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Dispense per il corso di Algebra Commutativa Marco Vergura 16 gennaio 2018

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Dispense per il corso di Algebra Commutativa

Marco Vergura

16 gennaio 2018

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Indice

1 Anelli ed Ideali 51.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.2 Operazioni tra ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.3 Ideali Primi e Ideali Massimali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.4 Nilradicale ed Ideali Radicali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.5 Anelli Locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2 Moduli 252.1 Concetti di Base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252.2 Costruzione di Moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.3 Successioni Esatte e Complessi di Moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

3 Noetherianità 373.1 Anelli e Moduli Noetheriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.2 Teorema della Base di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

4 Anelli di Frazioni e Localizzazione 434.1 Definizione e proprietà universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434.2 Ideali in A e in S−1A. Localizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 484.3 Moduli di Frazioni ed Esattezza di S−1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.4 Fattorialità di A[x]. Irriducibilità in A[x] e in Frac(A)[x]. . . . . . . . . . . . . . 54

5 Algebre Intere 615.1 A-algebre finite ed intere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

6 Decomposizione primaria 65

7 DVR 75

8 Complementi ai capitoli 4 e 5 del Miles Reid 778.1 Dimensione di Krull . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

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4 INDICE

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Capitolo 1

Anelli ed Ideali

AAAAAAAAAAAAAAAAA: Nelle note per la lettura, inserire che I / A significa I sotto-gruppo di A, la convenzione su k per k ∈ N{0} e quella A∗ per A \ {0}.

1.1 GeneralitàDefinizione 1.1.1. Un anello commutativo con unità 1 è una 5-upla ordinata (A, +, 0, ·, 1)dove (A, +, 0) è un gruppo abeliano, 1 ∈ A e · : A×A −→ A è una funzione (a, b) 7→ ab (dettaprodotto) tale che ∀a, b, c ∈ A:

A1) (associatività) (ab)c = a(bc);

A2) (distributività) a(b+ c) = ab+ ac e (a+ b)c = ac+ bc;

A3) (commutatività) ab = ba;

A4) (unità) 1a = a1 = a.

Osservazione 1.1.1. Dalla distributività del prodotto in un anello commutativo con unità Adiscendono subito le due proprietà seguenti:

• ∀a ∈ A, a0 = 0. Infatti a0 = a(0 + 0) = a0 + a0⇒ 0 = a0;

• ∀a, b ∈ A, a(−b) = −ab. Vale infatti: 0 = a(b+ (−b)) = ab+ a(−b)⇒ a(−b) = −ab.

D’ora in avanti, dove non diversamente specificato, con la parola “anello” si intenderà sempreun anello commutativo con unità. Inoltre, se A è un anello e J ⊆ A conveniamo che J / Asignifichi J / (A, +, 0).

Osservazione 1.1.2. In un anello A, 0 = 1 ⇔ A = {0}, ovvero A è, come si dice, l’anellobanale. Ciò è evidente perché se 0 = 1, allora ∀a ∈ A, a = a1 = a0 = 0. Il viceversa è ovvio.

Definizione 1.1.2. Sia A un anello. S ⊆ A è detto sottoanello di A se 1 ∈ S, S è un sottogruppodi (A,+, 0) e ∀s, t ∈ S, st ∈ S.

Definizione 1.1.3. Siano A,B anelli. Una mappa f : A −→ B si dice omomorfismo (di anelli)se ∀a, b ∈ A:

M1) f è un omomorfismo di gruppi abeliani, i.e f(a + b) = f(a) + f(b). (Da questa proprietàdiscende subito che f(0) = 0 e f(−a) = −f(a));

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6 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

M2) f(ab) = f(a)f(b);

M3) f(1) = 1.

Se f : A −→ B è un omomorfismo, l’insieme ker(f) := f−1({0}) è detto nucleo di f.

Notiamo che {0} −→ A è un omomorfismo di anelli se e solo se A = {0}.

Osservazione 1.1.3. Un omomorfismo di anelli f : A −→ B è iniettivo se e soltanto se ker(f) ={0}. Infatti, ker(f) = {0} ⇔ (∀a, b ∈ A, ϕ(a) = ϕ(b) ⇒ b − a = 0). Inoltre, la composizione didue omomorfismi è ancora un omomorfismo.

Proposizione 1.1.1. Se A,B sono anelli e S ⊆ A è un sottoanello di A, allora per ogniomomorfismo f : A −→ B, f(S) =: Im(f) è un sottoanello di B.

Dimostrazione. 1 ∈ f(S) per M3). Se a, b ∈ A sono tali che f(a), f(b) ∈ S, allora f(a) + f(b) =f(a+ b) ∈ f(S) e f(a)f(b) = f(ab) ∈ f(S) perché S, in quanto sottoanello, è chiuso per sommee prodotti di suoi elementi.

Definizione 1.1.4. Siano A,B anelli. Un omomorfismo f : A −→ B si dice isomorfismo (dianelli) se esiste un omomorfismo g : B −→ A tale che g ◦ f = idA e f ◦ g = idb. In tal caso, sidice che A e B sono isomorfi e si scrive A ' B.

Evidentemente, un omomorfismo f : A −→ B è un isomorfismo se e soltanto se è un omomorfismobiettivo.

Definizione 1.1.5. Sia A un anello. I ⊆ A è detto ideale di A se è un sottogruppo di (A,+, 0)e ∀a ∈ A, ∀j ∈ I, aj ∈ I.

Osserviamo che I := {0} è un ideale di A e così anche I := A, il quale è detto ideale improprio.Nella prossima proposizione raccogliamo alcuni semplici risultati iniziali sugli ideali.

Proposizione 1.1.2. Siano A,B anelli con I ⊆ A qualunque e J ⊆ B ideale. Sia inoltref : A −→ B un omomorfismo di anelli.

a) Se 1 ∈ I, allora I è un ideale ⇔ I = A. In particolare, f è suriettiva ⇔ f(A) è un ideale.

b) ker(f) è un ideale di A.

c) f−1(J) è un ideale di A.

Dimostrazione. a) Se I è un ideale, sia a ∈ A. Allora a = a1 da cui, poiché I è un ideale e1 ∈ I, a ∈ I. L’implicazione opposta è evidente.

b) 0 ∈ ker(f) perché f(0) = 0. Inoltre, ∀a, b ∈ A, a, b ∈ ker(f) ⇔ f(a) = 0 = f(b) ⇒f(a+ b) = f(a) + f(b) = 0 + 0 = 0⇔ a+ b ∈ ker(f). Infine, ∀a ∈ A, ∀z ∈ ker(f), f(za) =f(z)f(a) = 0f(a) = 0⇔ za ∈ ker(f).

c) 0 ∈ f−1(J) perché f(0) = 0. Se a, b ∈ A sono tali che f(a), f(b) ∈ J , allora f(a + b) =f(a) + f(b) ∈ J perché J è un ideale di B. Dunque, a + b ∈ f−1(J). ∀x ∈ f−1(J), ∀a ∈A, f(ax) = f(a)f(x) ∈ J ⇔ ax ∈ f−1(J).

Il nostro prossimo obiettivo è dimostrare la seguente

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1.1. GENERALITÀ 7

Proposizione 1.1.3. Sia A un anello e sia I ⊆ A un ideale. Allora esistono un anello B e unomomorfismo di anelli f : A −→ B tali che f sia suriettiva e ker(f) = I.

L’idea è di costruire B come l’insieme quoziente di A rispetto ad una particolare relazione diequivalenza, equipaggiandolo con opportune operazioni, e di considerare come f la proiezione diA su questo quoziente.

Cominciamo osservando che, se su un anello A troviamo definita una relazione di equivalenza∼ compatibile con le operazioni, ossia tale che ∀a, b, c, d ∈ A, a ∼ b e c ∼ d =⇒ a + c ∼ b + de ac ∼ bd, allora abbiamo anche un ideale di A, dato dalla classe di equivalenza di 0 (la verificadi ciò è immediata). Quello che ci interessa particolarmente è che vale anche il viceversa: datoun ideale di A, è possibile definire su A una relazione di equivalenza che sia compatibile con leoperazioni di A. Vediamo come fare.Definiamo su A la relazione:

∀a, b ∈ A, a ∼ b⇔ a− b ∈ I,

detta anche congruenza modulo I e scritta come a ≡ b mod I. Si tratta di una relazione diequivalenza. Infatti:

• è riflessiva: a ∼ a perché a− a = 0 ∈ I;

• è simmetrica: a ∼ b⇔ b− a = −(a− b) ∈ I ⇔ b ∼ a;

• è transitiva: a ∼ b, b ∼ c⇔ a− b ∈ I e b− c ∈ I. Ne segue che (a− b) + (b− c) = a− c ∈ I,cioè a ∼ c.

La congruenza modulo I è inoltre compatibile con le operazioni di A. Infatti, se a ≡ b mod Ie c ≡ d mod I, allora a − b ∈ I e c − d ∈ I. Dunque: a + c − (b + d) = (a − b) + (c − d) ∈ I,perché I / A. Analogamente, ac− bc = (a− b)c ∈ I e bc− bd = b(c− d) ∈ I perché I è un ideale.Ne segue che ac− bd = (ac− bc) + (bc− bd) ∈ I. Pertanto, sia a+ c ≡ b+ d mod I che ac ≡ bdmod I.A questo punto, formiamo il quoziente insiemistico di A rispetto alla congruenza modulo I, chedenotiamo con A/I. Un elemento α ∈ A/I è una classe di equivalenza [a] con a ∈ A e tale che:

[a] = {b ∈ A : a− b ∈ I} = {b ∈ A : ∃i ∈ I per cui b = a+ i} =: a+ I

ovvero gli elementi di A/I sono i laterali di A (inteso come gruppo abeliano) rispetto allacongruenza mod I. Su A/I definiamo delle operazioni di somma e di prodotto ponendo:

(a+ I) + (b+ I) := (a+ b) + I (a+ I)(b+ I) := (ab) + I

Queste operazioni sono ben definite: diamo la dimostrazione nel caso della somma, essendoquella del prodotto del tutto analoga. Siano dunque a, b, c, d ∈ A tali che a + I = b + Ie c + I = d + I. Esistono pertanto λ, µ ∈ I tali che b = a + λ e d = c + µ. Perciò:(a+I)+(c+I) = ((b−λ)+I)+((d−µ)+I) = ((b−λ)+(d−µ))+I = ((b+d)+(−λ−µ))+I =(b+ d) + I = (b+ I) + (d+ I).Osservando che 0A/I = 0A + I = I e 1A/I = 1A + I, si vede subito che (A/I, +, ·, 0A/I , 1A/I)è un anello, detto anello quoziente di A rispetto all’ideale I. Poniamo in effetti B := A/I.A questo punto, la mappa ϕ : A −→ A/I, A 3 a 7→ ϕ(a) := [a] ∈ A/I, evidentemente suriettiva,è anche un omomorfismo di anelli, detto omomorfismo quoziente. Si ha ovviamente ker(ϕ) = I.Ciò conclude la dimostrazione della proposizione.

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8 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

Osservazione 1.1.4. Un semplice e ben conosciuto esempio di congruenza modulo un ideale siottiene considerando l’anello degli interi Z. In tal caso, infatti, è noto che gli ideali di Z sono tuttie soli i suoi sottogruppi (considerando Z come il gruppo abeliano (Z,+, 0)), ossia gli nZ ⊆ Z pern ∈ Z qualunque. Pertanto, comunque preso I = nZ ideale di Z, la congruenza modulo nZ non ènient’altro che la nota relazione di congruenza modulo n sugli interi: per ogni m,n ∈ Z, m ≡ nmod nZ ⇔ a − b ∈ nZ ⇔ ∃k ∈ Z tale che a − b = nk ⇔ n | a − b (n divide a − b), ossia, perdefinizione, se e soltanto se a ≡ b (mod n).

Osserviamo che, fissato un ideale I di un anello A, ideali distinti di A possono dare la stessaimmagine via l’omomorfismo quoziente ϕ in A/I; ad esempio, ϕ({0}) = {0} = ϕ(I). Abbiamoperò la seguente:

Proposizione 1.1.4. Vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali di A contenenti I e l’in-sieme degli ideali di A/I. Se ϕ : A −→ A/I è l’omomorfismo quoziente, tale biezione è dataassociando ad un ideale J di A l’ideale ϕ(J) di A/I.

Dimostrazione. Cominciamo osservando che, essendo ϕ suriettiva, essa manda ideali di A inideali di A/I. Infatti, se K ⊆ A è un ideale, consideriamo ϕ(K) e siano α ∈ A/I e ϕ(a) ∈ ϕ(K).Per suriettività di ϕ, ∃b ∈ A tale che ϕ(b) = α. Ne segue che αϕ(a) = ϕ(b)ϕ(a) = ϕ(ba) ∈ ϕ(K)perché a ∈ K e K è un ideale per ipotesi. Poiché K / A e ϕ(K) / A/I abbiamo che ϕ(K) è unideale di A/I.Mostriamo ora che la mappa A ⊇ I1 7→ ϕ(I1) ⊆ A/I, con I1 ideale di A contenente I, è davverobiettiva.

• Suriettività: sia J ⊆ A/I ideale. Grazie alla proposizione 1.1.2, ϕ−1(J) è un ideale di A econtiene I perché 0A/I ∈ J . Inoltre ϕ(ϕ−1(J)) = J per suriettività di ϕ.

• Iniettività: siano I1, I2 ⊆ A ideali con I1 ⊇ I ⊆ I2 e tali che ϕ(I1) = ϕ(I2). Mostriamo che,allora, I1 ⊆ I2, essendo la verifica dell’inclusione opposta identica, a meno di scambiaretra di loro i pedici 1 e 2. Sia a ∈ I1 : ϕ(a) ∈ ϕ(I1) = ϕ(I2) ⇒ ∃b ∈ I2 tale cheϕ(b) = ϕ(a) ⇔ ϕ(b − a) = 0 ⇔ b − a =: γ ∈ ker(ϕ) = I. Pertanto, a = b − γ ∈ I2 perchéb ∈ I2, γ ∈ I ⊆ I2 e I / A.

Il prossimo risultato fornisce uno degli strumenti più utili nella pratica per mostrare che anellidistinti sono isomorfi e costituisce l’analogo di quanto valido per i gruppi.

Teorema 1.1.1 (Teorema Fondamentale di Isomorfismo tra Anelli.). Siano A,B anelli e siaf : A −→ B un omomorfismo suriettivo. Allora A/ ker(f) ' B, via f : A/ ker(f) −→ B tale chef = f ◦ ϕ, dove ϕ : A −→ A/ ker(f) è l’omomorfismo quoziente. Tale isomorfismo f è unico edè detto isomorfismo indotto da f.

Dimostrazione. Osserviamo che ∀a ∈ A, ∀c ∈ ker(f), f(a+ c) = f(a) +f(c) = f(a). Pertanto, èlecito definire f : A/ ker(f) −→ B ponendo: ∀ a+ker(f) ∈ A/ ker(f), f(a+ker(f)) := f(a). Talemappa, certamente iniettiva, è, per definizione, tale che f = f ◦ ϕ e dunque è anche suriettiva,in quanto f lo è. Evidentemente f è un omomorfismo di anelli e, quindi, è un isomorfismocome voluto. Infine, se g : A/ ker(f) −→ B è tale che f = g ◦ ϕ allora, per ogni a ∈ A,f(a+N) = f(a) = g(a+N)⇒ f = g.

Corollario 1.1.1. Siano A,B anelli e sia ϕ : A −→ B un omomorfismo qualsiasi. AlloraA/ ker(ϕ) ' Im(ϕ).

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1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI 9

Proposizione 1.1.5. Si consideri il diagramma seguente:

A Bh //A

C

γ

��

B

C

g

��

dove A,B,C sono anelli, mentre γ è un omomorfismo qualunque e h è un omomorfismo suriet-tivo, entrambi dati.Allora esiste un omomorfismo g : B −→ C che faccia commutare il diagramma se e soltanto se

∀a, a1 ∈ A, h(a) = h(a1)⇒ γ(a) = γ(a1). (1.1)

Inoltre, tale omomorfismo g, se esiste, è unico.

Dimostrazione. L’unicità di un omomorfismo con le proprietà richieste, ammesso che esista, èevidente. Infatti, siano f, g : B −→ C tali da far commutare il diagramma. Per ogni b ∈ B,grazie alla suriettività di h, ∃a ∈ A tale che h(a) = b. Ne segue che g(b) = g(h(a)) = γ(a) =f(h(a)) = f(b).Supponiamo ora che esista un omomorfismo g : B −→ C che faccia commutare il diagramma. Sea, a1 ∈ A sono tali che h(a) = h(a1), allora γ(a) = g(h(a)) = g(h(a1)) = γ(a1).Viceversa, se ∀a, a1 ∈ A, h(a) = h(a1) ⇒ γ(a) = γ(a1), possiamo definire g : B −→ C comesegue: ∀b ∈ B sia a ∈ A tale che h(a) = b e poniamo g(b) := γ(a). Grazie alle ipotesi compiute, gè ben definita. Inoltre, per la sua stessa definizione, g rende commutativo il diagramma. Infine,essa è chiaramente un omomorfismo di anelli, essenzialmente perché γ e h lo sono.

Osservazione 1.1.5. Rifacendosi alla situazione descritta dalla proposizione precedente e usan-do le stesse notazioni, la condizione (1.1) è equivalente al fatto che ker(h) ⊆ ker(γ).Infatti, se vale (1.1), sia c ∈ A tale che h(c) = 0 = h(0). Allora γ(c) = γ(0) = 0, ossia c ∈ ker(γ).Viceversa, se ker(h) ⊆ ker(γ), siano a, a1 ∈ A tali che h(a) = h(a1) ⇔ h(a) − h(a1) = 0 =h(a− a1)⇔ a− a1 ∈ ker(h) ⊆ ker(γ). Dunque, 0 = γ(a− a1) = γ(a)− γ(a1)⇒ γ(a) = γ(a1).

1.2 Operazioni tra ideali

Proposizione 1.2.1. Sia {Ik}k∈K una famiglia arbitraria di ideali di un anello A indiciata su∅ 6= K. Allora

⋂k∈K

Ik è un ideale.

Dimostrazione. Si tratta di pura insiemistica. Ad ogni modo:

M1) ∀k ∈ K, 0 ∈ Ik ⇒ 0 ∈⋂k∈K

Ik;

M2) ∀a, b ∈ A, a, b ∈⋂k∈K

Ik ⇔ a, b ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇒ a+ b ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇔ a+ b ∈⋂k∈K

Ik;

M3) ∀γ ∈ A e ∀a ∈⋂k∈K

Ik, γa ∈ Ik per ogni k ∈ K ⇔ γa ∈⋂k∈K

Ik.

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10 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

Definizione 1.2.1. Sia A un anello e sia S ⊆ A qualunque. L’intersezione di tutti gli idealidi A contenenti S (che è un ideale grazie alla proposizione precedente) è detto ideale generatoda S e indicato con (S). Osserviamo che ∀S ⊆ A, esiste sempre l’ideale generato da S perchéA ∈ {I ⊆ A : tali che I è un ideale con S ⊆ I}.

Vale, banalmente, I ⊆ A è un ideale ⇔ I = (I).

Osservazione 1.2.1. (S) è il più piccolo ideale di A contenente S. Infatti, (S) è un ideale e,d’altra parte, se S ⊆ J con J ideale di A allora (S) ⊆ J per definizione di (S).

Se S è un insieme finito di elementi di A con cardinalità k ∈ N, cioè S = {a1, . . . , ak} ⊆ A,si scrive anche (a1, . . . , an) al posto di ({a1, . . . , an}). Inoltre, in questo caso,

(S) =

{k∑i=1

ciai ∈ A : ci ∈ A ∀i ∈ k

}(1.2)

Infatti, sia J :={∑k

i=1 ciai ∈ A : ci ∈ A ∀i ∈ A}. Certamente ai ∈ J per ogni i ∈ k. Inoltre,

J è un ideale, in quanto, se∑ki=1 ciai ∈ J,

∑ki=1 diai ∈ J, λ ∈ A, grazie alle proprietà di

associatività e di distributività di somma e di prodotto in A, si ha immediatamente che:(k∑i=1

ciai

)+

(k∑i=1

diai

)=

k∑i=1

(ci + di)ai ∈ J e λ

(k∑i=1

ciai

)=

k∑i=1

(λci)ai ∈ J.

D’altra parte, J è il più piccolo ideale contenente gli ai perché ogni altro ideale di A con questaproprietà deve contenere almeno anche le combinazioni lineari a coefficienti in A degli ai. DunqueJ = (S).

Più in generale, sia S ⊆ A un sottoinsieme qualunque di A e consideriamo la famiglia F :={Q ⊆ S : ∃k ∈ N \ {0} tale che |Q| = k}, ossia la famiglia dei sottoinsiemi finiti non vuoti di S.Allora:

(S) =⋃Q∈F

(Q) =

|Q|∑i=1

ciqi : Q ∈ F , ci ∈ A, qi ∈ Q per ogni i = 1, . . . , |Q|

. (1.3)

Infatti, sia I :=⋃Q∈F (Q). I è un ideale di A: mostriamo che è chiuso rispetto alla somma, essen-

do la verifica per il prodotto per elementi arbitrari di A del tutto analoga. Siano quindi a, b ∈ I:esistono Sa ⊆ S e Sb ⊆ S, entrambi non vuoti e finiti, tali che a ∈ (Sa) e b ∈ (Sb). Ne segue chea+ b ∈ (Sa∪Sb) perché a, b ∈ (Sa∪Sb) e (Sa∪Sb) è un ideale. Dunque, a+ b ∈ I. Dal momentoche ogni ideale di A contenente S deve necessariamente contenere anche I, otteniamo che I = (S).

Definizione 1.2.2. Sia A un anello. Diciamo che un ideale I ⊆ A è finitamente generato se∃n ∈ N∗ ed esistono g1, . . . , gn ∈ I tali che I = (g1, . . . , gn). Più in generale, se Λ 6= ∅ e(gλ)λ∈Λ ⊆ I è una famiglia di elementi di I tali che I = ((gλ)λ∈Λ) (ossia I coincide con l’idealedi A generato dai gλ), si dice che i gλ generano I o che sono un sistema di generatori di I.

Osservazione 1.2.2. Ogni ideale I ⊆ A possiede un sistema di generatori, dato da I stesso.

Definizione 1.2.3. Sia A un anello. Se per ogni ideale I ⊆ A esiste m ∈ I tale che I = (m),diciamo che A è a ideali principali.

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1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI 11

Prima di procedere oltre, introduciamo un paio di definizioni che useremo spesso d’ora inavanti.

Definizione 1.2.4. Sia A un anello con A 6= {0}. Un elemento a ∈ A si dice invertibile in A se∃b ∈ A tale che ab = 1.L’insieme degli elementi invertibili di A è denotato con A× ed è sempre non vuoto perché almeno1 ∈ A×.

Osservazione 1.2.3. Si ha banalmente:

(i) a ∈ A invertibile ⇒ a 6= 0;

(ii) se a ∈ A è invertibile allora esiste un unico b ∈ A tale che ab = 1. Tale b è detto l’inversodi a e indicato con a−1;

(iii) se a, b ∈ A sono invertibili, allora anche a−1 e ab lo sono. Pertanto, A× è un sottogruppodel monoide commutativo (A, ·, 1);

(iv) se A 6= {0} e I ⊆ A è un ideale, I è l’ideale improprio ⇔ I contiene un elemento invertibile(I = A⇔ I 3 1 = εε−1 per qualunque ε ∈ A invertibile);

Definizione 1.2.5. Sia A un anello commutativo e unitario. Si dice che A è un campo se in A1 6= 0 e ogni elemento non nullo di A è invertibile.

Proposizione 1.2.2. Sia A un anello non banale. Allora A è un campo ⇔ i suoi unici idealisono {0} e A.

Dimostrazione. =⇒: sia {0} 6= I ⊆ A un ideale di A. Se a 6= 0 è un elemento di I allora ancheaa−1 = 1 lo è perché I è un ideale. Perciò I = A.⇐=: sia a ∈ A∗. Allora (a) 6= {0} e, dunque, (a) = A. In particolare, quindi, 1 ∈ (a), ossia∃x ∈ A tale che ax = 1. Pertanto ogni elemento non nullo di A è invertibile.

Vediamo ora altri due modi per costruire ideali a partire da alcuni dati.

Definizione 1.2.6. Sia A un anello e siano I, J ideali di A. L’insieme:

I + J := {a+ b : a ∈ I, b ∈ J} (1.4)

è detto somma di I e J.

Proposizione 1.2.3. I + J è un ideale di A e I + J = (I ∪ J).

Dimostrazione. Abbiamo che I + J / A. Infatti, 0 = 0 + 0 ∈ I + J e se a1, a2 ∈ I, b1, b2 ∈ Jallora (a1 + b1) + (a2 + b2) = (a1 + a2) + (b1 + b2) ∈ I + J (abbiamo qui usato ripetutamente epesantemente l’associatività e la commutatività della somma in A e il fatto che I, J siano idealidi A). Inoltre, se a ∈ I, b ∈ J e c ∈ A, c(a + b) = ca + cb ∈ I + J perché I e J sono chiusirispetto al prodotto per elementi arbitrari di A: abbiamo ottenuto che I + J è un ideale di A.D’altra parte, vale ovviamente: I ⊆ I + J , J ⊆ I + J e ogni ideale di A contenente I ∪ J deveanche contenere I + J . Pertanto, I + J = (I ∪ J).

Quanto appena visto giustifica la seguente definizione per induzione: se I1, . . . In sono idealidi A, poniamo, ∀n ∈ N∗:

I1 + I2 + · · ·+ In := (I1 + · · ·+ In−1) + In =

{n∑i=1

ai : ai ∈ Ii, ∀i ∈ n

}. (1.5)

Notiamo che la somma di due ideali propri di un anello può essere l’ideale improprio: 2Z+3Z = Z.

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12 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

Osservazione 1.2.4. Se I1, I2, J ⊆ A sono ideali, abbiamo la seguente palese relazione:

(J ∩ I1) + (J ∩ I2) ⊆ J ∩ (I1 + I2). (1.6)

La dimostrazione di questo fatto consiste nella constatazione che (J ∩ I1) + (J ∩ I2) è l’idealegenerato da (J ∩ I1) ∪ (J ∩ I2) e J ∩ Ii ⊆ J ∩ (I1 + I2) per i = 1, 2.

Esempio 1.2.1. In generale, non vale l’inclusione opposta in (1.6). Ad esempio, sia K uncampo e sia K[x, y] l’anello dei polinomi in due variabili a coefficienti in K. Definiamo I1 := (x) eI2 := (y). Ora, I1 + I2 = {xP1(x, y) + yP2(x, y) : P1(x, y), P2(x, y) ∈ K[x, y]}, ossia gli elementidi I1 + I2 sono tutti e soli i polinomi di K[x, y] privi di termine noto, i.e. che si annullanoquando valutati in (0, 0) ∈ K2 : I1 + I2 = (x, y). Poniamo a questo punto J := (x + y).Vale (I1 + I2) ∩ J = (x, y) ∩ (x + y) = (x + y) perché (x + y) ( (x, y). Vediamo quindidi capire come è fatto (J ∩ I1) + (J ∩ I2). P (x, y) ∈ J ∩ I1 ⇔ ∃Q(x, y) ∈ K[x, y] tale cheP (x, y) = (x+ y)Q(x+ y) e x|Q(x, y) (perché P (x, y) ∈ I1 = (x)) ⇔ P (x, y) = x(x+ y)Q(x, y)per qualche Q(x, y) ∈ K(x, y). Perciò J ∩ I1 = ((x+ y)x) e, analogamente, J ∩ I2 = ((x+ y)y).Dunque, (J ∩ I1) + (J ∩ I2) = ((x + y)x) + ((x + y)y) = ((x + y)x, (x + y)y). Osserviamo checertamente vale (1.6), ma in (J ∩ I1) + (J ∩ I2) non ci sono polinomi lineari (in x e/o in y) chesono invece presenti in J ∩ (I1 + I2), ossia l’inclusione in (1.6) è stretta.

Definizione 1.2.7. Siano I, J ⊆ A ideali. Il prodotto tra I e J è definito e denotato daIJ := ({fg}f∈I, g∈J).

Osservazione 1.2.5. Si verifica facilmente che

IJ = {n∑i=0

figi : n ∈ N, fi ∈ I e gi ∈ J ∀i = 0, . . . , n}. (1.7)

Abbiamo la proposizione seguente:

Proposizione 1.2.4. Sia A un anello e siano I, J,K suoi ideali. Allora:

(i) IJ ⊆ I ∩ J ;

(ii) I(J +K) = IJ + IK.

Dimostrazione. (i) ovvia: se f ∈ I, g ∈ J allora fg ∈ I perché I è un ideale e fg ∈ J perchéJ è un ideale.

(ii) Mostriamo le due inclusioni:

⊆ : poiché IJ + IK è un ideale, è sufficiente mostrare che ∀a ∈ I e ∀b ∈ J + K, ab ∈IJ + IK. Siano dunque a ∈ I e b ∈ J +K qualsiasi. Allora ∃b1 ∈ J, ∃b2 ∈ K tali cheb = b1 + b2. Pertanto, ab = ab1 + ab2. Essendo ab1 ∈ IJ e ab2 ∈ IK, ab ∈ IJ + IK;

⊇ : siano c ∈ IJ e d ∈ IK arbitrari. Allora ∃c1, d1 ∈ I, ∃c2 ∈ J ed ∃d2 ∈ K taliche: c = c1c2 e d = d1d2. Perciò, in particolare, c = c1(c2 + 0) ∈ I(J + K) ed = d1(0 + d2) ∈ I(J +K). Dal momento che I(J +K) è un ideale, concludiamo chec+ d ∈ I(J +K).

Notiamo che, in generale, l’inclusione al punto (i) della proposizione precedente è stretta. Adesempio, se A è un campo K e in K[t] consideriamo gli ideali I := J := (tn) con n ∈ N∗, abbiamoche IJ = (t2n) ( (tn) = I ∩ J .C’è però una condizione particolare sugli ideali I e J che assicura l’uguaglianza tra IJ e I ∩ J :

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1.2. OPERAZIONI TRA IDEALI 13

Definizione 1.2.8. Sia A anello e siano I, J ⊆ A ideali. Essi si dicono coprimi se I + J = A.

