dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...de villa y vásquez, s.i., trasfe-rendolo...

8
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 155 (48.479) Città del Vaticano venerdì 10 luglio 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +z!z!/!#!"! LETTERE DAL DIRETTORE NOSTRE INFORMAZIONI Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Ar- civescovo Metropolita del- l’Arcidiocesi di Santiago de Guatemala (Guatemala), Sua Eccellenza Monsignor Gonzalo De Villa y Vásquez, S.I., trasfe- rendolo dalla Diocesi di Sololá- Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della pandemia nei paesi più poveri del mondo Dodicimila persone rischieranno di morire di fame ogni giorno In vista di una soluzione politica del conflitto Mosca e Ankara sostengono la tregua in Libia TRIPOLI, 9. Russia e Turchia stan- no lavorando per favorire un cessa- te il fuoco immediato in Libia. A darne notizie è stato ieri il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, auspicando che Ankara «riesca a convincere il Governo di accordo nazionale della necessità di una tre- gua». I diplomatici turchi — ha detto Lavrov — «stanno lavorando in questa direzione con il Governo di accordo nazionale, spero che riusciranno a raggiungere l’unica giusta decisione nelle attuali condi- zioni». Secondo il presidente turco, Re- cep Tayyip Erdoğan, «una soluzio- ne politica alla crisi libica può esse- re cercata solo quando quella mili- tare sarà messa definitivamente da parte». Lo ha fatto sapere Ibrahim Kalin, portavoce e consigliere del presidente, nel corso di un’intervi- sta all’agenzia statale turca Anado- lu. «La Turchia continuerà a soste- nere il legittimo governo libico di Fayez al-Serraj» ha assicurato Ka- lin, sostenendo che «la sicurezza della Turchia dipende anche dalla sicurezza dell’Iraq, dalla sicurezza dell’Iran e anche da quella di tutti gli altri suoi vicini e del Mediterra- neo» e che «la Libia è il nostro vi- cino marittimo al di là del Medi- terraneo; non avremmo mai voluto che la Libia diventasse un teatro di guerra per milizie e mercenari stra- nieri. Ma quando guardiamo a quello che alcuni attori internazio- nali hanno fatto in Siria — ha ag- giunto il portavoce — vediamo che uno scenario simile sta lentamente emergendo in Libia». Intanto, ieri, si è svolta in video- conferenza la sessione del Consi- glio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia, organizzata dalla presidenza tedesca, in un formato allargato a tutti i Paesi partecipanti alla Conferenza di Berlino. La riu- nione, che è stata presieduta dal ministro degli esteri tedesco Heiko Maas e ha visto la partecipazione del segretario generale dell’O nu António Guterres, ha rappresentato — secondo i commentatori — «una proficua occasione per confermare il sostegno della comunità interna- zionale agli sforzi delle Nazioni Unite nel raggiungere la cessazione delle ostilità e promuovere pace e sicurezza in Libia». Il ministro de- gli esteri italiano, Luigi Di Maio, ha riaffermato il convinto sostegno del suo Paese al Processo di Berli- no secondo quattro prioritarie linee di azione: la fine di tutte le interfe- renze esterne in violazione dell’em- bargo Onu; il raggiungimento di un accordo sul cessate il fuoco ef- fettivo; la rivitalizzazione senza ul- teriore ritardi del dialogo politico a favore di una soluzione pienamente inclusiva; la tempestiva ripresa del- la produzione petrolifera. Di Maio ha infine sottolineato l’urgenza di nominare quanto prima un nuovo rappresentante speciale delle Na- zioni Unite per la Libia. ROMA, 9. La crisi del coronavirus ri- schia di avere conseguenze durissime per le popolazioni più povere del Paese. Le organizzazione umanitarie stimano che entro la fine del 2020 dodicimila persone al giorno potreb- bero morire a causa della crisi ali- mentare innescata dalla pandemia. Potenzialmente più di quanti ne stia uccidendo il virus, che sino ad oggi ha fatto registrare un tasso di morta- lità media di circa 10 mila vittime al giorno nel mondo. Oltre 121 milioni di persone in più potrebbero ritro- varsi nel 2020 letteralmente senza nulla da mangiare per periodi pro- lungati a causa dell’impatto della crisi economica e sociale legata alla pandemia. «Entro la fine dell’anno a causa della pandemia oltre 270 milioni di persone che già lottano per soprav- vivere a guerre, disuguaglianze, cam- biamenti climatici potrebbero finire nella morsa della fame cronica, vale a dire un aumento dell’82 per cento, rispetto all’anno scorso» riferiscono rappresentanti delle ong. «Allo stes- so tempo, le 8 più grandi aziende del settore alimentare hanno provve- duto a versare ai propri azionisti ben 18 miliardi di dollari, a partire da quando l’epidemia ha cominciato a diffondersi nel mondo nello scorso gennaio. Una cifra 10 volte superiore a quella che le Nazioni Unite stima- no come necessaria per prevenire la nuova ondata di fame generata dal covid-19» aggiungono. «E inoltre va ricordato che più di 305 milioni di posti di lavoro sono andati perduti, cosa che non farà che alimentare la forbice delle disuguaglianze econo- miche e sociali spingendo sempre più persone in povertà». Il 65 per cento delle persone col- pite da grave denutrizione vive in soli 10 Paesi: dai più poveri e da quelli in preda a conflitti come lo Yemen, la Siria, l’Afghanistan fino a quelli a medio reddito come India, Sud Africa e Brasile. L’emergenza è reale e rischia addirittura di peggio- rare nelle prossime settimane. Il numero dei contagi nel mondo ha superato ieri i 12 milioni, secondo il bilancio, continuamente aggiorna- to, della Johns Hopkins University. Poco dopo l’ultimo aggiornamento dei casi in corso, con cinquantamila nuovi contagi negli Usa, il totale mondiale è salito a 12.007.327. Di questi, 548.799 hanno avuto un esito fatale. Proseguono intanto le polemiche sul ruolo dell’Organizzazione mon- diale della sanità (Oms). «La deci- sione degli Usa di ritirarsi dall’O ms è un contraccolpo alla collaborazio- ne internazionale» ha detto a Berli- no la portavoce del governo tedesco, Martina Fietz. Da Eduardo Galeano a David Foster Wallace Una persona affollata di gente ENRICO ZARPELLON A PAGINA 5 Jean-Paul Sartre nella Parigi occupata dai nazisti Una cesura esistenziale DIANA NAPOLI A PAGINA 4 «Il deserto dei tartari» nella lettura di Jorge Luis Borges L’angoscia e la magia dell’attesa LUCIO CO CO A PAGINA 5 Il sottosegretario del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ai vescovi della Colombia Una risorsa preziosa in tempo di pandemia PAGINA 8 ALLINTERNO Nove anni fa nasceva il Paese africano Sud Sudan: una crisi dimenticata P ochi giorni fa ho letto sul profilo di Fa- cebook l’affermazione di una brava col- lega giornalista che diceva di non sop- portare i punti esclamativi, «li ho addirittura tolti dalla tastiera del mio computer». La frase finiva, comprensibilmente, senza il punto esclamativo. Mi ha fatto pensare questa affer- mazione. E i miei pensieri sono arrivati a due conclusioni, tra loro opposte, può capitare a volte. La prima conclusione è questa: ben det- to cara collega! (ops) Basta con queste conti- nue esclamazioni, non c’è niente da sottolinea- re con enfasi, un po’ di sobrietà non ci fareb- be male. Ci vuole in effetti un approccio più pacato, più “laico” direi, meno retorico, sì è vero, l’esclamazione sa tanto di propaganda! (ops di nuovo). Guardate le pubblicità, non finiscono tutte con dei grandi punti esclamati- vi? Non vogliono forse convincerci, manipo- larci, renderci tutti dei consumatori? E qui ho calato l’asso del punto interrogativo, il grande antagonista del suo collega esclamativo. Sì, mi sono detto, una vita fatta di domande è molto più vera, più onesta e anche sana, perché con- duce al dubbio, «uno dei nomi dell’intelligen- za» secondo Borges, e quindi al dialogo, in fondo al disarmo e alla pace. Mi sono molto “caricato” dietro a questa mia riflessione, sarei stato pronto a discutere, a litigare anche per difendere questa conclusione a cui ero giunto grazie al post della mia collega. La seconda conclusione è arrivata dopo, è appunto la seconda, e suona del tutto oppo- sta. Sì, ok, bella la domanda, ma se vivessi di sole domande che vita sarebbe? Se non ci fos- se nessuna scoperta? In fondo l’esclamazione nasce per lo stupore, la meraviglia, la gioia di una scoperta.. ma si può vivere senza questa esplosione? Non dico sempre, ma almeno una volta ogni tanto. Abolire il punto esclamativo, addirittura toglierlo dalla nostra tastiera, dal nostro linguaggio, mi sembra un po’ troppo, direi quasi ideologico, e non è forse proprio così? E poi il pensiero continuava a ricamarci so- pra: bello il segno del punto interrogativo, co- sì ricercato, arzigogolato, un po’ barocco con quel riccio che si avvolge a spirale in modo quasi infinito. Com’è semplice invece il punto esclamativo, semplice, sempliciotto, in fondo banale, arrogante nella sua ignoranza che evi- ta ogni complessità che invece è il carattere vero dell’esistenza. Va bene, però a me il segno del punto inter- rogativo fa venire in mente l’homo curvatus di cui parla sant’Agostino. L’uomo che guarda se stesso, il proprio ombelico, l’uomo che non è, appunto, semplice. Una parola oggi quasi peri- colosa, che etimologicamente, indica proprio co- lui che è senza «implicazioni» o «complicazio- ni». L’uomo semplice è il contrario dell’uomo affetto da narcisismo, mentre la vera semplicità è segnata dall’essere se stessi unicamente restando tesi verso l’altro. Una cosa è essere tesi, un’altra è essere rigidi, il punto esclamativo è teso, in tensione, mentre l’interrogativo può perdere la sua spinta e irrigidirsi in un labirinto incrostato di non-senso, senza più alcuna direzione. L’11 settembre 2006, Benedetto XVI durante l’omelia si chiedeva «Che cosa significa: crede- re?» e rispondeva affermando che la fede «nel suo nucleo è molto semplice. Il Signore, infat- ti, ne parla col Padre dicendo: “Hai voluto ri- velarlo ai semplici” — a coloro che sono capaci di vedere col cuore (cfr. Mt 11, 25). […] E la fede è amore, perché l’amore di Dio vuole con- tagiarci». Quindi si deve stare attenti a non confon- dere la semplicità con la semplificazione. Quest’ultima ha a che fare con l’uso errato del punto esclamativo, quello che mi ha portato alla mia prima conclusione. Oggi la semplifi- cazione va molto di moda e a colpi di punti esclamativi si rischia di arrivare ad “armare” se stessi e gli altri per affrontare la vita come una guerra in cui si deve saper gridare più forte per affermarsi, per vincere. Ma tutto questo non può condurre all’abolizione dell’esclama- zione che è invece il segno della sorpresa e quindi della gioia. Il distendersi dell’esclama- tivo in effetti è proprio quello sciogliersi, quel rilassarsi ed espandersi in modo luminoso e accogliente proprio dell’amore, come dice Be- nedetto, che spazza via ogni dubbio, ogni do- manda. Dico bene? A.M. La testimonianza di Medici con l’Africa Cuamm Non si può perdere tempo di FRANCESCO RICUPERO «L’ attuale situazione non ci consente più di pensare all’effimero e al superfluo. Il virus ha dimostrato che viviamo in un unico mondo e ci ha insegnato quanto sia impor- tante e necessario essere uniti e so- lidali»: parole di don Dante Carra- ro, medico cardiologo e direttore di Medici con l’Africa Cuamm, che ha tracciato con il nostro giornale un bilancio delle attività svolte dal- la onlus nell’ultimo anno e nei pri- mi mesi di questo 2020 così parti- colare. «Nel 2019 abbiamo propo- sto il messaggio: “Lo stesso futu- ro”. E oggi più che mai vale que- sto proposito: in questo 2020 “feri- to” sentiamo ancora più forte e vi- vo il desiderio di ricominciare a vi- vere e a impegnarci in Africa». PAGINA 7 Soldati delle forze leali al premier libico al-Serraj nei pressi di Tripoli (Reuters) JUBA, 9. Anniversario amaro per il Sud Sudan, il paese più giovane del mondo. Nove anni fa la scelta forte- mente voluta dalla popolazione in un referendum che si espresse sfio- rando il 99 per cento dei consensi a favore dell’ autonomia dal Sudan. L’atteso benessere è ancora da veni- re: la sua economia è fra le più fragi- li al mondo, la qualità della vita fra le più basse. La gente è ancora den- tro un conflitto etnico, cominciato nel dicembre del 2013. In Sud Sudan si stimano 2,2 mi- lioni di rifugiati nei paesi limitrofi, 1,7 milioni di sfollati interni e ben 7,5 milioni di persone in difficoltà su una popolazione che ne conta in to- tale circa 11 milioni. Le ong, operati- ve sul posto, denunciano una situa- zione umanitaria grave, appesantita dall’arrivo del coronavirus. «I rischi per la popolazione sono tanti, dal conflitto endemico che costringe le persone a spostarsi continuamente alla ricerca di un posto sicuro alla minaccia di malattie, come diarrea, colera, malaria e malnutrizione, pa- tologie che uccidono migliaia di per- sone ogni anno» dicono le ong. Quella che sta vivendo il Sud Su- dan è una crisi dimenticata che non fa notizie e che purtroppo non attira i cronisti né l’opinione pubblica. Se il Paese vuole un futuro — dicono gli operatori umanitari — «occorre un impegno comune a favore della for- mazione e riconciliazione a livello politico, militare e comunitario, della trasparenza nella gestione delle risor- se naturali e della lotta alla corruzio- ne; servono investimenti efficaci». Punto esclamativo? pro e contro racconto LA PAROLA DELLANNO

Upload: others

Post on 29-Jul-2020

3 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 155 (48.479) Città del Vaticano venerdì 10 luglio 2020

.

y(7HA

3J1*QS

SKKM(

+z!z!/!#

!"!

LETTERE DAL DIRETTORE

NOSTREINFORMAZIONI

P ro v v i s t adi Chiesa

Il Santo Padre ha nominato Ar-civescovo Metropolita del-l’Arcidiocesi di Santiago deGuatemala (Guatemala), SuaEccellenza Monsignor GonzaloDe Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango.

Le stime delle ong sulle conseguenze della pandemia nei paesi più poveri del mondo

Dodicimila persone rischierannodi morire di fame ogni giorno

In vista di una soluzione politica del conflitto

Mosca e Ankara sostengonola tregua in Libia

TRIPOLI, 9. Russia e Turchia stan-no lavorando per favorire un cessa-te il fuoco immediato in Libia. Adarne notizie è stato ieri il ministrodegli esteri russo, Serghiei Lavrov,auspicando che Ankara «riesca aconvincere il Governo di accordonazionale della necessità di una tre-gua». I diplomatici turchi — hadetto Lavrov — «stanno lavorandoin questa direzione con il Governodi accordo nazionale, spero cheriusciranno a raggiungere l’unicagiusta decisione nelle attuali condi-zioni».

Secondo il presidente turco, Re-cep Tayyip Erdoğan, «una soluzio-ne politica alla crisi libica può esse-re cercata solo quando quella mili-tare sarà messa definitivamente daparte». Lo ha fatto sapere IbrahimKalin, portavoce e consigliere delpresidente, nel corso di un’intervi-sta all’agenzia statale turca Anado-lu. «La Turchia continuerà a soste-nere il legittimo governo libico diFayez al-Serraj» ha assicurato Ka-lin, sostenendo che «la sicurezzadella Turchia dipende anche dallasicurezza dell’Iraq, dalla sicurezzadell’Iran e anche da quella di tuttigli altri suoi vicini e del Mediterra-neo» e che «la Libia è il nostro vi-cino marittimo al di là del Medi-terraneo; non avremmo mai volutoche la Libia diventasse un teatro diguerra per milizie e mercenari stra-nieri. Ma quando guardiamo aquello che alcuni attori internazio-nali hanno fatto in Siria — ha ag-

giunto il portavoce — vediamo cheuno scenario simile sta lentamenteemergendo in Libia».

Intanto, ieri, si è svolta in video-conferenza la sessione del Consi-glio di sicurezza delle NazioniUnite sulla Libia, organizzata dallapresidenza tedesca, in un formatoallargato a tutti i Paesi partecipantialla Conferenza di Berlino. La riu-nione, che è stata presieduta dalministro degli esteri tedesco HeikoMaas e ha visto la partecipazionedel segretario generale dell’O nuAntónio Guterres, ha rappresentato— secondo i commentatori — «unaproficua occasione per confermareil sostegno della comunità interna-zionale agli sforzi delle NazioniUnite nel raggiungere la cessazionedelle ostilità e promuovere pace esicurezza in Libia». Il ministro de-gli esteri italiano, Luigi Di Maio,ha riaffermato il convinto sostegnodel suo Paese al Processo di Berli-no secondo quattro prioritarie lineedi azione: la fine di tutte le interfe-renze esterne in violazione dell’em-bargo Onu; il raggiungimento diun accordo sul cessate il fuoco ef-fettivo; la rivitalizzazione senza ul-teriore ritardi del dialogo politico afavore di una soluzione pienamenteinclusiva; la tempestiva ripresa del-la produzione petrolifera. Di Maioha infine sottolineato l’urgenza dinominare quanto prima un nuovorappresentante speciale delle Na-zioni Unite per la Libia.

ROMA, 9. La crisi del coronavirus ri-schia di avere conseguenze durissimeper le popolazioni più povere delPaese. Le organizzazione umanitariestimano che entro la fine del 2020dodicimila persone al giorno potreb-bero morire a causa della crisi ali-mentare innescata dalla pandemia.Potenzialmente più di quanti ne stiauccidendo il virus, che sino ad oggiha fatto registrare un tasso di morta-lità media di circa 10 mila vittime algiorno nel mondo. Oltre 121 milionidi persone in più potrebbero ritro-varsi nel 2020 letteralmente senzanulla da mangiare per periodi pro-lungati a causa dell’impatto dellacrisi economica e sociale legata allapandemia.

«Entro la fine dell’anno a causadella pandemia oltre 270 milioni di

persone che già lottano per soprav-vivere a guerre, disuguaglianze, cam-biamenti climatici potrebbero finirenella morsa della fame cronica, valea dire un aumento dell’82 per cento,rispetto all’anno scorso» riferisconorappresentanti delle ong. «Allo stes-so tempo, le 8 più grandi aziendedel settore alimentare hanno provve-duto a versare ai propri azionisti ben

18 miliardi di dollari, a partire daquando l’epidemia ha cominciato adiffondersi nel mondo nello scorsogennaio. Una cifra 10 volte superiorea quella che le Nazioni Unite stima-no come necessaria per prevenire lanuova ondata di fame generata dalcovid-19» aggiungono. «E inoltre varicordato che più di 305 milioni diposti di lavoro sono andati perduti,

cosa che non farà che alimentare laforbice delle disuguaglianze econo-miche e sociali spingendo semprepiù persone in povertà».

