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Sintesi n. 1 corso triennale 2014/2015 Corso 2014/2015 Sintesi n. 1 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A Versione 14/2/2015 Sintesi n. 1 Di cosa tratta il corso: delimitazione della materia e metodo combinatorio Riferimenti: Manuale Lanchester Cap. I, Manuale Morbidelli Cap. 1, Manuale De Vergottini Premessa (Bisogna) “restare fedeli al metodo..nella descrizione del funzionamento effettivo delle istituzioni: la stretta combinazione tra il commentario giuridico e l’analisi di scienza politica..L’utilizzazione simultanea dell’analisi giuridica e della scienza politica non deve arrivare tuttavia a confondere le regole del gioco chiarite dalla prima e i rapporti di forza o le strategie dei giocatori che rilevano della seconda. Solo la delimitazione chiara di entrambi permette di capire sia le regole sia il gioco” M. Duverger, Le système polititique français, Puf, Paris, XXI edizione, 1996, pp. 67 Distinguere l’ambito del Diritto Pubblico da quello del Diritto Privato I corsi di diritto nelle Facoltà di Scienze Politiche si possono suddividere in 3 filoni: a) area giuspubblicistica: Istituzioni di Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale (italiano e) Comparato, ecc.. E’ più vicina ai corsi politologici, storici e macroeconomici; b) area privatistica: Istituzioni di Diritto Privato, Diritto Commerciale. ecc. c)area internazionalistica: Diritto Internazionale, ecc. Ci troviamo quindi all’interno dell’area giuspubblicistica, ovvero degli studi di Diritto Pubblico. Essi si riferiscono alle regole ed ai poteri relativi alla soddisfazione degli interessi collettivi, mentre il Diritto Privato si occupa dei rapporti che interessano i singoli ed i cui effetti si ripercuotono solo sui titolari, non sull’intera società. Da segnalare che sempre più frequentemente gli strumenti del diritto privato vengono però usati anche per soddisfare interessi pubblici, fermo il ruolo regolatore delle istituzioni pubbliche, ma distinguendo meglio la regolazione dalla gestione. Chiariamo allora i due aggettivi, “costituzionale” e “comparato”. Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale Il Diritto Costituzionale è il nucleo centrale del diritto pubblico, è l’albero da cui si dipartono i vari rami specialistici del diritto pubblico (diritto parlamentare, amministrativo, penale, ecclesiastico, ecc.), si riferisce alle regole di diritto elaborate per porre dei limiti al potere politico. Diritto Comparato e comparazione

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Page 1: Diritto Comparato e comparazione Il Diritto Costituzionale ... · istituzioni: la stretta combinazione tra il commentario giuridico e l’analisi di scienza politica..L’utilizzazione

Sintesi n. 1 corso triennale 2014/2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 1 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 1 Di cosa tratta il corso: delimitazione della materia e metodo combinatorio

Riferimenti: Manuale Lanchester Cap. I, Manuale Morbidelli Cap. 1, Manuale De Vergottini Premessa

(Bisogna) “restare fedeli al metodo..nella descrizione del funzionamento effettivo delle istituzioni: la stretta combinazione tra il commentario giuridico e l’analisi di scienza politica..L’utilizzazione simultanea dell’analisi giuridica e della scienza politica non deve arrivare tuttavia a confondere le regole del gioco chiarite dalla prima e i rapporti di forza o le strategie dei giocatori che rilevano della seconda. Solo la delimitazione chiara di entrambi permette di capire sia le regole sia il gioco”

M. Duverger, Le système polititique français, Puf, Paris, XXI edizione, 1996, pp. 6­7

Distinguere l’ambito del Diritto Pubblico da quello del Diritto Privato

I corsi di diritto nelle Facoltà di Scienze Politiche si possono suddividere in 3 filoni:

a) area giuspubblicistica: Istituzioni di Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale (italiano e) Comparato, ecc.. E’ più vicina ai corsi politologici, storici e macro­economici;

b) area privatistica: Istituzioni di Diritto Privato, Diritto Commerciale. ecc.

c)area internazionalistica: Diritto Internazionale, ecc.

Ci troviamo quindi all’interno dell’area giuspubblicistica, ovvero degli studi di Diritto Pubblico. Essi si riferiscono alle regole ed ai poteri relativi alla soddisfazione degli interessi collettivi, mentre il Diritto Privato si occupa dei rapporti che interessano i singoli ed i cui effetti si ripercuotono solo sui titolari, non sull’intera società. Da segnalare che sempre più frequentemente gli strumenti del diritto privato vengono però usati anche per soddisfare interessi pubblici, fermo il ruolo regolatore delle istituzioni pubbliche, ma distinguendo meglio la regolazione dalla gestione.

Chiariamo allora i due aggettivi, “costituzionale” e “comparato”.

Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale

Il Diritto Costituzionale è il nucleo centrale del diritto pubblico, è l’albero da cui si dipartono i vari rami specialistici del diritto pubblico (diritto parlamentare, amministrativo, penale, ecclesiastico, ecc.), si riferisce alle regole di diritto elaborate per porre dei limiti al potere politico.

Diritto Comparato e comparazione

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L’ulteriore aggettivo “Comparato” indica che lo studio è effettuato in relazione non solo all’Italia, ma a più ordinamenti. Non si tratta però di giustapporre, di sommare semplicemente una narrazione di conoscenze su Italia, Francia, Germania, ecc. La conoscenza dei singoli ordinamenti è uno strumento, il fine è la comparazione, il raffronto, la rilevazione di similitudini e differenze.

Ciò avviene normalmente attraverso la classificazione degli ordinamenti in tipologie, cioè attraverso degli indicatori di riferimento, che sono evidentemente di valore storico e relativo a differenza delle classificazioni delle scienze naturali.

Si parla più precisamente di “tertium comparationis” per indicare il termine di riferimento tra ciò che viene comparato (“comparatum”), che è conosciuto in precedenza, e ciò che deve essere comparato dopo averlo conosciuto (“comparandum”). Se ad esempio voglio paragonare l’attuazione del principio bicamerale in Italia rispetto all’approvazione delle leggi con il modo con cui è concepito in Israele e con quello in cui era concepito in Svezia prima del 1975 (prima della soppressione della seconda Camera), devo anzitutto identificare bene che cos’è il “principio bicamerale”, cioè il “tertium comparationis” del caso di specie. Non posso infatti appiattirlo sul caso già conosciuto.

Se facessi l’equazione principio bicamerale­esistenza di due Camere, potrei poi valutare analogie e differenze solo con la Svezia (dove però le due Camere si riunivano insieme per tutte le decisioni) e non anche con Israele (perché lì la Camera è unica e però vota la legge più volte a distanza di tempo, esattamente come si fa con le nostre due diverse Camere). Se invece definisco bene il principio bicamerale nel procedimento legislativo come quel principio che impone più deliberazioni sullo stesso testo, colgo bene che in realtà questa funzione accomuna l’Italia a Israele (pur con la differenza di 2 Camere invece di 1) e la separava già dalla Svezia pre­1975 (che appariva bicamerale, ma che in realtà non lo era, prima che anche la forma si plasmasse sulla sostanza monocamerale come accaduto nel 1975).

Ciò ci fa capire che lo studio del Diritto Comparato procede per funzioni, per soluzioni più o meno diverse a problemi analoghi, per definizioni condivise e non tanto sulla base di somiglianze formali, spesso ingannevoli.

L’esempio citato ci è utile perché ci fa capire che si possono avere comparazioni sincroniche (o spaziali) come quella tra Italia 2001 e Israele 2001 e comparazioni diacroniche, come quella tra Svezia pre e post­1975 per cogliere la successione nel tempo.

In cosa consiste la materia

Il centro contenutistico della disciplina è di solito individuato:

­nelle cosiddette “forme di Stato” (fdS) che si basano sui rapporti secondo una dimensione verticale tra il cittadino e lo Stato nella loro evoluzione storica (lo Stato liberale ottocentesco, lo Stato totalitario, lo Stato autoritario, lo Stato socialista, lo Stato democratico­sociale), per l’analisi delle quali è necessario un fecondo rapporto con altre discipline, soprattutto quelle storiche e politologiche, filosofiche e macro­economiche;

­nelle “forme di Governo” (fdG) che studiano in modo per così dire orizzontale la distribuzione del potere politico tra i vari organi che incidono sul governo, sull’indirizzo politico (forme parlamentari, presidenziali, semi­presidenziali e direttoriali), per capire le quali occorrerà una particolare attenzione alla scienza politica, che ricostruisce la realtà effettiva del potere;

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­nella ricostruzione dei rapporti tra centro e periferie (“tipi di Stato”), resa paradossalmente più rilevante dai processi di globalizzazione, con alcune connessioni con la filosofia della politica e rilevanti implicazioni economiche, nonché le public policies, ecc.;

­nell’affermazione e nell’effettività dei diritti, anche in relazione al ruolo delle Corti costituzionali, temperando l’arbitrio del potere politico, in rapporto con riflessioni filosofiche sull’interpretazione, sui limiti del potere, e così via.

In genere la comparazione generale per ordinamenti nel loro complesso (macro­comparazione) è introduttiva a quella più puntuale di singoli istituti (micro­comparazione).

All’originaria centralità del concetto di Stato (che serviva a nascondere il compromesso tra monarca e Parlamento) è subentrata dagli anni ’30 del XX secolo la centralità del concetto di Costituzione.

Si capisce così perché questa materia sia di norma fondamentale nelle facoltà di Scienze Politiche, mentre a Giurisprudenza è di solito opzionale: essa impone infatti una forte sinergia con buona parte delle discipline presenti proprio nella nostra facoltà e non mira solo alla comprensione delle disposizioni giuridiche prese a se stanti, ma anche e soprattutto a cogliere il loro significato effettivo. Storicamente vi era una vera e propria esclusione della facoltà di Giurisprudenza perché la nostra materia scardinava il modello tradizionale orlandiano di tipo positivistico teso a negare i nessi tra politica, storia e diritto che in realtà il Diritto Costituzionale aveva affermato con forza alle sue origini, intrecciate con la Rivoluzione francese, e che sarebbero state rilanciate dall’espansione del suffragio e dalla conseguente necessità di coniugare lo Stato di diritto con la democratizzazione.

In particolare non è facile cogliere la differenza con la “politica comparata”, la disciplina politologica che affianca il “diritto costituzionale comparato” (come la “scienza politica” affianca per vari aspetti le “Istituzioni di diritto pubblico”).La frontiera non passa su un territorio conoscitivo perché la porzione di realtà indagata è sostanzialmente la stessa, dato che si compara il diritto effettivamente vigente, compreso quello non scritto; la differenza attiene al metodo con cui esso è studiato. Il giurista comparatista parte dalle norme (dall’alto del sistema, cioè da quelle costituzionali), ma, per far bene il suo lavoro, deve scendere fino alla loro effettività. Parte ad esempio dal fatto che il Capo dello Stato in Austria è eletto direttamente, dagli ampi potere formali attribuiti, ma deve poi dar ragione del fatto che l’indirizzo politico è determinato essenzialmente dal Primo Ministro e dal governo che egli guida.

Il politologo comparatista parte dal basso, dalla rilevazione di questa regolarità di sistema, ma, per completezza, deve anche considerare fino a che punto e come le regole formali incidono su di esse (quando l’elezione diretta è stata introdotta e quando messa in pratica per la prima volta, ecc.).

Inoltre, e con questo entriamo nell’ambito delle finalità, tra breve esplorato, la differenza consiste anche nell’intento normativo (di dover essere) che il lavoro del giurista comparatista comporta: la flessibilità dell’interpretazione ha dei limiti che il potere (a cominciare da quello politico) tende per sua natura a forzare e che il giurista ha invece il dovere di ricondurre all’osservanza delle regole, del diritto (ricordando comunque che molto spesso a una regola di diritto possono corrispondere varie scelte politiche, non una sola). Per di più il giurista, forse non solo lui, ma forse lui più di altri, può anche capire come la Costituzione potrebbe essere, utilizzando, a testo invariato, possibilità interpretative presenti nel testo ma fin lì non utilizzate.

