diventate misericordiosi come il padre vostro. · 37 e non giudicate e non sarete affatto...

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Vangelo di Luca p. Filippo Clerici e p. Silvano Fausti Trascrizione non rivista dagli autori 1 11 aprile 2005 Luca 6, 36-42 Diventate misericordiosi come il Padre vostro. Il Vangelo di Luca è una variazione sul tema del v. 36: diventate materni come il Padre. La misericordia, essenza di Dio, è il nuovo codice di santità, principio di ogni relazione non solo con i nemici, ma anche all'interno della comunità. I vv. 37-38 sono i quattro pilastri della comunità. 36 Diventate misericordiosi, così come anche il Padre vostro è misericordioso. 37 E non giudicate e non sarete affatto giudicati, e non condannate e non sarete affatto condannati; assolvete e sarete assolti; 38 date e sarà dato a voi: una misura bella, pigiata, scossa, straboccante daranno verso il vostro grembo, perché con la misura con la quale misurate sarà rimisurato a voi. 39 Ora disse loro anche una parabola: Può forse un cieco guidare un cieco?

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Vangelo di Luca p. Filippo Clerici e p. Silvano Fausti

Trascrizione non rivista dagli autori 1

11 aprile 2005

Luca 6, 36-42

Diventate misericordiosi come il Padre vostro.

Il Vangelo di Luca è una variazione sul tema del v. 36: diventate materni come il Padre. La misericordia, essenza di Dio, è il nuovo codice di santità, principio di ogni relazione non solo con i nemici, ma anche all'interno della comunità. I vv. 37-38 sono i quattro pilastri della comunità.

36 Diventate misericordiosi, così come anche il Padre vostro è misericordioso. 37 E non giudicate e non sarete affatto giudicati, e non condannate e non sarete affatto condannati; assolvete e sarete assolti; 38 date e sarà dato a voi: una misura bella, pigiata, scossa, straboccante daranno verso il vostro grembo, perché con la misura con la quale misurate sarà rimisurato a voi. 39 Ora disse loro anche una parabola: Può forse un cieco guidare un cieco?

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Forse non cadranno entrambi in una fossa? 40 Non c’è discepolo sopra il maestro; chiunque, per quanto ben preparato, sarà come il suo Maestro. 41 Ora, perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non consideri la trave, quella nel tuo proprio occhio? 42 Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia, estraggo la pagliuzza dal tuo occhio”, senza vedere tu stesso la trave nel tuo occhio? Ipocrita, estrai prima la trave dal tuo occhio; e allora osserverai la pagliuzza, quella nell’occhio del tuo fratello, per estrarla.

Salmo n. 117 (116)

1 Alleluia. Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria; 2 perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura in eterno.

Questo Salmo è un invito alla lode, alla gloria, perché l’amore del Signore è forte, perché la sua fedeltà è estesa a tutti, per sempre. Amore e fedeltà, secondo Luca è la misericordia del Signore e viene donata anche a noi la possibilità di misericordia nei confronti di tutti.

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Ci siamo lasciati ancora prima di Pasqua con il Vangelo di Luca e siamo al discorso delle beatitudini, dove la premessa dice che tutti venivano per ascoltarlo ed essere guariti – è la Parola che ci guarisce – e poi, si dice: “e per toccarlo”.

In questa Parola effettivamente noi tocchiamo chi è Dio nella sua diversità, nella sua unità. E si dice ancora: perché da lì usciva una potenza che sanava tutti. Da queste parole esce una potenza che ci sana tutti. E quello che abbiamo visto finora con le beatitudini ci dice il criterio del Regno di Dio, cioè il manifesto del Regno di Dio e ci presenta l’uomo pienamente realizzato, dove l’uomo realizzato non è quello che ha la mano su tutte le cose, quello che può avere i piedi sulla testa di tutti, non è quello che ha Dio in tasca, ma l’uomo pienamente realizzato è quello che sa donare, che sa amare, è quello che è umano, cioè umile, è quello che non ha Dio in tasca, se tutto va bene lo cerca.