Il 65 per cento delle persone col-pite da grave denutrizione vive insoli 10 Paesi: dai più poveri e daquelli in preda a conflitti come loYemen, la Siria, l’Afghanistan fino aquelli a medio reddito come India,Sud Africa e Brasile. L’emergenza èreale e rischia addirittura di peggio-rare nelle prossime settimane.

Il numero dei contagi nel mondoha superato ieri i 12 milioni, secondoil bilancio, continuamente aggiorna-to, della Johns Hopkins University.Poco dopo l’ultimo aggiornamentodei casi in corso, con cinquantamilanuovi contagi negli Usa, il totalemondiale è salito a 12.007.327. Diquesti, 548.799 hanno avuto un esitofatale.

Proseguono intanto le polemichesul ruolo dell’Organizzazione mon-diale della sanità (Oms). «La deci-sione degli Usa di ritirarsi dall’O msè un contraccolpo alla collaborazio-ne internazionale» ha detto a Berli-no la portavoce del governo tedesco,Martina Fietz.

Da Eduardo Galeanoa David Foster Wallace

Una personaaffollata di gente

ENRICO ZARPELLON A PA G I N A 5

Jean-Paul Sartre nella Parigioccupata dai nazisti

Una cesura esistenziale

DIANA NAPOLI A PA G I N A 4

«Il deserto dei tartari»nella lettura di Jorge Luis Borges

L’angosciae la magia dell’attesa

LUCIO CO CO A PA G I N A 5

Il sottosegretario del Dicasteroper i laici, la famiglia e la vitaai vescovi della Colombia

Una risorsa preziosain tempo di pandemia

PAGINA 8

ALL’INTERNO

Nove anni fa nasceva il Paese africano

Sud Sudan: una crisi dimenticata

Pochi giorni fa ho letto sul profilo di Fa-cebook l’affermazione di una brava col-lega giornalista che diceva di non sop-

portare i punti esclamativi, «li ho addiritturatolti dalla tastiera del mio computer». La frasefiniva, comprensibilmente, senza il puntoesclamativo. Mi ha fatto pensare questa affer-mazione. E i miei pensieri sono arrivati a dueconclusioni, tra loro opposte, può capitare avolte. La prima conclusione è questa: ben det-to cara collega! (ops) Basta con queste conti-nue esclamazioni, non c’è niente da sottolinea-re con enfasi, un po’ di sobrietà non ci fareb-be male. Ci vuole in effetti un approccio piùpacato, più “laico” direi, meno retorico, sì èvero, l’esclamazione sa tanto di propaganda!(ops di nuovo). Guardate le pubblicità, nonfiniscono tutte con dei grandi punti esclamati-vi? Non vogliono forse convincerci, manipo-larci, renderci tutti dei consumatori? E qui hocalato l’asso del punto interrogativo, il grandeantagonista del suo collega esclamativo. Sì, misono detto, una vita fatta di domande è moltopiù vera, più onesta e anche sana, perché con-

duce al dubbio, «uno dei nomi dell’intelligen-za» secondo Borges, e quindi al dialogo, infondo al disarmo e alla pace. Mi sono molto“caricato” dietro a questa mia riflessione, sareistato pronto a discutere, a litigare anche perdifendere questa conclusione a cui ero giuntograzie al post della mia collega.

La seconda conclusione è arrivata dopo, èappunto la seconda, e suona del tutto oppo-sta. Sì, ok, bella la domanda, ma se vivessi disole domande che vita sarebbe? Se non ci fos-se nessuna scoperta? In fondo l’esclamazionenasce per lo stupore, la meraviglia, la gioia diuna scoperta.. ma si può vivere senza questaesplosione? Non dico sempre, ma almeno unavolta ogni tanto. Abolire il punto esclamativo,addirittura toglierlo dalla nostra tastiera, dalnostro linguaggio, mi sembra un po’ tropp o,direi quasi ideologico, e non è forse propriocosì?

E poi il pensiero continuava a ricamarci so-pra: bello il segno del punto interrogativo, co-sì ricercato, arzigogolato, un po’ barocco conquel riccio che si avvolge a spirale in modo

quasi infinito. Com’è semplice invece il puntoesclamativo, semplice, sempliciotto, in fondobanale, arrogante nella sua ignoranza che evi-ta ogni complessità che invece è il caratterevero dell’esistenza.

Va bene, però a me il segno del punto inter-rogativo fa venire in mente l’homo curvatus dicui parla sant’Agostino. L’uomo che guarda sestesso, il proprio ombelico, l’uomo che non è,appunto, semplice. Una parola oggi quasi peri-colosa, che etimologicamente, indica proprio co-lui che è senza «implicazioni» o «complicazio-ni». L’uomo semplice è il contrario dell’uomoaffetto da narcisismo, mentre la vera semplicità èsegnata dall’essere se stessi unicamente restandotesi verso l’altro. Una cosa è essere tesi, un’altraè essere rigidi, il punto esclamativo è teso, intensione, mentre l’interrogativo può perdere lasua spinta e irrigidirsi in un labirinto incrostatodi non-senso, senza più alcuna direzione.

L’11 settembre 2006, Benedetto XVI durantel’omelia si chiedeva «Che cosa significa: crede-re?» e rispondeva affermando che la fede «nelsuo nucleo è molto semplice. Il Signore, infat-

ti, ne parla col Padre dicendo: “Hai voluto ri-velarlo ai semplici” — a coloro che sono capacidi vedere col cuore (cfr. Mt 11, 25). […] E lafede è amore, perché l’amore di Dio vuole con-t a g i a rc i » .

Quindi si deve stare attenti a non confon-dere la semplicità con la semplificazione.Quest’ultima ha a che fare con l’uso errato delpunto esclamativo, quello che mi ha portatoalla mia prima conclusione. Oggi la semplifi-cazione va molto di moda e a colpi di puntiesclamativi si rischia di arrivare ad “a r m a re ” sestessi e gli altri per affrontare la vita come unaguerra in cui si deve saper gridare più forteper affermarsi, per vincere. Ma tutto questonon può condurre all’abolizione dell’esclama-zione che è invece il segno della sorpresa equindi della gioia. Il distendersi dell’esclama-tivo in effetti è proprio quello sciogliersi, quelrilassarsi ed espandersi in modo luminoso eaccogliente proprio dell’amore, come dice Be-nedetto, che spazza via ogni dubbio, ogni do-manda. Dico bene?

A.M.

La testimonianza di Medici con l’Africa Cuamm

Non si può perdere tempo

di FRANCESCO RICUPERO

«L’attuale situazione nonci consente più dipensare all’effimero e

al superfluo. Il virus ha dimostrato

che viviamo in un unico mondo eci ha insegnato quanto sia impor-tante e necessario essere uniti e so-lidali»: parole di don Dante Carra-ro, medico cardiologo e direttore diMedici con l’Africa Cuamm, cheha tracciato con il nostro giornaleun bilancio delle attività svolte dal-la onlus nell’ultimo anno e nei pri-mi mesi di questo 2020 così parti-colare. «Nel 2019 abbiamo propo-sto il messaggio: “Lo stesso futu-ro ”. E oggi più che mai vale que-sto proposito: in questo 2020 “feri-to” sentiamo ancora più forte e vi-vo il desiderio di ricominciare a vi-vere e a impegnarci in Africa».

PA G I N A 7

Soldati delle forze leali al premier libico al-Serraj nei pressi di Tripoli ( R e u t e rs )

JUBA, 9. Anniversario amaro per ilSud Sudan, il paese più giovane delmondo. Nove anni fa la scelta forte-mente voluta dalla popolazione inun referendum che si espresse sfio-rando il 99 per cento dei consensi afavore dell’ autonomia dal Sudan.L’atteso benessere è ancora da veni-re: la sua economia è fra le più fragi-li al mondo, la qualità della vita frale più basse. La gente è ancora den-tro un conflitto etnico, cominciatonel dicembre del 2013.

In Sud Sudan si stimano 2,2 mi-lioni di rifugiati nei paesi limitrofi,1,7 milioni di sfollati interni e ben7,5 milioni di persone in difficoltà suuna popolazione che ne conta in to-tale circa 11 milioni. Le ong, operati-ve sul posto, denunciano una situa-zione umanitaria grave, appesantitadall’arrivo del coronavirus. «I rischiper la popolazione sono tanti, dalconflitto endemico che costringe lepersone a spostarsi continuamentealla ricerca di un posto sicuro allaminaccia di malattie, come diarrea,colera, malaria e malnutrizione, pa-

tologie che uccidono migliaia di per-sone ogni anno» dicono le ong.

Quella che sta vivendo il Sud Su-dan è una crisi dimenticata che nonfa notizie e che purtroppo non attirai cronisti né l’opinione pubblica. Seil Paese vuole un futuro — dicono gli

operatori umanitari — «occorre unimpegno comune a favore della for-mazione e riconciliazione a livellopolitico, militare e comunitario, dellatrasparenza nella gestione delle risor-se naturali e della lotta alla corruzio-ne; servono investimenti efficaci».

Punto esclamativo? pro e contro

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

Page 2: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 venerdì 10 luglio 2020

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSONon praevalebunt

Città del Vaticano

o r n e t @ o s s ro m .v aw w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREA MONDAdirettore responsabile

Giuseppe Fiorentinov i c e d i re t t o re

Piero Di Domenicantoniocap oredattore

Gaetano Vallinisegretario di redazione

Servizio vaticano: [email protected] internazionale: [email protected] culturale: [email protected] religioso: [email protected]

Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 [email protected] w w w. p h o t o .v a

Segreteria di redazionetelefono 06 698 83461, 06 698 84442

fax 06 698 83675segreteria.or@sp c.va

Tipografia VaticanaEditrice L’Osservatore Romano

Tariffe di abbonamentoVaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198Europa: € 410; $ 605Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665America Nord, Oceania: € 500; $ 740Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):telefono 06 698 99480, 06 698 99483fax 06 69885164, 06 698 82818,[email protected] diffusione.or@sp c.vaNecrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675

Concessionaria di pubblicità

Il Sole 24 Ore S.p.A.System Comunicazione Pubblicitaria

Sede legaleVia Monte Rosa 91, 20149 Milanotelefono 02 30221/3003fax 02 30223214

s e g re t e r i a d i re z i o n e s y s t e m @ i l s o l e 2 4 o re . c o m

Aziende promotricidella diffusione

Intesa San Paolo

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

Società Cattolica di Assicurazione

Ma i Paesi del Nord Europa e del Gruppo di Visegrád rimangono contrari

Merkel: «Serve un accordo rapidosul Recovery fund»

Ventitré soldatiuccisi

in un attaccojihadista in Nigeria

BRUXELLES, 9. L’accordo in Europasul Recovery fund (e sul bilanciopluriennale dell’Ue) deve essere rag-giunti entro la fine di luglio.

Lo ha dichiarato ieri il cancellieretedesco, Angela Merkel, intervenutaal Parlamento di Bruxelles per illu-strati le priorità della presidenza se-mestrale di turno della Germania delConsiglio dei ministri dell’Ue.

«L’obiettivo comune è trovareun’intesa rapidamente, entro l’esta-te» sul Recovery fund, «perché tuttiabbiamo un monito davanti agli oc-chi: l’abisso della crisi economica,non possiamo perdere tempo», hadetto Merkel. Le priorità del seme-stre della Germania coincidono per-fettamente con il programma di la-voro della Commissione Ue: digitalee green deal in testa a tutto, per mo-dernizzare l’Europa e renderla com-petitiva con il resto del mondo.

Ma niente si può muovere, se pri-ma non c'è l’accordo sul bilancio2021-2027 e sul Recovery fund. Perquesto, nel suo discorso a Bruxelles,il cancelliere tedesco ha invitato piùvolte i leader dei Paesi e quelli delleistituzioni europee a fare uno sforzo:«Tutti sono chiamati a mettersi neipanni nell’a l t ro » .

La situazione, però, non è fluida,con diversi Paesi — quelli del Nord equelli del Gruppo di Visegrád — chesono tuttora restii a firmare l’intesada 750 miliardi di euro. A riguardo, ileader di Austria, Paesi Bassi, Dani-marca e Svezia si sono riuniti in vi-deoconferenza per coordinare la loroposizione contraria in vista del Con-siglio europeo della prossima setti-mana (17 e 18 luglio) sul quadro fi-nanziario pluriennale dell’Unioneeuropea e il Recovery fund.

Da Budapest, il primo ministroungherese, Viktor Orbán, si è dettocerto delle difficoltà nel raggiungereun accordo al vertice della prossimasettimana. «Credo che avremo nego-ziati molto difficili — ha precisato —ed è dunque difficile immaginareche si possa concludere questo di-battito in un solo incontro», azze-rando così le aspettative sull’appun-tamento del 17 e del 18 luglio.

Tutte le istituzione europee sonocomunque coinvolte per arrivare a

un’intesa. Il presidente del Consi-glio europeo, Charles Michel, hadetto: «Sto facendo tutto il possibi-le per un accordo, ma resta tantolavoro da fare». «Potremmo fare unpasso avanti solo a un patto: che gliStati membri siano decisi a collabo-rare di più gli uni con gli altri», haaggiunto. Tutti sono occupati a pre-pararsi: un patto è stato raggiuntoieri tra il presidente del Consigliodei ministri italiano, GiuseppeConte, e il presidente del Governospagnolo, Pedro Sánchez. Una al-leanza — ha detto Sánchez — « n e-cessaria per portare grandi fruttiall’E u ro p a » .

E sulla risposta al coronavirus diItalia e Spagna ha sottolineato:«Abbiamo fatto fronte in modo tita-nico. E’ emerso il valore e l’animodei due popoli, ma ora l’Europa de-ve essere all’altezza dei suoi popoli».L’accordo sul Recovery fund — haosservato Sánchez — «si può e si de-ve fare entro luglio: non possiamoaspettare oltre». Gli obiettivi sonotre: l’accordo va chiuso entro questomese; non bisogna diminuire la di-mensione del Recovery Fund e ilrapporto tra la parte a fondo perdu-to e quella a debito; occorre far arri-vare le risorse in fretta e per un arcodi tempo lungo, per rendere struttu-rale la ripresa economica.Il cancelliere Merkel insieme al presidente della Commissione Ue von der Leyen (Epa)

ABUJA, 9. Ventitré militari sono sta-ti uccisi in un’imboscata tesa lorodai jihadisti nel nord-est della Ni-geria. Lo riferiscono fonti della si-curezza in una nota diramata ieri.L’agguato al convoglio militare èavvenuto, martedì scorso, su un’au-tostrada a circa una quarantina dichilometri dalla città di Maiduguri,roccaforte del gruppo terroristicodi Boko Haram.

Resta, tuttavia, incerto il numerodei soldati feriti e di quelli ancoradispersi in seguito all’attacco. Almomento sono in corso le ricerche.L’esercito nigeriano ha confermatol’imboscata, dichiarando che 17 ri-belli sono stati uccisi a colpi d’ar-ma da fuoco durante i combatti-menti. L’insurrezione jihadista èstata respinta, riferisce ancoral’esercito, precisando però che lesue perdite effettive sono inferiori.

I militari stavano tornando dalleoperazioni di pattugliamento e ra-strellamento contro i terroristiquando sono stati attaccati suun’autostrada nelle vicinanze delvillaggio di Bulabulin.

In generale, il bilancio delleazioni di Boko Haram e del-l’Iswap, ad esso collegato, è tragi-co. Il conflitto decennale nella Ni-geria nord-orientale ha causato fi-nora oltre 36.000 vittime e costret-to circa due milioni di persone afuggire dalle loro case, cercando ri-fugio in altre regioni o nei Paesi vi-cini.

La minaccia jihadista nel nord-est non accenna, pertanto, a dimi-nuire. Il gruppo terrorista Statoislamico in Africa Occidentale(Iswap), attualmente forza domi-nante nella regione, è generalmentefocalizzata su obiettivi militari, manegli ultimi mesi ha portato a ter-mine attacchi sempre più sanguino-si anche contro civili. Il gruppo èstato accusato di aver istituito postidi blocco sulle principali rotte persequestrare e uccidere i viaggiatori.Le strade della regione, sempre piùpericolose, rendono particolarmen-te difficile il lavoro delle organizza-zioni umanitarie, che fanno faticaad accedere a circa 7,8 milioni dipersone stremate e bisognose di as-sistenza di emergenza.

La Consulta respingeil ricorso della società

Autostradesul ponte Morandi

GE N O VA , 9. Non è illegittimo estro-mettere Autostrade per l’Italia(Aspi) dalla ricostruzione del ponteMorandi, a Genova. La Corte Costi-tuzionale ha respinto il ricorso pre-sentato dalla società sulla sua esclu-sione dalla procedura negoziata perla scelta delle imprese alle quali affi-dare le opere di demolizione e di ri-costruzione del Ponte Morandi.

Il Governo italiano poteva farlo —ha stabilito la Corte — visto «la ec-cezionale gravità della situazione chelo ha indotto, in via precauzionale, anon affidare i lavori alla società in-caricata della manutenzione delPonte stesso». «Ci conforta la pienalegittimità costituzionale della solu-zione a suo tempo elaborata dal Go-verno», ha commentato il presidentedel Consiglio dei ministri italiano,Giuseppe Conte.

A quasi due anni dal crollo — e apoche decine di giorni dall’inaugu-razione al traffico, attesa proprio adagosto, nel mese dell’anniversario —il Governo non ha ancora preso al-cuna decisione sul futuro della con-cessione affidata ad Aspi, accumu-lando un ritardo che, in assenza diun intervento a breve, potrebbe farritrovare proprio Aspi a gestire dinuovo il viadotto sul Polcevera.

Dopo aver ricordato gli impegnieconomici sostenuti, Aspi ha precisa-to di avere dato il massimo supportoper la realizzazione del nuovo via-dotto collaborando con il commissa-rio Bucci e di avere profondamentecambiato il proprio management.

La denuncia dell’O im

Abusi nei centri di detenzione in Libia

Migranti soccorsi nel Mediterraneo (Afp)

Strategia tedescaper le pari opportunità

Frode negli appaltidelle Forze armate italiane

GINEVRA, 9. «Abusi e violazioni deidiritti umani in tutti i centri di de-tenzione» in Libia sono stati am-piamente denunciati dall’Onu edall’Organizzazione internazionaleper le migrazioni (Oim).

