donne, politica e istituzioni - sisp.it · donne presenti nel nostro parlamento sono sempre state...

41
1 Donne, Politica e Istituzioni La presenza delle donne in Parlamento 1. Premessa Le riflessioni riportate in questo saggio, sono state estrapolate da uno studio socio-grafico più ampio, condotto sul ceto politico parlamentare italiano al fine di delinearne i caratteri socio-grafici principali (genere, età, titolo di studio, occupazione professionale e gruppo politico di appartenenza), così da poter ricostruire l’identikit del politico medio. Si tratta di considerazioni frutto di analisi e di elaborazioni effettuate su dati raccolti mediante un lavoro di ricerca, il cui asse temporale, piuttosto lungo, va dal 1948 sino a giungere ai nostri giorni. Si parte dunque, dal crollo della Monarchia ed il costituirsi della nostra Repubblica sino a giungere all’attuale legislatura, la diciassettesima (avviata nel 2013), passando attraverso importanti fatti-eventi storici che come vedremo hanno influenzato la rappresentanza politica di genere all’interno delle nostre istituzioni politiche e in particolar modo nelle istituzioni elettive. L’oggetto dell’indagine è dunque costituito dai componenti e dalle componenti del Parlamento italiano, dagli eletti, dal 1948 ad oggi. Ai fini di una migliore comprensione delle novità con riferimento al genere nella nuova classe politica parlamentare, si è deciso di operare una semplificazione spezzando le analisi effettuate in due parti: la prima, concerne il periodo storico che precede l’attuale classe politica parlamentare e che va dal 1948 al 2008, ossia dalla prima alla sedicesima legislatura; la seconda invece, è quella che concerne i fatti politici e storiografici propri della legislatura attuale, la diciassettesima (2013), esaminati e illustrati effettuando opportuni confronti ed analisi con le tre legislature immediatamente precedenti (la quattordicesima, la quindicesima e la sedicesima). Con riferimento alla prima parte, si prende in esame una popolazione complessivamente costituita da 15.420 parlamentari 1 , di cui 10.397 Deputati e 5.023 Senatori, eletti in misura maggiore, nel corso delle due Repubbliche, nelle regioni del Centro e del Nord-Ovest. Con 1 La popolazione oggetto del nostro studio è costituita: dai Deputati e dai Senatori complessivamente proclamati in ogni legislatura dal 1948 in poi; dai Senatori a vita e/o di diritto; dai Deputati e i Senatori entrati in carica in sostituzione di loro colleghi deceduti, dimessi, o la cui elezione era stata in secondo momento annullata. Tutti i dati raccolti provengono dalle biografie dei parlamentari contenute nelle cosiddette Navicelle e nel testo edito dalla Camera dei Deputati (I Deputati della Repubblica dalla I alla XIV legislatura, Roma, 2007). Poiché i dati raccolti erano spesso lacunosi o addirittura non corrispondenti alla realtà dei fatti abbiamo utilizzato altre fonti, quali i dati pubblicati dalle due Camere sui loro rispettivi siti internet (www.cameradeideputati.it ; www.senato.it ), nonché i documenti cartacei e file in formato elettronico forniti direttamente dall’Archivio Storico del Senato e dai Servizi Informatici della Biblioteca del Senato e della Camera dei Deputati.

Upload: vuongkhuong

Post on 23-Feb-2019

213 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

1

Donne, Politica e Istituzioni La presenza delle donne in Parlamento

1. Premessa

Le riflessioni riportate in questo saggio, sono state estrapolate da uno studio socio-grafico più

ampio, condotto sul ceto politico parlamentare italiano al fine di delinearne i caratteri socio-grafici

principali (genere, età, titolo di studio, occupazione professionale e gruppo politico di

appartenenza), così da poter ricostruire l’identikit del politico medio. Si tratta di considerazioni

frutto di analisi e di elaborazioni effettuate su dati raccolti mediante un lavoro di ricerca, il cui asse

temporale, piuttosto lungo, va dal 1948 sino a giungere ai nostri giorni. Si parte dunque, dal crollo

della Monarchia ed il costituirsi della nostra Repubblica sino a giungere all’attuale legislatura, la

diciassettesima (avviata nel 2013), passando attraverso importanti fatti-eventi storici che come

vedremo hanno influenzato la rappresentanza politica di genere all’interno delle nostre istituzioni

politiche e in particolar modo nelle istituzioni elettive. L’oggetto dell’indagine è dunque costituito

dai componenti e dalle componenti del Parlamento italiano, dagli eletti, dal 1948 ad oggi. Ai fini di

una migliore comprensione delle novità con riferimento al genere nella nuova classe politica

parlamentare, si è deciso di operare una semplificazione spezzando le analisi effettuate in due parti:

la prima, concerne il periodo storico che precede l’attuale classe politica parlamentare e che va dal