Osserviamo che I, J ⊆ A sono ideali coprimi ⇔ ∃α ∈ I ed ∃β ∈ J tali che α+ β = 1.Assumiamo ora, per evitare banalità, I, J ( A. Abbiamo il risultato seguente:

Teorema 1.2.1 (Teorema Cinese del Resto.). Siano I, J ( A ideali coprimi. Allora:

(i) IJ = I ∩ J ;

(ii) A/IJ ' A/I ×A/J.1

Dimostrazione. (i) c’è da mostrare soltanto che I∩J ⊆ IJ . Sia γ ∈ I∩J e siano α ∈ I, β ∈ Jtali che α + β = 1. Allora: γ = γ · 1 = γ(α + β) = γα + γβ ∈ IJ perché γα, γβ ∈ IJ eIJ / A.

(ii) Consideriamo la funzione f : A −→ A/I × A/J definita da: ∀a ∈ A, f(a) := ([a]I , [a]J),dove con [a]I intendiamo la classe di equivalenza di A modulo I e analogamente per [a]J .Si tratta evidentemente di un omomorfismo di anelli. Inoltre, a ∈ A è tale che f(a) = 0se e solo se si ha, contemporaneamente, [a]I = 0 e [a]J = 0, ovvero se e solo se ∃i ∈ I ed∃j ∈ J tali che j = a = i⇔ a ∈ I ∩ J = IJ grazie a (i). Dunque ker(f) = IJ . Mostriamoa questo punto che f è suriettiva. A tal scopo, sia b := ([x]I , [y]J) ∈ A/I×A/J qualunque.Esibiremo a ∈ A tale che f(a) = b. Osserviamo anzitutto che f(a) = ([a]I , [a]J) = b ⇐⇒x + i = a = y + j per opportuni i ∈ I, j ∈ J . Detti α ∈ I e β ∈ J tali che α + β = 1,definiamo a := x+ y − xα− yβ. Notiamo che:

– a = x+ (−xα+ y(1− β)) = x+ (α(y − x)) e α(y − x) ∈ I perché α ∈ I;

– a = y + (x − xα − yβ) = y + (x(1 − α) − yβ) = y + β(x − y) e β(x − y) ∈ J perchéβ ∈ J .

Quindi a è tale che f(a) = b, cioè, vista l’arbitrarietà di b ∈ A/I ×A/J , f è suriettiva.

Corollario 1.2.1. Siano m,n ∈ Z tali che MCD(m,n)=1. Allora Z/mnZ ' Z/mZ× Z/nZ.

Dimostrazione. Per l’identità di Bezout, ∃a, b ∈ Z tali che am + bn = 1, ossia (m) e (n) sonocoprimi.

Definizione 1.2.9. Sia A anello, k un intero ≥ 2 e I1, · · · , Ik ideali di A. I1, . . . , Ik si diconocoprimi se per ogni i, j ∈ {1, . . . , k} con i 6= j gli ideali Ii and Ij sono coprimi, i.e. Ii + Ij = A.

Teorema 1.2.2 (Teorema Cinese del Resto, forma generale.). Sia k ≥ 2 un intero, I1, . . . , Ik (A ideali coprimi. Allora:

(i) I1 · · · Ik = I1 ∩ · · · ∩ Ik;

(ii) I1 e l’ideale I2 · · · Ik sono coprimi;

(iii) la mappa naturale A/I1 · · · Ik // ∏ki=1A/Ii

1Ricordiamo che, se R,S sono anelli, l’insieme R × S diventa un anello con le operazioni componente percomponente: ∀(a, b), (c, d) ∈ R× S, (a, b) + (c, d) := (a+ c, b+ d) e (a, b)(c, d) := (ac, bd).

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14 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

Dimostrazione. Abbiamo appena dimostrato il caso k = 2 e quindi possiamo assumere k >2 e (per induzione su k) che il teorema sia vero per k − 1 ideali coprimi. poiché I1 ed Ihsono coprimi, per ogni h = 2, . . . , k esiste eh ∈ I1 and fh ∈ Ih con eh + fh = 1. Si ha1 =

∏kh=2(eh + fh) = f2 · · · fh + c con c somma di termini del tipo ehah with eh ∈ I1 ed

ah ∈ A. Quindi c ∈ A, provando che I1 e l’ideale I2 · · · Ik sono coprimi. Per l’ipotesi induttiva siha I2 · · · Ik = I1 ∩ · · · ∩ Ik. Quindi parte (i) del caso k = 2 implica anche (i) ed implica che lamappa naturale A/I1∩ I2 · · · Ik //A/I1×A/I2 · · · Ik sia un isomorfismo. (ii) e parte (i) del casok = 2 implica I1 ∩ I2 · · · Ik = I1 · · · Ik. L’ipotesi induttiva implica che l’omomorfismo naturaleA/I2 · · · Ik //A2 × · · ·Ak è un isomorfismo. Componete i due isomorfismi appena ottenuti.

1.3 Ideali Primi e Ideali MassimaliDefinizione 1.3.1. Sia A un anello. Un sottoinsieme S ⊆ A si dice moltiplicativo (oppuremoltiplicativamente chiuso) se

1 ∈ S e ∀a, b ∈ S, ab ∈ S. (1.8)

Esempio 1.3.1. Sia A un anello.

1. S = {1} è il più piccolo insieme moltiplicativo in A.

2. Se 0 6= f ∈ A, S = {fn : n ∈ N} è un insieme moltiplicativo.

Definizione 1.3.2. Un ideale P ⊆ A si dice primo se

P 6= A e ∀a, b ∈ A, ab ∈ P ⇒ a ∈ P o b ∈ P. (1.9)

L’insieme di tutti gli ideali primi di A è detto spettro di A e denotato con Spec(A).

Osservazione 1.3.1. Abbiamo che P ⊆ A è primo ⇔ A \ P è moltiplicativo.

Definizione 1.3.3. Un idealeM ⊆ A si dicemassimale seM 6= A e non esiste alcunM 6= J 6= A,ideale proprio di A, contenente M . In altre parole, M è un ideale massimale di A se e soltantose:

M 6= A e (M ⊆ L ⊆ A con L ideale)⇒ L = M oppure L = A. (1.10)

Osservazione 1.3.2. Dalla definizione appena data è immediato constatare che un idealeM ( Aè massimale se e soltanto se ∀a 6∈M, (M,a) = A.

Notiamo che, in base alle definizioni date, l’anello banale A = {0} non ha né ideali primi néideali massimali.

Definizione 1.3.4. Un anello A si dice dominio (di integrità) se l’ideale (0) = {0} è primo,ossia, equivalentemente, se A 6= {0} e ∀a, b ∈ A∗, ab 6= 0. Se A è un dominio ed è a idealiprincipali (cfr. definizione 1.2.3), diciamo e scriviamo brevemente che A è un PID.2

Osservazione 1.3.3. Un anello A è un dominio se e solo se A\{0} è moltiplicativamente chiuso.

Osservazione 1.3.4. Un campo K è un dominio: se a, b ∈ K \ {0} allora ab è invertibile perchéa e b lo sono. In particolare, dunque, ab 6= 0.

Proposizione 1.3.1. Sia A un anello e sia I ⊆ A un ideale. Allora:2Principal Ideal Domain

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1.3. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI 15

1. se I è massimale, I è primo;

2. I è primo ⇔ A/I è un dominio;

3. I è massimale ⇔ A/I è un campo.

Dimostrazione. In virtù dell’osservazione 1.3.4, sarebbe sufficiente mostrare 2. e 3. per avereautomaticamente la validità di 1. Tuttavia, diamo comunque una dimostrazione diretta di tuttigli enunciati.

1. Sia I massimale. Ciò significa, in particolare, che I 6= A. Siano ora a 6∈ I e b 6∈ I everifichiamo che ab 6∈ I. Essendo I massimale, abbiamo:

a 6∈ I ⇒ (I, a) = A e, allo stesso modo, b 6∈ I ⇒ (I, b) = A.

Pertanto, ∃x, y ∈ I ed ∃α, β ∈ A tali che x + αa = 1 = y + βb. Conseguentemente,1 = 1 · 1 = (x + αa)(y + βb) = xy + αay + βbx + αβab. D’altra parte, 1 6∈ I, maxy, αay, βbx ∈ I perché x, y ∈ I. Quindi deve essere αβab 6∈ I e, allora, anche ab 6∈ I,come voluto.

2. Siano α, β ∈ A/I con α 6= 0 6= β e consideriamo l’omomorfismo quoziente π : A −→ A/I.Poiché π è suriettiva, ∃a, b ∈ A tali che π(a) = α e π(b) = β. Ora, abbiamo che, ∀x ∈ A, x ∈I ⇔ π(x) = 0. Pertanto, otteniamo che I è primo ⇔ ∀a, b /∈ I, ab 6∈ I ⇔ αβ 6= 0⇔ A/I èun dominio.

3. Sia I massimale e sia 0 6= α ∈ A/I. Mostriamo che ∃γ ∈ A/I tale che αγ = 1. Ciò, datal’arbitrarietà di α 6= 0 in A/I ci permetterà di concludere che A/I è un campo (infatti inA/I vale che 0 6= 1 perché I ( A). Sia a ∈ π−1({α}) : poiché α 6= 0 e π(a) = α 6= 0, a 6∈ I.Dunque, essendo I massimale, (I, a) = A. In particolare, ∃b ∈ I, ∃x ∈ A tali che b+ax = 1.Se poniamo γ := π(x) ed applichiamo π ad entrambi i membri dell’uguaglianza precedente,otteniamo: 1 = π(1) = π(b) + π(a)π(x) = αγ, come voluto.Viceversa, sia A/I un campo. Allora, in particolare, A/I 6= {0}, ossia I 6= A. Sia oraa /∈ I generico. La tesi si avrà, data l’arbitrarietà di a 6∈ I, se mostreremo che (I, a) = A.Poniamo α = π(a) e sia γ ∈ A/I tale che γα = 1. Se c ∈ π−1({γ}), 1 = π(1) = π(ac). Nesegue che ∃δ ∈ I tale che ac+ δ = 1⇔ (I, a) = A.

Se I ( A è un ideale, vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali primi (rispettivamentemassimali) di A/I e gli ideali primi (risp. massimali) di A contenenti I. Infatti:

Proposizione 1.3.2. Siano A un anello e I ( A un suo ideale.

(i) P è primo in A/I ⇔ π−1(P ) è primo in A.

(ii) M è massimale in A/I ⇔ π−1(M) è massimale in A.

Dimostrazione. (i) Assumiamo P primo in A/I. Dunque, in particolare, P ( A/I e alloraπ−1(P ) ( A. Siano ora a, b ∈ A qualsiasi tali che ab ∈ π−1(P ). Ne segue che π(ab) =π(a)π(b) ∈ P , ossia, poiché P è primo, π(a) ∈ P ⇔ a ∈ π−1(P ) oppure π(b) ∈ P ⇔ b ∈π−1(P ). Quindi anche π−1(P ) è primo.Supponiamo viceversa che π−1(P ) sia primo in A e siano α, β ∈ A/I tali che αβ ∈ P .Scegliamo a, b ∈ A tali che π(a) = α e π(b) = β. Ora, se αβ ∈ P , π−1({αβ}) ⊆ π−1(P )⇒ab ∈ π−1(P ). Essendo π−1(P ) primo, questo significa che a ∈ π−1(P ) ⇔ π(a) = α ∈ Poppure b ∈ π−1(P )⇔ π(b) = β ∈ P . Pertanto, P è primo.

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16 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

(ii) Supponiamo dapprima che M ( A/I sia massimale e sia a ∈ A qualunque tale che a 6∈π−1(M) ⇒ α := π(a) 6∈ M ⇒ (M,α) = A/I per massimalità di M . Dunque, ∃η ∈M, ∃ξ ∈ A/I tali che 1A/I = η + αξ ⇒ π−1({1A/I}) = π−1({η + αξ}). Presi l ∈ π−1(M)e x ∈ A tali che π(l) = η e π(x) = ξ, certamente l + ax è una controimmagine di η + αξvia π. Da π(1A) = 1A/I = π(l + ax) segue che ∃m ∈ I ⊆ π−1(M) tale che 1 + m =l + ax ⇔ l − m + ax = 1. Poiché l − m ∈ π−1(M) in quanto quest’ultimo è un ideale,abbiamo appena scritto che 1 ∈ (π−1(M), a) ⇔ (π−1(M), a) = A. Dall’arbitrarietà dia ∈ A \ π−1(M), ricaviamo che π−1(M) è massimale.Viceversa, sia π−1(M) ⊆ A massimale e sia α ∈ A/I con α 6∈ M . Dunque π−1({α}) ∩π−1(M) = ∅. Sia a ∈ A tale che π(a) = α. Per massimalità di π−1(M), (π−1(M), a) = (1)(a ∈ π−1({α}) ⇒ a 6∈ π−1(M)). Dunque, ∃l ∈ π−1(M), ∃x ∈ A tale che l + ax = 1. Nesegue che π(l) + π(a)π(x) = 1A/I . Poiché π(l) ∈M e π(a) = α, abbiamo appena ottenutoche 1A/I ∈ (M,α), cioè (M,α) = A.

Il nostro prossimo obiettivo è mostrare che ogni anello (commutativo con unità) non banalepossiede ideali massimali e, dunque, ideali primi. Prima di fare ciò, necessitiamo di alcunirichiami insiemistici, in particolare del celebre Lemma di Zorn.

Definizione 1.3.5. Sia Σ un insieme. Un ordinamento parziale su Σ è una relazione S su Σ(ossia un sottoinsieme S ⊆ Σ×Σ) la quale, usando la notazione aSb per intendere che (a, b) ∈ S,soddisfi le seguenti proprietà:

• sia riflessiva: ∀a ∈ A, aSa;

• sia antisimmetrica: ∀a, b ∈ A aSb e bSa⇒ a = b;

• sia transitiva: ∀a, b, c ∈ A, aSb e bSc⇒ aSc.

Un insieme parzialmente ordinato è una coppia (Σ,≤), dove ≤ è un ordinamento parzialesull’insieme Σ.

Definizione 1.3.6. Sia (Σ,≤) un insieme parzialmente ordinato. Un sottoinsieme C ⊆ Σ si dicecatena (in Σ rispetto a ≤) se ∀a, b ∈ C, a ≤ b oppure b ≤ a.Se ∃γ ∈ Σ tale che ∀a ∈ C, a ≤ γ diciamo che γ è un maggiorante per C.

Vale il seguente

Teorema 1.3.1 (Lemma di Zorn). Sia (Σ,≤) un insieme parzialmente ordinato. Se ogni catenaC ⊆ Σ possiede un maggiorante, allora Σ ha un elemento massimale, ossia

∃a ∈ Σ tale che∀b ∈ Σ, a ≤ b⇒ a = b. (1.11)

A questo punto abbiamo gli strumenti per mostrare il notevole

Teorema 1.3.2 (Lemma di Krull-Zorn). Sia A un anello commutativo con unità non banale.Se I ( A è un ideale, allora esiste un ideale massimale M di A tale che I ⊆M .

Dimostrazione. Definiamo

Σ := {J ∈ P(A) : J 6= A e J è un ideale di A contenente I } (1.12)

Osserviamo che Σ 6= ∅ perché I ∈ Σ. Su Σ definiamo l’ordinamento parziale dato dall’inclusioneinsiemistica:

∀I1, I2 ∈ Σ, I1 ≤ I2 ⇔ I1 ⊆ I2. (1.13)

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1.3. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI 17

Sia ora ∅ 6= C ⊆ Σ una catena e mostriamo che essa ha almeno un maggiorante. Sia J :=⋃L∈C L:

verifichiamo che si tratta del maggiorante cercato. Certamente I ⊆ J e ∀L ∈ C, L ⊆ J . Inoltre,poiché ogni L ∈ C è contenuto propriamente in A, ∀L ∈ C, 1 6∈ C ⇒ 1 6∈ J , ossia J ( A. Aquesto punto, per concludere che J è maggiorante di C basta provare che J è un ideale. In effetti:

• 0 ∈ J perché 0 ∈ L per ogni L ∈ C;

• ∀a ∈ J e ∀c ∈ A esiste L ∈ C con a ∈ L. Ciò implica che ac ∈ L perché L è un ideale,ossia ac ∈ J ;

• siano a1, a2 ∈ J qualsiasi. Allora ∃L1 ∈ C con a1 ∈ L1 ed ∃L2 ∈ C con a2 ∈ L2.Poiché Cè una catena in Σ rispetto all’inclusione , si dovrà avere L1 ⊆ L2 oppure L2 ⊆ L1.A menodi permutare gli indici, possiamo assumere WLOG3 che sia 1 ⊆ L2. Pertanto a1, a2 ∈ L⇒a1 + a2 ∈ L2 ⇒ a1 + a2 ∈ J .

Dunque J è un maggiorante di C. Per l’arbitrarietà della catena C ⊆ Σ, grazie al Lemma diZorn, deduciamo che esiste un elemento M ∈ Σ che sia massimale per la relazione di inclusionein Σ. Ciò conclude la nostra dimostrazione, in quanto M è un ideale massimale: se K ⊆ A è taleche I ⊆M ⊆ K ( A, per massimalità di M rispetto a ≤, M ≤ K ⇒M = K.

Corollario 1.3.1. Sia A 6= {0} un anello. Allora Spec(A) 6= ∅.

Corollario 1.3.2. Per ogni anello A, siaM := {M ( A : M è un ideale massimale}. Allora:

A× = A \⋃

M∈MM.

Dimostrazione. Sia I := {I ( A : I è un ideale di A}, la famiglia degli ideali propri contenuti inA. Poiché ogni ideale massimale è un ideale proprio e, viceversa, ogni ideale proprio è contenutoin un ideale massimale, abbiamo che: ⋃

M∈MM =

⋃I∈I

I.

Pertanto, è sufficiente mostrare che A× = A \⋃I∈I I. Se a ∈ A×, a non è contenuto in nessun

ideale proprio. Viceversa, se a ∈ A \⋃I∈I I, allora (a) = (1), cioè a è invertibile. Ciò conclude

la dimostrazione: notiamo comunque che, poiché ogni ideale massimale è anche primo e ciascunideale primo è contenuto in un ideale massimale, vale ulteriormente:⋃

I∈II =

⋃M∈M

M =⋃

P∈Spec(A)

P.

Osservazione 1.3.5. Il teorema di Krull-Zorn si può formulare equivalentemente dicendo cheogni anello non banale A ammette almeno un ideale massimale. Infatti, supponiamo che que-st’ultimo fatto, all’apparenza più debole del teorema 1.3.2, sia vero e sia I ( A un ideale.Consideriamo quindi l’anello quoziente A/I: per ipotesi, esso contiene un ideale massimale M .Da ciò segue che, detto π : A −→ A/I l’omomorfismo quoziente, π−1(M) è un ideale massimaleche contiene I perché 0A/I ∈ M (cfr. proposizione 1.3.2). Abbiamo quindi mostrato la validitàdel lemma di Krull-Zorn.

3Without Loss Of Generality

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18 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

Proposizione 1.3.3. Sia A un anello sia S ⊆ A un insieme moltiplicativo. Per ogni idealeI ⊂ A tale che I ∩ S = ∅, esiste un ideale primo P di A tale che I ⊆ P e P ∩ S = ∅.

Dimostrazione. Consideriamo l’insieme parzialmente ordinato (Σ, ⊆) dove:

Σ := {J ⊆ A : I ⊆ J, J è un ideale di A e J ∩ S = ∅}.

Si ha I ∈ Σ e quindi Σ 6= ∅. Dato che 1 ∈ S, ogni elemento di Σ è un ideale proprio. Ragionandocome nella dimostrazione del teorema 1.3.2, si ottiene che ogni catena C ⊆ Σ ammette almeno unmaggiorante (dato da ∪C). Per il lemma di Zorn, esiste un elemento P ∈ Σ massimale, il quale,dunque, è in particolare diverso da A. La tesi seguirà perché mostreremo che ogni elementomassimale di Σ è un ideale primo. Infatti, sia P ∈ Σ massimale e siano a 6∈ P e b 6∈ P . Ne segueche P ( (a, P ) e P ( (b, P ). Inoltre, per massimalità di P , (a, P ) 6∈ Σ e (b, P ) 6∈ Σ.

Quindi esiste S ∩ (a, P ) 6= ∅ e S ∩ (b, P ) 6= ∅. Quindi ci sono p1, p2 ∈ P e c1, c2 ∈ A tali chec1a + p1 ∈ S e c2b + p2 ∈ S. Poiché S é moltiplicativo, si ha (c1a + p1)(c2b + p2) ∈ S. Si hac2bp1 +c1ap2 +p1p2 ∈ P perché P é un ideale. Poiché P ∈ Σ si ha P ∩S = ∅ e quindi c1c2ab /∈ P .Quindi ab /∈ P .

1.4 Nilradicale ed Ideali RadicaliDefinizione 1.4.1. Sia A un anello. Un elemento a ∈ A si dice divisore dello zero se ∃b 6= 0tale che ab = 0.Si dice che a ∈ A è nilpotente se ∃k ∈ N∗ tale che ak = 0. Se a è nilpotente, chiamiamo ordinedi nilpotenza di a il minimo intero m ∈ N∗ per cui am = 0.

Notiamo che, se a ∈ A è nilpotente con ordine di nilpotenza m, allora banalmente a è ancheun divisore dello zero e ∀n > m, an è nilpotente. Inoltre, un anello A è un dominio se e soltantol’unico divisore della zero in A è lo zero stesso.

Esempio 1.4.1. Se p ∈ Z è primo e k ∈ N con k ≥ 2, Z/(pk) contiene elementi nilpotenti diversidallo zero (ad esempio [p]).

Definizione 1.4.2. Se A è un anello, il nilradicale di A, denotato con nil(A) è l’insieme deglielementi nilpotenti di A.

Proposizione 1.4.1. nil(A) è un ideale.

Dimostrazione. Evidentemente 0 ∈ nil(A) e se a ∈ nil(A) con ordine di nilpotenza n, allora∀λ ∈ A, (λa)n = λnan = 0. Sia ora b ∈ nil(A) e sia m ∈ N∗ il suo ordine di nilpotenza. Per laformula del binomio di Newton:

(a+ b)m+n−1 =

m+n−1∑i=0

(m+ n− 1

i

)aibm+n−1−i.

Ora, ∀i = 0, . . . ,m+ n− 1 :

• se i ≥ n, ai = 0 =⇒(m+n−1

i

)aibm+n−1−i = 0;

• se i ≤ n− 1, m+ n− 1− i ≥ m =⇒ bm+n−1−i = 0 =⇒(m+n−1

i

)aibm+n−1−i = 0.

Pertanto, a+ b ∈ nil(A).

Il Lemma di Zorn assicura la validità anche della seguente

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1.4. NILRADICALE ED IDEALI RADICALI 19

Proposizione 1.4.2. Se A 6= {0} è un anello, allora

nil(A) =⋂

P∈Spec(A)

P.

Dimostrazione. Sia f ∈ nil(A) e sia s ∈ N∗ il suo ordine di nilpotenza. Consideriamo P ∈Spec(A) qualunque. Se s = 1, non c’è ovviamente niente da dire. Se s ≥ 2, P 3 0 = fs = ffs−1,da cui deduciamo che f ∈ P per minimalità di s e perché P è primo.Viceversa, sia f /∈ nil(A) e definiamo l’insieme moltiplicativo S := {fk ∈ A : k ∈ N}. Certamente0 /∈ S perché f /∈ nil(A). Dunque, S ∩ (0) = ∅ e allora, per la proposizione 1.3.3, esisteP ∈ Spec(A) con (0 ∈ P e) P ∩ S = ∅. Concludiamo che f /∈ P (in quanto f ∈ S).

Definizione 1.4.3. Sia A un anello e sia I ⊆ A un suo ideale. Il radicale di I, denotato conrad(I) o con

√I, è l’insieme:

√I := {f ∈ A : ∃k ∈ N con k > 0 e fk ∈ I}. (1.14)

Osservazione 1.4.1. Notiamo che I ⊆√I e nil(A) =

√(0). Inoltre, π(

√I) = nil(A/I), dove

π : A→ A/I è l’omomorfismo quoziente.

Come ci si può aspettare vale

Proposizione 1.4.3.√I è un ideale.

Dimostrazione. La dimostrazione è omessa, perché è analoga a quella compiuta per il nilradicale,osservando che I è un ideale.

Definizione 1.4.4. Un ideale I ( A si dice (ideale) radicale se√I = I.

Nella prossima proposizione raccogliamo alcuni risultati relativi ai radicali di un ideale e agliideali radicali.

Proposizione 1.4.4. Sia A un anello e siano I ⊆ A e J ⊆ A ideali. Valgono i fatti seguenti.

1. I = A ⇐⇒√I = A;

2. I ⊆ J =⇒√I ⊆√J ;

3.√√

I =√I, cioè

√I è radicale;

4.√I è il più piccolo radicale contenente I;

5. se I è primo, I è radicale;

6. sia Γ un arbitrario insieme di indici e sia {Jα}α∈Γ una famiglia di ideali radicali di A.Allora

⋂α∈Γ

Jα è radicale;

7. se n ∈ N∗ e {Ik}k∈n è una famiglia di ideali di A, allora:√⋂k∈n

Ik =⋂k∈n

√Ik.

Dimostrazione. 1. Evidentemente, se I = A,√A = A. D’altra parte, se, viceversa,

√I = A,

allora, in particolare, 1 ∈√I, cioè ∃k ∈ N∗ tale che 1k = 1 ∈ I. Quindi I = A.

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20 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

2. Sia f ∈√I con k ∈ N∗ tale che fk ∈ I. Allora fk ∈ J ⇐⇒ f ∈

√J .

3. f ∈√√

I ⇐⇒ ∃k ∈ N∗ tale che fk ∈√I ⇐⇒ ∃m ∈ N∗ con (fk)m = fkm ∈ I ⇐⇒ f ∈√

I.

4. Se J ( A è un ideale radicale tale che I ⊆ J , allora, grazie al secondo punto,√I ⊆√J = J .

5. Sia I primo: dobbiamo mostrare soltanto che√I ⊆ I. In effetti, se f ∈

√I e m è il minimo

intero positivo per cui fm ∈ I, allora deve essere necessariamente m = 1 perché se fosse,per assurdo, m ≥ 2 si avrebbe che I 3 fm = ffm−1 =⇒ f ∈ I oppure fm−1 ∈ I inquanto I è primo. Ciò contraddice manifestamente la minimalità di m.

6. Consideriamo f ∈√ ⋂α∈Γ

Jα qualunque: ∃k ∈ N∗ : fk ∈⋂α∈Γ

Jα =⇒ ∀α ∈ Γ, fk ∈ Jα =

√Jα =⇒ f ∈ Jα per ogni α ∈ Γ. Perciò, f ∈

⋂α∈Γ

Jα.

7. ∀k ∈ n,⋂k∈n

Ik ⊆√Ik =⇒

⋂k∈n

Ik ⊆⋂k∈n

√Ik

2.=⇒

√ ⋂k∈n

Ik ⊆√ ⋂k∈n

√Ik

6.=⋂k∈n

√Ik.

Viceversa, se f ∈⋂k∈n

√Ik, per ogni k ∈ n sia jk ∈ N∗ il minimo intero per cui f jk ∈ Ik.

Poniamo m := max({jk : k ∈ n}): ovviamente fm ∈ Ik per ciascun k = 1, . . . , n, ossiafm ∈

⋂k∈n

Ik ⇐⇒ f ∈√ ⋂k∈n

Ik.

La parte (7) è falsa per intersezioni finite, anche in anelli molto buoni, ad esempio in Z si ha∩n>0

√(pn) = (p), mentre

√∩n>0(pn) =

√0 = 0. Si ha sempre anche per famiglie infinite S di

ideal I − s:√⋂

s∈S Is ⊆⋂s∈S√Is.

Tra gli ideali radicali di un anello e di un suo quoziente rispetto ad un qualunque ideale valeuna relazione analoga a quella vista per gli ideali primi e massimali. Più precisamente:

Proposizione 1.4.5. Siano A un anello, I ⊆ A un ideale e π : A −→ A/I l’omomorfismoquoziente. Allora

J ( A/I è un ideale radicale ⇐⇒ π−1(J) lo è. (1.15)

Dimostrazione. Supponiamo dapprima che J ( A/I sia un ideale radicale e prendiamo x ∈√π−1(J) qualunque. Se k ∈ N∗ soddisfa xk ∈ π−1(J) allora (π(x))k ∈ J . Poiché J è radicale,

π(x) ∈ J ⇐⇒ x ∈ π−1(J).Viceversa, se π−1(J) è radicale, consideriamo un qualsiasi y ∈ A/I per il quale esista m ∈ N∗con ym ∈ J . Preso w ∈ A tale che π(w) = y, π(wk) = yk ∈ J =⇒ wk ∈ π−1(J), ovvero, inquanto π−1(J) è radicale, w ∈ π−1(J) ⇐⇒ y = π(w) ∈ J .

Proposizione 1.4.6. Sia A un anello. Per ogni ideale I ( A vale:√I =

⋂I⊆P∈Spec(A)

P.

In particolare, se I è primo, I è anche radicale.

Dimostrazione. Se I ( A è un ideale qualsiasi, consideriamo l’anello quoziente A/I. Sappiamoche nil(A/I) =

√{0} =

⋂Q∈Spec(A/I)Q (cfr. proposizione 1.3.2). A questo punto prendiamo

le controimmagini secondo π di entrambi i membri dell’uguaglianza appena scritta per ottenere

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1.5. ANELLI LOCALI 21

(ricordando che Q ∈ Spec(A/I) ⇐⇒ π−1(Q) ∈ Spec(A) e osservando che se J è un ideale diA/I allora I ⊆ π−1(J)):

√I = π−1({0A/I}) = π−1(

⋂Q∈Spec(A/I)

Q) =⋂

Q∈Spec(A/I)

π−1(Q) =⋂

I⊆P∈Spec(A)

P.

1.5 Anelli Locali

Definizione 1.5.1. Un anello A si dice locale se possiede uno e un solo ideale massimale.

Ogni campo è, chiaramente, un anello locale, dal momento che il suo unico ideale massimaleè {0}.

Proposizione 1.5.1. Sia A un anello e sia I ( A un suo ideale. Sono equivalenti:

(i): A è un anello locale con I suo unico ideale massimale;

(ii): ogni elemento di A \ I è invertibile;

(iii): A \ I è l’insieme di tutti gli elementi invertibili in A, i.e. A \ I = A×.

