridico l'espressione, il creditore ha il

potere di rimettere il proprio credito, ritenendo che sia valido per i

poteri, come per i diritti, un esercizio di essi positivo o negativo,

specificandosi come possibilità di usare e di non usare il potere o

il diritto. Non è corretto allora affermare che possa rinunciare al

diritto, perché ci troveremo al di fuori e sopra il diritto, in quanto

ciò è possibile solo in base a un potere uguale e contrario al suo

potere costitutivo: la potestà.

Tutto ciò si specifica e si particolarizza in riferimento al

diritto di credito e, in quanto esso scaturisce da una fonte

giuridica, per la quale il potere di dispositivo non deriva da una

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sola parte. Ciò che caratterizza l’obbligazione è la presenza delle

due posizioni soggettive, in cui il diritto soggettivo del creditore è

definibile sulla base del contenuto dell’obbligo del soggettivo

passivo. Per le caratteristiche strutturali del rapporto obbligatorio,

la parte obbligata è titolare di un diritto, o potere, di attuare il

proprio obbligo, solo che quest’ultimo elemento si presenta

assorbito rispetto alla posizione di obbligo al punto tale da non

avere applicazione se non nei casi in cui si afferma di voler

compiere il proprio dovere.

Parlare di rinuncia al diritto o al credito diviene

un'espressione impropria, in quanto la rinuncia si deve riferire

solo al rapporto che, nel caso dell’obbligazione, è posto da due

distinti soggetti, con la logica conseguenza che non può essere

estinta in base al potere dispositivo di una sola parte del rapporto.

Ritorna, quindi, l’importante distinzione tra titolarità del diritto e

il suo esercizio: occorre riferirsi all’esercizio del diritto in quanto

solo in questo caso si ha rinuncia. Nel rapporto obbligatorio la

rinuncia all’esercizio si presenta molto particolare, in quanto se

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rinunciare vuol dire non muoversi, non chiedere, in questo caso

assume uno specifico riferimento a quella parte dell’obbligo altrui

di cui si è titolare. Il creditore, quindi, rinuncia, per la propria

parte, all’obbligo che incombe sul debitore, riducendolo a quella

parte che caratterizza la posizione passiva e che è operante solo

per volontà del debitore. Quest'ultimo può sentirsi obbligato, non

per uno stato di soggezione nei confronti del creditore, e neanche

nei confronti della legge, in quanto essa esprime la sua efficacia

attraverso la volontà effettuale del creditore, ma in base ad un

proprio interesse ad essere liberato mediante adempimento . E' in

questo caso che la legge concede al debitore la facoltà di agire

realizzando il proprio "diritto " ad attuare il proprio dovere,

concedendogli la possibilità di rifiutare la dichiarazione

proveniente dal creditore. Il soggetto attivo non ha un potere

dispositivo sull’intero rapporto, ma ha la facoltà di rinunciare

all'esercizio del proprio diritto, e solo in questo senso può avere

significato l'espressione "rinuncia al credito". La remissione del

debito può essere considerata rinuncia solo nel senso appena

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accennato, conservando, così, il suo peculiare carattere

abdicativo. L'atto con il quale il creditore rimette il debito, con il

suo valore liberatorio da ogni pretesa sull'obbligo è unilaterale,

legato alla rinuncia dell’esercizio del suo diritto di credito.

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OPPOSIZIONE DEL DEBITORE COME POSSIBILITA' DI

REALIZZARE IL SUO DIRITTO AD ADEMPIERE

La rinuncia all'esercizio del diritto di credito ha dei limiti di

configurazione, in quanto essa non può, da sola, estinguere il

rapporto ne determinare la fine della titolarità del diritto di

credito, sorto dal rapporto. Ciò deriva dalla formulazione della

norma contenuta dall’art. 1236 c.c., la quale determina la

possibilità di non approfittare della remissione fatta dal creditore,

impedendo l'estinzione del rapporto. Si pone, quindi, un

necessario collegamento tra la rinuncia e i suoi effetti e

l'atteggiamento divergente o convergente del debitore che,

nell’ambito della rinuncia unilaterale del creditore, ha bisogno di

qualche delucidazione. La rinuncia del creditore elimina l'obbligo

per quella parte che riguarda il proprio esercizio, la cui efficacia è

immediatamente operativa. Essa, però, non sopprime

l'obbligazione in quanto il debitore non è liberato da quella parte

di obbligo che dipende dalla sua volontà, potendo, in qualsiasi

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momento esercitare il proprio potere di adempiere. Nel caso in

cui il debitore valuti di volere accettare gli effetti della

dichiarazione del creditore di dismettere il credito, in quel

momento si verifica l'estinzione dell’obbligazione. Il

collegamento, però, tra rinuncia e dichiarazione di voler o non

voler approfittare, non è diretto, ma bensì indiretto, poiché riflette

il collegamento dei due poteri di base: il diritto del creditore e il

dovere del debitore. Queste situazioni si specificano l'una nel

potere di liberare dall'obbligo per la propria parte il debitore, e

l’altra nel potere di liberarsi dall'obbligo per la situazione di

libertà determinata dall’esercizio del diritto. Per cui il

comportamento del debitore, può assumere sia carattere negativo

che carattere positivo, non può essere definito ne come

accettazione ne come opposizione. Il suo comportamento non ha

effetto risolutorio dell'efficacia della dichiarazione del creditore,

la sua attività rimane autonoma ed indipendente rispetto alla

decisione di non voler più godere del proprio credito da parte del

titolare della posizione attiva. Dopo che il debitore ha dichiarato

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di non volerne approfittare, il creditore rimane rinunciante, non si

verifica un mutamento dello stato giuridico determinato dalla

dichiarazione. Viene a trovarsi in una posizione di attesa neutrale,

che il comportamento debitorio non può modificare pur

incidendo sulle sorti del relativo rapporto. Diversamente

dovrebbe essere valutato l'ulteriore comportamento creditorio

caratterizzato dal rifiuto di ricevere la prestazione. In questo caso

siamo al di fuori dell'ambito applicativo della rinuncia, in cui

l'atto del creditore si presenta come rifiuto di ricevere

l'adempimento e come tale è concessa al debitore di agire con i

mezzi giuridici opportuni per garantire la realizzazione del

proprio interesse ad essere liberato mediante adempimento. Il

creditore, infatti, deve avere un certo comportamento atto a

garantire la liberazione dell'obbligo in quanto la stessa legge gli

impone di tenere un determinato contegno se non vuole incorrere

nelle sanzioni disposte dalla mora credendi. Il soggetto attivo

può quindi mantenere la sua dichiarazione o subire

l'adempimento, ma non può far altro, altrimenti incorrerebbe nelle

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sanzioni previste dalla legge, che si specificano nell'attuazione

delle fasi della procedura di liberazione. La legge, però, disciplina

le conseguenze della dichiarazione creditoria in caso in cui il

debitore non attua la sua dichiarazione negativa, prevedendo

l'estinzione del rapporto, ma non effettua un’esplicita disciplina

per la vicissitudine che può subire la dichiarazione di rinuncia.

Siamo sul terreno delle azioni, degli esercizi per cui come la

dichiarazione di rinuncia del creditore costituisce esercizio del

diritto di credito, la dichiarazione di non volerne approfittare del

debitore costituisce l'esercizio del suo potere di adempiere103.

103 Romano Salvatore, Scritti Minori , Milano 1980 pag. 1483 ss.

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III CAPITOLO

INTERESSE DEL DEBITORE ALLA LIBERAZIONE

CRITICA ALLA TESI DELLA CONFIGURABILITA' DI UN

DIRITTO SOGGETTIVO DEL DEBITORE AD ADEMPIERE E

APERTURA VERSO UNA SITUAZIONE SOGGETTIVA D'

INTERESSE AD ADEMPIERE.

La posizione soggettiva del debitore assume una particolare

rilevanza proprio nella fase dell'adempimento, in cui il suo

interesse potrebbe determinare la nascita di un particolare diritto.

Nel tentativo di ricostruire il contenuto della posizione soggettiva

del debitore, si è pervenuti a rilevare l'esistenza di un particolare

diritto, che si caratterizza come realizzazione dell'adempimento.

La verifica di tale esistenza si giustifica nel ritenere che

l'ordinamento giuridico garantisce una piena tutela giuridica

all'interesse del debitore di essere liberato mediante

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adempimento, per il quale sarebbero concessi precisi mezzi

giuridici di realizzazione in caso di sua lesione. L'affermazione si

basa sulla erronea considerazione dell’oggetto della tutela

giuridica, in quanto ciò che viene tutelato non è il singolo

interesse, ma i possibili interessi di cui il soggetto passivo è

titolare.

L'unico interesse che trova esplicita protezione giuridica, è

quello del creditore ad ottenere la prestazione, al quale fa

riscontro una posizione di dovere.

Quest'interesse non può essere messo sullo stesso piano

dell'interesse del debitore, in quanto esso è completamente

assorbito nel comportamento dovuto. Esso acquista rilevanza

giuridica nel momento in cui viene leso, non avendo una propria

fisionomia giuridica autonoma quando il rapporto obbligatorio si

costituisce tra le parti. Il carattere secondario ed eventuale

dell'interesse debendi esclude che esso possa assurgere a vero e

proprio diritto, a cui corrisponderebbe l'obbligo del creditore di

adempiere i propri impegni, per la sua attuazione. L'esistenza di

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un simile obbligo non solo altera la struttura contenutistica del

rapporto ma non potrebbe neanche essere formulato in base

all'esame di alcuna fattispecie di contratti che, da un'analisi

sommaria del loro contenuto, potrebbero indurre a formulare un

risultato differente. Il contratto di struttura104 teatrale è stato

assunto come valido supporto normativo, per la dimostrazione di

detto obbligo della pars credendi, in quanto si è rilevato che

l'interesse del debitore, l'attore, deve essere tutelato mediante la

nascita di un obbligo di fare agire l'artista scritturato posto a

carico dell'impresario (creditore). L'impossibilità di definire

concettualmente un tale obbligo del creditore deriva dal fatto che

egli è debitore, a sua volta, del prezzo pattuito per la recitazione,

poiché il rapporto costituito è a prestazioni corrispettive, nel quale

le due parti assumano un impegno l'una nei confronti dell'altra.

Non bisogna confondere l'obbligo derivante dal contratto,

quale termine corrispettivo del rapporto, con un obbligo astratto

104 Cass. Competenza e giurisprudenza in materia civile , in Foro Italiano , 1958, I, n. 246 -247.

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di ricevere la prestazione, che si specifica nella posizione attiva in

quanto destinataria della stessa. Se per un mero caso,

l'imprenditore dispensa l'attore, dalla prestazione (recita) ma gli

paga l'onorario pattuito, non sembra che il debitore (attore) possa

agire per ottenere la protezione giuridica dell'interesse alla

rappresentazione. Se quest'ultimo potesse avere detta tutela i

termini del contratto verrebbero ad assumere aspetti molto più

ampi di quelli che gli sono propri, realizzando un'alterazione di

quelli che sono i requisiti strutturali del rapporto. Se ci fosse una

reale protezione per questo interesse, l'impresario avrebbe

l'obbligo di allestire la rappresentazione e continuarla, anche

nell'eventualità che il disfavore e lo scarso affluire del pubblico lo

consigliassero di rinunciare alla recita. Tutto ciò è contrario al

concetto stesso di obbligazione, caratterizzato dalla prevalenza

dell'interesse creditorio, che potrebbe essere soddisfatto da una

non attività, deducendo, quindi, l'impossibilità giuridica di

formulare un simile comportamento dovuto dal creditore. Allo

stesso risultato negativo si perviene se si considerano i rapporti

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esistenti tra imprenditori e operai, il cui precedente modo di

argomentare farebbe supporre l'esistenza, per i secondi, di un

diritto, nei confronti dei primi, che venga amministrata e

incrementata nel migliore dei modi l'azienda in cui lavorano, al

fine di porsi al riparo da possibili licenziamenti, augurandosi, in

questo modo, maggiori guadagni. Si arriverebbe ad ipotizzare

l'esistenza di un obbligo generale di fedeltà e cooperazione, che

troverebbe la sua unica fonte nel vincolo associativo. L'assenza di

un contrasto di interesse per una buona conduzione dell'attività

produttiva determina una pretesa di ottenere una giusta tutela. per

il compimento dell'attività lavorativa, che non può non

specificarsi in una tutela atta a realizzare il singolo interesse ad

eseguire la prestazione. In caso di alterazione del buon andamento

della produzione, venendo a mancare l'equiparazione delle

posizioni a causa dell’assenza dell’interesse menzionato, le parti

assumono posizioni differenziate, costituendo un vero e proprio

rapporto di credito, per il quale viene riconosciuta un’espressa

tutela solo per l’interesse creditorio. In questa particolare

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situazione non può essere considerato meritevole di tutela un

diritto ad adempiere del debitore, ma si garantisce al soggetto

passivo solo la possibilità di evitare qualsiasi inconveniente atto

ad incidere ulteriormente sul suo obbligo. La tutela che viene

riconosciuta riguarda mezzi di prevenzione atti a garantire alla

posizione soggettiva passiva non solo minori aggravi, derivante

da fattori esterni, ma un'ulteriore beneficio determinato dalla

liberazione del vincolo, che può essere realizzato con la sola

volontà del debitore105.

La tutela dell'interesse del debitore ha fatto ritenere che in

alcuni casi, il creditore avesse un vero e proprio dovere di

ricevere la prestazione, per realizzare il proprio interesse.

L'obbligo del creditore di fare tutto ciò che necessiti per

permettere al debitore di adempiere, risponde all'esigenza logico

giuridica di non alterare l'equilibrio degli interessi in gioco. Il

soggetto attivo avrebbe sempre un obbligo di accettare la

prestazione, in virtù di una lesione dell'interesse debitorio a non 105 Miccio op. cit. pag. 6.

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subire il prolungamento della durata del rapporto oltre i termini

convenuti.

Il creditore non può sicuramente, con un'attività unilaterale,

alterare i termini costitutivi dell'obbligazione effettuando

comportamenti che determinerebbero maggiori aggravi per il

debitore. Ciò, però, non giustifica l'esistenza di un obbligo

generale di ricevere la prestazione a suo carico. Il debitore ha il

dover di adempiere e non il diritto, mentre il creditore ha la

facoltà e non l'obbligo di ricevere la prestazione. Questo è

dimostrato tenendo presente il contenuto del contratto di

trasporto o quello di compravendita, i quali hanno come oggetto

rispettivamente un biglietto per assistere ad una rappresentazione

teatrale e quello per essere trasportato da un luogo in un altro. Il

vettore o il gestore del teatro, al quale il cliente ha pagato il

biglietto del viaggio o dello spettacolo, è debitore del trasporto o

della rappresentazione teatrale, ma non può pretendere che il

debitore effettui il viaggio o vada a teatro; il cliente resta sempre

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libero di esigere o non esigere il proprio credito, cioè di non

effettuare il viaggio e di non andare a teatro106.

L'inesistenza di un dovere del creditore di ricevere la

prestazione viene ad essere dimostrata non dalla definizione di

obbligazione che è destinata a soddisfare l'interesse del creditore

ma dal fatto che l'interesse del debitore potrebbe trovare

un’espressa tutela solo attraverso la creazione di un altro rapporto

obbligatorio.

Questo rapporto avrebbe il carattere della complementarità

e della accessorietà, rispetto a quello fondamentale e compreso in

esso. In tal caso il debitore sarebbe titolare del diritto a far sì che

il creditore riceve la prestazione, gravando su di lui il

conseguente obbligo di ricevere ciò che è dovuto. Tutta la

normativa del rapporto obbligatorio non rileva la possibilità

giuridica di configurare all'interno del rapporto un 'altro avente le

posizioni soggettive di debito e di credito invertita rispetto al

primo. Non è prevista l'esistenza di esso come rapporto 106 Breccia, Le Obbligazioni ,op. cit.,a pag. 414

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complementare in cui il creditore sia titolare di un obbligo, e

viceversa il debitore sia titolare di un diritto107.

107 Cicala ,Adempimento indiretto dell'obbligo altrui, Napoli, 1986, pag. 170 e ss.

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CONFIGURABILITÀ DI UN INTERESSE AD ADEMPIERE

SULLA BASE DELLA DISCIPLINA DELL'ADEMPIMENTO

DELL'OBBLIGO ALTRUI.

La possibilità che la posizione soggettiva del debitore possa

assurgere a vero e proprio diritto, viene smentita proprio dalla

norma contenuta nell'art. 1180 c.c., in base alla quale il creditore

può prendere in considerazione la manifestazione di volontà del

debitore , ma non è vincolato ad essa.

L'accettazione dell'intervento del terzo viene subordinata ad

un’attenta valutazione del creditore che ha per oggetto o il suo

interesse che il debitore possa adempiere l'obbligazione

personalmente, o lo stesso tipo di interesse, che, invece,

appartenga al soggetto passivo e si manifesta nel momento in cui

effettua l'opposizione. Essa non costituisce altro che un semplice

mezzo per far si che il creditore conosca questo interesse e possa

prenderlo in considerazione, nell'eventuale attuazione del suo

potere di respingere l'adempimento del terzo. L'interesse del

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debitore è tutelato mediante la previsione di una semplice facoltà

di manifestare la propria opposizione alla prestazione del terzo, il

cui mezzo, però, non è vincolante per la reale attuazione

dell'obbligazione108.

L'opposizione del debitore non ha alcuna incidenza

giuridica nella possibilità che il terzo ponga in essere la

prestazione, infatti il creditore è completamente libero di

scegliere se dare attuazione alla richiesta del soggetto estraneo,

poiché potrà, ma non dovrà, tener conto dei motivi che inducono

il soggetto passivo di manifestare la propria ostilità nel permettere

al terzo di porre in essere la prestazione.

E' stato ritenuto che la manifestazione di volontà del

debitore non può essere considerata una mera facoltà, in quanto la

sua opposizione costituisce il termine primo per concedere al

creditore un motivo valido per non accettare la prestazione che il

terzo s'impegna ad adempiere. La verifica di ciò consente di

108 Breccia , Le Obbligazioni ,op.cit., pag 436 e ss.; Natoli , L'attuazione , op cit pag 187 e ss.

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formulare in termini compiuti la natura di detta opposizione,

definendola come un vero e proprio diritto illimitato, atto a

salvaguardare la pars debendi da qualsiasi invasione della proprio

a sfera giuridica109.

Parlare di un vero e proprio diritto illimitato di opposizione

non ha alcun fondamento giuridico, in quanto contiene in se il

riferimento ad un’illimitata facoltà di opposizione, che è del tutto

priva di collocazione giuridica all'interno della disciplina

complessiva dell'adempimento del terzo. L'ammissione di un

diritto illimitato comporta inevitabilmente che le ragioni e i

motivi che il debitore fornisce diventano insindacabili e

vincolanti. Per cui, ogni qualvolta che il creditore rifiuti l'offerta

del terzo, potrebbe addurre come causa giustificativa la volontà

del debitore che non vuole che il soggetto in questione si inserisca

nel rapporto ed immetta nel patrimonio credendi la cosa dovuta.

In questo modo si dovrebbe considerare l'unico, vero interesse

positivamente normatizzato, come privo di qualsiasi rilevanza 109 App Roma 8 marzo 1952 , op cit

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giuridica, in quanto non idonea a poter accettare la prestazione

del terzo, nel caso in cui fosse stata manifestata l'opposizione in

questione. Appare contraddittorio affermare che la legge intende

tutelare di più la sfera di sovranità del soggetto passivo anziché

quello attivo, non essendo conciliabile tale preferenza con il

contenuto della norma in questione, che espressamente e

specificatamente si e' preoccupato di concedere la possibilità al

creditore di veder soddisfatto il proprio interesse ad opera di un

terzo110. La conferma che l'opposizione non sottintende un diritto

ma si costituisce come un puro mezzo previsto dall'ordinamento,

per tutelare l'interesse del debitore a far si che la prestazione

possa essere da lui compiuta viene testimoniata dalla possibilità

per il creditore di accettare l'adempimento del terzo, anche contro

la volontà del debitore. A conferma che l'opposizione è un mero

strumento per tutelare l'interesse debendi, il tribunale di Roma111,

sezione fallimentare, ha previsto che "la legittimazione del

110 Di Majo, Dell’adempimento in generale, op cit , pag 70 e ss 111 Tribunale di Roma, sent. 11 luglio 1986 n. 10931, in Temi Romani, Parte II, Giurisprudenza Civile , pag 413 .

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creditore ad impugnare l'ammissione di altrui creditori

concorrenti è di natura privatistica e non è tutela di un interesse

collettivo; essa pertanto viene meno se al creditore opponente

viene fatta una valida offerta di pagamento da parte di un terzo

senza l'opposizione del curatore.

Anche la facoltà, del debitore (fallito) di opporsi

all'adempimento da parte di un terzo ai sensi dell'art. 1180 comma

2° c.c. si trasferisce al curatore, dovendosi ritenere tale facoltà

compresa nello spossessamento del patrimonio del fallito

conseguente alla dichiarazione di fallimento".

Questa sentenza, anche specificamente riferita all'ipotesi di

fallimento, ha esplicitamente evidenziato che il debitore ha una

facoltà di opporsi all'intervento del terzo, la quale passa dal

curatore per il semplice verificarsi del fallimento.