Metodo combinatorio

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Seguendo Maurice Duverger (si veda la citazione iniziale) possiamo definire questo metodo appena illustrato come “metodo "combinatorio”. In questa formula l'aggettivo, a differenza di altre formule (come quella che fa riferimento al metodo “misto”) dà al tempo stesso l’idea di distinzione e di unità. Possiamo dire che, al di là delle diverse definizioni e denominazioni progressivamente affinate dal maestro francese – la prima era stata quella di “analisi strategica delle istituzioni” e l’ultima quella di “approccio istituzionale” il metodo combinatorio si fa valere a partire dalla prima edizione del volume di Duverger sui partiti politici nel 1951. Pierre Avril è il più efficace nello spiegare recentemente in modo sintetico perché occorre utilizzare tale metodo, ossia perché, parafrasando un’affermazione di Benjamin Constant, sono indissociabili tre elementi: “tutta la Costituzione...nient’altro che la Costituzione...tutto ciò che è necessario per far funzionare la Costituzione” (1997, 1­157).

Finalità

Le finalità della materia si possono ricondurre a 2:

1) teorico­conoscitivo: in particolare il proprio ordinamento può essere compreso meglio (rispetto allo studio, pur più approfondito, che si fa con le Istituzioni di Diritto Pubblico) per analogia e differenza rispetto agli altri;

2) pratico­applicativo: sia ai fini dell’interpretazione sistematica del diritto ad opera di giudici, corti, ecc., sia di riforme da intraprendere nel proprio ordinamento a partire da esperienze estere ritenute meritevoli di essere mutuate o negative da essere evitate. La comparazione mira sia a rilevare le affinità sia le differenze: più vi è affinità nelle pre­condizioni di sistema più vi è la possibilità di mutuare soluzioni, che però in genere devono essere adattate all’ordinamento che le importa proprio al fine di produrre effetti analoghi a quelli registrati nell’ordinamento che si vuole imitare.

Il giurista comparatista: scettico sulle semplici clonazioni ma ancor più distante dal conservatorismo costituzionale

Il giurista comparatista è in genere scettico sulle proposte di semplice clonazione di istituti da un ordinamento all’altro (che supporrebbe una perfetta coincidenza di esigenze rispetto alle funzioni) ma ancor più è (dovrebbe essere) restio a forme di conservatorismo costituzionale che esaltano astoricamente la perfezione del proprio ordinamento (spesso per mancata conoscenza o per travisamento di quelli altrui) e/o che scambiano la continuità dei princìpi (peraltro in larga parte comuni ai Paesi con la medesima forma di Stato e inseriti in medesime realtà come l’Unione europea) con la staticità delle soluzioni organizzative che paradossalmente finisce per impedirne l’attuazione Il giurista comparatista è (dovrebbe essere) un innovatore consapevole e non arcigno, capace anche di considerare come le proposte ottime debbano poi sottostare alla prova del consenso e, quindi, sottostare al criterio del bene possibile

Tutti i giuristi nel contesto attuale di globalizzazione e integrazione sopranazionale non possono non essere comparatisti; l’esistenza di una specifica materia serve a proporre tale metodo in modo più intenso, più profondo e più indirizzato a smuovere le mentalità diffuse rispetto a provincialismi e conservatorismi.

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Sintesi n. 2 Corso triennale 2014­2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 2 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 1 Alcuni concetti giuridici fondamentali; le forme di Stato

Riferimenti: per i punti da 1 a 5 si segue il Manuale Lanchester capitolo II (chi vuole può usare il Morbidelli capp. 2 e 3 e/o il De Vergottini Parte Prima Capp. I e III); per il punto 6 il segue il Manuale Morbidelli Cap. IV (chi vuole può usare l’Amato­Clementi Capp. da I a XI e il De Vergottini Parte prima Cap. II); per il punto 7 il Manuale Amato­Clementi Cap. XII (chi vuole può usare anche i capitoli precedenti del Manuale Amato­Clementi, il Lanchester paragrafo 11 del Cap. II o il Morbidelli par. 9 sezione I del Cap. IV ).

"La terza ondata di democratizzazione del mondo moderno partì in maniera del tutto inattesa e inconsapevole 25 minuti dopo la mezzanotte del 25 aprile 1974 a Lisbona, quando una radio locale trasmise la canzone "Grandola vila morena".

S. Huntington “La Terza ondata”, il Mulino Bologna, 1995, p. 25

(La canzone: http://it.youtube.com/watch?v=PBK7bd3UYow )

1­ Premessa su civiltà e cultura

Civiltà­ essere cittadino

Cultura­ complesso di conoscenze, saperi e tradizioni considerati fondamentali e trasmissibili

Si tratta quindi di sinonimi.

Cultura politica­ complesso di atteggiamenti nei confronti dei valori politici da parte dei singoli e dei gruppi. La sua omogeneità ed eterogeneità influisce in modo determinante sul rendimento istituzionale.

2­ Famiglie giuridiche e in particolare il diritto inglese

Principali famiglie giuridiche:

A) Romano­germanica (diritto continentale, civil law): regole scritte e astratte con ruolo predominante della legge; influenza dell’Università nella formazione del giurista;

B) Diritto comune (common law): creazione giurisprudenziale con preoccupazione rivolta al caso pratico; formazione del giurista nelle associazioni professionali con giudici scelti dall’autorità politica tra avvocati e procuratori;

C) Diritto socialista: ancillare alla politica; importanza residuale post­1989;

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D) Diritti religiosi: centrali consuetudini e precetti religiosi deducibili dalla rivelazione

Le prime due famiglie subiscono un crescente processo di contaminazione reciproca a causa della compresenza nell’Unione europea delle due famiglie: maggior peso del diritto non di origine giudiziaria in Gb (a cominciare dal diritto comunitario), maggiore attivismo giudiziario con precedenti dotati di persuasività sul Continente.

3­ La gerarchia delle fonti nel sistema inglese

1­ Fonti impositive

a) il precedente giudiziale; base vincolante per i giudizi posteriori): siamo al contrario della lex posterior, criterio pressoché esclusivo di abrogazione (cessazione di efficacia) nella Civil Law; il precedente (cioè la sentenza che ha risolto un caso giudiziario) crea diritto oggettivo: stare decisis et quieta non movere (sistema stabilizzatosi nel 1800).

Vincolo per le sentenze provenienti da corti superiori. Non casualmente: sentenze difformi di giudici inferiori potrebbero essere smentite da superiori in appello.

Non sempre però c'è uno stretto obbligo di conformarsi al precedente. L'analogia può essere solo parziale (restrictive distinguishing: il giudice si sottrae per questo) oppure errata o palesemente troppo arcaica (genuine distinguishing).

Si può avere quindi un intervento demolitore (overruling): più frequente nelle Corti di ultima istanza (come CS Usa). Subentra nuova regola iuris.

b) la legge e i decreti di origine nazionale;

c) la consuetudine;

d) i libri di autorità, frutto di autori classici.

2­ Fonti storico­persuasive

a) precedenti non vincolanti;

b) obiter dicta (affermazioni parentetiche, non strettamente connesse al dispositivo; la catena logica che va dalla sentenza al dispositivo si chiama ratio decidendi; quindi la sentenza nel suo complesso si può scindere in ratio decidendi e obiter dicta);

c) relazioni delle Commissioni di riforma del diritto

d) testi di dottrina;

e) diritto romano;

f) diritto canonico e diritto mercantile;

g) alcuni valori fondamentali.

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Dopo il primo periodo della storia costituzionale inglese (fino al 1066) basato su consuetudini locali, nel secondo periodo (1066­1485) si afferma la Common law (CL), che nasce da Corti di Westminster sulla base del potere regio e dei giudici itineranti. Crisi dovuta al suo eccessivo formalismo.

Per questo, nel secondo periodo nasce anche l’equity (giustizia secondo sostanza, interventi riparatori di ispirazione morale), con un sistema di corti parallelo al CL, imperniate sulle norme emanate dal Cancelliere del Re. L'Ufficio del Cancelliere (il funzionario più importante del Regno) filtrava le suppliche al Re presentate per avere giustizia, poteva sospendere un giudizio di CoL per sostituirvi una decisione giudicata più equa, con più attenzione ai contenuti e meno alle procedure tradizionali.

Nel terzo periodo (1485­1875) il rapporto tra Cl e Equity si stabilizza: l’Equity è utilizzata in via sussidiaria rispetto al Cl. Alla fine di tale periodo le due giurisdizioni vengono riunificate: il medesimo magistrato giudica dell’uno e dell’altra.

4­ Costituzione: significati e matrici plurali

Significati plurimi:

a) principi fondamentali di organizzazione;

b) specifico documento scritto;

c) complesso di documenti e comportamenti.

Alle spalle anche diverse concezioni:

a) centrata sull’effettività: Schmitt, Costituzione come condizioni dell’unità politica, anima dell’ordinamento; da qui si diparte anche “Costituzione materiale” di Mortati fondata sui partiti politici, che consente di porre il problema dei limiti alla flessibilità di una Costituzione.

b) centrata sul sistema di norme, in particolare sulle norme relative alla produzione di norme: Kelsen; riferimento necessario ma insufficiente a cogliere assetti reali.

Le Costituzioni sono classificabili sotto diversi profili:

a) per formazione: popolari, concesse (mai del tutto), pattizie, imposte;

b) per modificabilità: rigide, flessibili;

c) per modalità di presentazione: scritte, consuetudinarie;

d) per contenuto: brevi (diritti individuali, forma di governo) e lunghe (rischi di svalutazione e conflitti).

Diverse sono anche le tradizioni del Costituzionalismo:

a) quella inglese, centrata sui limiti al potere, che ha alle spalle la lotta contro l’assolutismo regio, che sfocia nella sovranità del Parlamento come organo complesso formato dalle due Camere e dal Re;

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b) quella francese, basata su un’idea di sovranità che sconfina nell’assolutismo, che sfocia in un’idea di sovranità del Parlamento, come Assemblea in grado di esprimere da sola tramite la legge la “volontà generale”.

Lo Stato costituzionale cerca di muoversi in equilibrio tra democratizzazione piena e limiti al potere, tra le due polarità già individuate dall’art. 16 della Dichiarazione francese del 1789: garanzia dei diritti e separazione dei poteri

5­ Stato, sovranità e legittimità: affermazione ottocentesca e crisi

A lungo pilastro fondamentale della giuspubblicistica europea, basato su tre uguaglianze:

a) tra Stato e diritto prodotto;

b) tra Stato e politica come allocazione autoritativa di valori;

c) tra diritto e legge parlamentare.

Gli elementi costitutivi dello Stato moderno sono stati identificati in:

a) popolo;

b) territorio;

c) Governo.

Essi nel complesso davano vita all’idea di monopolio della forza legittima in un dato territorio su una precisa popolazione che nasce verso l’alto in opposizione al Papato e all’Impero e verso il basso contro i poteri feudali. Lo Stato moderno è quindi connesso indissolubilmente all’idea di sovranità (“superiorem non recognoscens”) e alla sua crisi dovuta a vari fattori come l’internazionalizzazione dell’economia, all’esigenza etica di un controllo sul rispetto dei diritti umani dentro gli Stati, ecc.. A loro volta concezioni della sovranità corrispondono a quelle della legittimità (concetto che si riferisce alle modalità con cui il potere è ritenuto giusto e da accettare): queste ultime, nelle democrazie contemporanee, sono essenzialmente popolari e basate in pratica sul ruolo di legittimazione dei partiti. Per legittimazione si intendono le modalità con cui il potere suscita consenso.

Secondo l’impostazione di Mortati l’ideologia che conforma l’ordinamento costituisce il regime, mentre la medesima realtà complessiva può essere definita forma di Stato se si pone al centro l’analisi dei rapporti tra individuo e autorità o Costituzione materiale se si pone attenzione al gruppo di forze che sorregge la Costituzione formale.

6­ Le forme di Stato: evoluzione diacronica

I criteri adottabili per distinguere le FdS

A­ Il tipo di rapporto Stato/società civile (che deriva dall'ideologia);

B­ La titolarità e l'esercizio (ripartito o accentrato) del potere politico;

C­ La derivazione del potere e la sua natura monolitica o pluralistica;

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D­ Il riconoscimento formale e l'effettività dei diritti di libertà;

E­ L'esistenza di una Costituzione e il ruolo effettivamente svolto da essa.

Questi 5 criteri sono utilizzati in quest'ordine per esaminare tutte le FdS seguenti.

Le FdS in senso diacronico

Col feudalesimo non si ha una FdS,

ma solo rapporti contrattuali privatistici Re/vassalli (A);

Non c'è sovranità vera e propria (B);

C'è un embrione di potere nel feudatario anche se formalmente c'è un ruolo di Papato e Impero (C);

Non ci sono diritti, ma solo privilegi per consuetudine o per patto (D);

Non c'è una vera e propria Costituzione, ma solo alcuni limiti legati al diritto di natura e ai patti (E).