Dimostrazione.

• (i) =⇒ (ii) : sia f ∈ A\ I. Esso è invertibile se e soltanto se (f) = (1) = A. D’altra parte,poiché I è l’unico ideale massimale in A, (f) non può essere un ideale proprio perché, selo fosse, per il lemma di Krull-Zorn dovrebbe essere contenuto in un ideale massimale, cioèin I, il che è assurdo perché f /∈ I. Dunque, (f) = A e f è invertibile.

• (ii) =⇒ (iii) : dobbiamo solo verificare che A× ⊆ A \ I. In effetti, se a ∈ I, cioè a /∈ A \ I,allora a /∈ A× perché se a fosse invertibile, si dovrebbe avere 1 ∈ I, ossia I = A, un assurdo.

• (iii) =⇒ (i) : per la proposizione 1.3.2, se M := {M ( A : M è massimale}, A =A×

⊔(⋃

M∈MM). Poiché ovviamente A = (A\ I)

⊔I, ciò implica che I =

⋃M∈M

M . Essendo

I un ideale proprio di A, esiste un ideale massimale N di A con I ⊆ N . Ne segue che deveessere I = N . Dunque, I è un ideale massimale ed è necessariamente unico.

La prossima proposizione fornisce una condizione sufficiente affinché un anello quoziente sialocale.

Proposizione 1.5.2. Sia A un anello e I ⊆ A un suo ideale. Se√I è massimale, A/I è

un anello locale con nil(A/I) suo ideale massimale. In particolare, ogni elemento di A/I o èinvertibile oppure è nilpotente.

Dimostrazione. Sappiamo che nil(A/I) = π(√I) ed è dunque massimale perché

√I lo è per

ipotesi. D’altra parte, se M ( A/I è un ideale massimale allora esso è anche primo e quindideve contenere nil(A/I) perché quest’ultimo è l’intersezione di tutti gli ideali primi di A/I. Nesegue, per massimalità di nil(A/I), che M = nil(A/I). L’ultima affermazione discende dallaproposizione precedente. Osserviamo che nil(A/I) è anche l’unico ideale primo di A/I.

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22 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

Vogliamo ora costruire un esempio non banale di anello locale.Sia t un insieme e consideriamo M := {f : {t} −→ N}, l’insieme di tutte le funzioni da {t} in N.Se dotiamo tale insieme del prodotto naturale (∀f, g ∈ M, fg è la funzione {t} −→ N tale chefg(t) = f(t)g(t)), M diventa chiaramente un monoide: scrivendo ogni suo elemento f come tndove N 3 n := f(t), ricaviamo che M = {tn : n ∈ N}. Consideriamo a questo punto un anello Ae definiamo AJtK := {g : M −→ A}. Ogni elemento di AJtK è dunque una funzione M −→ A cheassegna a ciascun tn ∈M un an ∈ A. Denotiamo (si badi bene, non definiamo) questo elementocon

∑∞n=0 ant

n. Con tale convenzione, possiamo perciò scrivere:

AJtK :=

{ ∞∑n=0

antn : an ∈ A, ∀n ∈ N

}. (1.16)

Su questo insieme definiamo due operazioni di somma e di prodotto date, rispettivamente, da:per ogni

∑∞n=0 ant

n,∑∞n=0 bnt

n ∈ AJtK

• (∑∞n=0 ant

n) + (∑∞n=0 ant

n) :=∑∞n=0(an + bn)tn;

• (∑∞n=0 ant

n)(∑∞n=0 bnt

n) :=∑∞n=0(

∑p+qp=0 apbp+q−n)tn.

Abbiamo che (AJtK, +, ·) è un anello, detto anello delle serie formali a coefficienti in A.

Osservazione 1.5.1. Evidentemente, se x è un insieme con t 6= x, AJtK ' AJxK: un isomorfismotra AJtK e AJxK è quello ovvio indotto dall’unica funzione {t} −→ {x} (

∑∞i=0 ait

i 7→∑∞i=0 aix

i).Siamo pertanto legittimati a parlare de l’ anello delle serie formali a coefficienti in A, poiché essoè unico a meno di isomorfismi.4Notiamo inoltre che l’anello dei polinomi a coefficienti in A, A[t]5, è un sottoanello di AJtK.

Proposizione 1.5.3. Sia A un anello. Valgono i seguenti fatti:

(i): A è un dominio ⇐⇒ A[t] lo è;

(ii): A è un dominio ⇐⇒ AJtK lo è.

Dimostrazione. Mostriamo solo (i) in quanto la verifica di (ii), considerata la definizione diprodotto in AJtK, è immediatamente riconducibile a quella di (i). Supponiamo che A sia undominio e consideriamo due elementi non nulli f :=

∑mj=0 ajt

j e g :=∑ni=0 bit

i di A[t]. Ciòsignifica che gli insiemi:

B := {j ∈ {0, . . . , m} : aj 6= 0} C := {i ∈ {0, . . . , n} : bi 6= 0}

sono entrambi non vuoti. Siano dunque p e q i minimi di B e di C rispettivamente. Allora(fg)p+q =

∑p+qk=0 akbp+q−k =

∑p+qh=p ahbp+q−h = apbq +

∑q−1l=0 ap+q−lbl = apbq 6= 0 perché A è un

dominio. Dunque, se A è un dominio lo è pure A[t]; l’implicazione opposta è banale.

Il prossimo teorema costituisce il motivo per cui abbiamo introdotto qui il concetto di serieformali.

Teorema 1.5.1. Sia A un anello. Allora:

1. a =∑∞i=0 ait

i ∈ AJtK è invertibile ⇐⇒ a0 lo è.

4Se non fosse chiaro, la costruzione vista per AJtK con t insieme formalizza l’idea intuitiva di serie formalecome “somma infinita nella indeterminata t”.

5Qualora non sia già nota, cfr. per una definizione di A[t].

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1.5. ANELLI LOCALI 23

Se A è un campo K, vale:

2. KJtK è locale con (t) suo ideale massimale;

3. KJtK è un dominio a ideali principali. In particolare, se I ( KJtK è un ideale o I = {0}oppure ∃k ∈ N∗ con I = (tk) ed inoltre, in questo caso, k è univocamente determinato daI.

Dimostrazione.

1. Se a è invertibile in AJtK e b =∑∞i=0 bit

i, allora, in particolare, a0b0 = 1. Viceversa, siaa =

∑∞i=0 ait

i ∈ AJtK tale che a0 sia invertibile in A. Notiamo che b =∑∞i=0 bit

i ∈ AJtK ètale che ab = 1 in AJtK se e soltanto se a0b0 = 1 e, ∀n ≥ 1,

∑ns=0 asbn−s = 0. Esibiamo a

questo punto una serie b =∑∞i=0 bit

i ∈ AJtK inversa di a, costruendo i coefficienti bi, perogni i ∈ N, come segue: poniamo b0 := a−1

0 e ∀i ∈ N∗ definiamo per induzione

bi := −a−10

i∑r=1

arbi−r = −b0i∑

r=1

arbi−r.

Grazie a questa definizione abbiamo immediatamente, per ogni k ∈ N∗:k∑s=0

asbk−s = a0bk +

k∑s=1

asbk−s = −k∑s=1

asbk−s +

k∑s=1

asbk−s = 0.

2. Consideriamo la funzione f : KJtK −→ K data da: ∀a =∑∞i=0 ait

i ∈ KJtK, f(a) := a0. Percome sono stati definiti somma e prodotto in KJtK è evidente che f è un morfismo suriettivodi anelli. Inoltre, ∀a ∈ KJtK, f(a) = a0 = 0 ⇐⇒ a ∈ (t) grazie a 1. ovvero ker(f) = (t).Pertanto, grazie al teorema fondamentale di isomorfismo tra anelli, KJtK/ ker(f) ' Kossia ker(f) = (t) è massimale in KJtK (vedi proposizione 1.3.1). D’altra parte, (t) è l’unicoideale massimale in KJtK perché, seM ( KJtK è un ideale massimale, alloraM non contieneelementi invertibili e quindi segue da 1. che M ⊆ (t) =⇒ M = (t) per massimalità di M .

3. Sia {0} ( I ( KJtK un ideale. Vogliamo trovare k ∈ N∗ tale che I = (tk). Per ogni f ∈I \ {0} chiamiamo ordine di f il minimo naturale i =: ord(f) per cui fi 6= 0. Consideriamoa questo punto l’insieme seguente:

C := {ord(f) : f ∈ I \ {0}} ⊆ N.

Sicuramente C è non vuoto perché abbiamo preso I 6= {0}. Sia dunque k := minC emostriamo che I = (tk). Per minimalità di k abbiamo certamente l’inclusione I ⊆ (tk) ={0} ∪ {f ∈ KJtK : ord(f) ≥ k}. Per verificare il contenuto opposto, proviamo che tk ∈ I.Poiché k ∈ C, ∃f ∈ I \ {0} con ord(f) = k, i.e f =

∑i≥k fit

i con fk 6= 0. Possiamoriscrivere:

f = fk

∑i≥k

(fif−1k )ti

= fktk

∞∑j=0

(fj+kf−1k )tj

.

Poiché γ :=∑∞j=0(fj+kf

−1k )tj ha termine noto pari a 1, grazie al punto 1. precedente, γ è

invertibile in KJtK. Perciò, tk = f−1k γ−1f ∈ I perché I è un ideale. Per concludere, è ovvio

che k è univocamente determinato da I perché se k 6= m e assumiamo WLOG k < m,allora tk /∈ (tm) =⇒ (tk) 6= (tm).

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24 CAPITOLO 1. ANELLI ED IDEALI

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Capitolo 2

Moduli

2.1 Concetti di Base

Definizione 2.1.1. Un A-modulo (sinistro) o un modulo (sinistro) su A è una quaterna ordinata(A, M, +, ·), dove A è un anello, (M, +) è un gruppo abeliano (con elemento neutro 0) e

· : A×M −→M, (λ, m) 7→ ·(λm) =: λm

è una funzione, detta prodotto (in M) o struttura di A-modulo (per M), la quale soddisfa leproprietà seguenti. Per ogni λ, µ ∈ A e ∀m,n ∈M vale:

(i): λ(m+ n) = λm+ λn;

(ii): (λ+ µ)m = λm+ µm;

(iii): (λµ)m = λ(µm);

(iv): 1m = m.

Si può dare una analoga definizione per un A-modulo destro. Poiché d’ora in poi conside-reremo soltanto moduli sinistri1, ometteremo l’aggettivo direzionale parlando semplicemente diA-moduli senza ulteriori specificazioni.

Dalla definizione di A-modulo discendono immediatamente i seguenti fatti evidenti: se M èun A-modulo, ∀a ∈ A e ∀m ∈M si ha

• a0 = 0 e 0m = 0;

• a(−m) = −(am) e (−a)m = −(am).

Definizione 2.1.2. Sia M un A−modulo e sia N ⊆ M . Si dice che N è un sottomodulo di Mse è chiuso rispetto alle operazioni di M ristrette a N , i.e ∀m,n ∈ N e ∀λ ∈ A, m + n ∈ N eλa ∈ N (in particolare quindi 0 ∈ N).

Ovviamente, se N è un sottomodulo di (A, M, +, ·), allora (A, N, +|N×N , ·|A×N ) è esso stessoun A−modulo.

1Ogni risultato che vedremo si potrà applicare identicamente anche ai moduli destri e così questa restrizionenon fa perdere di generalità.

25

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26 CAPITOLO 2. MODULI

Esempio 2.1.1. 1. {0} è un A−modulo, detto modulo banale.

2. Ogni anello A è un A−modulo con somma e prodotto dati da quelli dell’anello stesso. Isottomoduli di A sono precisamente gli ideali di A.

3. Se A è un campo, un A−modulo V è esattamente uno spazio vettoriale su A e i suoisottomoduli sono i sottospazi vettoriali di V .

4. Ogni gruppo abeliano G è uno Z−modulo se si definisce il prodotto in G ponendo: ∀n ∈ Ze ∀g ∈ G, ng è l’n−esimo multiplo di g. I sottomoduli di G sono i suoi sottogruppi.

Con una dimostrazione essenzialmente identica a quella vista nel caso di una famiglia di idealiin un anello otteniamo immediatamente la prossima

Proposizione 2.1.1. Sia M un A−modulo. Se {Nα}α∈Λ6=∅ è una famiglia arbitraria di sotto-moduli di M , allora ⋂

α∈Λ

è un sottomodulo di M .Se N1, N2 sono sottomoduli di M allora la loro somma

N1 +N2 := {n1 + n2 ∈M : n1 ∈ N1, n2 ∈ N2}

è un sottomodulo di M .

Definizione 2.1.3. Sia M un A−modulo e sia S ⊆ M . Il sottomodulo di M generato da S èdenotato con (S) è definito come l’intersezione di tutti i sottomoduli contenenti S.

Nuovamente in analogia al caso degli ideali, S è il più piccolo sottomodulo di M contenenteS. In particolare, se S è un sottoinsieme finito diM , cioè S = {m1, . . . , mn} per qualche n ∈ N∗vale:

(m1, . . . , mn) := ({m1, . . . , mn}) =

{n∑i=1

λimi : λi ∈ A, ∀i ∈ n

}.

Definizione 2.1.4. Sia M un A−modulo e sia N ⊆ M un suo sottomodulo. Diciamo che N èfinitamente generato (o anche che è un modulo finito) se esiste un n ∈ N ed esistono elementig1, . . . , gn ∈ M tali che N = (g1, . . . , gn). Più in generale, se Λ 6= ∅ e (gλ)λ∈Λ ⊆ N è unafamiglia di elementi di N tali che N = ((gλ)λ∈Λ) (ossia N coincide con il sottomodulo di Ngenerato dai gλ), si dice che i gλ generano N o che sono un sistema di generatori di N.

Di tutte le mappe tra moduli sullo stesso anello siamo interessati a studiare quelle chepreservano la struttura algebrica modulare:

Definizione 2.1.5. Siano M1, M2 A−moduli. Un omomorfismo (di A-moduli), anche dettoapplicazione A-lineare, è una mappa L : M1 −→M2 tale che ∀m,n ∈M1 e ∀λ ∈ A, L(m+ n) =L(m) + L(n) e L(λm) = λL(m).Se L : M1 −→M2 è un omomorfismo di A−moduli, il nucleo di L è l’insieme:

ker(L) := L−1({0}) = {m ∈M1 : L(m) = 0}.

Proposizione 2.1.2. Sia L : M1 −→M2 un omomorfismo di moduli. Allora:

(i): kerL è un sottomodulo di M1;

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2.1. CONCETTI DI BASE 27

(ii): per ogni sottomodulo N ⊆ M1, L(N) è un sottomodulo di M2. In particolare, Im(L) èsottomodulo di M2;

(iii): L è iniettiva se e soltanto se ker(L) = {0}.

Dimostrazione. Omessa perché piuttosto evidente e comunque del tutto simile a quella già vistae nota per gli spazi vettoriali e le applicazioni lineari tra essi.

Definizione 2.1.6. Un omomorfismo L : M1 −→ M2 di A−moduli si dice un isomorfismo (diA-moduli) se è biettivo o, equivalentemente, se esiste un omomorfismo G : M2 −→ M1 che sial’inverso di L.

Il prossimo obiettivo consiste nell’enunciare e dimostrare alcuni cruciali teoremi di isomor-fismo tra moduli sullo stesso anello, utilizzando i quozienti di moduli rispetto ad opportunerelazioni di equivalenza. Vediamo subito di essere più precisi.

Consideriamo un A−modulo M e sia N un suo sottomodulo. Possiamo definire su M unarelazione d’equivalenza ponendo:

∀x, y ∈M, x ∼ y ⇐⇒ x− y ∈ N.

Sull’insieme quoziente M/ ∼ definiamo un’operazione interna di somma ed una esterna diprodotto per uno scalare come segue: ∀[x], [y] ∈M/ ∼ e ∀λ ∈ A:

[x] + [y] := [x+ y] e λ[x] := [λx].

Queste due operazioni sono ben definite: mostriamolo per il prodotto, poiché la verifica per lasomma è analoga. Se x, y ∈ M sono tali che [x] = [y] allora ∃α ∈ N con y = x + α. Ne segueche, per ogni λ ∈ A, [λy] = [λx+ λα] = [λx].Risulta evidente che (A, M/ ∼, +, ·) è un A−modulo, detto modulo quoziente di M rispetto aN ed indicato con M/N .

Definizione 2.1.7. Sia A un anello e siano M1,M1 moduli su A con f : M1 −→M2 omomorfi-smo. Dato un sottomodulo N ⊆M1 tale che N ⊆ ker(f), l’omomorfismo

f : M1/N −→M2, ∀[x] ∈M1/N, f([x]) := f(x)

è ben definito ed è detto indotto da f (su M1/N).

Osserviamo che f = f ◦ π (dove π : M1 −→ M1/N è l’omomorfismo quoziente) e ker(f) =ker(f)/N .

Definizione 2.1.8. Sia f : M1 −→M2 un omomorfismo di A−moduli. L’A−modulo quoziente

coker(f) := M2/f(M1) = M2/ Im(f)

è detto conucleo di f.

Possiamo a questo punto dare il fondamentale

Teorema 2.1.1 (Teoremi di Isomorfismo tra Moduli). Valgono i risultati seguenti.

1. Se f : M −→M1 è un omomorfismo di A−moduli, allora

M/ ker(f) ' Im(f). (2.1)

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28 CAPITOLO 2. MODULI

2. Dati L ⊆M ⊆ N moduli su A,

N/M ' (N/L)

(M/L). (2.2)

3. Se N è un A−modulo con L,M ⊆ N suoi sottomoduli, allora

(M + L)/L 'M/(M ∩ L). (2.3)

Dimostrazione. 1. L’omomorfismo f : M/ ker(f) −→ Im(f) indotto da f è un isomorfismo,detto isomorfismo canonico: la verifica di ciò è immediata.

2. Consideriamo la mappa ϕ : N/L −→ N/M data da ϕ(x+L) := x+M , per ogni x+L ∈ N/L.La definizione è ben posta perché L ⊆M (per x, y ∈ N, x+ L = y + L ⇐⇒ x− y ∈ L ⊆M =⇒ x + M = y + M); inoltre, ϕ è chiaramente una mappa A−lineare suriettiva e siha che ker(ϕ) = M/L perché:

ϕ(x+ L) = 0 ⇐⇒ x ∈M ⇐⇒ x+ L ∈M/L.

Per il punto 1. concludiamo che N/LM/L ' N/M .

3. La composizione ϕ := π ◦ i : M −→ (M + L)/L, dove i : M ↪→ M + L è l’inclusione eπ : M + L −→ (M + L)/L è l’omomorfismo quoziente, è un omomorfismo suriettivo diA−moduli (∀m ∈ M, ∀l ∈ L, (m + l) + L = m + L) con ker(ϕ) = M ∩ L, in quantom ∈ ker(ϕ) ⇐⇒ ϕ(m) = m + L = 0 ⇐⇒ m ∈ L). Grazie al primo punto mostrato,concludiamo con la tesi.

Osserviamo che il punto 3. del teorema precedente si può interpretare dicendo che, se L *M(con L,M sottomoduli di un A−modulo N), allora vi sono due modi possibili per dare significatoall’espressione M/L: estendendo M affinché contenga L o riducendo L affinché sia contenuto inM . Tali scelte producono entrambe lo stesso risultato.

Vogliamo concludere questa sezione fornendo una caratterizzazione (definizione) alternativa delconcetto di A−modulo.Ricordiamo che, dato un gruppo abeliano M , l’insieme

End(M) := {f : M −→M : f è un omomorfismo di moduli}

è un anello unitario e, in generale, non commutativo se dotato delle operazioni di somma eprodotto seguenti: ∀f, g ∈ End(M),

∀x ∈M, (f + g)(x) := f(x) + g(x) e (fg)(x) := (f ◦ g)(x) = f(g(x)).

(End(M), +, ·) è detto anello degli endomorfismi di M.Supponiamo ora di avere un gruppo abeliano M che sia anche un A−modulo (sinistro), secondola definizione data. Per ogni a ∈ A abbiamo una mappa µa : M −→ M ottenuta ponendo∀m ∈ M, µa(m) := am (a volte, per ragioni evidenti, questa funzione è detta moltiplicazioneper a). Osserviamo che, per ogni a ∈ A, µa è A−lineare e che questa proprietà segue dallacommutatività di A. Risulta perciò definita una funzione

µ : A −→ End(M), a 7→ µa. (2.4)

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2.2. COSTRUZIONE DI MODULI 29

Le condizioni (i)− (iv) della definizione 2.1.1 dicono esattamente che tale mappa è un omomor-fismo di anelli.Viceversa, se M è un gruppo abeliano e ψ : A −→ End(m) è un omomorfismo di anelli, ψ in-duce su M una naturale struttura di A−modulo: basta semplicemente definire ∀a ∈ A, ∀m ∈M, a ·m := (ψ(a))(m). Chiaramente, considerando (A, M, +, ·) come A−modulo (quindi ilprodotto è quello appena costruito utilizzando ψ), per ogni a ∈ A la mappa di moltiplicazioneper a risulta essere precisamente ψ(a).Abbiamo quindi mostrato quanto segue

Proposizione 2.1.3. Siano A un anello e M un gruppo abeliano. Allora ogni struttura diA−modulo su M definisce un omomorfismo di anelli A −→ End(M) e viceversa.

Alla luce di quanto visto, fissato un anello A, avremmo in effetti potuto definire un A−modulocome una coppia ordinata (M, ψ) con M gruppo abeliano e ψ : A −→ End(M) omomorfismodi anelli. Inoltre, osserviamo che se (M, µ) e (N, %) sono A−moduli, un omomorfismo digruppi abeliani T : M −→ N è un omomorfismo di A−moduli se e soltanto se per ogni a ∈ A ildiagramma seguente commuta:

N N%a

//

M

N

T

��

M Mµa // M

N

T

��

cioè se e soltanto se T ◦ µa = %a ◦ T per ogni a ∈ A.

Definizione 2.1.9. Sia (A, M, +, ·) un modulo su A e sia µ : A −→ End(M) la mappa definitacome in (2.4). Se µ è iniettiva, si dice che M è un A-modulo fedele.

Osservazione 2.1.1. Se M è un A−modulo e definiamo l’annullatore di M come l’insieme

Ann(M) := {a ∈ A : ∀m ∈M, am = 0}, (2.5)

è evidente cheker(µ) = Ann(M).

In particolare quindi Ann(M) è un ideale di A e µ è iniettiva se e solo se Ann(M) = {0}.

2.2 Costruzione di ModuliIn questa sezione studiamo qualche strumento per costruire nuovi moduli a partire da alcuni

dati.

Definizione 2.2.1. Sia (Mα)α∈Λ una famiglia di A−moduli, con ∅ 6= Λ insieme di indici.

1. Il (modulo) prodotto degli Mα è il prodotto insiemistico∏α∈Λ

dotato delle operazioni di somma e prodotto per uno scalare definite componente percomponente, i.e ∀(aα)α∈Λ, (bα)α∈Λ e ∀κ ∈ A:

(aα)α∈Λ + (bα)α∈Λ := (aα + bα)α∈Λ e κ(aα)α∈Λ := (κaα)α∈Λ.

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30 CAPITOLO 2. MODULI

Osserviamo che ∀α ∈ Λ, le proiezioni pα :∏α∈ΛMα −→ Mα sull’α−esimo fattore sono

omomorfismi di A−moduli.

2. La somma diretta degli Mα è l’A−modulo

⊕α∈Λ

Mα :=

{(mα)α∈Λ ∈

∏α∈Λ

Mα : mα = 0 tranne che per un numero finito di indici

}(2.6)

dotato delle operazioni di somma e prodotto per uno scalare definiti componente per com-ponente. Anche in questo caso le proiezioni sui fattori, πα :

⊕α∈ΛMα −→Mα, sono degli

omomorfismi di moduli per ogni α ∈ Λ.

Osservazione 2.2.1. Se (Mα)α∈Λ è una famiglia di A−moduli come in precedenza, per ogniα ∈ Λ, possiamo definire delle mappe A−lineari:

iα : Mα −→∏α∈Λ

Mα, miα7−→ (nβ)β∈Λ,

dove nβ := m se β = α, mentre nβ := 0 se β 6= α. Chiaramente vale:

⊕α∈Λ

Mα =

(⋃α∈Λ

iα (Mα)

),

ossia⊕

α∈ΛMα è il sottomodulo di∏α∈ΛMα generato dall’unione delle immagini degli iα, al

variare di α ∈ Λ. Inoltre, se Λ è finito, allora⊕

α∈ΛMα =∏α∈ΛMα.

Vediamo ora un caso particolare ed estremamente importante di somma diretta di moduli.SiaA un anello: se Λ 6= ∅ possiamo costruire la somma diretta di |Λ| copie diA, ovvero considerarela famiglia di moduli (Mα)α∈Λ dove Mα = A per ogni α ∈ Λ e porre

A⊕Λ :=⊕α∈Λ

A. (2.7)

(Se Λ è un insieme finito di cardinalità n ∈ N∗, scriviamo semplicemente An anziché A⊕Λ). Aquesto punto, per ogni λ ∈ Λ definiamo eλ = (mα)α∈Λ ∈ A⊕Λ dove mα = 0 se α 6= λ e mλ = 1.Non v’è alcun dubbio che il sottomodulo di A⊕Λ generato dagli eλ al variare di λ ∈ Λ sia propriotutto A⊕Λ . Osserviamo inoltre che gli eλ soddisfano la proprietà seguente:

∀(aλ)λ∈Λ ∈ A⊕Λ ,∑λ∈Λ

aλeλ = 0 =⇒ aλ = 0 ∀λ ∈ Λ, (2.8)

dove la somma è sensata perché è da intendersi compiuta sugli indici λ ∈ Λ per i quali aλ 6= 0e quindi è una somma finita. Pertanto, se tutto va come ci si aspetta, la famiglia (eλ)λ∈Λ ha ilpieno diritto di essere una base (che chiameremo canonica o standard) per l’A−modulo A⊕Λ . Ineffetti diamo, più in generale, la prossima definizione.

Definizione 2.2.2. Sia M un A−modulo e sia Λ 6= ∅ un insieme. Identificando una funzionee : Λ → M con la successione ordinata delle immagini secondo e dei λ ∈ Λ (cioè, e = (eλ)λ∈Λ,dove ∀λ ∈ Λ, eλ := e(λ)), diciamo che (eλ)λ∈Λ è una base (di cardinalità |Λ|) per M se gli eλgenerano M e sono linearmente indipendenti, ossia soddisfano (2.8). Se M ammette una base diqualche cardinalità |Λ|, diciamo che esso è libero (su A).

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2.2. COSTRUZIONE DI MODULI 31

Osservazione 2.2.2. Ogni anello A 6= {0} è un modulo libero su se stesso: una sua base è databanalmente da {1} ⊆ A.

Se Λ 6= ∅ è un insieme e fissiamo (eλ)λ∈Λ, con eλ ∈ M per ogni λ ∈ Λ, possiamo definire unomomorfismo di A−moduli:

ϕ : A⊕Λ →M, (aλ)λ∈Λϕ7−→∑λ∈Λ

aλeλ.

Chiaramente gli eλ sono un sistema di generatori di M se e solo se ϕ è suriettiva, mentre sonolinearmente indipendenti se e soltanto se ϕ è iniettiva. Pertanto, asserire che (eλ)λ∈Λ è una basedi cardinalità |Λ| per M equivale ad affermare che ϕ è un isomorfismo. Per questo, a volte ci siriferisce a A⊕Λ come al modulo libero di |Λ| generatori.

Se il dominio di una mappa A−lineare è un A−modulo libero, allora essa è completamente(ma liberamente) determinata dal suo comportamento su una base. Più precisamente:

Proposizione 2.2.1 (Estensione per Linearità). Sia M un A−modulo libero e sia (mλ)λ∈Λ unasua base. Sia inoltre N un A−modulo qualunque e f : B := {mλ : λ ∈ Λ} −→ N una mappaqualsiasi. Allora esiste un unico omomorfismo di A−moduli g : M → N tale che g|B = f , i.e taleche commuti il diagramma:

B MiB //B

N

f

��

M

N

∃!g

��

dove iB è l’inclusione.

Quindi, per dare un omomorfismo M −→ N basta dare un’applicazione B −→ N (e tenden-zialmente faremo proprio così).

Dimostrazione. Se definiamo

∀m =∑λ∈Λ

aλmλ ∈M, g(∑λ∈Λ

aλmλ) :=∑λ∈Λ

aλf(mλ),

essa possiede le proprietà richieste (la verifica è immediata).

Osservazione 2.2.3. Dato un anello A, il primo teorema di isomorfismo tra moduli (cfr. Teo-rema 2.1.1) garantisce che ogni A−modulo M sia isomorfo al quoziente di un modulo libero suA (per un suo opportuno sottomodulo). Infatti abbiamo un canonico omorfismo suriettivo diA−moduli

ε : A⊕M →M,

n∑i=1

aimi 7→n∑i=1

aimi, ai ∈ A,

dove A⊕M è il modulo libero generato dall’insieme M .

Siano M e N moduli su uno stesso anello A. Definiamo l’insieme

homA(M, N) := {f : M → N : f è A-lineare} (2.9)

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32 CAPITOLO 2. MODULI

che possiamo dotare di operazioni di somma e prodotto per uno scalare date da, ∀a ∈ A e∀f, g ∈ homA(M, N),

af := xaf7−→ af(x) f + g := x

f+g7−→ f(x) + g(x).

(A, homA(M,N), +, ·) è un A−modulo, detto modulo degli omomorfismi (o delle trasforma-zioni) da M in N.

Esempio 2.2.1. Raccogliamo qui alcuni risultati in merito ai moduli di omomorfismi.

1. homA({0}, N) ' {0} ' homA(M, {0}).

2. OgniA−moduloN è isomorfo ad un modulo di trasformazioni. Più precisamente, homA(A, N) 'N ed un isomorfismo è homA(A, N) 3 f 7→ f(1) ∈ N .