Detta facoltà viene utilizzata dal curatore proprio per

rendere noto il motivo che può causare la non accettazione della

prestazione del terzo e gli viene trasferito in quanto fa parte del

patrimonio del debitore fallito. La struttura contenutistica e

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Page 240: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

formale di questo strumento è ben delineato in quanto risulta

chiaro che esso si specifica in una mera facoltà di non accettare

l'adempimento del terzo. Essa è congeniale alla posizione del

debitore che, messo nella condizione di dover assumere un

atteggiamento positivo nei confronti di un’attività solvendi altrui,

può manifestare la propria volontà, la quale può,

successivamente, acquisire un suo ruolo determinante nella scelta

effettuata dal soggetto attivo, solo se quest'ultimo ritiene degno di

riconoscimento giuridico l'opposizione avanzata.

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POSSIBILITA' DI RICONOSCERE LA CATEGORIA

DELL'INTERESSE LEGITTIMO NEL DIRITTO PRIVATO.

Verificata l'esistenza dell'interesse del debitore ad

adempiere, si è subito rilevato che esso può assumere, nell'ambito

del rapporto obbligatorio, una funzione importantissima nel

determinare quelli che sono gli estremi contenutistici della

posizione debitoria. Questo interesse, completamente assorbito

nel comportamento dovuto dal debitore, acquista rilevanza

giuridica nel momento in cui non viene concessa la possibilità per

determinare la sua realizzazione. Non avendo una propria

fisionomia giuridica, e manifestando la propria rilevanza nel

momento in cui viene leso, la tutela ad esso concessa è

occasionale e secondaria. I mezzi giuridici concessi per la sua

realizzazione mettono in evidenza che il soggetto passivo viene a

trovarsi in una situazione molto particolare, che funge da

presupposto per la sua liberazione dal vincolo. L'interesse del

debitore ad adempiere si pone come la situazione presupposto,

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che determina la nascita di situazione sostanziale di vantaggio,

inattiva, che assume i caratteri di un interesse legittimo112.

Questa figura è nata nel diritto pubblico, e più precisamente

nel diritto amministrativo, ed ha acquistato una particolare

rilevanza giuridica anche nel diritto privato, essendo essa di fatto

applicata in molte situazioni aventi carattere privatistico. Non

sempre la dottrina è stata unanime nel ritenere che sia corretto

applicare una figura tipicamente pubblicistica nel campo

privatistico. L'obiezione, in base alla quale sarebbe del tutto

irrilevante uno spazio giuridico all'interesse in questione

nell'ambito del diritto privato, si basa su alcuni fondamentali

argomenti che però, non portano a risultati concludenti.

112 Bigliazzi Geri, Contributo alla teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Padova, 1967, pag 197 e ss

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La prima questione riguarda la competenza giudiziaria per la

conoscenza delle varie controversie relative a questioni

riguardanti interessi legittimi. Si è, infatti, sostenuto che l'unico

giudice competente a conoscere le controversie relative agli

interessi legittimi è solo la giurisdizione amministrativa, per cui

non si potrebbe agire in giudizio compiutamente e con

competenza di materia se questa figura giuridica fosse trasportata

nel diritto privato. In quest'ambito del diritto, abbiamo che le

relative controversie sono di competenze del giudice ordinario,

per cui, se si potesse effettuare un simile trapasso, non ci sarebbe

azione giudiziaria utile, per pervenire ad una valutazione della lite

in corso113. La tesi prospettata, però, parte da una visione molto

113 Coloro che affermano l'impossibilita' di configurare l'interesse legittimo nell’ambito del diritto privato: Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione Milano, 1934, pag 325 e ss Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile secondo al nuovo codice, II, Padova, 1953, pag 42 e ss Satta, Diritto processuale civile , Padova , 1943 , pag 161 e ss Cassarino, Le situazioni soggettive e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, pag , 261 e ss Bozzi , voce Interesse e Diritto, in Novissimo Digesto italiano, VIII, Torino, 1962 , pag 844 e ss Gazzoni , Manuale di diritto privato, Napoli,1996, pag. 80 e ss Zanobini , Interessi occasionalmente protetti nel diritto privato,in Studi in Memoria di F. Ferrara , Milano 1943 , II, pag 705 e ss

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limitata del fenomeno in quanto trascura del tutto il momento

sostanziale, concentrando la propria attenzione solo sul momento

processuale, ritenendo che solo in esso è possibile rilevare

l’importanza giuridica del fenomeno. A prescindere da questa

considerazione puramente contenutistica, non sembra che sia

possibile arrivare a formulare aprioristicamente una simile

conclusione negativa, senza prima aver effettuato un'analisi del

dato positivo. Essa presuppone, ovviamente, la formulazione di

una chiara definizione giuridica di interesse legittimo, per mettere

in evidenza la sua vera natura ed evitare l'errore di effettuare una

confusione tra i due momenti essenziali in cui il fenomeno si

articola, cioè quello sostanziale e quello processuale.

In relazione a quest'ultimo aspetto, non può considerarsi

decisa, per la negazione dell'applicazione della figura

dell'interesse legittimo nel diritto privato, il dettato normativo

Interessi legittimi nel diritto privato, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, pag. 345 e ss Ventura, Interessi legittimi, diritto privato, diritto agrario, in Riv , dir. agrario, 1959, pag 183 e ss Interessi legittimi e proprieta' fondaria , in studi in onore di Betti, Milano, 1962 , pag, 721 e ss .

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contenuto nella legge 23 marzo 1865, n 2248114. Con questa legge

si sarebbe attribuita al giudice amministrativo una competenza

esclusiva a conoscere le questioni relative agli interessi legittimi,

quindi, a una prima analisi si arriverebbe alla conclusione di

un’irrilevante previsione dell'interesse in questione nell'ambito

privativo, poiché la strada processuale per la sua tutela sarebbero

del tutto inesistenti. Un'attenta disamina del contenuto del testo

normativo, rileva la sola esistenza della possibilità di adire la

strada esclusiva della giustizia amministrativa solo quando il

rapporto controverso abbia come soggetti contrapposti il privato e

la Pubblica Amministrazione. La legge, però, non menziona il

caso in cui il rapporto controverso si ponga tra soggetti diversi, e

nel caso di specie nei confronti dei privati, lasciando

impregiudicata la questione relativa alle possibili controversie

giudiziarie. Il rilievo effettuato, consistente nell'indirizzare il

contenuto legislativo alle sole ipotesi in cui sia coinvolto un

114 Dal Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato , approvato con R . D. 26 Giugno 1924 , n. 1054.

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soggetto pubblico, è confermato anche dalle norme contenute

nell'art. 24, 103, 113 della Costituzione, in quanto attribuiscono

agli organi della giustizia amministrativa, la sola giurisdizione per

la tutela degli interessi legittimanti confronti della pubblica

amministrazione.

Per cui si afferma non solo la necessità giuridica di

eliminare qualsiasi dubbio sulla possibile applicazione

dell'interesse legittimo nella sfera d'azione del diritto privato, ma

l’incontestabilità della competenza del giudice ordinario in

riferimento alle controversie tra privati, nelle quali si lamenti la

violazione di un interesse legittimo115.

115 Coloro che affermano l’indentificabilità dell’interesse legittimo nel diritto privato:Betti, Diritto processuale civile italiano , Roma, 1936 , pag 68 e ss . Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli , XV, Torino, 1960, pag 112 e ss ;voce Interesse (Teoria generale) n Novissimo digesto italiano , VIII, Torino , 1962, pag 838 e ss Carnelutti , Sistema di diritto processuale civile, Padova, 1936, 841 e ss , Santi Romano,Corso di diritto amministrativo, Padova, 1957, pag 151 e ss; Corso di diritto costituzionale, Padova, 1940, pag. 80. Romano Salv. Aspetti soggettivi dei diritti sulle cose , in Riv. Trim , Dir e proc. civ. 1955 pag 139 Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto Civile, I , Torino, 1986 pag. 330 e ss Rescigno, Gli interessi legittimi nel diritto privato, in Scritti Lence, a cura di Carpino, Napoli, 1989, pag. 883 e ss. Bigliazzi Geri, voce interesse legittimo: diritto privato, in Digesto delle discipline privatistiche , vol. IX, pag. 527 , in part. 530 e ss.

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Il risultato non può essere smentito neanche se si effettua se

una disamina contenutistica della figura giuridica dell’interesse

legittimo, in quanto esso si presenta come una situazione

soggettiva di vantaggio la cui fisionomia ben potrebbe essere

presente nell'ambito di un rapporto privatistico. Per cui non solo

si può affermare che nulla in astratto, può avere un contenuto

giuridico tale da porsi come ostacolo all'applicazione

dell'interesse studiato e individuato, nell'ambito del diritto

privato, ma esso è di valido supporto per arrivare a chiarire

situazioni che all'interno dell'ambito privatistico non sono di

esaustiva definizione giuridica. Il concetto di interesse legittimo

non è privo di conseguenze giuridiche rilevanti, ciò si deduce dal

fatto che in base ad esso si può riuscire a dare una qualificazione

a situazioni che non avevano un preciso significato normativo, e

addirittura, si può arrivare a modificare il senso di certe situazioni

considerate di soggezione, che, a ben guardare appaiono come

situazione di vantaggio. Tutto ciò si struttura e si specifica

nell'ambito del rapporto obbligatorio, in quanto particolari

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vicissitudini relative allo stesso svolgimento del rapporto possono

determinare la modificazione di situazioni che sono considerate

da sempre come di mero obbligo116.

116 Bigliazzi Geri, Contibuto alla teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, op cit, pag 1 e ss

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INTERESSE LEGITTIMO DEL DEBITORE ALLA

LIBERAZIONE IN RELAZIONE ALLA SUA SITUAZIONE

SOGGETTIVA PASSIVA NEL RAPPORTO OBBLIGATORIO.

La nozione di interesse legittimo trova la sua più compiuta

realizzazione nell'ambito del rapporto obbligatorio, in quanto è

l'elemento determinante per chiarire il contenuto giuridico della

situazione che si viene a creare nel caso in cui l'interesse del

debitore ad adempiere sia leso. Il soddisfacimento di tale interesse

non dipende dal comportamento del debitore, ma nella maggior

parte dei casi necessita una collaborazione esterna, la quale, se

viene a mancare, impedisce al soggetto passivo di liberarsi

dall’obbligo. La mancata realizzazione dell'interesse ad

adempiere determina la nascita di una situazione soggettiva,

inattiva che viene ad assumere i caratteri dell'interesse legittimo,

della quale è titolare il debitore117.

117 Bigliazzi Geri , Breccia, Busnelli. Natoli, Diritto Civile ,op.cit., pag 330 e ss

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L'interesse è così definito perché tende al conseguimento,

sul piano sostanziale, di un risultato favorevole consistente, a

seconda dei casi, nella conservazione, estinzione modificazione di

una data realtà giuridica.

Si tratta di una situazione soggettiva che si inserisce nel

rapporto fondamentale intercorrente tra creditore e debitore dando

vita ad un rapporto accessorio rispetto al primo. Il rapporto

obbligatorio si presenta come relazione di due posizioni

giuridiche soggettive, funzionalmente coordinate tra di loro, l'una

è caratterizzata da un vantaggio, l'altra da uno svantaggio. Può

accadere che le due situazioni risultino relazionate tra loro in

modo diverso, in funzione dei diversi interessi che stanno alla

base del rapporto; per cui può verificarsi che entrambe le

situazioni possono essere di vantaggio anche se l’una attiva e

l’altra inattiva. Tutte le volte che siamo in presenza di questa

particolare fisionomia di rapporto, abbiamo la costituzione di un

interesse legittimo, dove l’interesse oggetto di qualificazione

costituisce elemento indispensabile per la realizzazione l'interesse

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creditorio, sicché la soddisfazione dell'uno dipende dalla esplicita

realizzazione dell’altro. L'interesse del debitore acquista rilevanza

in concreto nel momento in cui si deve effettuare la prestazione,

che viene ad essere realizzata solo quando si è compiuto un

determinato comportamento discrezionale del creditore. Nel

momento in cui viene in evidenza il potere discrezionale del

creditore, l'interesse del debitore assume il carattere di termine

corrispettivo del predetto rapporto accessorio. L'interesse del

debitore ad adempiere e quello che si pone come presupposto del

potere del creditore si trovano collegati da un nesso di

complementarità, che caratterizza la fattispecie complessa, e nella

quale si inserisce l'interesse legittimo. E' ovvio che il

soddisfacimento dell'interesse del debitore non può attuarsi se

prima non si realizza quello del creditore, ma fa si che il primo

possa acquistare una determinata rilevanza in relazione al

comportamento discrezionale del creditore di effettuare tutto ciò

che è necessario per far sì che la prestazione possa essere

realizzata. Ciò non toglie che la posizione di diritto soggettivo del

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creditore venga alterata, ne quella del soggetto passivo possa

mutare il suo carattere di obbligo. Avviene solo che, in relazione

al momento attuativo del rapporto, il potere del creditore assume

una particolare fisionomia in quanto la posizione del debitore si

arricchisce, acquisendo rilevanza in essa la liberazione del

vincolo.

L'interesse del debitore si presenta come situazione-presupposto

di una situazione soggettiva di vantaggio tipicamente inattiva, la

cui realizzazione è determinata da una attività giuridica di un

soggetto estraneo (il creditore). L'interesse del debitore, quindi, in

un certo modo, influisce sulla sfera giuridica del soggetto attivo,

rappresentandone un limite espansivo per la sua realizzazione.

L'attuazione dell'interesse in questione rappresenta un tipico

limite interno al diritto del creditore, il quale ha come unico fine

quello di evitare un ingiusto danno al soggetto passivo, dovuto ad

un comportamento del soggetto attivo, senza mai ledere il

contenuto della posizione del creditore, senza soprattutto

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trasformarla da diritto in obbligo118. La rilevanza dell'interesse

debitorio non può mai incidere sul significato contenutistico della

posizione soggettiva del creditore, non potendo rappresentare

qualcosa di più di un limite operante alla discrezionalità in esso

contenuta. Non convince, invece, la configurazione di questo

limite come esterno, con funzione non paralizzante, ma incidente

sul contenuto di quel potere creditorio. Considerando l'interesse

ad adempiere come limite esterno, lo si ritiene capace di incidere

sulla sfera giuridica del creditore, da provocare un’impossibilità

di porre in essere comportamenti riflettenti il contenuto della

posizione attiva. Il potere del creditore nasce come un potere

fondamentale, libero nella sua struttura contenutista, non potendo

essere limitata da un'attività che in qualche modo possa alterare le

sue basi costitutive, arrivando a modificare la natura del diritto.

Per cui la fisionomia del limite non può non essere che interna,

capace di incidere sul modo di attuare una certa attività insita nel

118 Bigliazzi Geri, Interesse legittimo nel diritto privato, in Digesto delle discipline civilistiche, op.cit., pag. 555 e ss.

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diritto stesso, ma non si può mai arrivare a formulare una

delimitazione della libertà che possa riscrivere le caratteristiche

strutturali del potere.

Essendo l'interesse del debitore un interesse legittimo alla

liberazione, implica che esso non possa essere realizzato da una

attività che dipende dal suo titolare. La sua soddisfazione,

presentandosi come una situazione giuridica inattiva, si fa

discendere da un comportamento che riguarda un soggetto

estraneo. Nel momento in cui l'attività del soggetto diverso dal

debitore viene attuata, si attua una lesione dell'interesse in

questione, con la possibilità giuridica del debitore di liberarsi dal

vincolo mediante una serie di rimedi che l'ordinamento giuridico

pone a sua disposizione. La lesione dell'interesse pone le basi per

la costituzione di una successiva posizione in cui il debitore può

agire per facilitare la sua liberazione dal vincolo. In base a questa

situazione il debitore si pone in una situazione di vantaggio, in cui

gli strumenti concessi sono solo espressione di questo nuovo stato

di cose. La situazione soggettiva di inattività si pone come

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presupposto della posizione soggettiva in cui il debitore ha un

potere di agire per liberarsi dal vincolo. Potere che appare come

un vero e proprio diritto potestativo (soggettivo) conferito al

debitore come mezzo di reazione contro la violazione del proprio

interesse. Contro la lesione dell'interesse del debitore ad

adempiere, quest'ultimo, quindi è titolare di un diritto potestativo

capace di contrapporsi alla lesione realizzando la possibilità

giuridica di essere liberato dall'obbligo119.

119 Bigliazzi Geri, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo in diritto privato, op.cit., pag. 192 ss.

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INTERESSE DEL DEBITORE ALLA LIBERAZIONE E LA

MORA DEL CREDITORE.

L'interesse del debitore alla liberazione assume particolare

rilevanza nell'ambito della disciplina della mora credendi, in base

alla quale se il creditore non effettua ciò che gli è stato richiesto il

debitore non è liberato, pur avendo fatto tutto ciò che è necessario

per eseguire la prestazione. La non collaborazione del creditore è

giustificata solo quando si è verificata l'esistenza di un motivo

legittimo, atto a ritenere che l'attività del debendi realizzata non

sia in grado di soddisfare il suo diritto. Il riferimento al motivo

legittimo determina i confini entro cui si può valutare l'acquisita

rilevanza giuridica dell'interesse del debitore ad essere liberato, e

il modo in cui può incidere sulla situazione soggettiva del

creditore. E' evidente, però, che quando la legge indica, come

presupposto per impedire gli effetti della mora un motivo

legittimo, fa riferimento ad un fatto diverso dalla irregolarità della

offerta. Una simile situazione, specificandosi basterebbe in un

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adempimento dell'obbligo da sola a giustificare il rifiuto di

creditore, in quanto gli è riconosciuta una simile facoltà quando la

prestazione offerta dal debitore non sia conforme in senso

quantitativo o qualitativo al contenuto dell'obbligo. Gli effetti

della mora credendi si possono verificare solo quando vi sia stata

offerta formale perfettamente regolare e valida, capace di porre in

evidenza l'interesse del debitore a liberarsi. In questo tipo di

situazione il rifiuto del creditore di ricevere la prestazione o, più

generalmente, di mettere il debitore nella condizione di non

adempiere, si mostra privo di qualsiasi fondamento giuridico. Il

superamento di quel particolare limite interno che si riferisce al

potere del creditore che è rappresentato dall'esistenza e dalla

rilevanza giuridica dell'interesse del debitore ad adempiere, può

essere determinato solo dalla presenza di un motivo

oggettivamente apprezzabile, che rende privo di valore giuridico

il comportamento del creditore; non significando, però, che il

potere del creditore è vincolato al soddisfacimento dell'interesse

debitorio. La rilevanza giuridica dell'interesse del debitore si

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arresta di fronte a un "motivo" che sia in grado di determinare il

significato giuridico del comportamento negativo del creditore.

Esso non incide, perciò, sull'an, ma sul quomodo dell'esercizio

del potere del creditore imponendo di tenere presente le sue

esigenze giuridiche, nel momento in cui viene a concretizzarsi

quel comportamento della pars credendi che al potere si ricollega.

Ciò vuol dire che l'interesse del debitore alla liberazione funziona

da limite esterno del diritto di credito, il sui esercizio al non

ricevimento della prestazione viene condizionato solo

dell'esigenza che si sia verificato un determinato fatto che sia

obiettivamente valutabile. L’esercizio del potere non è arbitrario,

ma è discrezionale, dovendo essere relazionato anche nei

confronti dell'interesse del debitore che, in questa particolare

circostanza, esso assume la fisionomia tipica dell'interesse

legittimo120. La legittimità o meno del comportamento negativo

del creditore si specifica in relazione all'esistenza o meno del

120 Natoli, op. cit. pag. 4 ss.

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"motivo" giustificatorie, dovendo prescindere dalla ricerca di una

eventuale sua colpa.121

121 Bigliazzi Geri op. cit. pag. 193 ss.

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ASSENZA DEL CONCETTO DI COLPA COME REQUISITO

DELLA MORA CREDENDI.

L'istituto della mora credendi ha la sua funzione nel

realizzare la liberazione del debitore dal vincolo di esonerarlo

dalle relative spese e costi economici che possono discendere

dalle circostanze che hanno impedito l'adempimento. Ciò che

necessita affinché la mora possa esplicare i suoi effetti, è

l'individuazione dei casi in cui è dovuta la cooperazione del

creditore. L'ammissione di questa attività, anche se incolpevole o

provocate da circostanze al creditore non imputabili, è il

presupposto necessario per porre il creditore nello stato giuridico

di mora. Il problema dell'imputabilità e della colpa viene

compreso se si riferisce al dettato normativo contenuto nell'art.

1206 c. c., in base al quale il creditore è non destinatario delle

conseguenze previste dalla relativa disciplina se provi che la

mancata accettazione della prestazione è avvenuta per la presenza

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Page 261: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

di motivi legittimi122. La definizione legislativa è molto ambigua

e ha dato vita ad interpretazioni ambigue, essendo non sempre

stata ritenuta l'imputabilità del comportamento del creditore un

elemento estraneo alla costituzione degli effetti della mora. Si

deve, però, ritenere che la locuzione "legittimi" contenuta

nell'articolo ha un significato non specificamente giuridico, ma in

quanto sono sociali, riferiti alle moltissime cause che possono

giustificare il suo comportamento e come tali questi motivi

acquistano significato convenzionale, nel senso che essi sono

giustificanti, l'atteggiamento creditorio.

Questi motivi giustificano la non accettazione dell'offerta

debendi, eliminando il carattere antigiuridico del comportamento

del creditore in quella particolare situazione che si è venuto a

trovare e per la quale l'obbligazione viene legittimamente

prolungata.