La prima FdS è lo Stato assoluto, con la nascita degli Stati nazionali.

C'è uno sviluppo del capitalismo mercantile e manifatturiero e nasce uno Stato­apparato anche per riscuotere le tasse (A);

La Sovranità appartiene alla Corona, al re si impongono le leggi di successione per il resto è legibus solutus (quod principi placuit legem habet vigorem) (B);

Il potere è accentrato nel Monarca (legislativo, esecutivo e giudiziario), ma vi sono anche autonomie locali; si ritiene che il Re abbia origine divina (C);

Non ci sono neanche qui diritti, ma pretese privatistico­patrimoniali basate su forza economico­sociale (D);

Non c'è Costituzione, ma solo vincoli al Re per leggi di successione e diritto naturale (E).

In Inghilterra, tuttavia, grazie al raccordo tra aristocrazia e borghesia costituito dalla aristocrazia rurale e per privilegi feudali, la monarchia è solo limitatamente assoluta, a differenza del Continente e soprattutto della Francia (scontro borghesia imprenditiva/rendite parassitarie dei nobili).

La seconda FdS è Stato liberale (liberale­legislativo­oligarchico), che succede a Stato assoluto, caduto per eccesso di costi finanziari e per ascesa borghesia, senza traumi in Gb e Usa, con frattura in Francia, con genesi dall'alto in Italia e Germania.

Netta separazione pubblico/privato e Stato "gendarme", attento a assicurare proprietà (A);

Sovranità alla Nazione (identificata nella classe borghese) che si fa valere tramite lo Stato (versione Ita e Germ) o il parlamento (assolutismo parlamentare Fra, temperato Gb) (B). Separazione esecutivo/legislativo più radicale all'inizio, temperata dopo conquista Governo da parte di borghesia) e più lenta autonomia del giudiziario (più facile in Gb e Usa, più condizionato altrove da esecutivo per organizzazione e da legislativo per contenuti);

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Principio della rappresentanza tramite elezione e divieto di mandato imperativo in Stato monoclasse (C);

Diritti civili come libertà negative, a cominciare dal diritto di proprietà; gli altri diritti hanno sorti diverse, più tutelati in Gb, subordinati allo Stato in Ita e Germ (intesi come auto­limitazioni dello Stato) (D);

Costituzione flessibile e quindi Stato legislativo, Stato di diritto (vincoli più forti in Gb, in Europa continentale la legge difende dall'arbitrio dell'amministrazione, ma non da quello del parlamento medesimo) (E).

Dalla crisi dello Stato liberale si è usciti in tre modi:

­ con un graduale perfezionamento della democrazia in termini di espansione del suffragio e con nuovi diritti e prestazioni specifiche da parte dello Stato (Stato sociale),

­ o con due diversi esiti non democratici, uno di destra (Stato autoritario/fascista) e uno di sinistra (Stato socialista/sovietico e derivati).

Lo Stato sociale

Interventista in economia per limitare concentrazioni, economia mista (A);

Sovranità popolare con limiti, distinzione maggioranza/opposizione (B);

Stato pluriclasse e affievolimento del divieto di mandato imperativo con ascesa dei partiti e ruolo degli elettori come decisori sul Governo (C);

Diritti politici e sociali, uguaglianza delle posizioni di partenza (D);

Stato costituzionale con limiti procedurali e di contenuto affidati soprattutto alle Corti costituzionali (Inghilterra esclusa) (E).

In anni recenti crisi economico­sociale dello Stato sociale (assistenzialismo) e risposte politiche diverse per "quadrare il cerchio" (Dahrendorf) tra crescita economica, libertà civili e politiche, coesione sociale. Governi di centro­destra: sacrificata spesso coesione sociale in favore della crescita economica. Governi di centro­sinistra: sacrificata spesso crescita economica per privilegiare coesione sociale. Crisi politica: difficoltà dei partiti di massa, soprattutto dove impegnati in formule consociative. Crisi giuridico­costituzionale legata a crisi dello Stato nazionale. Tuttavia le risposte alla crisi possono essere trovate dentro i principi dello Stato sociale.

Lo Stato autoritario (Stati fascisti)

Basato sulla piccola borghesia e su desiderio di ordine. Diversità interne: nel fascismo persistono spazi relativamente autonomi (Chiesa cattolica, Corona, ecc.) e il ruolo del partito unico è subordinato allo Stato, mentre in Germania c'è una vera mobilitazione attiva delle masse, un ruolo in questo ben più incisivo del partito. Di conseguenza il nazismo giunge ai livelli di un vero Stato totalitario, mentre il fascismo non riesce ad arrivare a tale stadio in modo compiuto.

Separazione Stato/società attenuata e interventi assistenziali (A);

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Sovranità nazionale (ideologia ultra­nazionalista) e concentrazione poteri nel vertice del Governo (B);

Rappresentanza corporativa e anti­pluralistica (C);

Negazione dei diritti (D);

Erosione progressiva della Costituzione (E).

Lo Stato socialista (sovietico e derivati)

Ascesa dopo rivoluzione russa del 1917 e declino con 1989. Restano Cina e Stati minori dell'Asia, oltre a Cuba.

Superamento proprietà privata e collettivismo, affermazione di un ceto burocratico fino al massimo di totalitarismo con Stalin (A);

Rifiuto separazione poteri e affermazione del principio dell'unità del potere statale con primato formale dei parlamenti e sostanziale dei vertici monocratici del parlamento e del partito (B);

Mandato imperativo, elezioni non competitive e monopolio dei partiti comunisti (o unici o con satelliti), basati sul centralismo democratico (C);

Riconoscimento formale dei diritti, soprattutto economico­sociali, ma dentro vincolo ideologico di "legalità socialista" che conduce a loro negazione (D);

All'inizio Costituzioni­bilancio (tappe realizzate verso il socialismo) poi Costituzioni­programma cariche di enunciati ideologici, mancanza di vera rigidità (ratifica delle decisioni di partito) e di controllo di costituzionalità (E).

Dopo tentata riforma interna di Gorbaciov (post 1985) adozione di modelli analoghi a quelli occidentali, ma con esiti diversi: migliori in area centro­europea, peggiori nei Balcani e negli Stati ex­Urss (semi­democrazie). Apertura parziale a forme di economia di mercato negli Stato socialisti residui, ma senza intaccare monopolio del partito unico o dominante.

Stati in via di sviluppo

Per gli Stati in via di sviluppo (categoria residuale) tre elementi comuni (colonizzazione, sottosviluppo, identità nazionale debole) e quattro cicli: adozione modello liberal­democratico della madrepatria con fallimenti, esiti autoritari e militari, spesso ulteriore evoluzione verso socialismo (o filo­sovietico o in senso meno ideologizzato con lo Stato come leva per lo sviluppo), nuovo trend democratico post­1989 con esiti diversi (migliori in Sudafrica).

In alcuni casi si è avuto però anche un esito tradizionalista con un ruolo alquanto pervasivo della religione (Iran). Incerti gli esiti, specie a causa del rapporto tra sfera politica, ruolo della religione (e talora anche rispetto a istituzioni militari) delle transizioni più recenti nel Nordafrica.

7­ L’Unione europea parziale risposta alla crisi dello Stato

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Per far fronte alla crisi dello Stato sul nostro continente si è sviluppata l’originale esperienza dell’Unione europea, secondo un processo simile a quello degli stati federali, ma ancora insufficiente per ciò che concerne controlli e legittimazione.

L'Unione Europea si colloca a cavallo tra le categorie di Confederazione e di Stato Federale.

Della prima ha la genesi (trattati internazionali) e un elemento strutturale (la centralità dei meccanismi di concertazione tra i Governi, che si esprimono nel rilievo decisivo del Consiglio dei ministri per la produzione normativa e in quello del Consiglio europeo dei capi di Governo). Sedi in cui si vota per le questioni più importanti con ampie maggioranze qualificate e, in qualche caso, all'unanimità.

Della Federazione ha però 3 elementi: il carattere direttamente vincolante del diritto comunitario per i cittadini nelle materie di propria competenza, il rafforzamento pur relativo dei poteri del Parlamento, giunto a condizionare in modo significativo la Commissione (i cui membri sono però scelti dai Governi nazionali) e la presenza di una Corte di Giustizia competente a statuire sulle violazioni dei Trattati da parte degli Stati membri.

Col Trattato di Lisbona ci sono state varie novità: elenchi precisi di competenze esclusive e concorrenti; aumento, pur timido, dell’area delle decisioni a maggioranza; inclusione della Carta dei diritti di Nizza, giustiziabile dalla Corte di giustizia; superamento della Presidenza semestrale del Consiglio in favore di una di due anni e mezzo; rafforzamento, pur timido, del Presidente della Commissione sui commissari; più forte legame tra Commissione e Parlamento. Con le elezioni europee abbiamo assistito la novità delle indicazioni preventive delle varie famiglie politiche per la guida della Commissione europea, a cui dovrebbe poi coerentemente seguire una maggiore valorizzazione istituzionale di tale ruolo.

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Sintesi n. 3 corso triennale 2014­2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 3 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 3­ Il modello democratico e la classificazione delle forme di governo

Riferimento: si segue il Manuale Lanchester Cap. III (chi vuole può usare anche l’ Amato­Clementi Capitoli 2, 6 e 8 o il De Vergottini Cap. II o il Morbidelli Cap. V)

“Le monarchie repubblicane sono .. la forma contemporanea che prende la Repubblica nei Paesi più avanzati economicamente e di più antica democrazia”

M. Duverger, “La monarchie républicaine”, Robert Laffont, Paris, 1974, p. 16

1­ La forma di governo, cuore della forma di Stato

Per definire il modello democratico sono di limitata utilità le definizioni puramente normative (di dover essere) che non si pongano problemi di effettiva corrispondenza empirica.

Le democrazie moderne sono essenzialmente rappresentative a causa dei costi individuali e collettivi, cioè sia per motivi quantitativi (nei grandi aggregati la democrazia diretta è inapplicabile) sia per motivi qualitativi (non tutti sono in grado di prendere direttamente decisioni sulla cosa pubblica).

Rappresentanza giuridica (di interessi): vincolo di mandato tra rappresentante e rappresentato.

Rappresentanza sociologica: rispecchiamento delle caratteristiche del rappresentante nel rappresentato.

Rappresentanza politica: nello Stato liberale oligarchico nasce con una sostanziale indipendenza del rappresentante; messa in crisi dal suffragio universale e dall’avvento dei partiti, che organizzano i rappresentati e condizionano i rappresentanti. Il divieto di mandato imperativo si trasforma in sostanza in garanzia dell’indipendenza dell’eletto dal partito durante il mandato.

Il modello democratico (di democrazia pluralista), basato sul bilanciamento tra istanze di autodeterminazione dei singoli e dei gruppi e di limiti ai medesimi, richiede come pre­condizioni:

a) un mercato economico con un certo grado di libertà di iniziativa per individui e gruppi;

b) un sistema sociale articolato, con libertà di dar vita a corpi intermedi naturali o artificiali;

c) un pluralismo politico e istituzionali segnato dal metodo democratico (che si compone a suo volta di regole sul diritto di voto, procedure per garantire la pluralità nella domanda e nell’offerta politica; pluralismo di partiti, di strutture di indirizzo e di controllo, di un esecutivo responsabile).

Due sono i modelli pragmatici che si imposero tra ‘700 e ‘800:

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a) la Costituzione mista inglese (sovranità parlamentare, intesa come articolata tra le due Camere e la Corona);

b) l’assetto razionalistico francese che in nome della sovranità nazionale oscillava tra fasi in cui essa si riteneva espressa nell’Assemblea e fasi di concentrazione plebiscitaria.

Per vari motivi non fu a lungo ritenuto esportabile oltre i suoi confini nel continente europeo il modello Usa (ma diritti fondamentali e giustizia costituzionale costituirono un riferimento nel secondo dopoguerra).

Né lo fu il modello della monarchia costituzionale pura di tipo prussiano per le sue contraddizioni irrisolte tra principio monarchico e democratizzazione, mentre la Costituzione di Weimar (1919) fu invece paradigmatica per i diritti sociali e per una nuova forma democratizzata di equilibrio dualista della forma di governo (poi definita semi­presidenziale).