1948 al 2008, ossia dalla prima alla sedicesima legislatura; la seconda invece, è quella che concerne

i fatti politici e storiografici propri della legislatura attuale, la diciassettesima (2013), esaminati e

illustrati effettuando opportuni confronti ed analisi con le tre legislature immediatamente precedenti

(la quattordicesima, la quindicesima e la sedicesima).

Con riferimento alla prima parte, si prende in esame una popolazione complessivamente

costituita da 15.420 parlamentari1, di cui 10.397 Deputati e 5.023 Senatori, eletti in misura

maggiore, nel corso delle due Repubbliche, nelle regioni del Centro e del Nord-Ovest. Con

1 La popolazione oggetto del nostro studio è costituita: dai Deputati e dai Senatori complessivamente proclamati in ogni legislatura dal 1948 in poi; dai Senatori a vita e/o di diritto; dai Deputati e i Senatori entrati in carica in sostituzione di loro colleghi deceduti, dimessi, o la cui elezione era stata in secondo momento annullata. Tutti i dati raccolti provengono dalle biografie dei parlamentari contenute nelle cosiddette Navicelle e nel testo edito dalla Camera dei Deputati (I Deputati della Repubblica dalla I alla XIV legislatura, Roma, 2007). Poiché i dati raccolti erano spesso lacunosi o addirittura non corrispondenti alla realtà dei fatti abbiamo utilizzato altre fonti, quali i dati pubblicati dalle due Camere sui loro rispettivi siti internet (www.cameradeideputati.it; www.senato.it), nonché i documenti cartacei e file in formato elettronico forniti direttamente dall’Archivio Storico del Senato e dai Servizi Informatici della Biblioteca del Senato e della Camera dei Deputati.

2

riferimento invece alla seconda parte, si ha una popolazione di 4000 parlamentari circa, di cui 2560

deputati e 1318 senatori, eletti in misura maggiore nelle regioni Nord-Ovest e del Sud-Italia.

Con riferimento alla prima parte della ricerca (1948-2008), data l’elevata mole di dati rilevati

ed il periodo di tempo considerato piuttosto vasto (si veda tab. 1) si è deciso di semplificare l’analisi

suddividendo il periodo storico esaminato in quattro macro-fasi (si veda tab. 2): la prima,

denominata fase della ricostruzione, copre il periodo che va dal 1948 al 1963; la seconda,

denominata fase del consolidamento e della partecipazione, va dal 1968 al 1979; la terza, la fase

della crisi, va dal 1983 al 1994; l’ultima, che è quella della transizione, copre il periodo che va dal

1996 al 2008.

Tab. 1: Legislature e Governi dal 1948 al 2008

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana

Tab. 2: Le legislature che ricadono nelle macro-fasi Legislature Elezioni Macrofase

I 18/04/1948

II 7/06/1953

III 25/05/ 1958

IV 28/04/1963

1) fase della

ricostruzione

V 19/05/1968

VI 7/05/1972

VII 20/06/1976

VIII 3/06/1979

2) fase del

consolidamento e

della partecipazione

IX 26/06/1983

X 14/06/1987

XI 5/04/1992

XII 27-28/03/1994

3) fase della crisi

XIII 21/04/1996

XIV 13/05/2001

XV 9-10/04/ 2006

XVI 13/14/04/2008

4) fase della

transizione

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana

Leg. Elezioni Data nomina Data dimissioni Durata

( ( in anni)

Governi

I 18/04/1948 8-05-1948 24-06-1953 5 3 (De Gasperi V, VI, VII)

II 7/06/1953 25-06-1953 11-06-1958 5 6 (De Gasperi VIII, Pella, Fanfani I, Scelba, Segni, Zoli)

