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Parte Prima STATO, DIRITTI E LIBERTÀ

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  • Parte Prima

    STATO, DIRITTI E LIBERTÀ

  • Titolo parte 2

  • ORDINAMENTO GIURIDICO E STATO

    Sezione 1. IL DIRITTO PUBBLICO, UNA REALTÀ IN CONTINUO DIVENIRE Sezione 2. LO STATO E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI Sezione 3. LO STATO E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

    Sezione 1 IL DIRITTO PUBBLICO, UNA REALTÀ IN CONTINUO DIVENIRE

    SOMMARIO: 1.1. Diritto, società e ordinamento giuridico. – 1.2. La pluralità degli or-dinamenti giuridici. – 1.3. Il Diritto costituzionale. – 1.4. Diritto pubblico e diritto pri-vato.

    1.1. Diritto, società e ordinamento giuridico

    Il termine diritto ha molteplici significati, tutti legati alle regole di com-portamento che disciplinano i rapporti tra i componenti di una comunità, in un particolare periodo storico. Il gruppo sociale che si costituisce per rag-giungere determinati fini si dà un insieme di regole e di principi per discipli-nare le relazioni tra i soggetti che lo compongono. Ogni raggruppamento umano che si forma in vista del perseguimento di obiettivi comuni possiede una propria organizzazione, cioè un proprio ordinamento giuridico. Per or-dinamento giuridico si intende quel complesso di regole di condotta (di cui fanno parte leggi, regolamenti, consuetudini, provvedimenti amministrativi, decisioni giurisdizionali), che impongono comportamenti ai consociati per assicurare la pacifica convivenza di una data collettività.

    In modo speculare, il vocabolo società (dal latino, societas) indica un in-sieme di soggetti i cui rapporti sono stabiliti da norme, garantiti da istituzioni comuni e da sanzioni che tendono a rendere possibile una tranquilla coesi-stenza. A ben vedere, il concetto di diritto è strettamente collegato a quello di società, secondo l’antico brocardo, ubi societas, ibi jus. Per dirla con il grande filosofo tedesco, Emmanuel Kant «dal momento in cui gli uomini escono dallo stato di natura, nel quale ognuno segue i capricci della propria fantasia, per unirsi con tutti gli altri, si riuniscono in un sol corpo e hanno

    Ordinamento giuridico

    Diritto e società

    I

  • Stato, diritti e libertà 4

    una legge comune stabilita e una magistratura a cui appellarsi, si trovano in società, ma coloro che non hanno un simile appello comune sono sempre nello stato di natura». L’ordinamento giuridico costituisce, dunque, il presupposto imprescindibile di ogni istituzione umana per assicurare l’ordine e la coesio-ne sociale. Il diritto contiene in sé l’idea di società e il concetto di istituzione costituisce una mirabile sintesi tra norma, organizzazione e pluralità di sog-getti. Ogni qualvolta viene ad esistenza una società sorge il diritto, non è pensabile, infatti, una istituzione, un organismo sociale senza diritto (ESPO-SITO).

    1.2. La pluralità degli ordinamenti giuridici

    L’etimologia della parola ordinamento descrive l’insieme delle norme che regolano la vita di una società. Ne consegue che il diritto è elemento di ogni corpo sociale organizzato e non soltanto dello Stato. La funzione prima-ria del diritto è quella di disciplinare la convivenza e le relazioni sociali. Non vi sono gruppi o individui che vivono al di fuori del diritto.

    Secondo la nota teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, ela-borata da Santi Romano, il numero di ordinamenti che possono qualificarsi come giuridici è potenzialmente illimitato. La natura dei fini, di volta in vol-ta perseguiti, vale a distinguere gli ordinamenti giuridici particolari da quelli generali. Sono enti a fini generali la comunità internazionale, l’Unione euro-pea e gli Enti territoriali (Regioni, Province, Comuni) che, al pari dello Sta-to, mirano al soddisfacimento di interessi generali, vale a dire, propri indi-stintamente di tutti i consociati. Gli ordinamenti particolari si caratterizzano per la circostanza che si propongono di realizzare fini specifici di varia natu-ra: economica, culturale, ricreativa, scientifica, religiosa, sportiva, ecc.

    La prima esigenza che si pone è quella di far convivere in armonia fra lo-ro questa pluralità di ordinamenti. Il principio di non contraddizione è ga-rantito da alcune norme che riconoscono ordinamenti giuridici diversi dallo Stato, all’interno di esso, a condizione che non contrastino con i principi fondanti della Costituzione italiana. Così, ad esempio, la disposizione conte-nuta nell’art. 8 afferma che «le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contra-stino con l’ordinamento giuridico italiano», l’art. 18 precisa che «i cittadini sono liberi di associarsi per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale»; ancora, l’art. 39 subordina la registrazione dei sindacati alla condi-zione che sia garantito un «ordinamento interno a base democratica», l’art. 49 dispone che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica na-zionale».

    Pluralità degli ordinamenti

    giuridici

    Principio di non contraddizione

  • Ordinamento giuridico e Stato 5

    1.3. Il Diritto costituzionale

    Con l’adozione dello Statuto Albertino l’insegnamento di diritto costitu-zionale viene attivato in modo stabile in alcuni Atenei italiani (Pavia e Tori-no) e conquista una propria autonomia rispetto alle altre discipline del dirit-to. Vittorio Emanuele Orlando delinea un particolare metodo finalizzato a conferire specificità alla scienza del diritto costituzionale. Dopo di lui Santi Romano propone una definizione raffinata dell’oggetto di studio, affermando che quando si parla di diritto costituzionale «si intende accennare ad una parte del diritto dello Stato e precisamente a quella parte che ne rappresen-ta il fondamento, e per così dire, i muri maestri e la prima armatura». Detto in altri termini, “il diritto costituzionale è l’ordinamento supremo dello Sta-to”. Comincia così, l’emancipazione della scienza giuridica costituzionalistica dalla storia, dalla filosofia, dalla sociologia e dalla politica. L’autonomia con-quistata dal metodo giuridico consente, più tardi, ai costituzionalisti vissuti durante gli anni del regime fascista di edificare «un muro protettivo per poter lavorare con sufficiente distacco dalla realtà politica del momento», giungen-do «ad un risultato pratico rilevantissimo in quanto costituì una difesa delle residue posizioni di legalità e di libertà» (GALIZIA).