«Anche i migranti che erano de-tenuti in centri non-ufficiali ci rife-riscono di orribili violazioni, torturee uccisioni in tali strutture». Lo haricordato Safa Msehli, una portavo-ce dell’Oim, rispondendo alla do-manda se vi sia un diverso grado didiffusione di abusi fra i centri uffi-ciali gestiti dal governo di Tripoli equelli in mano a trafficanti di esseriumani. «La Libia non può ancoraessere considerata un porto sicuro»aveva già affermato l’Oim in unaprecedente dichiarazione ufficiale.

La situazione dei migranti neicentri di detenzione nel Paese nord-africano è motivo di preoccupazio-ne specialmente in questo tempo dipandemia. A tal proposito, l’Altocommissariato delle Nazioni Uniteper i rifugiati (Unhcr) ne chiedecon urgenza la chiusura, «soprat-tutto ora che la Libia continua adessere alle prese col covid-19».L’Unhcr ricorda che «i richiedentiasilo detenuti sono particolarmentevulnerabili ed esposti, viste le pre-carie condizioni di igiene e il so-vraffollamento nei centri».

Attualmente — sottolinea l’agen-zia Onu — sono 11 i «centri di de-tenzione» per migranti gestiti dalgoverno di Tripoli attraverso il Di-rettorato per la lotta alla migrazio-

ne illegale (Dcim) e al 3 luglio vierano rinchiuse 2.362 persone. Visono però anche strutture «non uf-ficiali», «non autorizzate», su cuil’Onu e altre organizzazioni «nonhanno informazioni precise». Inol-tre, nelle ultime settimane vi è stato

un aumento dei migranti nei centridetenzione dell’ovest e del centrodel Paese, «in gran parte qualeconseguenza delle numerose opera-zioni» di blocco e salvataggio dibarconi davanti alle coste di quelledue parti del Paese.

ROMA, 9. La Squadra mobile diRoma ha eseguito stamane un’or-dinanza di misure cautelari neiconfronti di 31 indagati, tra i qualipubblici ufficiali — appartenentialle Forze armate con diverso gra-do — e imprenditori. L’accusa è difrode nelle forniture, corruzione,turbativa d’asta e altro negli ap-palti per gli approvvigionamentidelle Forze armate. Sarebberoemersi episodi di frode contrattua-le ai danni delle amministrazionida parte di ditte aggiudicatariedella produzione dei nuovi distin-

tivi di grado. Sarebbe stata accer-tata anche una presunta truffa nel-la fornitura di tende per le truppein missione all’e s t e ro .

Coinvolti anche ufficiali dell’Ae-ronautica militare che — si legge inun comunicato stampa della Que-stura di Roma — «si pongono incondizione di stabile asservimentoad interessi privati».

Complessivamente, le indaginiavrebbero permesso di svelare tur-bative d’asta e frodi negli appaltidelle Forze armate per un valoredi 18,5 milioni du euro.

BE R L I N O, 9. Il Governo tedesco èal lavoro per favorire le pari oppor-tunità. Un compito che non saràpiù in futuro esclusiva competenzadi una ministra delle donne, madell’intero Esecutivo, è stato sotto-lineato ieri a Berlino. Più donne inposizione di leadership, e maggioripossibilità di conciliare fra famigliae lavoro sono fra i temi prioritari diun programma di ben 124 paginededicato alla materia.

Fra i progetti, la possibilità ditornare a lavorare a tempo pienoper le donne, dopo aver usufruito

del part-time; Internet più veloce eun aumento dell’offerta del tra-sporto pubblico anche in provincia,per promuovere anche lì la possibi-lità di una realizzazione professio-nale delle donne. Il piano è statopresentato proprio nelle ore in cuila Cdu metteva nero su bianco divolere un 50 per cento di “quotero s e ” nei suoi direttivi entro il2025: una regola che ha ottenutoun ampio consenso nella Commis-sione addetta alla ristrutturazioneinterna, e che sarà varata definitiva-mente al congresso di dicembre.

Oltre 240 mortidopo l’assassinio

dell’attivista etiopeADDIS ABEBA, 9. Non si placa larabbia in Etiopia. È salito a circa240 morti il bilancio delle violen-ze innescate dall’omicidio del no-to attivista e cantante HachaluHundessa, ucciso il 29 giugnoscorso a colpi di arma da fuoconella capitale. Lo rivelano fontidella polizia.

L’artista, molto apprezzato intutto il Paese, era diventato ilsimbolo degli Oromo, il piùgruppo etnico dell’Etiopia cherappresenta il 32 per cento dellapopolazione. Le sue canzoni trat-tano appunto i diritti del popoloOromo e divennero veri e propriinni nell’ondata di proteste cheportò alla caduta del precedentegoverno e all’ascesa, nel 2018, delprimo ministro Abiy Ahmed, dietnia Oromo.

Le proteste della scorsa setti-mana — che hanno portato a unnumero rilevante di arresti —hanno interessato sia Addis Abe-ba, sia la regione di Oromia, ter-ra natale degli Oromo. Secondole autorità le vittime sono da at-tribuire non solo alla violenza in-teretnica, ma anche all’uso dellaforza da parte della polizia. «Acausa dei disordini nella regionehanno perso la vita nove agenti,cinque membri delle milizie e 215civili», ha specificato il vice capodella polizia di Oromia. Inoltre,nella capitale finora ci sono stati10 morti.

Il Collegio degli scrittoride «La Civilità Cattolica» ricevuto

dal presidente Mattarella

ROMA, 9. Il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha ri-cevuto questa mattina al Quirinale, in occasione del 170° anniversario del-la fondazione, il Collegio degli scrittori de «La Civiltà Cattolica» guidatodal direttore, padre Antonio Spadaro. Era presente il Preposito generaledei Gesuiti, padre Arturo Sosa. È stata questa la terza volta che il presi-dente Mattarella ha incontrato il Collegio degli scrittori de «La CiviltàCattolica»: la prima a Villa Malta, storica sede della rivista, la secondasempre al Quirinale per l’uscita del numero 4.000 de «La Civiltà Cattoli-ca» che, fondata nel 1850, è la più antica rivista italiana.

Page 3: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 10 luglio 2020 pagina 3

Al vertice Ilo l’allarme dei Paesi latinoamericani sugli effetti devastanti sul mercato del lavoro

Brasile e Messicoancora in balìa del covid-19

Il leader del partito di Dio Nasrallah critica il piano di annessioni del governo Netanyahu

Tensione tra Hezbollah e Israele

Mit e Harvardannunciano battaglia

sui vistiper studenti stranieri

WASHINGTON, 9. È scontro apertotra Mit e Università di Harvard dauna parte e l’amministrazione statu-nitense dall’altra. I due atenei han-no chiesto a una corte federale diBoston di fermare la decisione an-nunciata lunedì dall’agenzia Usaper l’immigrazione Ice (Immigra-tion and Customs Enforcement) cheprevede la revoca del visto per que-gli studenti iscritti presso atenei cheterranno esclusivamente corsi onlinea causa della pandemia da covid-19.Moltissimi ragazzi provenienti daaltri paesi e iscritti nelle universitàUsa, dunque, dovranno lasciare ilpaese o scegliere un altro ateneo chepreveda corsi in sede.

«L’annuncio dell’amministrazioneTrump sconvolge la vita dei nostristudenti internazionali e mette a re-pentaglio il loro successo accademi-co», affermano le due università, se-condo cui l’amministrazione Trump«non è stata in grado di offrire lepiù elementari spiegazioni su comela nuova politica sarà attuata». Har-vard terrà tutti i corsi online il pros-simo anno accademico, con una de-cisione definita «ridicola» ieri dalpresidente Donald Trump. Mit, chefarà accedere al campus un numerolimitato di studenti, ha optato peruna formula ibrida tra lezioni inclasse e via internet. Le due univer-sità hanno chiesto alla corte di bloc-care le nuove regole affermando chele loro decisioni sulla ripresa dellelezioni si erano basate su una diret-tiva di marzo della Homeland Secu-rity che, a causa della pandemia, au-torizzava gli studenti a restare negliUsa e consentiva a nuovi iscritti diarrivare in autunno. «L’ordine è sta-to dato senza preavviso. La sua cru-deltà è superata solo dalla sua scon-sideratezza», ha detto il presidentedi Harvard, Larry Bacow. «Per mol-ti studenti — si legge nell’azione le-gale — tornare a casa per partecipareall’istruzione online è impossibile,impraticabile, assurdamente costosoe pericoloso». Oltre un milione distudenti stranieri sono iscritti a uni-versità americane (ad Harvard sonocirca cinquemila), per oltre metàprovenienti dalla Cina (370 mila) edall’India (200 mila). Molti di lorosono rimasti bloccati negli Usa perla chiusura delle frontiere provocatadalla pandemia.

BRASÍLIA, 9. Il Brasile, secondo ilbilancio giornaliero del ministerodella Salute, ha aggiunto 1.223 nuo-ve morti nelle 24 ore comprese trala sera di martedì e quella di merco-ledì. Il dato complessivo delle vitti-me è arrivato a quasi 68.000, men-tre altri 4.105 decessi sono sotto in-chiesta. Il numero di nuove infezio-ni è tornato prepotentemente soprale 40.000 unità, portando il datocomplessivo sopra 1,7 milioni dicontagi.

C’è un elemento tra i tanti datirelativi alla diffusione del covid-19nel Paese che incoraggia all’ottimi-smo: oltre un milione di persone sisono riprese dalla malattia.

Il presidente brasiliano Jair Bol-sonaro, che martedì ha affermato diessere risultato positivo al covid-19,ha dichiarato ieri che nessun paeseal mondo ha conservato vita e lavo-ro come il Brasile, senza diffondereil panico di fronte alla pandemia dicoronavirus. Dal suo isolamento alpalazzo Alvorada di Brasília, Bolso-naro ha mantenuto la sua agendaattraverso videoconferenze con alcu-ni ministri del suo governo, e sulsuo account Twitter, ha assicuratoche «la lotta contro il virus non po-trebbe avere un effetto collateralepeggiore del virus stesso», insisten-do sulla sua critica delle misure didistanziamento sociale imposto daigoverni regionali.

Il Messico, ieri ha fatto registrareun record giornaliero di quasi 7.000nuovi casi positivi, 6.995 per l’esat-tezza. Secondo le autorità sanitariemessicane il Paese ha accumulato275.003 infetti dall’inizio della pan-demia. Nei primi giorni di lugliospesso il Paese è andato sopra quota6.000 contagi. Hugo López-Gatell,sottosegretario alla prevenzione epromozione della salute, ha comun-

que assicurato che il panorama na-zionale mostra che l’epidemia nelPaese continua a rallentare, sebbeneovviamente sia ancora attiva. «L’au-mento del numero di casi non signi-fica che l’epidemia stia accelerando.Una cosa è che il virus continuanella fase di crescita e un’altra è chela velocità con cui questo aumentosi verifica è sempre più lenta», haaffermato López-Gatell.

Intanto i presidenti di Ecuador,Cuba, Colombia, Panama, Guate-mala e Uruguay hanno partecipatoquesto mercoledì a un vertice virtua-le dell’Organizzazione internaziona-le del lavoro (Oil) dove hanno am-messo gli effetti devastanti dellapandemia sul mercato del lavorodell’intera regione latinoamericana,proponendo soluzioni per contra-starli.

Durante il vertice, organizzatodall’Oil per discutere il futuro delmercato del lavoro mondiale dopola pandemia di covid-19, il presiden-te uruguaiano Luis Lacalle ha sotto-lineato come sia necessario che «lacomunità internazionale, per il pro-prio bene, non ricada nel protezio-nismo», promuovendo anzi nuoveforme di lavoro. Più di cinquantacapi di Stato e di governo di tutto ilmondo hanno partecipato al verticein modo virtuale, al fine di proporresoluzioni al forte impatto della pan-

demia sul mercato del lavoro, cheper l’Oil ha causato la perdita diore equivalente a 400 milioni di po-sti di lavoro. «Nessun paese può ri-solvere questa crisi da solo, ci siamodentro insieme, e soluzioni multila-terali energiche ed efficaci sono piùimportanti che mai», ha sottolineatoil segretario generale dell’Onu, An-tónio Guterres, presente al summit.

Il presidente dell’Ecuador, LenínMoreno, ha chiesto un mondo piùsolidale, più umano e meno egoista,invocando unità per affrontare glieffetti sul mondo del lavoro portatidal covid-19. Secondo Moreno lapandemia impone nuovi scenari so-ciali, economici e lavorativi, i cui ef-fetti «richiedono un’azione urgente,creatività e solidarietà, ma pensandosempre prima di tutto a proteggereil più debole». «Siamo di fronte aun disastro globale e la risposta de-ve essere, allo stesso livello, globale.Sfortunatamente, le ripercussionihanno colpito duramente i paesicon piccole economie come l’Ecua-dor», ha aggiunto nel messaggio in-viato al vertice.

Il capo di Stato colombiano, IvánDuque, ha aggiunto che la pande-mia comportato una crisi socio-eco-nomica «che non discrimina tragrandi e piccoli paesi, ci colpiscetutti» e deve essere affrontata «sen-za populismo o demagogia».

Il presidente Trump spinge per la riapertura normale delle scuole in autunno

Gli Stati Uniti superanoi tre milioni di contagi

BE I R U T, 9. «Siamo pronti a tutto pur di fermare Israe-le». La parole del leader di Hezbollah, Hassan Nasral-lah, che ha parlato ieri da Beirut, fanno capire che latensione con Israele è tornata pericolosamente a cresce-re nelle ultime ore. Hezbollah si oppone al piano di an-nessioni unilaterali di parte dei Territori palestinesi an-nunciato dal governo Netanyahu. Solo alcune settimanefa, Hezbollah — membro del governo libanese — avevadiffuso un video in cui affermava di avere «missili ingrado di colpire città israeliane dal Libano». Com’è no-

to, il piano di annessioni israeliano doveva scattare ilprimo luglio, ma è stato rinviato.

Il ministro della difesa e vice premier, Benny Gantz,ex capo di stato maggiore e leader del partito Bianco eBlu, ha più volte espresso perplessità chiedendo di tro-vare un compromesso con gli altri paesi della regione.Solo due giorni fa Giordania, Egitto, Francia e Germa-nia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta perchiedere a Israele di rinunciare alle annessioni conside-rate una «violazione della legge internazionale».

S c o n t roall’O nu

sugli aiutialla Siria

NEW YORK, 9. È scontro all’O nusull’invio degli aiuti umanitari allaSiria. Russia e Cina hanno postoil veto a una risoluzione del Con-siglio di sicurezza che avrebbeesteso l’autorizzazione per gli aiutitransfrontalieri in Siria per un an-no. Gli altri 13 membri del consi-glio hanno votato tutti per appro-vare il progetto di estensione, se-condo quanto hanno riferito fontidiplomatiche delle Nazioni Unite.

La risoluzione era stata presenta-ta da Germania e Belgio, due deimembri non permanenti del consi-glio. Nello specifico, il documentoavrebbe consentito agli aiuti dicontinuare a passare attraverso duepunti al confine turco senza alcunainterferenza da parte delle autoritàsiriane. Durante i negoziati, Moscaha chiesto che l’estensione fosse li-mitata a sei mesi anziché a un an-no, e che fosse consentito solo aun valico di frontiera e non a due,nell’intento di rafforzare il ruolo diDamasco nella gestione degli aiuti.

Dopo il rigetto, martedì scorso,della prima risoluzione, in una se-conda votazione svoltasi ieri è sta-ta bocciata anche la proposta rus-sa con sette voti contrari e quattrofavorevoli. L’autorizzazione pergli aiuti umanitari transfrontalieriè in vigore dal 2014, con prorogheperiodiche. L’ultima estensionescade venerdì prossimo.

Il presidente messicanoin visita alla Casa Bianca

Aumenta il bilancio dei morti e dei disagi a causa delle piogge torrenziali

Non c’è tregua per il Giappone

TO KY O, 9. Le piogge torrenzialinon danno tregua al Giappone,dove soccorritori ed esercito stannofacendo il possibile per portareaiuto agli abitanti di migliaia di ca-se rimaste isolate. Per il maltempodi questi giorni sono morte 60 per-sone, uccise da frane o inondazio-ni. La protezione civile giapponeseha fatto sapere ieri che risultanoisolate oltre tremila abitazioni. Lamaggior parte si trova nella regionedi Kumamoto, nel sud-ovestdell’arcipelago, dove sono atteseulteriori piogge. Le precipitazioniproseguono incessanti da sabatoscorso anche nel centro e si preve-de che continueranno fino a dome-nica prossima. L’Agenzia meteoro-logica giapponese ha chiesto«estrema vigilanza» e ha emessoun’allerta di un solo livello sotto ilmassimo per oltre 450.000 persone.

Un operatore sanitario in un momento di riposo a Houston, in Texas (Reuters)

Resti di un ponte crollato sul fiume Kusu (Afp)

WASHINGTON, 9. Con i 55.000 nuo-vi casi positivi al coronavirus delle24 ore comprese tra la sera di mar-tedì e quella di mercoledì gli StatiUniti hanno superato quota tre mi-lioni di contagi con l'epidemia cheha raggiunto livelli record in 18 dei50 Stati americani.

Gli Usa avevano impiegato tremesi per raggiungere un milione dicasi a fine aprile, tanto quanto laUe. Ma da allora hanno registratoaltri due milioni di infezioni, controle 270 mila in Europa. L’ultimo mi-lione è stato totalizzato in meno diun mese. Di questo passo, secondole proiezioni dell’università di Wa-shington, potrebbero esserci almeno208.255 vittime entro il primo no-vembre, due giorni prima delle ele-zioni presidenziali: un numero che,se il 95 per cento della popolazioneindossasse la mascherina in pubbli-co, scenderebbe a poco più di162.000 unità.

In alcuni Stati, in particolare inTexas, in Arizona, e in Florida lestrutture sanitarie sono fortementesotto pressione. Molti ospedali han-no raggiunto il punto di saturazio-ne e rischiano di non essere in gra-do di ricevere pazienti. «Il rischioquando gli ospedali sono saturi èche dobbiamo stabilire standard diassistenza in caso di crisi: dobbiamoselezionare e razionare le risorsescarse come letti per terapia intensi-

va, ventilatori, e vogliamo evitarlo —ha affermato il Dr. Thomas Tsai,chirurgo di Boston e professore peril Dipartimento di politica e gestio-ne della salute dell’Università diHavard —. Ma data la velocità concui il virus si diffonde in alcunearee, potrebbe essere necessario ri-correre a questo tipo di gestionedelle crisi».