122 Sul motivo legittimo vedi: Cass. 9 Febbraio 1981, in Giur.mer.,1981, 1217;sul rifiuto di cooperare , con l’invio di un estratto conto, all’accertamento del debito da liquidare: Cass.27 Febbraio 1979, n.1289, in Giur,civ. Rep. 1979 . Obbligazioni e contratti , n .3.

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L'indice di riferimento per la costituzione in mora è

l'assenza di questo motivo legittimo, con la conseguenza logica

che la conseguenze previste dalla legge si verificheranno soltanto

per il semplice rilevare le cause giustificative mancanti. Il

soggetto attivo cadrà in mora per una chiara previsione di uno

stato di fatto che determina il venir meno del legittimo rifiuto,

escludendo da esso qualsiasi concetto di colpa o di responsabilità.

Ciò è testimoniato anche dalla relazione ministeriale al codice

(n.568) che espressamente citava: "il creditore incorre in mora

quando, indipendentemente da ogni sua colpa, non riceve il

pagamento legalmente offertogli, ovvero ammette di compiere gli

atti preparativi relativi" Ciò è confermato dalla Relazione del

Progetto preliminare del libro delle obbligazioni (n.87) in base

alla quale la mora del creditore non richiede un comportamento

colposo, in quanto si è ritenuto che un contegno possa essere

contrario alla legge, ma nello stesso tempo scusabili123.

123 Miccio op. cit. pag. 123 e ss.

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Se si considerasse necessario per la costituzione della mora

il concetto di colpa del creditore, bisognerebbe ammettere che

esiste nel creditore un obbligo e nel debitore un diritto

all'accettazione. L'assenza di ogni nozione di colpa, per la

giuridica sussistenza della norma, trova sua logica spiegazione

nel fatto che se il debitore, ha un suo interesse ad essere liberato,

ad esso non si rileva l'esistenza di un obbligo del creditore di

cooperare all'adempimento della prestazione124.

La colpa presuppone sempre l'esistenza di un obbligo da

rispettare e la lesione di un corrispondente diritto, che in questo

corso si specifica in quello del debitore a far si che la prestazione

possa essere accettata.

La non esistenza di un obbligo, determinata da una totale

assenza del presupposto fondamentale della colpa, ha un suo

riscontro nell'ambito della normativa giuridica.

La legge, infatti, interviene più volte per impedire che il

creditore aggravi la posizione giuridica del debitore, 124 Colagrasso, Teoria generale dei contratti e delle obbligazioni , Roma , 1946, pag. 64 e ss.

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imponendogli determinati comportamenti. La possibilità di

prevedere ogni aggravio compiuto dal creditore ai danni del

debitore esclude in maniera automatica la previsione di un

obbligo (in via normale) di riavere la prestazione. La cura

particolare che ha avuto il codice nell'imporre in modo esplicito

questi obblighi per determinate situazioni in cui il debitore viene

a trovarsi, fa escludere l'esistenza di un generale dovere per il

creditore di non aggravare la situazione del debitore.

In relazione all'esplicita normativa dettata per la mora, si

può indubbiamente ricavare dall'art. 1207 c.c., l'assenza di

qualsiasi ipotesi di imputabilità soggettiva, nella quale sono

racchiusi tutti gli effetti legati alla costituzione in mora del

creditore. La secca e recisa formulazione dell'articolo, a

differenza di ciò che è contenuto nell'art. 1218 c.c., in cui è

esplicitamente sottolineato l'imputabilità soggettiva riguardante la

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mora debendi, esclude qualsiasi ipotesi di mora creditoria

imputabile125.

125 Barassi, Teoria generale delle obbligazioni, Vol. III, l’Attuazione, Milano, 1964, pag 90 e ss .

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ASSENZA DI UN PARALLELISMO TRA MORA CREDENDI

E MORA SOLVENDI.

Verificato i presupposti per la creazione dello stato di

mora, si perviene subito alla conclusione che essa è

completamente differente dalla mora debendi.

La nozione della mora accepiendi è data dalla semplice

illegittima del rifiuto, senza che sia necessario il concorso della

colpa o di qualsiasi elemento subbiettivo, venendo a costituirsi

come completamente isolata da quelle che è la nozione di mora

del debitore. Pur avendo in comune il termine "mora" indicando

la caratteristica del fenomeno come un ritardo nel compiere una

determinata attività, si differenzia sul punto della colpa e sui

presupposti dei diversi istituti126.

La disciplina della mora prevede la possibilità della sua non

attuazione in caso in cui si verifica un motivo legittimo che

126 Colagrasso, Obbligazioni, Commento al nuovo codice civile italiano, parte generale, Milano , 1943, pag. 63 e ss.

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giustifichi il comportamento del creditore, che vengono

considerati rilevanti ed adeguati in via di fatto, validi e sensibili in

via di diritto. Nel caso in cui il creditore non si rechi nel domicilio

del debitore per riscuotere il suo credito poiché il treno ha avuto

un serio incidente lungo il percorso, esso può essere un motivo

valido e rilevante da far escludere ogni possibile nascita di sua

responsabilità.

Può accadere, però, che il creditore abbia dichiarato un

motivo non vero, in quanto mai accaduto, o non ha mai rilevato

l'accaduto come causa giustificativo del suo comportamento. Ciò

induce a ritenere che il concetto di motivo legittimo contiene in se

quello di motivo putativo giacchè quello che costituisce il fatto

può ritenersi non rilevante o addirittura può essere considerato

causa di giustificazione per il soggetto agente, ma non per un

terzo. Si pensi ai precetti delle varie religioni che possano

imporre di non compiere una determinata attività, che invece ad

un'altra persona, non appartenente ad essa, può compiere nel

modo più disinvolto possibile.

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Da ciò deriva che il concetto di motivo legittimo ha una

valenza puramente negativa, che si contrappone all'elemento

obiettivo del bonus pater familias, che costituisce il presupposto

della teoria dell'imputabilità e della mora debendi.

Questo costituisce una chiara presa di coscienza della

diversità strutturale dei due istituti, in cui l'elemento della colpa

costituisce la discriminante differenziativa. In un caso abbiamo

applicazione della normativa per il sol fatto dell'esistenza

dell'ipotesi prevista dall'ordinamento come cause costitutive dello

stato di mora, nell'altro, invece, cita espressamente l'art. 1218 c.

c., la mancanza dell'imputabilità esclude ogni responsabilità per

cui la colpa può essere considerata come elemento determinante

per la costituzione della situazione di ritardo nell'adempimento.

Avendo presupposti opposti, tutta la disciplina si base per

la tutela di contrapposte esigenze che riguardano le attività

inerenti alla posizione soggettiva del rapporto obbligatorio. Si

verifica con la costituzione in mora del creditore di attuare gli

aggravi che il debitore può ricevere a causa del mancato concorso

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del credito. Con la mora debendi si cerca di far pervenire al

creditore ciò che è oggetto del suo diritto, tutelandolo da quelli

che possono essere il ritardo nell'adempimento. Differenza di

presupposto che comportano differenza di disciplina tale da

escludere qualsiasi parallelismo tra i due istituti127.

127 Miccio Le obbligazioni, op cit pag. 125e ss

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IMPOSSIBILITA' DI RICONOSCERE SULLA BASE DELLA

DISCIPLINA CODICISTICA DELL’ART. 1175 L’ESISTENZA

DI UN OBBLIGO DEL CREDITORE A RICEVERE LA

PRESTAZIONE . SITUAZIONE DI ABUSO DI DIRITTO.

Il riferimento ai motivi contenuti nell'art. 1206, esclude che

il comportamento del creditore sia colposo, e quindi

l'impossibilità di risalire ad un suo obbligo di ricevere la

prestazione. Il sistema, però, si rende particolare per la presenza

di una disposizione che impone un dovere di correttezza ad

entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio. La norma, contenuta

nell'art. 1175, racchiude un principio fondamentale in materia di

rapporti privati, che si riempie di contenuto pragmatico ogni

qualvolta viene rapportato alla realtà. Esso consiste nell'essere

considerato come "clausola generale" il cui contenuto della

correttezza si riempie di significato giuridico nel momento che

viene applicato dagli organi dell'apparato giudiziario.

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La clausola generale della correttezza conferisce al giudice

un valido strumento per valutare in concreto il comportamento

dei soggetti del rapporto obbligatorio, consentendo di effettuare

un penetrante controllo all'interno dei rapporti privati. Per cui il

giudice, compiendo il suo controllo segna il limite entro cui il

diritto o il dovere deve mantenersi, costituisce cioè la misura di

poteri, e di obblighi adeguate alle esigenze del sistema.

La norma, quindi, ha la specifica funzione di delineare

l'ambito di valutabilità dei comportamenti dei soggetti del

rapporto, verificando se siano esattamente corrispondenti al

compimento di ciò che è contenuto nelle opposte posizioni

soggettive obbligatorie. Da ciò si è ricavata una regola molta più

incisiva, per la quale ogni qual volta vi è comportamento del

soggetto attivo che possa travalicare il limite della clausola

generale di correttezza, si ha abuso del diritto.

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Il controllo dei diritti soggettivi ed in particolare il

sindacato giudiziale sull'esercizio del credito viene fondato sulla

norma che impone la correttezza128.

Questo controllo si specifica proprio in riferimento al

comportamento del creditore quando non compie l'attività

richiestagli, senza che vi sia un motivo legittimo di rifiuto.

Per cui il suo comportamento, si pone al di fuori del

legittimo esercizio del proprio diritto, venendo a costituire la

specificazione di quella particolare figura giuridica che viene

definita come abuso di diritto.

La legge prevede sempre la possibilità di sottoporre ad

esame i motivi che hanno determinato il verificarsi di un certo

atteggiamento, in virtù della realizzazione di una certa attività

prevista come fine ultimo di attuazione. Ciò accade proprio nel

caso in cui il creditore non accetti il pagamento o non compie

128 Rescigno ,Obbligazione(diritto privato ) (nozioni generali) Enciclopedia del diritto , XXIX op. cit. pag. 178 e ss.

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tutto ciò che è necessario per far si che il debitore possa

adempiere.

Per verificare, infatti, che il mancato ricevimento della

prestazione sia legittimo, il giudice deve procedere una

valutazione dei motivi che hanno realizzato il venir meno del

consenso. La non plausibilità dei motivi adottati, o la loro

assenza, inducono a ritenere che il comportamento del creditore

sia abusivo, in quanto espressione del superamento del limite che

rappresenta la possibilità di agire coerentemente in riferimento al

contenuto del relativo diritto. E' in questo momento che l'interesse

del debitore alla liberazione emerge, acquisendo rilevanza

giuridica, per la cui attuazione sono direttamente previste le

sanzioni contenute nell'art. 1207 c.c.. Ciò che si vuole evitare è la

possibilità che il rapporto obbligatorio persiste oltre i suoi limiti

naturali, in quanto ciò consisterebbe nel pretendere dal debitore

più di quanto egli debba e di riconoscere al creditore un diritto

che in realtà non gli appartiene. Per cui più di vere e proprie

sanzioni, esse si specificheranno in una reazione contro un

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comportamento abusivo del creditore, che si riflette

negativamente sul contenuto della sfera giuridica del debitore. Se

per sanzioni si intende la reazione alle violazioni di veri e propri

obblighi, non possono essere riferite al caso prospettato, per

l'impossibilità giuridica di ritrovare un vero e proprio dovere in

tal senso. Esse, invece, sono semplici contromisure di ordine

eminentemente equitativo tendenti al ridurre al minimo le

conseguenze dannose provenienti dal comportamento abusivo del

creditore al soggetto passivo, evitando le ulteriori prosecuzioni

ingiustificate dal rapporto obbligatorio129.

129 Natali,L’Attuazione del rapporto obbligatorio, op.cit. pag. 71 e ss.

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ANALOGHE CONCLUSIONI ALLA LUCE DEL DETTATO

NORMATIVO EX. ART. 2043 C.C..

La possibilità di verificare l'esistenza di un obbligo del

creditore di ricevere la prestazione veniva sancita in riferimento

al principio contenuto nell'art. 2043 c.c., in base al quale nessuno

può ledere l'altrui sfera giuridica.

Il principio dell’"alterum non ledere" ha avuto una primaria

posizione nel verificare l'esistenza, di quest'obbligo, partendo da

una verifica della lesione effettuata nella sfera giuridica del

debitore dal comportamento del soggetto attivo. Si è pervenuto a

conclusione dell'esistenza di un dovere in base ad una

similitudine realizzata tra il caso in cui il creditore è tenuto ad

assumere un determinato comportamento positivo per consentire

al debitore di liberarsi dall'obbligo, e l'ipotesi in cui un soggetto,

avendo compiuto un'ingerenza nell'altrui sfera giuridica, debba

poi effettuare qualche atto positivo al fine di eliminarla.

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Il creditore, non ponendo in essere l'attività richiesta,

determina una ingerenza, con conseguente lesione, nella sfera

giuridica del debitore e, questo stato di cose può essere

modificato solo se si realizza un comportamento positivo del

soggetto attivo, atto ad eliminare l'invadenza per impedire la

lesione. Da ciò si deduce che il creditore ha un vero e proprio

obbligo di cooperare per attuare la prestazione, e il debitore è

titolare di un diritto a pretendere ciò.

Il dato giuridico a cui si è pervenuto viene ad essere messo

in discussione se si tiene presente la disciplina della mora

credendi e si effettui una sua giusta disamina contenutistica,

quando si verifica.

L'analisi trova il suo punto di partenza nel verificare

quando viene realizzato un danno ingiusto ad opera di un

determinato soggetto, e se ciò si specifica nella normativa

esaminata. I danni previsti dall'art. 1207 c. c. consistono nel

maggior costo che il debitore deve sopportare a causa del ritardo

nel compimento dell'attività richiesta, e si specificano in ulteriori

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spese e in un mancato guadagno. Tali danni sono risarcibili, in

quanto derivati dallo stato di "mora" del creditore, ovvero quando

il debitore si sia trovato nell'impossibilità di evitare nuove spese o

di intraprendere nuova occasione di guadagno, a causa della

permanenza del rapporto obbligatorio. Il debitore deve effettuare

nuove spese e lasciare perdere le occasioni di lucro in quanto è

obbligato a fare ciò, il cui vincolo è mantenuto dalla legge, che

nonostante preveda lo stato di mora, non libera il debitore da

questi aggravi. E' la legge che ritiene opportuno che il debitore sia

soggetto alle conseguenze dell'obbligazione, in caso di mora del

creditore, prevedendo l'utilizzo delle sue risorse in modo non

consono alle sue esigenze a lui non conveniente.

In un secondo momento, la stessa legge prevede la

risarcibilità del danno subito dal debitore a spese del creditore,

ma tale trapasso di conseguenze giuridiche non induce a ritenere

che nella prima fase della norma esse siano imposte all'obbligato.

Si perviene anzi alla conclusione che se il debitore trascura il

proprio obbligo di prestazione, può incorrere sicuramente in una

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responsabilità per inadempimento. Per cui non si può parlare di

danno ingiusto, ne di illeicità o di comportamento antigiuridico

del creditore, in quanto ai danni causati in costanza di mora sono

direttamente collegabili alla volontà legislativa. Non si può

qualificare ingiusta la lesione dell'interesse del debitore alla

liberazione, in quanto la mancata estinzione dell'obbligazione è

espressamente prevista dalla legge. Ne deriva per conseguenza

che il comportamento illecito del creditore per non aver ricevuto

la prestazione o non aver fatto ciò che gli è stato richiesto per

cooperare all'adempimento. Tale illeicità, infatti, presuppone il

carattere antigiuridico della lesione che tale comportamento

cagiona, ciò che non succede nel caso specificato.

Il comportamento del creditore non può essere definito

giuridicamente in base al principio posto dall'art. 2043 c. c.,

poiché ci troviamo al di fuori del suo ambito di applicazione.

L'ingerenza verificata nella sfera giuridica del debitore discende

da una accurata valutazione degli interessi in gioco e dalla ricerca

di un equilibrio degli stessi. La sopportazione di quegli aggravi

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dipendono dalla impossibilità giuridica di liberare

immediatamente il debitore da vincolo, ponendolo nella

condizione di salvaguardia l'integrità della cosa dovuta, nello

specifico riferimento di essere successivamente risarcito. Ciò

implica la non possibilità di far rientrare nell'ipotesi di mancata

cooperazione del creditore, l'attuazione di un danno ingiusto

verificato da un determinato soggetto. Il danno che viene a

perpetuarsi dipende solo dalla volontà della legge e non da un

comportamento del creditore, che in quanto tale costituisce solo il

presupposto della costruzione del suo stato di mora130.

130 Cattaneo, Mora del creditore Commentario del codice civile a cura di Scialoja Branca, libro quarto, (art.1206-1217) Bologna Roma 1973 pag. 50 e ss.

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SITUAZIONE SOGGETTIVA DEL CREDITORE IN TERMINI

NON DI OBBLIGO MA DI ONERE.

L'impossibilità giuridica di delineare un diritto del debitore

ad ottenere che il creditore riceva la prestazione o compia

l'attività richiestagli per far si che il debitore adempia, ha rilevato

l'inesistenza di un vero e proprio obbligo del soggetto attivo131 a

coadiuvare per adempiere l'obbligazione, ammettendo che la

relativa posizione assunta non può non essere di onere132.

La configurazione della figura di onere ha suscitato molte

perplessità , poiché si è ritenuto che l'onere si presenta come una

situazione per la quale la soddisfazione di alcuni propri interessi

determinano il sacrificio di altri ugualmente propri. Ciò non si

verificherebbe quando il creditore non pone in essere l'attività

131 Nell’escludere che si possa parlare di vero e proprio obbligo del creditore di cooperare all’adempimento del debitore vedi : Cass. 8 Febbraio 1986, n. 809 , in Giur. civ. ,1986 , I, 1928.Sui limiti della cooperazione che può essere richiesta al creditore si sofferma Cass.12 Marzo 1984, n. 1694, ivi Rep. 1984, Vendita ,n.77. 132 Cass. 14 gennaio 1959 n . 81 , in Foro it. , Rep. 1959 , voce competenza civile n 246 e n. 247 , pag . 444 e ss

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necessaria per realizzare la prestazione , in quanto qui l'interesse

sacrificato riguarda la sfera giuridica del soggetto passivo.

L'obiezione fatta non è priva di rilievo, ma non è del tutto

rispondente alla realtà effettuale, in quanto la difficoltà di

applicare il concetto di onere alla fattispecie esaminata deriva da

una non attenta valutazione del concetto di onere. Esso si

caratterizza come un potere condizionato, nel senso che il titolare

dell’onere, per realizzare l'interesse, deve esercitare questo potere,

compiendo un determinato comportamento. Questa condotta si

presenta come libera, non costituisce oggetto di obbligo, la cui

inosservanza determini l'applicazione di una sanzione, ma come

necessitato, nel senso che è condizione primaria per la

realizzazione dell’interesse, alla cui tutela è stato concesso il

potere. Questo concetto è il più idoneo a qualificare la posizione

del creditore, in quanto se la sua cooperazione è necessaria per

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l’estinzione dell’obbligazione, essa contiene in se la

soddisfazione dell'interesse creditorio133.

Il creditore dovrà assumere un determinato comportamento

per realizzare ciò che costituisce il suo interesse, per cui la non

attuazione dell'attività richiesta determinerebbe la lesione di un

suo diritto. Il concorrere costituisce attività necessaria per

l'attuazione della prestazione, la quale ha come fine ultimo la

soddisfazione dell’interesse creditorio. L'attività della pars

creditoria è prevalente per poter ricevere la prestazione che gli

viene offerta , per cui egli ha l'onere di accettarla e di cooperare

se vuole realizzare il proprio interesse. Si può intuire che alla

base dell'impossibilità per il creditore di impedire o di non

aggravare la posizione del debitore vi è la necessità giuridica di

non pregiudicare gli interessi che si trovano nella sua sfera

giuridica . La prestazione è sostanzialmente volta al

soddisfacimento dell'interesse del soggetto attivo del rapporto

133 Santoro Passarelli , Dottrine generali del diritto civile , Napoli, 1980 , pag,74; Cattaneo ,Mora del creditore , Op cit . pag, 55; Betti, Teoria generali delle obbligazioni, op.cit., ,pag. 63 e ss

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obbligatorio, il quale se non pone in essere il comportamento

richiestogli per attuarla non realizza un proprio interesse . Nel

momento in cui il soggetto attivo non pone in essere ciò che è

necessario affinché il debitore possa adempiere, quest'ultimo

potrà agire per risolvere immediatamente il rapporto. Essendo il

comportamento del creditore non annoverabile tra quelli

antigiuridici, il debitore non subirà passivamente le conseguenze

dannose derivanti dall'atteggiamento omissivo del titolare della

posizione attiva.