    Per utilizzare una metafora, il diritto costituzionale rappresenta il tronco di un albero da cui si ripartono le diverse partizioni del diritto come singoli rami (ROMANO). Il diritto costituzionale costituisce il cuore del diritto proprio per-ché si occupa della selezione e della tutela dei fini e degli interessi della co-munità organizzata sotto forma di Stato. Questo Manuale si occupa della Co-stituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, ma la riflessione si estende inevitabilmente alla valutazione di tutte le norme che, pur non conte-nute nel Testo, hanno un significato materialmente costituzionale e che costi-tuiscono il nucleo centrale dell’ordinamento.

    Il diritto costituzionale è la disciplina che studia le strutture costitutive del-l’ordinamento, cioè l’organizzazione costituzionale (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Pubblica amministrazione, Magistratura, Corte co-stituzionale, Regioni ed Enti territoriali) e dello statuto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone.

    1.4. Diritto pubblico e diritto privato

    Il concetto di diritto è strettamente correlato alla tradizionale distinzione tra diritto pubblico e diritto privato utilizzata per la prima volta da Ulpiano. Se-condo la nota definizione del giureconsulto romano «Publicum jus est quod ad statum rei romanae spectat; privatum, quod ad singulorum utilitatem pertinet: sunt enim quaedam publice utilia quaedam privatim». La differenza tra le due branche del diritto consiste proprio nella diversa intensità con la quale le nor-me tutelano il fine ultimo del diritto ossia la conservazione della società. Il

    La specificità del diritto costituzionale

  • Stato, diritti e libertà 6

    raggiungimento di questa finalità è affidato direttamente alle norme di diritto pubblico; diversamente, le norme volte ad soddisfacimento di un interesse in-dividuale e solo mediatamente di un interesse pubblico, sono norme di diritto privato. Le norme di diritto pubblico si occupano della normativa di diretto in-teresse collettivo. Il diritto pubblico è, dunque, quella branca del diritto che studia le norme concernenti l’organizzazione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e non. Inoltre, il diritto pubblico si occupa dei rapporti fra il cittadi-no e gli enti, cui sia riconosciuto il particolare carattere pubblicistico. Il dirit-to privato riguarda, invece, i rapporti tra i singoli (c.d. rapporti inter privatos). Oggi si mette in dubbio la validità dell’orientamento che accoglie la dicotomia pubblico-privato. Invero, la summa divisio non sembra tenere nella dovuta con-siderazione la reciproca influenza tra le due partiture fondamentali del diritto che deriva dalle norme delle istituzioni europee e dal fenomeno della c.d. glo-balizzazione dei mercati.

    In realtà, il confine tra diritto pubblico e diritto privato è sempre stato incer-to, poiché la scelta di come tutelare i fini e gli interessi (anche privati) appar-tiene, in ultima analisi, all’ordinamento nel suo complesso.

    Anche nelle epoche storiche che vedono l’espansione degli ambiti di auto-nomia dei privati, ciò avviene sullo sfondo di un quadro di garanzia di caratte-re pubblicistico.

    Diritto pubblico

  • Ordinamento giuridico e Stato 7

    Sezione 2 LO STATO E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI

    SOMMARIO: 2.1. Stato “istituzione”, Stato “apparato”, Stato “comunità”. – 2.2. Gli ele-menti essenziali dello Stato. – 2.3. Il territorio: a) la terraferma; b) lo spazio aereo e il mare territoriale; c) extraterritorialità e ultraterritorialità. – 2.4. Il popolo: a) la popo-lazione; b) la cittadinanza; c) la Nazione. – 2.5. La sovranità.

    2.1. Stato “istituzione”, Stato “apparato”, Stato “comunità”

    Lo Stato è un ordinamento giuridico originario composto da un gruppo sociale, ordinato da regole e stanziato su un determinato territorio. Il termine Stato ha assunto molteplici significati.

    Innanzitutto, con l’espressione Stato “istituzione” si suole indicare l’ordi-namento giuridico statale come corpo sociale e politico organizzato e onni-comprensivo di tutte le altre realtà intermedie ad esso sottoposte. È bene, sin da subito, precisare che la Costituzione italiana designa sovente lo Stato isti-tuzione con il termine Repubblica. Così, nella disposizione contenuta nel-l’art. 114 afferma che «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provin-ce, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».

    Con il termine Stato “apparato”, o anche Stato “persona” si intende l’insieme dei governanti, ossia di organi ed enti cui è attribuito il potere di approvare ed applicare le norme attraverso cui lo Stato esprime la propria supremazia e persegue le proprie finalità. È denominato anche Stato “perso-na” perché esso possiede personalità giuridica ed è sottoposto, parimenti agli altri soggetti pubblici e privati, al diritto stesso.

    Infine, per Stato “comunità” si definisce la c.d. “società civile”, ossia l’in-sieme dei governati, cittadini e non cittadini, sottoposti all’autorità dello Sta-to “apparato” e descrive quel processo di continua integrazione della sfera dell’autorità con quella della libertà (MARTINES).

    2.2. Gli elementi essenziali dello Stato

    Lo Stato viene tradizionalmente concepito come la risultante di tre ele-menti costitutivi: il territorio, il popolo, la sovranità.

    Ogni ordinamento statale presuppone un territorio, che rappresenta il se-gno esteriore e visibile per riconoscere ed identificare lo Stato. Inoltre, l’en-

    Stato “istituzione”

    Stato “apparato” o Stato “persona”

    Stato “comunità”

  • Stato, diritti e libertà 8

    tità statuale non può prescindere dal popolo, ossia da una collettività orga-nizzata giuridicamente e sottoposta all’autorità di un governo. Infine, il terzo elemento costitutivo è rappresentato dalla sovranità, che richiama due aspetti fondamentali dell’ordinamento: l’originarietà e l’indipendenza sul piano esterno, la supremazia su quello interno.