Il secondo dopoguerra è poi dominato dalla contrapposizione tra forme di democrazia pluralista (con uno schema monista di forma di governo, almeno fino al 1958, con la Quinta Repubblica francese) e forme di democrazia cosiddetta “popolare”.

La Legge Fondamentale di Bonn e il testo della Quinta Repubblica sono poi i riferimenti maggiori utilizzati nella Terza Ondata democratica (Huntington) che abbraccia il periodo dal 1974 fino alle democratizzazioni post 1989.

I tentativi politologici di misurare la corrispondenza tra le caratteristiche di fondo delle democrazie pluraliste e le esperienze reali sono interessanti giacché finiscono per costruire un continuum che vede ai due estremi le democrazie pluraliste vere e proprie (in cui l’alternanza al potere per via elettorale è effettivamente possibile) e gli ordinamenti non democratici (varie forme di autocrazie: monarchie tradizionali, dittature personali, ordinamenti a partito unico), e in posizione intermedia le cosiddette “democrazie di facciata” (esistenza di regole e istituzioni democratiche, ma impossibilità di effettiva alternanza). Categoria quest’ultima che ingloba vari Paesi dell’ex­Urss (a cominciare dalla Russia) e dell’area balcanica (quest’ultima è però oggi in transizione, come dimostrano le domande di adesione all’Unione europea).

2­ La classificazione delle forme di governo: tipologie e sotto­tipologie

Fdg si riferisce ai rapporti tra i supremi organi costituzionali, in relazione alla funzione di indirizzo politico.

Studiare le Fdg comporta lo studio non solo delle norme scritte, ma anche del diritto pattizio (convenzioni) e di quello consuetudinario (che si autonomizza dalle volontà dei contraenti). Esempio: in Ita si parla di consuetudine rispetto alle consultazioni del PdR per la formazione del Governo e di convenzione per i criteri scelti per i soggetti da convocare.

Dall’idea di equilibrio si trae il criterio classico di distinzione, basato sul principio della separazione dei poteri (con la distinzione tra poteri attivi e di controllo, cioè tra pesi e contrappesi) che produce il seguente esito, limitandoci alle sole democrazie pluraliste:

a­ fdg a separazione rigida dei poteri: presidenziale (leggi al Parlamento bilanciate da veto presidenziale; nomine al Pdr con avviso e consenso Senato; potere federativo (potere estero e militare) condiviso tra Pdr e Senato);

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b­ fdg a collaborazione iniziale tra i poteri: direttoriale (il legislativo elegge l’esecutivo, dopo di che i due poteri sono indipendenti senza sfiducia e senza scioglimento anticipato);

c­ fdg a collaborazione tra i poteri: fdg parlamentare e semipresidenziale: rapporto fiduciario e ulteriori possibili aspetti (scioglimento anticipato e sua spettanza, esistenza e ampiezza della controfirma degli atti presidenziali). In origine fdg parlamentare nasce dualista: due poteri (legislativo ed esecutivo) e tre organi (Capo dello Stato, Parlamento e Governo); con espansione del suffragio ha luogo una transizione verso il monismo (con compressione poteri del Capo dello Stato) o nasce un nuovo dualismo interamente basato sul suffragio universale (modello semi­presidenziale) in cui però i poteri attribuiti ai vari organi e la natura del sistema dei partiti appare più decisiva dell’elezione diretta del Capo dello Stato.

Nelle moderne democrazie pluraliste si aggiunge il criterio partitico, in cui convergono il numero dei partiti, la loro strutturazione in poli, nonché la distanza ideologica (presenza o meno di forze ritenute anti­sistema). Elia, ad esempio, distingue le fdg parlamentari in bipartitiche, multipartitiche moderate, multipartitiche estreme; mentre nella presidenziale e in quella direttoriale i partiti incidono più sul funzionamento che non sulla classificazione.

Volpi propone di adottare per la costruzione dei tipi le due sole caratteristiche giuridiche più tradizionali: esistenza o meno del rapporto fiduciario; esistenza o meno dell’elezione diretta del Capo dello Stato.

Ne risulta uno schema didatticamente molto efficace, anche se discusso soprattutto per la separazione in due categorie diverse della fdg parlamentare e di quella semi­presidenziale (l’elezione diretta risponde infatti a finalità diverse a seconda dei casi e non è raccordata in modo univoco ai poteri esercitati):

1­ elez. diretta No, rapporto fiduciario No: forma direttoriale

2­ elez. diretta Sì, rapporto fiduciario Sì: forma semi­presidenziale

3­ elez. diretta No, rapporto fiduciario Sì: forma parlamentare

4­ elezione diretta Sì, rapporto fiduciario No: forma presidenziale.

Anche volendo accettare questa quadripartizione si possono formulare dei criteri ulteriori per identificare in modo più restrittivo i casi rientranti nella forma semi­presidenziale (e simultaneamente più comprensivo quelli parlamentari): in particolare si può sostenere che rientrino in tale tipologia solo gli ordinamenti in cui il Presidente abbia anche poteri autonomi di indirizzo politico (in particolare quello di scioglimento anticipato discrezionale, che consente di riattivare direttamente un rapporto col corpo elettorale e/o anche una sfera autonoma di poteri in ambito estero/militare). Con questo criterio, ad esempio, la Slovenia, dove il Presidente non ha poteri autonomi di quel tipo, transiterebbe dalla forma semi­presidenziale a quella parlamentare.

Volpi propone poi per le due tipologie che comprendono il maggior numero di casi, di integrare questi criteri strettamente giuridici con criteri ulteriori relativi alla determinazione effettiva del’indirizzo politico giungendo così a sotto­tipologie.

Per la forma parlamentare l’esito più convincente è quello di giungere a due sotto­tipologie:

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a­forma parlamentare maggioritaria che poggia su un sistema bipartitico o bipolare, in genere incentivato da formule elettorali selettive (maggioritarie o proporzionali corrette) possibili a causa di cultura politica più omogenea, che dà vita a Governi di norma di legislatura sulla base di una legittimazione popolare diretta (il rapporto fiduciario parte quindi di norma dal voto) in cui il leader del primo partito della coalizione è anche alla guida dell’esecutivo e possiede poteri tali da determinare un forte incentivo alla prosecuzione della legislatura (scioglimento come deterrente contro le crisi), oltre all’esistenza di significativi disincentivi contro le crisi (ad es. mozioni costruttive per le quali è richiesta la maggioranza assoluta della Camera bassa);

b­ forma parlamentare non maggioritaria che poggia su un sistema multipolare, in genere favorito da formule elettorali speculari, a causa di fratture sociali più profonde con un’elevata disomogeneità di culture politiche che dà vita a coalizioni talora anche di legislatura (Grandi coalizioni fisse), ma spesso con un forte turn­over dei Governi alla cui guida si alternano vari leaders di partiti e correnti; sistemi che tendono ad andare in crisi quando praticati a livello di democrazie di grande scala nel contesto dello Stato sociale che comporta un maggiore protagonismo dei Governi (Francia III e IV Repubblica, Italia prima fase della Repubblica). Nonostante quanto sostenuto da Volpi (che ne fa un tipo a parte) tende a rientrare in questa tipologia anche Israele nel periodo in cui l’elezione diretta dal Premier tentava di correggere debolmente le derive assembleari.

Per quella semi­presidenziale all’assetto bipolare o multipolare del sistema dei partiti si aggiunge anche la diversa primazia che può stabilirsi o del Presidente o del Premier, soprattutto sulla base del fatto che i partiti riconoscano il proprio leader nell’una o nell’altra figura. Si possono così distinguere:

a­ forme semipresidenziali maggioritarie a preminenza del Pdr (Francia V Repubblica tranne coabitazione)

b­ forme semipresidenziali maggioritarie a preminenza del Pm (Francia sotto coabitazione, Portogallo)

c­ forme sempresidenziali non maggioritarie a preminenza del Pdr (Weimar II fase)

d­ forme semipresidenziali non maggioritarie a preminenza del Pm (Weimar prima fase).

Lo schema di una preminenza dell’una o dell’altra figura a seconda degli ambiti di competenza, che era tipica del testo storico della Finlandia (fino al 1989) col Pdr prevalente in politica estera e il Pm in politica interna è venuto meno perché l’Unione europea tende a relativizzare quella distinzione, determinando un intreccio fortissimo tra dentro e fuori.

Da tenere presente che la forma presidenziale americana, a causa della separazione tra le istituzioni che impone la necessità di collaborazioni anche difficili (specie nei casi di maggioranze difformi col cosiddetto ‘Governo diviso’), nonostante le formule elettorali maggioritarie per il Presidente e il Parlamento, tende in realtà a funzionare secondo una logica compromissoria, non maggioritaria. Lo stesso vale per la forma direttoriale che realizza una sorta di grande coalizione permanente nell’esecutivo rappresentativo di tutti i partiti maggiori, con la correzione maggioritaria rappresentata dall’uso frequente dei referendum.

Da notare che gli unici casi di transizione da una logica di funzionamento ad un’altra della forma di governo (dalla forma parlamentare non maggioritaria a quella semi­presidenziale maggioritaria in Francia, dalla forma parlamentare non maggioritaria a quella maggioritaria in Italia, non pienamente compiuta) sono avvenute in grandi democrazie (decisiva è la dimensione di scala) segnate dallo Stato sociale fortemente interventista che per sua natura ha bisogno di Governi stabili e forti sul

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piano nazionale (tra forma di Stato e forma di Governo il nesso è stringente, come segnalano Amato e Clementi a pag. 64).

Per questo, nello stesso senso dell’affermazione di Duverger citata all’inizio, Leopoldo Elia nella sua voce sulle forme di governo del 1970, affermava nelle pagine finali di quel contributo, che la quale “le formule presidenziali o neoparlamentari rappresentano una delle tendenze modellistiche immanenti alla vita costituzionale contemporanea, e non soltanto una trovata di professori francesi in vena di political engineering” (Elia 1970, 672). Per questo la spinta a formule elettorali che tendano alla legittimazione popolare del Premier, al di là delle tecnicalità più o meno aggiornate, non appaiono affatto un’anomali, anzi esattamente il contrario, l’eliminazione di un’anomalia.

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Sintesi n. 4 corso triennale 2014­2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 4 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 4 ­ Gli aspetti tecnici dei sistemi elettorali

Riferimento: ci si basa sul Manuale Lanchester Capitolo VI (si possono usare anche il Morbidelli, sezione II del cap. VI e il De Vergottini, sezione III del cap. I della Parte Seconda)

“Naturalmente il sistema elettorale è incapace di suscitare partiti nuovi se le forze sociali non spingono in tal senso, né di impedirgli di nascere in caso contrario. Essi non sono altro che un freno o un acceleratore: il motore è costituito dai conflitti tra i diversi gruppi che compongono la società”

M. Duverger “La démocratie sans le peuple”, Suil. Paris, 1973, p. 55,

1­ Sistema elettorale, formula elettorale e legislazione di contorno

Il concetto di sistema elettorale comprende sia la formula elettorale (meccanismo di traduzione dei voti in seggi: il cuore del sistema) sia la legislazione elettorale di contorno (norme su candidature, ecc.).

I suoi elementi costitutivi sono:

a) il tipo di strutturazione dei modi di scelta che si esprime nella scheda (opzione categorica che impone all’elettore un’unica scelta secca o ordinale, dove si possono graduare scelte diverse);

b) il collegio (uninominale o plurinominale) e le sue dimensioni (il numero di seggi da distribuire: a parità di altre condizioni più il collegio è grande maggiore è la proporzionalità; solo con meccanismi automatici di formule elettorali il collegio è irrilevante); la delimitazione dei collegi espone anche a possibilità di ritaglio partigiano dei medesimi (gerrymandering) o di disuguaglianze successive determinate da spostamenti di popolazione o da diversi ritmi di crescita demografica. Per evitarli sono previsti meccanismi periodici di revisione, spesso col contributo di organi imparziali;

c) la formula elettorale.

Le formule si dividono staticamente in:

maggioritarie (di solito associate a collegi uninominali, eccezione grandi elettori Usa che è caso di formula maggioritaria plurinominale);

proporzionali (di solito con collegi plurinominali, eccezioni vecchio Senato Ita pre 1993 dove in realtà si trattava di un sistema proporzionale a preferenza bloccata).