3. Se M1, M2 e N sono A−moduli, homA(M1 ⊕M2, N) ' homA(M1, N)⊕ homA(M2, N).Un isomorfismo è dato da

ϕ : homA(M1, N)⊕ homA(M2, N)→ homA(M1 ⊕M2, N), ϕ(f1, f2) := g

dove ∀(m1, m2) ∈ M1 ⊕ M2, g(m1, m2) := f1(m1) + f2(m2). La A−linearità dellamappa ϕ è evidente. Per verificare la suriettività, siano i1 : m1 7→ (m1, 0) e i2 : m2 7→(0, m2) le inclusioni standard rispettivamente di M1 e di M2 in M1 ⊕ M2: per ognih ∈ homA(M1⊕M2, N), la coppia (h ◦ i1, h ◦ i2) è tale che ∀(m1, m2) ∈M1⊕M2, (ϕ(h ◦i1, h ◦ i2))(m1, m2) = h(m1, 0) +h(0, m2) = h(m1, m2). Infine per mostrare l’iniettivitàsi osservi che ϕ(f1, f2) = ϕ(h1, h2) ⇐⇒ f1(m1)+f2(m2) = h1(m1)+h2(m2) per ciascun(m1, m2) ∈M1⊕M2 e dunque anche per (m1, 0), con m1 ∈M1 qualunque, e per (0, m2),con m2 ∈M2 qualsiasi.

4. Se M, N1, N2 sono A−moduli, homA(M, N1 ⊕ N2) ' homA(M, N1) ⊕ homA(M, N2).Per vedere ciò si può ad esempio considerare l’isomorfismo ψ : homA(M, N1 ⊕ N2) →homA(M, N1)⊕ homA(M, N2) definito come ψ(f) := (π1 ◦ f, π2 ◦ f), dove π1, π2 sono leproiezioni canoniche di N1 ⊕N2 sui due fattori.

5. Per ognim, n ∈ N, homA(An, Am) ' Amn 'M(n×m, A), doveM(n×m, A) è l’insiemedelle matrici n×m a coefficienti in A. Un isomorfismo homA(Am, An) −→ Amn è dato da

f 7−→ (f1(e1), f1(e2), . . . , f1(em), f2(e1), . . . , f2(em), . . . , fn(e1), . . . , fn(em)),

dove E := (e1, e2, . . . , em) è la base standard di Am e per ogni i ∈ n, fi := πi ◦ f . Infine,la mappa homA(Am, An) −→ M(n ×m, A), f 7−→ MEE è un isomorfismo, se MEE è lamatrice di f rispetto alle basi standard di Am e di An (E), i.e

MEE :=

f1(e1) f1(e2) . . . f1(em)f2(e1) f2(e2) . . . f2(em)

......

. . ....

fn(e1) fn(e2) . . . fn(em)

.

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2.3. SUCCESSIONI ESATTE E COMPLESSI DI MODULI 33

2.3 Successioni Esatte e Complessi di ModuliDefinizione 2.3.1. Sia A un anello. Se (Mn)n∈Z e (fn : Mn −→ Mn+1)n∈Z sono famiglie diA−moduli e di omomorfismi di A−moduli rispettivamente, diciamo che la successione

. . . −→Mn−2fn−2−−−→Mn−1

fn−1−−−→Mnfn−→Mn+1

fn+1−−−→Mn+2 −→ . . . (2.10)

è un complesso (rispettivamente che è esatta) in Mn se Im(fn−1) ⊆ ker(fn) (rispettivamente seIm(fn−1) = ker(fn)). Chiamiamo inoltre la successione 2.10 esatta (risp. un complesso) se essaè esatta (risp. un complesso) in ciascun Mn, cioè per ogni n ∈ Z.

Osservazione 2.3.1. Im(fn−1) ⊆ ker(fn) ⇐⇒ fn ◦ fn−1 = 0.

Definizione 2.3.2. Una successione esatta di A−moduli2

0 −→ Lα−→M

β−→ N −→ 0 (2.11)

è detta breve.

Esempio 2.3.1.

1. 0 −→ Lα−→M è esatta⇐⇒ α è iniettiva.

2. M β−→ N −→ 0 è esatta⇐⇒ β è suriettiva.

3. 0 −→ Lα−→M

β−→ N è esatta⇐⇒ L ' ker(β).

4. L α−→Mβ−→ N −→ 0 è esatta⇐⇒ coker(α) = M/α(L) ' N .

5. 0 −→ Lα−→M

β−→ N −→ 0 è esatta⇐⇒ α è iniettiva, β è suriettiva e Im(α) = ker(β).

6. Consideriamo una successione esatta 0 −→ M1%1−→ M2

%2−→ M3%3−→ M4 −→ 0. Allora le due

successioni:

0 −→M1%1−→M2

%2−→ Im(%2) −→ 0 e 0 −→ Im(%2) ↪→M3%3−→M4 −→ 0

sono esatte (Im(%2) ↪→ M3 è l’inclusione insiemistica). Abbiamo dunque spezzato unasuccessione esatta lunga in due successioni esatte brevi, nel senso che:

0 −→M1%1−→M2

%2−→M3%3−→M4 −→ 0 è esatta

se e soltanto se

0 −→M1%1−→M2

%2−→ Im(%2) −→ 0 −→ Im(%2) ↪→M3%3−→M4 −→ 0 è esatta.

Proposizione 2.3.1. Consideriamo una successione esatta breve 2.11 di A−moduli. Sonoequivalenti:

1. esiste ϕ : M −→ L⊕N isomorfismo tale che ϕ ◦α = iL e πN ◦ϕ = β, con iL inclusione diL in L⊕N e πN proiezione di L⊕N su N ;

2. esiste s : N −→M omomorfismo che sia una sezione di β, ossia tale che β ◦ s = idN ;2Nelle successioni di moduli scriviamo 0 per intendere il modulo banale {0}.

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34 CAPITOLO 2. MODULI

3. esiste r : M −→ L omomorfismo che sia una retrazione di α, ossia tale che r ◦ α = idL.

Dimostrazione.

• 1. =⇒ 2. e 1. =⇒ 3. Siano iN l’inclusione di N in L⊕N e πL la proiezione di L⊕N suL. Definiamo s : N −→M e r : M −→ L ponendo

s := ϕ−1 ◦ iN r := πL ◦ ϕ.

Ricordando che, per ipotesi, ϕ ◦ α = iL e πN ◦ ϕ = β, si ha immediatamente che che s e rverificano 2. e 3. rispettivamente.

• 2. =⇒ 1. Definiamo

ψ : L⊕N →M, (l, n)ψ7−→ α(l) + s(n).

Non c’è dubbio che ψ sia un omomorfismo, poiché α e s lo sono. D’altra parte, (l, n) ∈ker(ψ) =⇒ 0 = (0) = β(α(l) + s(m)) = (β ◦ α)(l) + (β ◦ s)(n) = n perché α(l) ∈ ker(β) es è una sezione di β. A questo punto, α(l) + s(n) = 0, s(n) = 0 =⇒ α(l) = 0 =⇒ l = 0perché α è iniettiva (esattezza della successione). Abbiamo mostrato che ψ è iniettiva, Per lasuriettività, ci basta mostrare che per ogni m ∈M, m− s(β(m)) ∈ Im(α) perché possiamoscrivere m = m−s(β(m))+s(β(m)). In effetti, m−s(β(m)) ∈ Im(α) ⇐⇒ m−s(β(m)) ∈ker(β) ⇐⇒ 0 = β(m−s(β(m))) = β(m)−β(m−s(β(m))) = β(m)−β(m) = 0. Si verificafacilmente che ψ−1 =: ϕ ha le altre proprietà richieste in 1.

• 3. =⇒ 1. Consideriamo l’applicazione

ϕ : M −→ L⊕N, ϕ(m) := (r(m), β(m)).

Notiamo anzitutto che ϕ è un omomorfismo, ϕ ◦ α = (r ◦ α, β ◦ α) = (idL, 0) = iL eπN ◦ ϕ = β. Inoltre, ϕ è suriettiva: una controimmagine di un generico (l, n) ∈ L ⊕ Nè data da m := α(l) + m

′+ α(t) dove m

′è tale che β(m

′) = n e t := −r(m′). Infine ϕ

è iniettiva: m ∈ ker(ϕ) ⇐⇒ r(m) = 0 = β(m). Poiché β(m) = 0, per esattezza dellasuccessione, ∃l ∈ L con α(l) = m e allora 0 = r(m) = r(α(l)) = l =⇒ α(l) = m = 0.

Definizione 2.3.3. Se una successione esatta breve 2.11 soddisfa una delle condizioni equivalentidella proposizione precedente, si dice che essa è spezzante oppure che splitta.

Corollario 2.3.1. Se N è libero, allora la successione esatta breve 0 −→ Lα−→ M

β−→ N −→ 0 èspezzante.

Dimostrazione. Sia E = (eλ)λ∈Λ una base di N . Per ogni λ ∈ Λ si scelga3 un mλ ∈ β−1({eλ}).A questo punto, si definisca s : N −→M ponendo

s

(∑λ∈Λ

aλeλ

):=∑λ∈Λ

aλmλ.

Si osservi infine che s soddisfa la condizione 2. della proposizione precedente.

3Stiamo usando l’Assioma di Scelta.

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2.3. SUCCESSIONI ESATTE E COMPLESSI DI MODULI 35

Corollario 2.3.2. Dati un anello A ed un modulo M su A finitamente generato, se N ⊆ M èun sottomodulo tale che M/N sia libero, allora M 'M/N ⊕N .

Dimostrazione. La successione esatta breve

0 −→ N ↪→Mπ−→M/N −→ 0

è spezzante.

Corollario 2.3.3. Sia K un campo e consideriamo una successione esatta di K−spazi vettorialifinitamente generati e di mappe K−lineari come la seguente

0 −→ V1f1−→ V2

f2−→ . . .fn−1−−−→ Vn −→ 0.

Allora:n∑i=1

(−1)i dimK(Vi) = 0.

Dimostrazione. Poniamo f0 : 0 −→ V1 e fn : Vn −→ 0. Inoltre, per ogni j = 0, 1, . . . , nindichiamo con Imj il numero naturale dimK(Im(fj)). Consideriamo ora un qualsiasi i ∈ n.

Poiché la successione iniziale 0 −→ V1f1−→ V2

f2−→ . . .fn−1−−−→ Vn −→ 0 è esatta, anche la successione

breve 0 −→ Im(fi−1) ↪→ Vifi−→ Im(fi) −→ 0 è esatta ed essendo Im(fi) libero, vale dimK(Vi) =

Imi−1 + Imi. Spezzando la successione esatta di partenza in successioni esatte brevi

0 −→ V1f1−→ Im(f1) −→ 0 −→ Im(f1) ↪→ V2

f2−→ Im(f2) −→ 0 −→ . . .

. . . −→ Im(fn−2) ↪→ Vn−1fn−1−−−→ Im(fn) ↪→ Vn −→ 0,

otteniamo che∑ni=1(−1)i dimK(Vi) =

∑ni=1(−1)i dimK(Imi−1 + Imi) = 0 − Im1 + Im1 + Im2 +

− Im2− Im3 + · · · ± Imn−1∓ Imn−1 +0 = 0.

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36 CAPITOLO 2. MODULI

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Capitolo 3

Noetherianità

3.1 Anelli e Moduli NoetherianiProposizione 3.1.1. Sia A un anello. Le seguenti proprietà sono equivalenti.

1. Ogni famiglia non vuota e arbitraria di ideali di A possiede un elemento massimale (rispettoall’ordinaria relazione di inclusione insiemistica).

2. L’insieme Σ degli ideali di A verifica la condizione della catena ascendente (A.C.C.): ognicatena ascendente numerabile di ideali di A

I1 ⊆ I2 ⊆ . . . ⊆ Ik ⊆ . . .

è stazionaria, ossia ∃k0 ∈ N∗ tale che Ik = Ik0per ogni k > k0.

3. Ogni ideale I ⊆ A è finitamente generato.

Dimostrazione.

• 1. ⇐⇒ 2. È ovvio che se vale 1. vale anche 2. come caso particolare, scegliendo perfamiglia non vuota di ideali di A una qualsiasi catena ascendente numerabile (In)n∈N ⊆ Σ.D’altra parte, se B è una famiglia non vuota di ideali di A priva di un elemento massimale,possiamo costruire una catena numerabile ascendente non stazionaria di elementi di B,usando l’assioma della scelta dipendente: se X è un insieme non vuoto (B nel nostro caso) eR è una relazione binaria su X (l’inclusione insiemistica stretta () tale che ∀a ∈ X, ∃b ∈ Xper il quale (a, b) ∈ R (proprietà questa che vale per ( su B nell’ipotesi in cui esso nonpossieda un elemento massimale), allora esiste una successione (an)n∈N di elementi di Xtale che (an, an+1) ∈ R per ogni n ∈ N.

• 2. ⇐⇒ 3. Sia I un ideale di A. Se I = {0}, non c’è nulla da mostrare. Supponiamoquindi I 6= {0} e sia 0 6= f1 ∈ I. Se I = (f1) =: I1, I è finitamente generato. Altrimenti,∃f2 ∈ I \ I1 e poniamo I2 := (f1, f2) ) I1. Nel caso non fortunato in cui I2 6= I, ∃f3 ∈I \ I2 e possiamo considerare I3 := (f3, I2) ) I2. Reiterando la procedura, ∀k ≥ 2 seIk−1 6= I, preso fk ∈ I \ Ik−1, definiamo Ik := (fk, Ik−1) con Ik−1 ( Ik; se Ik−1 = I,poniamo Ik := Ik−1. La successione (Ij)j∈N forma una catena ascendente di ideali e allora,se vale 2., essa deve prima o poi arrestarsi, cioè ∃k0 ∈ N tale che I = (f1, . . . , fk0

).Abbiamo quindi mostrato che la terza proprietà segue dalla seconda. Verifichiamo ora ilviceversa. Consideriamo una catena ascendente numerabile di ideali di A, (Ij)j∈N. Poiché

37

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38 CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ

∀i ∈ N∗ Ii ⊆ Ii+1, J :=⋃i∈N∗ Ii è un ideale di A e dunque ∃k ∈ N∗ con J = (f1, . . . , fk)

per opportuni f1, . . . , fk ∈ A. D’altra parte, per definizione di J , fj ∈ Inj per qualchenj ∈ N minimale e per ogni j ∈ k. Detto n0 := max{nj : j ∈ k}, abbiamo che tutti glifj appartengono a In0

, ossia J = (f1, . . . , fk) ⊆ In0⊆ J =⇒ In0

= J . Ne segue che∀n > n0, In0 = In, i.e. la catena (Ij)j∈N è stazionaria.

Definizione 3.1.1. Un anello A si dice noetheriano se soddisfa una delle proprietà equivalentidella proposizione precedente.

Dalla definizione segue immediatamente che tutti i campi e tutti i PID sono anelli noetheriani.Vediamo invece un esempio di anello che non lo è.

Esempio 3.1.1. Consideriamo l’insieme dei polinomi in infinite variabili su un campo K:

K[xi]i∈N :=⋃n∈N

K[x1, . . . , xn].

In pratica, f ∈ K[xi]i∈N se e solo se ∃nf ∈ N tale che f ∈ K[x1, . . . , xnf ].1 In K[xi]i∈Nabbiamo una naturale struttura di anello dove le operazioni sono ereditate da quelle definite neiK[x1, . . . , xn]: se f è un polinomio in n variabili e g è un polinomio in m, supponendo m ≥ n,f + g è il polinomio che si ottiene vedendo f come elemento di K[x1, . . . , xm] e compiendola somma in K[x1, . . . , xm]; analogamente per il prodotto fg. Osserviamo che K[xi]i∈N è undominio di integrità (lo sono i K[x1, . . . , xn]) ma non è noetheriano perché la catena ascendentedi ideali:

(x1) ( (x1, x2) ( (x1, x2, x3) ( · · · ( (x1, x2, . . . , xk) ( . . .

non è stazionaria.

Possiamo generalizzare la definizione per gli anelli a moduli qualsiasi nella maniera ovvia.

Definizione 3.1.2. Sia A un anello qualunque. Un A−modulo M si dice noetheriano se ognicatena ascendente numerabile di sottomoduli diM è stazionaria o, equivalentemente, se ogni suosottomodulo è finitamente generato.

Dalla prossima proposizione faremo discendere, come semplici corollari, alcune importantiasserzioni circa la noetherianità di moduli.

Proposizione 3.1.2. Fissato un anello A, sia 0 −→ Lα−→ M

β−→ N −→ 0 una successione esattabreve di A−moduli. Allora M è noetheriano se e solo se L e N sono noetheriani.

Dimostrazione. Supponiamo dapprima M noetheriano. Poiché α è iniettiva, L ' Im(α) e Im(α)è un sottomodulo diM , il quale, dunque, è finitamente generato. Dal momento che i sottomodulidi Im(α) sono sottomoduli anche di M e sono in biiezione con i sottomoduli di L, otteniamo lanoetherianità di L. D’altra parte, se U ⊆ N è un sottomodulo di N , β−1(U) è un sottomodulo diM e allora ∃k ∈ N∗ ed ∃f1, . . . , fk ∈M tali per cui β−1(U) = Af1 + · · ·+Afk. Per suriettivitàdi β, β(β−1(U)) = U ossia U = Aβ(f1) + · · ·+Aβ(fk).Viceversa, se L e N sono entrambi noetheriani, sia (Mi)i∈N una catena ascendente di sottomodulidiM . Per ipotesi, la catena ascendente (β(Mi))i∈N è stazionaria, ossia ∃k0 ∈ N tale che β(Mj) =β(Mk0

), ∀j ≥ k0. Analogamente, la catena ascendente (α−1(Mi))i∈N si arresta per qualchek1 ∈ N. Otterremo la tesi se mostreremo che ∀s ≥ t := max{k0, k1}, Mt = Ms. In effetti,

1Si faccia in particolare attenzione al fatto che K[xi]i∈N non è l’insieme delle serie formali KJxK.

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3.1. ANELLI E MODULI NOETHERIANI 39

abbiamo Mt ⊆ Ms ⊆ M, β(Mt) = β(Ms) e α−1(Mt) = α−1(Ms). Sia ora γ ∈ Ms : β(γ) ∈β(Ms) =⇒ ∃c ∈ Mt tale che β(γ) = β(c) =⇒ β(γ − c) = 0 =⇒ γ − c ∈ ker(β) = α(L) eγ − c ∈Ms. Dunque, γ − c ∈ α(L) ∩Ms =⇒ γ − c ∈ α(L) ∩Mt, ossia γ ∈Mt.

Corollario 3.1.1.

(i) Se (Mi)ri=1 è una famiglia finita di A−moduli noetheriani, allora

⊕ri=1Mi è noetheriano.

(ii) Se M è un A−modulo noetheriano, allora ogni suo sottomodulo N ⊆M è noetheriano (inparticolare, è finitamente generato) e così pure ogni quoziente M/N . In particolare, se Aè noetheriano ogni suo ideale I lo è e anche ogni quoziente A/I.

(iii) Se A è noetheriano, ogni A−modulo M è noetheriano ⇐⇒ è finitamente generato.

(iv) Se A è noetheriano e M è un A−modulo finitamente generato, allora ogni suo sottomoduloN ⊆M è finitamente generato.

Dimostrazione.

(i) Se r = 2, la successione0 −→M1 ↪→M1 ⊕M2

p2−→M2 −→ 0

è esatta. Il caso r > 2 si ottiene per induzione.

(ii) La successione0 −→ N ↪→M

π−→M/N −→ 0

è esatta (M π−→M/N è l’omomorfismo quoziente).

(iii) Se M è finitamente generato, allora ∃r ∈ N tale che Ar α−→ M −→ 0 sia esatta (per unopportuna suriezione α), cosicché M ' Ar/N per qualche sottomodulo N ⊆ Ar. Ora, Arè un modulo noetheriano per (i) e allora M è noetheriano per (ii). L’implicazione oppostaè ovvia.

(iv) Se A è noetheriano e M è finitamente generato su A, allora M è noetheriano per il terzopunto. Ma allora anche N è noetheriano e quindi è, in particolare, finitamente generatocome A−modulo.

Il risultato seguente permette di tradurre il concetto di modulo finitamente generato su unanello noetheriano nel linguaggio delle successioni esatte.

Proposizione 3.1.3. Sia A un anello noetheriano.

(i) Se M è un A-modulo finitamente generato, allora esiste una successione esatta

Aqα−→ Ap

β−→M −→ 0

per p, q ∈ N opportuni.

(ii) Viceversa, dato un omomorfismo di A-moduli Aq α−→ Ap (o, equivalentemente, assegnatauna matrice p× q a coefficienti in A), esistono un modulo M finitamente generato su A eduna mappa A-lineare Ap β−→M tali che la successione Aq α−→ Ap

β−→M −→ 0 sia esatta.

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40 CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ

Dimostrazione. (i) Siano b1, . . . , bp ∈ M dei generatori di M (possiamo, volendo, sceglierep ∈ N come il minimo numero di elementi di M necessari a generare M come A−modulo).Allora abbiamo una successione esatta

0 −→ ker(β) ↪→ Apβ−→M −→ 0

dove β è tale che ∀x =∑pi=1 λiei, β(x) :=

∑pi=1 λibi con λi ∈ A e (e1, . . . , ep) base

canonica di Ap. Poiché A è noetheriano, anche Ap lo è come A−modulo (punto (i) delcorollario precedente). In particolare, ker(β) è finitamente generato, ossia ∃q ∈ N ed esisteuna suriezione g : Aq −→ ker(β). Posto α := i ◦ g, con i : ker(β) ↪→ Ap l’inclusione, lasuccessione Aq α−→ Ap

β−→M −→ 0 è esatta.

(ii) La successione Aq α−→ Apπ−→ Ap/ Im(α) −→ 0 è esatta e Ap/ Im(α) è finitamente generato.

3.2 Teorema della Base di HilbertTeorema 3.2.1. Un anello A è noetheriano se e soltanto se A[x] (anello dei polinomi a coeffi-cienti in A) è noetheriano.

Dimostrazione. Eliminiamo il caso banale in cui A = {0} = A[x] e supponiamo quindi A 6= {0}.Che la noetherianità di A[x] sia sufficiente segue subito dal corollario 3.1.1 perché A ' A[x]/(x)(dove (x) è l’ideale generato da x).Mostriamo quindi che se A è noetheriano lo è pure A[x].

Prima Dimostrazione (la trovate su Wikipedia): Sia I ideale di A[x]; se per assurdo I nonfosse finitamente generato, ci sarebbe una successione di polinomi pn(x) ∈ A[x], n ≥ 0, conpn(x) /∈ (p0(x), . . . , pn−1(x)) per ogni n > 0 e con deg(pn(x)) il minimo dei gradi di tutti glielementi di I \ (p1(x), . . . , pn−1(x)). Sia Jn ⊆ A, n ≥ 0, l’ideale generato dai coefficienti direttoridi tutti i polinomi pi(x), 0 ≤ i ≤ n and J = ∪nJn (J è l’ideale generato da tutti i coefficientidirettori dei polinomi pi(x), i ≥ 0. Poichè A è noetheriano, esiste un intero N con JN = J .Sia cnxrn il leading term di pn(x). pN (x). Per costruzione la successione dei gradi rn è non-decrescente. Poichè cN+1 ∈ J = JN ci sono ai ∈ A, 0 ≤ i ≤ N , con cN+1 =

∑Ni=0 aici Sia q(x) =

pN+1(x) −∑Ni=0 aix

rn+1−ripi(x). Ovviamente q(x) ∈ I. Poichè pN+1(x)) /∈ (p0, . . . , pN ), si haq /∈ (p0, . . . , pN ). Poichè la successione dei gradi rn è non-decrescente, si ha deg(q) ≤ deg(pN+1)e per vedere che vale la disequaglianza stretta (e quindi ottenere una contraddizione), basta usareche cN+1 =

∑Ni=0 aici

Seconda Dimostrazione: Sia {0} 6= I ⊆ A[x] un ideale. Per ogni i ∈ N definiamo ilsottoinsieme di A

Ji := {a ∈ A : ∃f ∈ I con deg(f) = i e f = axi +

i−1∑j=0

ajxj} ∪ {0}.

Ora Ji è un ideale per ogni i, come si vede subito. Inoltre, se a ∈ Ji e f = axi +∑i−1j=0 ajx

j ,allora af = axi+1 +

∑i−1j=0 ajx

j+1, cioè a ∈ Ji+1. Perciò, la successione (Ji)i∈N è una catenaascendente di ideali di A. Per noetherianità, ∃r ∈ N tale che ∀s ≥ r, Jr = Js ed, inoltre, tuttii Ji sono finitamente generati. Ora, per ogni i = 0, . . . , r, sia (ai1, . . . , aini) un sistema digeneratori di Ji (per qualche ni ∈ N) e per ogni j ∈ ni sia fij un polinomio in I di grado i concoefficiente direttore aij .2 Affermiamo che (fij) è un sistema di generatori di I.

2Se 0 6= f ∈ A[x] chiamiamo coefficiente direttore di f , il coefficiente adeg(f) di f .

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3.2. TEOREMA DELLA BASE DI HILBERT 41

Sia infatti 0 6= f ∈ I con deg(f) = d. Mostreremo che f appartiene all’ideale generato dagli fijper induzione (retrograda) su d. Se d > r osserviamo che i coefficienti direttori dei polinomi

xd−rfr1, . . . , xd−rfrnr

generano Jd perché generano Jr = Jd. Dunque, se a è il coefficiente direttore di f , cioè a ∈ Jd,esistono c1, . . . , cnr ∈ A tali che a = c1ar1 + · · ·+ cnrarnr , ossia il polinomio:

f − c1xd−rfr1 − · · · − cnrxd−rfrnr

ha grado strettamente minore di d e appartiene ancora ad I, perché I è un ideale. Se d ≤ r,possiamo trovare c1, . . . , cnd ∈ A (con ragionamento analogo a quello appena visto) tali chef − c1fd1 − · · · − cndfdnd sia un polinomio in I di grado strettamente minore di d. Osserviamoche il polinomio sottratto a f (sia nel caso d > r che in quello d ≤ r) appartiene all’ideale generatodagli fij , per definizione di tale ideale. Per induzione, possiamo sottrarre a f un polinomio gnell’ideale generato dagli fij in modo che f − g = 0, il che mostra quanto voluto.

Corollario 3.2.1. Se A è un anello noetheriano, allora A[x1, . . . , xn] è noetheriano.

Dimostrazione. Si compie per induzione su n ∈ N∗, notando che, se n ≥ 2, A[x1, . . . , xn] =A[x1, . . . , xn−1][xn].

Esempio 3.2.1. Nel seguente esempio mostriamo che anche in anelli noetheriani molto sempliciA di solito non esiste un limite superiore per il numero di generatori di un ideale di A. Troveretei concetti corrispondenti utili in algebra computazionale e geometria algebrica (rispettivamenteideale iniziale e polinomi omogenei, ideali omogenei). Sia K un campo e sia A := K[x, y].Fissiamo un intero d > 0. Sia Id = (xd, xd−1y, . . . , yd) e Vd := Id/Id+1. Vd è un K-spaziovettoriale di dimensione d+ 1 ed è il K-spazio vettoriale di tutti i polinomi omogenei di grado d.Per costruzione Id ha un sistema di generatori formato da d + 1 elementi. Dimostriamo che seg1, . . . , gs genera Id, allora s ≥ d+1. Scriviamo gi = hi+mi con hi polinomio omogeneo di gradod e mi ∈ K[x, y] contenente solo monomi di grado > d. Dal momento che g1, . . . , gs generano Id,generano il modolo quoziente. Vd e quindi h1, . . . , hs generano Vd. Ma in Vd la moltiplicazioneper x e per y sono le mappe nulle e quindi h1, . . . , hs generano Vd come A-modulo se e solo selo generano come K-spazio vettoriale. Poiché h1, . . . , hs generano Vd ha dimensione d+ 1 comeK-spazio vettoriale, si ottiene s ≥ d+ 1.

Introduciamo ora qualche concetto che utilizzeremo diffusamente più avanti.

Definizione 3.2.1. Sia A un anello. Una A-algebra (di anelli) è una coppia ordinata (B, ϕ)dove B è un anello e ϕ : A −→ B è un omomorfismo di anelli. Se ϕ è iniettiva, (B, ϕ) è dettaestensione di anelli di A. (In questo caso, a meno di isomorfismi, possiamo pensare A ⊆ B).

Definizione 3.2.2. Se (B, ϕ) e (C, ψ) sono A−algebre, un omomorfismo di A-algebre è unomomorfismo di anelli % : B −→ C tale che commuti il diagramma seguente:

A Bϕ //A

C

ψ

��

B

C

%

��

i.e. % ◦ ϕ = ψ. Nel caso in cui % sia una biiezione diremo che è un isomorfismo di A-algebre eche (B, ϕ) e (C, ψ) sono isomorfe, (B, ϕ) ' (C, ψ).

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42 CAPITOLO 3. NOETHERIANITÀ

Se A è un anello e (B, ϕ) una A−algebra, possiamo dotare B di una naturale struttura dimodulo su A, ponendo

∀λ ∈ A, ∀m ∈ B, λm := ϕ(λ)m.

In effetti, ciò è equivalente a dire che vediamo B come un ϕ(A)−modulo, con il prodotto peruno scalare dato dal prodotto interno in B.

Definizione 3.2.3. Sia (B, ψ) una A−algebra. Un sottoanello C ⊆ B è una sottoalgebra di Bse è un sottomodulo di B come A−modulo.

Osservazione 3.2.1. Ricordando che, per definizione, un sottoanello deve contenere l’unità, se(B, ϕ) è una A−algebra, R ⊆ B è una A−sottoalgebra se e solo se è un sottoanello di B taleche ϕ(A) ⊆ R.

Definizione 3.2.4. Una A−algebra (B, ϕ) si dice finita se è finita come A−modulo. Si dice inve-ce finitamente generata (come A-algebra) se ∃k ∈ N∗ ed ∃b1, . . . , bk ∈ A tali che l’omomorfismodi A1−moduli

f : A[x1, . . . , xk] −→ B, ∀i ∈ k f(xi) := bi e ∀a ∈ A f(a) := ϕ(a)

sia suriettivo (A[x1, . . . , xk] è l’A−modulo dei polinomi in k variabili a coefficienti in A). In talcaso, scriviamo B = A[b1, . . . , bk].3

Grazie al teorema di Hilbert, abbiamo la seguente

Proposizione 3.2.1. Sia A un anello noetheriano e sia (B, ϕ) una A−algebra. Allora

1. Se B è finita, allora B è un A-modulo noetheriano.

2. Se B è finitamente generata, allora B è un anello noetheriano.

Dimostrazione.

1. B è noetheriano come A−modulo per l’ultimo punto del corollario 3.1.1. Ma B è un anelloe i suoi ideali sono sottomoduli di B come ϕ(A)−modulo e perciò sono finitamente generati.Pertanto B è un anello noetheriano.