    Lo Stato costituisce il solo ordinamento al tempo stesso territoriale e so-vrano, differenziandosi, pertanto, da ogni altra struttura sovrana, ma non ter-ritoriale (come ad esempio la Santa sede e le organizzazioni internazionali e, secondo parte della dottrina, anche il Sovrano Ordine Militare Gerosolimita-no di Malta) e da realtà territoriali “derivate” non sovrane (quali Regioni, Province, Comuni).

    2.3. Il territorio: a) la terraferma; b) lo spazio aereo e il mare territoriale; c) extraterritorialità e ultraterritorialità

    Il territorio costituisce il luogo di stabile radicamento del popolo, entro cui vige l’ordinamento giuridico dello Stato. La sua precisa delimitazione è definita dal diritto internazionale, che ha elaborato un complesso di norme dirette ad individuare l’ambito spaziale in cui ciascuno Stato può esercitare la propria sovranità.

    Secondo queste regole, il territorio comprende: la terraferma, le acque in-terne comprese entro i confini (fiumi, laghi, mari interni), lo spazio aereo so-vrastante, il mare territoriale, la piattaforma continentale, le navi e gli aero-mobili battenti bandiera dello Stato quando si trovano in spazi non soggetti alla sovranità di alcuno Stato, le sedi delle rappresentanze diplomatiche al-l’estero.

    La terraferma è quella porzione di territorio delimitata dal mare o da confini, che possono essere naturali, quando coincidono con elementi geo-grafici (quali i fiumi e le catene montuose) idonei a delimitare o separare due Stati, oppure artificiali, qualora la linea di demarcazione sia artificialmente definita dagli Stati medesimi.

    Nel caso di confini naturali dubbi, il diritto internazionale ha elaborato una serie di criteri diretti a definire la linea di demarcazione tra due Stati li-mitrofi: se il confine coincide con una catena montuosa, essa è data dalla li-nea che congiunge le vette più elevate; se due Stati sono divisi da un fiume navigabile, coincide con la linea della più alta o più forte corrente; se, inve-ce, il fiume non è navigabile, con la linea mediana; nei laghi, il confine coin-cide con linea retta che unisce i punti terminali del confine sulla terraferma.

    Se il territorio statale è delimitato dal mare, occorre distinguere il mare territoriale, prospiciente il territorio dello Stato e soggetto alla sua sovrani-tà, dal c.d. mare libero (o alto mare), che non costituisce oggetto di dominio da parte di alcuno Stato, essendo di comune utilizzabilità.

    Territorio

    Terraferma

    Mare territoriale

  • Ordinamento giuridico e Stato 9

    Per quanto concerne l’estensione delle acque territoriali italiane, occorre sottolineare come sia stato da tempo abbandonato il tradizionale criterio del-la gittata massima dei cannoni, che consentiva di individuare il limite del mare territoriale in tre miglia marine, oggi fissato, dall’art. 2 del Codice della navigazione (introdotto dalla legge n. 359/1974), in dodici miglia, così come previsto, altresì, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982.

    Il richiamo a tale Convenzione permette di evidenziare la “doppia natura” (MARTINES) naturalistica e giuridica del concetto di territorio, che partecipa dunque anche di qualificazioni “immateriali” ed eminentemente legali. Un importante esempio di ciò, nell’ambito di quel “superamento” delle tradizio-nali concezioni giuridico-dottrinali dello Stato-istituzione, è la creazione di quello “spazio senza frontiere interne” – il c.d. “mercato comune” dell’Unio-ne europea – grazie all’adozione dell’Atto unico del 1986 e alla sua applica-zione, fra il 1986 ed il 1° gennaio 1993, attraverso ben 286 direttive CE e il successivo Trattato di Schengen, in materia di libera circolazione delle per-sone, dei capitali e delle merci nell’ambito degli Stati aderenti all’Unione.

    Al di fuori della linea costiera, ma contigua al territorio, si trova la c.d. piattaforma continentale, ossia quella parte del fondo marino che circonda le terre emerse, le cui risorse naturali sono utilizzate dallo Stato attraverso, ad esempio, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.

    Strettamente collegati al territorio sono gli istituti della extraterritorialità e dell’immunità territoriale.

    In casi particolari, l’ordinamento consente che parti del territorio statale risultino parzialmente esenti dal potere sovrano dello Stato, ciò al fine di ga-rantire gli interessi di altri ordinamenti sovrani. È questo il fenomeno della c.d. immunità territoriale, che riguarda essenzialmente le sedi delle rappre-sentanze diplomatiche straniere ed ogni luogo in cui risieda, anche tempora-neamente, l’agente diplomatico.

    Un caso specifico di immunità territoriale è quello relativo a Piazza S. Pietro che, pur facendo parte dello Stato Città del Vaticano, in virtù dell’art. 3 del Trattato fra la Santa Sede e l’Italia, è aperta al pubblico ed è soggetta al potere di polizia delle autorità italiane, potere che si arresta, tuttavia, ai piedi della scalinata della Basilica.

    L’extraterritorialità è una finzione giuridica in base alla quale le navi e gli aeromobili militari stranieri, presenti nell’area sottoposta alla sovranità di uno Stato, sono assoggettati alle leggi dello Stato del quale battono bandiera.

    L’art. 4 del Codice della navigazione italiana stabilisce che «gli atti ed i fatti compiuti a bordo di una nave o di un aeromobile nel corso della navi-gazione in luogo o spazio soggetto alla sovranità di uno Stato estero sono regolati dalla legge nazionale della nave o dell’aeromobile in tutti i casi nei quali, secondo le disposizioni sull’applicazione delle leggi in generale, do-vrebbe applicarsi la legge del luogo dove l’atto è compiuto o il fatto è avve-

    Piattaforma continentale

    Immunità territoriale

    Extra- territorialità

  • Stato, diritti e libertà 10

    nuto». Per quanto riguarda gli effetti della legge penale, l’art. 4, co. 2, c.p. prevede che «le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territo-rio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il dirit-to internazionale, a una legge territoriale straniera».

    L’ultraterritorialità indica quel fenomeno secondo cui la normativa sta-tale si estende oltre i confini dello Stato (ad esempio, a navi e aeromobili na-zionali che si trovano fuori dalle acque o dallo spazio aereo italiano, conside-rati dal Codice della navigazione come “territorio italiano”).

