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25/06/2018 Dispensa di Lingua e letteratura italiana per gli esami integrativi di accesso alla classe V Istituto Tecnico Tecnologico Paritario “Francesco Baracca”

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25/06/2018

Dispensa di Lingua e letteratura

italiana per gli esami integrativi

di accesso alla classe V

Istituto Tecnico Tecnologico Paritario

“Francesco Baracca”

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Sommario

Il Neoclassicismo e il preromanticismo:

Le premesse del Neoclassicismo................................................................................................................ 2

I vari aspetti del Neoclassicismo .............................................................................................................2-3

Problematicità del concetto di preromanticismo ....................................................................................3-4

Le radici comuni .....................................................................................................................................4-5

Johann Joachim Winckelmann ................................................................................................................. 5

Ugo Foscolo:

La vita ........................................................................................................................................................5-6

Il pensiero e la poetica .................................................................................................................................. 6

Le opere .................................................................................................................................................7-11

Il Romanticismo:

Genesi e caratteristiche principali .......................................................................................................... 11-17

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LE PREMESSE DEL NEOCLASSICISMO

Nel classicismo dominante in Italia durante l’età napoleonica, anche se il gusto e le forme espressive

continuano una tradizione secolare, sono tuttavia ravvisabili elementi nuovi: per questo si è soliti

designarlo come Neo-classicismo.

Già negli ultimi decenni del Settecento le scoperte archeologiche di Pompei e di Ercolano (statue,

affreschi, mosaici, pitture vascolari, monili, suppellettili decorate) avevano sollecitato la curiosità e

l’ammirazione per le forme dell’arte classica. Un classicismo archeologico si era diffuso all’interno

della letteratura tardo-arcadica, nella predilezione per argomenti mitologici, ma anche nel gusto per

raffigurazioni linearmente nitide e armoniose, dal forte rilievo visivo, come nei cammei; ad esse si

aggiungeva la morbidezza erotica aggraziata e manierata propria del gusto degli affreschi e dei

mosaici antichi, che trovava rispondenza nella galanteria arcadica.

Alle scoperte archeologiche si aggiunsero gli studi di arte classica, che suscitarono

un vagheggiamento entusiastico della civiltà e della bellezza antiche. D’importanza fondamentale in

tal senso furono le opere dell’archeologo tedesco

Johann Joachim Winckelmann, attivo anche in Italia. Egli sosteneva che l’arte greca aveva realizzato

l’ideale del bello assoluto ed eterno, al di là di tutte le specificazioni contingenti. Essenza di questa

bellezza espressa dall’arte classica erano una «nobile semplicità» ed una «calma grandezza» che

nascevano dal dominio delle passioni e dall’armonia interiore. Le teorie di Winckelmann fornirono

all’estetica neoclassica i principi fondamentali: l’arte e la letteratura devono mirare al bello ideale,

cioè trasfigurare la realtà contingente in forme perfette, in cui non vi sia nulla di eccessivo, scomposto

o grezzo, e in cui il calore delle passioni e dei sentimenti si sublimi in un’armonia pacata di linee, di

forme, di suoni.

I VARI ASPETTI DEL NEOCLASSICISMO

A questo modo di guardare all’antico si aggiunse poi il classicismo rivoluzionario. I protagonisti della

Rivoluzione francese vedevano in Atene, Sparta, Roma un modello di vita repubblicana libera,

virtuosa, sobria e forte, che volevano far rivivere nel presente; per cui s’identificavano negli eroi

antichi e, assumendoli attraverso i ritratti ideali che ne aveva lasciato lo storico greco Plutarco, si

atteggiavano e parlavano come essi. Una testimonianza eloquente di questo classicismo giacobino

sono i quadri del pittore francese Jacques-Louis David (1748-1825), Il giuramento degli Orazi, Le

Sabine arrestano il combattimento tra i Romani e i Sabini, in cui i personaggi sono atteggiati in pose

solenni e maestose e in cui, al tempo stesso, la fi gura umana sembra assumere la durezza levigata e

tornita della statua. È un classicismo austero ed eroico che, pur nella comune matrice di una

riesumazione archeologica dell’antico, è lontanissimo dalla grazia leziosa del classicismo arcadico.

Questo classicismo rivoluzionario nell’età napoleonica si trasforma in scenografi a grandiosa, di

parata. Non si celebrano più le virtù repubblicane e libertarie, ma si tende ad assimilare il regime

napoleonico alle forme imperiali romane. Questo gusto si manifesta in egual modo nella pittura e

nella scultura ufficiali, come nella letteratura intesa a celebrare i fasti del regime (esemplare la poesia

del Monti “napoleonico”), e persino nelle arti decorative e nella moda (lo stile impero). Ma al di là

del Neoclassicismo scenografi co e celebrativo, vi è nell’età napoleonica un Neoclassicismo dalle

motivazioni ben più profonde e nuove, che raccoglie quanto vi è di autentico nella lezione

winckelmanniana. È il caso di Foscolo, in particolare nelle Grazie: qui l’antico è visto come un mondo

di armonia, bellezza, luminosa vitalità e serenità, contrapposto ad un presente inerte, oscuro o peggio

imbarbarito; un Eden vagheggiato nostalgicamente, in cui cercare rifugio dai traumi della storia,

un’alternativa alle delusioni politiche, al dispotismo e alla ferocia disumana della guerra. Alla base

di questo vagheggiamento dell’antico vi è dunque una disposizione d’animo schiettamente romantica.

Come osserva giustamente Binni, «la grande poesia delle Grazie, mentre realizzava i principi della

poetica neoclassica, li superava romanticamente».

E tuttavia per Foscolo l’antico non è un paradiso interamente e definitivamente perduto, che possa

essere oggetto solo di una nostalgia sterile e disperata. Per lui la grande civiltà italiana ha raccolto

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l’eredità di quella greca e ne ha continuato lo spirito e le forme; ed in lui, italiano e greco insieme,

«pien del nativo aër sacro», resiste ancora la fiducia di poter far rivivere quelle forme perfette

nell’«arcana armoniosa melodia pittrice» dei suoi versi, in modo che la sua poesia agisca con funzione

purificatrice sulla feroce barbarie presente, ristabilendo modi di vita più nobili, sereni e umani. Data

questa fiducia, la “nostalgia” di Foscolo è ancora in parte al di qua di quella romantica: non è una

fuga in una sola direzione, lontano dal presente, ma un movimento complesso di fuga e ritorno.

IL PREROMANTICISMO

Negli ultimi decenni del Settecento e nei primi dell’Ottocento si riscontrano nella cultura italiana

anche tendenze che esteriormente appaiono opposte a quelle neoclassiche. Se il gusto neoclassico,

nella letteratura come nelle arti, è caratterizzato dalla compostezza e dalla calma, dalla serenità e dal

dominio del mondo passionale, dalla contemplazione di un bello oggettivo, ideale, dall’armonia delle

linee e dalla luminosità levigata e nitida delle forme, queste altre tendenze, che si possono riconoscere

all’interno stesso delle opere di scrittori neoclassici come Vincenzo Monti, Pindemonte e Foscolo, si

manifestano al contrario come esasperazione passionale e soggettiva, concentrazione gelosa sull’io,

amore per il primitivo, il barbarico e l’esotico, per atmosfere malinconiche e lugubri, cupe e

tenebrose, dominate dall’idea e dalla presenza ossessiva della morte, e, infine, come predilezione per

una natura grandiosa e tempestosa, selvaggia e desolata.