2. B è un anello noetheriano per il teorema della base di Hilbert.

3Si badi bene che A[b1, . . . , bk] non è l’A−modulo dei polinomi in k variabili a coefficienti in A perché nonchiediamo, in generale, che f sia un isomorfismo.

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Capitolo 4

Anelli di Frazioni e Localizzazione

4.1 Definizione e proprietà universaleSia A un anello e sia S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo (cfr. 1.8). Vogliamo costruire

una A−algebra (T, ψ) in cui tutti gli elementi di ψ(S) siano invertibili e che sia la più piccolaA−algebra (in un senso che preciseremo) con questa proprietà. Vediamo come fare.

Consideriamo l’insieme A× S e su di esso definiamo una relazione binaria ∼ ponendo:

∀(a, s), (b, t) ∈ A× S (a, s) ∼ (b, t)def⇐⇒ ∃u ∈ S tale che u(at− bs) = 0.

Si tratta di una relazione di equivalenza su A× S. Infatti:

• è riflessiva. ∀(a, s) ∈ A× S, 1(as− as) = 0;

• è simmetrica. Siano (a, s), (b, t) ∈ A × S tali che (a, s) ∼ (b, t) e sia u ∈ S conu(at− bs) = 0. Allora 0 = −u(at− bs) = u(bs− at) =⇒ (b, t) ∼ (a, s);

• è transitiva. Siano (r, d), (s, e), (t, f) ∈ A× S tali che (r, d) ∼ (s, e) e (s, e) ∼ (t, f).Allora ∃x, y ∈ S tali che x(er − ds) = 0 = y(fs − et) =⇒ xfy(er − ds) = 0 = ydx(fs −et) =⇒ 0 = xfy(er−ds)+ydx(fs−et) = xfyer−xfyds+ydxfs−ydxet = exy(fr−dt) = 0con exy ∈ S perché S è moltiplicativo. Quindi (r, d) ∼ (t, f).

Possiamo dunque considerare l’insieme quoziente A × S/ ∼ =: S−1(A). Se denotiamo con as

la classe di ∼ equivalenza di (a, s), possiamo definire su S−1A due operazioni di somma e diprodotto come segue: ∀(a, s), (b, t) ∈ S−1A,

a

s+b

t:=

at+ bs

ste

(as

)(bt

):=

ab

st. (4.1)

Verifichiamo che queste operazioni sono ben definite. Siano a1

s1, as ,

b1s1, bs ∈ S

−1A tali che a1

s1= a

s

e b1t1

= bt . Sappiamo che ∃s2, s3 ∈ S tali che:

s2(a1s− as1) = 0 e s3(b1t− bt1) = 0. (4.2)

Moltiplicando la prima relazione per s3tt1 e la seconda per s2ss1 ricaviamo quindi che 0 =s2s3(tt1(a1s− as1) + ss1(b1t− bt1)) = s2s3(st(a1t1 + b1s1)− s1t1(at+ bs)) = 0. Poiché s2s3 ∈ S,

43

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44 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

abbiamo appena scritto che a1t1+b1s1s1t1

= at+bsst , come voluto per mostrare che la somma in S−1A è

ben definita. Allo stesso modo, moltiplicando in (4.2) la prima uguaglianza per s3tb1, la secondaper s2s1a e sommando, ricaviamo 0 = s3tb1s2a1s − s3tb1s2as1 + s2s1as3b1t − s2s1as3bt1 =s2s3(sta1b1 − s1t1ab). Concludiamo che ab

st = a1b1s1t1

, ossia anche il prodotto è ben definito.Osserviamo a questo punto che, date due classi as ,

bt ∈ S

−1A, le operazioni tra di esse si riversanoin operazioni compiute sui rappresentanti (a, s) e (b, t) delle classi stesse ed è dunque immediatoconstatare che la somma e il prodotto su S−1A appena definiti lo dotano di una struttura d’anello.Possiamo dunque dare la seguente

Definizione 4.1.1.(S−1A, +, 0S−1A =

0

1, · · · , 1S−1A =

1

1

)è detto anello delle frazioni di

A rispetto a S (oppure su S ).

Notiamo che in S−1A vale, come ci si aspetta, che

∀ as∈ S−1A, ∀t ∈ S, a

s=at

st

e questo semplicemente perché 0 = ast− sat = t(as− as).Consideriamo ora la mappa

ϕ : A −→ S−1A, aϕ7−→ a

1

(A volte, se necessario, scriveremo ϕS ad indicare la dipendenza dal sottoinsieme moltiplicativoS, anziché semplicemente ϕ). Evidentemente, ϕ è un omomorfismo di anelli (a + b 7→ a+b

1 =a1 + b

1 , ab 7→ab1 = (a1 )( b1 ) e 1A 7→ 1

1 = 1S−1A). Inoltre, ogni elemento di ϕ(S) è invertibile perchéper ogni s ∈ S, ( s1 )( 1

s ) = 11 , cioè

(s1

)−1= 1

s . Osserviamo inoltre che ∀a ∈ A, ϕ(a) = a1 = 0

1 ⇐⇒∃s ∈ S con as = 0, ossia

ker(ϕ) = {a ∈ A : ∃s ∈ S per cui as = 0}.

In particolare, dunque, ϕ è iniettiva se e soltanto se S non contiene divisori dello zero in A.Infine, notiamo che ∀ a

s ∈ S−1A, a

s = a1s1 = (a1 )( 1

s ) = ϕ(a)ϕ(s)−1.

Abbiamo perciò dimostrato il seguente

Teorema 4.1.1. Sia A un anello e sia S un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora esiste unaA−algebra di anelli (T, ψ) tale che:

(i) ogni elemento di ψ(S) è invertibile (in T );

(ii) ker(ψ) = {a ∈ A : ∃s ∈ S per cui as = 0} e ogni elemento di T si scrive come ψ(a)ψ−1(s)per qualche a ∈ A, s ∈ S.

Osservazione 4.1.1. Notiamo che

S−1A = {0} ⇐⇒ 0 ∈ S ⇐⇒ S contiene un elemento nilpotente.

Infatti, S−1A = {0} ⇐⇒ 11 = 0

1 ⇐⇒ ∃x ∈ S con x(11 − 01) = x1 = 0 ⇐⇒ 0 ∈ S ⇐⇒ Scontiene un elemento nilpotente.

Osservazione 4.1.2. Abbiamo compiuto la costruzione dell’anello delle frazioni partendo daun insieme moltiplicativo. Ciò non è particolarmente restrittivo. Supponiamo infatti di avereun anello A e un sottoinsieme Σ ⊆ A qualunque. Vorremmo costruire una A−algebra (T, ψ) in

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4.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ UNIVERSALE 45

cui ogni elemento di ψ(Σ) sia invertibile. Per ottenere ciò possiamo considerare semplicemente(S−1A, ϕ), dove S è il sottoinsieme moltiplicativo minimale di A e contenente Σ. Un tale S èevidentemente dato da

S := {1} ∪ Σ ∪ {k∏i=1

si : k ∈ N, si ∈ Σ ∀i ∈ k}.

Definizione 4.1.2. Sia A un dominio e sia S := A \ {0}. Frac(A) := S−1A è detto campo dellefrazioni di A.

Osserviamo che se A è un dominio Frac(A) è davvero un campo perché è non nullo essendoA un dominio e ∀ 0 6= a

s ∈ S−1A, poiché a

1 e 1s sono invertibili (a ∈ S),

(as

)−1=(a1 ·

1s

)−1= s

a .Inoltre, ∀ a

s ,bt ∈ Frac(A), a

s = bt ⇐⇒ ∃x ∈ A \ {0} con x(at− bs) = 0 ⇐⇒ at− bs = 0 perché

A è un dominio.

Esempio 4.1.1.

1. Se A = Z, allora Q def= Frac(Z). Questo stesso esempio ci dice che, se A è un anello

qualunque e S un suo sottoinsieme moltiplicativo, (S−1A, ϕ) non è, in generale, né finitané finitamente generata (come A−algebra) su A.

2. Sia A := K[x, y]/(xy) con K campo e sia S := {[x]n : n ∈ N}. Allora S−1A =K[[x], [x]−1] ' K[x, x−1]. Infatti osserviamo che

A =

n∑i=0

aixi +

k∑j=0

bjyj

: n, k ∈ N, ai, bj ∈ K

.

Un generico elemento α ∈ S−1A sarà dunque nella forma (m ∈ N):

α =[∑ni=0 aix

i +∑kj=0 bjy

j ]

[x]m=

[∑ni=0 aix

i]

[x]m+

[∑kj=0 bjy

j ]

[x]m.

Analizziamo separatamente i due addendi:

[∑ni=0 aix

i]

[x]m=

n∑i=0

ai[x]i

[x]m=∑i≤m

ai[x]m−i

+∑i>m

ai[x]i−m ∈ K[[x], [x]−1];

[∑kj=0 bjy

j ]

[x]m=

k∑j=0

bj[y]i

[x]m=

k∑j=0

bj[y]i[x]i

[x]m+i=

k∑j=0

bj[xy]i

[x]m= 0,

dove abbiamo usato ripetutamente le definizioni e le proprietà di somma e prodotto in Ae in S−1A, assieme al fatto che [xy] = 0 in A.Dunque S−1A ⊆ K[[x], [x]−1] e l’inclusione opposta è evidente.

La prossima proposizione fornisce una forte caratterizzazione di (S−1A, ϕ) e ci permette dicapire in che senso essa sia la più piccola A−algebra per cui valga (i) del teorema precedente.

Proposizione 4.1.1. (S−1A, ϕ) soddisfa la seguente proprietà di universalità: per ogni A−algebra(B, ψ) tale che ogni elemento di ψ(S) sia invertibile, esiste un unico omomorfismo di anelli

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46 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

% : S−1A −→ B con % ◦ ϕ = ψ, ossia tale che commuti il diagramma:

S−1A B∃!%

//

A

S−1A

ϕ

��

A

B

ψ

��

Di più (S−1A,ψ) è, a meno di isomorfismi, l’unica A−algebra con questa peculiarità, ossia se(C, η) è una A−algebra che verifica la proprietà universale precedente, allora esiste un unicoisomorfismo di A−algebre j : S−1A −→ C:

S−1A C∃! '

//

A

S−1A

ϕ

��

A

C

η

��

Dimostrazione. Cominciamo col mostrare la prima parte. Definiamo

% : S−1A −→ B, %(as

):= ψ(a)ψ(s)−1.

Si tratta di una mappa ben definita perché

a

s=b

t∈ S−1A =⇒ ∃x ∈ S con x(at− bs) = 0 =⇒ ψ(x)(ψ(at)− ψ(bs)) = 0;

essendo ψ(x) ∈ B invertibile per ipotesi, ricaviamo allora che ψ(a)ψ(t) = ψ(b)ψ(s), da cui,moltiplicando ambo i membri per ψ(s)−1ψ(t)−1, ψ(a)ψ(s)−1 = ψ(b)ψ(t)−1. Per come è definitoè chiaro che % è un omomorfismo di anelli e che ∀a ∈ A, (%◦ϕ)(a) = ψ(a). D’altra parte, se ancheh : S−1A −→ B soddisfa h ◦ ϕ = ψ, allora certamente per ogni a ∈ A, h(a/1) = ψ(a) = %(a) equindi ∀s ∈ S, h(1/s) = h(s/1)−1 = ψ(s)−1. Ne segue che

∀ as∈ S−1A, h

(as

)= h

(a1

)h

(1

s

)= ψ(a)ψ(s)−1 = %

(as

).

Verifichiamo ora l’essenziale unicità di (S−1A, ϕ). Se (C, η) è come nell’enunciato, ∃! j : S−1A −→C tale che j ◦ϕ = η, per universalità di (S−1A, ϕ). Analogamente, per universalità di (C, η), ∃!k : C −→ S−1A con k ◦ η = ϕ. Ma allora idC ◦ η = η = j ◦ ϕ = j ◦ (k ◦ η) = (j ◦ k) ◦ η,da cui j ◦ k = idC , per la proprietà universale di (C, η). Allo stesso modo si ottiene chek ◦ j = idS−1A.

Corollario 4.1.1. Se (B, ψ) è una qualunque A−algebra tale che ψ(S) ⊆ B× e ψ è iniettiva,B contiene (una copia isomorfa di) S−1A. In particolare

S−1A '⋂F

dove

F := {ψ(A) ⊆ C ⊆ B : C è una sottoalgebra di B in cui ogni elemento di ψ(S) è invertibile }

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4.1. DEFINIZIONE E PROPRIETÀ UNIVERSALE 47

Dimostrazione. ∃! ξ : S−1A −→ B omomorfismo di anelli tale che ξ ◦ϕ = ψ. Poiché ψ è iniettiva,anche ξ lo è e allora S−1A ' Im(ξ).

Se A è un anello qualunque e h ∈ A un elemento non nilpotente, posto S = {hn : n ∈ N},denotiamo con Ah l’anello delle frazioni S−1A.

Grazie alla proprietà di universalità di (S−1A, ϕ), possiamo agilmente mostrare la seguente

Proposizione 4.1.2. Sia A un anello e sia h ∈ A un elemento non nilpotente. Allora la mappa

A[x] 3n∑i=1

aixi 7−→

n∑i=1

aihi∈ Ah

induce un isomorfismo di anelliA[x]

(1− hx)' Ah.

Dimostrazione. Nell’anello A := A[x]/(1−hx), 1 = hx (dove ovviamente intendiamo [1] = [h][x]),ossia h è invertibile. Sia ora (B, α) una A−algebra tale che α(h) sia un elemento invertibile inB. L’omomorfismo di anelli

β : A[x] −→ B,

n∑i=1

aixi β7−→

n∑i=1

α(ai)α(h)−1

passa al quoziente (di A[x]) rispetto a (1−hx) perché β(1−hx) = 1−α(h)α(h)−1 = 0. Pertantola mappa

βα : A −→ B,

[n∑i=1

aixi

]βα7−→ β

(n∑i=1

aixi

)è ben definita ed è l’unico omomorfismo di anelli A −→ B tale che βα ◦ π = α, dove π : A −→ Aè data da π(a) := [a]. Abbiamo mostrato che la A−algebra (A, π) possiede la stessa proprietàuniversale di (Ah, ϕ) e allora A ' Ah attraverso un unico isomorfismo di A-algebre che manda[x] in h−1.

Osservazione 4.1.3. Se A è un anello e S, S ⊆ A sono sottoinsiemi moltiplicativi, può accadereche S ( S sebbene S−1A = S−1A.Un’evidenza di ciò si ha considerando un campo K e prendendo S := {1} e S := K∗.Un altro esempio più interessante si ottiene se A = Z, S := {10k : k ∈ N} e S è il più piccoloinsieme moltiplicativo contenente {2k : k ∈ N}∪{5k : k ∈ N}. Abbiamo che S ( S, ma tutti glielementi di S sono invertibili in S−1A. Infatti, se 2a5b ∈ S per qualche a, b ∈ N, allora l’inversodi 2a5b

1 in S−1A è 2b5a

10a+b . Perciò, S−1A = S−1A.

In merito a quanto appena notato, vale il seguente risultato generale (Atiyah-Macdonald Es.7-8 pag. 44)

Proposizione 4.1.3. Sia A un anello e sia S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora∃T ⊆ A moltiplicativo tale che:

(i) S ⊆ T e S−1A = T−1A;

(ii) T è il sottoinsieme moltiplicativo di A massimale rispetto alla proprietà (i), i.e. se T1 ⊆ Aè moltiplicativo, verifica (i) e T ⊆ T1 allora T = T1.

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48 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

Più precisamente,T = {t ∈ A : ∃a ∈ A con at ∈ S}

ed è detto (insieme) saturato di S.

Dimostrazione. È evidente che S ⊆ T . Mostriamo che T è moltiplicativamente chiuso. Poiché1 ∈ S, 1 ∈ T . D’altra parte, se t1, t2 ∈ T , siano α1, α2 ∈ A tali che α1t1, α2t2 ∈ S. Allora(α1α2)(t1t2) = (α1t1)(α2t2) ∈ S, ossia t1t2 ∈ T .Definiamo ora la mappa

j : S−1A ↪→ T−1A, S−1A 3 a

s

j7−→ a

s∈ T−1A.

Essa è ben definita (a/s = b/t in S−1A =⇒ ∃δ ∈ S : δta = δsb; ma δ ∈ S ⊆ T =⇒ δ ∈ T ) edè un omomorfismo di anelli. Oraa

s∈ ker(j) ⇐⇒ ∃t ∈ T : ta = 0 e t ∈ T =⇒ ∃b ∈ A, ∃λ ∈ S con bt = λ =⇒ λa = 0 = bta

, cioè a/s = 0 in S−1A. Dunque j è iniettiva. Verifichiamo ora che è anche suriettiva, il checi permetterà di dimostrare (i). In effetti, se b/t ∈ T−1A, poiché t ∈ T, ∃a ∈ A : at = k conk ∈ S =⇒ ab/k ∈ S−1A. Ma ab/k = b/t in T−1A perché 1 ∈ T è tale che 1(abt − bk) =abt− bat = 0. Quindi, b/t = j(ab/k).Mostriamo infine la massimalità di T . Sia T1 ⊆ A moltiplicativo e tale da soddisfare (i). Sup-poniamo per assurdo che T ( T1; allora ∃c ∈ T1 con c /∈ T . Tuttavia, poiché T−1

1 A = S−1A =T−1A, essendo c/1 invertibile in T−1

1 A lo sarà anche in T−1A. Dunque:

∃ ατ∈ T−1A :

(ατ

)( c1

)= 1 ⇐⇒ ∃β ∈ T con βαc = βτ ∈ T ⇐⇒ ∃σ ∈ A : σβαc ∈ S.

Abbiamo appena scritto che c ∈ T , una contraddizione da cui concludiamo che T = T1.

4.2 Ideali in A e in S−1A. LocalizzazioneDefinizione 4.2.1. Siano A, B anelli e sia f : A −→ B un omomorfismo di anelli. Se I ⊆ A èun ideale, chiamiamo estensione di I (in B) l’ideale

e(I) := (f(I)) =

{n∑i=1

bif(c1) : bi ∈ B, ci ∈ I

}=: Bf(I). (4.3)

Se J ⊆ B è un ideale, r(J) := f−1(J) è detto contrazione di J (in A): si tratta di un ideale di A.

Osservazione 4.2.1. ∀J ⊆ B ideale, e(r(J)) = ( f(f−1(J)) ) = ({f(α) : α ∈ f−1(J)}) ⊆(J) = J ,

Vediamo alcuni risultati su estensioni e contrazioni nel caso in cui (B, f) = (S−1A, ϕ) perqualche S ⊆ A: otterremo in questo modo anche una caratterizzazione di tutti gli ideali di S−1Ain termini di una sottofamiglia degli ideali di A.

Proposizione 4.2.1. Sia A un anello e consideriamo (S−1A, ϕ) per qualche sottoinsieme S ⊆ Amoltiplicativamente chiuso. Se I è un ideale qualunque di A e J è un ideale qualsiasi di S−1A,vale quanto segue:

1. e(I) = S−1I :=

{i

s: i ∈ I, s ∈ S

};

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4.2. IDEALI IN A E IN S−1A. LOCALIZZAZIONE 49

2. e(r(J)) = J . In particolare, ogni ideale di S−1A è estensione di qualche ideale di A (i.e dir(J)) e ideali distinti si S−1A danno luogo a contrazioni distinte in A;

3. r(e(I)) = {a ∈ A : as ∈ I per qualche s ∈ S};

4. se P ∈ Spec(A) e P ∩ S = ∅,allora e(P ) = (S−1A)ϕ(P ) è un ideale primo in S−1A.

Dimostrazione.

1. Non c’è dubbio che S−1I ⊆ e(I). Sia dunque b =∑ni=1 biϕ(ci) ∈ e(I) per opportuni

n ∈ N, bi ∈ S−1A e ci ∈ I. Se, per ogni i ∈ n, scriviamo bi = ai/si con ai ∈ A e si ∈ S,definendo di := aici ∈ I, ricaviamo che:

b =

n∑i=1

(aisi

)(ci1

)=

n∑i=1

disi

=d1s2 · · · sn + s1d2s3 · · · sn + · · ·+ s1 · · · sn−1dn∏n

i=1 si=i

s

con i ∈ I e s ∈ S perché I è un ideale e S è moltiplicativo.

2. Per l’osservazione precedente la proposizione, basta mostrare che J ⊆ e(r(J)). In effetti

∀ bs∈ J,

(b

s

)(s1

)=b

1∈ J =⇒ b ∈ ϕ−1(J) =⇒ ϕ(b) ∈ e(r(J)).

3. Se a ∈ r(e(I)), ϕ(a) = a/1 ∈ e(I) = S−1I per il punto 1. Dunque, ∃b ∈ I, ∃t ∈ S cona/1 = b/t =⇒ ∃u ∈ S : uta = ub ∈ I. Pertanto s := ut ∈ S è tale che sa ∈ I, i.e.r(e(I)) ⊆ {a ∈ A : as ∈ I per qualche s ∈ S} =: L. Viceversa, se α ∈ L allora ∃s ∈ S taleche αs = t per qualche t ∈ I =⇒ α/1 = t/s ∈ e(I) ⇐⇒ α ∈ r(e(I)).

4. Poniamo Q := e(P ). Abbiamo:

∀ au,b

t∈ S−1A,

(au

)(bt

)=ab

ut∈ Q =⇒ ∃c ∈ P, ∃s ∈ S :

ab

ut=c

s⇐⇒ ∃x ∈ S con xsab = cut ∈ P.

Poiché P ∩ S = ∅, (xsab ∈ P, xs ∈ S) =⇒ ab ∈ P =⇒ a ∈ P oppure b ∈ P perché P èprimo. Concludiamo che a/u ∈ Q o b/t ∈ Q ossia Q = e(P ) è primo.

Corollario 4.2.1. Nelle ipotesi e con le notazioni della proposizione precedente:

(i) condizione necessaria e sufficiente affinché r(e(I)) = I è che si abbia

∀s ∈ S, as ∈ I =⇒ a ∈ I; (4.4)

(ii) la contrazione r e l’estensione e sono corrispondenze biunivoche, l’una l’inversa dell’altra,tra l’insieme degli ideali di A che soddisfano (4.4) e l’insieme di tutti gli ideali di S−1A:

{Ideali di A che verificano (4.4)} {Ideali di S−1A}e //

{Ideali di A che verificano (4.4)} {Ideali di S−1A}oor

.

In particolare, se A è noetheriano, S−1A lo è;

(iii) r(e(I)) = A ⇐⇒ e(I) = S−1A ⇐⇒ I ∩ S 6= ∅;

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50 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

(iv) se P ∈ Spec(A) è tale che P ∩ S = ∅, allora P soddisfa (4.4) e r(e(P )) = P . Pertanto,r : Spec(S−1A) ↪→ Spec(A) identifica Spec(S−1A) con il sottoinsieme

{P ∈ Spec(A) : P ∩ S = ∅} ⊆ Spec(A).

Dimostrazione.

(i) Segue subito da 3. della proposizione, osservando che I ⊆ r(e(I)).

(ii) Il punto 2. della proposizione e (i) appena mostrato dicono esattamente che r e d, ristretteagli insiemi descritti nell’enunciato, sono l’una l’inversa dell’altra.

(iii) Poiché A soddisfa banalmente (4.4) r(e(A)) = A. Per iniettività di r, essendo e(A) e e(I)entrambi ideali di S−1A, abbiamo che:

r(e(I)) = A = r(e(A))⇔ e(A) = S−1A = e(I) = S−1I ⇔ 1

1∈ e(I)⇔ 1 ∈ I ⇔ I ∩ S 6= ∅.

(iv) Non c’è niente da dimostrare.

Costruiamo ora un particolare tipo di anello di frazioni. Sia A un anello e sia P ∈ Spec(A).Sappiamo che allora S := A \ P è un insieme moltiplicativamente chiuso. Possiamo pertantoconsiderare AP := (A \ P )−1A.

Proposizione 4.2.2. ∀s ∈ S, as∈ AP è invertibile ⇐⇒ a /∈ P .

Dimostrazione. Se a/s ∈ AP è tale che ∃ b/t ∈ Ap con b/t = (a/s)−1, allora ∃u ∈ A \ P tale cheu(st − ab) = 0 ⇐⇒ uab = ust /∈ P perché ust ∈ A \ P . Poiché P è un ideale, ciò significa cheanche a /∈ P .Viceversa, se a /∈ P , allora ϕ(a) = a/1 è invertibile in AP e quindi per ogni s ∈ A \ P anche a/slo è.

Corollario 4.2.2. Ap è un anello locale ed e(P ) = S−1P è il suo unico ideale massimale.

Dimostrazione. Quanto appena provato ci dice esattamente che e(P ) = AP \A×P . Ricordando laproposizione 1.5.1, si ha la tesi.

Definizione 4.2.2. L’anello locale (Ap, e(P )) è detto localizzazione di A in P.

Esempio 4.2.1.

1. Se p ∈ Z, Z(p) = {a/b ∈ Q : b /∈ (p)} = {a/b ∈ Q : p - b)}.

2. Sia K un campo e consideriamo l’anello dei polinomi in n variabili A := K[x1, . . . , xn].Sia p = (a1, . . . , an) ∈ Kn e osserviamo che f ∈ A è tale che f(p) = 0 ⇐⇒ f ∈mp := (x1 − a1, . . . , xn − an) ⊆ A. Notiamo inoltre che l’ideale mp è massimale, perché

la mappa ψ : A −→ K, f ψ7−→ f(p) è un epimorfismo (omomorfismo suriettivo) di anelli emp = ker(ψ). Perciò A/ ker(ψ) ' K ⇐⇒ mp è massimale.L’anello locale Amp è dato da:

Amp =

{p1

p2∈ Frac(A) : p2(p) 6= 0

}

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4.3. MODULI DI FRAZIONI ED ESATTEZZA DI S−1 51

ed è anche detto insieme delle funzioni razionali regolari in p. Poiché K è un campo, haancora senso valutare p1/p2 in p, cioè ben definire una funzione AmP −→ K ponendo

∀ p1

p2∈ Amp ,

(p1

p2

)(p) := (p1(p))(p2(p))−1.

Se n ≥ 2, possiamo considerare l’ideale r := (x2, . . . , xn) di A, generato dalla retta in Knpassante per l’origine di equazioni x2 = x3 = . . . = xn = 0. Tale ideale è formato da tutti esoli i polinomi di A che si annullano su tale retta ed è primo. In questo caso Ar è l’insiemeformato da tutti i p1/ps ∈ Frac(A) regolari su r, ossia tali che p2(q) 6= 0 per ogni punto qsulla retta x2 = x3 = . . . = xn = 0.

4.3 Moduli di Frazioni ed Esattezza di S−1

Vogliamo generalizzare la costruzione vista degli anelli di frazioni ai moduli. Prima di fareciò diamo la seguente

Proposizione 4.3.1. Siano A un anello e S ⊆ A un suo sottoinsieme moltiplicativo. Allora adogni S−1A−modulo possiamo associare un A modulo N tale che le mappe di moltiplicazione pergli elementi s ∈ S (µs : N −→ N, n 7→ sn) siano biiettive. Viceversa, da ogni A−modulo conquesta proprietà possiamo ottenere un S−1A−modulo.

Dimostrazione. Se M è un S−1A−modulo, si può considerare come un A−modulo definendo,∀a ∈ A e ∀m ∈ M , am := (a/1)m. È palese che in questo caso le mappe di moltiplicazione pergli elementi di S sono delle biiezioni.Viceversa, se M è un A−modulo tale che µs sia biiettiva per ogni s ∈ S, possiamo dotare M diuna struttura di modulo su S−1A ponendo:

∀ as∈ S−1A, ∀m ∈M,

(as

)m := aµ−1

s (m).

Tale operazione è ben definita in quanto

∀ as,b

t∈ S−1A,

a

s=b

t=⇒ ∃u ∈ S : uat = ubs =⇒ ubµs = uaµt : M −→M =⇒ bµs = aµt

dove l’ultima implicazione segue dal fatto che, per ipotesi, la moltiplicazione per u ∈ S è, inparticolare, iniettiva.

Sia ora A un anello con S ⊆ A moltiplicativo. Se M è un A−modulo, definiamo su M ×S larelazione binaria:

∀ (m, s), (n, t) ∈M × S, (m, s) ∼ (n, t) ⇐⇒ ∃u ∈ S tale che u(mt− ns) = 0.

Nello stesso modo visto per gli anelli, si può verificare che ∼ è una relazione di equivalenza e cheè dunque possibile formare l’insieme quoziente S−1M := M × S/ ∼. Inoltre, le due operazioni

∀ ms,n

t∈ S−1M, ∀ a

u∈ S−1A,

m

s+n

t:=

mt+ ns

ste

(au

)(ms

):=

am

us

sono ben definite e rendono(S−1A, S−1M, +, ·

)un S−1A−modulo, il quale, grazie alla pro-

posizione precedente, può essere trattato anche come un A−modulo.

Definizione 4.3.1.(S−1A, S−1M, +, ·

)è detto modulo delle frazioni di M rispetto a S.

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52 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

Se ϕ := ϕM : M −→ S−1M è la mappa m 7→ m/1, la coppia (S−1M, ϕ) possiede la seguenteproprietà universale: per ogni coppia (N, ψ) conN modulo su S−1A e ψ : M −→ N omomorfismoqualunque di S−1A−moduli, esiste un unica mappa S−1A−lineare, % : S−1M → N , tale checommuti il diagramma

S−1M N∃!%

//

M

S−1M

ϕ

��

M

N

ψ

��.

La dimostrazione di questo fatto è analoga a quella vista nel caso degli anelli: basta porre%(m/s) := (ψ(m))(1/s) e osservare che questa è una buona definizione in quanto, se m/s = n/tin S−1M ,

∃x ∈ S : x(mt− ns) = 0 =⇒ 0 =m

sx− n

tx=

1

x

(ms− n

t

).

Sia ora f : M −→ N un omomorfismo di A−moduli. Allora, fissato S ⊆ A moltiplicativo, essoinduce un omomorfismo di S−1A−moduli dato da

S−1f : S−1M −→ S−1N, ∀ ms∈ S−1M, S−1f

(ms

):=

f(m)

s.