III 25/05/ 1958 12-06-1958 15-05-1963 5 5 (Fanfani II, Segni II, Tambroni, Fanfani III, IV)

IV 28/04/1963 16-05-1963 4-06-1968 5 4 (leone I, Moro I, II, III)

V 19/05/1968 5-06-1968 24-05-1972 4 6 (Leone II, Rumor I, II, III, Colombo, Andreotti I)

VI 7/ 05/1972 25-05-1972 4-07-1976 4 5 (Andreotti II, Rumor IV, V, Moro IV, V)

VII 20/06/1976 5-07-1976 19-06-1979 3 3 (Andreotti III, IV, V)

VIII 3/06/1979 20-06-1979 11-07-1983 4 6 (Cossiga I, II, Forlani, Spadolini I, II, Fanfani V)

IX 26/06/1983 12-07-1983 1-07-1987 4 3 (Craxi I, II, Fanfani VI)

X 14/06/1987 02-07-1987 22-04-1992 5 4 (Goria, De Mita, Andreotti VI, VII)

XI 5/04/1992 23-04-1992 14-04-1994 2 2 (Amato I, Ciampi)

XII 27-28/03/1994 15-04-1994 8-05-1996 2 2 (Berlusconi I, Dini)

XIII 21/04/1996 9-05-1996 29-05-2001 5 4 (Prodi I, D’Alema I, II, Amato II)

XIV 13/05/2001 30-05-2001 27-04-2006 5 2 (Berlusconi II, III)

XV 9-10/04/2006 28-04-2006 28-04-2008 2 1 (Prodi)

XVI 13-14/04/2008 29-04-2008 14/03/2013 5 2 (Berlusconi IV, Monti)

3

Il periodo della ricostruzione è “caratterizzato dal marcato mutamento del personale politico

del partito di maggioranza relativa” (Galli 2006, pag. 8); si tratta di una fase storica in cui “gli

uomini d’iniziativa democratica” (ibidem), svolgendo un ruolo determinante nella costruzione del

capitalismo assistenziale si sono sostituiti al vecchio personale politico prefascista, ma sono anche

gli anni in cui entra nel governo il primo partito di opposizione, il PSI, con base sociale tra i

lavoratori subalterni. Dal ‘68 al ‘79 abbiamo la fase del consolidamento e della partecipazione in

cui, per dirla alla maniera di Galli (2006), i limiti e le difficoltà dell’azione politica del periodo

precedente, del Centro Sinistra, si traducono tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli ani

Settanta: nel venir meno della maggioranza moderata sulla quale poneva le sue basi, la DC; nel

sorgere di un’alternativa di governo di Sinistra, a seguito della vittoria nel ‘74 della legge sul

divorzio; ma soprattutto, è questo il periodo in cui, a seguito degli “anni di piombo”, alla

democrazia rappresentativa si sostituisce un partito armato. La terza fase, della crisi, è caratterizzata

dal superamento degli “anni di piombo”, dal costituirsi di una democrazia dell’alternanza e dalla

nomina, per la prima volta nella storia d’Italia, di un socialista alla presidenza del consiglio, Bettino

Craxi (Galli 2006). Infine, abbiamo l’ultima fase, della transizione, dal ‘96 al 2008, il periodo

storico a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 che con i fatti di Tangentopoli ci fanno assistere, come

nell’immediato dopoguerra, ad un nuovo riciclo del personale politico parlamentare.

2. La variabile “genere” e i confronti internazionali

La prima variabile socio-demografica presa in esame ai fini della ricostruzione dell’identikit

del personale politico parlamentare, oggetto principale di questo lavoro, è quella del genere. Come

si può notare osservando la tabella 3 e come più volte dimostrato dalla letteratura scientifica, le

donne presenti nel nostro parlamento sono sempre state storicamente una minoranza nella

maggioranza (Rauti, 2004).