E la cosa più sorprendente di questo discorso delle beatitudini è che ci dà i criteri nuovi di azione. E spiego. Perché l’uomo – abbiamo detto infinitamente volte, ma è utile ripeterlo – non è programmato dall’istinto, ma è desiderio e il desiderio per sé non ha oggetto, l’oggetto lo determini da quello che vogliono anche gli altri. Se uno vuole una cosa, anche tu la vuoi. E tutti sbagliamo perchè desideriamo le stesse cose e questo ci presenta i desideri di Dio che ci liberano da certe cose che ci chiudono in noi stessi. Tra l’altro, il desiderio ha una caratteristica: vuole sempre di più. Supponete il desiderio di felicità: tu desideri essere felice e sei triste, cosa fai quando sei triste? Basta andare a un bar, prenderti una cioccolata calda con tanta panna e tanto zucchero e compensi con la dolcezza. Dopo sei più felice? No. Hai sbagliato il modo di realizzare il desiderio. Ora se invece del cioccolato e della panna e dello zucchero si fanno altri errori, sono molto peggiori; ci sono altri cioccolati più nocivi e tante panne più nocive. Cioè il problema è individuare che cosa ci rende felici. E nelle beatitudini si dice questo.

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E poi, dopo aver detto quali sono gli oggetti del desiderio, si dice quali sono le nostre relazioni coi nemici. E abbiamo visto come ci si comporta con i nemici. Dio non ha nemici, è solo amore verso tutti e se noi vogliamo diventare figli di Dio dobbiamo cominciare ad amare i nemici, se no, non siamo figli di Dio.

E questa sera arriviamo al centro di tutto il discorso, addirittura al nocciolo e tutto il Vangelo di Luca non è altro che una variazione sul tema del versetto che adesso leggiamo. Poi leggeremo anche qualche altro versetto, ma basterebbe quello.

Luca 6, 36-42

36Diventate misericordiosi, così come anche il Padre vostro è misericordioso. 37E non giudicate e non sarete affatto giudicati, e non condannate e non sarete affatto condannati; assolvete e sarete assolti; 38date e sarà dato a voi una misura bella, pigiata, scossa, straboccante daranno verso il vostro grembo, perché con la misura con la quale misurate sarà rimisurato a voi. 39Ora disse loro anche una parabola: può forse un cieco guidare un cieco? Forse non cadranno entrambi in una fossa? 40Non c’è discepolo sopra il maestro; chiunque, per quanto ben preparato, sarà come il suo Maestro. 41Ora, perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non consideri la trave, quella nel tuo proprio occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia, estraggo la pagliuzza dal tuo occhio”, senza vedere tu stesso la trave nel tuo occhio? Ipocrita, estrai prima la trave dal tuo occhio e allora osserverai la pagliuzza, quella nell’occhio del tuo fratello, per estrarla.

Il primo versetto, il v. 36, è il centro di tutto il Vangelo di Luca. E tutto il Vangelo è una variazione sul tema di questo versetto. Diceva Dante che Luca è lo scriba mansuetudinis Christi, è lo scrivano della mansuetudine di Cristo. Tutto il Vangelo è un commento di questo. E poi seguono quattro imperativi che sono i quattro imperativi di come ci si comporta all’interno della comunità,

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di quella comunità che è la famiglia e che è la comunità delle persone con le quali viviamo. Poi invece il seguito del testo, come quello che vedremo anche la volta prossima è per dire: guarda che non c’è altra strada che questa; se credi di essere illuminato, se credi che ci sono altre strade molto più interessanti di questa, sei un cieco.

E allora cominciamo dal primo versetto sul quale ci potremmo restare qualche giorno, in attesa di impegnarci poi la vita… e di godere l’eternità su questo.

36Diventate misericordiosi, così come anche il Padre vostro è misericordioso.