Simili tendenze penetrano in Italia già a fi ne Settecento, essenzialmente per suggestione di opere

straniere che hanno larga diffusione in Europa e che vengono presto tradotte anche in italiano. Il gusto

del sentimentale, quello che i Francesi chiamano sensiblerie, cioè attenzione alla vita del cuore,

predilezione per la commozione, per le situazioni affettuose e tenere, per il patetico e per le lacrime,

è legato soprattutto alla diffusione delle opere di Jean-Jacques Rousseau

(1712-78), in particolare del romanzo epistolare Giulia, o la nuova Eloisa. Aggiungiamo, poi, il vasto

successo del romanzo giovanile di Wolfgang Goethe, anch’esso in forma epistolare, I dolori del

giovane Werther, noto in Italia già negli anni Ottanta. Il romanzo goethiano scaturisce da un

movimento letterario attivo in Germania tra il 1770 e il 1785, lo Sturm und Drang, che costituisce un

preannuncio del futuro Romanticismo. Si trattava di un cenacolo di giovani intellettuali inquieti e

ribelli, quasi tutti amici del giovane Goethe. Questi è senza dubbio la personalità più significativa del

gruppo, anche se in seguito intraprese vie del tutto diverse. Vicino agli Stürmer fu anche il giovane

Friedrich Schiller. Le opere più significative scaturite da quel clima culturale furono appunto il

Werthere la prima redazione del Faust di Goethe, I masnadieri di Schiller. Un altro rappresentante fu

Friedrich Maximilian Klinger (1752-1831), autore del dramma Sturm und Drang (Tempesta e impeto,

1776), da cui trasse la sua denominazione il movimento. Questo era influenzato dal filosofo Johann

Gottfried Herder (1744-1803) che, in polemica col razionalismo e con la letteratura del classicismo

francese che ad esso s’ispirava, ritenuta arida e artificiosa, esaltava il primigenio spirito tedesco, il

“genio” del popolo e la poesia popolare. Motivo dominante dello Sturm und Drang era la passionalità

primitiva e selvaggia, un’ansia di libertà assoluta che infrangesse ogni limite segnato dalle leggi o

dalle convenzioni sociali; di qui derivava anche il culto del «genio», delle grandi individualità,

insofferenti di ogni costrizione. Sul piano letterario ne scaturiva il rifiuto di ogni classicismo,

l’insofferenza di ogni regola, ritenuta mortificante, l’idea dell’arte come libera espressione senza freni

della genialità individuale. Per questo, in contrapposizione al classicismo francese che aveva a lungo

dominato il gusto europeo, dagli Stürmer veniva idolatrato Shakespeare, visto come una sorta di forza

della natura che crea istintivamente.

Dall’Inghilterra si diffuse la moda della poesia “cimiteriale”. Gli esponenti più noti furono Edward

Young (1683-1775), autore di Il lamento, o Pensieri notturni (1742-45), una serie di riflessioni in

versi sulla morte, e Thomas Gray, autore di una famosa Elegia scritta in un cimitero campestre, in cui

si celebra il valore delle esistenze oscure degli umili sepolti in un cimitero di campagna. Questo tipo

di poesia ebbe diffusione in Italia: ne risentì Ippolito Pindemonte (1753-1828), che aveva avviato la

composizione di un poemetto sui Cimiteri, in ottave, quando la lettura dei Sepolcri di Foscolo lo

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dissuase dal continuare; ed essendo il carme foscoliano diretto in forma di epistola in versi proprio a

lui, riprese l’argomento come risposta ai versi dell’amico. Alla poesia cimiteriale si collegano, sia pur

nei modi problematici che vedremo, i Sepolcri di Foscolo.

Fama europea ebbero anche i Canti di Ossian: si tratta di poemetti in prosa lirica, pubblicati a partire

dal 1761 dallo scozzese James Macpherson, come traduzioni dei poemi dell’antico bardo celtico

Ossian, del III secolo d.C.; in realtà si trattava di un abile falso che rielaborava motivi di antichi canti

popolari, inserendoli in una struttura epica opera di Macpherson stesso. Vi si mescolano l’esaltazione

della virtù guerriera e cavalleresca, secondo il mito rousseauiano della bontà originaria dell’uomo

primitivo, le storie degli amori appassionati e del destino infelice di alcune coppie di amanti,

descrizioni di paesaggi cupi, desolati, di atmosfere tempestose, di visioni notturne e spettrali. L’opera

incontrò un entusiastico successo e fu subito tradotta in Italia da Melchiorre Cesarotti nel 1763 (in

edizione accresciuta nel 1771). Ossian fu equiparato ad Omero, un Omero nordico, cupo e tenebroso.

PROBLEMATICITÀ DEL CONCETTO DI PREROMANTICISMO

Per tutte queste manifestazioni culturali che abbiamo elencato si suole parlare di Preromanticismo,

poiché i loro aspetti salienti si ritroveranno poi, nei primi decenni dell’Ottocento, nella letteratura

romantica. Il concetto e il termine sono stati contestati, in quanto impoverirebbero la nozione di

Romanticismo, che possiede ben altra ricchezza e complessità; di conseguenza tali manifestazioni

sono state viste come fenomeni ancora del tutto interni alla cultura dell’Illuminismo. In realtà le

tendenze esaminate non tollerano di essere ridotte entro quei confini: esse sono indubbiamente già i

sintomi di una visione del mondo e di una sensibilità nuove; sono infatti, a fine Settecento, il riflesso

delle inquietudini di un’età che avverte come sia ormai prossimo a crollare un ordine secolare, non

solo nelle sue strutture politiche, sociali, economiche, ma anche in quelle culturali. Nella seconda

metà del Settecento siamo sulla soglia di due grandi rivoluzioni, che sconvolgeranno dalle radici tutto

l’assetto europeo: l’una politica, quella francese, l’altra economica, quella industriale, che

dall’Inghilterra si diffonderà per tutta l’Europa nel corso dell’Ottocento. Il Romanticismo sarà

appunto il frutto culturale maturo di questi sconvolgimenti rivoluzionari. La nozione di

Preromanticismo ha dunque una sua validità storiografica, purché si dia rilievo caratterizzante al

prefisso pre: le tendenze esaminate sono, cioè, indizi, sintomi, che preannunciano ciò che maturerà

in seguito.

LE RADICI COMUNI

Neoclassicismo e Preromanticismo, nelle caratteristiche che li individuano, appaiono tendenze

culturali tra loro antitetiche e a prima vista inconciliabili. Eppure esse si trovano compresenti negli

stessi anni, entro la personalità di uno stesso scrittore, addirittura, a volte, all’interno della stessa

opera. Lo si è già verificato, per la generazione di fine Settecento, in Alfieri; lo verificheremo ancora

in Monti e soprattutto in Foscolo. Si pensi solo al fatto che Foscolo è autore di un romanzo

“wertheriano”, l’Ortis, caratterizzato da un’esasperata veemenza passionale, dalla concentrazione

sull’io, dalla presenza ossessiva della morte, ma è anche l’autore del capolavoro supremo del

Neoclassicismo italiano, le Grazie.

In realtà, Neoclassicismo e Preromanticismo sono fenomeni diversi che scaturiscono da una stessa

radice, manifestazioni complementari di una stessa crisi di fondo. Una crisi che si presenta in due fasi

storiche: in una prima fase, durante gli anni Settanta-Ottanta del Settecento, la crisi dell’ancien

régime, nonché del riformismo illuministico che era stato l’estremo tentativo di salvarlo,

introducendo il nuovo per conservare le strutture dello Stato e della società dell’assolutismo; poi,

negli anni napoleonici, quella delle illusioni rivoluzionarie, delle speranze in una rigenerazione totale

del mondo. In entrambi questi momenti si riscontrano sul piano culturale contraccolpi omologhi, per

cui scrittori dell’età napoleonica seguono percorsi spirituali già seguiti decenni prima da scrittori che

avevano attraversato la crisi dell’Illuminismo: delusione, distacco dall’attivo impegno civile, rifiuto

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della storia, fuga in un altrove diverso dal presente e più autentico. E in entrambi questi momenti si

affacciano insieme tendenze classicheggianti e tendenze preromantiche. Entrambe vanno allora viste

come la ricerca di un’alternativa all’esistente che delude: per il Neoclassicismo (nelle sue tendenze

più autentiche, non in quelle semplicemente retoriche, accademiche e decorative) l’alternativa è

l’ideale della bellezza e dell’armonia, lontano dagli orrori e dagli scacchi della storia; per il

Preromanticismo, sono le profondità dell’io, la natura sentita in termini di comunione con la vita del

soggetto, il primitivo come sede di autenticità vitale. Non conta tanto, dunque, la diversa direzione

della fuga, quanto il bisogno che ne sta alla base, comune alle due tendenze.