Il debitore è preservato da qualsiasi aggravio derivatogli

dal comportamento del creditore, escludendo, quindi, che le

conseguenze pregiudizievoli connesse all'importante fatto

dell'avente diritto possa annoverarsi tra i possibili rischi che il

debitore deve subire per il verificarsi di cause a lui non

imputabili. Il debitore non deve subire le conseguenze dannose

della impossibilità temporanea o definitiva della prestazione

derivanti della condotta creditoria, il cui principio risponde a una

fondamentale e primaria esigenza di regolamentare i rischi

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gravanti sui soggetti del rapporto obbligatorio . Questa esigenza si

specifica nella valutazione degli interessi in gioco, in base al

quale sembra inammissibile che la responsabilità del debitore sia

aggravata ulteriormente nei confronti di un soggetto, il quale è

stato autore del fatto contestato. Ciò che si verifica con la

mancata collaborazione del creditore all'adempimento è la lesione

del suo stesso bene, inteso come non acquisizione dell'oggetto

della prestazione nel suo patrimonio134. Il non subire i rischi del

comportamento credendi non vuol dire veder prolungato

all'infinito la durata del rapporto obbligatorio senza che il

debitore possa fare nulla per liberarsi dall’obbligo. Nel momento

in cui il soggetto passivo è pronto ad adempiere l'obbligazione, il

creditore non può impedire tramite un suo contegno

l'adempimento, con la logica conseguenza che, se non pone in

essere il comportamento che ha l'onere di tenere, il debitore può

ottenere la sua liberazione. La logica conseguenza dell'esistenza

134 Bianca, Il debitore e i mutamenti del destinatario del pagamento , Milano , 1963 , pag 60 e ss .

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di quell’onere nella posizione attiva è la previsione che il debitore

può essere titolare di strumenti giuridici atti a realizzare il venir

meno di ogni aggravio derivante dalla mancata attuazione della

prestazione. Il debitore potrà agire per realizzare l'adempimento

anche senza il concorso dell’attività credendi, evitando che possa

pretendere da costui un sacrificio economico maggiore di quella

che si evince dal rapporto obbligatorio135.

135 Nicolo' , L’adempimento dell’obbligo altrui , Milano , 1936 , pag 117.

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TESI DELLA BIGLIAZZI GERI: SITUAZIONE DEL

DEBITORE QUALE DIRITTO POTESTATIVO ALLA

LIBERAZIONE.

L'interesse del debitore alla liberazione dal vincolo

obbligatorio avendo assunto la qualifica di interesse, non può

essere soddisfatto da un comportamento del suo titolare, ma deve

essere realizzato da un'attività discrezionale appartenente a un

soggetto estraneo.

Per la soddisfazione di questo interesse la disciplina

positiva prevede una serie di poteri, i quali però non

appartengono al contenuto della posizione soggettiva di

vantaggio, poiché se cosi fosse essa verrebbe spogliata di

qualsiasi rilevanza giuridica.

Dalla disciplina positiva si evidenzia una serie di poteri

che, se appartenessero a questa posizione di interessi toglierebbe

ogni validità giuridica alla corrispondente situazione soggettiva

inattiva. E' necessario, quindi, differenziare l’ipotesi in cui nasce

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la situazione di vantaggio, dal momento in cui, per la sua

realizzazione, viene concessa la titolarità di una seria di poteri e

come tale si pone al di fuori di essa.

La differenza dei due momenti si evidenzia nella disciplina

della mora credendi, in quanto l'art. 1206 cod. civ. attribuisce al

debitore il potere di fare offerta formale, con conseguente messa

in mora del creditore e costituzione della posizione soggettiva in

questione, mentre gli art. 1210, 1211, e 1216 cod. civ.

attribuiscono al soggetto passivo il potere per provocare

l'estinzione coattiva del relativo rapporto, senza prevedere alcuna

collaborazione del soggetto attivo nel realizzare ciò. Occorre

tenere ben distinto il momento in cui il debitore viene preso in

considerazione in quante tale, cioè come soggetto passivo sul

quale incombe l'obbligo della prestazione, e quello nel quale si

presenta come titolare dell'interesse alla liberazione. E' facile

quindi rilevare che l'offerta formale della cosa dovuta si ricollega

alla situazione di necessità sull'an e quindi sul dovere di

adempimento, determinando il momento preliminare, nel quale

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acquista rilevanza giuridica l'interesse ad essere liberato

dall'obbligo. Il potere riconosciuto al debitore di provocare

l'estinzione coattiva del rapporto mediante il deposito o il

sequestro della cosa dovuta gli spetta proprio in riferimento

all'avvenuta lesione del suo interesse ad essere liberato. Ciò

consente di precisare che la prima fase, nella quale prende

consistenza giuridica l'interesse legittimo, si costituisce come il

presupposto per il verificarsi di quel menzionato potere in base al

quale si ottiene la liberazione definitiva dal vincolo.

L'offerta formale, consistente nel deposito o nel sequestro

della cosa dovuta, si effettua in violazione dell'interesse del

debitore ad essere liberato, in riferimento al rifiuto del creditore

di accettare l'offerta reale. La prima si collega direttamente ed

automaticamente alla seconda, come sua necessaria attuazione per

il venir meno di quell'attività discrezionale del soggetto attivo

capace di soddisfare la situazione soggettiva di vantaggio. Nella

seconda fase della disciplina delineata dalla normativa in

questione, il relativo potere di estinzione si presenta come un vero

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e proprio diritto potestativo conferito al debitore come mezzo di

reazione contro quella violazione.

Per il caso in cui il mancato ricevimento della prestazione

da parte del creditore si presenti ingiustificato, la legge riconosce

al debitore un particolare diritto potestativo che gli consente di

raggiungere l'effetto desiderato. Il soggetto passivo diviene

titolare di una nuova posizione soggettiva meramente strumentale

la cui eventuale utilizzazione non influisce sul contenuto del

comportamento debendi diretto all'attuazione del rapporto. Ciò si

evince dal dettato normativo nell'art. 1210 c. c., dal quale si

ricava la possibilità giuridica del debitore di liberarsi dal vincolo,

in seguito a una sentenza passata in giudicato. Il debitore diviene

in questo modo l'unico vero protagonista della propria

liberazione, in quanto venuti a mancare i presupposti per la

realizzazione del proprio interesse, egli ha il potere di predisporre

la situazione giuridica (deposito) che determina lo scioglimento

dal vincolo. Tutto ciò si verifica per mezzo della sola volontà del

soggetto passivo, in quanto, titolare di un diritto potestativo alla

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liberazione, la cui attuazione rende chiara la situazione del

soggetto attivo, che si specifica in una mera soggezione.

Il creditore, infatti, deve solo subire ciò che costituisce la

realizzazione del contenuto del diritto potestativo, non potendo

fare alcunché per impedire al debitore di liberarsi dal vincolo.

La tutela del debitore di non vedere prolungato oltremisura

la durata del rapporto e nel vedere rispettati i termini per la

realizzazione della propria liberazione dal vincolo, si attua con

uno strumento (il diritto potestativo) che rappresenta il modo più

confacente di eliminare una situazione di fatto con minor

aggravio per il soggetto agente136.

136 Bigliazzi Beri , Contributo alla teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato , op cit, pag 201 e ss.; Natoli , L’attuazione del rapporto obbligazione , op cit , pag. 6.

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ESTINZIONE DEL DEBITO COME EFFETTO DIRETTO

DELLA REMISSIONE.

La rinuncia al credito si differenzia dalle altre ipotesi di

rinuncia in quanto il debitore può derivare vantaggio dalla

dichiarazione unilaterale creditoria.

L'impossibilità che contraddistingue tutti i tipi di rinuncia

di non poter rifiutare il vantaggio viene spiegato in base al rilievo

giuridico per il quale il beneficio non è un effetto diretto, ma

riflesso del negozio rinunciativo. Nell'ipotesi di rinuncia

dell'eredità, ai diritti reali limitati, al diritto di proprietà sul bene

immobile si verifica un vantaggio che assume i caratteri di un

beneficio indiretto, in quanto direttamente collegabile ad un

diritto di accrescimento, al carattere elastico del diritto di

proprietà.

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E' stato sostenuto137 che anche nella rinuncia al credito il

vantaggio conseguente si presenta come un effetto mediato,

indiretto, in quanto la conseguente liberazione del soggetto

passivo si spiega in base all'esistenza del preesistente rapporto

giuridico in virtù del quale il soggetto beneficiato è legato da un

vincolo giuridico con quello beneficiante. Per cui la remissione

produrrebbe soltanto il distacco del diritto dal suo titolare, dopo

di che si estinguerebbe l'obbligazione perché non può esistere un

diritto di credito senza il suo titolare. L'estinzione del debito e la

liberazione del soggetto passivo sarebbe effetti riflessi della

fattispecie remissione, in quanto essa si specifica nella sola

separazione del diritto, senza produrre nessun altra conseguenza

giuridica. L'estinzione, dell'obbligazione è una conseguenza

prevista e direttamente collegabile alle leggi, in quanto è la norma

a prevedere l'effettiva liberazione del debitore dal vincolo

giuridico, in base all'elementare affermazione giuridica che non

137 Cariota Ferrara Il negozio giuridico op cit pag 139 e ss.; Di Prisco ,Remissione, in Trattato di diritto privato, Obbligazioni e contratti, I, a cura di Rescigno ,Torino, 1984, pag . 296 e ss .

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possono sussistere diritti di credito senza creditore ed

obbligazioni senza diritti corrispondenti.

La remissione agisce solo nell'ambito della sfera giuridica

del creditore, con efficacia dismissiva, senza invadere quella del

debitore, nella quale gli effetti della dichiarazione del creditore

decadono per espresso dettato legislativo.

Questa costruzione teoretica pecca di coerenza giuridica in

quanto pone come fonte di effetti giuridici ricollegabili allo stesso

fenomeno, due distinte entità giuridiche: legge e negozio. La

propria smentita viene ad essere effettuata dal presupposto da cui

la tesi inizia la propria ricostruzione dogmatica, cioè

dall'affermazione che non possono esistere diritto di credito senza

creditore e debiti senza crediti.

La necessaria correlazione delle due diverse posizioni

giuridiche, pone in evidenza che la dismissione del credito può

avvenire solo quando necessariamente si verifica anche la non

attuazione della prestazione da parte del soggetto passivo. Tutto

ciò dimostra che la conseguente estinzione dell'obbligazione per

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effetto della dichiarazione dismessiva non è un effetto riflesso,

ma bensì un effetto diretto della remissione. La verità giuridica

che si pone in evidenza consiste nel fatto che la remissione

produce un solo effetto giuridico, che consiste nell'estinguere

l'obbligazione, cioè il credito e il debito.

Essendo l'estinzione del debito effetto diretto del negozio di

rinuncia del creditore, non si poteva lasciare il debitore privo di

uno strumento giuridico atto a prevenire qualsiasi ingerenza nella

propria sfera giuridica.

Il rifiuto del debitore, espressamente menzionato nella

norma, (art.1236 c.c.) costituisce lo strumento idoneo per

impedire che gli effetti remissivi ricadono direttamente nella sfera

giuridica del debitore. Se non fosse così, se non si prevedesse

nessuna tutela, si derogherebbe a un fondamentale criterio di

competenza dell'autonomia privata, che esige il rispetto dell'altrui

sfera giuridica.

L'art. 1236 c. c. conferisce al debitore il potere di opporsi

alla remissione, in base al quale il soggetto passivo può attuare in

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pieno il principio del rispetto dell'altrui sfera giuridica, rifiutando

gli effetti della dichiarazione dismissiva quando possono ledere la

propria posizione giuridica.

La norma costituisce la sintesi e il risultato dell'esigenza del

rispetto dell'altrui sfera giuridica e dell'esigenza del titolare della

posizione attiva di utilizzare il proprio potere per distaccarsi dal

proprio diritto di credito.

Si concede al creditore la possibilità di rinunciare al proprio

credito, con una dichiarazione unilaterale di volontà, mentre al

debitore si fornisce lo strumento giuridico atto a presentare il

contenuto della propria condizione soggettiva, addossandogli

l'onere di azione nei confronti di detta dichiarazione, da

esercitarsi tempestivamente138.

138 Cicala L’adempimento indiretto dell’obbligo altrui , op.cit., pag 188 e ss.

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L'OPPOSIZIONE DEL DEBITORE PRODUCE EFFETTO

RISOLUTIVO DELLA REMISSIONE EFFETTUATA DAL

CREDITORE.

Gli effetti revisori, prodotti dalla dichiarazione credendi,

hanno durata limitata nel tempo e si estinguono immediatamente

se il debitore tempestivamente comunica al creditore la sua

opposizione.

La dichiarazione del debitore di non volerne approfittare si

configura come una causa risolutiva dell'effetto remissorio,

prevede, cioè di non beneficiare di questo effetto, ripristinando lo

status ante quo.

E' stato sostenuto139 che più che un effetto risolutivo,

l'opposizione determinerebbe un effetto sospensivo, in quanto la

remissione non sarebbe estinta a causa della dichiarazione di

volontà del soggetto passivo ma solo sospensivamente

139 Maccarone, Della remissione , in Commento teorico pratico al Codice Civile a cura di De Martino , Novara , 1979, pag 221 e ss.

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condizionata da tale dichiarazione. Un argomento a supporto di

detta tesi lo si può ritrovare nella relazione ministeriale in cui si

legge che "Il debitore può impedire al negozio remissorio di

produrre le sue conseguenze giuridiche". E' facilmente

obiettabile, però, che non solo ciò costituisce un elemento

extratestuale, e quindi non affatto vincolante, ma sembra che

l'intervento dei compilatori sia, non quello di voler qualificare

esattamente la funzione dell'opposizione, ma quello di voler

sottolineare che la dichiarazione del debitore, pur non potendo

impedire la formulazione della remissione, è in grado di non

alterare la sua posizione soggettiva.

La scelta legislativa sul modo di formulare la norma

contenuta nell'art. 1236 c.c., sottintende non una semplice

previsione di concedere la possibilità al debitore di evitare la

liberazione ove preferisce rimanere soggetto dell'obbligazione,

ma essa costituisce il risultato di una precisa e consapevole

volontà legislativa. In omaggio all'esigenza della tutela della

certezza giuridica, il legislatore, ispirandosi al principio del quod

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plerumque accidit, ha decisamente considerato che la remissione,

nella sua considerazione normale, ha sempre un effetto

favorevole per il debitore, cioè essa risponde nella maggior parte

dei casi, a un interesse concreto del soggetto passivo, che si

specifica nella sua liberazione dal rapporto obbligatorio.

E' invece meno frequente l'ipotesi che il debitore rifiuti la

liberazione e preferisce sopportare il sacrificio economico che

l'adempimento indubbiamente gli arreca.

E' quindi, molto più rispondente alle esigenze reali che il

debitore accetti la remissione, mentre è molto raro si opponga ad

essa, per cui, per coerenza giuridica e certezza normativa, l'effetto

che essa pone è sicuramente risolutiva, e non sospensivo.

L'effetto risolutivo, infatti, è più rispondente alla ratio

normativa, in quanto una volta verificatosi la dichiarazione

remissoria proveniente dal creditore, quest'ultima acquista

esistenza giuridica. Si ha quindi, subito, una regolamentazione dei

diversi interessi in gioco, in quanto l'assetto giuridico risulterà

essere definito, se l'interesse corrispondente del debitore, sarà

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costituito dalla liberazione dell'obbligazione senza adempimento.

Se invece il soggetto passivo è titolare di un interesse diverso,

effettuando la dichiarazione di non volere approfittare dell'effetto

remissorio, come se non fosse mai avvenuto. Se si ammettesse,

invece, che l'effetto remissorio rimanga sospeso, sino alla

decorrenza del "termine congruo", una volta scaduto quest'ultimo,

si avrebbe l'inconveniente di conformare, in sede esecutiva, la

situazione di fatto e quella giuridica, a causa del principio di

retroattività qui applicato.

Tutto ciò non sarebbe molto confacente con lo spirito della

legge, in quanto essa denota una laboriosità concettuale, poco

compatibile con l'esigenza di certezza giuridica.

Da una attenta interpretazione del dato normativo,

conforme alla fondamentale esigenza della certezza della

situazione giuridica e degli interessi coinvolti nel meccanismo

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dell'istituto, sembra riconoscere all'atto di opposizione efficacia

risolutiva dell'effetto remissorio140.

140 Tilocca , Remissione del debito, in Nuovissimo Digesto Italiano ,XIII°, Torino ,1964 , pag 390 e ss.; Gioacobbe , Remissione del debito ,In Enciclopedia del Diritto , vol . XXXIX , Milano , 1988 , pag 767 e ss.

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L’INTERESSE ALLA LIBERAZIONE NEL SUO

PARTICOLARE MODO DI PORSI NELLA REMISSIONE.

Il debitore ha la possibilità giuridica di opporsi alla

dichiarazione del creditore di volergli rimettere il debito,

eliminando, con effetto risolutorio, la situazione giuridica

momentaneamente verificatosi. L'opposizione del debitore,

quindi, ha come suo immediato effetto quello di ripristinare il

rapporto obbligatorio, mantenendo inalterate il contenuto della

posizione debendi. Una volta effettuato l'opposizione ed eliminata

la vicenda estintiva, il rapporto riprende il suo normale

svolgimento come se mai si fosse estinto. Non accettando l'effetto

remissorio, il debitore può realizzare il contenuto della propria

posizione debitoria attuando, nella sua complessità costitutiva, il

suo interesse ad essere liberato dall'obbligazione. Quest'interesse

si presenta nella sua forma negativa proprio nell'opposizione, in

quanto il debitore, con essa, dichiara di non voler essere liberato

mediante remissione prevedendo, cioè, la possibilità giuridica di

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non determinare estinzione dell'obbligazione nel modo proposto

dal creditore. E' questo interesse a respingere il vantaggio di una

gratuita liberazione che viene ad essere tutelato, trovando la più

compiuta espressione nel noto bracardo "invito beneficium non

datur". L'art. 1236 c. c., infatti, consente al debitore di far rivivere

l'obbligazione proprio al fin di fargli ottenere una liberazione più

confacente al suo prestigio e al suo onore, con la salvaguardia

della sua dignità e della sua personalità morale e patrimoniale.

Il principio è di carattere generale tende a salvaguardare il

caso in cui beneficium non sia di gradimento al soggetto, che

nell'ambito del rapporto obbligatorio si specifica in quel

particolare interesse ad essere liberato in modo differente da

quello propostogli dal creditore.

Il soggetto attivo dismette il proprio credito, il soggetto

passivo valuta gli effetti che potrebbero derivare dalla remissione

nella propria sfera giuridica, e conseguentemente decide se

accettare o meno l'effetto remissorio. Il rifiuto, si specifica

nell'esplicita presa di coscienza che la liberazione del rapporto

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obbligatorio leda la propria posizione debitoria, in quanto

caratterizzata dalla necessità giuridica di liberarsi dal vincolo in

modo più conforme al suo contenuto obbligatorio. Il debitore

mantiene inalterata la propria posizione, manifestando la propria

esigenza di attuare l'interesse alla liberazione in modo confacente

al contenuto della propria sfera giuridica.

In caso di lesione di detto interesse, determinato da un

comportamento discrezionale del creditore, il debitore può

sempre agire utilizzando il proprio diritto potestativo alla

liberazione. Il soggetto passivo è sempre titolare di strumenti

giuridici predisposti per la tutela positiva del suo interesse ad

essere liberato dall'obbligazione. Per cui nel momento che

dichiara di non voler essere liberato dal rapporto mediante

l'effetto remissorio, egli può agire con una serie di poteri che

sono, l'estrinsecazione del suo diritto di liberarsi

dall'obbligazione141.

141 Cicala L’adempimento dell’obbligo altrui , op. cit., pag 181 e ss.

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IL SILENZIO: LA NON OPPOSIZIONE. REALIZZAZIONE

DELL’EFFETTO REMISSORIO .STRUTTURA E FUNZIONE

DEL SILENZIO DEL DEBITORE.

La mancata effettuazione dell'opposizione nel termine

congruo rende definitivo ed ineliminabile l'effetto remissorio già

verificato in conseguenza della comunicazione al debitore della

dichiarazione del remittente.

Con la mancata opposizione, il debitore si libera

definitivamente dal vincolo obbligatorio, aspetto questo talmente

importante che è stato ritenuto oggetto di studio sulle

caratteristiche strutturali, che ha visto contrapposti tesi dottrinali

sul modo di intendere giuridicamente l’inerzia debendi.

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Sullo scenario giuridico si sono scontrati due teorie

dottrinali, l'una142 che considera il silenzio come un atto giuridico,

e l’altra143 che invece lo ritiene come un semplice fatto.

L'inquadramento del comportamento omissivo del debitore

nell'ambito degli atti giuridici o dei fatti non è privo di

conseguenze giuridiche, in quanto da essa dipenda l'applicazione

della diversa disciplina che la legge prevede in materia di negozi

giuridici, prima fra tutte quelli dei vizi della volontà.

Per avere una chiara versione dell'argomento trattato è

necessario tracciare i profili della disciplina del termine dalla

quale si può avere una definitiva configurazione della natura del

silenzio del debitore.

Nel delineare la disciplina giuridica che determina quando

il termine possa essere considerato congruo, sembra che non

possa essere applicata alla fattispecie studiata l'art.1326 c. c.,

142 Per la tesi che considera il silenzio come un atto negoziale: Crisuoli , Le Obbligazioni testamentarie , Milano , 1956,pag . 503.; Perlingieri , Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, op cit , pag 194 e ss. 143 Per la tesi che considera il silenzio come un fatto giuridico : Tilocca , La remissione del debito , Padova , 1955 , pag 90.; Cicala , L’adempimento op cit , pag 193.