Per capire l’importanza di questo versetto, dovete tenere presente che esso rifà il verso al codice fondamentale della legge, ripetuto nel Letivico e altrove, dove dice: Siate santi, perché io sono santo. E’ il principio della legge. Dobbiamo essere come Dio. Dio com’è? Santo. Cosa vuol dire “santo”? Santo è un attributo che non ha analogie, vuol dire che è diverso, solo lui è santo. Vuol dire “separato”, “inviolabile”, “irraggiungibile”, sta là. Noi dobbiamo diventare come lui. Ma com’è lui? E’ santo. E’ il desiderio profondo dell’uomo diventare come Dio. Come ha fatto Adamo? Voleva diventare come Dio. Ma anche in tutti i miti: cosa fa Prometeo? Va a rubare il fuoco divino. Cosa fanno i titani? Danno la scalata al cielo. Cosa fa l’ateo? Dice: Dio sono io! In fondo il desiderio profondo dell’uomo, il suo marchio indelebile è essere come Dio. Cioè è desiderio, è apertura all’infinito. Il problema è sapere com’è Dio, perché Dio è altro, è diverso. E Luca ci spiega com’è altro. Matteo, nel passo parallelo dice: Siate perfetti. Dio è altro perché è perfetto. Noi manchiamo sempre di qualche cosa. Lui è perfetto, è compiuto. Qui ci si spiega in cosa consiste l’alterità di Dio e la compiutezza di Dio. Consiste nel fatto non che lui è misericordioso, ma che lui è misericordia. Dio è altro, è impensabile, è diverso da tutti, perché è tutto e solo misericordia. Esisteva già l’attributo misericordioso anche nella Bibbia, applicato a Dio. Molte volte. Anche nel Corano si

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dice che Dio è misericordioso. Tutti dicono che Dio è misericordioso, però è anche giudice, però è anche giusto, e poi è anche tante altre cose. Ha altri attributi. Tutti gli altri sono attributi di Dio e l’attributo dice qualcosa, ma in modo analogico, per cui non si capisce cosa voglia dire, perché c’è anche subito il contrario. Invece la misericordia è la sua santità. Dio è Dio perché è misericordia.

E per dire “misericordioso” usa una parola che esce soltanto come aggettivo due volte: qui e in Gc 5, 11, dove si dice che Dio è pluriviscerale, è misericordioso.

La parola “misericordia” in greco, traduce la parola ebraica “rakamin” che vuol dire “utero materno”. Quindi l’essenza di Dio Padre è che è madre, è che è utero. Diventate “uterini” come è “uterino” il Padre vostro celeste. Cioè è amore che necessariamente accoglie. E’ il principio della vita, che non giudica, non condanna, accoglie comunque, dove la stessa miseria è oggetto di amore ancora più grande, dove ogni male è riscattato da un amore infinitamente più grande. Addirittura proprio nel male si rivela la gratuità e l’amore assoluto.

Non è che la mamma butta via il figlio perché sta male o fa male! Lo ama di più, e così si capisce che cos’è l’amore. Così Dio lo si capisce proprio da questo aspetto e lo si capisce proprio nella miseria, nel male che c’è. Quindi non si suppone di essere perfetti per diventare come Dio, perché la perfezione di Dio è “essere misericordioso”: l’alterità di Dio è essere uterino.

Anche in 2 Corinti 1,3 si parla del Padre pluriuterino, dalle molto misericordie.

Volevo dire che questo ci porta a intravedere e a sperimentare che Dio è grembo generante, perché dà vita, però è anche accogliente, perché nella vita e con l’esperienza umana si confronta e soffre anche dell’errore, del peccato, della morte. Dio è non solo generante, ma anche accogliente, per cui rigenera. La misericordia è anche questa.

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Pensavo a questo grande mistero di un Dio che è così. Noi lo pensiamo sempre diverso: Dio Padre onnipotente, creatore, padrone di tutto, ecc. Dio è altro, Dio è Padre, e la sua essenza è essere madre. Perché quando parliamo di Dio, parliamo per modo di dire: sì è Padre.

Sì, è padre in quanto madre. La sua paternità, l’essere il principio che regge il mondo e quindi anche il principio che lo giudica, perché va retto con giudizio, con criterio, con saggezza, con libertà; il principio di tutto questo è il suo essere uterino, cioè amore assolutamente accogliente, che è il principio di ogni libertà, di ogni vita, di ogni alterità.