JOHANN JOACHIM WINCKELMANN

Nato a Stendal, in Prussia, nel 1717, morì a Trieste nel 1768. Di umili origini, seguì studi filosofici e

letterari nelle Università di Halle e di Jena ed approfondì in seguito lo studio della letteratura e

dell’arte classica. Nel 1755 pubblicò i Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella

scultura. Grazie alla protezione del nunzio apostolico a Dresda, nel 1755 poté recarsi a Roma per

studiare direttamente quei capolavori dell’arte classica di cui era entusiasta e in cui vedeva realizzato

il suo ideale di una bellezza assoluta ed eterna. A Roma strinse amicizia con il pittore boemo Anton

Raphaël Mengs, che condivideva il suo amore per l’arte classica e che seguì le sue teorie nella pratica

pittorica. Fu al servizio del cardinale Albani, mecenate e collezionista d’arte antica, e poté così

studiare le grandi collezioni d’arte romane. Tra il 1757 e il 1758 visitò Ercolano e Pompei, di cui era

iniziata da pochi anni la riscoperta archeologica, e si spinse fino a Paestum, dei cui monumenti

sottolineò per primo l’importanza. Nel 1763 pubblicò la Storia dell’arte nell’antichità. Nel 1764 fu

nominato sovrintendente alle antichità di Roma. Di ritorno da un viaggio in Germania e in Austria

(dove era stato ricevuto con grandi onori dall’imperatrice Maria Teresa), fu assassinato in una locanda

di Trieste, per oscuri motivi. Fu il massimo teorico del gusto neoclassico. Le sue teorie e le sue

interpretazioni dell’arte classica ebbero vasta risonanza e grande influenza sulla cultura europea tra

il Settecento e l’Ottocento.

UGO FOSCOLO. LA VITA

Foscolo nacque a Zante (Zacinto) nel 1778, un’isola nel mar Ionio appartenente alla repubblica

veneta. In essa vide sempre l’immagine della bellezza e dell’armonia classiche.

Il padre, Andrea, era un medico veneto, mentre la madre, Diamantina Spathis, era greca (e questo

influì sull’amore di Foscolo per i classici). Presto la famiglia si trasferisce in Dalmazia, dove il padre

muore. Prosegue perciò gli studi classici e si dedica alle prime opere letterarie e alle traduzioni. In

seguito Foscolo viene introdotto nei salotti intellettuali, poiché dotato di una personalità carismatica.

E’ qui che conosce il letterato Ippolito Pindemonte.

La discesa in Italia di Napoleone gli dà grandi speranze, che saranno deluse, tant’è vero che il Foscolo

conoscerà l’esilio. In quel periodo, comunque, si arruola nella Repubblica Cispadana e lavora per

creare un nuovo stato. Ma quando, col trattato di Campoformio, Venezia viene ceduta all’Austria, il

suo sogno di trovare in Napoleone un liberatore dell’Italia si infrange, al punto che, preso dalla

disperazione, si narra in un aneddoto che Foscolo abbia addirittura tentato di uccidersi.

In seguito si reca a Milano, dove collabora con vari periodici. Conosce il Monti, e presto pubblica le

“Ultime lettere di Jacopo Ortis”. Sempre in questo periodo prende parte ad alcune imprese militari.

Dopo Marengo, si reca in Toscana e si innamora di Isabella Roncioni. A Milano si innamora invece

di Antonietta Fagnani Arese.

Diversi anni più tardi lo colpisce una grave tragedia: suo fratello muore suicida. Poco tempo dopo,

dunque, si trasferisce in Francia, dove si innamora stavolta di Fanny Hamilton, dalla quale ha una

figlia, Mary, spesso chiamata nelle sue poesie “Floriana”. In questo periodo Foscolo si dedica alla

traduzione di Sterne. Torna in Italia e dedica i “Sepolcri” al suo amico Pindemonte. Lavora

all’università di Pavia, e lì subirà diverse polemiche letterarie e censure poiché le sue opere sono

antinapoleoniche.

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Negli anni seguenti vive a Firenze, dove lavora alle “Grazie”. Quando, in seguito alla sconfitta di

Napoleone, Venezia rimane agli Austriaci, Foscolo decide di fuggire in esilio, peregrinando per

l’Europa. In Inghilterra vive tra le miserie e l’amarezza, aggravate da una salute malferma. Qui

emergono la sua DEDIZIONE AL LAVORO e la DIGNITA’ DELLA VITA, secondo i suoi ideali.

Le sue condizioni economiche vanno frattanto peggiorando, eppure il suo studio degli autori si fa più

intenso. Muore nel 1827. Il suo corpo verrà portato a Firenze, in Santa Croce.

IL PENSIERO E LA POETICA DI UGO FOSCOLO

Foscolo si formò sulla base delle dottrine illuministiche, diffuse dalla rivoluzione proprio negli anni

della sua adolescenza, aderì quindi ai principi del materialismo scientifico, che individuava la verità

nella ragione, base indispensabile per la scienza. Tuttavia tali rigidi principi non potevano soddisfare

completamente Foscolo, nel quale esistevano sentimenti, passioni molto intense. Egli perciò si

abbandonò, come egli stesso dice, per sopravvivere alle illusioni, delle quali si creò una vera e propria

religione (pur rendendosi conto di quanto valga l'illusione). Si sente diverso dagli altri intellettuali

suoi contemporanei e mostra una particolare passione per i classici (per lui luogo di armonia) che lo

aiutano a trovare quell'equilibrio di cui ha tanto bisogno.

Successivamente attraversa un periodo caratterizzato da un profondo pessimismo verso la realtà

circostante: gli ideali in cui crede diventano mano a mano illusioni perché non si realizzano. L'unica

soluzione, per il Foscolo, non rimane altro che il suicidio, ovvero il rifiuto del presente e della vita

attuale. Il Foscolo è infatti combattuto: da una parte c'è la ragione che gli dice che i suoi ideali non si

realizzeranno, dall'altra il cuore che lo esorta a continuare a credere in quello in cui ha sempre creduto.

Pensiero di Foscolo:

1) Vita come passione: per Foscolo l'importanza dell'uomo consiste nell'energia e vigore delle

passioni, queste, infatti, esaltano l'individuo e giovano a quelli che le contemplano.

2) Sensismo e materialismo: perduta la fede cristiana Foscolo aderisce alle dottrine sensistiche e

materialistiche; ritiene valide e sicure solo le conoscenze che gli derivano dai sensi e dalla ragione

sperimentale; crede solamente che sia reale ciò che viene percepito dai sensi (materia): l'universo

quindi è un ciclo perenne di nascita, di morte, di trasformazione da parte di forze meccanicistiche.

Perciò, Dio, l'anima, ogni piano provvidenziale, sono esclusi da questa concezione: dopo il travaglio

della vita, subentra "il nulla eterno".

3) La “religione” delle illusioni (attraverso il volontarismo): tuttavia Foscolo sente una sete di ideali

grandiosi, di verità, giustizia, bellezza, libertà, amore, patria: essi solo gli appaiono capaci di dare un

significato all'esistenza. La ragione gli dice però che sono illusioni, ma il cuore non si rassegna a

considerarli come tali, e nasce così la nuova fede, la religione delle illusioni, il culto dei valori

spirituali continuamente contraddetti dalla realtà e tuttavia continuamente risorgenti nell'animo (essi

soltanto danno vera dignità all'uomo).

4) Poesia come espressione di questi valori di umanità e civiltà: la poesia diviene celebrazione

dell’importanza delle illusioni e lo strumento della loro permanenza nel tempo. Essa, infatti, le sottrae

alla rovina del tempo, rendendo eterni nei secoli gli spiriti grandiosi di eroi e poeti, che le hanno

affermate.

LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS

“Le ultime lettere di Jacopo Ortis” è un romanzo epistolare, cioè composto dalle lettere che Foscolo

immagina siano state scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della sua vita ad un suo amico,

Lorenzo Alderani. Questi le pubblica aggiungendo qua e là alcune descrizioni o fatti che Jacopo,

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poiché morto, non avrebbe potuto scrivere, come ad esempiola sua morte. Lorenzo Alderani

rappresenta un po’ un alter ego di Jacopo, e per questo il romanzo ricorda molto il modello di Sterne.

Tema centrale sono le vicende, i pensieri, i sogni di Jacopo Ortis. Per questo il romanzo, più che avere

una vera trama, è piuttosto un dibattersi dell’anima del protagonista che, visti crollare tutti i suoi

ideali, giunge al rifiuto dell’esistenza.

Con la morte di Jacopo muore in Foscolo il “mito della giovinezza”, lasciando spazio a quello della

morte e della tomba.

La trama è la seguente.