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nella parte in cui fa riferimento al potere del creditore di stabilire

unilateralmente il termine. Ciò presupporrebbe che il termine

congruo fosse posto nell'esclusivo interesse del creditore, mentre

risulta evidente che esso è definito nell'interesse di entrambe le

parti. La fissazione unilaterale del termine da parte del creditore

contrasta con l'immediata efficacia della dichiarazione remissoria

e con conseguente carattere risolutorio dell'opposizione.

Non possono neanche essere applicati i criteri degli usi e

della natura degli affari contenuti nell'art. 1326 e 1333 c.c. in

quanto essi sono parametri, che pur presentandosi come elastici,

sono oggettivi, si pongono, cioè al di fuori del rapporto. La

congruità, invece, è parametro interno rapporto nel suo concreto

modo di essere e di svolgersi tra le parti, onde, a parità di usi e di

natura dell'affare, un medesimo termine potrà essere congruo a

seconda delle circostanze particolari che caratterizzano il

rapporto. La congruità, quindi, acquista un contenuto determinato

solo attraverso il riferimento al principio di correttezza e di buona

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Page 307: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

fede contenuto negli art.1175 e 1375 c.c., i quali indirizzano tutto

il nostro diritto delle obbligazioni.

Apparirà congruo, il termine che è lecito definirsi secondo

buona fede, in relazione alla natura e al modo di svolgersi del

rapporto. Dalla qualificazione del termine congruo come

espressione del principio di correttezza e buona fede , ne deriva

che non gli si può attribuire un carattere di decadenza. Esso

concretizza come modalità attraverso la quale viene scandito nel

tempo lo svolgimento del rapporto. Così strutturato, esso

costituisce un punto fermo nel mediare tra gli interessi

contrapposti tra dichiarazione implicita negoziale e l'assoluta

rilevanza oggettiva come fatto decadenziale.

La mancata opposizione, si presenta come degna di

rilevanza giuridica solo in quanto provenga da un debitore

astrattamente in grado di valutare e far valere il proprio interesse.

Solo se si dimostra che per tutta la durata del termine il debitore

ha avuta l'astratta capacità di effettuare la scelta tra l'opporsi o

meno alla remissione, la mancata opposizione produrrà il suo

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Page 308: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

effetto. L'unico necessario coefficiente soggettivo per aversi

opposizione è la capacità, in quanto essa non è operante durante il

termine in cui il debitore fosse incapace di vagliare la situazione

venuta a crearsi e conseguentemente prendere una decisione per

dare attuazione all'interesse che ritiene degno di tutela. Solo

Quando è riscontrata la capacità, l'opposizione può produrre

effetto, senza che possono avere rilievo i vizi della volontà tipici

del negozio giuridico.

Per cui l'inerzia del debitore si configura come fattispecie

operante sul piano strettamente oggettivo la quale non è mai

produttiva di efficacia se non è imputabile al soggetto agente.

Diversamente da quando accade per i meri atti giuridici, nei quali

occorre la volontarietà del comportamento, qui è necessario e

sufficiente che il soggetto possa non voler il comportamento per

tutta la durata del termine. Si attua, quindi, una sintesi tra le

opposte tesi in quanto per aversi un'opposizione produttiva di

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Page 309: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

effetti, è necessario che il fatto sia oggettivamente determinato e

soggettivamente imputabile144.

144 Giacobbe , Remissione del debito , op cit , pag 778 e ss.

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IV CAPITOLO

DIRITTO (POTESTATIVO) AD ADEMPIERE DEL

DEBITORE

RILEVANZA GIURIDICA DELL'INTERESSE AD

ADEMPIERE.

Il soggetto passivo può assumere l'obbligazione per una

serie di motivi, che si specificano in quelli che sono definiti gli

interessi del debitore, situati nell’ambito della sua posizione

giuridica. Il debitore può assumere l'obbligo, nell'esplicito intento

di eseguirne il contenuto, e quindi condizionare la costituzione

del vincolo alla realizzazione della prestazione ; ma l'esigenza di

porre in essere la "cosa dovuta" può verificarsi nella fase

successiva (esecutiva) alla sua costituzione. Da ciò si deduce che

l'interesse ad adempiere assume una propria rilevanza giuridica

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che può condizionare l'esistenza del rapporto dal momento della

sua nascita fino a quello della sua estinzione.

La sua esistenza, anche se non viene esplicitamente

prevista normativamente, acquista importanza per il ruolo che

l'interesse assume all'interno del rapporto obbligatorio, in quanto

riesce ad indirizzare e a condizionare la vita giuridica

dell’obbligazione. L'adempimento si configura come necessità

giuridica non solo per soddisfare l'interesse creditorio, ma anche

per realizzare la liberazione del debitore dall'obbligo, cosa che

non potrebbe avvenire senza che la prestazione possa essere

eseguita.

Non sempre all'interesse ad adempiere è stata attribuita tale

rilevanza giuridica, anzi e' stato sostenuto145 che esso rappresenti

un falso interesse, in quanto costituirebbe un paravento dietro al

quale si celerebbe l'unico vero interesse che il debitore è titolare

nell'ambito del rapporto: l'interesse alla liberazione. Ciò che

145 Per la tesi dell’inesistenza dell’interesse ad adempiere : Cicala , L’adempimento indiretto del debito altrui , op. cit. pag 177 e ss ;Cattaneo , Mora del creditore , op, cit. pag 48.

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veramente interessa al soggetto passivo, nel momento in cui

assume l'impegno di adempiere la prestazione, si specifica,

nell'intento di liberarsi al più presto possibile dal vincolo, con il

minore aggravio possibile.

L’unico interesse che possa essere ritenuto degno di

riconoscimento giuridico è l'interesse di liberarsi dal vincolo

obbligatorio, di cui l'adempimento potrebbe significare solo un

possibile modo di realizzazione .

L'obiezione è, però, priva di fondamento, in quanto il

debitore può trovarsi in una particolare situazione obbligatoria per

la quale è sua necessità giuridica porre in essere la prestazione,

per essere successivamente liberato: non può prescindere

dall'attuazione del "bene dovuto "per estinguere l’obbligazione.

La pura e semplice liberazione non potrebbe essere sufficiente per

estinguere l'obbligo, in quanto esso potrebbe essere strutturato in

modo che solo l'attuazione della prestazione può liberare il

debitore definitivamente dal vincolo. In questo caso la liberazione

è strettamente connessa all'adempimento, anzi, la liberazione

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senza adempimento non solo non potrebbe essere effettuata, ma

procurerebbe al debitore danni irreversibili di ingente consistenza.

Si pensi a colui che avendo assunto l'impegno di custodire

un determinato oggetto per un periodo di tempo, avrà tutto

l'interesse non solo di essere liberato alla scadenza del contratto,

dal vincolo, ma di restituire la cosa al suo legittimo proprietario.

Per cui l'interesse ha una sua importanza giuridica

all'interno del rapporto, che è legata alla sua stessa esistenza e non

al fatto che la sua lesione possa costituire il presupposto giuridico

per la nascita di una situazione di vantaggio inattiva146.

La sua esistenza giuridica sarebbe giustificata, solo dalla

previsione che la sua non attuazione dia vita alla costituzione

della figura giuridica dell'interesse legittimo, in cui acquisterebbe

rilevanza l'esigenza di essere liberato.

La normativa, quindi, sarebbe riferita alla sola figura

dell'interesse legittimo alla liberazione dell'obbligazione, i cui 146 Sostenitore della tesi della rilevanza giuridica dell'interesse ad adempiere come presupposto per la costituzione di un interesse legittimo nel rapporto obbligatorio vedi : Bigliazzi Geri, Contributo alla teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, op.cit.,pag.197 ss.

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mezzi predisposti sarebbero limitatamente utilizzati per la

liberazione, e non per l’adempimento.

Prescindendo dall'esame della disputa dottrinale che ha

come suo punto di riferimento l'ammissibilità della figura

giuridica dell'interesse legittimo nel diritto privato, questo

interesse non può essere considerato come destinatario di quei

mezzi giuridici predisposti dall'ordinamento per salvaguardare la

posizione debitoria da ulteriori aggravi.

Si effettua un discorso molto laborioso, per negare ogni

rilevanza giuridica all'interesse ad adempiere considerato nella

sua integrità, senza considerare la realtà giuridica in cui esso vive

e la funzione che assolve nel rapporto obbligatorio.

La tesi dell'interesse legittimo non riconosce la giusta

rilevanza giuridica dell'interesse in questione e non prende in

considerazione lo scopo di cui è titolare nell'ambito del rapporto

obbligatorio, in quanto lo pone solo come antecedente logico-

giuridico, per la creazione della situazione di inattività. In questa

situazione viene considerato degno di riconoscimento giuridico la

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Page 315: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

sola liberazione dal vincolo, comunque essa venga effettuata,

prescindendo dall'attuazione dell'oggetto dell'obbligazione. Si

garantisce in questo modo solo la soddisfazione di un possibile

interesse di cui il debitore, ma non si potrebbe dire che in questo

modo si sia realizzata anche l’ulteriore necessità giuridica di

liberarsi della cosa dovuta.

Occorre circoscrivere l'indagine effettuata e concentrare

l'attenzione sulla necessità di distinguere la liberazione,

comunque effettuata, e quella mediante adempimento, cioè con

la realizzazione della prestazione.

La lesione dell'interesse ad adempiere non determina la

nascita di una nuova situazione soggettiva, ma costituisce il

presupposto per l'attuazione di quei mezzi giuridici previsti

dall'ordinamento, al fine di realizzarlo. Il debitore, infatti,

nell'ipotesi in cui non riesce a porre in essere la prestazione, può

agire liberandosi dall'obbligazione utilizzando rimedi che possono

essere attuati con la semplice manifestazione della propria

volontà. Il soggetto passivo, utilizzando detti rimedi, modifica la

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Page 316: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

situazione di stasi creatasi per non aver potuto adempiere

l'obbligazione, attuando la prestazione e, conseguentemente

liberandosi dal vincolo . Per cui, analizzando il contenuto della

situazione soggettiva in cui il debitore si viene a trovare ,

abbiamo che egli può agire con la semplice manifestazione della

volontà per modificare una situazione di fatto precedentemente

creata. Si sono, così, costituiti gli elementi normali che

caratterizzano la figura giuridica del diritto potestativo, che nel

caso di specie, si presenta come diritto potestativo ad essere

liberato mediante l'adempimento.

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ADEMPIMENTO COME NEGOZIO IN BASE AL QUALE SI

ESERCITA IL DIRITTO ALLA LIBERAZIONE.

La conferma che il debitore è titolare di diritto potestativo

viene ad essere testimoniato dall’esame di ciò che costituisce la

funzione dell’adempimento, in base alla quale il soggetto passivo

può , nei termini previsti dal rapporto, modificare il suo status di

soggetto obbligato.

L'adempimento consiste in una manifestazione di volontà

che incide sulla sfera giuridica di un altro soggetto, determinando

l'estinzione del diritto altrui, ed esorbitando dalla normale sfera di

incidenza che caratterizza i rapporti privati, in quanto l'attività

negoziale di un soggetto privato è il "legem rei suae dicere". La

possibilità giuridica riconosciuta al soggetto passivo di

modificare mediante un atto unilaterale la sfera giuridica di un

altro soggetto, facendo venir meno il suo diritto, vuol dire che

l'agente è titolare di un diritto potestativo .

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L'adempimento, presentandosi come un negozio mediante

il quale il soggetto passivo compie un atto che estingue l'altrui

diritto, deve configurarsi come esercizio di un diritto potestativo,

e precisamente un diritto del debitore alla liberazione.

Questo diritto alla liberazione ha in se i canoni del diritto

potestativo, in quanto si presenta come potere per il titolare di

produrre un mutamento giuridico, al quale corrisponde uno stato

di soggezione del soggetto attivo.

Nel diritto alla liberazione, infatti, si riscontra la possibilità

per il debitore di estinguere l’obbligo, ed contemporaneamente

soddisfare il diritto di credito del soggetto attivo, mediante

un’attività alla quale corrisponde non un obbligo ma uno stato di

soggezione, non potendo il creditore fare qualcosa per evitare

l’estinzione.

La realizzazione della cosa dovuta necessita di una serie di

operazione, la cui attuazione sono demandate esclusivamente alla

volontà del soggetto passivo, senza bisogno che il soggetto attivo

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possa effettuare un’attività complementare, se non è richiesta

dalla natura dell'oggetto obbligatorio.

L’adempimento, inteso come negozio in base al quale un

soggetto incida sulla sfera giuridica di un altro soggetto per

estinguergli il diritto, si specifica nella particolare definizione di

negozio potestativo, e precisamente il negozio mediante il quale

si esercita il c. d. diritto potestativo del debitore alla

liberazione147.

147 Andreoli, Contributo alla teoria dell’adempimento , Padova , 1937 pag 87 e ss

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ESISTENZA DEL DIRITTO POTESTATIVO DEL DEBITORE

A LIBERARSI MEDIANTE ADEMPIMENTO (TESI DI

RESCIGNO)

L'obbligazione sorge e si costituisce in funzione

dell'adempimento, il quale ha come fine ultimo quello di

realizzare l'interesse creditorio presente nel rapporto obbligatorio.

Durante lo svolgimento del rapporto, fino al momento

dell'attuazione della prestazione obbligatoria, si può attribuire al

creditore una semplice aspettativa di soddisfazione del proprio

creditore, e al debitore una corrispondente aspettativa di liberarsi

dal vincolo.

Nel momento in cui si esaurisce la fase di svolgimento del

rapporto obbligatorio che si pongono in essere i presupposti

giuridici atti a far diventare realtà l'aspettativa di cui i soggetti del

rapporto sono titolari.

Può però verificarsi che l'adempimento, per essere

realizzato, necessiti della collaborazione del creditore, il quale

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non effettua ciò che gli è stato richiesto dal debitore al fine di

estinguere l'obbligazione. L'aspettativa del soggetto passivo di

essere liberato non viene attuata in quanto il titolare

dell'aspettativa di soddisfazione rimane inerte, cioè non chiede la

prestazione o si rifiuti di cooperare con il debitore per ottenere la

"cosa dovuta", o infine che non si preoccupa di dissipare una

situazione non corrispondente alla realtà, che possa pregiudicare

qualsiasi attività solvendi.

La scarsa sollecitudine del titolare del credito ad esigere o

accettare la prestazione non importa autonomamente decadenza

della pretesa, come per il debitore, la prontezza a porre in essere

le operazioni atte ad attuare la prestazione, non determinano la

liberazione dall'obbligo. La situazione di stasi che viene a crearsi

non può non essere presa in considerazione dalla legge, in quanto

essa pone i presupposti per creare una situazione di patologia del

rapporto, in cui viene lesa la posizione soggettiva debendi. Si ha,

infatti, un prolungamento del rapporto, in cui la posizione del

soggetto passivo subisce un aggravamento che non è contenuto

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nel suo obbligo, ma si pone al di fuori di esso. E' in riferimento al

maggiore sacrificio che il debitore deve sopportare che si pone il

problema di qualificare la posizione del creditore rispetto alla

necessità di non aggravare la situazione dell'obbligato. Il soggetto

attivo, possiede, nell'ambito del rapporto, una posizione

soggettiva nella quale sono racchiusi una seria di poteri per

salvaguardare il proprio diritto alla prestazione. Questi poteri

possono essere utilizzati al sol fine di rendere possibile

l'attuazione del proprio diritto, quando il debitore non presti la

propria attività solutoria, ma non per oltrepassare il limite

determinato dalla propria sfera giuridica ed invadere quella del

soggetto passivo.

Nel momento che il creditore compie un determinato atto

che ostacola o non rende possibile l'attuazione della prestazione,

viola il principio generale dell'interlimitazione delle sfere

giuridiche; principio che obbliga a non ledere l'altrui sfera

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giuridica specialmente quella patrimoniale148. L'avvenuta

invasione della sfera giuridica del debitore oltre i limiti della

natura del rapporto, con conseguente inasprimento della posizione

di soggezione debendi, urta contro un'altra regola di carattere

generale, contenuta nell'art. 1175, in base alla quale i soggetti del

rapporto obbligatorio devono comportarsi secondo le regole di

correttezza. Il principio di correttezza impone che i soggetti del

rapporto non alterano i termini costituitivi dell'obbligazione, con

comportamenti che sono contrari ai principi contenuti nel nostro

ordinamento. Aggravare, infatti, la posizione debendi, rientra in

quei comportamenti che tendono a modificare quelli che sono i

termini essenziali del rapporto, e come tale viola la normativa

148 Il principio di non ledere l’altrui sfera giuridica e' sancito dall’art. 2043 ,il quale pone esplicitamente l’obbligo del risarcimento del danno, nel momento in cui si e' compiuto un fatto doloso o colposo che abbia cagionato la lesione. Principio che si presenta come regola che deve essere eseguita ogni qualvolta si costituisce un rapporto in cui necessiti la determinazione di un' attivita' che deve avere effetti nell’altrui sfera giuridica . Nel momento in cui si costituisce un rapporto obbligatorio, i suoi soggetti devono comportarsi in modo da non alterare il contenuto dell’altrui posizione giuridica, cioè non invadendo l’altrui sfera giuridica . Per una verifica di quelli che sono i principi che regolano il rapporto tra il debitore e il creditore vedi: Nicolo', Ipoteca, rinuncia del creditore in danno di terzi acquirenti, in Riv. Dir: Civ. 1941, ;Carraro, Valore attuale della massima fraus omnia corrumpit, in Riv . trim. dir. proc.civ.1949; Hartman , Urtersuchungen uber die Anwendbarkeit schuldrechtlicher Normen auf dingliche Anspruche , Abh.aus dem ges. Handelsrecht, Struttgat, 1938.

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generale contenuta nell’articolo menzionato149. E' dalla

comparazione dell'art. 2043 e 1175 c.c., che si riesce a

comprendere la reale tutela che viene concessa al debitore contro

una situazione di fatto che viene ad essere creata dal soggetto

attivo. Questi sono i punti chiave per qualificare e definire la

posizione giuridica che l'interesse del debitore ad adempiere

l'obbligazione assume nell'ambito del diritto positivo.

Il creditore realizza un'attività che è di ostacolo

all'attuazione della prestazione, ponendosi al di là della propria

posizione di pretesa, rappresentata dal fine ultimo

dell'acquisizione del bene dovuto. In questo spazio che residua

dalla pretesa di richiedere la prestazione obbligatoria e lì dove

termina il comportamento dovuto, riprende vigore la libertà del 149 Il diritto tedesco, in riferimento all’argomento trattato, prevede una regola generale di comportamento valevole per il debitore e per il creditore "wie Treu und Glauben mit Rucksicht auf die Verkehrssitte es erfordern"e vieta espressamente l’abuso di diritto . Il ZGB svizzero espressamente tratta l’argomento nell 'art 2 , I comma , il quale recita: "Ciascuno deve agire nell'esercizio dei suoi diritti o nell’adempimento dei suoi doveri secondo buona fede" La buona fede è prevista come canone interpretativo, cioè come regola ermeneutica: in riferimento vedi: Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico, Monogr. " Foro della Lombardia " Padova 1938 , pag 217 e ss ; Kreller ; in Arch fur die civ, Praxis, 1943, pag 253 Considerazioni politiche di notevole importanza, relative alla vollige Verarmung del debitore , viene svolta da Eckernforde, in Rechtspr.deutscher Gerichte, Zentral Justizamt fur die brit. Zone, II, n.267, pag 51

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debitore e acquista rilevanza il suo interesse ad essere liberato

mediante adempimento. Questo interesse, essendo stato leso da

un evento esterno, e acquisito valore giuridico, entra a fare parte

nel mondo normativo come diritto, e precisamente come diritto

potestativo ad adempiere.

La situazione di fatto venuta a crearsi in riferimento al

concretizzarsi, della volontà del creditore, pone il debitore in una

situazione giuridica soggettiva molto particolare, in base alla

quale il soggetto passivo ha il potere di eliminare l'ostacolo

postogli per mezzo della sua volontà.

Al debitore, infatti, sono riconosciuti strumenti giuridici atti

ad eliminare l'impedimento posto per la realizzazione della

prestazione, che possono essere attuati solo come una semplice

manifestazione di volontà in tal senso, con conseguente modifica

della situazione giuridica che si è venuta a creare.

Il creditore, dovrà solo subire gli effetti che l'esercizio del

diritto provoca nei suoi confronti, trovandosi in una posizione di

mera soggezione, poiché non può effettuare alcunché per

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impedire la modificazione giuridica. Non avrà, infatti, uno

specifico obbligo di ricevere la prestazione150 in una semplice

facoltà racchiusa nel suo diritto di credito151, ma il creditore

dovrà solo accettare passivamente gli effetti dell'estrinsecazione

di un potere, espressamente riconosciuto per la tutela di una

determinata situazione giuridica.