E si dice non “siate” come è tradotto, ma “diventate”, perché tra l’essere e il non essere c’è il divenire. Diventiamo giorno dopo giorno.

E questo è l’imperativo fondamentale del Cristianesimo: diventate ciò che siete: siamo figli di Dio, quindi uguali a Lui. E Dio chi è? E’ così, è materno.

E l’importanza di un Dio così è che rispetta assolutamente la libertà, perché accoglie comunque; ogni limite diventa luogo di accoglienza; ogni miseria diventa luogo di misericordia; ogni male diventa luogo di perdono; e ogni abisso di cattiveria è assorbito, è riempito da un abisso di amore infinito, per cui si rivela mirabilmente Dio proprio nel male; non perché Dio abbia bisogno del male, ma perché proprio, come dice Romani 5, 20: Dove

abbondò il peccato, il male, lì abbonda la grazia, la misericordia. Come la buca dell’oceano contiene acqua e più è grande più acqua contiene, così davvero il male non è che vince davanti a Dio, ma effettivamente riscatta, questa misericordia, da ogni miseria. E Dio appare come Dio, proprio nella misericordia, non altrove. Così anche Geremia 31, 34 dice: Tutti conoscerete chi è il signore dal più piccolo al più grande, perché? Perché io perdonerò. E’ nel perdono che si capisce chi è Dio. E’ amore gratuito e senza condizioni.

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E tutto il Vangelo di Luca è una variazione sul tema di questa misericordia. E mentre tutte le religioni propongono o qualche ascesi, o qualche morale anche molto seria che è pure giusta, qui propone la misericordia. Diventare misericordiosi. Noi quando pensiamo a Dio misericordioso ci va benissimo. Così posso fare tutto il male che voglio e lui mi perdona. Questo ragionamento è perverso; sarebbe come dire: mia mamma mi vuole bene e allora la posso torturare, non reagisce. Non ho capito che mi vuole bene! Se io ho capito la misericordia, comincio a usare misericordia; la misericordia è una santità superiore a qualunque santità; accettare l’altro come “altro” nel suo limite, nel suo male, nella sua miseria, è più alto di qualunque atto eroico. E’ quel che fa Dio con noi. Proprio così diventiamo come Dio.

Non ci si domanda di essere giusti, cioè “giustizieri”, ci si domanda di essere come Dio: Dio è misericordioso.

Diventate misericordiosi, materni, uterini, così come anche il Padre è uterino.

E poi si dice “vostro”.

E’ Gesù che parla. Il “Padre mio”, suo Padre, diventa “nostro”, e si sottolinea “vostro”, perché siete insieme. Nella misura in cui state insieme è Padre. Se tu neghi la fraternità con l’altro, non è Padre. Può essere solo “vostro” per chi accetta la fraternità, altrimenti neghi il Padre.

Ora, dicevo, qui ci potremmo stare all’infinito in questa contemplazione. Tutto il Vangelo di Luca non è altro che una variazione sul tema, su questo tema della misericordia. Ed è la chiave di lettura di tutta la Bibbia. Lo troviamo già in Giona che è così. Poi quando uno lo capisce, allora rilegge tutta la Bibbia dalla creazione e capisce chiaro che è così.

Se dimentichiamo questo riduciamo il Cristianesimo ad una Religione. Ora le Religioni sono tutte positive, ma sono anche tutte negative! In nome di Dio ci si ammazza sempre. Sempre bisogna

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fare il nome di Dio, perché? Non si potrebbe fare diversamente, non è lecito. E’ in nome di Dio che si fa tutto il male, si giudica, si condanna, ci si divide, si lotta contro gli altri. Questo è un abominio, per sé. E capire la misericordia di Dio è la massima purificazione che ci possa essere, alla quale non si arriva con nessuna ascesi, perché è bruciante la misericordia, cioè è un amore gratuito, assoluto, senza condizioni. Se veramente lo sperimenti e cerchi di accordarlo, t’accorgi che la tua vita cambia radicalmente. Però, calma!, cambia radicalmente, ma “diventate!” giorno dopo giorno. L’esistenza ci è data per questo. E questo è il cardini di tutto.