Jacopo, rifugiatosi nei Colli Euganei in seguito al trattato di Campoformio, conosce Teresa e se ne

innamora, riamato. Ma il padre di lei l’ha già destinata al ricco Odoardo, e quindi Jacopo sa che il suo

amore è senza speranza.

Tuttavia non può rinunciare ai suoi sentimenti per Teresa, che sente come un ultimo richiamo alla

vita. Per tentare di cancellarli, compie allora diversi viaggi in Italia. A Milano conosce per esempio

il Parini, con cui medita sulla situazione della patria, mentre a Firenze, a Santa Croce, ripensa alle

tombe dei grandi italiani.

Ritorna infine ai Colli Euganei, e qui ritrova Teresa già sposata. La incontra per l’ultima volta

strappandole un bacio. Quindi si pugnala al cuore.

Molti hanno visto un’influenza alfieriana in questo romanzo: Jacopo è l’uomo libero di Alfieri, che

lotta contro la tirannide, specie quella della vita, destinata al dolore e alla morte. Il suicidio del giovane

è infatti un atto di ribellione verso la meschinità della vita, è l’affermazione disperata dell’uomo verso

la libertà. Inoltre vi è l’ideale della patria, ma l’eroe di Foscolo esce dalla solitudine e lotta per la

comunità (e in questo si vede una differenza sostanziale con il Werther di Goethe). “Le ultime lettere

di Jacopo Ortis” sono una perfetta biografia del Foscolo (Teresa ad

esempio non è altri che Teresa Pickler, moglie del Monti): vi confluiscono i suoi amori infelici e le

sue esperienze politiche, nonché il crollo dei suoi ideali religiosi, giustificazione suprema della vita.

Appaiono anche tutti i miti foscoliani: la BELLEZZA SERENATRICE (soprattutto quella di Teresa,

creatura angelica che contiene in sé la promessa impossibile di felicità), l’AMORE, l’EROISMO, la

NATURA emblema dell’armonia divina.

La lingua usata è discontinua: si nota il linguaggio di una fantasia ancora immatura che si compiace

di tonalità estreme ed esasperate. Alla poesia spetterebbe il compito di purificare l’animo umano dalle

passioni, di armonizzarle almeno, ma vediamo subito che Foscolo non riesce in questo tentativo. Ma

è in effetti proprio questo suo linguaggio fresco a rendere meglio l’intimità fra scrittore e lettore.

LE ODI:

Le Odi di Foscolo sono la SERENA ESALTAZIONE DELLA BELLEZZA, sempre minacciata e

sempre risorgente, confortatrice dell’angosciosa vita dell’uomo.

E’ l’apparire dell’RMONIA UNIVERSALE, immutabile ed opposta ai vorticosi cambiamenti del

nostro mondo. In essa il poeta vede un modo per LIBERARSI DAI LIMITI DELLA MATERIA e

mezzo per attingere all’universale.

E’ questo il SUO SOGNO, un sogno non più idilliaco della fantasia, ma sublimazione di una

drammatica verità umana. L’attaccamento del Foscolo ai classici, di chiara derivazione neoclassica,

sono espressione composta dello splendore, e danno sì un tono raffinato ed elegante alla poesia, ma

non sempre profondo. Il modo di poetare di Foscolo è, come egli stesso lo definiva, “passione

divorante pacatamente mediata”. Essa è esternatrice dei più alti valori umani.

Tra le odi più famose di Foscolo ricordiamo:

1) ALL’AMICA RISANATA;

2) A LUIGIA PALLAVICINI CADUTA DA CAVALLO.

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I SONETTI:

Furono composti nel 1802 e sono 12 (anche se gli ultimi quattro furono aggiunti in seguito).

I primi otto sembrano un diario poetico con fitte influenze di Petrarca, classiche e di Alfieri.

Gli ultimi quattro sono senz’altro i suoi capolavori. In essi il poeta ci sembra rivolto alla meditazione

e alla contemplazione di sentimenti ed ideali universali.

Appaiono i grandi miti foscoliani: la bellezza serenatrice, il sepolcro e l’affetto dei vivi, unico modo

per vivere oltre la morte, l’esilio e la poesia eternatrice della virtù. Lo stile è ormai perfetto, composto,

ma profondo.

Tra i suoi sonetti più famosi ricordiamo:

1) A ZACINTO;

2) ALLA SERA;

3) IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI.

I SEPOLCRI:

INTRODUZIONE:

Il carme del Sepolcri è sicuramente l’opera più famosa di Foscolo. L’ispirazione per l’opera nasce

nel 1806, quando il Trattato di Saint-Cloud, che prevedeva la sepoltura dei morti in specifiche zone

extra-urbane per ragioni igieniche, venne estesa anche in Italia. In tal modo si escludeva dunque la

sepoltura in chiese o luoghi urbani.

E’ in seguito a questo che Foscolo scrive allora “I Sepolcri”, dedicato a Ippolito Pindemonte.

Nell’opera, oltre alle tematiche, Foscolo riprende da Parini e Alfieri anche la metrica, formata da

endecasillabi sciolti. Per Foscolo, se la civiltà consiste nella trasmissione del sapere, la tomba ne è

invece il simbolo: è attraverso il ricordo dei defunti che si prosegue il rapporto con essi.

Questo è vero anche sul piano storico: i defunti di una nazione ne costituiscono l’identità.

Inoltre l’essere ricordati concede al defunto la vita eterna.

Lo stile è solenne ed incisivo, e non mancano quei toni colloquiali tipici dello stile epistolare, né

quelli sublimi. Tale stile è adatto a risvegliare, nell’Italia imbarbarita, le antiche virtù civili, dei quali

sono emblema le tombe di Santa Croce.

ANALISI:

I Sepolcri furono composti tra l’estate e l’autunno del 1806, sebbene la data esatta sia incerta.

Furono scritti in risposta all’opera “I cimiteri” di Pindemonte, sebbene già da tempo Foscolo

meditasse uno scritto simile, come dimostra la lettera scritta alla Albrizzi.

Probabilmente sia Ippolito che la Albrizzi si erano lamentati in presenza di Foscolo della legislazione

francese in merito alla sepoltura dei morti (Trattato di Saint-Cloud). Foscolo, che inizialmente si era

dichiarato indifferente alla questione, aveva poi avuto modo di pensarci e di sviluppare le sue idee in

merito.

In quest’opera troviamo una concezione letteraria molto diversa da quella espressa nello

Jacopo Ortis, così come nelle Odi o nei Sonetti. E’ già iniziato il passaggio del Foscolo dal “periodo

passionale” al “periodo mediato”. Una delle prime novità di quest’opera è l’assenza del MOTIVO

PATRIOTTICO RISORGIMENTALE, sebbene il carme sia comunque attuale e punti sul profondo

significato della STORIA e della CIVILTA’. La QUESTIONE PRINCIPALE dell’opera è conciliare

la visione materialistica della vita (propria dell’Illuminismo) con quella religiosa.

Foscolo si chiede quale sia il senso della morte e quale sia il rapporto tra morti e superstiti. Si deve

rinnegare tale valore o sostenere la morte ed i suoi riti? Ecco dunque l’argomento dei Sepolcri.

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STRUTTURA E CONTENUTO:

Questo carme è innovativo per l’INTENTO DIMOSTRATIVO tramite esempi, e per il suo costante

rapporto tra passato e presente.

Scritto in endecasillabi sciolti, è divisibile in 4 parti:

1) UTILITA’ DELLE TOMBE: per i materialisti esse sono inutili e non possono ripagare i morti per

la perdita della vita. Tuttavia esse servono anche a mantenere vivo il ricordo del defunto nei vivi, il

che è quasi un modo per poter vivere ancora. La morte non ci rende però tutti uguali: i cattivi, ad

esempio, non saranno ricordati, perciò rendere anonime le iscrizioni sulle tombe è ingiusto e non tiene

conto del merito (E’ una vergogna per esempio che un uomo come il Parini non abbia avuto una

sepoltura adeguata e giaccia in una fossa comune, mescolato magari alle ossa di un ladro o di un

assassino).