A loro volta le maggioritarie si dividono in plurality (maggioranza relativa, di solito a turno unico, ma anche con doppi turni aperti a più di 2 candidati come per l’Assemblea nazionale francese dove può accedere chi abbia avuto al primo turno il 12,5% calcolato sugli aventi diritto) e majority (con maggioranza assoluta, di solito con turno doppio chiuso ai primi due, ma si può ottenere anche con

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un doppio voto in unico turno con una sorta di ballottaggio preventivo come per il sindaco di Londra).

Le proporzionali si dividono in metodi del quoziente (più proporzionali) e del divisore (meno proporzionali, il più famoso è quello d'Hondt).

Negli ultimi anni è cresciuta in generale la tendenza verso formule cosiddette miste: una categoria eterogenea che andrebbe forse più correttamente suddivisa in formule a prevalenza maggioritaria (es. la legge Mattarella italiana) e a prevalenza proporzionale (es. la legge greca che distribuisce un 83% circa di seggi con la proporzionale e un 17% con un premio alla prima lista).

Attenzione però a effetti dinamici:

alcuni sistemi maggioritari possono avere effetti proporzionalistici (es., per alcuni aspetti, la legge Mattarella in Italia dove i collegi a turo unico si innestavano in un sistema frammentato e dove quindi le candidature nei collegi erano proporzionalizzate tra gli alleati);

ma, più frequentemente, sistemi proporzionali possono essere corretti a tal punto da poter funzionare come maggioritari (sbarramenti, premi di maggioranza, mancato recupero dei resti e circoscrizioni piccole, cioè con pochi eletti) se non addirittura da garantire un esito maggioritario (sistemi ‘majority assuring’ come nelle Regioni ordinarie italiane e, con qualche eccezione, nei Comuni italiani sopra 15 mila abitanti).

In realtà i sistemi majority assuring dovrebbero essere classificati tra i maggioritari perché tale esito non è una mera correzione che può o meno portare ad un esito maggioritario (a differenza di sistemi proporzionali corretti senza premio) ma lo garantisce, come se si trattasse di un maxi­collegio unico.

2­ Sistemi elettorali nelle grandi democrazie euro­occidentali

Inghilterra: uninominale maggioritario a turno unico formula plurality che è strutturato per tendere a produrre di norma una maggioranza monoparitica (anche se questo non è accaduto nel 2010, determinando una coalizione post­elettorale, gli incentivi di sistema tendono comunque a produrre la maggioranza monopartitica come normale)

Francia: sistema uninominale maggioritario a doppio turno, acronimo SUMADT (sbarramento del 12,5% sugli aventi diritto al voto tra un turno e l’altro) con formula majority al primo turno e plurality al secondo; il suo rendimento, che porta a una bipolarizzazione nazionale, è in realtà dovuto all’effetto combinato con le Presidenziali che a partire dalle riforme del 2000 (quinquennato presidenziale, inversione del calendario elettorale) e, quindi, dal turno elettorale 2002, le precedono di poche settimane

Germania: proporzionale integrale (non è un sistema misto) con metodo del quoziente e sbarramento del 5% (o 3 collegi vinti). Il voto su lista bloccata stabilisce quanti seggi spettano ai partiti, quello nei collegi quali sono i primi degli eletti di ciascun partito. In seguito ad una sentenza recente della Corte costituzionale che ha praticamente soppresso il lieve correttivo maggioritario dei cosiddetti ‘seggi in esubero’ e alla maggiore frammentazione del sistema dei partiti dovuta alla riunificazione con l’emergere del quinto partito (Linke, ritenuto al momento non coalizzabile) la logica maggioritaria precedente che funzionava nonostante la formula proporzionale e che portava a coalizioni con legittimazione elettorale di centrodestra (Cdu­liberali) o di centrosinistra (Spd­Verdi), il sistema ora tende maggiormente a produrre Grandi coalizioni post­elettorali. Va poi

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segnalato che il contenimento della frammentazione era dovuta storicamente anche all’art. 21 Cost. su proibizione partiti antisistema.

Spagna: proporzionale in piccole circoscrizione con formula D'Hondt senza recupero dei resti con sbarramento esplicito del 3% a livello circoscrizionale ma implicito di norma molto più alto che premia i partiti nazionali più grandi, punisce i partiti nazionali piccoli finché restano a livelli non superiori al 5­6% e rappresenta fedelmente i partiti regionalisti (PANE­ partidos de ambito no estatal, per opposizione ai PAES, partidos de ambito estatal). Per arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi basta un 40% circa dei voti purché si abbia qualche punto di distacco dal secondo partito. La Costituzione consente comunque governi di minoranza (rectius: di maggioranza relativa). Sembrano manifestarsi problemi di governabilità stabilizzandosi la tendenza recente alla riduzione dei consensi dei PAES tradizionali (PP e PSOE) a favore dei PAES più nuovi (Podemos e Ciudadanos) al di là delle soglie che sottorappresentavano quelli più tradizionali (Izquierda Unida e il cenrista UPyD).

3­ Sistemi elettorali in Italia

Dopo le formule proporzionali speculari debolmente corrette della prima fase della Repubblica (per la Camera quoziente e collegio unico nazionale per i resti, per il Senato formula D’Hondt su scala regionale

­dal 1993 formule majority assuring per i comuni (con qualche eccezione per quelli più grandi) e dal 1995 per le regioni, “strabiche” perché con sbarramenti bassi dentro le coalizioni;

­per il Parlamento sempre dal 1993 (fino al 2005) formula mista a dominante maggioritaria (legge Mattarella. Tre quarti magg., un quarto proporzionale con analogo strabismo per sbarramenti);

­dal 2005, con applicazione dal 2006, sistema majority assuring a livello nazionale per la Camera e regionale per il Senato, con conferma dello strabismo e quindi della frammentazione intra­coalizionale;

­dopo l’intervento della Corte che ha espunto i premi discussione su sistemi majority assuring con maggiore legittimazione elettorale e sbarramenti più in linea con le correzioni delle democrazie europee medio­grandi.

(si rinvia per i dettagli alla scheda costantemente aggiornata nella parte “materiali didattici” e sul blog www.ceccanti.ilcannocchiale.it)

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Sintesi n. 5 Corso triennale 2014­2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 5 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 5 ­ Il rapporto centro­periferia e la sua evoluzione

Riferimento: Manuale Morbidelli Cap. IV Sez. I (si può usare anche il Lanchester Capitolo IX Sezione I e il De Vergottini Parte Seconda Capitolo I sezione V).

«Da un punto di vista empirico, un governo centralizzato, un governo decentrato, un governo federale, una federazione, una confederazione o lega di governi (stati), un’alleanza, un allineamento, un ‘sistema’ di governi (stati) indipendenti e, infine, governi (stati) privi di ogni relazione, sono tutti casi che presentano differenze di grado nella relazione tra i governi e le persone soggette al loro imperio, nonché tra i primi e il territorio che occupano. I due estremi sono costituiti dal controllo unitario da parte di un solo governante, e da un controllo completamente separato esercitato da governanti distinti, entrambi casi marginali. Il federalismo come processo deve essere inteso come una realtà che lega diversi sistemi di relazioni posti nella sezione centrale del continuum»

C. Friedrich, “L’uomo, la comunità, l’ordine politico”, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 273

Tipi di Stato, federalismo, regionalismo

1­ Tipo di Stato

La separazione verticale dello Stato tra centro e periferia è spesso ricompresa dai Manuali nelle parti sulla forma di Stato perché si riferisce ad uno dei cardini dell'ordinamento. Tuttavia la distinzione tra Stato accentrato (che ha solo terminali periferici da esso strettamente dipendenti, con un mero decentramento burocratico/amministrativo) e Stato composto (dove gli enti territoriali sono espressione delle popolazioni e hanno poteri di indirizzo politico, con un decentramento politico/istituzionale) ha senso solo nella FdS democratica.

Il decentramento politico può esservi realmente solo dove c'è democrazia, ma non necessariamente dove c'è democrazia troviamo forme di decentramento.

Quindi è preferibile parlare di diversi Tipi di stato dentro la FdS democratica.

2­ Diversità di origine, spinta alla convergenza e problemi di categorie

La storia è diversa a seconda dell'origine dei vari Paesi: alcuni sono nati con forti Stati nazionali centralizzati (Francia, Ita post unità), altri invece da un rafforzamento di legami tra Stati originariamente separati attraverso patti tra di essi (Usa, Ch, Germ).

In anni più recenti queste diversità si sono stemperate: gli Stati centralizzati hanno conosciuto processi di decentramento politico e gli Stati sorti dalla federazione di entità prima separate hanno visto un rafforzamento delle entità federali.

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E' quindi relativamente facile descrivere gli estremi di un ideale continuum che veda agli estremi uno Stato centralizzato e all'opposto una Confederazione di Stati, ma siccome oggi la gran parte delle esperienze tendono a porsi in mezzo a questo continuum non è così semplice classificarle, a cominciare dalla differenza sfuggente tra regionalismo e federalismo. A prima vista e in estrema approssimazione si può ricorrere allo schema seguente andando dal massimo al minimo di centralismo:

Stato centralizzato ­ Stato Regionale ­ Stato Federale ­ Confederazione di Stati

Tuttavia non è detto che le definizioni che gli ordinamenti danno di loro stessi coincidano con quelle che si possono dare dall'esterno o comunque con gli esiti del percorso. Ad esempio l'Austria si auto­definisce ed è definita come Federale, ma si può effettivamente dire che i suoi Stati federati (Laender) hanno più poteri delle Comunità Autonome spagnole, cioè di uno stato comunemente classificato come Regionale (in Spagna autodefinito come "autonomico")? A giudizio dei più c'è maggiore autonomia in questo secondo caso.

Ci vuole quindi cautela nell'uso, pur necessario, delle categorie. Possiamo certo dire che lo Stato regionale nasce come più accentrato di quelli federali, ma non necessariamente questo descrive bene la realtà odierna.

3­ Confederazione di Stati

Stati Uniti 1777­1787; Ch 1815­1848; Germ 1815­1867. Limitata aggregazione per fini militari/economici. Non è un vero TdS perché non c'è uno Stato, ma solo un trattato internazionale tra Stati che restano diversi.

Caratteristiche: organizzazione comune molto semplificata con almeno un organismo in cui sono rappresentati Stati, pariteticità; unanimità per principali decisioni; vincoli solo per Stati e non direttamente per individui.

Loro fragilità e tendenza a evolvere in Stati federali. Un'evoluzione supportata da un'ideologia anti­nazionalistica, di aspirazione ad un'unità maggiore.

4­ Caratteristiche normalmente riscontrabili negli Stati federali

A­ Ordinamento statale federale basato su Costituzione scritta e rigida e pluralità di Stati membri con loro costituzioni, subordinate a quella federale;

B­ Ripartizione di competenze nella Costituzione federale (non modificabile unilateralmente con legge ordinaria federale);

C­ Parlamento bicamerale con seconda Camera rappresentativa degli Stati dotata per la revisione costituzionale di poteri analoghi alla prima, anche laddove per le leggi ordinarie il bicameralismo è ineguale (Usa: prima dai legislativi, poi dal 1913 a suffragio universale con permanenza di criterio paritetico; Germania­ i rappresentanti dei Laender, criterio non rigidamente paritetico, ma i più piccoli sovrarappresentati);

D­ Governo composto tenendo conto di Stati federati (formalizzato, Ch; con vincolo di parere Senato in Usa);

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E­ Partecipazione Stati federati alla revisione: o in via mediata, con la seconda Camera federale (Germ) o con i legislativi federati (Usa), o in via immediata con votazione popolare a maggioranza di voti validi e di Cantoni (Svizzera);

F­ Esistenza di un organo federale giurisdizionale (di solito le Corti costituzionali) che decide sui conflitti centro/periferia e la cui composizione risente dell'una e dell'altra istanza (Germania, metà giudici dalla prima Camera e metà dalla seconda; Senato americano dà parere).

5­ Teorie giuridiche sulla natura dello Stato federale: sovranità dello Stato federale e della sua Costituzione

Teorie statiche: ricerca dell'ente sovrano.