Tab. 3: Distribuzione per “genere” dei Deputati e dei Senatori dal ‘48 al 2008 (% di riga) Femmine Maschi

Macrofasi Deputati Senatori Deputati Senatori

dal ‘48 al ‘63 5,3 1,1 94,7 98,9

dal ‘68 al ‘79 5,8 2,9 94,2 97,1

dal ‘83 al ‘94 9,5 6,2 90,5 93,8

dal ‘96 al 2008 15,0 11,0 85,0 89,0

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana

La tabella 3 mostra che, con riferimento alla Camera dei Deputati, nelle prime legislature la

presenza femminile costituiva solo il 5% circa dei parlamentari eletti e tale percentuale resta

sostanzialmente stabile in tutte e due le prime macrofasi. Ė nella terza macrofase, che la presenza

delle donne in parlamento inizia a crescere sino a raddoppiare, arrivando al 9,5%, per poi triplicarsi

4

nell’ultima macrofase (15%). Un dato questo, davvero sorprendente rispetto a quanto rilevato da

ricerche preesistenti (Anastasi, 2004).

Spostando l’analisi alla distribuzione dei seggi del Senato, sempre con riferimento alla

variabile genere, si evince dalla tabella 3 una situazione analoga a quella della Camera. Nelle prime

due macrofasi le presenze femminili e maschili sono stabili, sebbene in questo caso la percentuale

di donne possa essere definita irrilevante, perché troppo bassa per avere una qualsiasi

rappresentatività. Nelle due macrofasi successive, come per la Camera anche per il Senato, inizia

una crescita della presenza femminile che dall’1,1% passa al 6,2% nella terza macrofase e si

raddoppia poi nell’ultima macrofase (11%).

Possiamo quindi affermare che, nel complesso, la Camera dei Deputati rispetto al Senato ha

tradizionalmente offerto alle donne più opportunità di rappresentanza politica nei seggi

parlamentari. Tuttavia, nella nostra storia parlamentare vi è sempre stata, e vi è ancora, una netta e

quasi assoluta maggioranza del genere maschile. Tant’è vero che, come si può facilmente intuire più

che di presenza delle donne in Parlamento si dovrebbe parlare di “scarsa presenza”. Infatti, come si

può osservare dalla tabella 4, i dati raccolti mostrano che il numero delle parlamentari presenti in

entrambe le Camere dal 1948 al 2008, ha subito profonde variazioni con riferimento al genere.

Tab. 4: Composizione per “genere” del Parlamento Italiano dal 1948 al 2008 Genere

Legislatura F M Totale

v.a. % v.a. % v.a. %

I 49 5 933 95 982 100

II 34 3,9 848 96,1 882 100

III 29 3,2 871 96,8 900 100

IV 35 3,4 999 96,6 1034 100

V 23 2,3 987 97,7 1010 100

VI 31 3,1 969 96,9 1000 100

VII 68 6,9 914 93,1 982 100

VIII 72 7 950 93 1022 100

IX 70 6,8 962 93,2 1032 100

X 103 10 932 90 1035 100

XI 83 8,4 910 91,6 993 100

XII 125 3 847 87,1 972 100

XIII 99 10 891 90 990 100

XIV 98 10 885 90 983 100

XV 154 16 831 84,4 985 100

XVI 191 20 765 80 956 100

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana

Nella prima legislatura, su un totale di 982 parlamentari, le donne erano solo 49 (si veda tab.

4), il 5% circa; mentre, nella sedicesima legislatura le donne rappresentano all’incirca il 20% degli

eletti (191 su un totale di 956). E’ vero che dal 1948 al 2008, come in tutto il resto del mondo anche

in Italia si osserva una crescita della presenza femminile in Parlamento, tanto è vero che nel 2008

per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana la presenza femminile arriva alla soglia del

5

20%; ma è anche altresì vero che rispetto alla situazione complessiva del nostro Parlamento le

donne restano ancora un soggetto marginale della politica e lo sono ancora di più se si effettuano

opportuni confronti con il resto del mondo. Infatti, nonostante l’uguaglianza di genere sia ormai

divenuto uno dei principi fondanti dell’Unione Europea oltre che della Costituzione Italiana,

nonostante cioè l’uguaglianza di genere abbia avuto un riconoscimento giuridico oltre che nazionale

anche a livello internazionale, in realtà, resta ancora molto da fare. Poiché, malgrado si concordi

sempre di più sul fatto che una partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini alle principali

decisioni politiche ed economiche della società riveste un’importanza vitale per lo sviluppo della

democrazia reale, nonostante le donne siano entrate in gran numero nel mercato del lavoro e