    In buona sostanza, le nozioni di ultraterritorialità ed extraterritorialità co-stituiscono due facce della stessa medaglia, descrivendo, la prima, l'estensio-ne della sovranità dello Stato di appartenenza, e la seconda, i limiti cui è soggetta la sovranità dello Stato ospite.

    Con riferimento alla natura giuridica del diritto esercitato dallo Stato nei confronti del proprio territorio, ci si interroga se tale diritto abbia natura per-sonale o reale, aderendosi tendenzialmente alla posizione secondo cui il di-ritto dello Stato sul proprio territorio rientri nella categoria dei diritti sugli elementi costitutivi della propria personalità (ROMANO), similmente al dirit-to al nome o all’onore delle persone fisiche.

    Senza prescindere dalla qualificazione del territorio come elemento costi-tutivo essenziale dello Stato, si è altresì posto il problema dei c.d. “Stati esi-gui” (MARTINES), ossia quegli Stati stanziati su un territorio le cui dimen-sioni non siano tuttavia sufficienti a renderlo centro di riferimento di interes-si generali (come nel caso dello Stato della Città del Vaticano, della Repub-blica di San Marino, del Principato di Monaco, della Repubblica di Andorra o del Principato del Liechtenstein). Tali realtà, piuttosto che come eccezioni al principio dell’irrinunciabilità del territorio ai fini della configurabilità di uno Stato, sono interpretati quale «compromesso politico diretto ad assicu-rare alla Chiesa cattolica una sfera di sovranità territoriale» o quali «resi-dui storici di antiche posizioni di indipendenza rispetto ad autorità spirituali o temporali» (MARTINES, VITALI-CHIZZONTI).

    2.4. Il popolo: a) la popolazione; b) la cittadinanza; c) la Nazione

    Il concetto di popolo, inteso come l’insieme di coloro ai quali l’ordina-mento giuridico statale assegna lo status di cittadino, non coincide con la no-zione di popolazione, che in senso più ampio indica il complesso indifferen-ziato di soggetti, compresi gli stranieri e gli apolidi, i quali in un determinato momento storico risiedono o comunque sono stabilmente stanziati nel terri-torio dello Stato.

    Gli stranieri sono i cittadini di un altro Stato. Gli apolidi, invece, sono coloro che non hanno la cittadinanza di alcuno Stato e sono sottoposti alle leggi dello Stato nel quale vivono.

    Ultra-territorialità

    Popolo

  • Ordinamento giuridico e Stato 11

    La cittadinanza è un particolare status giuridico che riconosce al cittadi-no il godimento dei diritti politici, quindi di partecipare direttamente alla vita politica e sociale dello Stato a cui appartiene, attraverso l’elezione a cariche pubbliche (c.d. elettorato passivo, ossia la capacità di essere eletto), l’ade-sione a partiti politici, la presentazione di petizioni e, indirettamente, attra-verso l’esercizio del diritto di voto (c.d. elettorato attivo, ossia la capacità di voto) per l’elezione di propri rappresentanti al Parlamento.

    La condizione di cittadino implica, altresì, l’adempimento di alcuni do-veri inderogabili come, ad esempio, il “sacro dovere” di difendere la Pa-tria (art. 52, co. 1, Cost.), quello di essere fedeli alla Repubblica e di osser-varne la Costituzione e le leggi (art. 54, co. 1, Cost.), di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53, co. 1, Cost.).

    Il dovere di contribuire alle spese pubbliche, invero, prescinde da qualun-que legame di cittadinanza, essendo connesso soltanto alla titolarità di una qualsiasi capacità contributiva, vale a dire alla capacità di produrre un reddi-to. Nella disposizione costituzionale contenuta nell’art. 53 Cost. non viene utilizzato, infatti, il termine “cittadino”, bensì il più generico “tutti”, rivol-gendosi, pertanto, anche agli stranieri e agli apolidi che risiedono in Italia e svolgono un’attività lavorativa.

    È opportuno constatare come gli Stati contemporanei seguano due criteri fondamentali per l’attribuzione della cittadinanza al momento della na-scita: quello del “sangue” (c.d. jus sanguinis) e quello del territorio (c.d. jus soli). Infatti, la legge 5 febbraio 1992, n. 91, che disciplina le modalità di ac-quisto, perdita e riacquisto della cittadinanza italiana, prevede che sia «citta-dino italiano per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini; b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apo-lidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la leg-ge dello Stato al quale questi appartengono».

    Sono rari i casi in cui è possibile che un soggetto si trovi ad avere più di una cittadinanza (c.d. pluripolidia). Ciò si verifica, ad esempio, nel caso il figlio di cittadini appartenenti ad uno Stato in cui vige la regola dello jus sanguinis, nasca nel territorio di un altro Paese in cui vale il principio dello jus soli.

    Oltre che con la nascita, la cittadinanza può essere acquisita al verificarsi di particolari casi previsti dall’ordinamento, quali, ad esempio, il matrimonio contratto fra un cittadino ed uno straniero. Altre volte, l’acquisto della citta-dinanza presuppone la richiesta dell’interessato ed un atto di un’autorità italia-na. Ad esempio, con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consi-glio di Stato, è concessa la cittadinanza allo straniero, al verificarsi di deter-minati presupposti (regolare residenza in Italia per un determinato numero di anni, prestazioni di servizi alle dipendenze dello Stato per almeno cinque anni).

    Cittadinanza

    Attribuzione della cittadinanza

  • Stato, diritti e libertà 12

    La medesima legge disciplina i casi di rinuncia alla cittadinanza italiana (quando un soggetto, per esempio, acquisti un’altra cittadinanza) o di perdita della stessa (qualora un cittadino svolga funzioni alle dipendenze di uno Sta-to estero e intenda conservare questa posizione nonostante l’ingiunzione del Governo italiano a cessare tale rapporto). A quest’ultimo riguardo, va sotto-lineato che la Costituzione all’art. 22 dispone espressamente che nessuno possa essere privato della cittadinanza (oltre che del nome e della capacità giuridica) per motivi politici, venendo meno così la c.d. legge dei fuorusciti (legge n. 108/1926), che disponeva la perdita della cittadinanza nei confronti degli oppositori al regime fascista.