Mi piace sottolineare questa differenza di traduzione, perché aiuta a pensare che non tanto uno incomincia ed è subito misericordioso, siate misericordiosi, punta subito al massimo; no, questa è espressione più dinamica: “diventate”. Anche perché si può dire che non si nasce misericordiosi; si nasce, come minimo, egocentrici! Poi pian piano magari si diventa egoisti! Però con l’irrompere di questa misericordia da parte del Signore, così come viene recepita, davvero si entra in un circolo virtuoso, si diventa progressivamente misericordiosi.

E adesso, da questa misericordia vengono i quattro cardini della vita comune, validi per la famiglia, per la comunità, per la chiesa e un po’ alla volta si capisce anche per la società

Sono quattro espressioni, due negative e due positive.

37E non giudicate e non sarete affatto giudicati, e non condannate e non sarete affatto condannati; assolvete e sarete assolti; 38date e sarà dato a voi una misura bella, pigiata, scossa, straboccante daranno verso il vostro grembo, perché con la misura con la quale misurate sarà rimisurato a voi.

Abbiamo qui quattro imperativi, cinque col precedente che, assommati ai dodici precedenti, sono diciassette imperativi.

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Il numero diciassette vi dice niente, se non che porta sfortuna!

Il numero diciassette in realtà ha il valore numerico della parola ebraica tov, bello; cioè questi diciassette imperativi ci restituiscono la nostra identità, la nostra bellezza originaria, come Dio ha pensato il mondo e l’uomo che è molto bello.

E questi imperativi sono in realtà degli indicativi: descrivono chi è Gesù, il Figlio.

E poi, direi, sono diversi. Normalmente per imperativo si usa in greco l’aoristo, per dire “è una sentenza, devi fare così” o addirittura per certe leggi il futuro “non ucciderai”. Questi invece sono al presente. Ed è abbastanza raro usarli così, e hanno un significato preciso: per esempio il primo: “non giudicate” non è tradotta giusto. Se volesse dire “non giudicate”, ci sarebbe un altro tempo in greco, l’aoristo. Invece dice: “smettetela di giudicare”, non continuate a giudicare”. E’ un imperativo presente negativo che vuol dire: “siccome sempre giudichiamo, incominciamo a smettere di giudicare”. Quindi la prima conseguenza, se vogliamo diventare come Dio, è smetterla di giudicare. E giudicare che cos’è? E’ la prima cosa che facciamo quando vediamo una persona. La pesiamo, la valutiamo, la misuriamo, la passiamo col setaccio – la parola “giudicare” vuol proprio dire “setacciare – e cosa si fa col setaccio? Si trattiene la crusca e si butta via la farina. La farina passa, rimane il difetto. Questa persona è brava, ma…

Ecco, uno che giudica fa molti peccati insieme: il primo è che ruba il mestiere a Dio, che è l’unico giudice! Ma Dio non ne ha a male, ruba pure il mestiere, dice, diventa come me. L’errore è che giudichi il contrario di me, perché tu sei cattivo e giudichi cattivo l’altro. Io che sono buono, giudico l’altro buono. Dio ha un solo giudizio in tutti i Vangeli ed è la Croce di Cristo. E il giudizio di Dio è che l’uomo è così buono che vale la pena che Dio crepi in Croce per lui anche se lo ammazza, per errore, perché – dice – non sa quello che fa. Questo è l’unico giudizio di Dio. E’ la Croce, dove lui dà la vita

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per i peccatori, perdonando, perché? Perché ci stima. Anche l’uomo più perverso e più lontano da Dio gode da parte di Dio una stima infinita, lo stima più di sé, perché l’amore è stimare l’altro più di sé, lo ama infinitamente.

E si può stare insieme solo se non ci si giudica, se no è un calvario stare insieme.

E non sarete giudicati: il che vuol dire che se giudico, sarò giudicato. Non da Dio, ma da me. Dal mio giudizio. In fondo il giudizio esprime esattamente quel che ho nel cuore. A me colpisce sempre il giudizio che danno le mamme sui figli che magari sono in prigione e ne han fatte di grosse e dicono: “mio figlio è buono!” e hanno ragione! Dice così anche Dio. Questo giudizio fa buono, coglie la verità della persona. E come si stroncano i figli col giudizio, dicendo: “sei cattivo!”. L’hai ucciso.