Nonostante la curva dei contaginon accenni minimamente a fermar-si il presidente Donald Trump vuo-le che le scuole riaprano normal-mente nonostante la riluttanza delleautorità locali e dei sindacati degliinsegnanti. «Vogliamo che le nostrescuole riaprano, aprano rapidamen-te in autunno», ha detto Trump,prima di ricordare come il coronavi-rus molto raramente sia fatale per igiovani.

Ma sono le autorità locali che de-cidono di aprire le scuole. E diversistati o distretti, preoccupati per laprogressione della pandemia, stannoprendendo in considerazione unariapertura graduale o un'educazionebasata sulla didattica a distanza al-l'inizio dell'anno scolastico. Il presi-dente Usa ha poi aggiunto chespingerà sui governatori per aprirele scuole, insistendo sull'importanzaper il Paese, «per il benessere discolari e genitori, quindi esercitere-mo la massima pressione per aprirele scuole in autunno».

WASHINGTON, 9. Nel mezzo dellapandemia di covid-19 e quattromesi prima delle elezioni presiden-ziali statunitensi, il presidente Do-nald Trump ha ricevuto ieri, allaCasa Bianca, il suo omologo mes-sicano Andrés Manuel LópezObrador. L’incontro avrebbe do-vuto celebrare oggi il nuovo accor-do di libero scambio nordamerica-no tra Stati Uniti, Messico e Ca-nada, denominato Usmca e pro-mulgato ufficialmente il 1° luglio,che è stato introdotto in sostituzio-ne del precedente accordo, il Naf-ta. Il Primo Ministro canadese Ju-stin Trudeau, anch’egli firmatario,mancherà all’appello. Trump haaffermato che «porterà un’enormeprosperità sia ai lavoratori statuni-tensi e messicani, sia al Canada».

I due presidenti, al loro primoincontro, sono apparsi insieme nelGiardino delle Rose. Trump ha di-

chiarato che il rapporto tra gli Sta-ti Uniti e il Messico «non è maistato più stretto», elogiando anchei messicani che vivono negli Usa:«36 milioni di incredibili cittadiniche elevano le nostre comunità,rafforzano le nostre chiese e arric-chiscono ogni aspetto della vitanazionale. Sono persone incredibi-li e laboriose», le parole di Trump.

López Obrador ha risposto chei due Paesi stanno «mettendo daparte le differenze» e stanno pro-vando a risolverle «attraverso ildialogo e il rispetto reciproco»,commentando che Trump «non hacercato di trattarci come una colo-nia; al contrario, ha onorato la no-stra condizione di nazione indi-pendente». «Le previsioni sonofallite. Non abbiamo litigato. Sia-mo amici, e continueremo ad es-serlo», ha detto Obrador ai gior-nalisti alla fine della giornata.

Un sostenitore di Hezbollah (Epa)

Page 4: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 venerdì 10 luglio 2020

Il 10 luglio di 190 anni fa nasceva il pittore francese Camille Pissarro

I m p re s s i o n i s t a(con riserva)

Jean-Paul Sartre nella Parigi occupata dai nazisti

Una cesura esistenziale

Quello che ho capito è che la libertànon è affatto il distacco stoico dai benio dalle passioniAl contrario essa supponeun radicamento profondo nel mondo

È morto il critico musicale Lorenzo Arruga

Eleganza e ironia

Jean-Paul Sartre

«Due giovani contadine» (1892)

di GABRIELE NICOLÒ

Il padre avrebbe voluto chediventasse merciaio, perchécosì avrebbe garantito allafamiglia un reddito stabile esicuro, ma Camille Pissarro

sentiva urgere in sé, sin da ragazzo,la passione per la pittura. Colui chesi sarebbe imposto come uno deimaggiori esponenti dell’I m p re s s i o n i -smo si era visto costretto, per sfug-gire al rigoroso controllo paterno, adipingere di notte in un casolare enascondere qui le tele che venivaproducendo. Era nato nelle IsoleAntille (all’epoca note come IndieOccidentali il 10 luglio di 190 annifa) e da quelle Isole era fuggito percercare fortuna in Venezuela. Primadi partire, aveva conosciuto un pit-tore danese, Fritz Malbye, allora ar-tista di rinomata fama, il quale ave-va intuito il talento del giovane e loaveva quindi incoraggiato a perseve-rare lungo il cammino della creazio-ne artistica.

Fu dunque in Venezuela che Pis-sarro eseguì i primi lavori, fatti an-che con l’obiettivo di racimolare de-naro sufficiente per pagarsi il viag-gio in Europa, ben consapevole cheera in questo continente che avreb-be trovato terreno fertile per realiz-zare le sue legittime ambizioni. Enon aveva torto. Fu infatti in Fran-cia che Pissarro potè intraprendereuna carriera destinata a consacrarloquale pittore d’eccellenza. A Parigi,dove vibrava un coinvolgente fervo-re artistico, ebbe modo di conoscereClaude Monet e Paul Cézanne, checon lui condividevano l’acuta insof-ferenza sia per gli stantii convenzio-nalismi accademici sia per la “ditta-tura artistica” dei Salons, ovveroquelle esposizioni periodiche dovele opere erano poste al vaglio diuna giuria che salutava con favore idipinti ligi alla tradizione e respin-geva quelli che invece deviavanodalla norma e dalle protocollarico ordinate.

Dopo lo scoppio della guerrafranco-prussiana, Pissarro si rifugiòa Norwood, alla periferia di Lon-dra. Fu nella capitale britannica cheincontrò Paul Durant-Ruel, mercan-te d’arte, che con mirabile lungimi-ranza scoprì il valore degli impres-sionisti in un periodo in cui eranoignorati, se non disprezzati. Quan-do tornò a Parigi, nel 1871, ebbe unasorpresa assai amara. Rimesso piedenel suo atelier, vide che molti dei1.500 dipinti che aveva realizzato inpiù di vent’anni erano stati saccheg-giati o distrutti dalle milizie prussia-ne. Ma l’artista non si perse d’ani-mo e riprese a lavorare con indefes-sa lena. Nel contempo era impegna-to a scoprire “i veri talenti” tra itanti giovani aspiranti artisti che alui si rivolgevano per consigli e di-rettive. Anche in questo campo Pis-sarro si dimostrò all’altezza, avendointuito il genio di un giovane pitto-re di nome van Gogh.

Fu la vista, che nel trascorrere de-gli anni, subì un forte abbassamen-to, a ridurre il sostenuto ritmo dellasua produzione. Si era poi aggiuntoil problema, non meno serio, diun’intensa fotosensibilità, per cuiera costretto a dipingere guardando

la realtà circostante dai vetri delle fi-nestre degli alberghi nei quali allog-giava. Un contemporaneo, in meri-to, così scrisse: «Lo si poteva vedereda mattina a sera, un vegliardo dallalunga barba bianca, davanti alla fi-nestra e al cavalletto, la tavolozza inmano, un berretto in testa, lo sguar-do acuto e sereno».

Da Strada verso Versailles a Duegiovani contadine, da Abitazioni conta-dine a Boulevard Montmartre, effettodi notte, si sviluppa un percorso arti-stico caratterizzato da alcuni capi-saldi sui quali Pissarro costruì la suaconcezione pittorica. Su di lui eser-citò una notevole influenza la lezio-

cordata) nella paesaggistica, ma laapriva, arricchendola, alla dimensio-ne umana, con l’attenta descrizionedelle fattezze dei soggetti eletti aprotagonisti delle tele. Tuttavia lacritica concorda nel rilevare una cer-ta staticità nella descrizione delle fi-gure: una staticità che acquista unrisalto ancora maggiore se parago-nata al frizzante dinamismo che ani-ma i soggetti di Edgar Degas.

Quando l’Impressionismo entròin crisi e i suoi maggiori esponentifinirono per seguire ciascuno unpercorso personale, dettato dallapropria sensibilità, anche Pissarro siritrovò a «fare i conti con sé stes-

ne dei pittori di Barbizon (Jean-Francois Millet, Jean-Baptise Camil-le Corot, Théodore Rousseau) iquali propugnavano l’esigenza ditrascrivere sulla tela il paesaggiosenza diaframmi e senza svolazzi(prediligendo, tra l’altro, i soggettidi umile estrazione sociale): al con-tempo, esortavano a favorire il gio-co degli effetti cromatici e luminosi.Non meno significativa fu l’influen-za legata alle antichissime stampegiapponesi, dalle quali Pissarro deri-vò un’atmosfera fluttuante, quasifiabesca. Scrive il pittore: «È mera-viglioso. Ecco che cosa intravedonell’arte di questo sorprendente po-polo: niente che salta immediata-mente all’occhio, una calma, unagrandezza, un’unità straordinaria,una radiosità tenue e sommessa».

«Bisogna eseguire molto e faremolta pratica per far sì che la cosadipinta diventi familiare» soleva ri-petere Pissarro, manifestando cosìscetticismo riguardo alla poeticadell’attimo e della fuggevolezza teo-rizzata dagli altri impressionisti, inparticolare da Monet. Su questo di-scrimine si misura il grado di ade-sione, sì partecipata e convinta, manon radicale, ai canoni dell’arte im-pressionista da parte di Pissarro, ilquale, tra l’altro, non esauriva la suapittura (come gli altri compagni di

so», cercando una nuova identità.Pensò di averla trovata abbraccian-do l’indirizzo del Divisionismo — ilcui alfiere era Georges Seurat — ca-ratterizzato dalla separazione dei co-lori in singoli punti o linee che inte-ragiscono tra loro in senso ottico.Appartengono a questa fase Donnain un campo, Isola Lacroix, Rouen ef-fetto di nebbia. Ma l’idillio con il Di-visionismo non durò a lungo. Pis-sarro, infatti, non trovava congenialeuna tecnica che imponeva sostan-zialmente un approccio teorico eschematico, dunque poco propizioper un’indole come le sua, spumeg-giante e votata a un contatto vitalecon la natura e le sue diverse mani-festazioni. Come a suggellare il di-stacco definitivo dal Divisionismo,Pissarro. In una lettera indirizzata aun amico, scrisse: «Dopo aver speri-mentato questa teoria per quattroanni per poi abbandonarla, non miposso più considerare un neo-im-pressionista. Quella neo-impressio-nista era una tecnica che non miconsentiva di essere ligio alle miesensazioni e che, pertanto, mi impe-diva di rappresentare la vita, il mo-vimento: né potevo essere fedeleagli effetti ammirevoli e caotici dellanatura, o magari conferire un cari-sma al mio disegno. Alla fine ho ri-nunciato».

«La raccolta dei piselli»

È tornato ai legittimi proprietari il quadro La raccolta dei pisellidipinto, nel 1887, da Camille Pissarro. La tela era stata trafugata dainazisti durante l’occupazione di Parigi e quindi sottratta alcollezionista ebreo Simon Bauer, industriale appassionato d’arte. Ilquadro, in precedenza, era stato prestato al museo Marmottan-Monet di Parigi da Bruce e Robbi Toll, coppia di collezionistiamericani. Gli eredi Bauer — riferisce «The Times» — nel visitareuna retrospettiva dedicata a Pissarro, nel gennaio 2017 dal museoMarmottan-Monet, riconoscono il quadro, sanno che un tempoapparteneva al loro antenato e decidono di rivolgersi alla giustizia.Dopo oltre tre anni di battaglia legale, è arrivata, in questi giorni, lasentenza della Corte di cassazione francese: «La raccolta dei pisellitornerà definitivamente alla famiglia Bauer». La tela era sta messaall’asta da Christie’s New York nel 1995, e ad aggiudicarsela furono icollezionisti Bruce e Robbi Toll per 800.000 dollari. Quando idiscendenti hanno visto e riconosciuto il quadro, hanno chiesto ilsequestro sulla base del decreto del 21 aprile 1945, che dichiara nulligli espropri commessi durante il periodo collaborazionista di Vichy.I Toll, che pensavano di essere i legittimi proprietari del quadro,non ne sono più rientrati in possesso, e a loro volta hanno fattoricorso alla magistratura. La Corte, sentite le parti in causa, hastabilito dunque che La raccolta dei piselli tornerà ai Bauer, purriconoscendo la buona fede dei Toll. (gabriele nicolò)

Creatività esplosiva diuna forza straordinariache — sicuramente —andrà oltre la sua mor-te: in sintesi estrema,

tutto ciò era (anzi è) Franco Loren-zo Arruga. Fine e mai scontato cri-tico musicale (ha lavorato per «IlGiorno», «Panorama», «Il Giorna-le» ed è stato fondatore della rivi-sta «Musica Viva»); coraggiosodrammaturgo e librettista; registapoliedrico; romanziere dalle millesorprese; affascinante affabulatore(tutti ricordiamo il suo vocione tra-mutarsi in falsetto nello spiegarel’opera lirica nelle sue lezioni tele-visive degli anni ‘90, primi esperi-menti della musica “colta” per ilpiccolo schermo); inventore instan-

cabile di eventi culturali; preziososcrigno di ricordi sul Teatro allaScala e sul Piccolo Teatro di Mila-no e di tutti quei nomi importantiche hanno calcato le tavole dei dueillustri teatri meneghini (daStrehler, prima di tutti, a Pier Lui-gi Pizzi, da Tino Carraro a Valenti-na Cortese).

Lo “spartito musicale” della suavita e della sua attività artistica(difficile scindere in lui i dueaspetti) ha sempre recato ben incalce un preciso tempo musicale:“andante, con brio”. E aggiungerei“maestoso”, per la sua signorilità diuomo galante-elegante, senza maidimenticare l’ironia. Lorenzo Arru-ga è (rimane ancora difficile scrive-re il verbo al passato) un misto tra

un Falstaff verdiano (per il suo bri-tish humour) e un Rodolfo pucci-niano che mai si stanca di sognare«chimere e castelli in aria».

Chi ha avuto il privilegio di co-noscerlo, sa bene che quel suo con-tinuo canticchiare sottovoce unaromanza — era una sua allegra abi-tudine — nascondeva ben altro:una nuova idea da partorire, unaqualche frase appena scritta che —magari — non lo convinceva poicosì tanto. E il nodo, quasi permagia, a un certo punto riusciva asciogliersi: l’idea nuova gli si rive-lava e lui, come perenne bambino,si meravigliava di questo prodigio.La lezione più importante che ciha lasciato è quella del rimanerebambino. (Antonio Tarallo)

Pubblichiamo uno stralcio dalla prefazione del volume«Parigi occupata» (Genova, Il Melangolo, 2020, pagine176, euro 16) di Jean-Paul Sartre, a firma della curatricee traduttrice dell’o p e ra .

di DIANA NAPOLI

«S enza averla preparata, scatenammoun’“offensiva esistenzialista” (...)Nelle settimane che seguirono lapubblicazione del mio romanzo,uscirono i primi due volumi de I

cammini della libertà. Al Club Maintenant io e Sartretenemmo delle conferenze, io sul romanzo e la metafi-sica, Sartre L’esistenzialismo è un umanismo? Ve n n emesso in scena Le bocche inutili. Sollevammo un tu-multo che ci sorprese. (...) Non passava settimana sen-za che si parlasse di noi nei giornali. “Combat” com-mentava con approvazione tutto quello che scrivevamoe dicevamo. “Terre des hommes”, un settimanale fon-dato da Herbart e che uscì solo per qualche mese, cidedicava in ogni numero molte colonne amichevoli oagrodolci. Ovunque c’era l’eco nostra e dei nostri li-bri. I fotografi ci assalivano per le strade, i passanti cifermavano per strada. Al caffè Flore ci guardavano esussurravano. Alla conferenza di Sartre vennero moltepiù persone di quelle che la sala poteva contenere: fuun parapiglia incredibile, addirittura molte donnes v e n n e ro » .

Con queste parole Simone de Beauvoir raccontavalo straordinario e «inaspettato successo» riportato da

parte dell’uomo di inventare il mondo (partendo daisuoi bisogni, dalla sua condizione di alienato o sfrut-tato), passando per i romanzi e per il teatro, al centrodella sua riflessione rimane, per usare le sue stesse pa-role, lo «scandalo di un idiota che diventa genio»; loscandalo di un soggetto che, per giustificare la sua esi-stenza, non può fare riferimento al determinismo, alla«natura umana», alla necessità storica, ma solo allascelta di diventare un genio, un vile, un eroe conti-nuando a restare (e avendo il coraggio di riconoscersi)comunque: «Solo un uomo, fatto di tutti gli uomini: livale tutti, chiunque lo vale».

Ripercorrendo l’evoluzione del pensiero di Sartre,tutti gli studiosi hanno sottolineato il ruolo centrale, ilsignificato di vera e propria svolta, costituito dall’esp e-rienza della guerra. Era stato mobilitato allo scoppiodel secondo conflitto mondiale, vivendo quell’alienan-te situazione bellica che era stata la drôle de guerre p eressere poi catturato dai tedeschi, dopo la firma dell’ar-mistizio tra Francia e Germania nel giugno del 1940, epassare circa nove mesi in un campo prigionia, riu-scendo a evadere nel marzo del 1941. Sono mesi in cuiSartre racconta di aver scoperto le forme dell’esistenzacollettiva fuoriuscendo dall’individualismo che avevafino a quel momento scandito il suo percorso. Ne è te-stimonianza la scrittura che consegna ai suoi Carnetsde la drôle de guerre, vero e proprio laboratorio del suopensiero filosofico in forma di diario, una scrittura chetraccia, nel marzo del 1940, un autoritratto sicuramen-te poco compiacente:

«Io sono il prodotto mostruoso del capitalismo, delparlamentarismo, del mito della centralità di Parigi edell’ideologia del funzionario. (...) A tutte questeastrazioni messe insieme devo il fatto di essere un uo-mo astratto e sradicato. (...) Questo è il personaggioche mi sono costruito in trentaquattro anni, proprioquello che i nazisti chiamano “l’uomo astratto dellepluto crazie”. Non ho per lui alcuna simpatia e vogliocambiare. Quello che ho capito è che la libertà non èaffatto il distacco stoico dai beni o dalle passioni; alcontrario, essa suppone un radicamento profondo nelmondo».

È lo stesso Sartre a ricordare, in più occasioni, ilmomento quasi di cesura che la guerra aveva costituito

Sartre nell’immediato dopoguerra, consacrandolo co-me filosofo, scrittore, drammaturgo impegnato che,«prigioniero della sua epoca, l’avrebbe scelta control’eternità». Come del resto aveva intuito de Beauvoir,Sartre ha varcato di gran lunga i confini della suaepoca e ancora oggi potremmo dire che la sua figurasi staglia nel nostro immaginario come «l’idea regola-trice della vocazione intellettuale».

Filo rosso dell’itinerario sartriano è il richiamo co-stante all’irriducibilità del soggetto che resta «solo esenza scuse». Da La Nausea, pubblicato nel 1938, allaCritica della ragione dialettica, uscito nel 1960 che indi-ca la soggettività come il motore della storia tentandodi conciliare il materialismo marxista con la libertà da

nel passaggio «dalla nausea all’impegno», come bensintetizza il titolo di un testo che ne ricostruisce labiografia intellettuale.