malgrado i progressi realizzati nel corso dell’ultimo decennio in termini di partecipazione politica,

resta da sottolineare che sono ancora poche le donne che ricoprono posizioni chiave nel processo

decisionale. Se si considerano ad esempio le commissioni permanenti di Camera e Senato

dell’Italia, si osserva che mentre la distribuzione delle donne fra i diversi ambiti d’intervento è

rimasta sostanzialmente immutata, in realtà, nelle ultime due legislature, il ruolo ricoperto dalle

parlamentari nel dirigere e orientare i processi decisionali è addirittura diminuito. E’ chiaro quindi,

che per tracciare un quadro completo delle diseguaglianze di genere in politica non è sufficiente

considerare come unico indicatore il numero di donne elette in Parlamento, ma è necessario

considerare la loro presenza anche in particolari settori di attività e in determinati livelli di

responsabilità. In quest’ottica, possiamo affermare che, tanto è stato fatto per raggiungere nella

sedicesima legislatura la soglia del 20%. Molte sono state le tappe e le lotte storiche compiute dalle

donne per raggiungere questa percentuale, tuttavia, essa non costituisce ancora una svolta storica in

ambito politico. Questo perché, nonostante quest’aumento percentuale della sedicesima legislatura

(il 20%) può essere considerato significativo se lo si paragona con i valori percentuali della Prima

Repubblica, in realtà, appare del tutto marginale se confrontato con la situazione internazionale e

ancora di più se confrontato con i dati inerenti i Paesi Europei. Quasi a voler dimostrare e

confermare che la politica italiana, come in passato, è ancora tutt’oggi tradizionalmente considerata

una “affare da e per gli uomini”.

2.1 Donne e Parlamento: confronti tra i diversi paesi

Nell’ultimo decennio, studi e ricerche (Humphries, Rubery 1995; Lofstrom 2005) hanno

evidenziato che il miglioramento economico e sociale raggiunto dalle moderne democrazie ha

consentito lo sviluppo dell’uguaglianza di genere nei diversi settori della società con ricadute

positive sulla crescita economica e sociale di tali paesi. Nonostante l’uguaglianza di genere sia

formalmente riconosciuta dalle carte costituzionali di molti paesi del mondo (particolarmente

6

nell’UE), in realtà molto deve essere ancora fatto per imporne l’effettivo rispetto, in particolar modo

nei processi politici decisionali. Dai dati pubblicati nell’ottobre 2010 dal Global Gender Gap2 in

merito alle uguaglianze di genere, emerge che l’Italia si posiziona al 74esimo posto3. Ai primi posti

troviamo i paesi dell'estremo Nord: l’Islanda, seguita rispettivamente da Norvegia, Finlandia e

Svezia, al quinto posto abbiamo la Nuova Zelanda, al sesto l’Irlanda, al settimo la Danimarca,

mentre, all’ottavo posto, troviamo il Lesotho, le Filippine al nono e la Svizzera al decimo posto.

Sempre lo stesso indice mostra anche che tra i paesi europei la posizione peggiore è quella in cui si

trova la Francia, giacché in un solo anno è passata dal 18esimo al 46esimo posto, mentre l’Italia

(come detto, 74esima) è preceduta da alcuni paesi in via di sviluppo tra cui il Mozambico (22esimo)

e il Botswana (62esimo). Tra le economie Bric4 si osserva invece che la Cina si posiziona 61esima,

la Russia 45esima e il Brasile 85esimo; ultimo dei paesi valutati, 134esimo, è lo Yemen. Se in una

classifica internazionale, l’Italia si colloca al 74esimo posto, circoscrivendo le analisi ai soli paesi

europei, la troviamo all’ultimo posto (si veda la tabella 5). Per ciò che concerne i paesi scandinavi,

la Norvegia si è distinta come paese capofila in fatto di emancipazione femminile, con particolare

riguardo all’ingresso delle donne in ambito economico e politico, perseguendo con notevoli sforzi, a

partire dagli anni ‘70, la parità di genere nei ruoli decisionali. Attualmente, il paese svolge un ruolo

guida per quanto riguarda la rappresentanza femminile nelle istituzioni politiche: oltre un terzo dei

rappresentanti nell’Assemblea nazionale norvegese (Sorting) sono donne. Questo risultato sembra

dipendere innanzitutto dalle quote che i partiti politici applicano nella nomina dei candidati alle

elezioni e nella composizione degli organi direttivi dei partiti a tutti i livelli. Durante gli anni