E dirò di più – può sembrare paradossale, ma è vero – che se io giudico uno come “cattivo” perché uccide un altro, il mio giudizio su di lui è peggiore dell’uccisione, perché magari l’ha ucciso per incidente; il mio giudizio invece è a freddo e vuol dire che condanno Dio che lo ama come figlio e non lo giudica. Per dire quant’è grave il giudizio. Ed è ciò che facciamo sempre. Per cui la prima cosa è “smettetela di giudicare”, l’altro è tuo fratello.

E, tra l’altro, giudico nell’altro, quel che mi dà fastidio, che mi fa da specchio, in fondo. Perché uno giudica con il suo occhio e Dio che ha l’occhio buono, l’uomo lo vede molto bello. Beato lui, e ha ragione lui! Noi che abbiamo l’occhio cattivo, vediamo il male. Tra l’altro pensiamo sempre Dio come giudice. Sì, è giudice, esattamente al contrario di noi. Il giudizio di Dio è il dono dello Spirito che è l’avvocato difensore, il consolatore. E questo cambia totalmente i rapporti tra di noi. Pensate quanto è orribile vivere di giudizio nei rapporti. Se sbaglio mi fa fuori! E viviamo di giudizio, incominciando dai genitori con i piccoli, poi con la scuola, poi al lavoro, poi tutto è un giudizio. Non è che questo renda molto. Può darsi che renda molto perché poi bisogna andare dallo psicologo a

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curarsi e questo induce molti mali, però… rende molto di più il non giudizio, la stima dell’altro. Perché uno cerca poi di adeguarsi – l’uomo, in fondo è come è visto dall’altro, è relazione – al giudizio dell’altro, per non deluderlo farò male se sono così cattivo!

Per questo “non giudicate”. Non sto a tirar fuori i testi, ma sono infiniti!

Si può forse aggiungere qualcosa circa il fatto che non è che si possa accettare tutto, in quanto tutto fa brodo, no, credo che si parli giustamente anche di distinguere, di discernere. Ecco si distingue, si discerne, si giudica situazioni diverse. Che è escluso da Gesù è proprio il giudizio sulla persona che poi diventa condanna. E’ giusta la valutazione e la condanna del male, del peccato, non di colui che è peccatore o che fa il male. La persona non dev’essere giudicata, non dev’essere condannata.

Tra l’altro noi giustifichiamo moltissimo il peccato, il male, oggi. Questo non va giustificato, perché il male fa male. Va giustificato il peccatore. Invece ci sono enormi sensi di colpa, si colpevolizza chi lo fa eventualmente. Quindi il giudizio sul male sì, ma non su chi fa il male, perché chi fa il male è la prima vittima del male, ha bisogno di essere capito, accolto, curato. Così come il medico fa una buona diagnosi sulla malattia per curarla, ma cura il malato, non è che voglia sterminare il malato, vuole sterminare il male se tutto va bene.

E vedete come crollano tutte le nostre immagini di Dio: Se è essenza del Padre l’essere madre, l’uterinità di Dio, allora la prima cosa è non giudicare. La vera perfezione è non giudicare l’altro. Il male sì lo giudico, per non farlo io.

E poi “non condannate”.

Noi abbiamo un terribile potere di condannare l’altro, è l’esecuzione del giudizio. Il giudizio è interiore, non lo diciamo, ma la prima cosa che sentiamo in qualunque relazione è un giudizio

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contro l’altro. Per questo Gesù dice: “smettetela di fare così, almeno ogni tanto”, accorgetevi che non è giusto, che non è bene. E poi smettetela di condannare le persone.

“E non sarete condannati”. Se condanniamo, ci condanniamo noi stessi. Cioè Dio non giudica nessuno, siamo noi a giudicare gli altri. E il giudizio che facciamo sugli altri è quello che pronunciamo su di noi, perché? Perché, in fondo, parliamo di ciò che abbiamo nel cuore.