Nel 1945, a guerra finita, Sartre è subito una celebri-tà filosofica e letteraria all’insegna dell’engagement, te-stimoniato anche dalla fondazione nel 1945 della rivi-sta «Temps modernes» la cui presentazione ribadivacon fermezza le responsabilità dello scrittore come co-lui che sempre «è in situazione nella sua epoca».Questa “svolta” evidentemente radicale a livello bio-grafico affonda però le sue radici nel complesso per-corso di riflessione della filosofia sartriana la cui eco sifa sentire anche nei contributi raccolti in questo volu-me. Si tratta di alcuni testi scritti subito dopo la libe-razione di Parigi, tra il 1944 e il 1945 (solo l’invettivacontro Drieu La Rochelle è del 1943) e che non hannolo scopo di parlarci del Sartre «resistente», ma costi-tuiscono invece una profonda e lucida disamina dellaResistenza e delle attese che essa aveva veicolato. Sar-tre scrive per diverse riviste clandestine da «Combat»,di cui Camus era stato per un periodo caporedattore,a «Lettres françaises», organo del Comité national desécrivains (Cne). Quest’ultimo era stato creato su ini-ziativa dei resistenti comunisti, grazie all’attività in-stancabile di Louis Aragon e al contributo di JeanPaulhan, che, da storico direttore della prestigiosa«Nouvelle Revue française», era stato tra i promotoridell’ingresso alle edizioni Gallimard di Sartre, accoltoperò nel Cne solo nel 1943. Era stato probabilmenteostacolato dai comunisti che lo guardavano con so-spetto a causa della sua vita privata considerata srego-lata, della sua frequentazione della filosofia heidegge-riana e anche forse della sua amicizia con Paul Nizanche in seguito al patto Ribentropp-Molotov aveva ab-bandonato il Partito comunista francese.

Page 5: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 10 luglio 2020 pagina 5

Una personaaffollata di gente

Mappe, antenne e percorsi di dialogo, da Eduardo Galeano a David Foster Wallace

«Il deserto dei tartari» di Dino Buzzati nella lettura di Jorge Luis Borges

L’angoscia e la magia dell’attesa

David Foster Wallace in una illustrazione pubblicata sul blog «The Howling Fa n t o d s »

L’esperienza della lettura è un «incontro»in senso letterale. Nell’avvertire che quel libroè fatto per noi, capiamo che non siamo noia leggere il libro, ma è il libro a leggercia scoprirci, a decifrare i nostri pensieri

soprattutto «del piacere del lettore» (citodall’edizione Biblioteca personal, AlianzaEditorial, Madrid, 1988). A guidarlo era sta-to solo il suo fiuto «di lettore sensibile e ri-conoscente» che della lettura, prima ancorache della scrittura, aveva fatto il suo motivodi orgoglio e la ragione della sua fierezza;come egli stesso ebbe a dire una volta: «Chegli altri si vantino dei libri che hanno scritto,io mi vanterò di quelli che ho letto». Dopoessersi assicurato in questo modo il patto

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

«Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazioneperché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone:storie che edifichino, non che distruggano;storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme»

(Papa Francesco per la giornata delle comunicazioni sociali 2020)

di LUCIO CO CO

Nel 1985 l’editrice Hyspaméria di Bue-nos Aires avviò la pubblicazione del-la Biblioteca personal di Jorge Luis

Borges. Nelle intenzioni dello scrittore ar-gentino dovevano essere cento libri ma lasua morte avvenuta un anno dopo impedìche l’opera si completasse e la serie si fermòalla cifra di 64 volumi. In questa collezionedi lusso, Il deserto dei tartari, di cui ricorro-no i quarant’anni della pubblicazione (perRizzoli, nella collana «Il sofà delle muse»diretta da Leo Longanesi), figura tra i primisei titoli.

Scrive Borges nel prologo, spiegando leragioni delle sue scelte, di aver tenuto conto

con il lettore, sempre nel prologo, Borgespassa a descrivere come avviene l’i n c o n t rotra un libro e chi lo legge: «Un libro — scri-ve — è una cosa tra le cose, un volume persotra i volumi che popolano l’universo indiffe-rente» e questo fino a quando non trova ilsuo lettore ovvero «l’uomo destinato ai suoisimb oli».

La lettura è proprio in questo incontro,nell’avvertire che quel libro è fatto per noi.In realtà non siamo noi a leggere il libro, maè il libro a leggerci, a scoprirci, a decifrarci.Borges parla dell’«emozione» che producein noi questo momento, e lo definisce come«un meraviglioso mistero che né la psicolo-gia né la retorica riescono a spiegare».

L’auspicio, posto a conclusione, della pre-

giornalista e in seguito si dedicò alla lettera-tura fantastica. Il suo primo libro, Bàrnabodelle montagne, risale al 1933; l’ultimo, I mira-coli di Val Morel, al 1971, un anno prima del-la sua morte». Per quanto riguarda le sueascendenze letterarie Borges riporta che«l’influenza di Poe e del romanzo goticoerano state da lui stesso dichiarate», mentrealtri per lui «hanno parlato di Kafka».

Naturalmente questi due modelli non so-no in conflitto tra di loro, perché dunque, sichiede, «senza alcun pregiudizio per Buzza-ti, non accettare entrambi gli illustri mae-stri?».

Poi l’autore de La biblioteca di Babele par-la della produzione del prosatore bellunese,sottolineando due elementi in particolare, dauna parte il realismo magico e dall’altra l’an-gosciosa dimensione esistenziale: «La suavasta opera, non di rado allegorica, emanaangoscia e magia».

In questo modo lo scrittore argentinomette in evidenza due fattori che influenza-no decisamente anche l’atmosfera de Il de-serto dei tartari. Questo libro, spiega Borgessempre nel prologo, «che è forse il suo ca-polavoro e che ha ispirato un bellissimo filmdi Valerio Zurlini, è governato dal metododella procrastinazione indefinita e quasi infi-nita, cara agli eleati».

Siamo così giunti alla definizione di quel-la che è la legge che governa il romanzo diBuzzati, secondo Borges la p o s t e rg a c i ó n , ilrinvio infinito, in un gioco di rimandi che ri-corda la scuola di Elea e il paradosso di Ze-none di Achille e della tartaruga, che rendeimpossibile il movimento mentre attesta chel’infinita divisibilità equivale all’indivisibilitàdel tutto.

Anche il capolavoro di Buzzati è permea-to di questa immobilità e del fatto che il

movimento è solo illusione. In esso infattinon accade niente e quante volte appare il-lusorio agli stessi soldati della fortezza Ba-stiani anche il movimento dei barbari lungoconfine... Eppure, continua Borges, a diffe-renza di Kafka, anche lui un maestro dellaproroga e del differimento, a prevalere non èil tono, tipico delle narrazioni dello scrittorepraghese, «volutamente grigio e mediocre,che ha il sapore della burocrazia e dellanoia».

Questo non è il caso del romanzo di Buz-zati. Qui, scrive Borges, «c’è una vigilia, cheè quella di una grande battaglia, temuta eattesa». In questa prospettiva l’a p p a re n t escorrere monotono e uguale del tempo trovaun suo orientamento e un suo senso proprionella preparazione all’evento.

Per questo motivo il libro, proprio mentredescrive un nulla di avvenimenti, è sottrattoalla legge della noia e inserito in una dimen-sione più grande, da cui trae la sua giustifi-cazione, che è quella l’attesa. Il deserto deitartari è infatti per Borges come una grande«veglia», i turni di guardia dei soldati, le lo-ro vigiliae sugli spalti della fortezza sul con-fine più lontano, non fanno altro che scandi-re i momenti di questa preparazione e nonne sono che una metafora. «In tal modoBuzzati, in queste pagine, riporta il romanzoall’epopea, che ne fu la fonte», spiega Bor-ges, rilevando la contraddizione, l’o s s i m o ro ,che anima e tiene vivo tutto il romanzo enon lo consegna a nessuna deriva nichilisticama lo agita con l’attesa di un senso: «Il de-serto è reale ed è simbolico. È vuoto eppurel’eroe aspetta la folla»

mo rievocare la storia dei discepoli di Em-maus, ricca di narrazioni che si incrociano. Idue, sconsolati e con la morte nel cuore,mentre raccontano allo sconosciuto che cam-mina con loro gli eventi accaduti a Gerusa-lemme raccontano di sé. Ma ecco che Gesùripercorre la Sacra Scrittura fissando «nellamemoria gli episodi più significativi di que-sta Storia di storie, quelli capaci di comuni-care il senso di ciò che è accaduto», comescrive il Pontefice.

Il racconto di Gesù converte quello deidiscepoli, che dopo averlo riconosciuto tor-nano a Gerusalemme con una narrazionerinnovata: davvero «attraverso il suo narrareDio chiama alla vita».

Vale la pena evidenziare che Gesù inizia ilsuo racconto ascoltando quello dei discepoli.Egli, grande narratore, ci insegna che curareil racconto che facciamo è sempre, al tempostesso, curare la qualità del nostro ascoltodei racconti altrui. Una buona storia esisteanche grazie a chi la riceve. E se nessuno ècosì povero da non avere una storia da rac-contare, troppe persone sperimentano unapovertà radicale: manca chi ascolti il lororacconto.

«Quando so che qualcunosta ascoltando…»

Nel romanzo Erano solo ragazzi in cammi-no Dave Eggers ha raccontato la storia veradi Valentino Achak Deng: bambino nel Su-dan travolto dalla guerra civile, fugge insie-me a migliaia di altri orfani verso l’Etiopia.Un esodo infernale a cui seguono gli anninel campo profughi, tra moltissime privazio-ni ma ritrovando relazioni, scuola, un barlu-me di umanità. Grazie a un programmaOnu per rifugiati, Valentino vivrà negli StatiUniti, in un sogno presto disilluso. Il ro-manzo è costellato di passaggi rivelativi ri-spetto alle dinamiche della narrazione.

Il protagonista testimonia l’importanza diraccontare la propria storia, anche quandonon trova ospitalità: «Quando so che qual-cuno sta ascoltando e che quella personavuole sapere tutto quello che riesco a ricor-darmi, sono in grado di far riemergere tutto.(…) Al mio arrivo in questo paese racconta-vo storie silenziose. Le raccontavo alla genteche aveva commesso un torto nei miei con-fronti. Se qualcuno mi passava davanti in

coda, se qualcuno mi ignorava, mi urtava ospingeva, io li fissavo, senza distogliere losguardo, sibilando storie silenziose. Tu noncapisci, gli dicevo, non aggiungeresti altrasofferenza alla mia vita se sapessi che cosaho visto io (…) Riesci a immaginare? Quan-do avevo smesso di raccontare a quella per-sona, continuavo a narrare le mie storie. Lofaccio ancora oggi, e non solo con quelli chemi hanno fatto un torto. Queste storie ema-nano da me in ogni istante di vita e di respi-ro, e io voglio che tutti le ascoltino». Lo sot-tolinea con forza anche Francesco nel suomessaggio: «Quante storie reclamano di es-sere condivise, raccontate, fatte vivere!». Ilprotagonista del romanzo di Eggers si rivol-ge proprio al lettore: «Mi dà forza, una for-za che ha dell’incredibile, sapere che ci sei.Desidero i tuoi occhi, le tue orecchie, lo spa-zio tra noi che può ridursi in un secondo.Quanta fortuna abbiamo, nell’avere l’un l’al-tro? Io sono vivo e tu pure, e per questodobbiamo riempire l’aria delle nostre parole.E la riempirò oggi, domani, ogni giorno fin-ché non tornerò a Dio. Racconterò storie al-la gente che ascolterà e anche a quelli chenon vogliono ascoltare, alla gente che vienea cercarmi e alla gente che mi sfugge. E sa-prò sempre che ci sei. Come potrei far fintache non esisti? Sarebbe impossibile, come losarebbe per te far finta che non esisto io».

Per chi non può raccontareRaccontare dà la vita, raccontare salva la

vita. E il fatto che per molti e molte le con-dizioni di un buon racconto vengano menocostituisce un forte appello alla responsabili-tà. «Perché tu possa raccontare» è il titoloche il Papa ha scelto per il suo messaggio, aribadire il potere e la potenzialità di ogniracconto, frase, parola: «La parola ci ponesempre di fronte a una scelta: o farsene servicon la responsabilità, o farsene padroni conla manipolazione» (Luciano Manicardi).

Responsabilità è imparare a stare in modogenerativo là dove nascono i grandi raccontidi questo tempo. È scegliere attentamente lestorie che ci raccontiamo, imparando a rac-contare bene il bene anche in tempi difficili.Scriveva David Foster Wallace che ciò chedefinisce un’opera d’arte, e dunque un buonracconto, è «la capacità di individuare e farela respirazione bocca a bocca a quegli ele-

menti di umanità e di magia che ancora so-pravvivono ed emettono luce nonostantel’oscurità dei tempi».

Anche nel corpo a corpo con il male, indefinitiva, l’importante è non interrompere ilracconto. Responsabilità significa essere at-tenti ai diversi punti di vista, e chinarsi suiracconti di ciascuno, dargli spazio, custodir-li, perché ciascuno possa avere voce e narra-re — un fatto, un sogno, un amore, il tempodella pandemia, la crisi ambientale. EduardoGaleano descriveva così il narratore: «Que-st’uomo, o donna, è affollato di gente. Gliesce da ogni poro. Così lo raffigurano, instatuette di argilla, gli indios del NuovoMessico: il narratore, colui che racconta lamemoria collettiva, è tutto uno sbocciare dip ersoncine».

Auguriamoci — come comunità, paese,Chiesa — di saper ospitare la polifonia deiracconti in cui la vita delle persone continuaa sbocciare.

di ENRICO ZARPELLON

Sono affamato di storie capaci di re-stituirci la bellezza e la complessitàdi essere vivi, e il messaggio di Pa-pa Francesco per la Giornata dellecomunicazioni sociali giunge con

la forza di un amico che mi conosce e samostrarmi ciò che vivo quando ascolto e leg-go un racconto. Accade di sperimentare co-me una buona storia funzioni contempora-neamente da mappa e da antenna: a patto diconoscerla, sai sempre trovare la strada.Spesso si tratta di una strada verso la pro-fondità di ciò che significa essere umani inmodo pieno e consapevole, e il racconto di-venta una chiave per aprirsi dall’interno, ca-pace di «aiutarci a capire e a dire chi sia-mo». Affinché ciò accada sottostiamo a unmeraviglioso vincolo: non essere da soli.

Per raccontare bisogna essere in dueUn racconto non esiste senza chi lo fa e

chi lo riceve. Ogni racconto presuppone, su-scita e amplifica un tu fondamentale, un’al-terità che, come nell’esperienza di fede, ciconcede lo spazio per esercitare la libertà dicredere o meno a una storia. Lo ricordavaanche Eudora Welty: «Ogni autore ci per-mette di credere: non ce lo chiede, non ciobbliga a farlo, ci lascia semplicemente libe-ri». Che si riceva o si generi un racconto oc-corre essere in due, ed è un elemento che

conserva un’intatta meraviglia se pensiamo aquanto spesso tale condizione venga menoin tante delle narrazioni che produciamo.C’è una pervasiva modalità del racconto disé (ad esempio attraverso i social network)che nega lo statuto di questo rapporto fraalterità: nella bolla social il mio raccontotenderà a perseguire un riconoscimento au-tocompiaciuto e controllato narcisisticamen-te, che rifiuta la libertà di un ascolto vero ealtro; e anche nel ricevere il racconto di séche altri, talvolta compulsivamente, compon-gono, rischierò di restare nella palude di chisi divora in continuazione, preda di un eter-no riconoscimento che appaga ma toglie ilfiato.

L’esito, ricorda il Santo Padre nel suomessaggio, sono «storie che ci narcotizza-no», e «non ci accorgiamo di quanto diven-tiamo avidi di chiacchiere e di pettegolezzi».Rispetto a ciò un elemento significativo èquello della corporeità, che porta in sél’istanza fondamentale dell’intimità che sicrea in una storia; quella relazione di fiduciache sola può dare vita a un racconto buono,bello, vero. Il tempo nuovo e dilatato in cuisi ascolta o si racconta una storia è tempodella fiducia che riponiamo anzitutto in unavoce, ovvero in un volto. E un racconto«nutre la vita» se non dimentichiamo chedietro e dentro al racconto c’è sempre unapersona, con il suo desiderio di relazione edi vita: è grazie a questo desiderio che unbuon racconto combatte la morte. Potrem-

sante a questo punto seguire la lettura chene fa Borges in un secondo prologo che pre-cede il romanzo nella collana progettatadell’editrice argentina. Innanzitutto lo defi-nisce un «classico», cosa non facile quandosi tratta di autori contemporanei: «Sonotroppi — scrive — e il tempo non ha ancorarivelato la sua antologia».

Poi ne tratteggia la biografia: «Buzzatinasce nel 1906 nell’antica città di Belluno, inVeneto e vicino al confine austriaco. Era un

messa: «Spero che tu sia il let-tore che questo libro ha atte-so», forse più che alle altreopere della selezione, è quelloche meglio si adatta a Il deser-to dei tartari, sesto volumedella Biblioteca personal diBorges. Forse perché in esso sifa riferimento a due parolechiave del romanzo, che lo de-finiscono perfettamente, «il li-bro dell’attesa». Ed è interes-

Page 6: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 venerdì 10 luglio 2020

La persecuzione della Chiesa greco-cattolica ucraina in un’intervista all’arcivescovo Borys Gudziak

D all’esperienza della clandestinitàintuizioni per il presente

di MARIANA KA R A P I N KA

Apartire dal 1948 la Chiesa greco-

cattolica ucraina fu interdetta in tut-ta l’Unione sovietica. Perché Stalin

prese questa decisione?