Teorie dinamiche: studio del federalismo come processo (oggi prevalenti)

Le teorie statiche si ripartiscono in 3 filoni:

A) Sovranità ripartita Stato federale/Stati federati (autori del Federalist) e concetto dello "Stato composto". Tipica di stati federali che nascono per aggregazione, ma contraddittoria rispetto all'idea di sovranità indivisibile; è una teoria di passaggio, di equilibrio instabile;

B) Sovranità degli Stati membri (Calhoun, Von Seydel) sostenuta da alcuni enti periferici (Baviera. Stati secessionisti del Sud in Usa) per difendersi da crescita di Stati federali fino ad affermare il diritto di secessione che in realtà è tipico della Confederazione; teoria sconfitta in termini materiali e quindi anche nella teoria;

C) Sovranità dello Stato federale, basata soprattutto su superiorità della Cost. federale e sul fatto che essa attribuisce allo Stato federale la "competenza della competenza" e che pone a livello federale sia l'organo di rappresentanza degli Stati (seconda Camera) sia l'organo che decide sul contenzioso (Corte costituzionale). Gli Stati membri non sono quindi sovrani, ma autonomi. E' la teoria largamente prevalente tra quelle statiche.

Tuttavia sono in crisi i concetti tradizionali di Stato e sovranità su cui esse si basavano. Per questo le teorie dinamiche sono preziose nel sottolineare il passaggio pressoché generale dallo Stato federale liberale (competenze economiche a Stati) a quello federale sociale (crescita del ruolo compensativo dello Stato federale, garante dell'uguaglianza su tutto il territorio) e a spingere verso studi più puntuali sui singoli Stati.

6­ Competenze ed evoluzione dello Stato federale odierno, un sottotipo dello Stato decentrato

Modello Usa: competenze tassative Stato federale (art. I, sez. 8), il resto a Stati federati.

Modello europeo: anche qui c'è clausola dei poteri residui a Stati federati (art. 70.1 LF Germ.), ma c'è in più un grande rilievo della legislazione concorrente per cui lo Stato può espandersi a danno dei Laender non tanto secondo lo schema della nostra concorrente (principi­dettagli) ma “quando e nella misura in cui la creazione di condizioni di vita equivalenti nel territorio federale o la tutela dell’unità giuridica o economica nell’interesse generale renda necessaria una disciplina legislativa federale” (art. 72.2).

Il passaggio al federalismo sociale è avvenuto attraverso la giurisprudenza delle Corti (ad es. nell'interpretare in modo evolutivo dal 1937 la cosiddetta "clausola del commercio interstatale

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dell'art. I sez. 8 comma 3 della Cost. Usa), e norme come quella dell'art. I sez. 8 u. c. della Cost. Usa (clausola dei "poteri impliciti").

Esso si è tradotto in federalismo cooperativo, in interventi coordinati dei vari livelli di Governo col ruolo decisivo di quello federale e si è espresso con:

A­ Cambiamento di significato del principio di sussidiarietà (cfr. LF Germ. art. 72.2). In origine serviva a difendere gli Stati federati, ma poi è diventato ambivalente; in Stati federati più spesso usato negli ultimi decenni a favore di livello federale;

B­ Spostamento del baricentro del federalismo fiscale: una quota largamente maggioritaria delle risorse (circa il 70%) è in realtà assegnata agli Stati federali e lo stesso finanziamento delle entità federate per le loro competenze proprie dipende in realtà dallo Stato federale (cfr. XVI emendamento Usa);

C­ Affermazione (di fatto e di diritto) del principio di collaborazione per la determinazione congiunta di alcune importanti scelte (nella seconda Camera, con proposte o pareri, ecc.).

L'esito di quest'analisi dinamica è allora quello di rilevare che dove non c'è accentramento, la vera cesura è tra Confederazione e Stati decentrati (federali e regionali) nel loro insieme. Lo Stato federale è infatti poco distinguibile da quello regionale se non come vedremo tra breve) per la sola differenza qualitativa della partecipazione determinante degli Stati federati alla revisione costituzionale.

Confederazione­ Stato decentrato (sottotipi: federale e regionale) ­Stato accentrato

Negli ultimi anni sono talora emerse alcune tendenze in senso opposto, ad es. col new federalism di Reagan, tese a spostare sugli Stati federati alcuni compiti sociali. Tuttavia non risulta sostenibile nessuna equazione tra liberismo e federalismo (il thatcherismo inglese è stato fortemente centralista), né nessun nesso obbligato tra il federalismo e una data forma di governo (federalismo­presidenzialismo).

7­ Stato regionale: caratteristiche

Realtà recente (Italia, Spagna), sorta per devoluzione poteri da Stato accentrato.

Caratteristiche:

A­ Riconoscimento costituzionale di enti autonomi intermedi ed elettivi, con una dimensione di scala tali da consentire loro di interloquire col potere centrale (a differenza dei normali Comuni e Province) che coprono tutto il territorio con propri Statuti, da approvare con legge statale;

B­ Attribuzione alle Regioni di competenze legislative e amministrative, ma non giurisdizionali;

C­ Possibile ma minoritaria presenza di rappresentati regionali nella seconda Camera (no Ita, un quarto membri in Spa);

D­ Limitata partecipazione al procedimento di revisione costituzionale (Ita: art. 138), da cui comunque l'esito finale può prescindere;

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E­ Attribuzione ad una Corte costituzionale del potere di risolvere i conflitti Stato/Regioni, con una prevalente o esclusiva estrazione di carattere nazionale.

Vi rientrano tradizionalmente Ita e Spa. Dal 2003 vi rientra anche la Francia, da quando cioè vi è stato il riconoscimento costituzionale delle Regioni con un'apposita revisione della Costituzione; prima la Fra era considerata solo in via di regionalizzazione.

8­ Natura giuridica dello Stato regionale: sottotipo dello Stato decentrato

Alcune teorie, che riflettevano la debolezza iniziale delle Regioni, hanno descritto lo Stato regionale all'interno della figura dello Stato unitario, concependole in sostanza come Comuni e Province (Mazziotti).

Poi altre teorie (Ambrosini) lo hanno descritto come intermedio tra Stato federale e unitario quando gli Stati federalisti erano ancora ispirati al federalismo liberale e duale.

Alcune teorie più recenti (de Vergottini), cogliendone l'evoluzione nel senso di un ruolo più pronunciato, descrivono lo Stato regionale come un sottotipo dello Stato decentrato distinto dallo Stato unitario accentrato (vedi schema al punto precedente). Le Regioni degli Stati regionali odierni sarebbero quindi molto simili per poteri agli Stati federati delle entità federali (nella comune cornice dei valori degli Stati sociali contemporanei), anche se, a differenza degli Stati federati, non dotate di un vero e proprio potere di veto sulla revisione costituzionale.

9­ L'evoluzione italiana in corso letta in chiave comparata

Le riforme italiane dello Stato regionale (1995 riforma elettorale e 1999 revisione costituzionale con elezione diretta del Presidente, 2001 Titolo Quinto con maggiori competenze) si sono mosse dentro una certa regolarità comparatistica (stabilità esecutivi, maggiore autonomia) ma sono state contraddittorie perché hanno riproposto un modello vecchio di competenza concorrente (basato sullo schema non gestibile dei princìpi allo Stato e dei dettagli alle regioni non a caso soppresso da alcuni anni in Germania) e non hanno sin qui intaccato la struttura del Parlamento (seconda Camera) dove dovrebbe svolgersi il dialogo tra i legislatori (col Senato di rappresentanza regionale), in assenza del quale la Corte costituzionale è inevitabilmente sommersa dai conflitti.

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Sintesi n. 6 corso triennale 2014­2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 6 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 6 ­ Principali forme di governo delle democrazie europee, indirizzo politico tra Costituzione e effettività, evoluzione della forma di governo italiana

Riferimento: Manuale Lanchester Cap. X e Amato­Clementi Cap. VIII(si possono usare anche il Morbidelli Cap. V e il De Vergottini Parte Seconda Cap. II, sezione IV)

“Sola grande nazione a figurare nell’Europa dell’impotenza politica, l’Italia vi ha rimpiazzato la Francia, che la superava prima del 1958 quando ventidue Governi si era succeduti a Parigi dal luglio 1946 contro ndici a Roma in qui dodici anni “

M. Duverger, “La nostalgie de l’impuissanc”, Albin Michel, Paris, 1988, p. 117

Nota di metodo: mentre nella sintesi n. 3 si faceva attenzione alle classificazioni, qui l'accento è sui singoli ordinamenti.

1­ Premessa

A­Premessa: elementi comuni che investono tutte le forme di governo democratiche.

Perché non si può far a meno di esecutivi forti e democraticamente legittimati: non solo per efficienza, ma anche per efficacia degli ideali democratici .

Accrescimento del ruolo dello Stato e di conseguenza centralità dell’esecutivo nelle grandi democrazie dopo gli anni ’30 e mutamento del ruolo dei Parlamenti (Amato­Clementi, p. 64)

Democrazie che non hanno risolto nodo di stabilità ed efficienza Governi pesano di meno anche in decisioni prese in realtà sovra­nazionali a cominciare da Ue

2­ Inghilterra: un rapporto di fiducia che nasce dal corpo elettorale

L’evoluzione inglese è così schematizzabile:

­monarchia limitata (sin dall’inizio mai veramente assoluta perché temperata da giudici e Camere);

­monarchia costituzionale: il Re nomina il Governo, ma esso non può prescindere dalla maggioranza che si fa valere con l’impeachment contro i ministri sgraditi per la loro politica;

­monarchia parlamentare post­1782 (fiducia parlamentare decisiva per il mantenimento in carica del Primo ministro) e 1834 (transito del potere di scioglimento dal Monarca al Gabinetto) con fusione Governo­maggioranza (il Governo come comitato direttivo della stessa) e l’Opposizione alternativa;

­con i due Parliament Acts del 1911 e del 1949 ridotti poteri della seconda Camera a veto temporaneo

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Paradigma della fdg parlamentare maggioritaria o “parlamentare a bipartitismo rigido” (Elia).

Novità degli ultimi anni: il referendum sul sistema elettorale (con la conferma del tradizionale sistema uninominale maggioritario) e legge sulla durata fissa del Parlamento (con alcuni limiti al potere di scioglimento del Premier, ora analoghi a quelli tedeschi)

3­ Gli Usa. Le istituzioni separate che condividono il potere

Per gli Usa l’equilibrio sociale tradotto nella Cost. inglese e spiegato da Montesquieu riadattato al diverso contesto dell’equilibrio tra Stato federale e Stati federati. La separazione è bilanciata dal principio dei pesi e dei contrappesi. La separazione strutturale “si rovescia in compartecipazione” nell’esercizio (Elia).

Posizione costituzionale del Pdr cresce per espansione ruolo Stato federale, specie dopo crisi anni ’30, e per maggiore ruolo internazionale Usa, ma in politica interna rilevante ruolo Congresso specie in periodi di Governo diviso. Si ha quindi sia rafforzamento del Presidente sia negoziato permanente col Congresso. La paralisi è evitata solo grazie all’assenza di disciplina di voto in Parlamento, che però ha il difetto di rendere impossibile la chiara imputazione di responsabilità.

Le due distinte fasi delle elezioni presidenziali: primarie (scelta dei candidati) e elezione vera e propria con sistema maggioritario plurinominale a livello di Stati (unica fase normata da Cost.).

Veto presidenziale può paralizzare leggi giacché superarlo a due terzi è quasi impossibile, esattamente come l’impeachment (ma vale il silenzio­assenso; solo quando il Congresso si aggiorna scatta il pocket veto, la regola opposta del silenzio­rifiuto); il contropotere del Congresso può bloccare grazie al bilancio varie iniziative del Presidente e l’intera amministrazione federale.

Si ha sia rafforzamento del Presidente sia negoziato permanente col Congresso. La paralisi è evitata solo grazie all’assenza di disciplina di voto in Parlamento, che però ha il difetto di rendere impossibile la chiara imputazione di responsabilità.

L’alto quorum per l’impeachment non consente la parlamentarizzazione e l’assenza di partiti con disciplina di voto in parlamento dà vita ad una storia diversa. Dove tale disciplina esista il modello non potrebbe riprodursi in modo felice.

Negli ultimi anni radicalizzaizone dei parlamentari sull’asse destra­sinistra che rende più difficoltoso il negoziato.

4­ La Francia dalla III alla IV Repubblica: la deriva assembleare

La crisi del 1877 e la caduta del potere di scioglimento anticipato del Presidente. Un parlamentarismo in cui dalla III alla IV Repubblica i Governi si basano sulla fiducia parlamentare ma al di fuori di un rapporto con l’elettorato.

Il doppio turno di collegio non è sufficiente da solo a strutturare in modo nazionalmente coerente la rappresentanza parlamentare.