Ottanta, ad esempio, è stato introdotto un sistema di quote per i comitati, i consigli e le assemblee di

pubblica nomina. All’inizio sono state adottate disposizioni per un equilibrio di genere obbligatorio

con la Legge sulla parità di genere e successivamente, nel 1988, è stato introdotto l’obbligo di

rappresentanza minima del 40%, per ciascuno dei sessi. Recentemente il governo norvegese ha

cominciato a introdurre quote di genere nei consigli di amministrazione delle aziende: dal 2004 per

le imprese di proprietà statale esiste l’obbligo di avere una rappresentanza minima del 40% per ogni

2 Costruito dal World Economic Forum, in collaborazione con Harvard University e University of California, Berkeley, il Global Gender Gap è un indice che misura e descrive le differenze di “genere” tra i diversi paesi del mondo. Si tratta di un indice in grado di radiografare un paese attraverso le opportunità nel mercato del lavoro, l'economia, l'aspettativa di vita e lo stato di salute, la partecipazione politica e l’accesso all’istruzione superiore (quella di terzo livello, universitaria e post). Tale indice, misura i gap di “genere” nell'accesso alle risorse e alle opportunità dei diversi paesi, piuttosto che i livelli delle risorse e delle opportunità disponibili nei singoli paesi. Così facendo, l'indice è indipendente dai livelli di sviluppo e rende possibile confrontare prestazioni di paesi in via di sviluppo e Paesi ricchi. 3 Fonte: The Global Gender Gap Report 2010. 4 Coniato da Jim O' Neill (nel 2001), l’acronimo Bric indica quei paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina) che grazie al loro contributo al Pil mondiale, hanno fatto si che diventasse ormai ridicolo continuare ad etichettarli come emergenti. La Cina, infatti, è la seconda economia mondiale, con un prodotto interno lordo pari al 9,3% del Pil mondiale (gli Stati Uniti, che sono al primo posto, hanno una quota del 23,6%) mentre Brasile, Russia e India (messe insieme) contribuiscono alla ricchezza del pianeta per l'8%. (Il Sole 24 ore, 2 marzo, 2010)

7

genere, in seno agli organi direttivi; mentre, a partire dal primo gennaio 2006, sono stati adottati

analoghi emendamenti per le società di capitali a sottoscrizione pubblica, nell’intento di garantire a

donne e uomini pari opportunità di rappresentazione in seno ai consigli di amministrazione.

Tab. 5: Le donne nei parlamenti europei PAESE CAMERA SENATO

eletti donne % eletti donne %

Svezia 349 158 45,3 - - -

Danimarca 179 68 38 - - -

Finlandia 200 75 37,5 - - -

Olanda e Paesi Bassi 150 55 36,7 75 20 26,7

Spagna 350 126 36 251 61 24,3

Belgio 150 53 35,3 71 22 31

Austria 183 62 33,9 62 13 21

Germania 603 194 32,2 69 17 24,6

Portogallo 230 44 19,1 - - -

Regno Unito 659 118 17,1 713 117 16,4

Lussemburgo 60 10 16,7 - - -

Irlanda 166 22 13,3 60 10 16,7

Grecia 300 39 13 - - -

Francia 574 70 12,2 321 35 10,9

Italia (XIV Legislatura) 616 71 11,5 321 26 8,1

Fonte: Sabbadini (2006)

Per incoraggiare la partecipazione femminile al processo politico decisionale, diversi sono

stati gli interventi operati dai paesi europei. I principali hanno riguardato: l’introduzione di quote o

di obiettivi nelle liste elettorali o nelle strutture di partito; corsi di formazione rivolti alle donne che

aspirano a partecipare alla vita politica; workshop e corsi di divulgazione finalizzati a informare e

sensibilizzare; creazione di reti di donne elette a fini di empowerment e condivisione di esperienze.