La liquidazione della Chiesa gre-co-cattolica ucraina è avvenuta nelcontesto della tragedia subita dagliucraini nel XX secolo. L’Ucraina eraal centro delle “terre di sangue”, perusare l’espressione dello storico Ti-mothy Snyder. Due guerre mondialie lo scontro fra due totalitarismi —quello sovietico e quello nazista —l’avevano resa, fra il 1932 e il 1945, ilposto più pericoloso della terra. So-lo per dare qualche cifra: dal 1914 al1945, in Ucraina, circa quindici mi-lioni di persone furono uccise o mo-rirono in modo non naturale. Tuttele comunità religiose furono perse-guitate in modo feroce. In tuttal’Unione sovietica il numero dei ve-scovi ortodossi attivi, tra il 1917 e il1939, passò da cento a quattro; oltre160.000 esponenti del clero ortodos-so furono arrestati durante le pur-ghe del 1937-1938 e più di centomilavennero uccisi. L’Holodomor, la ca-restia del 1932-1933 creata artificial-mente nell’Ucraina centrale e orien-

tale con 4 milioni di morti, fu segui-ta dall’epurazione delle élites politi-che, militari e culturali voluta daStalin tra la metà e la fine degli an-ni ‘30. Fino a 7 milioni di abitantidell’Ucraina sono morti a causa del-la seconda guerra mondiale, tra cuicirca un milione di ebrei nella Sho-ah, cioè il 16 per cento della sua po-polazione del 1939. Per dare un ter-mine di paragone, le perdite di altripaesi in guerra furono dell’1,5 percento per la Francia, dell’1,1 perl’Italia, dello 0,9 per il Regno Uni-to, dello 0,3 per cento per gli StatiUniti. Il fronte nazi-sovietico attra-versò l’Ucraina due volte. Questo èlo scenario dell’esperienza traumati-ca dei greco-cattolici, allora concen-trati nell’Ucraina occidentale. Dopoaver espulso Hitler dall’E u ro p aorientale nella primavera del 1945,Stalin cercò di consolidare il territo-rio appena occupato e di sottomet-terlo al dominio sovietico. Il terrore,già usato sistematicamente da duedecenni per eliminare qualsiasi ne-mico, fu applicato nel caso dellaChiesa greco-cattolica ucraina. Igreco-cattolici avevano profonde ra-dici nella società e ampi legami a li-vello internazionale. Sia le radiciche la comunione dovevano essererecise in modo da manipolare e ge-stire la popolazione appena conqui-stata.

Come si susseguirono gli eventi?

L’attacco principale alla Chiesagreco-cattolica ucraina fu sferratonel 1945-1946. L’11 aprile 1945, primache la guerra in Europa fosse uffi-cialmente finita, vennero arrestatitutti i vescovi cattolici ucraini, tran-ne uno, imprigionato più tardi. Unanno dopo, nel marzo del 1946, leautorità sovietiche liquidarono tuttele strutture della Chiesa organizzan-do uno pseudo-sinodo in cui 216 sa-cerdoti, radunati sotto la minacciadelle armi, votarono per abrogarel’unione con Roma e unirsi allaChiesa ortodossa russa, sebbenel’Ucraina occidentale e la sua Chie-sa, con allora alle spalle 950 anni distoria cristiana, non fossero mai statesotto Mosca se non per un breve pe-riodo di occupazione durante la pri-ma guerra mondiale. I membri delclero che rifiutarono di accettare la

liquidazione della loro Chiesa furo-no arrestati e deportati nei campi dilavoro in Siberia, insieme alle lorofamiglie. Alcuni vescovi, sacerdoti,religiosi e laici sono diventati martirie venticinque di essi sono già statibeatificati da san Giovanni Paolo IInel 2001. Tutte le proprietà dellaChiesa furono confiscate: chiese,scuole, monasteri, le case editrici,istituzioni di servizio sociale e di be-neficenza, tutto fu perduto.

Quale fu la reazione dei fedeli?

Il XX secolo per l’Ucraina è statauna storia di traumi e di terrore. Fr ale vittime della guerra, la fuga dicentinaia di migliaia di rifugiati ver-so l’Europa occidentale e le depor-tazioni messe in atto da Stalin,l’Ucraina occidentale perdette piùdi un terzo della sua popolazione.Quelli che rimasero erano così trau-matizzati da non essere in grado diuna protesta efficace. Bisogna anchetener conto che nell’Unione sovieti-ca gran parte della ferocia non pote-va essere riconosciuta nei discorsipubblici e persino in quelli privati.Questo dramma è rimasto — e inuna certa misura rimane — senza ri-flessione, le morti senza lutto, laviolenza senza perdono e le cicatricisenza guarigione. I modelli di pen-siero, i riflessi, gli atteggiamentihanno subito uno stress profondo e,forse, una frattura. Questa esperien-za totalitaria va presa in considera-zione nella riflessione sugli eventiche hanno preceduto e seguito lopseudo-sinodo e persino alcuni svi-luppi nella vita politica, sociale e re-ligiosa dell’Ucraina di oggi, e sonoconvinto che possa spiegare vari fe-nomeni nell’esperienza umana glo-bale contemporanea. A esempio, lasituazione degli afro-americani chein passato hanno sofferto secoli dischiavitù; ma le ingiustizie e il razzi-smo permangono, come è emersonuovamente con forza negli ultimitempi.

Come venne creata la rete clandestina?

La stretta totalitaria e il terrore as-soluto del dopoguerra resero quasiimpossibile lo sviluppo di una clan-destinità attiva fino alla morte diStalin, nel 1953. Tutti i vescovi egran parte dei sacerdoti erano in Si-beria. Il clero che era rimasto erastato costretto a servire nelle struttu-re della Chiesa ortodossa russa, cheincamerò gli edifici della Chiesa cat-tolica orientale. Anche la Chiesa cat-tolica latina fu falcidiata. Dopo lamorte di Stalin, fu permesso il ritor-no dalla Siberia ad alcuni vescovi esacerdoti esiliati. Proprio loro, dallametà degli anni ’50, iniziarono acreare una rete di piccoli gruppiclandestini per mantenere la succes-sione apostolica e amministrare i sa-

cramenti. Ma il numero di personealle quali negli anni ’60 e ’70 il cleroclandestino poteva prestare serviziocon regolarità era meno del 5 percento della popolazione greco-catto-lica di prima della guerra. Nel 1989 isacerdoti, da circa tremila, erano sce-si a trecento, con un’età media di 70anni, il che significa che l’esp erienzadella Chiesa greco-cattolica clande-stina coinvolgeva meno di 30.000p ersone.

Lei ha potuto conoscere tanti membridella Chiesa clandestina. Quale è statala sua impressione?

La loro determinazione a custodi-re il dono di Dio della dignità uma-na e la fedeltà in circostanze quasiimpossibili è stata per me profonda-mente commovente e stimolante. Lagente aveva sete di Dio, i sacerdotierano testimoni coraggiosi, i vescovidiretti e semplici nelle loro relazioni.Grazie alla loro relazione filiale conDio hanno custodito la fede e resi-stito al tentativo di controllo totaledella loro vita. L’Unione sovieticanon è stata solo un esperimento po-litico, ma antropologico. Volevanocreare un nuovo essere umano —l’homo sovieticus — controllato nonsolo negli atti esterni ma anche nelledisposizioni interiori. I confessoridella fede e i martiri erano interior-mente liberi. La loro speranza esca-tologica contestualizzava e dava sen-so alla loro sofferenza storica. Ave-vano una chiara comprensione delvero e del falso, del giusto e dell’in-giusto. Il segno della Pasqua di no-stro Signore era sempre davanti ailoro occhi. Ecco perché hanno vissu-to della promessa della risurrezionee della sua vittoria sul male e sullamorte senza dubitarne.

L’esperienza del totalitarismo è comunealle Chiese dell’Europa orientale. I pri-mi anni di libertà hanno visto il fioriredi esperienze ecclesiali e la simpatia dicui le Chiese hanno goduto in questicontesti. Ora sembra che le Chiese viva-no una certa stanchezza. Come lo spie-ga?

Le attrattive del mondo sono sem-pre una tentazione e contribuisconoalla perdita della concentrazione spi-rituale. Emergendo dalla repressione,molti cittadini di paesi ex-comunistisi sono rivolti alla Chiesa per saziarela fame delle loro anime. La Chiesacon la sua liturgia, la sua trascen-denza e comunione era messa a con-fronto con la grigia estetica sovietica,con il freddo materialismo, con l’iso-lamento causato dal terrore. Ma conle nuove libertà sono arrivate anchenuove opportunità e beni di consu-mo che hanno generato euforie cul-turali e sociali, agitazione e frustra-zione. Diversi elementi hanno costi-tuito il contesto in cui la vita religio-sa si è evoluta durante i primi annidi libertà, creando uno spazio digrandi speranze e aspettative, maanche di tremende incertezze. Du-rante i primi cinque anni di indipen-denza c’è stata un’esplosione di vitareligiosa, ma non sempre la fede èstata profondamente assimilata a unlivello personale. Nel mezzo del di-namismo e dell’instabilità sociali, va-leva il detto ucraino: «Nei guai, lepersone si rivolgono a Dio». La pie-tà non è stata necessariamente tra-dotta nella pratica delle virtù cristia-ne. La questione della qualità dellavita religiosa contemporanea a livel-lo globale, come pure nell’E u ro p aorientale, è estremamente complessae non può essere decifrata in modosemplice. Nel vedere realisticamentele difficoltà, siamo chiamati ad ap-profondire la nostra fede. Non sonola nostra bravura, le nostre strategiee i nostri sforzi che da soli porteran-no frutto. Piuttosto di nuovo, comesempre, siamo chiamati a conformar-ci al Cristo pasquale. La libertà daltotalitarismo non doveva essere vistacome un obiettivo finale. Era unnuovo inizio. Una chiamata allaconversione. Papa Francesco direbbeuna “conversione pastorale”. Questaè la vocazione permanente dellaChiesa e di tutti i cristiani.

Alcuni sostengono che, dopo la legaliz-zazione, la Chiesa greco-cattolica ucrai-na si sia precipitata a ricostruire lestrutture, ma non abbia fatto una ri-flessione profonda sull’esperienza dellaclandestinità.

È una riflessione che è iniziata,ma non è ancora maturata. Il libroPerseguitati per la verità è solo unodei tentativi. Un errore — teologico,tattico e spirituale allo stesso tempo— è stato quello di considerare il pe-riodo della clandestinità come qual-cosa di completamente anormale, equindi da lasciare nel passato. Perciòa guidare la ricostruzione ecclesialeera forse la vita della Chiesa neglianni ’30 e una certa nostalgia per glistandard del periodo precedente allapersecuzione. Poiché la comunitàche emergeva dalla clandestinità eracosì piccola, il grande afflusso dineofiti entusiasti ha sostituito ingran parte la fede delle catacombeforgiata dalla persecuzione. Oggi,guardando indietro al mondo dellaclandestinità, sono convinto che essooffra molte intuizioni sulla vita dellaChiesa nel mondo postmoderno, checontinua a emarginare l’esp erienzacristiana. L’esperienza della pande-mia, della quarantena e della chiusu-

ra delle chiese ci ha portato in circo-stanze che potrebbero essere vissutepiù spiritualmente se riflettessimo inpreghiera sulla vita dei cristiani neisistemi totalitari. Questo, inoltre, re-lativizzerebbe il nostro senso di dif-ficoltà e ci aiuterebbe persino a sor-r i d e re .

Un risultato di questa riflessione è sta-to collocare l’esperienza della Chiesaclandestina alla base dell’approccio for-mativo dell’Università cattolica ucrai-na. Che cosa ha significato?

Lo sviluppo dell’Università catto-lica ucraina sull’eredità dei martiri èstata una decisione consapevole edeliberata. L’Istituto di storia dellaChiesa creato nel 1992 a Leopoli perstudiare l’esperienza della clandesti-nità è stata la prima pietra della fu-tura università. Questo istituto haintrapreso un progetto di storia oraleper registrare l’esperienza delle tregenerazioni di cristiani clandestini.Era un compito molto delicato, cherichiedeva anzitutto capacità di co-municazione interpersonale, di co-struzione della fiducia. Poiché imembri della Chiesa clandestinaavevano dovuto nascondere tutte letracce della loro attività, era moltoprobabile che la storia del loro viag-gio spirituale fosse perduta. I docu-menti del Kgb hanno preservato lastoria della persecuzione, ma il no-stro interesse principale era il modoin cui la Chiesa aveva vissuto nono-stante la persecuzione, e questa sto-ria era solo nei ricordi delle personeche l’avevano sperimentata. Pertan-to, per un periodo di venticinqueanni, l’istituto ha registrato 2.281 in-terviste, che trascritte ammontano a150.000 pagine (cinquecento volumidi trecento pagine ciascuno), circa9.000 foto e 5.000 altri documenti.Tutti gli studenti dell’università han-no incontrato rappresentanti dellaclandestinità. Il pensiero della lea-dership dell’università era questo: sei cristiani del periodo delle catacom-be erano stati in grado di affrontaree superare la più grande sfida del XXsecolo — il totalitarismo ateo checercava di costruire una nuova an-tropologia distruggendo la personacosì come è intesa dal Vangelo —noi, studiando la resilienza e i meto-di di questi confessori della fede, im-potenti ma spiritualmente vivi ecreativi, possiamo avere intuizioni sucome affrontare le sfide del XXI seco-lo. L’Ucraina contemporanea hamolti problemi. Uno dei maggioriproblemi interni è la corruzione chepervade la politica, l’educazione, lasanità, la vita civile ed economica.Ci vuole molto coraggio per nuotarecontro corrente. Il ricordo dei marti-ri è un seme per questo coraggio.L’università ha integrato la sottoli-neatura sui martiri ponendo l’accen-to anche sugli emarginati. Chi è aimargini? Ogni società e ogni comu-nità deve scoprire i suoi. Ispiratadalla radicalità dei martiri, l’universi-tà ha scelto di mettere al centro co-loro che le comunità accademichequasi sempre escludono, le personecon disabilità mentali. E, per stranoche possa sembrare, sono proprioqueste persone che possono operareuna guarigione in società devastateda un trauma totalitario. Il terroremultigenerazionale crea una profon-da sfiducia tra le sue vittime. Le per-sone indossano maschere per proteg-gersi dagli altri: hanno imparato chel’altro è pericoloso e non ci si puòfidare. I nostri amici con bisognispeciali hanno doni speciali: nonsanno indossare maschere o nascon-dere i loro sentimenti autentici. Contutto il loro essere chiedono a chiun-que incontrino: ma tu, puoi amarmi?Dal momento che questa è la piùimportante questione pedagogica, lacomunità universitaria ha deciso fin

dai suoi inizi, nel 1993-1994, di collo-care i più marginalizzati al centro.Non per offrire loro un servizio so-ciale, ma per ricevere da loro istru-zioni e ispirazioni per ricostruire au-tentiche relazioni interpersonali. Laradicalità dei martiri ha aiutato lacomunità universitaria a cercare mo-di radicali per guarire l’alienazione ela virtualità delle relazioni nel XXIsecolo. Questo è solo un esempio dicome l’esperienza della clandestinitàsi possa tradurre, mutatis mutandis,in metodologie per tempi e situazio-ni sociali completamente diversi.Credo fermamente che possano ve-nir fuori molte altre esperienze.

Che cosa può imparare la Chiesa uni-v e rs a l e ?

In tutto l’emisfero nord, la Chiesadiventa sempre più piccola. La scuo-la della clandestinità del XX secolo —una Chiesa ridotta a “piccolo resto”dalla persecuzione — può rivelarsisempre più importante per il nostrofuturo. Nella clandestinità c’eranomolte intuizioni profonde. Le limita-zioni costringevano a concentrarsisull’essenziale. Ad esempio, la Chie-sa era spogliata di tutti gli edifici diculto, scuole e monasteri, non pote-va nemmeno sognare un’i n f r a s t ru t t u -ra, quindi tutta l’energia era rivolta afavorire relazioni affidabili e un’au-tentica comunione. La clandestinitànon era tanto un sistema di struttu-re, ma una rete di relazioni spiritua-li, talvolta anonime, perché conosce-re il nome del tuo collega seminari-sta nella scuola clandestina di forma-zione sacerdotale era semplicementeritenuto superfluo e potenzialmentepericoloso. Ma c’era anche un’auten-tica paternità e maternità spiritualenei seminari e nei monasteri clande-stini. C’era un legame da cuore acuore, centrato su Dio e mediatodallo Spirito Santo. Una domandaquotidiana per la clandestinità eracome celebrare la liturgia, come pre-gare, trasmettere il Vangelo, conpossibilità e risorse limitate. Oggiabbiamo bisogno di questo geniodella Chiesa clandestina che univafortezza e flessibilità. La sua creativi-tà e il suo approccio innovativo ri-chiedono maggiore attenzione e pos-sono servire oggi come ispirazioneper un rinnovamento vitale.

Un libro fotografico

Un libro fotografico per illustrare e studiare la vita clandestina dellaChiesa greco-cattolica ucraina, la persecuzione, e documentarel’eredità dei suoi martiri e confessori della fede: Perseguitati per laverità. I greco-cattolici ucraini dietro la cortina di ferro (Città delVaticano, Libreria editrice vaticana, 2019, pagine 184, euro 39) è ilfrutto di un progetto di ricerca iniziato dall’Istituto di storia dellaChiesa dell’Università cattolica ucraina, che ha sede a Lviv(Leopoli). A parlare di questa storia di morte e di salvezza, in unalunga intervista in cui si sofferma sulla capacità da parte dellacomunità dei credenti di superare un’oppressione brutale custodendola propria libertà interiore, è l’arcivescovo di Philadelphia degliUcraini, Borys Gudziak, metropolita della Chiesa greco-cattolicaucraina negli Stati Uniti.

Foto di fascicoli penali

Suore di San Vincenzo de’ Paoli nella clandestinità

Sacerdoti e vescovi della Chiesa clandestina ucraina sulla Piazza Rossa a Mosca (1989)

Page 7: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 10 luglio 2020 pagina 7

La testimonianza del direttore di Medici con l’Africa Cuamm

Non si puòperdere tempo

di FRANCESCO RICUPERO

«L’attuale situazione nonci consente più di pen-sare all’effimero e al

superfluo. Il virus ha dimostratoche viviamo in un unico mondo e ciha insegnato quanto sia importantee necessario essere uniti e solidali»:parole di don Dante Carraro, medi-co cardiologo e direttore di Medicicon l’Africa Cuamm, che ha traccia-to con il nostro giornale un bilanciodelle attività svolte dalla onlusnell’ultimo anno e nei primi mesi diquesto 2020 così particolare.