2) I VARI CULTI DEI MORTI E IL SENSO DELLA CIVILTA’: la civiltà è connessa alla cura dei

morti. Molti aspetti ha questa cura: c’è quella della tradizione cattolico-medievale, che presenta la

morte in modo angoscioso e terrificante, o quella classica, rasserenatrice. Anche in Inghilterra il

mondo dei morti è rappresentato serenamente, con cimiteri simili a giardini, con l’illusione quasi di

poter ancora parlare con loro, come accadde per esempio quando alcune fanciulle si riunirono in

preghiera per Nelson. La decadenza italiana, invece, fa invece sì che molti siano già sepolti

dall’opportunismo.

3) LE TOMBE ESEMPLARI DEI GRANDI: SANTA CROCE ED IL RISCATTO FUTURO

DELL’ITALIA. E’ per questo che lo stesso Alfieri visi recava, ed ora anche lui giace a Santa croce.

Lo stesso amor patrio spinse i Greci a Maratona a sacrificare le loro vite per difendere la propria

patria. E la memoria di quel sacrificio è ancora viva.

4) IL VALORE MORALE DELLA MORTE: secondo la leggenda il mare avrebbe portato le armi di

Achille, che Ulisse aveva ottenuto con l’inganno, sulla tomba di Aiace, che proprio a motivo di quelle

armi si era suicidato. La morte è quindi una ricompensa dalle ingiustizie della vita. Anche la poesia

ha un ruolo fondamentale in questo, perché celebra gli uomini e rende immortali le loro imprese. La

città di Troia, per esempio, ormai distrutta dai Greci, sopravvive nel ricordo grazie ad Omero. Egli,

sebbene greco, ha saputo rendere giustizia ai Troiani, come Ettore, modello di virtù e lealtà.

Dei sepolcri, testo e parafrasi (vv. 1-61)

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove piú il Sole

per me alla terra non fecondi questa

bella d’erbe famiglia e d’animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l’ore future,

né da te, dolce amico, udrò piú il verso

e la mesta armonia che lo governa,

né piú nel cor mi parlerà lo spirto

delle vergini Muse e dell’amore,

la tomba può offrire conforto al sepolto? La morte (sonno della morte) è forse meno doloroso (men

duro) all’ombra dei cipressi e dentro le tombe (urne) consolate dal pianto [dei vivi]? Quando (ove) il sole avrà smesso per me di fecondare il creato (questa bella

d'erbe famiglia e d'animali - iperbato), quando

l’avvenire attraente per le vagheggiate promesse avrà perso ogni seduzione (vaghe…future), né udirò più te, Pindemonte (dolce amico), [recitare] i tuoi versi (il verso) e l’armonia malinconica che li ispira (lo

governa), né più nel cuore sentirò l’ispirazione (spirto) delle Muse e dell’amore, unica consolazione della mia vita errabonda (mia vita raminga – perché esule), quale consolazione sarà per la vita finita (qual…perduti) una

lapide (sasso – pietra sepolcrale) che distingua i miei

resti dagli infiniti altri

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unico spirto a mia vita raminga,

qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso

che distingua le mie dalle infinite

ossa che in terra e in mar semina morte?

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve

tutte cose l’obblío nella sua notte;

e una forza operosa le affatica

di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe

e l’estreme sembianze e le reliquie

della terra e del ciel traveste il tempo.

Ma perché pria del tempo a sé il mortale

invidierà l’illusïon che spento

pur lo sofferma al limitar di Dite?

Non vive ei forse anche sotterra, quando

gli sarà muta l’armonia del giorno,

se può destarla con soavi cure

nella mente de’ suoi? Celeste è questa

corrispondenza d’amorosi sensi,

celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l’amico estinto

e l’estinto con noi, se pia la terra

che lo raccolse infante e lo nutriva,

nel suo grembo materno ultimo asilo

porgendo, sacre le reliquie renda

dall’insultar de’ nembi e dal profano

piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

e di fiori odorata arbore amica

le ceneri di molli ombre consoli.

Sol chi non lascia eredità d’affetti

poca gioia ha dell’urna; e se pur mira

dopo l’esequie, errar vede il suo spirto

fra ’l compianto de’ templi acherontei,

o ricovrarsi sotto le grandi ale

del perdono d’lddio: ma la sua polve

lascia alle ortiche di deserta gleba

ove né donna innamorata preghi,

né passeggier solingo oda il sospiro

che dal tumulo a noi manda Natura.

Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti

contende. E senza tomba giace il tuo

sacerdote, o Talia, che a te cantando

nel suo povero tetto educò un lauro

con lungo amore, e t’appendea corone;

e tu gli ornavi del tuo riso i canti

che il lombardo pungean Sardanapalo,

cui solo è dolce il muggito de’ buoi

che dagli antri abdüani e dal Ticino

lo fan d’ozi beato e di vivande.

(le mie dalle infinite ossa) che la morte sparge (semina) in

terra e in mare?

È proprio vero Pindemonte ! anche la speranza, ultima dea

(così era definita dai latini, l’ultima ad abbandonare l’uomo),

fugge le tombe (si dilegua cioè l’ultima illusione di immortalità

affidata appunto al sepolcro): la dimenticanza circonda

(involve) tutte le cose nella sua tenebra (notte); e una forza

attiva le trasforma (le affatica) incessantemente di movimento

in movimento; e il tempo tramuta (traveste) sia l’uomo sia le

sue tombe sia le ultime tracce (sembianze) sia ciò che resta

(reliquie) della terra e del cielo.

Ma perché l’uomo dovrebbe privarsi (invidierà – da invidere

latinismo) prima del tempo dell’illusione che [una volta] morto

(spento) lo trattiene [gli fa credere di fermarsi] ancora sulle

soglie dell’oltretomba (limitar di Dite) ?

Egli [l’uomo da morto] non vive forse anche sotto terra,

quando gli sarà [divenuta] impercettibile (muta) l’attrattiva

della vita (l’armonia del giorno, cioè la vita perduta), se può

risvegliarla (destarla) nella mente dei suoi [cari] attraverso il

culto della memoria (soavi cure: la cura delle tombe) ? Questa

corrispondenza di sentimenti (sensi – lat.) amorosi è divina

(celeste), è una dote divina negli uomini; e grazie a lei (per lei)

si vive con l’amico morto e il morto [vive] con noi, se la sacra

terra (se pia la terra) che lo ha accolto neonato e lo ha nutrito,

porgendo l’ultimo asilo nel suo grembo materno, renda

inviolabili (sacre) le sue spoglie dalle intemperie (dagli insulti

delle nuvole - insultar de’ nembi) e dal piede profanatore degli

uomini, e un sasso [la pietra sepolcrale] conservi il nome, e un

albero (arbore – latinamente al femminile) amico profumato di

fiori consoli le ceneri con la sua dolce ombra.

Solamente chi non lascia eredità di affetti [chi muore senza

legami affettivi] ha poca gioia nella tomba; e se solo guarda

(mira) oltre la [propria] sepoltura (in un mondo ultraterreno),

vede la propria anima (spirto) vagabondare (errar) in mezzo al

dolore (compianto) dei luoghi infernali (templi acherontei - si

riferisce agli Acherousia Templa di Lucrezio), o rifugiarsi sotto

le grandi ali del perdono di Dio: ma lascia le sue ceneri (sua

polve) alle ortiche di una terra (gleba) deserta dove non prega

[nessuna] donna innamorata, né [alcun] passante solitario ode

il sospiro che la natura manda a noi dalla tomba.

Tuttavia (pur) una nuova legge [l’editto di Saint-Cloud] oggi

impone che le tombe siano fuori dagli sguardi pietosi [fuori dai

centri abitati], e toglie (contende) la fama (il nome) ai morti. E

giace senza tomba il tuo sacerdote (si riferisce a Parini che

non ebbe una tomba), o Talia (musa della poesia satirica), che

poetando per te coltivò (educò – lat.) con lungo amore un

lauro (l’alloro pianta sacra alle Muse) nella sua povera casa

(povero tetto – allude alle modeste condizioni di Parini), e ti

consacrò molte opere (t'appendea corone - metafora); e tu

(Musa) abbellivi del tuo sorriso le sue poesie che criticavano

(pungean) i viziosi aristocratici lombardi (Sardanapalo

leggendario Re d’Assiria ricco e dissoluto è assunto per

antonomasia a rappresentare la grassa nobiltà lombarda –

lombardo Sardanapalo indica il “giovin Signore” protagonista

del Giorno pariniano - vv.57/58 iperbato), a cui è gradito solo

il muggito dei buoi che dalle rive dirupate dell’Adda (antri

abdüani) e del Ticino gli consentono (lo fan) un’esistenza

pingue e oziosa.