Parallelamente a queste azioni dirette, ve ne sono altre che contribuiscono indirettamente

all’avanzamento della partecipazione femminile nella vita politica. Si tratta di promuovere

l’istruzione femminile, avviare campagne di sensibilizzazione e comunicazione che tengano

presente la componente di genere, allargare l’ambito dei servizi sociali fino a includere politiche di

conciliazione e assistenza. Tra questi, sembra che lo strumento più diffuso per incrementare la

partecipazione femminile in Parlamento sia stato l’introduzione di “quote” nella sfera politica

locale. La Commissione europea, nella RoadMap5 per l’uguaglianza di genere per il periodo 2006-

2010, riconosce che il persistere della sottorappresentanza femminile nei parlamenti rappresenta un

deficit democratico e che la partecipazione delle donne alla politica e ai ruoli dirigenziali a tutti i

5 Pubblicato dall’esecutivo nel marzo 2006, la Road Map per l’uguaglianza tra uomini e le donne 2006 - 2010 individua sei ambiti prioritari in cui si deve intervenire per far sì che uomini e donne ottengano lo stesso grado di indipendenza: pari indipendenza economica per le donne e gli uomini, equilibrio tra attività professionale e vita privata, pari rappresentanza nel processo decisionale, sradicamento di tutte le forme di violenza fondate sul genere, eliminazione di stereotipi sessisti, promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo. Tuttavia, questo è solo uno dei più recenti atti introdotti dall’UE per le pari opportunità. Infatti, l’UE sta procedendo in tal senso già dal 1957 con il primo trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, stipulato a Roma nel 1957. Da allora, la Comunità ha cercato sempre di più di ridurre le differenze di trattamento delle donne nei diversi ambiti.

8

livelli (locale, regionale, nazionale, europeo) della Pubblica Amministrazione dovrebbe essere

oggetto di ulteriore promozione. Riconosce inoltre, che la partecipazione delle donne al processo

decisionale non è solo una questione di parità e democrazia ma può contribuire anche a

incrementare l’utilizzo efficiente di risorse umane e ad arricchire e rinnovare la cultura politica,

introducendo nuove tematiche e aprendo nuove prospettive.

3. La posizione della donna nell’Ottocento e nel Novecento: dalla subordinazione

all’ empowermant di lungo corso

Prima di addentrarci sulla questione di “genere” con riferimento al Parlamento italiano, è

necessario fare un breve excursus di quella che è stata la condizione femminile in passato,

nell’Ottocento e nel Novecento, non solo con riferimento al nostro paese ma a livello

internazionale. La condizione della donna è stata per lungo tempo, non solo, quella di esclusione dai

processi politici decisionale ma di generale subordinazione e sottomissione all’uomo. Questa sua

condizione d’inferiorità era rafforzata dalla mancanza di riconoscimento dei diritti individuali alla

donna e l’ancoramento dello svolgimento delle sue attività quotidiane all’ambito familiare, per

lungo tempo considerato prerogativa della donna. Nel XVII secolo, come ancor prima nel XII

secolo (Aristotele, 2007), si delineavano due ambiti per la vita dell’essere umano: quello pubblico,

delle attività economico-commerciali e della politica considerato esclusiva del genere maschile e

quello privato-morale, dove si esplicano i sentimenti, le emozioni e le quotidiane attività di cure

domestiche, riconosciute come spettanti alla donna. La donna, proprio per il suo essere un soggetto

fragile e non in grado di utilizzare la razionalità come fa invece l’uomo, non può che restare

nell’ambito domestico. Questa, era le tesi dominante tra gli uomini. Come la stessa Facchi (2007) ci

fa notare, le donne giungono all’attuale condizione di parità solo attraverso un lungo processo di

lotte e conquiste, durato più di due secoli. Tuttavia, ancora oggi continuano ad esistere paesi in cui

le donne vivono questa condizione d’inferiorità e paesi come ad esempio l’Italia dove pur non

avendo più una generale condizione di emarginazione, in realtà, in alcuni ambiti, come ad esempio

quello politico, costituiscono ancora, di fatto, una minoranza.

La condizione di subordinazione del sesso femminile nella società ottocentesca è stata

particolarmente studiata da Taylor6 (2012), autrice di diversi studi e lavori sulle donne.