Quindi S−1f è l’unico omomorfismo di S−1A−moduli che rende commutativo il diagramma

S−1M S−1NS−1f

//

M

S−1M

ϕM

��

M Nf // N

S−1N

ϕN

��

È inoltre evidente che S−1(idM ) = idS−1M e che, se g : L −→ M è un (altro) omomorfismo diA−moduli, S−1(f ◦ g) = S−1f ◦ S−1g.C’è un’altra importante proprietà di S−1, come ci indica la prossima

Proposizione 4.3.2. SeL

α−→Mβ−→ N

è una successione esatta di A−moduli e di mappe A−lineari, allora

S−1LS−1α−−−→ S−1M

S−1β−−−→ S−1N

è una successione esatta di S−1A−moduli e di mappe S−1A−lineari.

Dimostrazione. Comunque preso m/s ∈ S−1M ,

S−1β(ms

)=β(m)

s= 0 ⇐⇒ ∃u ∈ S : uβ(m) = β(um) = 0

(†)⇐⇒ ∃u ∈ S, ∃l ∈ L : um = α(l) ⇐⇒

⇐⇒ ∃u ∈ S, ∃l ∈ L :m

s=α(l)

us= S−1α

(l

us

)⇐⇒ ker(S−1β) = Im(S−1α),

dove l’equivalenza in (†) è dovuta all’esattezza di L α−→Mβ−→ N .

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4.3. MODULI DI FRAZIONI ED ESATTEZZA DI S−1 53

Da quanto appena visto, segue in particolare che se L è un sottomodulo di M , applicando la

proposizione alla sequenza esatta 0 −→ Li↪→M , la mappa S−1L

S−1i↪→ S−1M è iniettiva e pertanto

S−1L può essere considerato come un sottomodulo di S−1M . Inoltre

Corollario 4.3.1. Se N, P sono sottomoduli di un A−modulo M allora:

(i) S−1(N + P ) = S−1(N) + S−1(P );

(ii) S−1(N ∩ P ) = S−1(N) ∩ S−1(P );

(iii) S−1(M/N) ' (S−1M)/(S−1N).

Dimostrazione.

(i) Basta osservare che ∀n ∈ N, ∀p ∈ P, ∀s ∈ S, (n+ p)/s = (n/s) + (p/s).

(ii) L’inclusione S−1(N ∩ P ) ⊆ S−1(N) ∩ S−1(P ) è ovvia. Se n/s ∈ S−1N e p/t ∈ S−1P sonotali che n/s = p/t allora ∃u ∈ S tale che w := utn = usp ∈ N ∩ P ossia n/s = w/stu ∈S−1(N ∩ P ).

(iii) È sufficiente applicare S−1 alla successione esatta 0 −→ Ni↪→M

π−→M/N −→ 0.

Osservazione 4.3.1. Sia M un A−modulo libero e sia (e1, . . . , en) una sua base. Allora

possiamo scrivere M =

n⊕i=1

Aei e chiaramente Aei ∩Aej = {0} per i 6= j. Pertanto, da (i) e (ii)

del corollario precedente segue che

S−1M = S−1

(n⊕i=1

Aei

)=

n⊕i=1

S−1(Aei).

In particolare quindi S−1M è libero su S−1A e una sua base è data da(e1

1, . . . ,

en1

).

Se M è soltanto finitamente generato su A e (m1, . . . , mn) è un sistema di generatori, alloraanche S−1M è finitamente generato come S−1A-modulo ed un suo sistema di generatori è datoda(m1

1, . . . ,

mn

1

).

Esempio 4.3.1.

1. Consideriamo la successione esatta breve di Z−moduli:

0 −→ Z n 7→2n−−−−→ Z π−→ Z/2Z −→ 0.

Ponendo S := Z∗ osserviamo che S−1(Z/2Z) ' S−1Z/S−12Z = Q/2Q = Q/Q = {0}.Dunque, otteniamo la successione esatta breve di Q moduli:

0 −→ Q q 7→2q−−−→ Q −→ 0 −→ 0.

2. Sia A un dominio e supponiamo di avere una successione esatta breve di A−moduli:

0 −→ Aqα−→ Ap

β−→M −→ 0.

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54 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

Pertanto M è finitamente generato su A. Se poniamo S := A \ {0}, grazie all’osservazioneprecedente, abbiamo S−1Aq = Kq e S−1Ap = Kp con K := Frac(A) campo. Otteniamoperciò la successione esatta breve:

0 −→ Kq S−1α−−−→ Kp S−1β−−−→ S−1M −→ 0.

Ora, S−1M è finitamente generato come K−spazio vettoriale (perché M è finitamentegenerato su A) e quindi è libero su K. Ne segue che la successione è spezzante e che q ≤ p,ossia:

dimK(Kp) = dimK(Kq) + dimK(S−1M) ⇐⇒ dimK(S−1M) = p− q.

3. Usiamo quanto appena visto nell’esempio precedente per studiare una situazione leggermen-te differente da quella ivi presentata: siano A un dominio, M un A−modulo e supponiamodi disporre di una successione esatta (q ≤ p)

Aqα−→ Ap

β−→M −→ 0.

Abbiamo già notato che ciò è sempre possibile se A è in aggiunta noetheriano (si vedaproposizione 3.1.3). Se S := A \ {0}, otteniamo quindi la successione esatta

Kq S−1α−−−→ Kp S−1β−−−→ S−1M −→ 0.

Abbiamo che Im(S−1α) ' Kq/ ker(S−1α) e Im(S−1α) è finitamente generata su K perchésottospazio vettoriale di Kp. Possiamo perciò considerare la composizione i ◦ S−1α, doveS−1α : Kq/ ker(S−1α) −→ Im(S−1α) è l’omomorfismo indotto da S−1α e i : Im(S−1α) ↪→Kp, ed ottenere la successione esatta breve:

0 −→ Kq/ ker(S−1α)i◦S−1α−−−−−→ Kp S−1β−−−→ S−1M −→ 0.

Grazie a quanto visto in precedenza, ponendo % := rk(S−1α) = dimK(Im(S−1α))) =dimK(Kq/ ker(S−1α)), ricaviamo che:

dimK(S−1M) = p− %.

4.4 Fattorialità di A[x]. Irriducibilità in A[x] e in Frac(A)[x].In tutta questa sezione, A indicherà un dominio.

Vogliamo usare il concetto di campo delle frazioni per ottenere dei risultati che leghino la fatto-rialità di A[x] a quella di A e l’irriducibilità dei polinomi in A[x] a quella in K[x].

Prima di procedere, compiamo una necessaria digressione nell’algebra elementare.

Definizione 4.4.1. Sia a ∈ A \ {0} un elemento non invertibile:

• a è irriducibile in A se a = bc per qualche b, c ∈ A =⇒ b ∈ A× o c ∈ A×;

• a è primo in A se ∀b, c ∈ A, a | bc =⇒ a | b oppure a | c.

Evidentemente p ∈ A \ {0} è primo ⇐⇒ (p) è un ideale primo non nullo.Possiamo definire su A una relazione di equivalenza ∼ ponendo:

∀a, b ∈ A, a ∼ b ⇐⇒ ∃ε ∈ A× : a = εb.

Se a ∼ b si dice che a è associato a b.

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4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X]. 55

Osservazione 4.4.1. Si hanno le seguenti immediate proprietà:

• ∀a, b ∈ A, a ∼ b ⇐⇒ a | b e b | a;

• ∀a ∈ A \ {0}, a ∼ 1 ⇐⇒ a ∈ A×;

• ∀x, y, z, w ∈ A, se x ∼ z e y ∼ w allora (x | y ⇐⇒ z | w);

• ∀a, b ∈ A \ {0} con a ∼ b, a è irriducibile (primo) se e solo se b lo è.

Osservazione 4.4.2. Se p ∈ A è primo, allora è anche irriducibile. Infatti, sia p = ab cona, b ∈ A. Poiché p è primo, o p | a, nel qual caso p ∼ a e b è invertibile, oppure p | b, da cuisegue che a è invertibile.

Consideriamo ora le tre proprietà seguenti:

(A1) ∀a ∈ A \ {0} non invertibile, ∃n ∈ N∗ ed ∃t1, . . . , tn ∈ A irriducibili con a = t1t2 · · · tn.

(A2) Comunque presi s, r ∈ N∗ e t1, . . . , ts, a1, . . . , an ∈ A irriducibili, se t1 · · · ts = a1 · · · an,allora r = s, esiste una permutazione σ : n −→ n ed esistono ε1, . . . , εr ∈ A× tali cheai = εitσ(i) per ogni i ∈ r. (A volte per esprimere questa proprietà si dice che unascomposizione in irriducibili di un elemento non nullo e non invertibile di A, se esiste, èessenzialmente unica.) Ovviamente si deve avere

∏ri=1 εi = 1.

(A3) Ogni irriducibile in A è primo.

Osservazione 4.4.3. (A3) =⇒ (A2). Infatti, assumiamo che in A ciascun irriducibile sia primoe siano s, r ∈ N∗ e t1, . . . , ts, a1, . . . , an ∈ A irriducibili con t1 · · · ts = a1 · · · an. SupponiamoWLOG r ≤ s e procediamo per induzione su r. Se r = 1 non c’è niente da dire. Se r ≥ 2 e latesi è valida per r − 1, poiché a1 primo e a1(a2 · · · as) = t1 · · · tr, abbiamo che ∃j ∈ r ed ∃a ∈ Acon tj = aa1. Ne segue che a ∈ A× perché tj è irriducibile e

a1(a2 · · · as) = tj(t1 · · · tj−1tj+1 · · · tr) = a−1a1(t1 · · · tj−1tj+1 · · · tr) =⇒

=⇒ a2 · · · as = a−1(t1 · · · tj−1tj+1 · · · tr).

I t1, . . . , tj−1, tj+1, . . . , tr sono r−1 irriducibili di A che soddisfano l’ipotesi induttiva. Pertantor−1 = s−1 ⇐⇒ r = s ed esiste una permutazione σ : {2, . . . , r} → {1, . . . , j−1, j+1, . . . , r}tale che ak = εktσ(k) con εk ∈ A× per ogni k ∈ {2, . . . , r}. Tale permutazione si può chiaramenteestendere ad una r −→ r semplicemente mandando 1 in j; inoltre a1 = a−1tj .

Proposizione 4.4.1.

1. Se in A valgono (A1) e (A2) allora A soddisfa l’A.C.C per ideali principali, i.e. per ognicatena ascendente di ideali principali di A

(a0) ⊆ (a1) ⊆ · · · ⊆ (ak) ⊆ . . .

∃n0 ∈ N tale che ∀n, m ≥ n0, (an) = (am) o, equivalentemente, an ∼ am. Inoltre, per Avale anche (A3).

2. Se invece A soddisfa l’A.C.C per ideali principali allora verifica anche (A1).

Dimostrazione.

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56 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

1. Sia ((ai))i∈N una catena ascendente di ideali principali di A e supponiamo per assurdo che(ai) ( (ai+1) per ogni i ∈ N. Osserviamo che se ∃i ∈ N per cui ai = 0 oppure ai ∈ A×, alloranecessariamente la catena è stazionaria. Si deve dunque avere che ai ∈ A\(A×∪{0}) ∀i ∈ N.Definiamo la lunghezza di ai, l(ai), come il numero di fattori irriducibili (contati con i loroesponenti) che compaiono nella scrittura di ai come prodotto di irriducibili: tale numero èunivocamente determinato da ai grazie alla proprietà (A2). Ora, (a0) ( (a1) ⇐⇒ a1 | a0

ma a0 - a1. In particolare, ∃ k ∈ A \ A× non nullo tale che a0 = a1k. Fattorizzando a0 ea1 in irriducibili otteniamo p1p2 · · · pl(a0) = (q1 · · · ql(a1))(r1 · · · rl(k)) e quindi, ancora graziead (A2), l(a0) = l(a1) + l(k) con l(k) ≥ 1 perché 0 6= k ∈ A \ A×. Ne deduciamo chel(a0) > l(a1). Possiamo a questo punto reiterare il ragionamento compiuto per la coppia(a0, a1) ed applicarlo a (ai, ai+1) per ogni i ∈ N, ricavando la sequenza di disuguaglianzestrette: l(a0) > l(a1) > l(a2) > . . . > l(ak) > . . . Poiché l(a0) ∈ N, tali maggiorazionidevono essere in numero finito, ossia ∃n0 ∈ N tale che l(an0

) = 1 ⇐⇒ an0è irriducibile e

ciò costituisce contraddizione con l’ipotesi (ai) ( (ai+1) per ogni i ∈ N, la quale è dunqueda rifiutare (∀n ≥ n0, (an0

) ⊆ (an) ⇐⇒ an | an0⇐⇒ an0

= εan per qualche ε ∈ A×perché an0 è irriducibile).Abbiamo mostrato che A soddisfa l’A.C.C per ideali principali. Mostriamo ora che verificaanche (A3). Sia p | ab con a, b, p ∈ A e p irriducibile: ∃h ∈ A con ab = ph. Poiché possiamosupporre che a, b /∈ A× ∪ {0}, p è uno dei fattori della scomposizione essenzialmente unicadi ab in irriducibili, ovvero p | a o p | b.

2. Sia a := a0 ∈ A un elemento non nullo e non invertibile. Se a è irriducibile, abbiamoterminato. Supponiamo quindi che a non sia irriducibile: ∃a1, b1 ∈ A \ (A× ∪ {0}) cona = a1b1. Nel caso in cui a1 non sia irriducibile possiamo scrivere a1 = a2b2 con a2, b2 ∈A \ (A× ∪ {0}). Analogamente, ∀k ∈ N∗, se ak−1 è irriducibile, poniamo ak := ak−1,altrimenti scegliamo ak ∈ A tale che ak−1 = akbk per qualche bk ∈ A \ (A× ∪ {0}).Ricaviamo quindi una catena ascendente ((ai))i∈N, che deve, per ipotesi, essere stazionaria,ovvero ∃n ∈ N tale che an sia irriducibile. Poniamo ora p1 := an e scriviamo a = p1c1per qualche c1 ∈ A \ {0}. Notiamo che c1 non può essere invertibile perché a non èirriducibile. Pertanto, con lo stesso ragionamento appena compiuto, possiamo reperire unfattore irriducibile di c1, che denoteremo con p2, i.e. c1 = p2c2 con 0 6= c2 ∈ A \ A×. Aquesto punto, ∀j ∈ N \ {0, 1}, se cj−1 è irriducibile, sia cj := cj−1, altrimenti prendiamo0 6= cj ∈ A \A× tale che cj−1 = pjcj per qualche pj ∈ A irriducibile. Ancora una volta, lacatena ascendente ((cj))j∈N∗ deve stoppare e troviamo quindi un s ∈ N tale per cui cs := pssia irriducibile. Concludiamo che a = p1c1 = p1p2c2 = . . . = p1p2 · · · ps con i pi irriducibili.

Possiamo quindi dare la prossima importante

Definizione 4.4.2. Un dominio A si dice fattoriale o a fattorizzazione unica se vale una delleseguenti condizioni equivalenti:

• A soddisfa (A1) e (A2);

• A verifica (A1) e (A3);

• A soddisfa l’A.C.C per ideali principali e (A3).

Se A è fattoriale si dice e si scrive brevemente che è un UFD.1

1Unique Factorization Domain.

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4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X]. 57

Osservazione 4.4.4. Se A è un dominio fattoriale allora, comunque presi a, b ∈ A, esistonosempre MCD(a, b) e mcm(a, b). Infatti supponendo, per evitare banalità, che a, b ∈ A \ (A× ∪{0}), possiamo sempre scrivere

a = εpe11 · · · penn b = ξpf1

1 · · · pfnn ,

dove i pi sono tutti gli irriducibili che compaiono nelle fattorizzazioni sia di a che di b, ei, fi ≥ 0e ε, ξ ∈ A sono invertibili. Se definiamo

d := pg1

1 · · · pgnn , gi := min{ei, fi} ∀i ∈ n

em := ph1

1 · · · phnn , hi := max{ei, fi} ∀i ∈ n

è chiaro che d = MCD(a, b) e m = mcm(a, b) (a meno di prodotti per elementi di A×).A questo punto, se ∀n ≥ 2 e per {a1, . . . , an} ⊆ A qualunque, diciamo che un massimo comundivisore tra gli ai è un m ∈ A tale che m | ai, ∀i ∈ n e se c ∈ A verifica c | ai ∀i ∈ n, allora c | m.È facile vedere che un tale MCD, se esiste, è unico a meno di moltiplicazioni per invertibili di A.Inoltre, se A è un UFD, esso esiste sempre e può essere preso ricorsivamente come

MCD(a1, . . . , an) = MCD(MCD(a1, . . . , an−1), an).

In maniera analoga si può definire e caratterizzare mcm(a1, . . . , an).

Teorema 4.4.1. Ogni PID A è un UFD.

Dimostrazione. poiché ogni PID è banalmente noetheriano, A soddisfa certamente l’A.C.C (perideali principali). Sia ora p ∈ A irriducibile e supponiamo che p | ab ma p - a per a, b ∈ A\(A×∪{0}). Essendo p irriducibile e A un PID, (p) è massimale2. D’altra parte, p - a ⇐⇒ a /∈ (p),ossia (p) ( (p, a) e, per massimalità di (p) ciò significa che (p, a) = (1). Pertanto ∃u, v ∈ Acon up+ va = 1 =⇒ upb+ vab = b: nell’ipotesi in cui p | ab, abbiamo appena scritto che p | b,ovvero p è primo e A soddisfa (A3).

Uno degli esempi fondamentali di dominio fattoriale è dato dalla proposizione seguente

Proposizione 4.4.2. Se K è un campo, K[x] è un PID e quindi un UFD.

Dimostrazione. Sia I ⊆ K[x] un ideale non nullo e sia g ∈ I tale da avere grado minimo trai polinomi in I. Per ogni f ∈ I \ {0}, grazie all’algoritmo di Euclide, ∃q, r ∈ K[x] tali chef = qg + r con r = 0 o deg(r) < deg(g). Poiché r = f − qg ∈ I, dalla minimalità del grado di gconcludiamo che r = 0, ossia I = (g).

La proprietà di fattorialità di un dominio si conserva passando alle frazioni, ovvero piùprecisamente

Proposizione 4.4.3. Sia A un UFD e sia S ⊆ A \ {0}. Allora S−1A è un UFD.

Dimostrazione. Poiché ogni campo è fattoriale, possiamo supporre che S 6= A \ {0}. Ci è suf-ficiente mostrare che ogni elemento ϕ(a) = a/1 non nullo e non invertibile di S−1A ammetteuna fattorizzazione in primi. Siano dunque n, e1, . . . , en ∈ N∗ e p1, . . . , pn ∈ A primi tali

2Sia p ∈ J con J ideale di A. Allora J = (d) per qualche d ∈ A e pertanto (p) ⊆ (d), ossia d | p. Dal momentoche p è irriducibile, o d è associato a p e allora J = (p), oppure d è invertibile e quindi (d) = A.

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58 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

che a = pe11 · · · penn . Essendo ϕ : A −→ S−1A un omomorfismo di anelli, possiamo certamentescrivere:

a

1=pe11 · · · penn

1=(p1

1

)e1· · ·(pn

1

)en∈ S−1A.

Ora, alcuni di questi fattori potrebbero essere invertibili in S−1A: si tratta esattamente dei pi/1per i quali (pi) ∩ S 6= ∅. In questo caso infatti ∃σ ∈ S con σ = αpi per qualche α ∈ A e allorapi/1 è invertibile perché S−1A = T−1A se T := {t ∈ A : ∃a ∈ A con at ∈ S}. Tuttavia, poichéa/1 per ipotesi non è invertibile in S−1A, ∃j ∈ n tale che (pj) ∩ S = ∅, ossia pj/1 è primo inS−1A grazie al corollario 4.2.1.

D’ora in avanti assumeremo che A sia un UFD e denoteremo con K il campo delle frazionidi A.Se a/b ∈ K e s ∈ A \ {0} sappiamo che as/bs = a/b. Ne segue che ciascun elemento a ∈ K∗ sipuò scrivere come quoziente di elementi di A, senza fattori primi in comune, i.e. a = α/β conMCD(α, β) = 1: di qui in poi assumeremo sempre di essere in tale situazione, ogni volta checonsidereremo un elemento di K. Inoltre, se p ∈ A è un primo qualunque, la fattorialità di A ciassicura che sia sempre possibile scrivere

a = prb

con r ∈ Z univocamente determinato da a e b = b1/b2 ∈ K tale che p - b1 e p - b2. Infatti sea = α/β e scriviamo α, β come prodotto di irriducibili in A, α =

∏ri=1 p

eii e β =

∏sj=1 q

fjj , allora

per ogni p ∈ A primo:

• se ∃i ∈ r ed ∃ε ∈ A× con p = εpi, allora r = ei e a = pei(pe11 · · · p

ei−1

i−1 pei+1

i+1 · · · perrεeiβ

);

• se ∃j ∈ s ed ∃δ ∈ A× tali che p = δqj , allora r = −fj e a = p−fj

(δfjα

qf1

1 · · · qej−1

j−1 qej+1

j+1 · · · qess

);

• altrimenti, r = 0 e a = p0a.

Chiamiamo r ∈ Z l’ordine di a in p e lo denotiamo con ordp a. Se a = 0, per ogni p ∈ A primo,conveniamo che ordp0 := −∞.Evidentemente, se a, c ∈ K e ac 6= 0 allora ordp ac = ordp a+ ordp c.

Consideriamo a questo punto K[x] e siano f =∑ni=1 aix

i ∈ K[x] e p ∈ A un primo qualsiasi. Sef = 0 poniamo ordp f = −∞; altrimenti, definiamo e denotiamo l’ordine di f in p come:

ordp f := min{ordp ai : ai 6= 0, i = 0, . . . , n}.

Osserviamo in particolare che (f 6= 0) ordp f > 0 ⇐⇒ a meno di invertibili in A, p comparenella fattorizzazione in irriducibili in A di tutti i numeratori dei coefficienti di f (e di nessundenumeratore). Invece ordp f < 0 ⇐⇒ p compare nella fattorizzazione in irriducibili in A dialmeno uno tra i denominatori dei coefficienti di f , a meno di elementi di A×.Fissiamo ora un insieme Σ di rappresentanti delle classi di equivalenza di primi di A rispettoalla relazione in A d’essere associati: se ∼ indica tale relazione ∀[q] =: α ∈ A/ ∼ (inteso comeinsieme quoziente), con q ∈ A primo, ∃!p ∈ Σ tale che [p] = α.3 In particolare, ciascun elemento0 6= a ∈ A non invertibile si scrive in modo unico (e finito) come prodotto di potenze di elementidi Σ.

3Più formalmente Σ := {ch(α) : α ∈ A/ ∼}, dove ch: A/ ∼−→⋃A/ ∼ è una funzione di scelta su A/ ∼.

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4.4. FATTORIALITÀ DI A[X]. IRRIDUCIBILITÀ IN A[X] E IN Frac(A)[X]. 59

Definizione 4.4.3. Sia 0 6= f =∑ki=1 aix

i ∈ K[x] e sia G := {p ∈ Σ : p è primo e ordp f 6= 0}.Definiamo il content di f, cont(f), ponendo:

cont(f) :=∏p∈G

pordp f ,

con la convenzione che se G = ∅, cont(f) = 1.Pertanto, cont(f) è ben definito solo a meno di moltiplicazioni per un elemento invertibile di A(che rende conto della scelta compiuta di Σ).

Notiamo che, se scriviamo 0 6= f =∑ki=1

(nidi

)xi ∈ K[x], allora, a meno di invertibili in A,

cont(f) =MCD(n0, . . . , nk)

mcm(d0, . . . , dk).

In particolare, cont(f) = 1 se e soltanto se di = 1 ∀i ∈ n∪{0} (ossia ni ∈ A) e MCD(n0, . . . , nk) =1, di nuovo il tutto a meno di moltiplicazioni per elementi di A×.È chiaro d’altra parte che ∀b ∈ K∗, cont(bf) = b cont(f). Ne segue che possiamo scrivere

f = cont(f)f1,

dove f1 ∈ A[x] ha content 1. Infatti, se cont(f) = a/b, basta definire f1 :=∑ki=0 riqix

i dove,per ogni i ∈ n ∪ {0}, ri ∈ A è tale che ni = ari, mentre qi ∈ A soddisfa b = qidi. È evidente chef = cont(f)f1 e cont(f1) = 1.

Definizione 4.4.4. Un polinomio f ∈ A[x] è detto primitivo se cont(f) = 1.

Vale il risultato seguente

Lemma 4.4.1 (di Gauss). Sia A un UFD e sia K il suo campo di frazioni. Se 0 6= f, g ∈ K[x]allora

cont(fg) = cont(f) cont(g). (4.5)

Dimostrazione. A meno di scrivere f = cont(f)f1 e g = cont(g)g1 con f1, g1 primitivi, osservia-mo che basta mostrare l’asserto nell’ipotesi in cui f e g abbiano entrambi content 1. A tal fineè sufficiente provare che ∀p ∈ A primo, ordp(fg) = 0, ovvero che p non divide tutti i coefficientidi fg. Consideriamo a questo proposito l’omomorfismo quoziente A −→ A/(p) che si estendead un omomorfismo A[x] −→ A/(p)[x], il quale associa a f =

∑ni=0 aix

i ∈ A[x] il polinomiof :=

∑ni=0[ai]x

i ∈ A/(p)[x]. Abbiamo perciò fg = fg e, nell’ipotesi di primitività di f e di g,f 6= 0 6= g. Poiché A/(p) è un dominio, fg 6= 0, come voluto.

Corollario 4.4.1. Sia f ∈ A[x] avente una fattorizzazione f = gh in K[x]. Se poniamo cg :=cont(g), ch := cont(h) e scriviamo g = cgg1, h = chh1 con g1, h1 primitivi, allora

f = cgchg1h1

e cgch ∈ A. In particolare, se f, g ∈ A[x] hanno content 1 anche h gode della stessa proprietà.

Dimostrazione. Ovvia conseguenza del lemma di Gauss.

Possiamo finalmente enunciare e dimostrare il risultato (e motivo) principale di questa sezione

Teorema 4.4.2. Sia A un UFD e sia K il suo campo di frazioni. Allora

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60 CAPITOLO 4. ANELLI DI FRAZIONI E LOCALIZZAZIONE

1. l’anello di polinomi A[x] è un UFD;

2. i primi in A[x] sono i primi in A e i polinomi in A[x] che sono irriducibili in K[x]e hannocontent 1.

Dimostrazione.

1. Se a ∈ A ⊆ A[x], una fattorizzazione essenzialmente unica in irriducibili di a come elementodi A[x] è quella che a possiede in A: i primi in A sono banalmente primi anche in A[x]. Siaquindi 0 6= f ∈ A[x] non costante. Poiché K[x] è un UFD, ∃n ∈ N ed ∃q1, . . . , qn ∈ K[x]irriducibili tali che f = q1 · · · qn. Scrivendo per ogni i ∈ n, qi = cont(qi)pi con pi irriducibilee primitivo (quindi in particolare pi ∈ A[x]), ricaviamo perciò

f = c · p1 · · · pn, (4.6)

dove c :=∏ni=1 cont(qi). Per il corollario precedente c ∈ A e quindi è scrivibile come

prodotto di primi in A. D’altra parte, ciascun pi è irriducibile anche in A[x] perché senon lo fosse si potrebbe scrivere in A[x] come prodotto di fattori propri, pi = rs con0 < deg(r), deg(s) < deg(f), perché pi è a content 1. Pertanto, pi = rs sarebbe unafattorizzazione propria di pi anche in K[x] e ciò è assurdo, per irriducibilità di pi in K[x].Perciò 4.6 fornisce una fattorizzazione in A[x] di f in irriducibili.Ora, se abbiamo un’altra fattorizzazione siffatta, diciamo f = d · · · r1 · · · rs (quindi d ∈ A egli rj sono primitivi), allora poiché K[x] è UFD, n = s e a seguito di una permutazione deifattori pi = airi con ai ∈ K ∀i ∈ n. Dal momento che sia i pi che gli ri sono primitivi, rica-viamo che gli ai sono in realtà elementi invertibili di A (A 3 cont(f) = c = ca1 · · · as =⇒1 = a1 · · · as) e concludiamo.

2. Sia p ∈ A[x] un primo. Se p = a0 ∈ A, allora necessariamente a0 è un primo in A. Invece,se p non è costante e, per assurdo, fosse riducibile in K[x], allora sarebbe possibile trovareuna fattorizzazione propria di p in K[x] nella forma p = cont(f)p1 · · · pr con cont(f) ∈ A econt(pi) = 1∀i ∈ r: poiché i pi sono primitivi, questa è anche una fattorizzazione propriadi p in A[x], il che contraddice l’irriducibilità di p in A[x]. Perciò, p è irriducibile in K[x]e deve avere cont 1 perché possiamo sempre scrivere p = cont(p)q ∈ A[x] con q primitivo eallora cont(p) è invertibile in A (segue dall’irriducibilità di p), cioè è a content 1.Per concludere, ci basta mostrare che i primi in A e i polinomi irriducibili e primitivi inK[x] sono primi in A[x]. Abbiamo già detto che la prima parte dell’asserzione è verificata.Sia dunque p ∈ A[x] irriducibile e primitivo e supponiamo p | fg per f, g ∈ A[x]. Allora,in particolare, p | fg in K[x] e qui p è irriducibile, ossia primo e quindi p | f o p | g inK[x]. Assumendo WLOG che p | f in K[x], ∃qinK[x] per il quale f = pq: A 3 cont(f) =cont(pq) = cont(q) =⇒ cont(q) ∈ A =⇒ q ∈ A[x], ovvero p divide f anche in A[x].

Corollario 4.4.2. Se A è fattoriale, anche A[x1, . . . , xn] lo è.

Osserviamo che, in virtù del teorema precedente, quando lavoriamo con polinomi a coeffi-cienti in un dominio fattoriale e primitivi, non è necessario specificare se questi polinomi sianoirriducibili su A o sul campo delle frazioni K.

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Capitolo 5

Algebre Intere

5.1 A-algebre finite ed intereDefinizione 5.1.1. Sia (B, ϕ) una A−algebra. Un elemento y ∈ B si dice intero su A se esisteun polinomio monico f(x) = xn + an−1x

n−1 + . . .+ a0 ∈ A[x] tale che:

f(y) = yn + an−1yn−1 + . . .+ a0 = 0. (5.1)

(Ricordiamo che ∀z ∈ B e ∀a ∈ A, az def= ϕ(a)z). L’algebra B è detta intera su A se ogni y ∈ Bè intero su A.