Il discorso di De Gaulle a Bayeux. La separazione tra continuità resistenziale e nuovo assetto costituzionale, l’accusa di sostanziale continuità con la Terza Repubblica

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Il fallimento della Quarta Repubblica, nonostante la somiglianza dell’investitura con la Germania e un nuovo sistema dei partiti (bloccato al centro, analogamente all’Italia, ma con più frammentazione nell’area di governo). Non servì la riforma elettorale del 1951 a premio di maggioranza e la réformette del 1954

L’importanza storico­comparatistica del dibattito del 1956 con l’alternativa tra neo­parlamentarismo (Duverger) e semi­presidenzialismo (Vedel): il “revisionismo dei professori”

Emblematica della fdg parlamentare non maggioritaria o “fdg parlamentare a multipartitismo estremo” (Elia).

5­ Germania e Spagna: l’estensione della fdg parlamentare maggioritaria oltre l’Inghilterra

Germania: testo più significativo del secondo dopoguerra sia perché scritto (a differenza di Gb) sia perché non suppone un bipartitismo, ma solo un bipolarismo.

3 perni: art. 63 (elezione parlamentare del solo Cancelliere), 67 (mozione costruttiva, in realtà meno rilevante di quanto si dica) e 68 (rigetto della fiducia che apre allo scioglimento usato a partire da precedente Brandt nel 1972 e che porta a sostanziale slittamento del potere di scioglimento sul Cancelliere, o all’art. 81, stato di emergenza legislativa).

Comparazione Weimar/Bonn:

elezione diretta/indiretta Pdr;

Cancelliere nominato (e revocabile) da Pdr; eletto da Bundestag (e revocabile con sfid. costruttiva)

Fiducia implicita/assorbita in elezione parlamentare

Sfiducia semplice/costruttiva

Scioglimento Pdr (controfirma Cancelliere ma aggirabile con revoca)/deciso da Cancelliere dopo uso art. 68 e firmato da Pdr.

Fino a riforma costituzionale del 2005 che ha ridotto poteri di veto del Bundesrat talora maggioranza costretta a “grande coalizione di fatto” se minoritaria al Bundesrat.

Problemi degli ultimi anni: maggiore frammentazione partitica e tendenza a Grandi Coalizioni più frequenti.

Spagna: riprende Legge Fondamentale di Bonn. transizione "pactada" guidata dal Re, approvazione formale da vecchie Cortes franchiste. Tutti hanno interesse a ampia convergenza: centro­destra e destra maggioritarie in Cortes costituenti per legittimarsi rispetto a passato, sinistre sono in stato di necessità e vogliono sanare Guerra Civile.

Poteri Re non compressi come in Svezia, ma limitati da controfirma ministeriale, talora di Presidente della Camera (proposta candidati a Pres. Governo, nomina eletto, scioglimento­sanzione). Art. 68: costituzionalizzati principi di sistema elettorale proporzionale fortemente corretto.

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PdC ha scioglimento libero (art. 115). Sfiducia costruttiva con cambiamento di funzione: serve di fatto a presentare candidato alternativo dell'opposizione agli elettori. Fdg maggioritaria con Governi di maggioranza assoluta o minoritari con appoggio esterno partiti regionali.

Anche qui siamo quindi in fdg parlamentare maggioritarie o, secondo Elia, di fronte a “fdg parlam. a multipartitismo temperato”. Però la nuova frammentazione sembra annunciare anche qui Grandi coalizioni per la prossima legislatura

6­ La forma semi­presidenziale maggioritaria in Francia e la sua imitazione in Portogallo

Tre strati del testo del 1958:

­Pdr forte (de Gaulle): nomina Pm, presidenza Cdm, scioglimento senza controfirma;

­Premier forte in governo e Governo su parlamento (Debré): art. 34 su fonti, limitazione emendamenti, controllo ordine del giorno Camere;

­parlamentarismo razionalizzato su fiducia (ministri di Stato): art. 49 e in particolare comma 3).

Due scelte decisive a completamento: il sistema elettorale maggioritario sin dal 1958, l’elezione diretta nel 1962 (che conferma l’interpretazione presidenzialista praticata tra 1958 e 1962) e i due voti in sequenza nel 1962.

Definito semi­presidenziale (Duverger) per indicare soprattutto il dualismo dell’esecutivo oppure “a componenti presidenziali e parlamentari” (Elia).

L’alternanza (1981) e le coabitazioni: senza grandi effetti le prime due anche perché breve (1986­1988 e 1993­1995), più problematica la terza (1997­2002) che porta al quinquennato presidenziale (settembre 2000) e all’inversione dell’ordine delle elezioni con la precedenza di quelle Presidenziali a partire dal 2002.

Interpretazione poteri PdR in coincidenza di maggioranze e in coabitazione:

Nomina Primo Ministro sostanziale/ratifica di Pm indicato da maggioranza con elezioni;

Revoca Pm: Sì/No (nel testo non c’è, si impone in coincidenza perché magg. Modellata su Pdr)

Potere referendario: Sì/No (nel testo è su proposta Governo, in coincidenza Pdr se lo fa chiedere)

Esteri/difesa: pieno/condiviso (nel testo non ci sarebbe, fondato su interpretazione 1958­1962).

Nel 2008 riforma costituzionale con tetto a due mandati consecutivi per il Pdr, ampliamento della giustizia costituzionale e riconoscimento diritti specifici a Opposizione e minoranze.

Portogallo è unico caso degli ani ’70 che si ispira a Francia (ma anche radici autonome elezione diretta con caso Delgado in 1958 per brogli in elezione semi­democratica): la difficile transizione tra civili e militari.

Il primo patto partiti­militari (11 aprile 1975) e i limiti ideologici "socialisti", la costituzione di organi militari dominanti sui civili (Consiglio della Rivoluzione). 25 aprile 1975: elezioni Costituente e spostamento progressivo a favore civili.

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Secondo patto (26 febbraio 1976) e nuovo equilibrio: molti poteri spostati da CdR (a cui resta competenza su militari e funzioni di controllo di costituzionalità) su PdR (tra cui revoca Governo). Clausola militare implicita per PdR eletto direttamente, trait d'union civili/militari.

Clima di sfiducia reciproca; riflessi in grande quantità materie sottratte a revisione costituzionale: tutti punti chiave Fds e sistema elettorale. Affermata doppia fiducia, Governo revocabile e PdR ha scioglimento senza controfirma (ma necessario potere favorevole CdR), oltre che potere di veto su alcune materie. Obbligatorio per Governo passaggio parlamentare con presentazione programma, ma voto non è obbligatorio e si computano nel caso solo voti negativi che debbono arrivare a magg. assoluta per obbligare a dimissioni.

Dopo primi anni di incertezza e di frammentazione parlamentare con un certo attivismo del Pdr Eanes (un generale) revisione 1982 che elimina ruolo improprio militari e, di conseguenza, anche clausola militare implicita: scompare CdR e nasce Tribunale Costituzionale. Sostanzialmente inalterati rapporti PdR/Governo: affievolito formalmente principio della doppia fiducia ("responsabilità politica" Governo solo verso camera, verso PdR si parla solo di "responsabilità" senza aggettivi), ma resta revoca e scioglimento non più vincolato a parere conforme CdR.

Elezione di Soares a PdR (socialista, primo civile), ma maggioranze stabili di centro­destra (Cavaco Silva, liberale, anche se nominalmente socialdemocratico) in sostanziale bipartitismo. La Fdg si stabilizza come semi­presidenziale maggioritaria a preminenza del Premier.

7­ La transizione italiana incompiuta: la forma di governo parlamentare maggioritaria (o neo­parlamentare) dai comuni alle Regioni e l’incertezza nazionale

In tutto il periodo statutario per la debolezza delle forze politiche il Re ha un ruolo rilevante su pot. estero (I guerra mondiale) ed anche sulla nomina del governo (cfr. nomina e revoca Mussolini), in taluni casi anche sullo scioglimento.

Con la nuova Cost. scioglimento limitato da impossibilità di revoca del PdC (la controfirma c’era anche prima, ma si poteva aggirare con la revoca); per la nomina a differenza di altri paesi come Germ. il potere è più significativo (è vera, anche se preceduta da consultazioni, non indicazione di un candidato) e quindi diventa sostantivo in caso di crisi (Gov. tecnici, Ciampi e Dini).

Nei primi decenni la “conventio ad excludendum” è bilanciata dalla “conventio ad consociandum”; l’instabilità è più temperata rispetto alla Quarta Rep. Francese per l’esistenza di un partito perno che fino al 1983 è intorno alla soglia del 40%. In seguito il rendimento peggiora, soprattutto dopo il 1989.

Eteroriforma per via referendaria, interventi puntuali e talora strabici.

Livelli inferiori sin dal 1993: Comuni, Province e Regioni. Una forma di governo forte (modello Duverger del 1956) con sistemi a base proporzionalistica.

Le tensioni della transizione sulla forma di governo hanno riguardato:

­maggioranze difformi tra le due Camere, entrambe in maniera comparatisticamente anomala titolari del potere fiduciario)

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­per un verso la persistente debolezza del mandato popolare al Governo di inizio legislatura, con la conseguente tensione sul potere di scioglimento (che tipo di Governi si possono/si debbono formare durante la legislatura se esso cade?);

­l’incoerenza tra diritto elettorale e diritto parlamentare: i criteri per la costituzione dei Gruppi solo numerici e non anche politico elettorali, assenza di reale corsia preferenziale per Governo in parlamento e, specularmente, di nuove garanzie per opposizione e minoranze

­per altro verso il mancato bilanciamento del nuovo ruolo del Governo con nuove garanzie e un organico Statuto dell’opposizione.

Il diritto comparato offriva già ampie riflessioni consolidate in merito, soprattutto nel modello di Premierato elaborato dalla sinistra democratica francese, anche se spesso erroneamente (Sartori) ricondotto al modello israeliano. Israele dopo il 1996 sembra simile a modello Duverger nel 1956, ma se ne allontana perché mantiene proporzionale pura per Camera (sbarramento basso all'1,5%) e non è rigoroso su simul stabunt simul cadent. In vari casi ammesse elezioni speciali per solo Premier. Resta in realtà, nonostante elezione Premier, fdg parlamentare non maggioritaria e prime elezioni speciali in 2001 che provocano coabitazione determinano un ritorno all'indietro (eliminazione dell'elezione diretta).

Inoltre le più recenti esperienze costituzionali rispetto alla forma di governo, laddove le Carte siano state scritte nell’intento di andare verso una fdg parlamentare maggioritaria, tenendo conto della possibile frammentazione parlamentare, presentano, alcune regolarità (Lauvaux) ignorabili solo se ci si muove in una chiave italocentrica e secondo vecchi schemi assemblearistici:

­una ispirazione e/o una pratica monista pressoché univoca (esclusa la sola Francia);

­delle modalità di formazione del Governo tese a ridimensionare il ruolo del Capo dello Stato e a formalizzare il vincolo col risultato elettorale (in particolare in Spagna e Svezia attraverso il ruolo del Presidente della Camera, in Portogallo e in Grecia richiamandosi ai risultati delle elezioni in modo esplicito);

­la eccezionalità delle crisi di governo tramite approvazione di mozioni di sfiducia e il mutamento di ruolo della loro presentazione (come atto simbolico all’elettorato per dimostrare che l’opposizione è pronta all’alternanza sulla base delle future elezioni); la rapida riconduzione anche della crisi tedesca del 1982 alle convenzioni da fdg parlamentare maggioritaria; tutto in ciò in contesti segnati da sistemi elettorali selettivi, maggioritari o proporzionali corretti;

­il riconoscimento formale del potere deterrente di scioglimento al Governo (Spagna), anche qualora sfiduciato (Svezia) o anche in via di fatto (Germania: precedenti del 1972, del 1983 e del 2005).

La revisione costituzionale in itinere tocca solo indirettamente questi aspetti, se si esclude l’eliminazione dell’anomalia del doppio rapporto fiduciario con Camera e Senato.

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Sintesi n. 7 corso triennale 2014­2015

Corso 2014/2015

Sintesi n. 7 corso triennale inizia il 2 marzo in aula A

Versione 14/2/2015

Sintesi n. 7 Giustizia Costituzionale

Riferimenti: Manuale Lanchester cap. II, pp. 64/66 e cap. X, p. 432; Manuale Morbidelli cap. VII; Manuale De Vergottini Cap. III, sezione V, paragrafi 16 e 17

“La legge è l’espressione della volontà generale nel rispetto della Costituzione”

Georges Vedel, affermazione inserita nella Decisione del Consiglio Costituzionale, 23 agosto 1985, Loi sur l’évolution de la Nouvelle­Calédonie.