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Il Romanticismo Genesi del romanticismo La comprensione del romanticismo fu un problema anche per i contemporanei.

E’ un fenomeno complesso, che si presenta non omogeneo in tutti i paesi europei; esistono non una,

ma molte poetiche ed estetiche romantiche, con molti punti di contatto ma anche non poche

divergenze.

( Il termine romantico non compare per la I volta nell’800; già da due sec. romantic era utilizzato in

Inghilterra per designare , in accezione negativa, gli aspetti strani, assurdi, lontani dal modo comune

di rappresentare la realtà, dei romanzi pastorali o della letteratura cavalleresca. Sempre in

accezione negativa nel 700 la parola designava temi, atmosfere, forme narrative contrarie ai dettami

della ragione, irrazionali e irragionevoli, spesso troppo sentimentali. Quando però vennero rivalutati

la tradizione letteraria medievale, il sentimento, la fantasia, l’irrazionalità il termine cominciò ad

essere usato in accezione positiva e ad essere espressione della nuova sensibilità.)

Il romanticismo ebbe la sua genesi nell’Europa settentrionale. Tale genesi ha precise ragioni

storico-culturali: infatti il classicismo era stato in quei paesi un fenomeno sostanzialmente

d’importazione, non sempre del tutto compatibile con le tradizioni e la sensibilità di quei popoli, assai

difforme dal patrimonio locale di miti, saghe, leggende.

Il romanticismo nasce perciò nei paesi nordici (Germania, Inghilterra), anche come riscoperta e

rivalutazione delle antiche tradizioni e di quei dati culturali che hanno accompagnato la formazione

delle diverse nazionalità nel Medioevo. Ciò significa un intreccio di motivi della mitologia nordica

precristiana con quelli della tradizione cristiana medievale, una predilezione per l’introspezione

psicologica, per le dinamiche sentimentali, per caratteri irruenti e passionali, eroici o tormentati, per

un’espressione immediata e apparentemente meno curata.

Di qui il vivace rifiuto del patrimonio mitologico classico greco-latino e degli ideali di compostezza,

equilibrio, cura formale tipici del classicismo.

Il romanticismo in Italia fu un fenomeno di importazione più moderato, per motivi analoghi ma

opposti

Il legame con la tradizione classica e con l’insieme di valori che essa esprimeva doveva

necessariamente essere sentito come più forte e diretto, in qualche modo irrinunciabile. Inoltre la

nuova mitologia romantica (nordica), pur affascinante , appariva sostanzialmente estranea alla nostra

cultura: D’altra parte, il romanticismo non era solo questo, bensì una più generale istanza di

rinnovamento culturale, estetico, di sensibilità, che anche i letterati italiani potevano accogliere senza

rinunciare alla propria identità e che si prestava ad essere integrata con alcuni elementi della cultura

illuministica: per questo il nostro romanticismo assume caratteri più moderati, quasi di compromesso.

Le poetiche del romanticismo

Romanticismo come (parziale) reazione all’illuminismo.

La svolta romantica si fonda su una concezione del mondo profondamente mutata, in ambito

culturale, filosofico, religioso: l’aspetto più vistoso di tale mutamento è una parziale reazione

antilluministica, reazione almeno agli esiti estremi dell’illuminismo (ragione come unico principio

capace di interpretare e governare il reale, materialismo , ateismo o deismo). Tale reazione si

configura come rifiuto della ragione, esplorazione dell’irrazionale

D’altra parte la reazione è parziale, perchè l’illminismo non era stato solo un’indiscriminata

esaltazione della ragione, e perchè di certe istanze illuministiche non pochi romantici terranno conto:

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elementi di opposizione e di continuità con l’esperienza illuministica si riscontrano anche nella

filosofia idealistica, il sistema di pensiero più importante in età romantica.

Tratti salienti del romanticismo Predominio delle tematiche negative in tutte le manifestazioni di cultura, predominio che si può

spiegare come una forma di reazione ai grandi mutamenti storici, politici, economici che segnano la

prima metà dell’800 e alle contraddizioni che essi generano. Di tali contraddizioni si sente

particolarmente vittima l’intellettuale, che vede ridimensionato il suo ruolo egemone nella società

Rivalutazione della spiritualità e della religiosità, ora come bisogno di comprensione e giustificazione

trascendente della sofferenza terrena, ora come recupero dell’ideale evangelico egualitario, ora

viceversa come radicale irrazionalismo, o come generica aspirazione all’infinito.

Identificazione delle ragioni del sentimento, della fantasia, del cuore come spinte essenziali per capire

l’agire umano. Dell’uomo interessa non ciò che accomuna tutti (ragione) ma ciò che differenzia gli

individui: ne deriva un soggettivismo esasperato, l’interesse per la profondità della psiche, concepita

come la realtà più autentica.

Elaborazione di un forte e originale storicismo, che comporta tra l’altro la rivalutazione (fino alla

mitizzazione) della specificità e della funzione di tutte le epoche del passato.

Al cosmopolitismo 700esco sostituisce la coscienza della nazionalità, la religione della patria, la

coscienza della necessità del suo riscatto in quegli stati ancora lontani dall’indipendenza e dall’unità

nazionale (Italia).

Mitizzazione del popolo (fanciullesco, ingenuo, dotato di fantasia poetica, secondo quanto già

predicato dal Vico).

E’ opportuno sottolineare la presenza di aspetti anche contradditori nella cultura romantica: nelle sue

diverse manifestazioni si alternano componenti ora razionalistiche ora decisamente irrazionalistiche,

ora progressive (l’istanza di modernità) ora regressive (l’interesse per il Medio Evo).

Principi fondamentali della poetica romantica:

Polemica col neoclassicismo Se l’illuminismo è il principale obiettivo polemico dei romantici in ambito filosofico, in ambito

letterario lo è il classicismo (non la letteratura classica! Apprezzata in un’ottica storicistica). In molti

casi la concreta polemica contro i classicisti favorisce una più precisa messa a punto e definizione dei

propri canoni di poetica.

Storicità dell’arte e soggettività del gusto I romantici affermano a chiare lettere che l’arte muta nel tempo e rappresenta le aspirazioni, i bisogni,

i valori, gli ideali, i gusti di un’epoca determinata. Non esistono dunque canoni estetici validi in

assoluto (vs classicismo, che proclamava la immutabilità dell’arte, perchè la natura, di cui l’arte è

imitazione, è immutabile)

La letteratura deve essere moderna e nazionale. L’arte, oltre che nel tempo, muta legittimamente nello spazio e rappresenta la mentalità e il gusto di

un popolo determinato, ovvero il genio o lo spirito della nazione. Si afferma così il criterio della

modernità: l’arte classica è arte del passato, espressione delle esigenze e di gusti passati; emulare

veramente gli antichi vuol dire per i romantici essere, come furono loro, uomini del prorpio tempo,

non pedanti e freddi imitatori di una civiltà inesorabilmente tramontata.

In Italia questo principio apre la via a un’arte risorgimentale.

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La letteratura deve essere popolare

Cioè adeguata alle istanze del nuovo più vasto pubblico, che sostanzialmente coincide con la

borghesia. L’arte classica e classicistica erano viceversa destinate a un pubblico prevalentemente

aristocratico. Ciò non toglie che in alcuni casi si riscontrino fenomeni di rifiuto della massa e di

elitarismo culturale (le difficoltà che il mercato pone all’intellettuale che, non più cortigiano, si vede

costretto a vivere del proprio lavoro e le conseguenti frustrazioni alimentarono atteggiamenti ribelli

contro la mediocrità e il perbenismo borghesi, es Scapigliatura).

La riscoperta delle tradizioni non classiche.

Si cercano le radici del nuovo gusto in tradizioni diverse da quella classica, si riscoprono e rivalutano

epoche, tradizioni, modelli nuovi: ad es, le forme della poesia popolare (ballate, romanze), mitologie

nazionali o quella cristiana, si diffonde talora anche un certo gusto per l’esotismo

In particolare i romantici riconoscono nel medioevo cristiano le origini della nuova sensibilità: la

poesia si connota così come spirituale, tenebrosa, malinconica, (la vita è esilio nel mondo),

introspettiva e sentimentale. La Senshucht, cioè l’eterna irrequietezza caratteristica della poesia

romantica, si contrappone alla serena imperturbabilità caratteristica della sensibilità e della poesia

classica.