    La cittadinanza perduta può essere riacquistata quando l’interessato abbia abbandonato il rapporto di dipendenza da uno Stato estero e risieda da alme-no due anni nel territorio della Repubblica; qualora presti servizio militare o accetti un impiego alle dipendenze dello Stato italiano, dichiarando di volere riacquistare la cittadinanza; nel caso in cui dichiari di volerla riacquistare e stabilisca la propria residenza in Italia entro un anno dalla dichiarazione o, ancora, risieda da oltre un anno nel territorio della Repubblica.

    Il Trattato di Maastricht del 1992 ha introdotto l’istituto della cittadinan-za europea. A norma dell’art. 20 TFUE «è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce». Tale previsione ha riconosciuto a tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea una serie di diritti e di doveri, quali:

    – il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;

    – il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui si risiede, alle stesse condi-zioni dei cittadini di detto Stato;

    – il diritto di godere, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo Stato membro di cui si ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle au-torità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro dell’UE, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;

    – il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi del-l’Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua.

    Occorre, infine, evidenziare che il concetto di popolo non va confuso con quello di Nazione, che sta a designare una entità etnico-sociale caratterizzata dalla comunanza di razza, lingua, religione, cultura, costumi. Non sempre, però, coloro che si identificano in una stessa nazionalità costituiscono anche un solo popolo, organizzato in un solo Stato.

    Dalla distinzione tra popolo e Nazione deriva che possono esistere Stati i

    Rinuncia e perdita

    della cittadinanza

    Riacquisto della

    cittadinanza

    Cittadinanza europea

    Nazione

  • Ordinamento giuridico e Stato 13

    cui cittadini appartengono a più nazioni (c.d. Stati plurinazionali). Basti pen-sare, per il recente passato, alla Jugoslavia ed all’URSS ed oggi alla Confe-derazione elvetica, alla Gran Bretagna (con particolare riguardo alle comuni-tà cattoliche e protestanti dell’Irlanda del Nord), al Belgio (fiamminghi, val-loni) ed, almeno in parte, alla Spagna (catalani, baschi).

    L’Italia non può essere considerata uno Stato plurinazionale, data la scar-sa consistenza numerica dei cittadini appartenenti a gruppi etnici diversi per lingua, costumi, tradizioni (residenti nella Valle d’Aosta, nella provincia di Bolzano ed in alcune zone del Friuli-Venezia Giulia). Tuttavia, la Costitu-zione all’art. 6 riserva una particolare tutela ai cittadini italiani appartenenti a tali minoranze. Tra i diritti loro riconosciuti vi è la facoltà dell’uso della pro-pria lingua nella scuola e nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.

    2.5. La sovranità

    Come è già stato specificato, la nozione di sovranità, quale summa pote-stas imperii, assume rilievo tanto dal punto di vista interno, quanto da quello esterno.

    Nella prospettiva interna, la sovranità consiste nel supremo potere di co-mando che non riconosce alcuna autorità ad esso superiore in un deter-minato territorio. In ragione di ciò, pur potendo esistere plurimi centri di po-tere nell’ambito dell’ordinamento giuridico statuale, a nessuno di questi può essere attribuito un rilievo pari o addirittura superiore a quello dello Stato so-vrano. Sotto l’aspetto esterno, invece, la sovranità si configura come origina-rietà ed indipendenza nei confronti degli altri Stati. Ciò significa che l’ordi-namento statale non discende da altri ordinamenti, né è soggetto ad essi, in quanto si autolegittima, trovando in sé la giustificazione giuridica della propria esistenza e del proprio potere. Il carattere originario consente di distinguerlo da quei sistemi giuridici che possono considerarsi “derivati”, o perché da esso istituiti e compresi al suo interno (basti pensare agli ordinamenti territoriali minori, agli ordinamenti di enti pubblici autonomi), ovvero, in quanto sorti ad iniziativa di privati, trovano fondamento e limite in quello statale (ordinamenti delle confessioni religiose, dei partiti, dei sindacati, delle associazioni, ecc.).

    La connotazione cruciale della sovranità, nella configurazione dello Sta-to, spiega come mai la dottrina giuspubblicistica e politologica si sia concen-trata a spiegarne ed interpretarne l’origine e la titolarità, fin dagli albori della riflessione sul nascente Stato moderno.

    Nell’ambito di tale dibattito, sono emerse varie teorie. Fra queste, si ri-tengono meritevoli di essere ricordate: la teoria teocratica; la teoria esposta negli scritti di Hobbes e Bodin; la teoria giusnaturalistica; la teoria contrat-tualistica; la teoria del governo rappresentativo fondato sulla separazione dei poteri; la teoria statualistica della “sovranità nazionale”.

    Originarietà

    Teorie sulla sovranità

  • Stato, diritti e libertà 14

    Secondo la teoria teocratica la sovranità viene vista come un istituto “di diritto divino”. Si riteneva, infatti, che il monarca, fosse promanazione della sovranità ed esercitasse i relativi poteri “per grazia di Dio” e pro vice Christi.

    Di matrice laica e, lato sensu, sociologica è la teoria della sovranità “sta-tuale”, che viene enunciata negli scritti di Bodin e, ancor più, di Hobbes (ne Il Leviatano). Ivi si giustifica il potere assoluto del Monarca, ritenendo che esso sia l’unico mezzo con cui garantire la sicurezza e l’incolumità dei sud-diti dall’anarchia del bellum omnium contra omnes, rappresentato dallo Stato di natura.

    La teoria giusnaturalistica, fra i suoi maggiori sostenitori, enumera Gro-zio e Kant. Essa si fonda sul concetto che il fine della sovranità dello Stato risieda nella garanzia dei diritti inviolabili dell’individuo.

    Rousseau, invece, fu l’ideatore della teoria contrattualistica. Riteneva, infatti, che la sovranità fosse espressione della democratica “volontà genera-le” dei consociati scaturente da un libero contratto d’interesse collettivo.

    Locke e Montesquieu sostenevano la teoria del governo rappresentativo. Essa trovava fondamento nella separazione dei poteri e nel balance of po-wers elaborati a tutela del binomio “liberty and property”.