Osservazione 5.1.1. Sottolineiamo che in 5.1 il polinomio f che viene valutato in y è richiestoessere esplicitamente monico: in generale, se y ∈ B è intero su A, allora è anche algebrico su A,ma il viceversa non è chiaramente verificato, perché se y ∈ B è tale che

∑ni=0 aiy

i (per opportunia0, . . . , an ∈ A) non è detto che sia possibile invertire in A il coefficiente direttore an e ricavaredunque una relazione di dipendenza polinomiale come in 5.1.

Vediamo ora come si rapportano i concetti di A−algebra finita e intera.

Proposizione 5.1.1. Sia (B, ϕ) una A−algebra e sia y ∈ B. Le seguenti affermazioni sonoequivalenti:

(i) y è intero su A;

(ii) ϕ(A)[y] ⊆ B, il sottoanello di B generato da ϕ(A) e da y, è una sottoalgebra finita su A;

(iii) esiste una A−sottoalgebra C ⊆ B tale che ϕ(A)[y] ⊆ C e C sia finita su A;

(iv) esiste un ϕ(A)[y]−modulo fedele,M ⊆ B, che sia finitamente generato come ϕ(A)−modulo.

Dimostrazione.

• (i) =⇒ (ii). Precisiamo anzitutto che

ϕ(A)[y] =

{n∑i=0

aiyi : n ∈ N, ai ∈ A ∀i ∈ n

}.

Se y ∈ B è intero su A, esso soddisfa 5.1 per appositi an−1, . . . , a0 ∈ ϕ(A). Dunque∀r ∈ N, yn+r = −(an−1y

n+r−1 + · · · + a0yr). Ne segue che tutte le potenze positive di y

appartengono all’A-modulo generato dagli elementi 1, y, . . . , yn−1, ovvero A[y] è generato,come A−modulo, da 1, y, . . . , yn−1.

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62 CAPITOLO 5. ALGEBRE INTERE

• (ii) =⇒ (iii). Ovvio, basta prendere ϕ(A)[y] = C.

• (iii) =⇒ (iv). Definiamo M := C, il quale è un ϕ(A)[y]−modulo fedele perché z ∈ Cappartiene a Ann(M) ⇐⇒ zc = 0 ∀c ∈ C ⇐⇒ z1 = 0 ⇐⇒ z = 0.

• (iv) =⇒ (i). Per mostrare questa implicazione useremo la formula di Cramer. Essaafferma che, se K è un campo e (x1, . . . , xm) ∈ Km è una soluzione di un sistema linearea coefficienti e termini noti in K:

m∑j=1

cijxj = di ∀i ∈ m, (5.2)

allora ∀j ∈ m

xj =det(Cj)

det(C), (5.3)

dove C = (cij)i,j∈m ∈M(m×m, K) e Cj è la matricem×m che si ottiene da C sostituendola j−esima colonna di C con il vettore (d1, . . . , dm) ∈ Km.Se riscriviamo 5.3 come det(C)xj = det(Cj), tale formula diventa vera in ogni anelloR, indipendentemente dal fatto che det(C) ∈ R×. La dimostrazione di questo fatto si puòcompiere per induzione sulla dimensione m della matrice C ∈M(m×m, R) dei coefficientiin 5.2, supponendo, chiaramente, che tale sistema sia risolubile. Il caso m = 1 è evidente.Se la tesi è vera per sistemi (m − 1) × (m − 1) con m ≥ 2, allora siano C la matrice deicoefficienti di 5.2 e (x1, . . . , xm) ∈ Rm una soluzione di tale sistema. Se denotiamo conCp,k la sottomatrice di C che si ottiene da questa cancellando la p-esima riga e la k-esimacolonna, allora usando l’ipotesi induttiva otteniamo ∀j ∈ m:

det(Cj) =

m∑k=1

(−1)k−1c1k det(C1,kj ) =

m∑k=1

(−1)k−1c1k det(C1,k)xj = det(C)xj .

Sia a questo punto M ⊆ B un A−modulo generato da elementi e1, . . . , em in numerofinito e tale da essere fedele come ϕ(A)[y]−modulo (abbiamo yM ⊆ M perché M è unϕ(A)[y]−modulo). Allora per ogni i, j ∈ m esiste aij ∈ ϕ(A) con

yei =

m∑j=1

aijej ,

che si può riscrivere anche come

(y − aii)ei −

∑j 6=i

aijej

= 0 ∀i ∈ m.

Detta C la matrice dei coefficienti di tale sistema, essendo ovviamente (e1, . . . , em) lorisolve, la formula di Cramer ci dice che det(C)ei = 0 per ciascun i. PoichéM è fedele e gliei generano M , ciò implica che det(C) = 0. Espandendo questo determinante, otteniamoun equazione

ym + c1ym−1 + . . .+ cm = 0, ci ∈ ϕ(A).

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5.1. A-ALGEBRE FINITE ED INTERE 63

Esercizio 1. Sia A un dominio di integrità e K il suo campo di frazioni. Sia L ⊇ K un campo,che sia estensione finita di K, i.e., sia un K-spazio vettoriale di dimensione finita. Sia OL lachiusura intera di A in L. Dimostrare che L è il campo di frazioni di OL e che esiste una base diL come K-spazio vettoriale formata da elementi di OL.

Poi continua con i capitoli 4 e 5 del Miles Reid; questa parte del capitolo spiega in dettagliola prima parte del capitolo 4 del Miles Reid.

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64 CAPITOLO 5. ALGEBRE INTERE

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Capitolo 6

Decomposizione primaria

Sia A 6= {0} un anello commutativo con unità 1. Se I, J sono ideali di A ponete I : J = {x ∈A : xJ ⊆ I} (dove xJ = {xa : a ∈ I}). Verificate che I : J è un ideale e che I : J ⊇ I (qui si usache I è un ideale). L’ultima inclusione a volte è stretta e a volte è un’uguglianza; ad esempioI : (0) = A per ogni I. Testatelo nel caso A = Z. Spesso se a ∈ A si scrive I : a invece di I : (a).

Definizione 6.0.2. Un ideale I ( A si dice primario se ab ∈ I implica che o a ∈ I oppure esisteun intero k > 0 tale che bk ∈ I (equivalentemente, o a ∈ I oppure b ∈

√I).

Notate che assumiamo che un ideale primario sia proprio: A non è primario. Ovviamente unideale primo è primario. Come esercizio potete verificare che gli ideali primari di Z sono (0) e gliideali (pk) con p primo e k > 0, ma la verifica della parte “ solo se ” è semplificata dal seguentelemma.

Lemma 6.0.1. Se I è primario, allora√I è un ideale primo.

Dimostrazione. Siano ab ∈√I e supponiamo che sia a /∈

√I. Per definizione di radicale esiste

un intero k > 0 con (ab)k ∈ I, cioè akbk ∈ I. Poiché a /∈√I, ak /∈ I. Per definizione di ideale

primario esiste un intero m > 0 con (bk)m ∈ I, cioè bkm ∈ I e quindi b ∈√I.

Sia I primario. Per il lemma 6.0.1√I è un ideale primo; ovviamente

√I è univocamente

determinato da I. Dato un primo P ⊂ A un ideale primario I si dice P -primario se√I = P e P

si dice il primo associato ad I.

Esercizio 2. Sia A un PID. Gli ideali primari di A sono {0} e (se A non è un campo) gli ideali(pk) con p primo e k un intero > 0. Si ha (pk) = (qm) se e solo se k = m e q è un primoequivalente a p, cioè esiste c invertible con q = cp.

Esercizio 3. Sia I ( A un ideale primario. Sia ab ∈ I con a /∈ I e b /∈ I. Dimostrare che a ∈√I

e che b ∈√I. Quindi se P è un ideale primo, J è P -primario, ab ∈ J , a /∈ J e b /∈ J , allora a ∈ P

e b ∈ P . Trovare esempi in cui P 2 * J .

Esercizio 4. Sia I un ideale proprio di A. I è primario se e solo se (0) è un ideale primario diA/I.

Ovviamente gli ideali primi sono primari. Altri esempi si costruiscono usando questo lemma.

Lemma 6.0.2. Sia I un ideale tale che m :=√I è massimale. Allora I è primario

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66 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA

Dimostrazione. Sia B := A/I. Per l’esercizio 3 basta dimostrare che l’ideale (0) di B è primario.Siano ab = 0 (in B) con a 6= 0. Quindi b è un divisore di zero. Per ipotesi m/I è il radicale di(0) in B e quindi l’unico ideale massimale di B (verificatelo). Quindi gli elementi di B \ m/Isono invertibili. Quindi b ∈ m/I.

Notate che se m è un ideale massimale di A e k è un intero > 0, allora√mk = m e quindi

possiamo applicare il lemma precedente all’idealemk. Ma spesso ci sono altri esempi con√I = m.

Definizione 6.0.3. Sia I ( A un ideale proprio. I si dice riducibile se esistono ideali J,H ⊆ Acon I = J ∩H, J 6= I e H /∈ I. I si dice irriducibile se non è riducibile.

Esercizio 5. Sia I un ideale proprio di A. I è irriducibile se e solo se (0) è un ideale irriducibiledi A/I.

Lemma 6.0.3. Sia A noetheriano. Ogni ideale proprio di A è intersezione finita di idealiirriducibili.

Dimostrazione. Supponete che il lemma sia falso e chiamate S l’insieme degli ideali propri diA che non sono intersezioni finite di ideali irriducibili. Poiché A è noetheriano e S 6= ∅, S haun elemento massimale, I, per l’inclusione. Poiché I ∈ S e I = I, I non è irriducible. Quindiesistono ideali J,H con I = J ∩ H, J 6= I e H 6= I. poiché I = J ∩ H si ha J ⊇ I e H ⊇ I.poiché J 6= I, si ha H 6= A, cioè H è un ideale proprio. Nello stesso modo si verifica che J èun ideale proprio. Poiché I è un elemento massimale di S e J,H contengono propriamente I,J /∈ S e H /∈ S. Poiché J e H sono propri, esistono ideali irriducibili J1, . . . , Jk, H1, . . . ,Hs conJ = J1 ∩ · · · ∩Jk e H = H1 ∩ · · ·Hs. Quindi I = J1 ∩ · · · ∩Jk ∩H1 ∩ · · · ∩Hs è intersezione finitadi ideali irriducibili, assurdo (poiché I ∈ S).

Teorema 6.0.1. Sia A noetheriano.

1. Ogni ideale irriducibile è primario.

2. Ogni ideale proprio è intersezione finita di ideali primari.

Dimostrazione. Prendiamo un ideale I irriducibile. Poniamo B := A/I. B è noetheriano. Perl’esercizio 4 basta dimostrare che 0 è un ideale primario di B. Per l’esercizio 5 (0) è un idealeirriducibile di B. Prendiamo a, b ∈ B con ab = 0 e b 6= 0. Per mostrare che (0) è primario in Bbasta vedere che a è nilpotente. Scriviamo la notazione H : K tra ideali di B per cui per ognix ∈ B si ha (0) : x = {y ∈ B : yx = 0}. Per ogni intero k ≥ 0 ponete Jk = (0) : ak. Notateche Jk ⊆ Jk+1 per ogni intero k > 0. Troviamo una catena ascendente di ideali J1 ⊆ J2 ⊆ · · ·e la noetherianità di B implica l’esistenza di un intero m > 0 con Jx = Jm per ogni x > m.Anzitutto verifichiamo che (am)∩ (b) = (0). Sia c ∈ (am)∩ (b); poiché c ∈ (am) esiste x ∈ B conc = xam poiché c ∈ (b) esiste y ∈ B con c = yb. Si ha ac = yab = 0 e quindi xam+1 = 0, i.e.x ∈ Jm+1. poiché Jm = Jm+1, si ha xam = 0 e quindi c = 0, concludendo la dimostrazione che(am) ∩ (b) = (0). Per ipotesi (b) 6= (0) e l’irriducibilità di (0) implica (am) = (0), i.e. am = 0,concludendo la dimostrazione di (1).

L’affermazione (2) segue dall’affermazione (1) e dal lemma 6.0.3.

Il teorema 6.0.1 non è il teorema della decomposizione primaria per ideali di un anello noethe-riano, perchè cerchiamo una decomposizione imparentata, ma differente come intersezione finitadi ideali primari non-necessariamente irriducibili, ma ciascuno associato ad un primo distinto.

Definizione 6.0.4. Sia I un ideale proprio di A. Si dice che I = I1∩· · ·∩Ik è una decomposizioneprimaria di I se ogni Ij è primario. Si dice minimale se

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1. gli ideali primi√Ij , j = 1, . . . , k, sono tutti distinti;

2. per ogni j = 1, . . . , k se omettiamo Ij nell’intersezione otteniamo un ideale strettamentecontenente I.

Lemma 6.0.4. Siano P un ideale primo di A e I, J ideali P -primari di A. Allora I ∩ J èP -primario.

Dimostrazione. Si ha√I ∩ J ⊆

√I ∩√J = P ∩ P = P . Mostriamo ora l’altra inclusione. Sia

x ∈ P . Per ipotesi esistono interi k > 0 e t > 0 con xk ∈ I e xs ∈ J . Quindi xt ∈ I ∩ J , cont := max{k, s}. Abbiamo dimostrato che

√I ∩ J = P . Sia ab ∈ I ∩ J con b /∈ P . Poiché ab ∈ I

(resp. ab ∈ J) si ha a ∈ I (resp. a ∈ J) e quindi a ∈ I ∩ J .

Osservazione 6.0.2. Notate che il Lemma 6.0.4 si estende per induzione alle intersezioni fi-nite di ideali P -primari. Usate il lemma 6.0.4 per dimostrare che se un ideale proprio ha unadecomposizione primaria, allora ha una decomposizione primaria minimale.

Come corollario del Teorema 6.0.1 e della Osservazione 6.0.2 si ha il seguente risultato.

Teorema 6.0.2. Ogni ideale proprio I di un anello noetheriano A ha una decomposizioneprimaria minimale.

Dimostrazione. Sia I = I1 ∩ · · · ∩ Ik con Ij irriducibile (Lemma 6.0.3). Ogni Ij è primario(Teorema 6.0.1) e quindi I = I1∩· · ·∩Ik è una decomposizione primaria di I. Usate l’osservazione6.0.2.

Sia A noetheriano. Ci si chiede in che senso una decomposizione primaria minimale di unideale proprio è unica o meglio, che cosa è intrinseco ad I. Enuncio senza dimostrazione ilteorema generale e poi, se ho tempo, dimostro a lezione alcuni dei punti. Se I = I1 ∩ · · · ∩ Ikè una decomposizione primaria minimale, i primi

√I1, . . . ,

√Ik si dicono i primi associati di I.

Per definizione di decomposizione minimale sono k primi distinti, ma ci possono essere inclusionitra loro (vedi Osservazione 6.0.3). Gli elementi minimali tra i primi

√I1, . . . ,

√Ik si dicono primi

minimali, mentre gli altri si dicono immersi o embedded. Ij si dice componente minimale (resp.componente immersa) se

√Ij è un primo minimale.

Non dimostro il seguente teorema ([1, Theorem 4.5 and Corollary 4.11]).

Teorema 6.0.3. Sia A un anello noetheriano, I ( A un ideale proprio. Siano I1 ∩ · · · ∩ Ik eJ1 ∩ · · · ∩ Js due decomposizioni primarie minimali di I.

(a) s = k e gli insiemi di ideali primi {√I1, . . . ,

√Ik} e {

√J1, . . . ,

√Jk} sono uguali; inoltre

i primi {√I1, . . . ,

√Ik} sono esattamente gli ideali primi che appiano negli ideali

√(I : x), x /∈ I.

(b) Le componenti minimali di I1 ∩ · · · ∩ Ik e di J1 ∩ · · · ∩ Js sono le stesse.

Esercizio 6. Sia I un ideale proprio dell’anello noetheriano A e I = I1 ∩ · · · ∩ Ik una decom-posizione primaria di I. Verificate che

√I =√I1 ∩ · · · ∩

√Ik è una decomposizione primaria di√

I e che la si rende minimale prendendo solo i primi associati minimali di I. In particolare inun anello noetheriano ogni ideale radicale proprio ha decomposizione primaria minimale unicaed in essa compaiono solo ideali primi.

Osservazione 6.0.3. Ogni libro sull’argomento contiene semplici esempi con componenti im-merse non uniche. La cosa sorprendente è che quando c’è una componente immersa, la decompo-sizione non è mai unica ed anzi ce ne sono sempre infinite. [1, Esercizio 1 del Capitolo 8] affermaquesto: Sia I un ideale proprio di A con una decomposizione primaria con un primo immerso P .Ci sono infinite decomposizioni primarie di I in cui le componenti P -primarie sono tutte distinte.

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68 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA

Esercizio 7. Verificate che per ogni x ∈ A, ogni insieme moltiplicativo S ⊂ A e ogni ideali I, Jdi A abbiamo (I ∩ J : x) = (I : x) ∩ (J : x),

√I ∩ J =

√I ∩√J e S−1(I ∩ J) = S−1I ∩ S−1J .

Lemma 6.0.5. Sia I un ideale primario e J :=√I l’ideale primo corrispondente.

1. Se x ∈ I si ha (I : x) = A.

2. Se x /∈ J si ha (I : x) = I.

3. Se x /∈ I, allora (I : x) è un ideale J-primario e in particolare√

(I : x) = J .

Dimostrazione. Parte 1) vale per un ideale I arbitrario, poiché 1 ∈ (I : x). Parte 2) segue dalladefinizione di ideale J-primario. Assumiamo ora x /∈ I. La definizione di ideale primario implica√

(I : x) ⊆ J . Poiché si ha√

(I : x) ⊇ J e quindi√

(I : x) = J . Se ab ∈ (I : x) e a /∈ (I : x) siha abx ∈ I e ax /∈ I e quindi bk ∈ I per qualche k > 0 e quindi bk ∈ (I : x). Quindi (I : x) èJ-primario.

Proposizione 6.0.2. Sia I un ideale che ammetta una decomposizione primaria minimale I =I1 ∩ · · · ∩ Ik (ad esempio assumete che A sia noetheriano). Allora

∪ki=1

√Ii = {x ∈ A | (I : x) 6= I}.

Prendendo I = (0) si ottiene in particolare che se A è noetheriano, allora l’insieme D dei divisoridi zero di A (compreso 0) è l’unione dei primi associati all’ideale (0).

Dimostrazione. Prendendo A/I invece di I ci si riduce al caso I = (0) con (0) = I1∩· · ·∩Ik. Soloqui chiamiamo per ogni insieme U ⊆ A (non necessariamente un ideale)

√U = {x ∈ A | esiste

k > 0 with xk ∈ U}. Si ha sempre U ⊆√U . Verificate che D =

√D =

√∪x∈A\{0}(0 : x) =

∪x∈A\{0}√

(0 : x). Se guardate la parte (a) della dimostrazione del Teorema 6.0.3 che trovatepiù in basso ottenete che per ogni x ∈ A\{0} si ha

√(0 : x) = ∩x/∈Ih

√Ih e quindi D ⊆ ∪ki=1

√Ii.

Inoltre la stessa parte (a) del Teorema 6.0.3 (che non usa il Lemma 6.0.2) dice che ogni primoassociato di (0) è della forma

√(0 : x) per qualche x ∈ A \ {0} e quindi D ⊇ ∪ki=1

√Ii.

Notate che in Proposizione 6.0.2 dovete prendere tutti i primi associati, non solo i primiminimali associati.

Esercizio 8. Sia S ⊂ A un insieme moltiplicativamente chiuso e j : A // S−1A l’omomorfimodi localizzazione. Verificate che per ogni ideale I ⊆ A si ha j−1(S−1I) = ∪s∈S(I : s). Verificateche se H ⊂ S−1A è un ideale primario, allora j−1(H) è primario.

Proposizione 6.0.3. Sia S ⊂ A un insieme moltiplicativamente chiuso, I un ideale primario.Ponete J :=

√I. Sia j : A // S−1A l’omorfismo di localizzazione.

1. Se S ∩ J 6= ∅, allora S−1I = S−1A;

2. Se S ∩ J = ∅, allora S−1I è primario e j−1(S−1I) = I.

Dimostrazione. Sia s ∈ S ∩ J . Quindi esiste k > 0 con sk ∈ I. S moltiplicativo implica sk ∈ S.Quindi 1 = sk/sk ∈ S−1A provando (1).

Assumiamo ora S∩J = ∅. Sappiamo che S−1(J) è un ideale primo di S−1A e poiché√S−1I =

S−1J , verificate facilmente (esercizio 8) che S−1(I) è primario. Prendete a ∈ j−1(S−1I), i.e.assumete a/1 ∈ S−1I, i.e. esiste s ∈ S con sa ∈ I. Poiché s /∈ J e I è primario, si ha a ∈ I.

Lemma 6.0.6. Siano I1, . . . , Ik, k ≥ 2, ideali di un anello A e P ∈ SpecA.

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1. P ⊇ I1 ∩ · · · Ik se e solo se P ⊇ Ii per qualche i;

2. P ⊇ I1 · · · Ik se e solo se P ⊇ Ii per qualche i

Dimostrazione. Solo la parte “solo se ” richiede una verifica. Poiché I1 · · · Ik ⊆ I1 ∩ · · · ∩ Ik,basta provare la parte (2). Assume P + Ii per ogni i e prendete ai ∈ Ii con ai /∈ P . Sia haa1 · · · ak ∈ I1 · · · Ik. Poiché P è un ideale primo si ha a1 · · · ak /∈ P .

La parte (1) non funziona per intersezione infinita (esempio A = Z, (0) = ∩n≥1(n)).

Dimostrazione del Teorema 6.0.3: (a) Dimostriamo la parte (a). Fissiamo x /∈ I. Per l’eserci-zio 7 si ha

√(I : x) =

√(I1 : x)∩· · ·∩

√(Ik : x). Un ideale primo è irriducibile e quindi se

√(I : x)

è un ideale primo, è delle forma√

(Ij : x) per qualche j. Per dimostrare la parte (a) basta provareche tutti gli ideali

√I1, . . . ,

√Ik sono di questa forma (allo stesso modo si vedrebbe che lo sono tut-

ti gli ideali {√J1, . . . ,

√Js} e che nessun altro ideale primo compare tra gli ideali

√(I : x)) quindi

per definizioni di decomposizione primaria minimale s = k e {√I1, . . . ,

√Ik} = {

√J1, . . . ,

√Jk}).

Fissiamo j ∈ {1, . . . , k} e prendiamo x ∈ ∩h 6=jIh con x /∈ J (esiste poiché la decomposizione èminimale). Per il Lemma 6.0.5 si ha (Ih : x) = A se h 6= j e

√(Ij : x) =

√Ij e (esercizio 7) √ e

: commutano con l’intersezione finita. Sia ora P un ideale primo e supponete P =√

(I : 0) perqualche x ∈ A. Per l’esercizio 7 si ha P =

√(I1 : x) ∩ · · ·

√(Ik : x). Per il lemma 6.0.5 per ogni

i o√

(I : x) = A oppure√

(I : x) =√Ii. Usate che P è irriducibile (prendete = nel caso k = 2

del Lemma 6.0.6.(b) Dimostriamo la parte (b). Poiché abbiamo completamente dimostrato la parte (a),

possiamo usare che k = s, che i primi associati di I non dipendono dalla decomposizione primariaminimale di A che abbiamo scelto e che

√Ii =

√Ji per ogni i. Permutando gli indici possiamo

assumere che Hi :=√Ii, 1 ≤ i ≤ h, siano i primi minimali associati di I. Fissiamo i ∈ {1, . . . , h}

e poniamo S = A \ Hi. Poiché Hi è primo, S è un insieme moltiplicativo. Poiché Hi è unprimo minimale, si ha Hj ∩ S 6= ∅ per ogni j 6= i. Poiché la localizzazione di ideali commutacon l’intersezione finita (Esercizio 7) S−1(I1 ∩ · · · ∩ Ik) = S−1(I) = S−1(J1 ∩ · · · ∩ Jk) implicaS−1(I1) ∩ · · · ∩ S−1(Ih) = S−1(J1) ∩ · · · ∩ S−1(Jh) (per parte (a) di Proposizione 6.0.3) e poiparte (b) di Proposizione 6.0.3 implica Ii = Ji.

SiaM un A-modulo. C’ è una definizione di decomposizione primaria anche per i sottomodulidi M , con unicità simile al Teorema 6.0.3 e con esistenza dimostrata facilmente per modulifinitamente generati di un anello noetheriano; su [1] trovate la definizione (e dato come eserciziol’unicità) in [1, Ex. 4.20, 4.21, 4.22, 4.23]; l’esistenza di decomposizione primaria per modulifinitamente generati su anello noetheriano lo trovate nell’ultimo rigo di [1, Ex. 7.19]. Il MilesReid fa direttamente la decomposizione primaria dei moduli (Capitolo 7); lo stesso fa D. Eisenbud,Commutative Algebra with a View toward Algebraic Geometry, Capitolo 3.

Osservazione 6.0.4. Prendete A noetheriano e un ideale I ( A. Dimostremo (vedi teorema6.0.4) che i primi associati di I sono tutti e soli gli ideali primi di A della forma (I : x) perqualche x ∈ A, i.e. dimostremo che nel teorema 6.0.3 possiamo omettere il simbolo di radicale(questo è molto utile per il calcolatore ed è concettualmente importante).

Ora estenderemo le definizioni ed i teoremi al caso dei moduli. Vi ricordo che M è generatoda un elemento se e solo se M ∼= A/I per qualche ideale proprio di A; nella discussione dopo ladecomposizione primaria del sottomodulo {0} ( A/I corrisponde alla decomposizione primariadi I. Sia M 6= 0 un A-modulo. e N ⊆ M un suo sottomodulo proprio; N si dice riducibile (inM) se esistono moduli N1, N2 con N ( N1 ⊆ M , N ( N2 ⊆ M e N = N1 ∩N2 (notate che inquesto caso N1 ( M e N2 ( M); N si dice irriducibile in M se non è riducibile in M . Notate

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70 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA

che N è riducibile in M se e solo se 0 è riducibile in M/N . Una decomposizione irriducibile diN come sottomodulo di M è una scrittura N = N1 ∩ · · · ∩Nk con gli Ni sottomoduli irriducibilidi M e irridondante (si vedrà poi che per verificare che la decomposizione è irridondante bastaverificare che Ni * Nj per tutti gli i 6= j).

Dimostrate come facile esercizio la seguente proposizione.

Proposizione 6.0.4. Sia A un anello noetheriano e M 6= 0 un A-modulo finitamente generato.Ogni sottomodulo proprio di M ha una decomposizione irriducibile.

Per tutti i sottomoduli N1, N2 di M sia N1 : N2 l’insieme degli a ∈ A tali che aN2 ⊆ N1.Verificate che N1 : N2 è un ideale di A e che N1 : N2 = A se e solo se N1 = N2. L’ideale 0 : N2

si chiama l’annullatore di N2; se N2 è generato da un elemento, m, di solito si scrive 0 : m (oann(m) o annAm) invece di 0 : Am. Se M 6= 0 un ideale P di A si dice associato a M se esistem ∈ M con P = 0 : m (notate che m 6= 0, poiché 1 /∈ P ). Sia Ass(M) ⊆ SpecA (o AssA(M) seè necessario specificare quale A stiamo usando) l’insieme dei primi associati di M . Il supportoSupp(M) di un A-moduloM è l’insieme dei P ∈ SpecA tali che S−1M 6= 0, con S = A\P ; invecedi S−1M , con S = A \ P di solito si scrive MP . Verificate che se P ∈ Supp(M), Q ∈ SpecA eQ ⊇ P , allora Q ∈ Supp(M).

Osservazione 6.0.5. P ∈ Ass(M) se e solo se P ha un sottomodulo isomorfo a A/P .

Proposizione 6.0.5. Sia S ( A un insieme moltiplicativo. Sia M 6= 0 un A-modulo e N unS−1A-modulo. Vedete Spec(S−1A) come un sottoinsieme di SpecA. Vi ricordo che S−1M è unS−1A-modulo e che N è anche un A-modulo.

1. AssA(N) = AssS−1A(N).

2. Assumiamo A noetheriano. Allora AssS−1A(S−1M) = AssA(M) ∩ Spec(S−1A).

Dimostrazione. Per ogni x ∈ N verificate che si ha annA(m) = j−1(annS−1A(m)) con j :A // S−1A la mappa di localizzazione. Quindi se P ∈ AssS−1A(N) si ha j−1(P ) ∈ AssA(N).Viceversa, prendiamo ora Q ∈ AssA(N), diciamo P = annA(x) con x ∈ N ; P primo implicax 6= 0; x 6= 0 e N un S−1A modulo implica S ∩Q = ∅, i.e. QS−1A è un ideale primo di S−1A.

Ora dimostriamo (2). Notate che (2) vuol dire semplicemente che P ∈ AssS−1A(S−1M) sesolo se P ∈ AssA(M) e P ∩ S = ∅. Sia P ∈ AssA(M) con P ∩ S = ∅, diciamo P = annA(x) conx ∈M . Sia a ∈ A ed s ∈ S tale che (a/s)x = 0 in S−1A; esiste t ∈ S con tax = 0 in M e quindita ∈ P . Poiché P è primo e S ∩ P = ∅, si ha a ∈ P ; si è verificato che annS−1A(x) = PS−1A.Viceversa, sia P = annS−1A(y) ∈ Spec S−1A con y ∈ S−1M . Esiste t ∈ S con x := ty ∈ M .Poiché t è invertibile in S−1A, si ha P = annS−1A(x). Ponete Q := j−1(P ) ∈ SpecA. Sapeteche P = QS−1A. Poiché A è noetheriano, Q è finitamente generato; usate un sistema finito digeneratori di Q per verificare l’esistenza di z ∈ S con Q = annA(zx). Quindi Q ∈ AssA(M).

Un elemento a ∈ A si dice zero-divisore del modulo M 6= 0 se esiste x ∈ M con x 6= 0 eax = 0. Notate che 0 ∈ A è uno zero-divisore di ogni M 6= 0.

Teorema 6.0.4. Sia A noetheriano ed M un A-modulo, M 6= 0. Sia F la famiglia degli ideali(0 : x), x ∈M \ {0}.