La posizione di diritto che il debitore viene ad assumere

non può neanche essere smentita dalla considerazione della

inconciliabilità dei due termini di obbligo e potere. Qui il potere

che viene riconosciuto si pone al di fuori dell'obbligo, in quanto

l'interesse va collocato dove ha fine il contegno dovuto, in quello

spazio residuale in cui si segna il limite della posizione soggettiva

150 L’esistenza di un obbligo di ricevere la prestazione è stato sostenuto in funzione dell’acquisita rilevanza giuridica dell’interesse ad essere liberato mediante adempimento, la cui funzione è strumentale per la realizzazione del relativo diritto . In tal senso vedi : Bellini sull’obbligo del creditore di presentarsi per l'adempimento dell'obbligazione ,op. cit., pag 30 e ss; Falzea, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, op.cit., pag 33 e ss ;Miccio, Delle obbligazioni in generale, op.cit.,pag 120 e ss. 151 L’inesistenza dell’obbligo del creditore di ricevere la prestazione è stata giustificata con l’affermazione che nell’ambito del diritto creditorio non è possibile configurare una posizione di subordinazione secondaria,in quanto è giuridicamente impossibile determinare una situazione di diritto-obbligo. Per cui dal contenuto della situazione soggettiva attiva si può evidenziare una semplice facoltà del creditore di ricevere la prestazione . In questo senso vedi : Betti , Teoria generale delle obbligazioni, vol. II,pag 43 e ss.

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di obbligo e in cui acquista vigore giuridico quella libertà

debitoria, la quale non può essere oltre modo compressa.

Il diritto acquista fisionomia giuridica laddove termine

l'obbligo, e si presenta come espressione di quella libertà di

azione che viene concessa al debitore ove i termini naturali del

rapporto obbligatorio vengano compromessi.

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DIRITTO POTESTATIVO TESTIMONIATO DALLA

DISCIPLINA DELLA MORA CREDENDI.

a) Dall'analisi dei requisiti essenziali della mora credendi si

rileva l’esistenza di un interesse ad adempiere del debitore .

L'ipotesi in cui il debitore viene ostacolato nel porre in

essere l'attività solutoria si ha quando il creditore rifiuti di

ricevere la prestazione. Il rifiuto del creditore viene

esplicitamente previsto dalla norma contenuta nell'art. 1206, la

quale menziona l'ipotesi che il soggetto attivo non riceva il

pagamento offertogli o non compie tutto ciò che è necessario

affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione. In termini

specifici si effettua una presunzione in cui il soggetto attivo pone

in essere un'attività impeditiva alla realizzazione della

prestazione, atta a determinare l’estinzione del vincolo

obbligatorio.

L'art. 1206 pone le basi normative per far emergere ed

acquisire rilevanza giuridica a quell'interesse del debitore ad

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adempiere l’obbligazione, in quanto non si ha semplicemente la

previsione di una fattispecie atta a determinare la semplice

liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio. La normativa,

infatti, è molto chiara nel delineare il contenuto della fattispecie

astratta, in cui vengono presi in considerazione il contenuto delle

varie obbligazioni, proprio per avere una tutela completa

dell'argomento trattato. Si parla, infatti, di pagamento,

specificatamente menzionato in relazione al contenuto pecuniario

dell'obbligazione, e di attività necessarie al fine

dell'adempimento, in relazione a quel particolare oggetto

obbligatorio che è costituito da un'attività materiale (obbligazione

di fare, di consegnare, ecc.)

La legge, quindi, prende in considerazione l'interesse del

debitore ad adempiere nella sua rilevanza contenutistica, e

struttura l'intera normativa intorno ai possibili mutamenti che

detto interesse può subire, ponendo la sua lesione come

presupposto per la nascita della mora del creditore.

L'impossibilità ad adempiere l'obbligazione si presenta, infatti,

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come l'unico motivo che possa giustificare la conseguente

applicazione della disciplina giuridica, posta a tutela del debitore.

A norma dell'art. 1206 c.c. è in mora il creditore che ritarda

ingiustificatamente l'adempimento del rapporto, trasformandolo

da una fase di normale svolgimento del suo iter perfezionativo, in

una fase patologica. Il non effettuare l'attività richiesta per

realizzare la prestazione si pone come ostacolo alla liberazione

del debitore dall'obbligazione, invadendo e ledendo il contenuto

della sua sfera giuridica. Il creditore non ha un vero e proprio

obbligo a riceve la prestazione, in quanto non è possibile ritenere

che il soggetto titolare di una pretesa abbia come contenuto un

generale obbligo di ricevere la prestazione. Se non ha un obbligo

di ricevere la prestazione non ha neanche la facoltà di aggravare o

di impedire l'attuazione della prestazione in quanto ciò non si

colloca all'interno della sua posizione soggettiva, ma al di fuori di

essa.

Il comportamento del creditore, superando la propria sfera

giuridica, invade quella del debitore, incurante del rispetto di quei

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principi generali del nostro ordinamento che impongono di agire

secondo correttezza. Violando i precetti del nostro codice

contenuti nell'art. 2043 e 1175 c.c., il comportamento del

creditore si pone come antigiuridico e illecito, causa di un danno

ingiusto, e come tale necessita di un immediato risarcimento.

L'effetto previsto si specifica nella normativa della mora, in cui il

creditore deve risarcire il danno derivato dal rifiuto di porre in

essere l'attività necessaria all'adempimento.

L'art. 1207 c. c. prevede, nel suo 2° comma, esplicitamente

la sanzione del risarcimento del danno causato dalla mora, a

conferma del carattere antigiuridico del comportamento credendi,

che è causa della lesione dell'interesse debendi ad porre in essere

la prestazione .

La rilevanza giuridica dell'interesse debendi ad adempiere

emerge in quella zona che costituisce il limite delle sfere

giuridiche soggettive delle parti del rapporto obbligatorio, proprio

a significare che ciò che si richiede al soggetto passivo esula dal

contenuto dell'obbligo. Per aversi mora credendi è necessario che

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Page 332: DIRITTO AD ADEMPIERE DEL DEBITORE - Il portale giuridico ... · giuridico, acquista la ... ipotesi di rapporto, non potendo assurgere come un punto fermo ... comprende un dare, un

il soggetto passivo abbia effettuato il contenuto del proprio

obbligo e che non vi sia un motivo legittimo che giustifichi il

rifiuto del creditore di ricevere la prestazione.

Ciò è confermato dall'inciso senza un motivo legittimo,

contenuto nell'art. 1206 c. c., il quale subordina la costituzione

della mora alla mancanza di causa di giustificazione che possano

autorizzare il creditore a rifiutare la prestazione e dagli art. 1208 e

1209 c.c., che prevedono il modo attraverso il quale il debitore

manifesta, senza ombra di dubbio, la propria volontà di realizzare

la prestazione.

La realizzazione dell'attività solvendi viene regolamentata

nei minimi particolari, e con modalità differenziate per garantire

l'attuazione dell'oggetto dei diversi tipi di obbligazione. Si

richiede, infatti, che il debitore offra al creditore l'oggetto

dell'obbligazione, la cui operazione realizzativa si differenzia a

seconda che il relativo rapporto abbia per oggetto denaro o titoli

di credito, un fare o cose mobili da consegnare in un luogo

diverso dal domicilio del creditore. Nel primo caso si ha offerta

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reale, consistente nel consegnare al creditore materialmente il

denaro o altra cosa mobile; nel secondo caso si ha offerta per

intimazione a ricevere, consistente in un atto a lui notificato nelle

forme prescritte per gli atti di citazione.

Il legislatore si è preoccupato di verificare la veridicità

della dichiarazione del debitore di volere adempiere

l'obbligazione, garantendogli il modo attraverso il quale poter

offrire la "cosa dovuta". In questo modo si è evidenziato

l'importanza giuridica dell’interesse del debitore ad porre in

essere la prestazione e, nello stesso tempo, si predispone un

sistema normativo per garantire al rapporto obbligatorio di porre

fine alla sua esistenza giuridica nel modo ad esso più naturale.

Ciò che il legislatore vuole preservare, con la disciplina

giuridica in tema di obbligazioni è la realizzazione del contenuto

dell'obbligo per soddisfare la pretesa creditoria, concedendo al

soggetto attivo una incisiva tutela giuridica per attuare questo

scopo.

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Nel momento in cui il soggetto attivo non pone l'atto di

cooperazione per garantire la realizzazione della propria pretesa,

siamo al di fuori dell'ambito della tutela concessagli,

realizzandosi quello spazio in cui la libertà del debitore

dall'obbligo acquista rilevanza giuridica. In essa l'interesse ad

essere liberato mediante adempimento si delinea nel suo assetto

normativo e entra a far parte del mondo del diritto. Il legislatore,

infatti, concede al debitore il potere di modificare la situazione di

inerzia in cui versa il creditore, attraverso una serie di strumenti

giuridici che lo liberano dal vincolo obbligatorio attuando la

prestazione. Per cui il soggetto passivo è titolare di un diritto in

base al quale, con la semplice manifestazione di volontà, può

agire in modo giuridicamente rilevante per cambiare una

situazione di fatto, creatasi da un evento a lui non imputabile.

Questo diritto assume, quindi, i caratteri costitutivi di un diritto

potestativo, che nella specie si presenta come un diritto

potestativo ad adempiere152 l’obbligazione, che rileva il suo 152 Rescigno , Incapacità naturale e adempimento , Napoli , 1950 , pag 141 e ss

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vigore giuridico nel momento in cui il creditore rifiuti l'offerta

del debitore di porre in essere la prestazione.

Ciò è testimoniato dalla disciplina della procedura di

liberazione del debitore, che costituisce il mezzo giuridico

concessogli per estinguere il vincolo attuando la prestazione.

b) La procedura di liberazione: il deposito. Realizzazione del

diritto potestativo del debitore ad adempiere l’obbligazione.

Il debitore vuole adempiere all'obbligazione, ma non può

farlo perché il creditore frappone un ostacolo: non realizza ciò

che gli è richiesto per far si che la prestazione venga attuata.

Il soggetto passivo, si avvale della procedura dell'offerta

della prestazione per fare in modo che il suo interesse di

adempiere l'obbligazione sia conosciuta e considerata degna di

tutela giuridica da parte dell'ordinamento.

Effettuata l'offerta reale, o l'offerta per intimazione a

seconda dell'oggetto della prestazione, il debitore ha

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materialmente esaurito il suo compito; ha, cioè, realizzato il

contenuto dell'obbligazione.

Il creditore, però, può continuare nella sua attività

impeditiva e può ulteriormente aggravare la posizione del

debitore rifiutando l'offerta reale. E' in questo momento che al

debitore è riconosciuto il potere di modificare la situazione di

fatto, creata dal soggetto attivo con il suo rifiuto, mediante l’unico

mezzo giuridico predisposto dall’ordinamento in tal caso: il

deposito della "cosa dovuta".

L’attuazione di questo rimedio giuridico presuppone

l’esercizio, da parte del debitore, di un diritto, che nell’ipotesi

menzionata si caratterizza come una potestà di realizzare

l’"oggetto dovuta". Per cui il diritto del debitore è essenzialmente

un diritto potestativo, la cui natura giuridica viene ad essere

rilevata dalla particolare posizione di soggezione che il creditore

si viene a trovare, nel momento in cui si ha l'estrinsecazione dei

poteri inerenti il diritto in questione.

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Eseguito il deposito, quando questo è accettato dal

creditore o è dichiarato valido con sentenza passata ingiudicata, il

debitore non può più ritirarlo ed è liberato dalla sua obbligazione"

Si verifica, quindi, che una volta accertato il rifiuto, il

debitore è in grado di modificare la situazione di fatto creata dal

creditore decidendo di effettuare il deposito. Viene riconosciuto

così al debitore uno spazio giuridico necessario in cui la sua

libertà di agire acquista rilevanza, tale da poter essere titolare di

un potere (diritto) per uscire da una situazione che sarebbe per lui

molto sconveniente153. La realizzazione del suo diritto di porre in

essere la "cosa dovuta " si materializza con l'effettuazione del

deposito, che una volta effettuato libera il soggetto passivo

dall'obbligazione.

153 Per la tesi che sostiene che l’offerta reale è uno strumento giuridico per la realizzazione del diritto potestativo del debitore vedi; Rescigno, Incapacità naturale e adempimento, op. cit. pag 145 e ss

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E' stato sostenuto154, che la previsione normativa realizza

un diritto del debitore, non ad adempiere, ma ad essere

semplicemente liberato dal vincolo obbligatorio. La differenza si

baserebbe sulla considerazione che il debitore ha un interesse

proprio ad essere liberato, indipendentemente dalla realizzazione

della cosa dovuta. Il deposito sarebbe solo una semplice

previsione per realizzare la liberazione, in cui la "cosa dovuta"

acquista un significato normativo di scarsa rilevanza.

E' facile obiettare che se il legislatore avesse preso in

considerazione il solo interesse alla liberazione, avrebbe

strutturato la norma contenuta nell'art. 1210 c.c. in modo

differente, concedendo la possibilità giuridica di sciogliere il

vincolo in modo anche differente dal porgere la "cosa dovuta".

L'analisi contenutistica dell'articolo menzionato dimostra,

invece, l'importanza che nell'ambito della procedura acquista il

154 Per la tesi che sostiene l'esistenza del diritto alla liberazione vedi :Bigliazzi Geri , Contributo alla teoria dell’interesse legittimo , op. cit. pag 201 Cicala, L’adempimento indiretto del debito altrui, op. cit. pag 178 e ss

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deposito. Esso consiste nel realizzare l'oggetto della prestazione,

cioè di porre in essere quel bene che, avrebbe dovuto soddisfare

l'interesse del creditore insito nel rapporto obbligatorio.

L'obbligazione si caratterizza per la presenza di una

prestazione da adempiere, che vuol dire porre in essere,

materializzare ciò che si è obbligati a compiere. Il soggetto

passivo, mediante il deposito, pone in essere il bene che in base

al vincolo giuridico si è impegnato di compiere. Per cui esso non

costituisce una semplice previsione normativa atta a realizzare la

liberazione, ma costituisce il modo specifico per attuare l'oggetto

obbligatorio: per adempiere la prestazione.

Una volta realizzato il deposito, cioè attuato l'oggetto

dell'obbligo, il debitore è liberato dal proprio vincolo giuridico,

realizzando il proprio diritto ad adempiere l’obbligazione.

Questa conclusione non può neanche essere smentita dal

fatto che il deposito deve essere dichiarato valido da una sentenza

passata in giudicata, in quanto essa ha una propria funzione

nell'ambito dell'intera procedura, che non può ledere in nessun

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modo il carattere potestativo del diritto del debitore. La sentenza

di convalida non si pone come ostacolo per l'attuazione del diritto

del debitore, ma fornisce uno strumento per verificare la validità

giuridica della realizzazione del deposito.

Il deposito, infatti, assume nell'ambito della procedura

un'importanza formativa determinante per la realizzazione

dell’effetto liberativo, ed in riferimento a ciò il legislatore si è

preoccupato di regolamentare tutti i passaggi e i requisiti per la

sua attuazione. L'art. 1212 c.c. menziona, in modo molto

minuzioso i presupposti essenziali per effettuare il deposito, la

cui validità giuridica dipende dal rispetto di quei requisiti

contenuti in esso. Se, infatti, il processo verbale di deposito non

sia notificato, o se in esso non risulta la natura delle cose offerte,

e il rifiuto del creditore di riceverli, non si può avere una

procedura di deposito, valida giuridicamente.

Così come l’adempimento non estingue il rapporto

giuridico, se non è conforme al contenuto dell'obbligo, il deposito

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non può produrre effetti se non è perfettamente valido nei suoi

elementi costitutivi.

La verifica della validità e della formalità necessaria per

attuare il deposito è demandata agli organi giudiziali. Questi

ultimi hanno lo specifico compito di verificare la rispondenza

della situazione di fatto dei requisiti previsti dalla normativa

vigente, per dichiarare la validità o l'invalidità della procedura

effettuata. Il loro compito si specifica nell'accertare la validità

giuridica delle operazioni effettuate, per cui la sentenza di

convalida non è altro che una sentenza di mero accertamento.

Essa, quindi. non smentisce, ne contraddice la natura giuridica del

diritto del debitore, ma si pone come un controllo di ciò che si è

verificato per garantire la certezza giuridica e il rispetto della

norme contenute nel nostro codice. Una volta verificato

l'accertamento, si sono compiuti i presupposti giuridici per

realizzare il diritto del debitore ad essere liberato mediante

adempimento.

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LA REMISSIONE DEL DEBITO COME NEGOZIO

GIURIDICO (TESI DEL TILOCCA).

La disamina contenutistica della remissione del debito pone

in evidenza che gli effetti giuridici provenienti dalla dichiarazione

di volontà del creditore sono capaci da soli di estinguere

l’obbligazione. Da qui si deduce che il carattere negoziale della

remissione costituisce il presupposto della fattispecie, in cui solo

la volontà del soggetto è determinante per la realizzazione dalla

conseguenza legislativa. La perdita del diritto non è direttamente

contemplata della legge, ma è immediatamente collegabile alla

manifestazione volitiva del soggetto attivo, alla quale la legge

riconduce gli estremi giuridici per il verificarsi dell’effetto

normativamente previsto. Essendo necessaria la sola

dichiarazione di volontà credendi per produrre l’effetto remissivo,

essa assume i caratteri strutturali di un negozio giuridico, e

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specificatamente di un negozio unilaterale155. La conferma del

carattere unilaterale del negozio giuridico in questione è offerta

dall’esame teleologico dell'art.1236 c. c., per il quale lo schema

giuridico è predisposto per realizzare l’interesse negativo del

creditore di liberarsi dal suo diritto di credito, senza essere

soddisfatto. Nella sua struttura logico-grammaticale l’estinzione

è ricollegabile solo alla dichiarazione del subbietto attivo, mentre

l'eventuale dichiarazione del debitore di non volerne approfittare

costituisce un atto autonomo, che presuppone l’avvenuta

estinzione del rapporto obbligatorio. Riprova di ciò si ha nella

formulazione letterale dell’epigrafe dell’art 1236 c. c., in cui si

parla di "dichiarazione di " remissione del debito", confermato

anche dal contenuto della relazione ministeriale in cui si legge

155 La dottrina che ritiene che la remissione sia un negozio unilaterale vedi: Barassi, La teoria generale delle obbligazioni op ,cit . pag . 183 Allara , Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio,Torino , 1952, pag 252 e ss Trabucchi , Istituzioni di diritto civile , op.cit., pag 579 Nicolò, Il controllo sulle condizioni di validità di una dichiarazione negoziale da parte del suo destinatario , in Foro It, 1948,I, 566; l’Autore , però , precedentemente nell’adempimento dell’obbligo altrui , op cit , pag 245 , attribuiva alla remissione una funzione convenzionale. Per il diritto tedesco vedi:Oertmann, Kommentar zum B.G.B.,II, Recht der Schuldverhaltnisse,1, Berlin, 1928, pag 430 e ss Frisch ,Der Thonverzicht, Tubinger, 1906, pag 2 e ss

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che "la remissione è un atto unilaterale e che la volontà del

debitore, pur non essendo senza effetti, non e' elemento di

perfezione del negozio. Supporto normativo è poi dato

dall’art.2726 c. c. che dispone: " le norme stabilite per la prova

testimoniale dei contratti si applicano anche al pagamento e alla

remissione del debito". In base al precedente indirizzo

giurisprudenziale la norma poteva essere applicata soltanto ai

negozi bilaterali, mentre, oggi, invece, in base al nuovo

orientamento dei giuristi, si ritiene che la remissione, pur essendo

un negozio unilaterale, può essere provata illimitatamente con

testimoni e con presunzioni.