    La teoria statualistica della “sovranità nazionale”, infine, individua i de-tentori della sovranità negli organi pubblici rappresentativi della “Nazione”, posti a tutela dei valori, delle tradizioni e dell’identità storica e culturale di una comunità, di cui lo Stato è l’incarnazione giuridica personificata e posi-tiva.

    L’accennato dibattito ideologico, si innesta nell’ambito delle tre grandi Rivoluzioni (la Glorious Revolution inglese del 1688, la Rivoluzione ameri-cana del 1773 e la Rivoluzione francese del 1789) a partire dalle quali, nella continua tensione dei rapporti fra governanti e governati e fra libertà ed auto-rità, prendono avvio l’evoluzione del moderno Stato democratico di diritto e le teorie del costituzionalismo, quali supreme istanze di garanzia dei diritti del singolo, di fronte al rischio di abusi da parte dello stesso potere statuale.

    Il problema della “spettanza” della titolarità formale degli atti di sovranità (ossia dell’imputazione sostanziale), viene risolto dagli ordinamenti demo-cratici e di diritto attraverso l’attribuzione della stessa al popolo, variamente organizzato, al quale è riconosciuto il potere di assumere le decisioni politi-che fondamentali.

    La disposizione contenuta nell’art. 1, co. 2, Cost. italiana, afferma appun-to che «la sovranità appartiene al popolo», il vero ed esclusivo detentore della potestà suprema, che la esercita secondo due modelli:

    – quello della democrazia rappresentativa, in base al quale il corpo elet-torale sceglie attraverso il voto (art. 48 Cost.) i propri rappresentanti ai verti-ci degli organi pubblici elettivi per esercitare il potere politico;

    – quello della democrazia diretta, caratterizzato dalla partecipazione in prima persona dei cittadini alle scelte politiche del Paese, attraverso l’eserci-

    Sovranità al popolo

  • Ordinamento giuridico e Stato 15

    zio di strumenti mediante i quali il popolo esercita direttamente la sovranità: la petizione (art. 50 Cost.), l’iniziativa legislativa popolare (art. 71 Cost.), i referendum (artt. 75, 138, 132 e 133 Cost.).

    Occorre subito precisare che il co. 2 dell’art. 1 Cost., nell’affermare che il popolo può esercitare la propria sovranità soltanto «nelle forme e nei limiti della Costituzione», ha voluto sancire il carattere “limitato” o “costituito” della sovranità popolare, nel senso che essa trova la sua fonte di legittima-zione e la sua disciplina nella Costituzione e non al di fuori di essa: «fuori della Costituzione e del diritto non c’è sovranità, ma l’arbitrio popolare, non c’è il popolo sovrano, ma la massa con le sue passioni e con la sua de-bolezza» (ESPOSITO).

    La sovranità si manifesta, altresì, come indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro soggetto o persona giuridica. Tale concetto, invero, è stato mitigato nella nostra Carta costituzionale, laddove all’art. 11 è stabilito che «l’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limita-zioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».

    Tale formulazione, allontanandosi dall’estremizzazione della sovranità nazionale tipica dello Stato ottocentesco, ha permesso l’adesione del nostro Paese all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nonché la partecipa-zione a quelle organizzazioni internazionali finalizzate a promuovere la pace e la giustizia fra i popoli.

    Tali limitazioni alla sovranità nazionale hanno assunto maggiore rilievo in seguito alla istituzione, in Europa, di organizzazioni sovranazionali (su cui v. infra § 3.3), quali la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (costi-tuita con il Trattato di Parigi del 1951), la Comunità europea per l’energia atomica e la Comunità economica europea (costituite con il Trattato di Ro-ma del 1957), che, in seguito alla stipula del Trattato di Maastricht del 1992, sono confluite nella Comunità europea (CE).

    Indipendenza

  • Stato, diritti e libertà 16

    Sezione 3 LO STATO E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

    SOMMARIO: 3.1. Premessa. – 3.2. L’Organizzazione delle Nazioni Unite: struttura e poteri. – 3.3. Dalla Comunità Economica Europea all’Unione europea. – 3.4. La Co-stituzione europea ed il Trattato di Lisbona. – 3.5. Struttura dell’Unione europea.

    3.1. Premessa

    L’istituzione delle organizzazioni internazionali ha comportato che cia-scuno Stato rinunciasse ad una quota di sovranità. In realtà, non sembra che tale fenomeno debba essere ricostruito come una vera e propria perdita, ma piuttosto come un trasferimento di essa verso l’alto. In tal modo, i singoli Paesi ritrovano le medesime porzioni di potere sovrano ad un livello di go-verno superiore.

    L’art. 11 Cost. italiana «consente, in condizioni di parità con gli altri Sta-ti, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni in-ternazionali rivolte a tale scopo». In termini similari, l’art. 24 della Legge Fondamentale tedesca sancisce che «La Federazione può trasferire con leg-ge diritti di sovranità a organizzazioni intergovernative». L’art. 34 Cost. belga disciplina anch’esso il trasferimento di sovranità, mediante trattato o legge, a istituzioni pubbliche internazionali, così come l’art. 92 Cost. dei Paesi Bassi e l’art. 49-bis Cost. del Lussemburgo. Infine, il Preambolo della Costituzione francese del 1946 sanciva, parimenti, che «con riserva di reci-procità, la Francia consente alle limitazioni di sovranità necessarie per l’or-ganizzazione e la difesa della pace». A seguito della riforma costituzionale intervenuta con la legge n. 205/2005, il Preambolo della vigente Costituzio-ne del Paese d’Oltralpe, proclamando solenne fedeltà ai diritti dell’uomo, rin-via ai principi della sovranità nazionale definiti dalla Dichiarazione del 1789, dal Preambolo della Costituzione del 1946 e, infine, a quelli contenuti nella Carta dell’Ambiente del 2004.

    3.2. L’Organizzazione delle Nazioni Unite: struttura e poteri

    L’ONU prende vita con il Trattato di San Francisco, stipulato il 26 giu-gno 1945, alla fine della seconda guerra mondiale.