Il 2019 ha visto gli operatori diMedici con l’Africa Cuamm impe-gnati in 8 paesi dell’Africa a sud delSahara (Angola, Etiopia, Mozambi-co, Repubblica Centrafricana, SierraLeone, Sud Sudan, Tanzania,Uganda), in 23 ospedali e 855 strut-ture sanitarie. «È stato un anno digrandi sfide e situazioni difficili edrammatiche allo stesso tempo — ri-corda don Carraro — come la deva-stazione causata dal ciclone Idai che ha coinvolto la città di Beira, in Mozambico, e che ha provocato ol-tre 600 morti, 146.000 sfollati e1.850.0000 persone bisognose di ci-bo e acqua». Altro fronte caldo èstato il Sud Sudan, paese fragilissi-mo e sempre in una situazione diinstabilità, dove investire in salutediventa strumento per costruire con-cretamente la pace. Allo stesso tem-po, tanti sono i risultati raggiunti:in Sierra Leone, la messa in funzio-ne del primo servizio nazionale perle emergenze sanitarie, con 80 am-bulanze che percorrono il Paese eche in un anno hanno effettuato 33.393 trasporti. «Nel 2019 abbiamocompiuto passi da gigante — r i c o rd ail direttore di Medici con l’AfricaCuamm — solo che adesso con lapandemia da covid-19 la situazionesi complica soprattutto per quellepopolazioni costrette a stare chiusein casa e nei villaggi per il lock-down imposto dai governi». Secon-do don Carraro, l’impossibilità permolte persone di muoversi e di rag-giungere gli ospedali e le strutturesanitarie provocherà a breve un’altrasituazione emergenziale, dovuta allamancanza di cibo e allo stato di sa-lute di tantissimi bambini che inquesto periodo non hanno ricevutole cure adeguate e non hanno effet-tuato le vaccinazioni previste. «Trale molteplici conseguenze sanitarie esocio economiche del covid-19 —sottolinea il sacerdote-medico — as-sistiamo all’aumento vertiginoso delnumero di famiglie e di persone chechiedono cibo. In molti paesidell’Africa Subsahariana, come Etio-pia o Sud Sudan, milioni di personevivono con appena 2 dollari al gior-no. Si tratta di padri e madri che fi-no ad oggi riuscivano a sopravviverevendendo qualche prodotto agricolonei mercati o piccoli souvenir. Conil lockdown e il distanziamento so-ciale tutto ciò non è possibile».Questa situazione va ad aggravareuno status quo già di per sé difficilee compromesso. «La fame — p ro s e -gue don Dante — è dappertutto. Perquesta ragione, noi di Cuamm, nonabbiamo abbandonato tanti paesiafricani, rimanendo con i nostrioperatori in loco e assicurando aiu-to e assistenza». Don Dante, insie-me a tanti operatori italiani e conl’aiuto della popolazione locale, stadistribuendo in tante comunità delSud Sudan, nelle aree rurali, farina,riso, olio e generi di prima necessi-tà. In Angola, a Chiulo, sono sem-pre di più le mamme che vengono

in ospedale a chiedere cibo per i lo-ro bambini; anche in Mozambico viè una situazione analoga. «Nei no-stri centri dedicati alle mamme ingravidanza, dove ospitiamo le don-ne pochi giorni prima del parto, citroviamo a sfamare decine e decinedi ragazze che non sono incinte, mache vengono da noi perché sanno ditrovare qualcosa da mangiare sia perloro che per le loro famiglie».

Il direttore di Medici con l’AfricaCuamm non ha dubbi quando affer-ma: «È difficile racchiudere in po-che parole un anno di impegno:meraviglia, riconoscenza, bellezza efiducia, stupore e tenacia nel fare ilbene. Nel 2019 abbiamo proposto ilmessaggio: “Lo stesso futuro”. Èquello negato a tante donne e bam-bini in Africa, il futuro che siamoimpegnati a costruire e ricostruireogni giorno sul campo. Un filo ros-so spezzato che va riannodato apartire dal nostro impegno persona-le e quotidiano. Solo così costruire-mo un unico futuro, lo stesso, e saràpiù ricco e bello per tutti. E oggi più che mai vale questo proposito:in questo 2020 “ferito” sentiamo an-cora più forte e vivo il desiderio diricominciare a vivere e a impegnarciin Africa». Il sacerdote ribadisce lacoraggiosa scelta di essere stati, so-prattutto in questo periodo di emer-genza sanitaria, a fianco ai più biso-gnosi. «Non abbiamo mai abbando-nato i nostri ospedali e i pazientidurante questo periodo di lockdowne ora, a brevissimo, partiranno per

l’Africa 16 nuovi cooperanti, e daqui ai prossimi 2 mesi, saranno 40».Bisogna dare il cambio a chi, corag-giosamente, ha deciso di rimanerein prima linea. «La decisione di ri-manere in Africa — precisa don Car-raro — ha permesso di mantenereaperti e attivi i nostri ospedali e lenostre strutture, evitando il tracollodei fragili sistemi sanitari. Insiemeai colleghi locali coltiviamo giornoper giorno la speranza». La stessasperanza di non veder vanificati glisforzi fino ad oggi compiuti e dipoter disporre di risorse adeguateper far fronte a questa pandemia, ilcui picco secondo l’O rganizzazionemondiale della sanità, deve ancoravenire. «Non nascondo la preoccu-pazione che le risorse potrebbero di-minuire. Stiamo assistendo a un ca-lo di donazioni, ma io voglio conti-nuare a pensare a tutti quelli checontinuano a sostenerci. Abbiamobisogno di risorse finanziarie e uma-ne; cerchiamo persone, uomini edonne, disponibili a partire e ad ab-bracciare l’Africa. Noi non perdia-mo la speranza e la fiducia che ilbuon Dio ci dia la lucidità per an-dare avanti e scegliere l’essenziale.Invochiamo il suo aiuto affinché cifaccia comprendere cosa è impor-tante e cosa, invece, non serve. Vi-viamo ansie e difficoltà, incertezze epreoccupazioni, specie per il futuro.L’attuale situazione — conclude —non ci consente di pensare alle coseinutili».

La Comunità di Sant’Egidio in soccorso della popolazione alle prese con la pandemia

Una rete solidaleper la ripartenza del Malawi

di GIORDANO CONTU

Il Malawi affronta la pandemiacon un nuovo presidente. A finegiugno il Paese è tornato alle

urne per la ripetizione delle elezio-ni, vinte questa volta da LazarusChakwera. Nei seggi si vedevanopoche mascherine, ma c’erano siste-mi per il lavaggio delle mani, men-tre la campagna elettorale si è svoltaper mesi senza il rispetto del distan-ziamento sociale. Da aprile a oggi ilbilancio ufficiale della pandemia èdi 1.800 persone contagiate, più di350 guariti e 19 decessi. I numeri so-no in costante aumento. Il covid-19preoccupa anche perché ci sono tan-ti individui che vivono in una con-dizione di rischio: come il milionedi malati di Hiv e i 33.000 tuberco-lotici, secondo i dati dell’O rganizza-zione mondiale della sanità (Oms).

«La popolazione pensa che que-sto virus sia un’invenzione politica»,dichiara a «L’Osservatore Romano»la responsabile del programmaDream della Comunità di Sant’Egi-dio, Paola Germano, che parla diproblemi culturali e socioeconomici.«La gente è costretta a uscire di ca-sa per cercare cibo o vendere qual-cosa, quindi preferisce morire per ilvirus che di fame». Per questo i vo-lontari, oltre a dare unsostegno sanitario indi-spensabile al Paese, aiuta-no detenuti, bambini, an-ziani e poveri dal puntodi vista informativo, edu-cativo e alimentare.

Dopo i primi casi dicovid-19 accertati ad apri-le, il governo guidato daPeter Mutharika aveva at-tivato un lockdown com-pleto, ma è durato pochigiorni perché nelle grandicittà ci sono state nume-rose manifestazioni, tal-volta violente. La popola-zione chiedeva di potereuscire di casa per lavoraree garantirsi un sostenta-mento quotidiano. Per

con meno di due dollari al giorno,sono le carenze del sistema sanita-rio. «Negli ospedali manca il 70 percento del personale e in tutto il Pae-se ci sono 17 ventilatori», continuala responsabile di Sant’Egidio. Icontagiati vengono ricoverati nellepoche strutture disponibili, semprenel rispetto dei protocolli dell’O ms,mentre chi ha sintomi lievi è tenutosotto osservazione a casa.

In questo contesto si inseriscel’opera dei volontari che sono pre-senti nel Paese dalla fine degli anni’80 del secolo scorso. «Abbiamo co-minciato occupandoci dei poveri eoggi abbiamo 10.000 membri mala-wiani», spiega la coordinatrice delprogramma Dream. Il progetto, na-

to nel 2004 per combattere l’H i v,oggi conta 13 centri di cura e tre la-boratori di biologia molecolare inse-riti nella rete sanitaria nazionale.Monitorano circa 15.000 persone.«La pandemia di covid-19 — r i c o rd a— è molto simile a quello che noiabbiamo vissuto all’inizio con l’H i v,quindi in qualche modo eravamogià preparati, a differenza dellestrutture sanitarie pubbliche. Oggici si occupa anche di malattie infet-tive e croniche, perché in Africa au-mentano i problemi sanitari globalicome l’ipertensione, il diabete e itumori. Per cui facciamo molta pre-venzione». Da 10 anni Sant’Egidioporta avanti anche il programmaBravo che si occupa dell’anagraficadei neonati, diventata obbligatoriasolo qualche anno fa. Questo servea tutelare la vita stessa dei bimbi daviolenze e traffici umani.

L’ospedale di Balaka, città di ol-tre 36.000 abitanti situata nel centrosud, è uno dei centri di eccellenzain cui vengono portati avanti questiprogrammi. «Qui registriamo ibambini nati nei reparti di maternitàe nei villaggi, dove andiamo anchea sensibilizzare le madri», dice Ger-mano. Quando a febbraio l’epide-mia da covid-19 si diffondeva nelmondo il nosocomio è stato riorga-nizzato per rispondere agli eventi.«Ci siamo preoccupati perché ab-biamo un gran numero di malati diHiv e di tubercolosi, quindi abbia-mo fatto subito formazione aglioperatori — prosegue — li abbiamodotati di tutti i dispositivi di sicu-rezza: mascherine, occhiali, guanti.Abbiamo creato protocolli di sicu-rezza e di triage per individuare isintomi del virus tra le persone chearrivavano nelle nostre strutture».Oggi i laboratori del programmaDream sono a disposizione del mi-nistero della Sanità per compiere itest sui tamponi: in particolare icentri di Balaka e di Blantyre fannoi test a chiunque rientri dal SudAfrica, lo stato più colpito dallapandemia in tutto il continente. IlSud Africa, infatti, prima della pan-demia offriva lavoro a decine di mi-gliaia di persone che oggi scappanodalle dure restrizioni imposte dalgoverno per limitare i contagi. Co-loro che tornano in Malawi oggihanno l’obbligo di passare un perio-do di quarantena all’interno deicampi governativi. Tuttavia a finemaggio è scoppiata una rivolta e400 occupanti sono scappati pertornate a casa. «Lì la gente dovevapagarsi da mangiare e tutto il resto.

Non c’era assistenza, né condizionidi vita decenti», sottolinea Germa-no.

In Malawi, Sant’Egidio è impe-gnata in vari ambiti. Tra questi c’èla tutela dei diritti dei detenuti, tra iquali «spesso c’è chi finisce in pri-gione per reati minori», dice la re-sponsabile di Dream. «Ci sono an-che 14 persone in attesa di esseregiustiziate, anche se la pena di mor-te non è più eseguita. Con la pan-demia da covid-19 il nostro lavoro ècambiato nella forma ma non nellasostanza». Ora nelle carceri vengo-no distribuite bacinelle, taniche perl’acqua, sapone, disinfettante, ma-scherine, cibo, ma anche volantiniinformativi sul virus, ricariche tele-

foniche per parlare con le famiglie esi tengono in contatto con i reclusiper corrispondenza. Per quanto ri-guarda i bambini, invece, le scuoledella pace sono chiuse da mesi, per-ciò sono i volontari a riunire i bimbiall’aperto in piccoli gruppi e prose-guono la didattica. Infine, agli an-ziani vengono distribuite mascheri-ne, si porta loro la spesa e si moni-tora lo stato di salute, di modo chenon restino isolati e senza medicine.

In un Paese in cui oltre l’80 percento della popolazione vive incampagna, la pandemia ha colpitosoprattutto il sistema economico esanitario, ma la situazione è aggra-vata dal “problema culturale” cheoggi si manifesta in tutta la sua for-za. Per esempio, ad aprile c’è statauna caccia all’untore e due mozam-bicani sono stati linciati mentre at-traversavano un villaggio per recarsinella vicina Tanzania. Inoltre, lagente ricorre spesso a guaritori cheutilizzano medicine tradizionali e ri-medi naturali talvolta pericolosi.«Se si vuole arginare la pandemiabisogna lavorare anche sul fronteculturale, dove c’è un grosso lavoroda fare», spiega la rappresentante diSant’Egidio. «Per questo facciamomolta educazione sanitaria. Ciò èimportante perché altrimenti si ge-nera violenza e rifiuto delle cure».Senza dimenticare il “problema del-la solidarietà”: la «grande fuga deicolletti bianchi occidentali che gesti-scono programmi» di cooperazioneinternazionale, conclude Germano.«Non si possono abbandonare que-sti Paesi ora che hanno bisogno diun maggiore sostegno». Come hadetto Papa Francesco «siamo tuttisulla stessa barca». Mai come inquesta pandemia è divenuto cosìc h i a ro .

L’allarme del direttore di Caritas Burkina Faso per le difficili condizioni del Paese

Un futuro preoccupante

Don Dante Carraro mentre visita un bambino all’ospedale centrale di Beira in Mozambico

OUAGAD OUGOU, 9. «Il mondo ha dimenticato la crisinel Sahel. Paesi come il Burkina Faso si trovano ad af-frontare una serie di sfide e senza aiuti le persone sof-friranno terribilmente. Gli sfollati interni non hannoaccesso ai generi alimentari, né all’acqua, essenziale siaper bere che per l’igiene personale»: è il preoccupanteappello lanciato da padre Constatin Sere, direttoredella Caritas Burkina Faso, dove, secondo il sacerdote,nei prossimi mesi oltre 2,2 milioni di burkinabé ri-schiano di morire di fame a causa dei conflitti in attoe delle condizioni climatiche estreme.

Il Paese è divenuto l’epicentro di un drammaticoconflitto regionale che ha causato più di un milione disfollati interni. «Si tratta — scrive il sacerdote in unanota — di una delle ondate di sfollati in più rapidaevoluzione nel mondo a causa della quale centinaia dimigliaia di persone non hanno né cibo, né acqua, néun rifugio adeguato».

Il direttore dell’ente caritativo ha anche espresso lapreoccupazione che con l’avvicinarsi della stagionedelle piogge, le condizioni degli sfollati si faranno an-cora più critiche, in quanto la maggior parte di loronon ha riparo adeguato per affrontare le tempeste, iforti venti e le inondazioni che si susseguiranno neiprossimi mesi.

Per supportare alcune zone particolarmente critiche,la Caritas ha lanciato un progetto di 600.000 euro perfornire agli sfollati e alle famiglie che li ospitano aiutialimentari oltre ad un contributo economico fino allafine del prossimo ottobre. Il progetto, che mira adaiutare circa 50.000 persone, si concentrerà nelle dio-cesi di Kaya, Fada N'Gourma, Nouna e Dédougou. Ipacchi viveri offerti a circa 1.500 famiglie conterrannocibo sufficiente per un mese.

La popolazione continua a sperare nella pace e inun ritorno alla normalità. «Se chiedi a uno sfollato ciò

questo l’esecutivo ha adottato misu-re restrittive alternative: obbligo diquarantena per chi è positivo altampone, chiusura delle scuole e di-vieto di creare grandi assembramen-ti.

«Solo in teoria — avverte Germa-no — in pratica i mercati, i pub e iristoranti sono pieni di gente». Solole chiese hanno riaperto, dopo laPasqua, e attualmente sono ripresele celebrazioni. Ciò che oggi piùpreoccupa del Malawi, quarto Statopiù povero al mondo in cui si vive

Lutto nell’episcopato

Monsignor José Antonio PérezSánchez, dell’ordine dei Frati mi-nori, vescovo prelato emerito diJesús María (Messico), è mortomercoledì 8 luglio. Il compiantopresule era nato in Ciudad deMéxico il 20 dicembre 1947 edera stato ordinato sacerdote il 20giugno 1976. Eletto vescovo coa-diutore di Jesús María il 2 feb-braio 1990, aveva ricevuto l’o rd i -nazione episcopale il 4 aprile suc-cessivo e il 27 giugno 1992 erasucceduto per coadiuzione al go-verno pastorale della prelaturaterritoriale, al quale aveva poi ri-nunciato il 27 febbraio 2010.

che desidera di più — ha sotto-lineato il sacerdote — ti rispon-derà che desidera tornare nelsuo villaggio di origine. Temoche ciò non accadrà molto pre-sto, perché le violenze non ac-cennano a diminuire. Nono-stante l’impegno da parte delloStato, nel nostro Paese i gruppiarmati continuano a seminareterrore e a spezzare vite. Il fu-turo è preoccupante — conclude— ma noi continuiamo a riporrela nostra fede in Dio enell’amore dei nostri fratelli edelle nostre sorelle in tutto ilmondo».

Da circa 4 anni, in BurkinaFaso, gruppi armati che opera-no lungo il confine settentrio-nale e nell’est del Paese, conti-nuano ad uccidere e a terroriz-zare i cittadini, causando unagrave instabilità nel Paese.

Page 8: Dodicimila persone rischieranno di morire di fame …...De Villa y Vásquez, S.I., trasfe-rendolo dalla Diocesi di Sololá-Chimaltenango. Le stime delle ong sulle conseguenze della

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 venerdì 10 luglio 2020

Per l’asta We Run Together un “campionato solidale” per gli ospedali di Bergamo e Brescia

La serie A in golcon Francesco

Il vicepresidente dell’Inter, Javier Zanetti, firma la sua maglia per l’asta

Nel libro «Papi napoletani» di Eugenio Russomanno

La sede di Pietro all’ombra del Vesuvio

Videomessaggio del sottosegretario del Dicastero per i laici, la famigliae la vita indirizzato ai vescovi della Colombia

Una risorsa preziosain tempo di pandemia

Nomina episcopalein Guatemala

Alessandro Casolani, «Consegna delle chiavidi Castel Sant’Angelo a Urbano VI» (1582-1583)

di GI A M PA O L O MAT T E I

Le grandi di serie A van-no in gol per e con PapaFrancesco, dando vita —

dall’8 al 17 luglio — a un vero eproprio “campionato della soli-darietà”. «Vinciamo insiemequesta partita» dice GiorgioChiellini, capitano della Juven-tus e della Nazionale di calcioitaliana, scendendo in campo— proprio in risposta all’app el-lo del Pontefice — per l’astaWe Run Together in favore delpersonale degli ospedali diBergamo e Brescia (www.chia-r i t y s t a r s . c o m / We R u nTo g e t h e r ) .In realtà questa iniziativa —lanciata e sostenuta da France-sco anche con quattro suoi do-ni personali — sta testimonian-do che il vero “scudetto solida-le” lo stanno vincendo coloroche non si rassegnano alle tan-te difficoltà sociali e sanitarie ecercano di rialzarsi e ripartirecon lo stile “sp ortivo” di AlexZanardi, divenuto il simbolodell’asta We Run Together, es-sendone stato uno dei primissi-mi protagonisti e sostenitori.