E poi ci sono altri due imperativi positivi.

E poi si arriva al numero diciassette e viene fuori l’uomo bello.

Il primo è: “assolvete”.

“Assolvere”, per sé, vuol dire “slegare”, e non “perdonare”.

Dio perdona, tutti sempre. Se però io non assolvo l’altro con il mio perdono, non slego l’altro, lo inchiodo al suo errore, è come se non fosse perdonato. Cioè è il fratello che mi media il perdono di Dio. Io posso legare uno alle sue colpe, inchiodarlo lì, oppure assolverlo liberarlo. E allora sarò assolto anch’io. E se non assolvo l’altro, non sono assolto io, sono ancora schiavo del mio giudizio, di un Dio che giudica, che condanna e quindi mi condanno io.

E non sto lì a tirar fuori testi infiniti, perché se dovessi cercarli, tutto il Vangelo di Luca – dicevo – è il commento al v. 36 e poi in specie al non giudicare, non condannare, assolvere, dare.

La parola “dare” vi richiamerà qualcosa…

Forse sul termine “sciogliere” si può recuperare una citazione che è di Paolo, Ef 4, 32, dove dice: Graziatevi, poiché siamo stati graziati da dio in Cristo. Che è proprio alla radice della grazia, la charis, quindi c’è proprio una consonanza tra Paolo e Luca.

“Date”.

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Questo “date” non ha oggetto e troviamo nel Vangelo l’oggetto del dare: è il pane – prese il pane, lo spezzò e lo diede – è il corpo dato per voi. Dare è l’espressione di Dio che è dono. E non si dice l’oggetto, perché tutto è da dare. E nella misura in cui do, ricevo. Che cosa ricevo? Ricevo la mia identità, una misura bella, pigiata, scossa, straboccante nel mio grembo – ancora un termine materno – cioè ricevo la mia identità di figlio di Dio che è materno, nella misura in cui do.

Perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi…

Avrei voluto fermarmi molto di più su questi versetti, ma andiamo pure avanti. Tornateci su, perché sono i quattro cardini dello stare insieme.

E si ritorna nell’ultimo versetto al tema del diventare come Dio. Nella misura in cui date, cosa vi capita? Che riceverete: una misura bella, scossa, straboccante, di che cosa? Riceverete nel vostro grembo che cosa? La vostra identità di figli uguali al Padre.

Ed è cosciente l’evangelista Luca che con questa proposta di Gesù sconclusiona un po’ tutte le persone brave e religiose, perché, se siamo giusti, bisogna condannare i cattivi, giustamente, mica assolvere; quando invece andiamo a confessarci ci assolvono dai peccati, se ci sono, se non ci sono non possono essere assolti. Bisogna giudicare chi fa il male, condannare; e qui fa una proposta diversa, che riscatta dal male.

E allora, la sensazione è che si dice: sì va bene, queste regole vanno bene per i peccatori, perché hanno bisogno di essere perdonati e noi li perdoniamo, ma noi che siamo più bravi, che siamo più illuminati, che da tanti anni ci diamo alla parola, all’ascesi alle belle virtù, certamente noi abbiamo una visione superiore delle cose, della giustizia, siamo un po’ più bravi noi, non abbiamo bisogno di essere perdonati… E quindi c’è un’altra via che conoscono solo pochi maestri, che sono quelli illuminati, l’altra è la

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via volgare per tutte queste “bestie!” che conosciamo, questi uomini volgari, peccatori, ladri, adulteri, ossessivi, tutti quelli che vedete in giro, di cui parla la stampa… è per loro!… ma per noi “perfetti” c’è un’altra via!

E allora Gesù racconta una parabola per chi è così.

Rischio subdolo, più subdolo ancora di chi si ritiene illuminato.

39può forse un cieco guidare un cieco? Forse non cadranno entrambi in una fossa?

Chi crede di essere illuminato, chi ritiene che ci sia una via superiore alla misericordia è un cieco. Ora “cieco” non vuol dire “non vedente”; vuol dire che non sa da dove viene e dove va, non conosce né sé, né Dio, né gli altri, perché Dio è misericordia, perché noi siamo come tutti gli altri; solo le persone un po’ anormali si considerano diverse dagli altri. Un segno della normalità è che uno si considera come gli altri.