    Limitazione di sovranità da

    parte dello Stato

  • Ordinamento giuridico e Stato 17

    La prima organizzazione internazionale istituita con l’obiettivo di mante-nere la pace fra gli Stati fu, in realtà, la Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, fondata a seguito della firma del Trattato di Versailles nel 1919. La storia della Società delle Nazioni fu alquanto travagliata. Sebbene figurino fra i principali promotori della sua costituzione, gli Stati Uniti d’America non ne fecero mai parte, mentre il Giappone, la Germania e l’Italia ritirarono la loro adesione tra il 1932 e il 1937. La Società delle Nazioni fallì nel rag-giungimento dei suoi obiettivi, come rivelò l’incapacità di fermare il conflit-to fra Bolivia e Paraguay per il controllo della zona del Chaco Boreal e l’invasione italiana dell’Etiopia del 1935. Essa interruppe ogni attività politi-ca a partire dal 1939 e fu, dunque, sostituita dall’Organizzazione delle Na-zioni Unite, anche se si sciolse formalmente solo nel 1946.

    Gli obiettivi che l’ONU intende raggiungere sono mirabilmente descrit-ti nel preambolo del trattato istitutivo, a norma del quale i Paesi aderenti uni-scono le loro forze per «salvare le future generazioni dal flagello della guer-ra», per «riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole» e per «promuovere il pro-gresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà».

    Gli organi fondamentali delle Nazioni Unite sono l’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza e il Segretario Generale.

    L’Assemblea Generale è composta da tutti i rappresentanti dell’ONU, ossia 193 Paesi e costituisce, dunque, un insostituibile luogo di discussione e confronto. Essa tiene regolarmente una sessione da settembre a dicembre ogni anno e, su richiesta, si riunisce appositamente anche in via straordina-ria. Essa può formulare raccomandazioni sui principi generali di cooperazio-ne per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, compreso il disarmo; discutere qualsiasi questione relativa alla pace e alla sicurezza in-ternazionale e – tranne nel caso in cui una problematica sia già in discussio-ne presso il Consiglio di Sicurezza – può formulare raccomandazioni. L’As-semblea, inoltre, può intervenire qualora il Consiglio di Sicurezza non riesca tempestivamente ad agire, a causa del voto negativo di un membro perma-nente, nell’ipotesi in cui si configuri una minaccia per la pace o un atto di aggressione. In tal caso, l’Assemblea può vagliare immediatamente la que-stione, per formulare raccomandazioni ai Paesi membri, tese all’adozione di misure collettive necessarie al mantenimento o al ripristino di condizioni pa-cifiche.

    Il Consiglio di Sicurezza ha il compito di mantenere la pace e la sicurez-za, interviene in ogni questione che potrebbe condurre a conflitti internazio-nali, propone metodi di conciliazione e formula progetti per la creazione di un sistema generale di regolazione degli armamenti. Esso si compone di quindici membri, dei quali cinque permanenti, ossia le potenze vincitrici il secondo conflitto mondiale (Cina, Francia, Russia, Stati Uniti, Gran Breta-

    Società delle Nazioni

    Obiettivi dell’ONU

    Assemblea Generale

    Consiglio di Sicurezza

  • Stato, diritti e libertà 18

    gna) e dieci non permanenti, eletti dall’Assemblea Generale per due anni, non immediatamente rieleggibili. La differenza fondamentale consiste nel c.d. potere di veto: le decisioni sulle tematiche rilevanti richiedono nove vo-ti, tra cui quelli dei cinque membri permanenti. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza appaiono particolarmente importanti, dato che sono vincolanti, mentre quelle emanate dall’Assemblea Generale assurgono, solo in alcuni settori, a tale rango (ad esempio, in materia di bilancio o indicazioni a orga-nismi interni all’ONU).

    Da diverso tempo sono state avanzate proposte di riforma del Consiglio di Sicurezza, sia sotto il profilo della composizione che delle modalità di vo-tazione. In particolare, Germania, Giappone, India e Brasile ambiscono ad un seggio permanente, che dovrebbe essere conferito anche a due paesi afri-cani da designare. Su questa proposta vi è stata, tuttavia, la ferma opposizio-ne di Stati Uniti e Cina. La posizione italiana è, invece, nel senso di una maggiore trasparenza, attraverso la limitazione del diritto di veto, considera-to un anacronistico ed ormai ingiustificato vantaggio, e l’imposizione di un’adeguata motivazione a supporto del voto contrario. L’Italia fa parte, in-sieme ad altri Paesi, tra i quali la Spagna, il Messico, l’Argentina e il Cana-da, del gruppo Uniting for Consensus, particolarmente attivo nell’elaborazio-ne di proposte innovative per l’ONU. L’obiettivo comune è riformare il Consiglio di Sicurezza in senso più democratico, efficiente e rappresentativo. Per tale ragione, viene rifiutata la mozione di ampliamento dei seggi perma-nenti, dato che in questo modo si persisterebbe nella cristallizzazione delle posizioni di forza, con l’unica differenza che essa riguarderebbe soltanto al-cuni Paesi in aggiunta a quelli già “privilegiati”. La coalizione, invece, vuole aumentare il numero dei membri non permanenti, istituendo otto o dieci nuo-vi seggi di durata biennale, sui quali ruoterebbe in maniera più frequente un gruppo di Paesi scelti secondo criteri già fissati dalla Carta ONU, garantendo l’equa distribuzione geografica e tenendo conto del contributo effettivamente fornito alle attività dell’Organizzazione. Tali Paesi sarebbero tenuti ad assu-mere maggiori responsabilità, soprattutto nel finanziamento dell’ONU e delle operazioni di peacekeeping, consistenti in interventi condotti da forze armate internazionali allo scopo di far cessare, contenere o prevenire l’insorgere di conflitti aventi carattere interno od internazionale. Inoltre, l’Italia promuove la creazione di una nuova categoria di seggi non permanenti di durata superiore (dai 3 ai 5 anni senza possibilità di un secondo mandato nell’immediato, op-pure 2 anni con possibilità di una conferma).

    Il Segretario Generale è nominato dall’Assemblea Generale su indica-zione del Consiglio di Sicurezza. Esso incarna l’organo esecutivo, vertice dell’apparato amministrativo (Segretariato) che conta circa quarantamila di-pendenti. Il Segretario Generale porta all’attenzione del Consiglio di Sicu-rezza qualsiasi questione che, a suo parere, sia tale da minacciare il mante-nimento della pace e della sicurezza internazionale.