Intanto con Chiellini, che hadonato la sua maglietta bian-conera autografata da tutti isuoi compagni di squadra, laJuventus fa la parte del leoneanche in questo “campionatosolidale” (proprio come neltorneo che si gioca in campo).I campioni d’Italia hanno in-fatti offerto per l’asta anche lemagliette, autografate, di Cri-stiano Ronaldo e di PauloDybala. E quattro campionijuventini — Gigi Buffon, Leo-nardo Bonucci, Federico Ber-nardeschi e lo stesso Chiellini— hanno messo a disposizione,e firmato, una maglietta dellaNazionale italiana indossatanel match vinto con la Greciaad Atene nel 2019.

Non è da meno anche la La-zio, che ha voluto subito dif-fondere — con l’appassionatopresidente Claudio Lotito —un comunicato ufficiale di ade-sione all’iniziativa solidale so-stenuta dal Papa. I biancocele-sti hanno offerto la magliettadel bomber e capitano CiroImmobile con le firme di tuttii giocatori. E anche due bi-glietti per la tribuna autoritàdello stadio Olimpico per la

prima partita aperta al pubbli-co. Un gesto che vuole rimar-care la speranza di una pienaripartenza dopo le chiusurecausate dalla pandemia.

L’Inter ha schierato uno deisuoi simboli più autorevoli: Ja-vier Zanetti, indimenticato lea-der in campo anche nella Na-zionale argentina e oggi vicepresidente nerazzurro. Il cam-pionissimo, sempre in prima li-nea nei progetti di solidarietà,ha donato (e firmato) la sualeggendaria maglietta con ilnumero 4 e anche la fascia dacapitano indossata nella straor-dinaria stagione 2010 che portòl’Inter al “triplete”: vittoria inChampions league, campiona-to e coppa Italia.

In questo particolare “cam-pionato solidale” non manca,poi, una vera e propria “chic-ca”: è vero, non vincerannomai un titolo calcistico, ma leGuardie svizzere hanno unaloro squadra che risponde sem-pre “p re s e n t e ” quando si trattadi giocare partite con obiettivisolidali. E per l’asta sostenutada Papa Francesco le guardiehanno donato la loro magliettaufficiale con le firme: nessunodi loro sarà bravo col pallonecome Ronaldo e Dybala, ma la“divisa sportiva” autografatadella Guardia svizzera pontifi-cia è... davvero “storica”.

Secondo lo stile inclusivoche Athletica Vaticana — con leFiamme Gialle e il Cortile deiGentili — sta imprimendo al

«Accompagnare» i matrimoni è la parolachiave. Con due finalità pastorali essen-ziali: «Aiutare gli sposi a comprendere, ascoprire il valore profondo del sacramen-to nuziale, che è segno della presenza diCristo nella loro vita», e «affiancarli e so-stenerli nell’educazione dei figli». È que-sta una delle indicazioni di fondo sugge-rita da Gabriella Gambino, sottosegreta-rio del Dicastero per i laici, la famiglia ela vita, ai presuli della Conferenza epi-scopale colombiana, impegnati dal 6 all’8luglio nella loro 110ª assemblea plenariasul tema «Al servizio del Vangelo, per lasperanza della Colombia».

In un videomessaggio inviato lunedì 6ai vescovi riuniti in modalità virtuale,Gambino — a partire dalla sua personale«esperienza di sposa e madre» — ha indi-cato priorità e obiettivi della pastorale fa-miliare, ricordando anzitutto che «inquesto tempo di pandemia le famiglie intutto il mondo hanno dimostrato di esse-re la risorsa più importante della socie-tà». Infatti, «con la loro resilienza si so-no trasformate in una forza motrice e dif-fusiva del senso di responsabilità, solida-rietà, della condivisione e dell’aiuto reci-proco nella difficoltà». Esse «sono e con-tinuano a essere un grande ammortizza-tore economico, sociale ed educativo». Eper questo non possono essere lasciatesole. Oggi, dunque, «la pastorale familia-re sta davanti a una grande sfida»: quelladi «mostrare alle nuove generazioni chela famiglia non è solo fatica e difficoltà,ma gioia, vocazione e via di felicità».

A partire da queste premesse, Gambi-no ha ricordato anzitutto che «come sa-cramento», i coniugi «sono Chiesa dome-stica». Cosa significa questo concreta-mente nella vita quotidiana? La rispostaè chiara e chiama alla responsabilità edu-catori e guide spirituali: è necessario aiu-tarli «a scoprire il potere della presenzadi Cristo nelle loro sfide di ogni giorno».È proprio quello che Papa Francesco hachiesto di fare con l’Amoris laetitia:un’esortazione apostolica «piena di rispo-ste» che gli operatori pastorali, «insiemeagli sposi», possono «trovare per le diffi-coltà della loro vita quotidiana».

Bisogna includerli «come protagonistinella pastorale familiare — ha esortato an-cora Gambino — perché attraverso il sa-cramento e il loro essere famiglia, sonoessenziali per edificare la Chiesa, sono te-stimoni per tante famiglie». Insieme aglisposi, ha detto rivolgendosi ai vescovi,«potete contribuire a edificare la Chiesanella corresponsabilità pastorale».

Una delle preoccupazioni più grandidelle famiglie oggi è l’educazione. «Dob-biamo dedicare le nostre energie — ha in-sistito Gambino — a comprendere comepossiamo accompagnare i genitori» difronte alle sfide di una società «dominatada una tecnologia diffusa, che allontana igiovani dalle autentiche relazioni umane,da un modo di vivere la sessualità chenon li aiuta a comprendere il valore delcorpo e la donazione di se stessi nel ma-trimonio e nella famiglia».

C’è bisogno, insomma, di «rivedere lametodologia e i contenuti della prepara-zione dei giovani al matrimonio, con unapreparazione che non solo sia immediatae vicina alla celebrazione del matrimonio,ma “re m o t a ”». Se l’obiettivo di ogni pa-

storale familiare è di aiutare i genitori «ainsegnare ai nostri figli ad amare il matri-monio e a progettare la loro vita comeuna vocazione» — perché il matrimonio«è una chiamata “di due in due”, come idiscepoli, ad amare e servire Cristo nellafamiglia e nella comunità» — allora, se-condo Gambino, «si deve parlare lorodella bellezza della vocazione nuziale giàdall’infanzia fino al catechismo». In que-sto senso diventa utile «una pastorale tra-sversale, che unisca la pastorale dell’in-fanzia e la catechesi di preparazione aisacramenti nella pastorale giovanile voca-zionale e nella pastorale familiare».

Del resto, fin dal 2017 Papa Francescoparla della necessità di «stabilire itineraricatecumenali per la vita matrimoniale».Un impegno urgente se si considera che«il matrimonio è la vocazione della mag-gior parte degli uomini delle donne nelmondo», eppure «ogni volta ci sono me-no giovani che si sposano, e quasi la me-tà dei matrimoni finiscono nei primi diecianni di vita in comune». Non bisogna la-sciare, allora, che «la comprensione pro-fonda di questo cammino di santità per ifedeli laici» sia «casuale». Decidere disposarsi e di generare figli, infatti, «non ècome scegliere un lavoro o comprarsi unacasa». Unirsi in matrimonio con un’altrapersona, ha ribadito Gambino, «è unavocazione, è una risposta a una chiamatadi Dio», e come tale va presentata ai pro-pri figli.

Anche per questo, «il catecumenato almatrimonio, come itinerario — ha affer-

mato — si deve continuare, per lo meno,nei primi dieci anni della vita matrimo-niale». La pastorale familiare, del resto,deve farsi carico proprio «degli anni piùardui per una coppia, quando nascono ifigli, cambiano i ritmi e i ruoli, e noi ciconvertiamo in genitori ed educatori sen-za che nessuno ci dica come esserlo».

Nella parte conclusiva del suo inter-vento Gambino ha accennato poi al temadella terza età, invitando a «dare spazio aun impegno pastorale con le persone an-ziane e le persone più fragili dentro le fa-miglie». In una società in cui «la presen-za delle persone anziane statisticamente ètanto numerosa, dobbiamo imparare — haraccomandato — a riconoscere il valore diquesta presenza». Esse «sono la grandeparte del popolo di Dio»; dunque, «dob-biamo aiutarli a riscoprire la ricchezzadella loro vocazione battesimale e a esse-re attori della nuova evangelizzazione,valorizzando i loro doni e carismi, comeanche la loro straordinaria capacità dipregare e trasmettere la fede ai giovani».Allo stesso tempo, ha aggiunto, «dobbia-mo curare la loro spiritualità; non li la-sciamo soli, né materialmente né spiri-tualmente».

In conclusione Gambino ha espresso aivescovi colombiani la speranza che, gra-zie al loro munus sanctificandi, «possanodar vita a una pastorale familiare capacedi mostrare che la famiglia è veramenteuna vocazione e un cammino di santità».

“Politico” realista e laborioso tessitoredi rapporti con i sovrani dell’ep o ca,Papa Bonifacio IX — sul soglio di Pie-tro dal 1389 al 1404 — attirò le critichedei contemporanei soprattutto per ilsuo nepotismo: la preoccupazione digarantire potere e fortune ai membridella sua nobile (e numerosa) famigliaTomacelli lo spinse a “s i s t e m a re ” alme-no una cinquantina di congiunti strettinei gangli del sistema di governo dellaChiesa e dello Stato pontificio, affian-cando loro molti altri laici e chiericiimparentati in qualche modo col suocasato. Tre secoli più tardi toccò a In-nocenzo XII — alle redini del papatotra il 1691 e il 1700 — sancire la sop-pressione definitiva di quella pratica ri-provevole con la bolla Romanum decetPontificem (1692), che proibiva aiPontefici di concedere benefici oincarichi a qualsiasi parente: «I mieinipoti sono i poveri» amava ripeterePapa Pignatelli, raccomandando il di-stacco da onori e carriere ed esortandogli ecclesiastici a una vita più sobria eg e n e ro s a .

Una curiosa circostanza accomunaquesti due Pontefici così diversi, disin-volto “principe temporale” il primo, ri-goroso fustigatore del malcostume cu-riale il secondo. Entrambi, infatti, sonodi origine napoletana e — insieme aBonifacio V, Urbano VI e Paolo IV —fanno parte del piccolo ma significati-vo drappello di successori di Pietroche la Chiesa partenopea ha donatonei secoli alla Chiesa universale: cin-que Papi napoletani, come recita ap-punto il titolo del piccolo saggio appe-na uscito dalla penna di Eugenio Rus-somanno (Lfa Publisher, Caivano -Napoli, 2020, euro 7,90), che si propo-ne di far conoscere al grande pubblico«cosa hanno fatto nella storia della

Chiesa i Pontefici di origine napoleta-na».

Con stile asciutto e lineare l’a u t o reattinge a due fonti storiche di indi-scusso rilievo — l’Enciclopedia dei Papiedita dall’Istituto dell’Enciclopedia ita-liana Treccani e Il grande libro dei Papidelle edizioni San Paolo — per presen-tare un ritratto sintetico dei cinquePontefici che costituiscono «motivo digrande onore e di straordinario meritoper la nostra amata città di Napoli»,come scrive nella prefazione il cardina-le arcivescovo Crescenzio Sepe. Sonofrutto — evidenzia il porporato — delruolo incisivo della famiglia, a prescin-dere dal casato; dicono dei valori mo-

rali e cristiani che permeavano il tessu-to sociale; esprimono il diffuso cultodella Chiesa e delle gerarchie ecclesia-stiche».

Si tratta, certo, di cinque pontificatiassai differenti. Sui quali hanno influi-to non solo le singolari personalità deiprotagonisti ma soprattutto le circo-stanze storico-politiche — spesso diffi-cili e tumultuose — che ne hanno con-dizionato le scelte. Si va dal breve re-gno di Bonifacio V (619-625), che fudiscepolo di san Gregorio Magno e neseguì lo slancio missionario e caritati-vo, al papato di Urbano VI (1378-1389),al secolo Bartolomeo Prignano, duran-te il quale si consumò lo scisma d’O c-cidente che per quasi quarant’anni la-cerò la Chiesa. A succedergli fu Boni-facio IX (Perrino Tomacelli), del qualeabbiamo accennato all’inizio; mentrequasi un secolo e mezzo prima di In-nocenzo XII (Antonio Pignatelli) —l’ultimo dei Pontefici di origine parte-nopea saliti fino a oggi sulla cattedrapetrina — fu la volta di Paolo IV (1555-1559), al secolo Gian Piero Carafa, pas-sato alla storia soprattutto per il suoautoritarismo intransigente e per il suorigore inquisitorio.

Valutare l’operato dei Papi napoleta-ni è compito da studiosi di professio-ne. E Russomanno lascia opportuna-mente giudizi e interpretazioni alla re-sponsabilità degli storiografi, limitan-dosi a un’esposizione meramente di-vulgativa. Del resto, commenta Sepe,«ciascun Papa è portatore della pro-pria formazione, della propria cultura,della sua visione pastorale e della mis-sione della Chiesa nel mondo». Nessu-no, perciò, sfugge a «pregiudizi, anti-clericalismo, fughe in avanti, discordiee false interpretazioni teologiche».Quel che è certo, comunque, è che in

ogni Pontefice si manifestano — siapure in modo non sempre evidente ecomprensibile — le vie misteriose delloSpirito che orienta le vicende dellaChiesa. La storia spesso si ripete, oggicome ieri: a riprova che — annota an-cora l’arcivescovo di Napoli — gover-nare il timone della barca di Pietrovuol dire spesso «attraversare maritempestosi» ma, in mezzo alle onde,riuscire sempre a «indicare la rotta daseguire» al popolo di Dio. (f ra n c e s c om. valiante)

Gonzalo De Villa y Vásqueza rc i v e s c o v o

di Santiago de Guatemala

È nato il 28 aprile 1954 a Madrid (Spagna). Nel 1974è entrato nel noviziato dei gesuiti nella RepubblicaDominicana. Ha studiato filosofia in Messico pressol’Instituto Libre de Filosofia e ha ottenuto la licenzacivile in Humanidades. Ha ottenuto la specializza-zione in filosofia presso l’università autonoma delNicaragua. Ha compiuto gli studi di teologia pressol’Instituto de Teologia para Religiosos a Caracas (Ve-nezuela). In Canada ha ottenuto un master in Pensa -miento Social y Politico all’università di York, a To-ronto, e successivamente un diploma di studi latinoa-mericani. È stato ordinato presbitero a Panamá il 13agosto 1983. Ha emesso i voti perpetui nella Compa-gnia di Gesù il 6 febbraio 1993. Come sacerdote haricoperto i seguenti incarichi: professore di filosofiaall’Uca (Universidad de Centro América) di Mana-gua (Nicaragua), professore di religione nel collegio

Sant’Ignazio di Caracas (Venezuela). In Guatemala èstato: professore di filosofia e scienze politiche pressol’università Rafael Landívar, professore di filosofianel seminario maggiore nazionale di Guatemala, vi-ce-decano e decano della facoltà di Scienze politichedell’università Rafael Landívar, delegato superioreprovinciale della Compagnia di Gesù per l’Americacentrale, parroco di Sant’Antonio, superiore di variecase religiose dei gesuiti in Guatemala e rettoredell’università Rafael Landívar. Il 9 luglio 2004 è sta-to nominato vescovo titolare di Rotaria e ausiliaredell’arcidiocesi metropolitana di Santiago de Guate-mala, ricevendo l’ordinazione episcopale il 25 settem-bre successivo. Il 28 luglio 2007 è stato trasferito alladiocesi di Sololá-Chimaltenango. Dal 2 ottobre 2010al 14 luglio 2011 è stato amministratore apostolicodell’arcidiocesi metropolitana di Los Altos Quetzalte-nango - Totonicapán. Nel 2017 è stato eletto presi-dente della Conferenza episcopale per un triennio enel 2020 è stato riconfermato per altri tre anni allaP re s i d e n z a .

Non poteva, certo, mancarela Roma: dopo la straordinariapartecipazione di FrancescoTotti nel primo lotto dell’asta ainizio giugno, ecco NiccolòZaniolo, uno di suoi aspirantieredi sul campo, che ha messoa disposizione la sua magliettagiallorossa autografata.

Con entusiasmo ha aderito aWe Run Together, Lorenzo In-signe, capitano del Napoli, cheha fatto personalmente firmarela sua maglietta ai compagnidi squadra. Lo stesso gesto hacompiuto anche Alessio Roma-gnoli, capitano del Milan:all’asta ci saranno dunque an-che le storiche casacche azzur-ra e rossonera con gli autografidi tutti i giocatori.

Particolarmente coinvolta laFiorentina: Gaetano Castrovil-li, a nome della società e delpresidente Rocco Commisso,ha donato e firmato la sua ma-glietta. E non si è tirato certoindietro don MassimilianoGabbricci, cappellano dellaNazionale italiana e punto diriferimento spirituale dellasquadra viola. E sono due lemaglie che la squadra del Bre-scia ha messo a disposizioneper l’asta promossa dal Papa:quelle di Sandro Tonali e diErnesto Torregrossa. Un belgesto se si pensa che arrivaproprio da una delle realtà piùcolpite dal coronavirus e perquesto destinataria della gene-rosità di quanti stanno parteci-pando, con le loro offerte, aWe Run Together.

progetto We RunTogether, la“griglia” dedicata al calcio ve-de la partecipazione anche didue atleti paralimpici protago-nisti nell’acqua. Federico Mor-lacchi, oro nel nuoto alle Para-limpiadi di Rio de Janeiro2016 e tante medaglie mondia-li, ha donato il costume, lacuffia e gli occhialini indossatinei 100 farfalla (categoria S9)per vincere i campionati delmondo di nuoto paralimipico aLondra nel 2019.

Mentre Daniele Cassioli haofferto il bilancino con cui, nel2003, ha vinto il primo deisuoi 25 titoli mondiali di scinautico paralimpico, che lohanno reso il più forte di tuttii tempi nella sua specialità.Cassioli, che ha vinto ancheuno scudetto nel calcio a 5, hapubblicato nel 2018 un libroper raccontare la sua storia: Ilvento contro. Quando guardi ol-tre, tutto è possibile.

Vatican News e Radio Vati-cana Italia stanno seguendopasso passo l’asta We Run To-gether rilanciando le testimo-nianze dei protagonisti con in-terviste esclusive. Nei prossimigiorni — fino all’8 agosto — sa-ranno online i protagonistidell’atletica internazionale e al-tri campionissimi come Caroli-na Kostner e Nicolò Campria-ni. Per informazioni e per par-tecipare all’asta, anche con unasemplice donazione per il per-sonale dei due ospedali lom-bardi, il sito internet èw w w. a t h l e t i c a v a t i c a n a . o rg