Concetto di giustizia costituzionale Riscontro da parte di un organo dell’eventuale contrasto tra norme della Costituzione e norme subordinate col potere di espungere dall'ordinamento le norme contrastanti con la Costituzione. E' solo con questi organi che si afferma realmente la rigidità della Costituzione. I prototipi in area anglosassone Il Bonham Case (1610): il giudice Coke sulla base di un principio del diritto comune (nemo iudex in re propria, ossia nessuno può essere autore e giudice di una stessa condotta materiale) ritiene illegittima una legge che riconosceva al Collegio dei medici di Londra la possibilità di far arrestare Bonham perché recidivo nell’esercitare abusivamente la professione medica. Per Coke la Common Law era legge suprema in quanto incarnazione della ragione e quindi le leggi del Parlamento erano ad essa subordinate. Tuttavia il Parlamento vince, con la Rivoluzione gloriosa del 1688, lo scontro con gli Stuart e quindi il presidio della democrazia viene identificato con la supremazia del Parlamento. La dottrina di Coke è abbandonata in Gran Bretagna, ma si afferma negli Usa, dove la rivoluzione ha successo proprio contro il Parlamento di Westminster. La Cost. Usa già proclama se stessa come "legge suprema" (art. VI, cl. 2) e gli autori del Federalist ne traevano già teoricamente l'esigenza del controllo di costituzionalità. Praticamente esso si afferma nella sentenza Marbury versus Madison (1803)

il cui testo si può leggere qui http://www.giurcost.org/casi_scelti/marbury.pdf

adottata dalla Corte presieduta dal giudice Marshall in riferimento alla nomina a giudice di pace di Marbury. Questi, nominato dall’uscente amministrazione di John Adams, chiese alla Corte suprema un’ordinanza che desse esecuzione a tale nomina sostituendosi così al nuovo segretario di stato Madison che, subentrato con la presidenza Jefferson, aveva bloccato le ultime nomine dell’amministrazione precedente. La Corte suprema non accoglie la richiesta di Marbury affermando che la legge che attribuiva alla Corte stessa la competenza ad adottare simili atti era contraria alla costituzione.In Usa il controllo è diffuso, spetta ad ogni singolo giudice. La Corte Suprema non ne ha monopolio, ma è gerarchicamente superiore agli altri giudici e, grazie alla possibilità di scegliere i ricorsi più significativi che le pervengono (ad es. col writ of certiorari o richiesta di verifica di un

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processo, di renderlo più certo), influenza in modo decisivo l'insieme del controllo di costituzionalità. Fondamentale è poi il fatto che si tratti di un sistema di common law in cui vige il principio del precedente vincolante per le corti inferiori. Il prototipo kelseniano A conclusioni simili si perviene anche attraverso l'elaborazione di Kelsen, dentro una costruzione a gradi dell'ordinamento in cui la Costituzione è. al vertice della gerarchia delle fonti.: Per il controllo Kelsen prevede un tribunale ad hoc, non interno al potere giudiziario, indipendente grazie all’ inamovibilità dei giudici, ma facente parte del legislativo; tramite un controllo repressivo ex post di tipo negativo (un "legislatore negativo" ). A tale tribunale hanno accesso le principali autorità dello Stato (sia quelle federali sia quelle degli Stati federati in un contesto federalista), i tribunali ed anche l'opposizione parlamentare; Il tribunale per Kelsen giudica sull’incostituzionalità di leggi e regolamenti con un eventuale annullamento pro futuro. Kelsen influisce con queste idee, almeno in parte, sulla Costituzione austriaca del 1920

il cui testo (articoli 137 e seguenti) si può leggere qui http://www.dircost.unito.it/cs/docs/austria192.htm

in cui i membri del Tribunale. Costituzionale. Federale. (TCF) dovevano essere eletti per metà dalla Camera bassa (rappresentativa dei cittadini) e per metà dalla Camera alta (rappresentativa degli Stati federati) e che doveva risolvere i conflitti tra Stato federale e Stati federati (vista la complessità della ripartizione costituzionale). Potevano ricorrere il Governo federale e i Governi degli Stati federati; la Corte medesima poteva sollevare d'ufficio questioni quando esse fossero rilevanti per la sua pronuncia principale.

Modello misto: Italia, Germania e Spagna Dal secondo dopoguerra si affermano modelli misti in cui: l'accesso è diffuso con il controllo in via incidentale (somiglianza con Usa), ma la decisione è accentrata (come in Austria) con decisioni erga omnes.

(cfr. il recente volume di J. W. Muller “L’enigma democrazia”, Einaudi, recensito qui:

http://www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?hpsez=Primo_Piano&content=E'+un+enigma+la+democrazia+o+lo+sono+le+nostre+aspettative?&content_auth=Stefano+Ceccanti&Artid=23342#.UvJvAPl5MrY).

Alcune idee (come quella dell’accesso diffuso tramite i tribunali) erano state anticipate da Kelsen, ma non riprese in Austria nel 1920. Quindi il modello misto è tale rispetto a Usa e Austria del 1920 più che rispetto al modello di Kelsen. Germania 1949: giudici eletti per metà da ciascuna Camera ; controllo concreto che parte da un processo, che il giudice può sospendere per deferire la questione al Tribunale Costituzionale Federale e controllo astratto su ricorso di pubblici poteri (anche un terzo dei componenti del Bundestag); ricorso individuale di cittadini (VerfassungsBeschwerde) per lesione dei diritti fondamentali ad opera di atti legislativi, esecutivi e giudiziari (introdotto nel 1969: v. artt. 93.1, 93.4.a e b Legge Fondamentale) con filtro del medesimo

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Tribunale Costituzionale Federale per scegliere casi più significativi. Il ricorso al Tribunale è subordinato al principio di sussidiarietà; è uno strumento cioè sussidiario che può essere utilizzato solo se siano stati esperiti prima gli altri strumenti previsti dall’ordinamento per tutelare i diritti. Il principio di sussidiarietà può non essere rispettato quando si tratti di una questione che abbia un significato generale o quando in caso di decisione tardiva vi possa essere uno svantaggio grave e irreparabile. Spagna: anche qui controllo incidentale, su ricorso e tramite amparo per la violazione di diritti o libertà fondamentali (in questo caso il ricorso individuale è escluso per gli atti legislativi e il principio di sussidiarietà non ha eccezioni).

Francia: un controllo preventivo Sacralità del legislativo ha portato sotto la IV Rep. a un controllo inefficace di tipo preventivo: Comité constitutionnel (art. 91 Cost. IV Rep.) con membri eletti proporzionalmente ogni anno dalle Camere; istanza congiunta del Presidente della Repubblica e del Presidente della. Camera Alta, più voto a maggioranza assoluta della Camera Alta per attivare il controllo di costituzionalità: la decisione finale era se la legge in oggetto dovesse in realtà essere approvata con procedure di revisione costituzionale e non con l’ordinario procedimento legislativo.. Non c'era interesse reale a ricorrere perchè la maggioranza avrebbe dovuto smentire se stessa. Il controllo resta preventivo con Quinta Repubblica (Conseil constitutionnel CC), ma diventa efficace, soprattutto a protezione del Governo. I componenti sono eletti dal PdR (3 membri) e dai Presidenti delle. Camere (3 ciascuno). Competenze significative: controllo obbligatorio su Regolamenti. Parlamentari. e leggi organiche (per frenare Parlamento), facoltativo su leggi ordinarie, regolarità elezioni presidenziali e legislative, parere su poteri del PdR ex art. 16. Evoluzione successiva verso standards delle altre Corti. 1971: sentenza sulla liberté d'association, parametro (bloc de constitutionnalité)

che si può leggere qui http://www.conseil­constitutionnel.fr/conseil­constitutionnel/francais/les­decisions/acces­par­date/decisions­depuis­1959/1971/71­44­dc/decision­n­71­44­dc­du­16­juillet­1971.7217.html (in francese, inglese e tedesco)

esteso alla Dichiarazione dei Diritti del 1789. e al Preambolo della costituzione della IV Repubblica che include i diritti sociali. Prima di questa data il Consiglio costituzionale non disponeva di un catalogo di diritti da utilizzare come parametro nel controllo di costituzionalità. 1974: accesso al Consiglio costituzionale viene esteso a 60 deputati o 60 senatori (opposizione).

Tuttavia il controllo preventivo è poco esportato perché più rigido: evita una verifica nella realtà dei casi concreti, che si ha invece nel successivo, quando si possono verificare le interpretazioni (non tutte prevedibili) delle disposizioni. Non a caso con la riforma costituzionale del 2008 si è aperta poi anche in Francia la strada del controllo successivo con la cosiddetta Questione Prioritaria di Costituzionalità che consente, attraverso il filtro della Cassazione e del Consiglio di Stato un controllo incidentale e successivo (cfr. Manuale Morbidelli p. 455, Manuale De Vergottini p. 704).

Garanzie di indipendenza Nomina vitalizia dei giudici Usa da parte del Presidente della Repubblica con advice and consent del Senato. Convenzioni: preparazione giuridica, criterio

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geografico, sessuale, etnico­religioso (almeno un ebreo, un nero e un cattolico). Ogni Presidente della Repubblica non è invece tenuto all’ equilibrio politico, anzi normalmente tende a nominare giudici ideologicamente vicini: l’equilibrio è garantito dall’ alternanza presidenziale. Altre Corti: spesso formalizzato il requisito della preparazione giuridica, nomine almeno in parte provenienti da Camere in pressoché tutti i sistemi, durata raramente vitalizia ma comunque più lunga del mandato delle Camere per garantire indipendenza da queste. Accesso alle Corti Normalmente i canali di accesso sono multipli. Fanno eccezione Francia (solo accesso su ricorso) e Usa (solo per via interna all'ordine giudiziario). Circa l'accesso su ricorso va rilevato che: a) è spesso connesso con Tipo di Stato, quando esso è federale o regionale: è ammesso dal centro contro gli enti intermedi (Regioni o Stati federati) e viceversa; b) è collegato alla forma di governo: vi accedono molto spesso il Capo dello Stato, il Governo, i Presidenti delle Camere, le minoranze parlamentari. L'accesso diretto di cittadini a tutela di diritti e libertà lesi da atti del legislativo, dell'esecutivo (e dell'amministrazione ad esso soggetta) e del giudiziario è presente: nell'amparo latino­americano e spagnolo (in Spagna contro atti amministrativi e giurisdizionali, anche contro atti di soggetti privati, ma si arriva a TC solo dopo che si siano esauriti i rimedi giurisdizionali ordinari, secondo un principio di sussidiarietà: vedi sopra); nel ricorso individuale (Verfassungbeschwerde ) in Germania (contro atti amministrativi, legislativi, giudiziari; anche qui c'è principio di sussidiarietà e c'è filtro di TCF: vedi sopra).

Tipologia e forza delle decisioni Controllo diffuso: il giudice può disapplicare la legge nella causa in esame, ma col precedente vincolante opera erga omnes (ha efficacia “verso tutti” quindi opera similmente ad un annullamento) Controllo accentrato: il Tribunale Costituzionale può annullare la legge Rispetto al tempo della decisione il controllo può essere preventivo (può impedire che legge entri in vigore) o successivo (può annullarla) La principale tipologia di sentenze è quella delle sentenze di accoglimento, in cui la questione di incostituzionalità viene ritenuta fondata e la legge dichiarata incostituzionale e sentenze di rigetto in cui la questione di illegittimità costituzionale non viene accolta. Effetti temporali: accanto a pacifica efficacia pro futuro, si è imposta anche una certa retroattività, almeno per i rapporti giuridici non esauriti (efficacia retroattiva salvo passaggio in giudicato della decisione per tutelare la certezza del diritto; ma anche il giudicato è stravolto da una decisione di incostituzionalità se si tratta di materia penale, per il favor libertatis, per tutare cioè la libertà del condannato). Funzioni ulteriori delle Corti, accumulatesi in caso di bisogno di arbitro super partes: conflitti tra poteri Stato, impeachment, verifica della regolarità delle elezioni, costituzionalità dei partiti in democrazie protette. Le Corti sono oggi una sorta di correttivo aristocratico teso a frenare il potere democratico.