    Segretario Generale

  • Ordinamento giuridico e Stato 19

    L’ONU, nel corso della sua storia, ha registrato, talvolta, evidenti insuc-cessi che hanno alimentato perplessità nei confronti di una struttura farragi-nosa, lenta e poco incisiva nella risoluzione dei conflitti, in quanto priva di un esercito che i singoli Paesi avrebbero dovuto contribuire a costituire, met-tendo a disposizione le proprie forze armate. In realtà, siffatte considerazioni critiche appaiono eccessive nei confronti di un’organizzazione che svolge nu-merosi interventi di peacekeeping e che, in molti casi, ha esercitato un’influen-za determinante sui Paesi, inducendoli ad una risoluzione pacifica delle loro reciproche controversie.

    3.3. Dalla Comunità Economica Europea all’Unione europea

    Il fenomeno dell’integrazione europea appare qualitativamente diverso da quello che ha interessato tutte le altre esperienze internazionali. L’Unione europea, infatti, è nata, al pari di ogni altra organizzazione, grazie a trattati sti-pulati dai sei Stati fondatori, conclusasi la drammatica esperienza del secondo conflitto mondiale. Il Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 e i Trattati di Roma del 25 marzo 1957 diedero rispettivamente vita il primo alla CECA (ossia la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio) e i secondi all’EURATOM (la Comunità europea per l’energia atomica) e alla CEE (la Comunità economi-ca europea). Si riteneva che la messa in comune della produzione del carbo-ne e dell’acciaio, unitamente alla creazione di un unico mercato, avrebbe te-nuto distanti le singole realtà nazionali dalla tentazione di imbracciare nuo-vamente le armi. Troppo recente era l’esperienza della guerra e dei disastri che essa aveva provocato, pertanto i governanti dei Paesi dell’Europa conti-nentale decisero di unirsi per tutelare i loro interessi economici, la cui pro-mozione pretendeva anzitutto l’instaurazione di un clima pacifico e collabo-rativo. I Paesi che costituirono il primo nucleo della CEE, come sopra ac-cennato, erano sei: Italia, Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussem-burgo. Nel discorso che il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman fe-ce nel 1950, allorquando propose la creazione della CECA, si legge l’auspi-cio che la condivisione di interessi necessari alla comunità economica avrebbe instillato negli animi «il fermento di una comunità più profonda tra Paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni». Fin dall’origine, dunque, il progetto appariva ambizioso e lungimirante: creare un’Europa che fosse non solo unita economicamente, ma soprattutto coesa politicamente. L’obiettivo finale era dunque dare vita ad un popolo europeo che potesse sentirsi profon-damente partecipe di una realtà comune.

    Da allora, i Trattati di Roma sono stati sottoposti a numerose modifiche ed integrazioni, fino al tentativo di approvare una Costituzione europea. Ciò ha determinato un allargamento del novero delle competenze rimesse alla Comunità europea e una progressiva limitazione della sovranità dei singoli

    Nascita della Comunità Economica Europea

  • Stato, diritti e libertà 20

    Stati. Ad essa sono stati trasferiti importanti poteri, sia sotto il profilo del-l’adozione di norme giuridiche vincolanti, sia sotto il profilo politico, per cui l’Unione europea decide in settori che prima erano riservati agli Stati (ad esempio, in materia di politica agricola e monetaria). L’art. 3 del TUE è mol-to generico nel definire gli scopi della Comunità, il che giustifica il conferi-mento di ampi spazi di manovra. In particolare, essa ha il compito di promuo-vere «lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato for-temente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente», ma non solo. Si fa riferimento, altresì, alla parità tra uomo e donna, alla solida-rietà intergenerazionale e tra Stati membri, alla tutela dei minori.

    Dal 1957, il numero dei Paesi è sensibilmente aumentato: oggi l’Europa si compone di 27 Stati e sono aperti i negoziati per sondare le possibilità di in-gresso di Turchia, Croazia e Macedonia, mentre Montenegro, Albania e Islan-da hanno presentato domanda di adesione. La Gran Bretagna, tuttavia, a segui-to dell’esito del referendum del giugno 2016, ha dato avvio alle procedure per abbandonare l’UE (c.d. Brexit), secondo quanto previsto dall’art. 50 TUE.

    Le tappe fondamentali che hanno segnato la trasformazione della Comu-nità economica europea in Unione europea sono:

    – il Trattato di Bruxelles (1965): il Trattato sulla fusione degli esecutivi prevedeva l’istituzione di un Consiglio unico e di una Commissione unica per le tre Comunità europee. Si trattava di una compenetrazione solo organi-ca, infatti permanevano tre ordinamenti distinti e ciascuna istituzione con-servava le competenze attribuite dai Trattati istitutivi;

    – nel 1976, viene emanato dal Consiglio l’Atto relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, mentre fino a quel momento i parlamentari europei erano stati nominati dai singoli Par-lamenti nazionali;

    – l’Atto Unico europeo (1986): costituisce la prima modifica sostanziale del Trattato istitutivo. Con esso, si assiste ad una notevole espansione delle competenze (ad esempio, in materia di ambiente e ricerca scientifica) e la Comunità viene dotata di procedure decisionali più agili. L’intento era di realizzare, entro il 31 dicembre 1992, il mercato unico, ossia uno spazio sen-za frontiere interne nel quale fosse assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Nel preambolo dell’Atto Uni-co venne espressa la volontà degli Stati membri di trasformare l’insieme del-le loro relazioni, al fine di attuare un’Unione europea, promuovendo non so-lo gli aspetti economici, ma anche quelli politici.

    – il Trattato di Maastricht (1992): con il Trattato sull’Unione europea è stata inaugurata una nuova fase del progetto di integrazione europea, nell’in-tento di dare inizio alla costruzione di una unione politica. Fattori sia esterni che interni hanno contribuito alla sua nascita. Sotto il profilo esterno, il crol-

    Scopi della Comunità

    europea

    Trattato di Bruxelles

    Atto Unico europeo

    Trattato di Maastricht

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