La libertà dell’artista: contro le regole del classicismo, verso la commistione degli stili e

l’ampliamento della materia poetabile.

Questo principio determina prese di posizione fortemente polemiche, contro il principio di imitazione

e le regole che definivano il sistema e la gerarchia degli stili e dei generi (famosa la polemica vs le

tre unità della tragedia).

L’arista romantico si sente libero di trattare qualsiasi materia con qualsiasi stile, anche con ardite

commistioni, con l’accostamento di temi , registri e lessico precedentemente incompatibili (Hugo ad

es. afferma che non esiste alcuna differenza tra le parole elevate e quelle del linguaggio quotidiano,

Baudelaire più tardi potrà pensare di raggiunger il sublime mediante metafore e paragoni attinti alla

più vieta quotidianità: “Quando come un coperchio il cielo pesa/ grave e basso sull’anima gemente”).

Dall’idea della assoluta libertà dell’artista deriva anche la tendenza ad ampliare la materia poetabile:

anche il brutto, l’anormale, il deforme, il patologico, gli aspetti non poetici del vivere possono essere

soggetto della produzione artistica.

Naturalmente non tutti gli aspetti che abbiamo passato in rassegna sono compresenti nelle

diverse poetiche, né sempre compatibili tra loro. A differenza del classicismo, il romanticismo

si presenta poliedrico, difficilmente riconducibile ad un sistema ordinato di principi

Il lessico dell’estetica romantica:

Sulla base degli orientamenti generali di poetica sopra elencati, si forma un’estetica romantica che

ricorre frequentemente ai seguenti principi.

Originalità, genio: La poesia esteticamente valida è per i romantici quella “originale”, adeguata al

luogo e al tempo in cui è stata concepita, espressione del genio della nazione e del genio individuale

(vs. canone classicistico dell’imitazione)

Genio= Individuo dotato di creatività e sensibilità originale e irripetibile

Intuizione, ispirazione, furor: sono per i romantici le fonti della poesia (vs. l’idea della razionalità

dell’arte

Fantasia e immaginazione: componenti essenziali dell’arte, contro il razionalismo e il labor limae

Spontaneità e autenticità: nuovi canoni, che esprimono il gusto per un’espressione apparentemente

immediata, in realtà frutto di una scelta stilistica consapevole, di un mutamento di artifici retorici:

Concretamente questo significa spesso espressione disordinata, enfatica, dissonante, contro la

regolarità, l’euritmia, il dominio della forma tipico della poesia classica.

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Sentimento e passione: guidano la scelta delle tematiche: si rappresentano di preferenza personaggi

dai grandi drammi interiori, rappresentati in modo esasperato, si delinea un ideale di uomo sensibile,

appassionato, che conduce un’esistenza sregolata ma intensa (genio e sregolatezza) Anche qui

evidente l’obiettivo polemico: l’ideale classico di saggezza, di controllo delle passioni.

La polemica classico – romantica in Italia

Se in Germania si accentuano gli aspetti irrazionalistici, fantastici e antilluministici del

Romanticismo, in Italia nel corso del dibattito e per effetto della concreta produzione degli scrittori

si giunge ad un compromesso con gli ideali illuministici e classicisti, si mettono in secondo piano gli

aspetti più irrazionalistici e fantastici, si sceglie l’adesione al vero, l’impegno storico e morale

L’articolo di Madame de Stael Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni (“Biblioteca italiana”,

gennaio 1816) mette in moto la polemica tra classicisti e romantici. In esso la scrittrice francese

invitava gli italiani a tradurre opere delle moderne letterature d’oltralpe, per operare un rinnovamento

letterario e culturale e ovviare alla decadenza delle lettere italiane.

L’articolo suscitò grande scalpore. Le reazioni dei classicisti furono immediate e piuttosto violente:

alcuni interventi si limitarono all’invettiva, ma altri, come quello di Pietro Giordani, replicarono in

maniera più circostanziata: l’arte è imitazione della natura, la natura è immutabile, le regole e i

principi dell’arte devono essere necessariamente immutabili; se ciò è vero, ne deriva che gli antichi,

più vicini alla natura, hanno prodotto l’arte e la poesia più perfette e sono quindi degni di perenne

imitazione; il patetico e il sentimentale romantico sono una palese violazione del bello. Si aggiungeva

che la poesia romantica poteva andare bene per le popolazioni nordiche, non per l’Italia, che possiede

un’altra tradizione; che le tematiche notturne e sepolcrali sono “astruserie” incompatibili con il “genio

italiano”; che la poesia non è solo sentimento, furore, ma anche tecnica e Labor limae.

Le posizioni romantiche si espressero in molteplici articoli e opuscoli, in difesa della De Stael e del

“sistema romantico” (Di Breme, Borsier, Berchet).

Complessivamente, e in maniera moderata, i romantici italiani si richiamano ai principi sopra

enucleati:

principio della storicità dell’arte,

necessità di un ammodernamento culturale e letterario,

ripudio della mitologia (un ”dramma invariabile” che non commuove più nessuno) e della

rigida suddivisione in generi

interesse per la realtà del proprio tempo, per argomenti vivi e attuali; destinazione: un pubblico

borghese

forme letterarie nuove, come il romanzo e nuovi linguaggi

ideale di letteratura nazionale fondata però sulla circolazione europea delle idee

appello alla fantasia e alla libertà d’invenzione, senza però ripudiare la tecnica e l’arte

rifiuto delle tematiche irrazionali e tenebrose e dell’eccessiva libertà formale

Il moderatismo del romanticismo italiano favorì il rapido smorzarsi delle polemiche e la possibilità

di una conciliazione: la gran parte degli intellettuali converge sul rispeto della specificità dela

tradizione italiana, delle esigenze della ragione e dell’arte, di una fantasia moderata dal richiamo al

vero storico e morale, principi di fatto accettabili anche dai classicisti più aperti.

Così fin dai primi anni della formulazione della dottrina romantica in Italia (1816-19) i teorici del

rinnovamento si orientano verso una soluzione moderata e conciliante, limite e specificità del

romanticismo italiano. Su questa strada si pone l’azione del “Conciliatore”, il più importante

periodico romantico in Italia (Milano, 1818-19).

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La lirica

Nella lirica del secondo 700, come si è visto, si sovrappongono tendenze diverse, arcadiche,

neoclassiche e preromantiche. Tale situazione si prolunga in età napoleonica e nei primi anni della

restaurazione, anche se il fenomeno predominante è ancora di gran lunga il neoclassicismo, pur nelle

sue forme “romantiche”, come si è visto nella poesia di Foscolo: la grecità rappresenta l’armonia e la

patria perdute, in contrasto con un presente personale e storico di esilio, disarmonia, ingiustizia,

guerra e morte..

Anche nelle letterature europeee, inglese e tedesca, accade qualcosa di simile: poeti come Schiller,

Goethe. Holderlin, Kets inclinano verso una sensibilità decisamente romantica, ma sono

profondamente affascinati dalla classicità.

Contemporaneamente, però, nascevano i primi movimenti schiettamente romantici: in Germania lo

Sturm und Drang, in Inghilterra il manifesto di Woldsworth e Coleridge e la poesia di Shelley aprono

la stagione della poesia romantica. Tutte questa esperienze delineano un orizzonte poetico vario, ma

sostanzialmente omogeneo: ricerca di un linguaggio concentrato e intenso, analogico ed evocativo,

capace di esprimare ciò che la ragione non sa comprendere e, sul piano tematico, la tensione

all’assoluto, l’investigazione su ciò che va oltre il sensibile, la dialettica realtà-sogno.

La poesia romantica in Italia presenta una fisionomia diversa rispetto ai grandi modelli europei e,

tranne Foscolo e Leopardi, un profilo decisamente minore. Nelle opere dei poeti romantici italiani

troveremo in misura assai minore i grandi temi lirici e la ricerca stilistica in direzione del linguaggio

analogico.

La ricerca si sviluppa invece in due direzioni: quella della poesia realistica, per lo più storico-

patriottica, che sceglie modi, metri, ritmi della poesia popolare, e quella della poesia patetica e

sentimentale.