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L’unilateralità del negozio giuridico conferma l’affermazione

giuridica della necessità che l'atto del creditore non può non avere

in sé il carattere della rinuncia156. Essa, infatti, si pone come un

156 Per la qualifica della remissione come rinuncia vedi:Pellegrini , Forma e prova della rinuncia al credito semplice e ipotecario , in Giur . it. ,1938, I, 1, pag. 715 e ss Pugliatti, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935 , pag,100 e ss Santoro Passarelli , Dottrine generali del diritto civile ,op.cit.,pag 218 e ss Teosca di Castellano , Remissione del debito , voce remissione , Nuovo Digesto Italiano , Torino , 1939 , pag 697 e ss De Ruggiero , Istituzioni di diritto privato , vol. III, Messina -Milano , 1936 , pag 228 e ss Salv. Romano , Autonomia privata , Milano , 1957 , pag 137 e ss Falqui-Massidda , Adempimento di obbligazione civile o naturale , in Giur. It. 1966, I, 1, pag . 18 Fadda e Bensa , Note alle Pandette del Windescheid,vol IV, Torino, 1930, pag 400 e ss . Questi autori qualificano in via generale la figura giuridica della rinuncia come un negozio unilaterale, anzi è proprio dovuta ad essi la prima compiuta critica alla tesi che afferma il carattere contrattuale della rinuncia. Però, nella loro costruzione teorica effettuano una simbiosi di diversi pensieri giuridici che distinguono le differenti correnti dottrinali, poiché ritengono che il creditore, nel momento che dismette il proprio credito,favorisce il debitore liberandolo, dando luogo a una donazione indiretta. Piras, La rinuncia del diritto privato , Napoli, 1940, pag 42 e ss . L’Autore, pur inquadrando la remissione nell’ambito della rinuncia , non attribuisce ad essa carattere essenziale, ritenendo, invece, che il nostro Codice preveda sia la remissione unilaterale che contrattuale . La tesi dell’unilateralità della rinuncia e' stata confermata da Grasso e Dajana, Le servitu' prediali, Torino, 1951, 832 e ss .In questo testo è stato sottolineato che se il proprietario e il titolare della servitu' si mettono d' accordo, si fuoriesce dall’ambito della rinuncia; a conferma di cio' che è stato precedentemente affermato. Per il diritto francese vedi: Scillan, L’act abdicatif, Revue trim. de droite civile, 1966 pag. 693 Per il diritto tedesco .Kohler, Der Glaubigerverzug, in Arch.fur Burgerliches Recht, III.1897. pag 267 Per l’indirizzo giurisprudenziale vedi : Cass.6 maggio1955, n.1272, Giur. It. 1957 , I , 1, pag . 603 .Con questa sentenza la Corte ha riconosciuto che la remissione è una forma particolare di rinuncia e che costituisce un negozio unilaterale , ma ha escluso che l'intervento contrario del debitore potesse avere rilevanza giuridica nel condizionare l’esistenza degli effetti remissori . Con una successiva sentenza ,20 ottobre 1958 n. 3355(Giur.It. 1959 , I, 1, pag 606 e ss ) la Corte di Cassazione ha affermato che la dichiarazione del creditore esaurisce la struttura del negozio remissirio , che diviene irrevocabile non appena è comunicata al debitore Tj10.02 0 0 10.02 0 0m(o)Tj10.02 0 652 319.49963 138.5997 0 e4 t 454805243 127.13976 (sce l)Tj10.02 0 0 109.3.777739891 127.13976 .02m(e)Tj10.02 0 0 10.01 127429092 127.13976 Tm(o)Tj10.02 0 0 10.02 217351724 127.13976 (n ap)Tj10.02 0 0 10371 157315088 127.13976 (n ap)Tj10.02 0 0 10376 12705243 127.13976 Tm(o)Tj10.02 0 0 10.02 173.34737 127.13976 s(gozi)Tj10.02 0 0 10.02 24.2Tj10.02 0 652 3(ssazi)Tj10.02 0 0 10.02 369005243 127.13976 Tm(o)Tj10.02 0 0 1040 0 45.88852 127.13976 Tm(o)Tj10.02 0 0 10402 389094292 127.13976 Tm(e di)Tj10.02 0 0 10422 373.29092 127.13976 m(e )Tj10.02 0 0 10.02 751339891 127.13976 qu(ene)Tj10.02 0 0 10.54 .02.66605 127.13976 sm(at)Tj10.02 0 0 10.44 245351724 127.13976 '(at)Tj10.02 0 0 10.42 18315088 127.13976 Tm(u)Tj10.02 0 0 10452 291758143 127.13976 Tm(l)Tj10.02 0 0 10.02 485366605 127.13976 m(at)Tj10.02 0 0 10.52 186866605 127.13976 (e di)Tj10.02 0 0 10402 968415088 127.13976 ( rem)Tj10.02 0 0 10.02 649.38478 127.13976 Tm(o)Tj10.02 0 0 10472.65.866605 127.13976 fung(ene)Tj10.02 0 0 10.02 7.0234737 127.13976 Tm( )Tj0.0011 Tc0.09722 Tw 10.02 0 0 10.02 127.62012 250.25997 Tare Tj10.02 0 0 10.02 8.1 353.32512 250.25997 ( no)Tj10.02 0 0 10.490 13.09612 250.25997 ndiziTmTm( )Tj10.02 0 0 10.06Tj0.69612 250.25997 risolutivTm(a)Tj10.02 0 0 10.02 79939612 250.25997 ere Tj10.02 0 0 10.02 232 171351712 250.25997 19.49963 138.5997 0 e2 0m75.069612 250.25997 ( cre)Tj10.02 0 0 10. t 098.36312 250.25997 laTm( rem)Tj10.02 0 0 10274 498239612 250.25997 sauri

ene g o z i r u t n o

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atto unilaterale irrecettizio, per il quale gli effetti giuridici si

realizzano immediatamente, non appena la rinuncia entra a far

parte del mondo giuridico.

E' stato sostenuto157 da una parte della dottrina che il

creditore, nel rimettere il credito, avvantaggia il debitore,

arricchendolo, facendo pervenire ad esso una liberalità . La

remissione si caratterizzerebbe come possibilità giuridica di

realizzare una donazione o una liberalità indiretta mediante la

dichiarazione di volontà creditoria di non voler più utilizzare il

proprio credito. La manifestazione volitiva del creditore di

distaccarsi dal proprio diritto non significa altro che realizzare il

presupposto per far si che il debitore possa beneficiare della non

realizzazione della prestazione, che in relazione al caso specifico

di liberalità solo indirettamente . Con una recente sentenza , 25 giugno 1960 n. 1674, la Corte è ritornata alle affermazioni giuridiche contenute nella sentenza del 1955. 157 Per la qualifica liberativa o donativa della remissione vedi : Barbero , Sistema istituzionale di diritto privato , vol II, Torino ,1955,pag . 242 Recupero, Remissione del debito e donazione indiretta , in Temi, 1955, pag. 95 e ss Per il diritto francese vedi :Martin de la Muote , L’acte Juridique unilateral , Paris , 1951 , pag 297 Rajnaud, La renonciation à un droit. Sanature et son domaine en droit civil , in Revue trim. de droit civil , 1936,pag 778 e ss

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può assumere i caratteri d i una liberalità indiretta o di una

donazione.

La rinuncia al diritto non avviene senza un determinato

fine, in quanto ponendo in essere un vantaggio per il debitore, la

sua funzione si identifica con l'espressa capacità del soggetto

attivo di compiere una liberalità a favore del soggetto passivo; la

realizzazione di un simile scopo non fa altro che testimoniare che

la remissione produce come suo effetto principale una donazione

o una liberalità indiretta.

Guardando attentamente ciò che si vuole raggiungere con

questo istituto è facilmente obiettabile che la libertà di agire

presuppone il requisito della specifica intenzione di far

beneficiare ad un altro soggetto dell'oggetto in questione, mentre

non sempre il creditore, dismettendo, ha voluto avvantaggiare il

debitore.

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L'evento della liberazione del debitore non è strettamente legato

a quelli che sono gli effetti dell'atto di rinuncia ma, ad ulteriori

cause che si verificano successivamente alla dichiarazione di

volontà del soggetto attivo. L'indagine si indirizza verso l'esatta

affermazione del contenuto della funzione remissoria che

coordinata con la sua struttura, potrà rendere in modo chiaro

come avviene l'effetto liberativo dall'obbligazione per il debitore.

Il creditore, ponendo in essere la dichiarazione di volontà, non fa

altro che dismettere il proprio credito con la possibilità per il

debitore di liberarsi dall'obbligazione. La perdita del diritto da

parte del soggetto attivo costituisce il risultato tipico ed esatto

della volontà del remittente, caratterizzando lo scopo della

fattispecie. La remissione, infatti, rispetto al distacco del diritto

della sfera giuridica del creditore, si rileva lo strumento più

idoneo e preciso ad assolvere questo compito, il quale

caratterizza e costituisce la sua struttura funzionale. Ciò si evince

anche dalla disciplina giuridica dettata dal codice vigente, il

quale assegna come causa della fattispecie una funzione

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dismissiva. La disciplina positiva si comprende e si giustifica

solo in quanto si riconosce alla remissione una funzione

dismissiva poiché, gli eventi previsti dalla particolare normativa

possono avere una loro specifica spiegazione giuridica solo se

vengono ricondotti a questa definizione causale. Le diverse

ipotesi giuridiche che si possono verificare sono strettamente

collegate con questo tipo di struttura normativa di remissione, la

quale prevede la dismissione del creditore e, la liberazione del

debitore, che pur verificandosi nello stesso momento, rappresenta

una conseguenza riflessa e non logicamente consecutiva ad essa.

L'estinzione dell'obbligazione non sempre può essere considerata

come cosa gradita al debitore, soprattutto se quest'ultimo ha un

proprio interesse a porre in essere la prestazione. Nella maggior

parte dei casi il debitore è ben lieto di essere svincolato da

qualsiasi legame con il creditore, ma in altre occasioni, in

presenza delle più svariati ragioni, sia di ordine morale sia

professionali, egli potrebbe avere un rilevante interesse ad

adempiere l'obbligazione. La formulazione letterale dell'art.1236

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c. c. sembra porre in evidenza proprio questo duplice interesse

alternativo del debitore, in quanto disponendo che "la

dichiarazione del creditore estingue l'obbligazione" valuta e

tutela l'interesse del debitore a conseguire sollecitamente la

propria liberazione ed aggiungendo "salvo che questi non

dichiari di non volerne approfittare" contempla ed apprezza

l'interesse dello stesso debitore a non subire la liberazione ed ad

attuare la prestazione.

Il legislatore, disciplinandoli espressamente, ha fissato tra gli

interessi menzionati una gerarchia ritenendo prevalente e

principale l'interesse a conseguire la liberazione senza

adempimento, e secondario e subordinato l'interesse

all'adempimento. La gerarchia ha una sua spiegazione nella

valutazione che il legislatore effettua dell'importanza di questi

interessi nella dinamica del rapporto giuridico158. L'interesse ad

adempiere una valenza secondaria in quanto ha un'importanza

158 Sulla collisione d' interessi giuridici e sul corrispondente criterio di prevalenza :Merkel, Die Kollision rechtmassiger Interesse und die Schadensverursatzpflicht, Strassburg, 1895 , pag.49 e ss

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contenutistica legata al singolo evento giuridico, non essendo

elemento sempre presente nella formazione obbligatoria. La sua

realizzazione, quindi, necessita di una particolare manifestazione

di volontà in cui si esprime il proprio diniego ad ottenere un certo

effetto costitutivo, la quale viene a sua volta sottoposta a onere di

tempestività.

L'interesse più frequentemente ricorrente nel debitore, nel

momento che assume l'obbligazione, è quello di essere, il più

velocemente possibile, liberato dal gravame senza realizzare

l'adempimento.

Il legislatore ha previsto una tutela molto più efficace e

tempestiva per la realizzazione di questo interesse, prevedendo

che, una volta attuata la dismissione del credito, l'obbligazione

viene immediatamente estinta.

Nella pars credendi, invece, la remissione viene effettuata

come realizzazione del proprio interesse a distaccarsi dal proprio

diritto, senza che venga avvantaggiato nessuno, ne il debitore ne

il terzo.

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Nella struttura remissoria non c'è spazio per una possibile

dichiarazione di volontà del soggetto passivo atta ad acquisire

valore di accettazione della proposta effettuata dal creditore,

consistente nel non voler più utilizzare il proprio diritto.

Lo schema contrattuale159 è del tutto inadeguato per attuare

i fini legislativi presenti nella fattispecie esaminata, in quanto non

verrebbe realizzato ne l'interesse del creditore di conseguire

l'immediata liberazione dal proprio diritto, perché sarebbe

subordinata alla scadenza del termine congruo previsto per

159 Stolfi,Teoria del negozio giuridico,op. cit.,pag.50 e ss.; Betti,Teoria generale del negozio giuridico edizione,op. cit.,pag.293; Pellegrini, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in Commentario del Codice Civile,Libro delle obbligazioni Vol.I° diretto da D'Amelio e Finzi, Firenze 1948,pag.1,3,4,e ss.; Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio di inventario, Milano, 1942, pag 317 Per la contrattualità della remissione sempre in relazione al codice inglese vedi :Gorla , La rinuncia e il contratto modificativo, offerta irrevocabile nella civil law e nella common law, in Riv.dir. comm.,1952, pag 343 Per il diritto francese :Breton , Thèorie gènèrale de la renonciatin aux droits rèels , in Revue trim. de droit civil. 1928, pag. 261 e ss. Per il diritto tedesco :Walsmann, Der Verzicht, Leipzig, 1912 , pag 179 e ss; questo Autore ammette che in alcuni casi del diritto germanico la rinuncia può assumere la forma contrattuale, sostenendo, però, che si attua una forma particolare di contratto, in cui il soggetto rinunciatario avrebbe il modesto ruolo di aderire o di opporsi agli effetti realizzati, e non quello di produrli in collaborazione con il soggetto rinunziante, non essendo posti su un piano di parità. Perché si possa parlare di contratto è necessario che le volizioni , oltre che dirette allo stesso scopo, devono essere giuridicamente uguali, anche se poi di fatto e economicamente i relativi soggetti si trovano su piani differenti : in questo senso vedi : Oppo,Adempimento e liberalità, Milano, 1947, 407; Messineo, Dottrina generale del contratto, vol III, Milano, 1948, pag. 39

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consentire al debitore di effettuate l’opposizione, né l'interesse del

debitore di ottenere l'immediata liberazione dall'obbligazione.

Nel caso in cui venisse accettato lo schema contrattuale

della remissione avremmo un'alterazione della tutela dell'interesse

in gioco, con evidente privilegio di alcuni rispetto ad altri. Si

pensi alle obbligazioni ad esecuzione continuata, in cui il debitore

sarebbe costretto ad adempiere le singole rate che vengono a

maturazione nell'intervallo di tempo intercorrente tra la

dichiarazione del creditore e la scadenza del termine congruo, con

evidente accentuazione della tutela riguardante la realizzazione

dell'interesse del subietto passivo all'adempimento rispetto a

quello primario della liberazione immediata.

Con lo schema unilaterale, invece, trovano attuazione e

soddisfazione, nella propria rispettiva importanza legislativa, sia

l'interesse del creditore a distaccarsi dal proprio diritto, sia

l'interesse primario del debitore a conseguire la propria libertà

senza effettuare la prestazione, sia l'interesse secondario di

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adempiere l’obbligazione, neutralizzando le modificazioni che si

verificano a seguito della dichiarazione di remissione160.

160 Tilocca, La remissione del debito In Nuovissimo Digesto, op.cit., pag.390 e ss.; Benedetti,La struttura della remissione, Rivista Trimestrale di Diritto e procedura civile 1962 ,pag.1291 e ss.

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OPPOSIZIONE DEL DEBITORE.

a) La sua natura giuridica.

La finalità della dichiarazione di remissione effettuata dal

creditore, costituita dalla abilità di estinguere l'obbligazione, non

sempre raggiunge risultato positivo, in quanto essa potrebbe

ledere un interesse del debitore, insito nel rapporto obbligatorio.

In determinati casi, il debitore può avere uno specifico interesse

alla conservazione della propria posizione, quindi, di effettuare

l'adempimento. Ciò è testimoniato dalla particolare formulazione

logica grammaticale, dell'art. 1236 c. c., che concede al debitore

di manifestare la propria opposizione ogni qualvolta non desidera

subire gli effetti della remissione.

L'atto di opposizione costituisce il mezzo attraverso il quale

il debitore rifiuta l'effetto dismissivo del debito, la cui

formulazione giuridica ha visto dissonanti contrasti dogmatici

messi al confronto.

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Queste diverse costruzioni teoriche partono dal presupposto

che l'opposizione del debitore possa avere dei caratteri

determinati tali da poterla inserire in una o un'altra costruzione

normativa. Le posizioni teoriche che si pongono in termine

alternativi in quanto l'una considera l'opposizione debitoria o un

negozio giuridico161, in quanto necessita per la sua costituzione

una dichiarazione di volontà del soggetto passivo162, o un atto

giuridico in senso stretto, in quanto capace di effettuare un

autoregolamento degli interessi in gioco163. Il contrasto tra i due

diversi indirizzi dogmatici è più apparente che reale in quanto

l’autoregolamentazione non può estrinsecarsi se non attraverso un

atto di volontà, il quale, per acquisire rilevanza giuridica deve

essere capace di determinare un' alterazione nella sfera giuridica

del soggetto agente. Per cui l’autoregolamentazione e la

161 Per la tesi dell'opposizione come negozio giuridico:Stolfi ,Teoria del negozio giuridiche, op cit , pag 1 e ss.; Cariota Ferrara , Il negozio giuridico , op cit pag75 e ss 162 Per la tesi che considera che l’atto di volontà definisce il negozio vedi :Pugliatti , Atto giuridico e determinazioni accessorie della volontà ,in Riv. dir. civ. , 1937 , pag 37 e ss ; Trimarchi , Atto Giuridico e negozio giuridici , Milano , 1940 ,pag.34 e ss. 163 Per la tesi che considera l’opposizione come atto giuridio:Betti , Teoria generale op . cit. pag 50 e ss ; Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico , Napoli, 1950, pag 176 e ss .

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dichiarazione di volontà sono elementi non possono non

appartenere ad un' unica realtà giuridica, che nel caso di specie si

presentano come presupposti costitutivi di un atto negoziale.

Ciò è testimoniato dal fatto che affermando che

l'opposizione si costituisce attraverso una dichiarazione di volontà

non si fa altro che indicare l'aspetto formale e strutturale del

negozio e, ritenendo che essa può attuare una

autoregolamentazione di interessi privati non si fa altro che

mettere in evidenza la funzione che il negozio giuridico

normalmente svolge. L'antitesi tra volontà e

autoregolamentazione è del tutto inesistente, poiché nella loro

sintesi indicano la conseguenza di quel particolare atteggiarsi

della volontà che trova sua specifica collocazione nella forma del

negozio164. Per cui l'atto di opposizione non è altro che un

negozio giuridico in cui la dichiarazione di volontà assume un

particolare significato in riferimento all'effetto che deve produrre.

164 Sul particolare modo di atteggiassi della volontà nella ambito del negozio giuridico vedi: Secret, Studi sul concetto di negozio giuridico , in Scritti giur. ,I, 1930, pag 333; Cariota Ferrara , Il negozio giuridico , op. cit, pag 37 e ss.;Oppo, Adempimento , op. cit. pag 380

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Il legislatore, infatti, non da rilievo a un qualunque

comportamento del debitore atto a determinare la sua sottrazione

dall'efficacia remissoria, ma solo a quel determinato

comportamento che costituisce l'estrinsecazione della sua precisa

volontà di non essere destinatario di detto effetto. L'art. 1236 c.c.,

infatti, recita " solo che questi dichiari di non volerne profittare",

nonché l'atto di opposizione è il mezzo di esternazione di una

precisa volontà di condotta, insiste in quel determinato processo

psicologico che dia luogo a una precisa violazione.

Dal punto di vista strutturale, l'atto di opposizione si

presenta come manifestazione di una precisa volontà che serve a

neutralizzare gli effetti remissori provenienti dalle contrapposte

dichiarazioni del creditore.

Il soggetto attivo pone in essere una manifestazione di

volontà, la quale ha il preciso compito di distaccare il diritto di

credito dal suo titolare, ponendo il debitore in una situazione di

riflessione al fine di attuare l'interesse di cui è portatore.

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Egli ha la possibilità di agire alternativamente per

realizzare due distinti interessi: o la propria liberazione

dall'obbligazione, senza porre in essere la prestazione, o la

conservazione del proprio stato obbligatorio, con conseguente

necessità di effettuare l'adempimento. Il debitore è posto nella

scelta di realizzare uno dei due alternativi interessi, indirizzando

gli strumenti giuridici a favore di quello da lui ritenuto più degno

di tutela attuativa. L'opposizione verrà effettuata solo quando la

sua valutazione riterrà di dover realizzare l'interesse alla

conservazione del rapporto obbligatorio giuridico, con

conseguente possibilità di effettuare l'adempimento.

Per cui dal punto di vista funzionale l'atto di opposizione si

presenta come avvenuta attuazione di una regolamentazione degli

interesse in gioco, con conseguente realizzazione di quello che in

relazione del caso concreto risulta destinato a non attuare

l'obbligazione.

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b) L'atto di opposizione del debitore non è determinante per la

costituzione del processo formativo della remissione.

Al debitore è concessa la possibilità di dichiarare

esplicitamente di non accettare gli effetti della dichiarazione di

volontà del soggetto attivo di voler rimettere il proprio credito , in

quanto ciò potrebbe causare un danno, e non un beneficio, al

soggetto ricevente.

L'opposizione del debitore, assumendo la forma giuridica

del negozio, entra a far parte del mondo giuridico, con una

propria sua fisionomia e una propria efficacia che la consentano

di avere una propria vita giuridica, ponendosi al di fuori del

processo formativo della remissione. La normativa sulla

remissione, infatti, prevede la nascita dell’atto in termini

meramente occasionali, subordinando la sua costituzione al

verificarsi di determinati eventi, i quali sono caratterizzati da

particolari modalità realizzative e temporali. La formazione

dell’atto dipende dal fatto che il debitore sia messo in condizione

di poter valutare l'importanza giuridica della situazione che si è

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venuta a creare in seguito alla dichiarazione credendi, e la

necessità di manifestare la sua volontà al fine di eliminare detta

situazione. Per cui si può affermare che la dichiarazione di

remissione costituisce il presupposto normativo per la

costituzione dell’atto di opposizione, in quanto il suo scopo è

proprio quello di neutralizzare gli effetti giuridici provenienti

dalla disposizione del diritto del creditore. Per aversi opposizione

è necessario che la remissione sia già efficiente e operante,

avente una propria definizione giuridica, altrimenti non si

capirebbe come mai l'atto del debitore possa eliminare le

conseguenze da esse causate. Ciò si ricava dal testo dell'art. 1236

c.c. il quale prevede il verificarsi dell'estinzione dell'obbligazione,

senza che sia passato il congruo termine previsto per far si che il

rifiuto debendi possa essere manifestato e comunicato al

creditore.

La funzione dell'atto di opposizione si specifica nel voler

ricostruire il legame obbligatorio che è stato sciolto a seguito

della rinuncia del creditore al proprio debito, eliminando il suo

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presupposto giuridico, quel qualcosa di reale, di già costituito, che

apparentemente sembra portargli un grande beneficio.

La non appartenenza dell'atto di opposizione al processo

formativo della fattispecie remissoria è confermato anche dal

modo di come si fronteggiano e si contrappongono i due negozi

giuridici provenienti dalle diverse manifestazioni di volontà.