Quindi è cieco.

E se vuole tentare vie superiori, è semplicemente un cieco che guida altri ciechi che cercano ancora vie superiori alla misericordia. E cosa accade? Cadono nella fossa, nella morte, perché la via della vita è la maternità di Dio.

E poi continua:

“Non c’è discepolo sopra il Maestro”.

Se qualcuno ritiene di fare qualcosa di più bello di quello che ho fatto io che sono il Maestro – e Gesù era chiamato amico dei pubblicani, delle prostitute, mangione e beone – voi volete essere più bravi di me? Vi basti essere come me, se tutto va bene! Quindi non siate presuntuosi, che poi è segno di stupidità.

E poi continua, fino al v. 42 che vale la pena di essere letto, perché è fondamentale.

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40Non c’è discepolo sopra il maestro; chiunque, per quanto ben preparato, sarà come il suo Maestro. 41Ora, perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non consideri la trave, quella nel tuo proprio occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia, estraggo la pagliuzza dal tuo occhio”, senza vedere tu stesso la trave nel tuo occhio? Ipocrita, estrai prima la trave dal tuo occhio e allora osserverai la pagliuzza, quella nell’occhio del tuo fratello, per estrarla.

Allora ci si dice chi sono i cattivi maestri: sono quelli ciechi alla misericordia, sono quelli pretenziosi – noi siamo più bravi! – e poi sono giudici spietati con gli altri, ma benevoli con se stessi; vanno lì a guardare tutte le pagliuzze negli occhi degli altri – è lo zelo di donna Prassede! – non si accorgono di avere una trave nell’occhio. Provate a immaginare un uomo con la trave nell’occhio, oltre Polifemo! Provate a mettervi una trave nell’occhio! Siete morti! Cioè chi giudica è morto. Uno che sta lì a rifare le bucce all’altro, a guardare tutte le pagliuzze nell’occhio altrui è morto! Non è figlio di Dio, non è fratello di nessuno! Ha perso la sua identità.

Come può vivere uno con la trave nell’occhio?

E’ la vera morte spirituale. E c’è tanto zelo, che è zelo di morte: fratello, lascia che estragga la pagliuzza dal tuo occhio, vogliamo drizzare le gambe ai cani, costantemente! Che le han storte e gli van benissimo! E tutta la nostra attività è proprio far del bene agli altri per correggerli. Ce n’è d’avanzo, se tiro via la trave dal mio occhio; è la trave del mio occhio che vuole correggere gli altri! Cioè giudicarli, condannarli… così io sono più bravo! Ipocrita! Tira fuori prima la trave dal tuo occhio, cioè correggi te stesso! E poi magari potrai anche aiutare l’altro. Però “poi”, dopo, siamo al capitolo sesto. La correzione fraterna sapete a che capitolo la troviamo? Al 17. Noi la mettiamo al primo capitolo: prima correggo gli altri… Prima lavoriamo sulla misericordia e nel levare quelle travi che ho dentro. E poi può darsi che sia in grado – una volta che arrivo ad accettare l’altro senza condizioni – davvero di aiutarlo.

Vangelo di Luca p. Filippo Clerici e p. Silvano Fausti

Trascrizione non rivista dagli autori 17

Come vedete, abbiamo sufficiente materia, per quanto tempo? Una vita! un po’ di più anche! C’è anche il purgatorio! Per “diventare” e poi c’è l’eternità per “crescere”.

Possiamo fermarci qui.

Testi:

Salmo 117; 136 (135); 103;

Geremia 31, 31-34

Osea 11

Giona

Luca 17, Matteo 18

Spunti di riflessione:

Il Vangelo di Luca è una variazione sul tema del v. 36: diventate materni come il Padre. La misericordia, essenza di Dio, è il nuovo codice di santità, principio di ogni relazione non solo con i nemici, ma anche all'interno della comunità. I vv. 37-38 sono i quattro pilastri della comunità.