Giovanni Berchet, oltre ad essere uno dei massimi teorici del romanticismo italiano, è figura

emblematica della prima tendenza: le sue Romanze possono essere apprezzabili per la schiettezza, la

popolarità e l’apertura a un pubblico più vasto, ma peccano di incompiutezza, approssimazione,

sostanziale convenzionalità di linguaggio.

In parte animata da spiriti politico-risorgimentali è la poesia di Giuseppe Giusti, dove però l’aspetto

principale è la satira, di carattere fortemente letterario, che inserisce la poesia del toscano nel

tradizionale filone di poesia giocosa e satirica che aveva radici profondissime nella cultura regionale

(dall’Angiolieri al Berni).

Gli esiti più significativi della poesia romantica vanno in direzione di una più concreta presa sul reale,

di una capacità di rappresentare zone della realtà giudicate dalla tradizione impoetiche: come

Manzoni in campo narrativo, così Carlo Porta e Gioacchino Belli danno voce, con realismo

assolutamente inediti “a una folla di uomini rimasti sempre senza volto, ai margini tanto della vita

quanto dei poeti laureati” (Isella). La scelta del dialetto (milanese per il Porta, romanesco per il Belli)

condanna le loro opere non ad una collocazione periferica nel sistema letterario nazionale, ma certo

a una ridotta circolazione.

La narrativa

Nell’800 assistiamo a un progressivo sviluppo dell’industria editoriale che interessa soprattutto il

romanzo, in quanto genere più popolare. Esso ha uno sviluppo e un’articolazione neppure

immaginabili qualche decennio prima: ad esso vengono affidati i principali messaggi che la cultura

800esca elabora, divenendo così il principale specchio del proprio tempo.

Abbiamo già visto sul finire del 700 il successo del romanzo di introspezione e confessione (Werther,

Iacopo Ortis). Altri generi nuovi nella narrativa 800esca sono:

Il racconto fantastico, nero o gotico, che si era diffuso in Inghilterra già nella II metà del 700

(Radcliff): è in sostanza un romanzo di avventure che, attraverso le tecniche narrative,

l’ambientazione e le tematiche, mira ad avvincere il lettore incutendogli paura e orrore. Le vicende si

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collocano per lo più su uno sfondo storico approssimativamente ricostruito (ambienti medievali o

rinascimentali), perché ciò che interessa non è la storia ma un’atmosfera esotica, su cui si innestano

storie palesemente irreali, fantastiche, popolate di spettri vampiri, demoni. Non mancano componenti

erotiche, intrecci serrati e colpi di scena, ma anche intenti moralistici: infatti la rappresentazione del

male si ripropone di purificare le passioni, e il lieto fine presenta la vittoria del bene sul male.

Il genere, pur minore, ebbe una notevole influenza sulla successiva narrativa fantastica (Hoffmann,

Mary Shelley, Poe), che in Italia si sviluppò nella II metà dell’800; anche Manzoni ne subì l’influsso,

almeno per l’episodio della Monaca di Monza, quale compare nel Fermo e Lucia

Il romanzo storico: due elementi tipicamente romantici (storicismo e patriottismo) sono alle radici

di questa forma narrativa, che si impose a livello europeo nei primi decenni dell’800. Esso può

assolvere a una duplice funzione: da un lato di evasione dal presente verso epoche per vari motivi

“mitizzate”; dall’altra, di attualizzazione del passato, di momenti ed episodi particolarmente

significativi della storia patria, in funzione nazionalistica e patriottica.

In Italia assolve una funzione ulteriore: i motivi patriottici e le finalità pedagogiche legittimano danno

dignità a un genere, il romanzo, considerato dalla società letteraria tradizionale “inferiore”

L’autore che diede il massimo impulso alla diffusione del romanzo storico fu W. Scott, il cui

capolavoro è Ivanhoe. Lo sfondo dei suoi romanzi è per lo più l’Inghilterra medievale, i tempi di

Riccardo Cuor di Leone e della sua lotta con Giovanni senza Terra (Sassoni vs Normanni), più in

generale eventi ed episodi esemplari della storia politica e sociale inglese, allo scopo di celebrare il

processo che aveva portato alla formazione della società britannica e a un ordinamento politico ed

economico di cui gli inglesi andavano giustamente fieri.

Il romanzo storico di Scott fu un genere assai popolare, i cui tratti salienti sono il pittoresco medievale,

gli sfondi storici e naturali di maniera (castelli, prigioni, foreste), un intreccio intricato e una continua

suspence, un’acuta caratterizzazione psicologica e la frequente polarizzazione buoni-cattivi.

Insomma tutto il repertorio che era già stato della tradizione epico-cavalleresca, attualizzato.

In Italia: le prime traduzioni scottiane risalgono al 1821-22 e riaccendono le polemiche tra romanici

e classicisti. Questi giudicano il genere facile, ibrido, volgare, non sottoposto a quel lavorio artistico

che è essenziale per la “vera letteratura”. I romantici lo approvano entusiasticamente perchè, per la

sua libertà strutturale, il linguaggio prosastico, la rispondenza ai gusti di un vasto pubblico, meglio di

ogni altro può farsi veicolo di una nuova concezione del mondo e della letteratura, dell’impegno civile

e risorgimentale.

A partire dal 1827 prende l’avvio una produzione originale di romanzi storici: oltre all’edizione 27ana

dei Promessi Sposi, escono in quell’anno e nei seguenti i romanzi di Guerrazzi, T. Grossi, C. Cantù,

M. D’Azeglio: fu presto una moda, favorita anche dallo sviluppo in atto dell’industria editoriale.

Sostanzialmente nel ‘27 si apre la via a due modalità per il romanzo storico:

1. quella manzoniana, che pur partendo dallo Scott va verso un romanzo “anti-romanzesco” (cioè

privo di tutti gli espedienti eccessivi e inverosimili) e storico nel senso più profondo del termine

2. quella scottiana, seguita dagli altri romanzieri italiani, modello di maggior successo commerciale.

Il romanzo realistico moderno: Se il Manzoni dei Promessi Sposi può essere considerato l’iniziatore

del realismo nell’ambito del genere “romanzo storico” per la serietà della sua ricostruzione storica e

per i moduli narrativi che adotta, è però in Francia con Stendhal che il realismo trova per la prima

volta la sua più tipica espressione, perché si volge a rappresentare il mondo contemporaneo: con Il

rosso e il nero(1830) e La certosa di Parma(1839) il mondo contemporaneo fa irruzione nel romanzo

realista 800esco. Rispetto al romanzo borghese 700esco la novità sta nella serietà e profondità

dell’indagine, nell’interdipendenza strettissima tra realtà storico-sociale e invenzione, nel fatto che i

personaggi sono sì immaginati, ma in modo assolutamente realistico.

Stendhal non è un isolato: la Francia sviluppa in quegli stessi anni una ampia produzione narrativa

caratterizzata in questo senso, tra cui bisogna ricordare Balzac, con la Comedie humaine, un grandioso

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affresco della società francese del tempo composto di un ampio numero di racconti e romanzi che

passano in rassegna i diversi strati della società (minuziosa descrizione d’ambiente e precisa

caratterizzazione dei personaggi).

Con l’opera di questi scrittori si definiscono anche i moduli narrativi tipici di questa fase del realismo:

il narratore è esterno onnisciente, interviene liberamente e esplicitamente a commentare in base al

proprio sistema culturale e morale le vicende, instaura un ideale dialogo col lettore, intervenendo

anche a spiegare ciò che al lettore può non risultare chiaro; il narratore insomma è un personaggio

ben individuabile nel testo.

Altro aspetto saliente di questo modulo narrativo è la stretta connessione personaggi/ambiente, la

dinamica di reciproci influssi: l’ambiente non è più solo un fondale, ma elemento che condiziona,

ostacola, determina l’agire dei personaggi. Ad esso sono dedicate ampie descrizioni, così come

all’aspetto fisico dei personaggi, descrizioni che permettono di interpretarne la psicologia. Nella

narrativa italiana della prima metà 800 il romanzo di Nievo, Confessioni di un italiano, segna il

passaggio dal romanzo storico a quello di ambiente contemporaneo: la narrazione infatti copre circa

80 anni e parte dal 700 per arrivare agli eventi contemporanei all’epoca della scrittura (scritto negli

anni1857-58, la narrazione arriva fino al 1848).