Il negozio di opposizione entra nel mondo giuridico nel

momento in cui viene fatto conoscere al creditore, nell'intento

specifico di informarlo che gli effetti della sua dichiarazione di

volontà non produrranno conseguenze giuridiche. Si è infatti

ritenuto che la certezza giuridica necessita che il soggetto attivo

sia informato sugli accadimenti successivi, che possono alterare

la situazione giuridica da lui stesso creata.

Ciò implica che la remissione del debito è già operante e,

che il debitore ha un vero e proprio onere di comunicare a suo

carico, se vuole mantenere la sua specifica di soggetto passivo. A

tal fine è stato previsto un "congruo termine" la cui valenza

contenutistica si specifica nella possibilità giuridica del debitore

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di vagliare l'importanza dei vari interessi in gioco, e di porli a

confronto per rilevare da essi un punto di riferimento per attuare

la propria decisione. Tutto ciò postula la certezza dell'esistenza di

una fattispecie giuridica integra nei suoi elementi costitutivi, i cui

effetti sono presi in considerazione e sottoposti ad esame per

confrontarli con una situazione di fatto dalla quale dipende la sua

successiva vicissitudine giuridica165.

165 Tilocca , Remissione del debito ,op.cit., pag 82 e ss .

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EFFETTI GIURIDICI DELL'ATTO DI OPPOSIZIONE:

ESERCIZIO DEL DIRITTO POTESTATIVO DEL DEBITORE

AD ADEMPIERE LA PRESTAZIONE.

La valutazione degli interessi in gioco si pone come

presupposto per la verificazione dell'atto di opposizione, il quale

ha come suo scopo principale quello di neutralizzare gli effetti

dismissivi della remissione.

L'opposizione del debitore, infatti, produce

immediatamente efficacia giuridica, non appena si realizza; è

operante senza bisogno di qualche atto o collaborazione del

soggetto attivo. Non ha bisogno di nessuna cooperazione del

creditore, che si ponga come antecedente logico-giuridico, come

il presupposto essenziale e giuridicamente rilevante per dar vita

alla sua costituzione. Il creditore, una volta venuta ad esistenza

l'opposizione del debitore, non ha la possibilità di renderla

inoperante, non ha la libertà di resistere nel suo intento

remissorio, ne ha la facoltà di bloccare sul nascere gli effetti

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neutralizzanti dell'atto. Egli è costretto a subire l'opposizione

trovandosi in uno stato di perfetta soggezione, potendo solo

ricevere passivamente gli effetti provenienti dall'atto.

Ciò vuol dire che il negozio di opposizione non fa altro che

esercitare un diritto potestativo, in quanto l'effetto neutralizzante

deriva dalla volontà del soggetto passivo, incidendo direttamente

sulla situazione giuridica determinata dal creditore.166

Il diritto potestativo si caratterizza per la particolare

fisionomia del suo contenuto, per il quale il soggetto agente è

titolare di un determinato potere che esplica la sua efficacia in

base a una semplice manifestazione di volontà del suo titolare. Al

manifestarsi di questo potere corrisponde una modificazione della

situazione giuridica preesistente, in cui il soggetto titolare subisce

questo cambiamento senza che si possa fare alcunché per

166 Sulla definizione e sulla struttura del diritto potestativo vedi:Santoro Passarelli, Isituzioni di diritto Civile , I, Napoli 1994, pag 47 e ss.; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli , 1994, pag 263 e ss.; Messina, Sui cosiddetti diritti potestativi, in Studi in onore di Fadda , VI,Napoli, 1906,pag 3 e ss.; Auletta, Poteri formativi e diritti potestativi , in Riv. dir. comm. , 1939, pag 557; Sante Romano, voce"Poteri-potestà", in frammenti di un dizionario giuridico, Milano 1953, pag 127 e ss., Falzea, La separazione personale, Milano, 1943, pag 127 e ss.

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arrestare questo evento, essendo esso in uno stato di completa

soggezione nei confronti dell'evento realizzato.

Tutto ciò si verifica proprio in relazione al negozio di

opposizione ove si rileva che esso si perfeziona in base alla sola

volontà del soggetto passivo, eliminando la situazione giuridica

creata dalla dichiarazione del creditore di non volere più

utilizzare il proprio diritto di credito. Quest'ultimo, poi, non è

titolare di un dover di condotta a cui subordina l'attuazione del

diritto del debitore di opporsi alla remissione, ma è invece

costretto a subire l'eliminazione dell'efficacia remissoria, nei

confronti della quale si trova in uno stato di autonoma

soggezione, in cui non può effettuare nessuna attività positiva atta

a salvaguardare il contenuto della propria dismissione167.

L’atto di opposizione, quindi, esercita un diritto

potestativo, e precisamente il diritto (potestativo) del debitore ad

adempiere l'obbligazione. Ciò viene chiaramente evidenziato dal

contenuto dell'atto di opposizione e dalla rilevanza giuridica che 167 Tilocca , Remissione del debito , op. cit. pag 95 e ss.

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del relativo interesse ad adempiere assume nell’ambito del mondo

giuridico, in virtù della esplicita tutela riconosciutagli. Il

legislatore, infatti, riconosce esplicitamente che il debitore può

essere titolare di un interesse ad adempiere l’obbligazione, nel

caso in cui il creditore decide di non voler più utilizzare il proprio

diritto alla prestazione, garantendogli la possibilità di agire,

opponendosi alla remissione. Il legislatore considera l'interesse ad

adempiere degno di rilevanza giuridica, il quale entra a far parte

del mondo giuridico come diritto i cui dati strutturali si

evidenziano dal modo di manifestarsi dell’atto di opposizione.

Quest'ultimo è solo lo strumento giuridico predisposto

dall’ordinamento per garantire al soggetto passivo di esercitare il

suo diritto ed adempiere l’obbligazione.

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ADEMPIMENTO DEL TERZO: IRRILEVANZA DELLA

DISCIPLINA PER DIMOSTRARE L'ESISTENZA DEL

DIRITTO DEL DEBITORE AD ADEMPIERE.(TESI DEL

CICALA)

La possibilità giuridica concessa al debitore di essere

titolare di un diritto ad adempiere l'obbligazione in particolari casi

e in previsione della rilevanza giuridica del suo interesse, non può

essere smentito dalla disciplina dell'adempimento del terzo.

Il diritto del debitore ad adempiere acquista rilevanza nel

momento in cui il soggetto passivo acquista libertà di agire,

utilizzando mezzi giuridici per realizzare la propria pretesa.

Tutto ciò non si verifica nell'ambito della normativa dettata

per l'adempimento, in quanto un'analisi della natura

dell'opposizione debendi, dimostra chiaramente che l'interesse di

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cui il soggetto passivo è titolare non è quello di essere liberato

mediante adempimento168.

Un ' attenta analisi del contenuto dispositivo del 2° comma

dell'art. 1180 c.c. rileva la non appartenenza dell'interesse ad

adempiere alla fattispecie esaminata, in quanto si concede al

debitore la possibilità di esprimere la propria opposizione

all'intervento del terzo atto ad estinguere l'obbligazione. Qui si

riconosce al soggetto passivo solo di manifestare la propria

volontà negativa affinché il creditore possa prenderla in

considerazione e decidere di conseguenza. 168 Per la tesi che sostiene l’esistenza di un interesse ad adempiere del debitore nella disciplina dell’adempimento del terzo vedi ; Rescigno, op. ult. cit., pag 115 e ss ,il quale afferma esplicitamente che il legislatore ha tenuto conto delle molteplici esigenze che possono spingere un individuo a contrarre un 'obbligazione , ravvisando nella normativa dettata dagli art. 1180 , 1236 , 1206 , gli indici di un principio generale :la tutela dell’interesse del debitore all’adempimento personale ed alla liberazione mediante attuazione della prestazione. Ciò è valido soprattutto quando si ha un'obbligazione di fare,nella quale l’interesse del debitore a prestare può essere più rilevante , sotto il profilo morale e patrimoniale , dell’interesse a ricevere del creditore. Questa tesi è rimasta isolata nell’ambito dottrinario ,non essendo supportata da un reale rigore logico giuridico , in quanto si può facilmente sostenere che proprio nelle obbligazioni di fare il debitore non può prestare se il creditore è contrario La tutela dell’interesse ad adempiere non può essere menzionata tra i compiti della disciplina dell’adempimento , in quanto non si garantisce al soggetto passivo quella capacità di agire, capace di dare effettiva attuazione giuridica all’interesse menzionato. Ciò che viene preso in considerazione, invece, è il riconoscimento della capacità giuridica del debitore di far conoscere al mondo del diritto il suo dissenso, concedendogli la possibilità di manifestare la propria opposizione all’intervento del terzo. La rilevanza giuridica riconosciuto all’interesse debendi , insito nella norma contenuta nell’art.1180 , ha come sua caratteristica strutturale un riferimento diverso da quello che si può evidenziare con la realizzazione della prestazione ,essendo del tutto estraneo all’argomento trattato.

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L'opposizione entra nell'ambito della rilevanza giuridica

come semplice manifestazione di intolleranza nei confronti di un

soggetto estraneo al rapporto, che vuole assumersi l'obbligo di

adempiere l’obbligazione. Non viene a delimitarsi quel margine

giuridico entro cui acquista rilevanza contenutistica la libertà del

soggetto passivo di agire, modificando situazioni di fatto venuti

nel contempo a verificarsi.

Non sono previsti opportuni mezzi giuridici atti a costituire

l’estrinsecazione di un potere, e la realizzazione di un diritto, atti

a realizzare l’oggetto del rapporto obbligatorio.

La previsione normativa si caratterizza per la sola necessità

giuridica di far conoscere al soggetto attivo la opposizione del

debitore, in base alla quale potrà decidere se accettare o meno la

prestazione del terzo.

Il creditore potrà, ma non dovrà, rifiutare l'adempimento

del terzo, nel momento in cui il debitore dichiara che l'attuazione

della "cosa dovuta" da parte di un terzo potrebbe ledere il

contenuto della propria posizione di obbligo. Per cui, la natura

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dell'interesse che sottende l'atto di opposizione è quello di non

adempiere l'obbligazione, ma quello del rispetto della propria

sfera giuridica169. Ciò che si provvede giuridicamente è che

l'effetto liberatorio non può verificarsi sempre, in tutti i casi, ma è

limitato da un atto, il quale entra e rimane nel mondo giuridico

come tutela di un interesse del debitore a non accettare un

possibile beneficio. Si ha l'applicazione di principio contenuto nel

noto bracardo "invito beneficum non datur" in base al quale un

soggetto può anche rifiutare il beneficio concesso da un terzo

estraneo.

La tutela normativa si presenta come il riconoscimento

della possibilità di far conoscere, a colui che dovrà determinare

gli effetti giuridici normativamente previsti, l'esistenza di questo

interesse. Esso, viene posposto nella sua realizzazione a quello

del creditore il quale se ritiene che il diritto alla prestazione possa

essere soddisfatto dall'intervento del terzo, lo accetta. La

previsione normativa contenuta nell'articolo non fa altro che 169 Cicala , L'adempimento del debito altrui , op. cit. pag 196 e ss

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garantire il riconoscimento giuridico dell'interesse del debitore al

rispetto della propria sfera giuridica, e lo introduce nel mondo del

diritto con la semplice presunzione di essere realizzato. Non sono,

infatti, concessi mezzi giuridici inidonei ad escludere tour court la

possibilità che il terzo adempie l'obbligazione.

L'interesse, quindi non assurge a diritto, il cui esercizio

possa impedire che il soggetto estraneo intervenga, esautorando il

compito giuridico del debitore di realizzare la prestazione. E' stato

sostenuto170 che la possibilità giuridica di effettuare la prestazione

non viene compromessa dall’intervento del terzo, in quanto

quest'ultimo nell’adempiere la prestazione si surroga nei diritti del

creditore. Il soggetto estraneo assume immediatamente la veste

giuridica di soggetto attivo, non alterando la posizione di diritto

che in alcuni casi il debitore può acquisire.

La considerazione giuridica menzionata non è priva di

rilievo, ma non può costituire un principio generalizzato,

170 I sostenitori di questa tesi vedi:Carboni , Delle obbligazioni nel diritto odierno, op cit. pag 191 e ss.; Miccio , Delle obbligazioni in generale , op. cit. pag . 48 e ss.

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applicabile ogni qualvolta vi sia adempimento dell’obbligazione

da parte di un terzo. Ciò può verificarsi solo in determinate

occasioni, cioè quando il creditore, nel momento in cui concede al

terzo di adempiere, dichiara di volerlo surrogare nella propria

posizione creditoria.La surrogazione si pone come una possibile

conseguenza dell'autonomia privata, che trova la sua massima

realizzazione nel potere concesso alle parti di non determinare

solo la soddisfazione del creditore, ma di garantire al terzo la

possibilità di rivalere la sua pretesa nei confronti del debitore. Per

cui la ratio e la struttura della normativa in esame non sono in

grado di fornire un valido argomento normativo, per testimoniare

o smentire la verifica dell'esistenza di un diritto ad adempiere del

debitore. Esso si verifica quando si sono realizzati alcuni

presupposti che pongono il debitore in una situazione giuridica

dalla quale può uscire con il semplice potere di agire, eliminando

il pericolo di aggravio della propria posizione soggettiva.

Tutte le volte che si può riscontrare la previsione normativa

in cui il debitore si trova nell'ipotesi menzionata abbiamo la

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realizzazione e la conferma della esistenza di un diritto

(potestativo) ad adempiere del debitore.

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GIURISPRUDENZA

App. Torino, 5 febbraio 1897, in Giur. it., 1897.

App. Torino, 7 gennaio 1902, in Mon. Trib. Mil., 1902.

App.Catanzaro, 6 giugno 1916 , in Giur. calabrese, 1916.

App. Roma, 8 marzo 1952, in Foro It., Rep. 1952, voce

obbligazione e contratti.

Cass. 20 maggio 1952 n. 1681, in Giustizia civile, Parte I.

Cass. 6 maggio1955, n.1272, Giur. It. 1957, I , 1.

Cass. 20 ottobre 1958 n. 3355, Giur. It. 1959 , I, 1.

Cass. 14 gennaio 1959 n. 81, in Foro it., Rep. 1959, voce

competenza civile n. 246 e n. 247.

Cass. 25 giugno 1960 n. 1674, in Giur. It.,1960 I, 1.

Cass. 28 luglio 1977 n. 3360, in Giur. It. 1977.

Cass. 27 Febbraio 1979 n.1289, in Giur.civ., Rep. 1979.

Obbligazioni e contratti, n .3.

Cass. 9 Febbraio 1981, in Giur. mer., 1981.

Cass.12 Marzo 1984 n. 1694, ivi Rep., 1984.

Cass. 8 Febbraio 1986 n. 809 , in Giura. civ., 1986, I.

Tribunale di Roma, 11 luglio 1986 n .10931, in Temi Romani,

parte II, Giurisprudenza civile.

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INDICE - SOMMARIO

I CAPITOLO

DIRITTO AD ADEMPIERE E RAPPORTO OBBLIGATORIO

Esistenza del diritto ad adempiere del debitore: spunti introduttivi

pag. 1

Il rapporto obbligatorio in generale

pag. 6

I soggetti del rapporto obbligatorio

pag. 12

Situazione soggettiva passiva e responsabilità patrimoniale

(art.2470 cod. civ)

pag. 18

La situazione soggettiva attiva : il diritto di credito

pag. 24

Teoria del debito (Schulde) e della responsabilità (Hftung)

391

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pag. 33

Critica alla teoria del debito e della responsabilità

pag. 41

Le teorie patrimoniali e "il bene dovuto"

pag. 46

Le dottrine cosidette "personali": il comportamento del debitore

pag. 57

L’interesse del creditore

pag. 65

I diversi modi di soddisfazione dell'interesse creditorio

pag. 71

II CAPITOLO

CONFIGURABILITA' DI UN DIRITTO SOGGETTIVO AD

ADEMPIERE DEL DEBITORE

Tesi che riconosce l'esistenza di un diritto ad adempiere del

debitore

392

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pag. 82

Diritto del debitore ad adempiere e correlativo obbligo del

creditore di ricevere la prestazione

pag. 91

Obbligo del creditore sulla base del principio contenuto

nell’art.2043 c. c.

pag. 100

Obbligo del creditore formulato anche in riferimento alla

disciplina codicistica contenuta negli art. 1175 e 1180 c.c

pag. 106

Natura dell'obbligo del creditore e del diritto del debitore

pag. 113

Mora Credendi

pag. 117

Le ipotesi di Mora Credendi

a)Mancanza di un motivo legittimo di rifiuto della prestazione

b) Parallelismo tra mora credendi e mora solvendi

c) Omissione dell’attività necessaria.

393

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pag. 122

Facoltà e poteri inerenti al diritto soggettivo del debitore: art.

1207

pag. 137

Procedura coattiva di liberazione. Rimedio giuridico di

realizzazione del diritto soggettivo

pag. 141

La disciplina dell’adempimento del terzo:differenza tra il codice

del 1865 il codice del 1942 .

pag. 150

Struttura dell’intervento del terzo e natura dell’opposizione

pag. 157

I possibili interventi del terzo.

pag. 164

Le ipotesi di opposizione del creditore

pag. 172

Oggetto del diritto di credito: "il bene dovuto"

pag. 175

394

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L'intervento del terzo non determina lesione del diritto del

debitore

pag. 179

Comportamento del debitore come oggetto del diritto di credito:

la teoria tradizionale

pag. 184

Diverso modo di considerare il diritto soggettivo rispetto alla

teoria tradizionale: adempimento del terzo come eccezione alla

luce della nuova concezione della natura del diritto soggettivo

pag. 188

Identità funzionale tra atto del terzo e atto del debitore. La non

lesione del diritto del debitore

pag. 191

Opposizione del debitore all’atto del terzo di agire mediante

procedura di liberazione

pag. 197

Remissione del debito : art. 1236 . La sua struttura .Realizzazione

del diritto del debitore

395

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pag. 201

Remissione del debito rientrante nello schema del contratto

traslativo

pag. 209

Critica alla tesi della remissione traslativa

pag. 212

Remissione del debito come rinuncia

pag. 215

Opposizione del debito come possibilità di realizzare il suo diritto

ad adempiere

pag. 221

III CAPITOLO

INTERESSE DEL DEBITORE ALLA LIBERAZIONE

Critica alla tesi della configurabilità di un diritto soggettivo del

debitore ad adempiere e apertura verso una situazione

soggettiva d' interesse all’adempimento.

396

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pag. 225

Configurabilità dell'interesse ad adempiere sulla base della

disciplina dell’adempimento dell’obbligo altrui

pag. 234

Possibilità di riconoscere la categoria dell’interesse legittimo nel

diritto privato

pag. 240

Interesse legittimo del debitore alla liberazione in relazione alla

sua situazione soggettiva passiva nel rapporto obbligatorio

pag. 248

Interesse del debitore alla liberazione e la mora del creditore

pag. 255

Assenza del concetto di colpa come requisito della mora credendi

pag. 259

Assenza di un parallelismo tra mora credendi e mora solvendi

pag. 265

Impossibilità di riconoscere sulla base della disciplina codicistica

contenuta nell’art. 1175 l’esistenza di un obbligo del creditore

397

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a ricevere la prestazione. Situazione di abuso di diritto

pag. 269

Analoghe conseguenze alla luce del dettato normativo ex art.

2043 c. c.

pag. 274

Situazione soggettiva del creditore in termini non di obbligo ma

di onere

pag. 279

Tesi della Bigliazzi Geri: situazione del debitore quale diritto

potestativo alla liberazione

pag. 285

Estinzione del debito come effetto diretto della remissione

pag. 290

L'opposizione del debitore produce effetto risolutivo della

remissione effettuata dal creditore

pag. 295

Interesse alla liberazione nel suo particolare modo di porsi nella

remissione

398

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pag. 300

Il silenzio: la non opposizione.Realizzazione dell’effetto

remissorio. Struttura e funzione del silenzio del debitore

pag. 303

IV CAPITOLO

DIRITTO(POTESTATIVO)AD ADEMPIERE DEL DEBITORE

Rilevanza giuridica dell'interesse ad adempiere

pag. 309

Adempimento come negozio in base al quale si esercita il diritto

alla liberazione

pag. 316

Esistenza del diritto potestativo del debitore a liberarsi mediante

adempimento (tesi di Rescigno).

pag. 319

Il diritto potestativo è testimoniato dalla disciplina della mora

credendi:

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a) dall’analisi dei requisiti essenziali della mora credendi si

rileva l’esistenza dell’interesse ad adempiere del debitore

b) la procedura di liberazione: deposito. Realizzazione del diritto

potestativo del debitore ad adempiere l’obbligazione.

pag. 327

La remissione del diritto come negozio giuridico (tesi del

Tilocca).

pag. 342

Opposizione del debitore:

a La sua natura giuridica

b)L'atto di opposizione del debitore non è determinante per la

costituzione del processo formativo della remissione

pag. 355

Effetti giuridici dell'atto di opposizione:esercizio del diritto

potestativo del debitore ad adempiere l'obbligazione

pag. 364

400

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Adempimento del terzo: irrilevanza della disciplina per

dimostrare l’esistenza di un diritto del debitore ad adempiere (

tesi del Cicala)

pag. 368

BIBLIOGRAFIA

pag. 375

GIURISPRUDENZA

pag. 389

401

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