1. Ogni elemento massimale di F è un primo associato ad M .

2. L’insieme dei zero-divisori di M è l’unione dei primi associati ad M .

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71

Dimostrazione. La parte (1) vale anche se A non è noetheriano, ma non si riesce a garantiresenza altre ipotesi che F sia non-vuoto ed abbia un elemento massimale. Sia Q un elementomassimale di F ; si deve verificare che Q è primo. Sia Q = (0 : m) con m ∈M \ {0} e assumiamoxy ∈ Q, ma x /∈ Q (e quindi xm 6= 0). Si ha y ∈ (0;xm). La massimalità di Q nella famiglia Fimplica y ∈ Q. Ora dimostriamo (2). Per definizione di zero-divisore e di primo associato bastaverificare che ogni zero-divisore a di M (diciamo am = 0 con m ∈ M \ {0}) è contenuto in unprimo associato. Sia F ′ := {I ∈ F | I ⊇ (0 : m)}. F ′ 6= 0, perché (0 : m) ∈ F ′. Poiché A ènoetheriamo, F ′ ha un elemento massimale P , che deve essere massimale anche tra gli elementidi F . Per la parte (1) P è primo.

Notate che un primo è associato ad M se e solo se è associato ad un sottomodulo finitamentegenerato di M (di fatto ad un sottomodulo ciclico, cioè generato da un elemento). QuindiAss(M) 6= ∅ per ogni modulo M 6= 0, anche non-finitamente generato, di un anello noetheriano.

Teorema 6.0.5. Sia A qualunque. Per ogni successione esatta

0 //M ′u // M

v // M ′′ // 0

di A-moduli si ha Ass(M) ⊆ Ass(M ′) ∪Ass(M).

Dimostrazione. Sia P ∈ Ass(M) cio’M contiene un sottomodulo N isomorfo a A/P . Poiché P èprimo, P = ann(x) per ogni x ∈ N \ {0}. Quindi se u(M ′)∩N 6= 0, allora P ∈ Ass(M ′), mentrese u(M ′) ∩N si ha N ∼= v(N) ⊆M ′′ e quindi P ∈ Ass(M ′′).

La successione esatta0 // 2Z // Z // Z/2Z // 0

mostra che nel teorema 6.0.5 l’inclusione non è sempre un =.

Teorema 6.0.6. Sia A noetheriano e M 6= 0 e finitamente generato. Allora esiste una catenafinita 0 = M0 ⊂ M1 ⊂ · · · ⊂ Mn = M di sotto-A-moduli tale che Mi/Mi−1

∼= A/Pi conPi ∈ SpecA.

Dimostrazione. Poiché M 6= 0, esiste P1 ∈ Ass(M) (teorema 6.0.4), i.e. esiste M1 ⊆ M conM1∼= A/P1 (Osservazione 6.0.5). Se M1 = M , abbiamo vinto con n = 1. Se M1 6= M ,

applichiamo lo stesso ragionamento a M/M1, trovando P2 con M2/M1∼= A/P2. Si continua allo

stesso modo e la noetherianità di M implica che la catena ascendente di sottomoduli costruitain questo modo è stazionaria.

Teorema 6.0.7. Sia A noetheriano e M 6= 0 finitamente generato.

1. Ass(M) è un insieme finito non-vuoto.

2. Ass(M) ⊆ Supp(M).

3. Gli elementi minimali dei due insiemi Ass(M) e Supp(M) sono gli stessi.

Dimostrazione. Per il teorema 6.0.4 Ass(M) 6= ∅. I teoremi 6.0.5 e 6.0.6 danno la finitezza diAss(M).

Sia P ∈ Ass(M) e quindiM ha un sottomodulo N isomorfo a A/P . Ovviamente (A/P )P 6= 0(A/P è un dominio); usate che localizzazione preserva le mappe iniettive e quindi NP ⊆ MP ,completando la dimostrazione di (2). Per dimostrare (3) (avendo (2)) basta dimostrare che glielementi minimali, P , di Supp(M) sono associati di M . Per ipotesi MP 6= 0 e quindi per ilteorema 6.0.4 esiste Q ∈ Ass(MP ). Per la Proposizione 6.0.5 si ha Q ∈ Ass(M) e Q∩ (A\P ) = ∅e quindi Q ⊆ P . La minimalità di P in Supp(M) e parte (2) implicano Q = P .

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72 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA

Abbiamo mostrato che se A è noetheriano e M 6= 0 è finitamente generato, allora ha unnumero finito di primi associate, P1, . . . , Ps. Gli elementi minimali di {P1, . . . , Pk} si diconoprimi isolati di M , gli altri primi immersi. Siano P1, . . . , Pk gli elementi minimali di Supp(M)(o di Ass(M) per il teorema 6.0.7). Avete verificato che V (Pi) ⊆ Supp(M), con i V dellatopologia di Zariski dello spettro. Quindi Supp(M) è un chiuso di Zariski con V (P1), . . . , V (Pk)le sue componenti irriducibili. Notate che se P1, . . . , Pk sono i primi isolati diM , allora Supp(M)è un chiuso di Zariski di SpecA con V (P1), . . . , V (Pk) le sue componenti irriducibili.

Sia A,M qualunque con M 6= 0 e N ( M un sottomodulo. N si dice sottomodulo primariodi M se per ogni a ∈ A, x ∈ M \ N con ax ∈ N , esiste k > 0 con akM ⊆ N . Notate che N èprimario in M se e solo se 0 è primario in M/N , i.e. se e solo se ogni zero-divisore di M/N ècontenuto nel radicale di ann(M/N).

Teorema 6.0.8. Sia A notheriano e M 6= 0 finitamente generato. N (M è primario se e solose |Ass(M/N)| = 1. Se Ass(M/N) = {P}, allora

√ann(M/N) = P e ann(M/N) è P -primario.

Dimostrazione. Assumiamo Ass(M/N) = {P}. Per il teorem 6.0.7 Supp(M/N) = V (P ) equindi P =

√ann(M/N). Se a ∈ A è uno zero-divisore di M/N , allora a ∈ P =

√ann(M/N)

per il teorema 6.0.4. quindi N è un sottomodulo primario di M . Viceversa, se N è primario eP ∈ Ass(M/N), allora ogni a ∈ P è uno zero-divisore di M/N e quindi P ⊆

√ann(M/N). Dalla

definizione di primi associati si ha subito P ⊇√

ann(M/N). Quindi P =√

ann(M/N). Quindi√ann(M/N) è l’unico elemento di Ass(M/N). Verifichiamo che ann(M/N) è un ideale primario.

Siano a, b ∈ A con b /∈ ann(M/N) e ab(M/N) = 0; poiché b(M/N) 6= 0, a è uno zero-divisore diM/N e quindi a ∈

√ann(M/N) = P

Se Ass(M/N) = {P} si dice che N è un sottomodulo P -primario di M .

Proposizione 6.0.6. Sia A noetheriano e M 6= 0 finitamente generato. Se N ed N ′ sonosottomoduli P -primari. Allora N ∩N ′ è P -primario.

Dimostrazione. Per l’Osservazione 6.0.5 un primo associato di N ∩N ′ è un primo associato siadi N che di N ′ e quindi Ass(M/(N ∩ N ′)) ⊆ {P}. Siccome N ( M , si ha N ∩ N ′ ( M . Pernoetherianità si ha Ass(M/(N ∩N ′)) 6= ∅.

Sia N (M . Una decomposizione primaria di N in M è una scrittura N = N1 ∩ · · · ∩Nk conogni Ni primario; si dice irridondante se Ni * Nj per tutti gli i 6= j e i primi associati agli Nisono distinti.

Teorema 6.0.9. Sia A un anello noetheriano e M 6= 0 un A-modulo finitamente generato.

1. Ogni sottomodulo irriducibile di M è primario.

2. Se N è un sottomodulo proprio di M e N = N1 ∩ · · · ∩Nr è una decomposizione primariairridondante con Ass(M/Ni) = Pi, allora Ass(M/N) = {P1, . . . , Pr}.

3. Ogni N ( M ha una decomposizione primaria irridondante e in ogni sua decomposizioneprimaria i primi che compaiono sono univocamente determinati (per (2)), come pure lecomponenti primarie associate ai primi minimali di Ass(M); più precisamente, se P è unprimo minimale di Ass(M/N), la corrispondente componente P -primaria è u−1

P (NP ), doveuP : M //MP è la mappa di localizzazione.

Dimostrazione. (1) Dimostrazione di (1). Basta mostrare che se N non è primario, allora èriducibile. Prendendo M/N invece di N ci si riduce al caso N = 0. Per il teorema 6.0.8 l’insiemeAss(M) ha almeno due elementi P1, P2 e quindi M contiene sottomoduli Ki isomorfi ad A/Pi,

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i = 1, 2. Poiché Pi è primo, si ha Pi = (0 : x) per ogni x ∈ Ki \ {0}. Quindi P1 6= P2 implicaK1 ∩K2 = {0} con Ki 6= 0 e quindi 0 è riducibile in M .

(2) Dimostrazione di (2).(prima dimostrazione) Prendendo M/N ci si riduce al caso N = 0. Se 0 = N1 ∩ · · · ∩Nr,

allora M è isomorfo as un sottomodulo di M/N1 ⊕ · · · ⊕M/Nr (lo sapete se r = 2 e per r > 2scrivete 0 = N1 ∩ (N2 ∩ · · · ∩ Nr) ed usate induzione su r). Quindi (teorema 6.0.5 per r = 2 esuo uso ripetuto con induzione su r per r > 2) si ha

Ass(M) ⊆ Ass(⊕ri=1M/Ni) = ∪ri=1Ass(M/Ni) = {P1, . . . , Pr)

Per l’irridondanza, si ha N2 ∩ · · · ∩Nr 6= 0 e prendendo x ∈ N2 ∩ · · · ∩Nr con x 6= 0 si ottiene0 : x = N1 : x. N1 : P1M è un ideale P1-primario e quindi (essendo P1 finitamente generatoper l’assunzione di noetherianità) esiste k > 0 con P k1 M ⊆ N1. Quindi P k1 x = 0. Sia i ≥ 0 conP i1x 6= 0 e P i+1x = 0 e prendete y ∈ P i1x con y 6= 0. Si ha P1y = 0. Si ha y ∈ N2 ∩ · · · ∩Nr ey 6= 0 we quindi y /∈ N1 e poiché N1 è P -primario si ha (0 : y) ⊆ P1 e quindi (0 : y) = P1 e quindiP1 ∈ Ass(M). Allo stesso modo si vede che Pi ∈ Ass(M) per ogni i, i.e. Ass(M) ⊇ {P1, . . . , Pr}.Si era verificata l’altra inclusione all’inizio del passo (2).

(seconda dimostrazione). Come nella prima basta mostrare che P1 ∈ Ass(M/N). Sia α larestrizione ad N2 ∩ · · · ∩Nr della composizione dell’inclusione N2 ∩ · · · ∩Nr ↪→M con la mappaal quoziente M //M/N1. Poiché N = N1 ∩ · · · ∩ Nr, si ha ker(α) = N , i.e. α induce unamappa iniettiva β : (N2∩· · ·∩Nr)/N //M/N1. Poich N1 è P1-primario in M , ci sono un interon > 0 ed una filtrazione U0 ⊂ U1 ⊂ · · · ⊂ Un = M/N di A-moduli con Ui/Ui−1

∼= A/P1 per ognii = 1, . . . , n. Sia m il minimo intero > 0 con m ≤ n e β((N2 ∩ · · · ∩Nr)/N) ∩ Um 6= 0. Poichéβ((N2 ∩ · · · ∩ Nr)/N) ∩ Um ∩ Um−1 = 0 e Um/Um−1

∼= A/P1, β induce una mappa non-nullau : (N2 ∩ · · · ∩Nr)/N ∩β−1(Um) //A/P1. Prendete x ∈ (N2 ∩ · · · ∩Nr)/N per cui u(x) definitae non-zero. Poiché u(x) definita si ha P1 ⊇ Ann(x). Poiché u(x) 6= 0 e A/P1 è un dominio,P1 = Ann(x). x mostra che P1 è un primo associato di N .

(3) Dimostrazione di (3). Abbiamo visto che un sottomodulo proprio ha una decomposi-zione in irriducibile che per la parte (1) è una decomposizione con sottomoduli primari e per laproposizione 6.0.6 prendendo intersezioni opportune possiamo assumere che ogni primo associatocompaia come primo associato di un solo Ni con N = N1∩· · ·∩Nr. Assumiamo ora che P sia unprimo minimale, in Ass(M/N), diciamo associato a N1. Poniamo S := A \ P . Avevo verificatoalla lavagna che localizzazione commuta con l’intersezione di due sottomoduli (alla lavagna solointersezione di due ideali, ma la dimostrazione è la stessa con M invece di A). Per r > 2 loverificate scrivendo N1 ∩ · · · ∩Nr = N1 ∩ (N2 ∩ · · · ∩Nr) ed usando induzione su r). Poiché peri > 1 Ass(M/Ni) = Pi + P per la minimalità di P , si ha (M/Ni)P = 0 per ogni i > 0 e quindiNP = (N1)P . A questo punto si usa la Proposizione 6.0.5 con S := A \ P .

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74 CAPITOLO 6. DECOMPOSIZIONE PRIMARIA

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Capitolo 7

DVR

In alcuni libri elementari di crittografia o di teoria dei codici trovate appendici matematichecon definizioni di gruppo e di DVR. Sarebbe assurdo almeno non introdurre la definizione diDVR (che è anche importante in Teoria dei Numeri).

Definizione 7.0.5. SiaK un campo. Una valutazione discreta suK è una mappa v : K\{0} //Ztale che v(ab) = v(a) + v(b) per ogni a, b ∈ K \ {0}, v(a+ b) ≥ min{v(a), v(b)} se a 6= 0, b 6= 0 ea+ b 6= 0, e v(K \ {0}) 6= {0}. Im(v) è un sottogruppo non nullo di Z e quindi esiste k > 0 conIm(v) = (k). La valutazione discreta si dice normalizzata se v è surgettiva, i.e. k = 1. Prenderevk invece di v permette di considerare solo le valutazioni normalizzate, senza perdere nulla. Sipone anche v(0) =∞ in cui ∞ è +∞, i.e. ∞ è maggiore di tutti gli elementi di Z.

Notate che se a 6= 0 e b 6= 0 v(a/b) = v(a)− v(b) e in particolare v(1) = 0.Sia v : K \ {0} //Z una valutazione normalizzata. Sia t ∈ K \ {0} tale che v(t) = 1. Ponete

R := {0} ∪ v−1(N) e m := {0} ∪ v−1(N \ {0}).

Lemma 7.0.7. R è un anello (contenuto in K e quindi un dominio), v−1(0) è l’insieme deglielementi invertibili di R e K è il campo delle frazioni di R. R è un PID e per ogni ideale I ( Acon I 6= (0) c’è un unico intero k con I = (tk).

Dimostrazione. Tutto è facile e lasciato per esercizio, eccetto l’ultima affermazione. Sia a ∈ I\{0}con v(a) minimo e poniamo k := v(a). Si ha v(a/tk) = 0 = v(tk/a) e quindi a/tk è invertibile inR e quindi (a) = (tk). Si vede allo stesso modo che se b ∈ A e v(b) > k, allora b ∈ (tk). QuindiI ⊆ (tk). Poiché a ∈ I, si ha I ⊇ (a) = (tk), i.e. I = (tk).

R si dice l’anello della valutazione discreta.Gli anelli R come nel lemma si chiamano DVR (Discrete Valuation Rings).Il prossimo lemma mostra come invertire la costruzione, cioé partendo da un anello MOLTO

particolare ottenere una valutazione discreta.

Lemma 7.0.8. Sia R un dominio di integrità che sia un anello locale con ideale massimaleprincipale, R noetheriano, e R non un campo. Sia K il campo delle frazioni di R e R× l’insiemedegli elementi invertibili di R. Sia t un generatore dell’ideale massimale m di R. Allora per ognix ∈ K \ {0} esistono unici c ∈ R× e k ∈ Z con x = ctk. Ponendo v(x) = k si ottiene unavalutazione discreta normalizzata v di K con R = {0} ∪ v−1(N).

Dimostrazione. R non un campo equivale a t 6= 0. Anzitutto verifichiamo che ∩k∈N(tk) = {0}.Assumiamo non lo sia e che ci sia y ∈ ∩k∈N(tk) con y 6= 0. Per ogni k ≥ 0, si ha y/tk ∈ A. La

75

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76 CAPITOLO 7. DVR

famiglia di ideali (y/tk) è crescente e deve essere stazionaria per la noetherianità di A. Quindiesiste z > 0 e c ∈ A con y/tz+1 = c/tz. Siamo all’interno di K \ {0} e quindi c = t−1 equindi t ∈ R×, contraddicendo l’assunzione che t sia nel massimale di R. Prendiamo ora x ∈ A.Abbiamo visto che l’insieme degli interi z ≥ 0 con x/tz ∈ A ha un massimo e lo chiamo z. Siha x/tz ∈ R× perchè R× = R \ (t). Possiamo prendere k = z e c = x/tz. Se x ∈ K \ A, allorax−1 ∈ m e se x−1 = c1t

z basta prendere c = c−11 e k = z. Se x ∈ K \ {0} ed esistono c, c1 ∈ R×

e z,m ∈ Z con x = ctz = c1tm si ha tz−m = c1c

−1 e quindi z = m; ne segue che c = c1.

Mettendo insieme i due lemmi si vede che si può sostituire noetherianità con l’assunzione apriori molto più forte PID.

Esempio 7.0.1. Come esempio di DVR prendete un PID A non campo (ad esempio Z o K[x])e l’anello locale S−1A con S = A \ (p), p 6= 0 e p primo.

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Capitolo 8

Complementi ai capitoli 4 e 5 delMiles Reid

Sia K un campo qualunque. La topologia di Zariski non richiede che K sia algebricamentechiuso. Per ogni insieme S ⊆ Kn si definisce I(S) ideale di K[x1, . . . , xn] e per ogni idealeI ⊆ K[x1, . . . , xn] con V (I(S)) = S (e in particolare V (I(S)) = S se S è chiuso per la topologiadi Zariski. Sul Miles Reid si definisce la definizione di chiuso irriducibile. Ogni chiuso V di Kn

è unione finita di chiusi irriducibili Vi, V = V1 ∪ · · ·Vs e le Vi sono unici a meno di permutazionedegli indici se si aggiunge che Vi ( Vj per ogni i 6= j.

Lemma 8.0.9. Un chiuso V ⊆ Kn è irriducibile se e solo se I(V ) è primo.

Dimostrazione. Sia I(V ) non primo e prendiamo f, g ∈ K[x1, . . . , xn] con f /∈ I(V ), g /∈ I(V ) efg ∈ I(V ). Sia V1 = V (I ∪ {f}) e V2 = V (I ∪ {g}). Per ipotesi V1 * V , V2 * V . Verifichiamoche V1 ∪ V2 = V . Assumiamo che esista x ∈ V \ (V1 ∪ V2). Per definizione di V1 (resp. V2) haf(x) 6= 0 (resp. g(x) 6= 0). Poiché fg ∈ I(V ) abbiamo (fg)(x) = 0, assurdo. Viceversa, siaV = V1 ∪ V2 con V1, V2 chiusi, V1 * V e V2 * V . Per definizione di chiuso di Zariski abbiamoI(V ) * I(V1) e I(V ) * I(V2). Prendete f ∈ I(V1)\I(V ) e g ∈ I(V2)\I(V ). Abbiamo fg ∈ I(V ),perché fg si annulla in tutti i punti di V1 ∪ V2.

Poniamo R := K[x1, . . . , xn]. Sia ε : R // {Kn //K} la mappa di valutazione, the mandaf(x1, . . . , xn) ∈ R nella funzione f : Kn // K che manda a = (a1, . . . , an) in f(a1, . . . , an).L’insieme {Kn //K} è un anello commutativo con unità, in cui l’addizione e la moltiplicazionesono ottenute usando l’addizione e la moltiplicazione nel targetK, i.e. per ogni f, h ∈ {Kn //K},(f +h)(a) = f(a) +h(a) e (fh)(a) = f(a)h(a) per ogni a ∈ Kn. Lo zero (resp. 1) di {Kn //K}è la funzione costante 0 (resp. 1). Per ogni f ∈ R sia degxi(f) il grado di f come polinomio inxi, con la convenzione degxi(f) = 0 se f non dipende da xi.

Lemma 8.0.10. Sia K un campo. Per ogni intero d ≥ 0 sia K[t]≤d il K-spazio vettoriale deipolinomi di grado ≤ d (compreso lo 0). Notate che K[t]≤d è un K-spazio vettoriale di dimensioned + 1 con le potenze tk, 0 ≤ k ≤ d, come base. Assumiamo che K abbia almeno d + 1 elementie prendiamo a0, . . . , ad ∈ K con ai 6= aj se i 6= j. Per ogni (b0, . . . , bd) ∈ Kd+1 c’ è un solof ∈ K[t]≤d con f(ai) = bi ed f =

∑di=0 bifi con fi =

∏j 6=i(t−aj)∏j 6=i(ai−aj)

(formula di interpolazione diLagrange).

Dimostrazione. Poniamo S = {a0, . . . , ad}. Notate che K[t]≤d e {S // K} sono due spazivettoriali di dimensione Kd+1 e che la mappa f 7→ (f(a0), . . . , f(ad)) è una mappa K-lineare, η,

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78 CAPITOLO 8. COMPLEMENTI AI CAPITOLI 4 E 5 DEL MILES REID

tra di loro. Quindi η è iniettiva, se e solo se è surgettiva. Quindi è sufficiente osservare che perogni i = 1, . . . , k, la funzione fi soddisfa f(aj) = 0 se j 6= i e f(ai) = 1.

Lemma 8.0.11. Take f ∈ R and S1, . . . , Sn ⊆ K tali che |Si| > degxi(f). Se f(a) = 0 per ognia ∈ S1 × · · · × Sn, allora f = 0.

Dimostrazione. Si usa induzione su n, il caso n = 1 essendo vero poiché un polinomio di gradod > 0 in una variabile ha al massimo d zeri. Assumiamo n > 1. Fissiamo b = (b1, . . . , bn−1) ∈S1 × · · · × Sn−1. Definite gb ∈ K[xn] definito dalla formula gb(xn) := f(b1, . . . , bn−1, xn). Lafunzione gb si annulla su Sn e poicé gb è un polinomio di grado al massimo degxn(f), si ha gb = 0.Scriviamo f come elemento di K[x1, . . . , xn−1][xn]. I coefficienti delle varie potenze di xn sonopolinomi in x1, . . . , xn−1 i cui gradi in xi, i = 1, . . . , n−1, sono al massimo degxi(f). Per l’ipotesiinduttiva tutti questi polinomi sono nulli e quindi f = 0.

Lemma 8.0.12. Se K è infinito, la funzione di valutazione ε è iniettiva.Se K è con |K| = q, allora ker(ε) = (xq1 − x1, . . . , x

qn − xn) e ε è surgettiva.

Dimostrazione. Prendiamo f ∈ ker(ε). Se K è infinito, troviamo S1, . . . , Sn con |Si| > degxi(f).Poicé ε(f) si annulla su S1 × · · · × Sn per il lemma 8.0.11 si ha f = 0. Ora assumiamo K finitocon q := |K|. K \ {0} è un gruppo (per la moltiplicazione) e |K \ {0}| = q − 1. Quindi tq−1 = 1per ogni t ∈ K \ {0}. Quindi tq = t per ogni t ∈ K. Quindi xqi − xi ∈ ker(ε). Sia Γ := {f ∈K[x1, . . . , xn] | degxi(f) ≤ q− 1 per ogni i = 1, . . . , n}. Γ è un K-spazio vettoriale di dimensioneqn con come base tutti i monomi in x1, . . . , xn in cui ciascuna variabile compare al massimo algrado q − 1. Per il Lemma 8.0.11 ε|Γ è iniettiva. Poiché {Kn //K} è un K-spazio vettorialedi dimensione |Kn| = qn, ε è surgettiva. Per concludere che ker(ε) = (xq1 − x1, . . . , x

qn − xn) è

sufficiente concludere che la restrizione a Γ della mappa K-lineare R //R/(xq1−x1, . . . , xqn−xn)

è bigettiva. Di fatto per ogni f ∈ R si ottiene un unico f ∈ Γ in questo modo; Se in f compareun monomio in cui una delle variabili, ad esempio xi, compare con esponente almeno q abbassareil suo esponente di q − 1; iterare il procedimento fino a quando si ottiene f ∈ Γ.

Ora consideriamo gli spazi proiettivi su un campo K. Fissiamo n ∈ N e poniamo B :=K[x0, . . . , xn]. Scrivo PnK o Pn(K) per lo spazio proiettivo di dimensione n su K e chiamoπ : Kn+1 \ {0} // PnK la mappa che identifica elementi proporzionali di Kn+1 \ {0}. Per ognimonomio E = xa0

0 · · ·xann l’intero a0+· · ·+an si dice il grado deg(E) di E. Un polinomio f ∈ R sidice omogeneo di grado d, d ∈ N, se gli unici monomi con coefficiente non nullo in f hanno gradod; per convenzione il polinomio 0 si dice omogeneo di qualunque grado. Con questa convenzionel’insieme Bd = K[x0, . . . , xn]d di tutti i polinomi omogenei di grado d è un K-spazio vettorialedi dimensione

(n+dn

)=(n+dd

). Un ideale I ⊆ B si dice omogeneo se verifica una delle seguenti

proprietà che verificate subito (facile esercizio):

1. I è generato da polinomi omogenei;

2. I è generato da un numero finito di polinomi omogenei;

3. per ogni f ∈ f se∑k≥0 fk è il suo sviluppo di Taylor con fk omogeneo di grado k, allora

ogni fk ∈ I.

Nota bene: in (1) e (2) non si richiede che i polinomi omogenei abbiano lo stesso grado: I =(x0, x

31) è omogeneo. Verificate che se I è omogeneo, il suo radicale è omogeneo. L’ideale

(x0, . . . , xn) è omogeneo e si chiama l’ideale irrilevante. Un ideale omogeneo è proprio se e solose è generato da polinomi omogenei di grado > 0 e in questo caso l’ideale è contenuto nell’idealeirrilevante. Se f ∈ B è omogeneo e p ∈ PnK con π(q) = p si dice che f si annulla in p se si annulla

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8.1. DIMENSIONE DI KRULL 79

in q; si usa che f è omogeneo per mostrare che se q′ ∈ π−1(p) allora f(q) = 0 se e solo se f(q′) = 0.Per ogni S ⊆ PnK sia I(S) ⊂ B l’ideale generato da tutti i polinomi omogenei che si annullanoin tutti i punti di S, ma con la convenzione I(∅) = (x0, . . . , xn). Con questa convenzione tuttigli ideali I(S) sono ideali radicali omogenei contenuti nell’ideale irrilevante. Ovviamente S ⊆ S′implica I(S′) ⊆ I(S). Per ogni insieme F ⊂ B di polinomi omogenei sia V (F ) l’insieme deip ∈ PnK tali che ogni f ∈ F si annulla in p. Ovviamente F ⊆ F ′ implica V (F ′) ⊆ V (F ).Verificate che V (F ) = V (G) con G una qualunque famiglia di polinomi omogenei che genera (F )(in particolare esiste F1 ⊆ F finita con V (F ) = V (F1)). Verificate che I(V (F )) = (F ). Mostrateche i V (F ) inducono una topologia (chiamata topologia di Zariski) su PnK che è noetheriana (equindi ogni sottoinsieme chiuso ha una decomposizione in irriducibili). Questa topologia è latopologia discreta se K è finito (e quindi PnK è un insieme finito) o se n = 0 (notate che P0

K èun singolo punto). Verificate che se K è infinito, allora PnK è irriducibile, dimostrando che unchiuso V ⊆ PnK è irriducibile se e solo se I(V ) è un ideale primo.

Ora assumete K algebricamente chiuso e dimostrate (usando solo l’enunciato del strongNullstellensatz, non la sua dimostrazione) questi enunciati;

1. Per ogni ideale omogeneo J ( B, I(V (J)) = rad(J).

2. Per ogni ideale omogeneo J ( B si ha V (J) = ∅ se e solo se J è l’ideale irrilevante.

3. V (J) è un singolo punto, π((a0, . . . , an)), se e solo se J è generato da tutti i seguentipolinomi omogenei di grado 1 ajxi − aixj , 0 ≤ i < j ≤ n (e se se solo se J è un elemen-to massimale dell’insieme parzialmente ordinato (per l’inclusione) degli ideali omogeneistrettamente contenuti nell’ideale irrilevante).

8.1 Dimensione di KrullSia (X, τ) uno spazio topologico, X 6= ∅. La dimensione di Krull di (X, τ) è l’estremo superiore

degli interi n ≥ 0 tale che esiste una catena T0 ( · · · ( Tn con ogni Ti chiuso irriducibile di Xe T0 6= ∅. In particolare per ogni anello A 6= {0} la dimensione di Krull dimA di A è ladimensione di Krull dello spazio topologico Spec(A) con la topologia di Zariski, i.e. dimA èl’estremo superiore degli interi n ≥ 0 tale che esiste una catena p0 ( · · · ( pn con pi primo in A.Ci sono anelli noetheriani con dimensione di Krull +∞ (l’esempio di Akizuki lo trovate alla finedel Miles Reid, pag. 139, simile a quello che [1, Ex. 4, Ch. 11] chiama di Nagata), ma ci sonovaste classi con dimensione di Krull finita e molto interessanti.

Lemma 8.1.1. Se A 6= {0} si ha dimA[x] ≥ dimA+ 1.

Dimostrazione. p0 ( · · · ( pn. Considerate la catena p0A[x] ( · · · ( pnA[x] ( (x, pn), in cuipiA[x] è l-insieme dei polinomi con tutti i coefficient in pi; piA[x] è primo perché A[x]/pi[x] ∼=(A/pi)[x] è un dominio, essendo A/pi un dominio; (x, pn) è primo percé A[x]/(x, pi) ∼= A/pi èun dominio.

Quindi dimA = +∞, allora dimA[x] = +∞. Si sono anelli con dimA[x] > dimA + 1, mavale ([1, Ex. 7, Ch. 11]):

Teorema 8.1.1. Se A è noetheriano, allora dimA[x] = dimA+ 1.

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80 CAPITOLO 8. COMPLEMENTI AI CAPITOLI 4 E 5 DEL MILES REID

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Bibliografia

[1] M. Atiyah and I. Macdonald, Introduction to commutative algebra, Addison & Wesley,Reading MA, 1969.

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