Subordinazione giuridica e morale al volere degli uomini, segregazione familiare ed emarginazione

6 Nata a Londra nel 1807, da padre medico e madre “perfetta padrona di casa”, sposata dapprima con John Taylor e successivamente con l’illustre John Stuart Mill, l’autrice rivolge le sue attenzioni e i suoi studi sul ruolo della donna nella società ottocentesca. Ne studia la condizione di emarginazione e subordinazione, l’evoluzione e le spinte dinamiche al processo di cambiamento. Ricordiamo qui, alcune delle sue riflessioni contenute in uno dei suoi più importanti saggi (La liberazione delle donne) per descrivere quella che era la condizione generale della donna in gran parte del mondo prima di arrivare alle conquiste del Novecento in termini di diritti, lavoro e politica. (Taylor, 2012)

9

dalla vita politica sono i termini utilizzati da Taylor in uno dei suoi più importanti saggi, La

liberazione delle donne, per descrivere il processo di liberazione che la donna ha vissuto a diverse

tappe, nell’Ottocento, per emanciparsi da una società che la schiavizzava ad una condizione di

inferiorità e soprattutto per potersi liberare dalla “gabbia d’acciaio”, il matrimonio, in cui era

naturalmente rinchiusa. Naturalmente perché, nella società ottocentesca la condizione naturale della

donna era quella di passare dalla casa familiare in cui era sotto la potestà paterna a quella

matrimoniale in cui era sottomessa alla potestà maritale. Per la donna, condizione naturale era

quella di sposarsi e fare figli. Non poteva auspicare ad un lavoro pubblico, non poteva partecipare

alle attività politiche né tanto meno pensare di avere anche solo opinioni politiche. Questa

condizione di segregazione familiare, secondo Taylor, era persino ambita dalla donna. Tant’è che,

se una donna non riusciva a maritarsi era destinata a vivere in una condizione di umiliazione e di

vergogna persino peggiore di quella di emarginazione in cui viveva. In una situazione del genere, il

mancato suffragio universale e l’impossibilità ad avare opinioni sui dibattiti correnti servivano a

porre l’accento sul dominio maschile mentre, la negazione del diritto di voto a “stampare in fronte”

alla donna la sua inferiorità. Sostenendo un certo parallelismo tra la condizione d’inferiorità delle

donne e quella degli schiavi neri, Taylor affermava che la donna poteva uscire dalla sua

subordinazione storica solo attraverso un percorso di conquista e difesa di quelli che erano suoi

diritti naturali. Solo la donna medesima, poteva effettuare la scelta di rivendicare la sua posizione-

ruolo nella società ed affermare la libera scelta del proprio percorso di vita. “Bisognava lottare per

dare ad ogni individuo la possibilità di svilupparsi nel modo che gli era più congeniale

indipendentemente dal sesso” (Belotti, 2007, pag. 8). Bisognava abbattere le barriere che

impedivano alle donne l’accesso alle cariche pubbliche, come anche alle professioni pubbliche e

private. Si necessitava, di una società che potesse offrire la possibilità di cambiamenti del genere.

Questo quadro desolante, cominciò a dare segni di cambiamento, secondo l’autrice, dalla seconda

metà dell’Ottocento. Quando, si cominciò a sentir parlare di affrancamento della donna e di diritti

della donna. Le basi di ciò, furono gettate dal liberismo economico. Fu, infatti, per la Taylor,

l’indipendenza economica raggiunta dalla possibilità di un lavoro remunerato, svolto al di fuori

delle mura domestiche, il primo passo per la donna, di liberarsi della condizione di subordinazione

agli uomini e la possibilità di non ricadervi più. Possiamo quindi riassumere la storia di liberazione

ed emancipazione della donna, attraverso la storia di conquista dei diritti da parte delle donne. Nel

1791, Olimpe de Gouges scriveva la prima “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”.

Si tratta del primo documento cartaceo, attraverso il quale per la prima volta nella storia si

evidenzia che, dalla rivendicazione dei diritti individuali, di cui tanto si parlava nel Settecento, era

esclusa la donna. Ossia, che, nel momento i cui si parlava di uomo, lottando per quello che era il

10

riconoscimento formale dei diritti umani e inviolabili, ci si riferiva non all’uomo in senso generico

ma nel senso stresso del termine. La donna, si occupava della famiglia e dell’educazione dei figli;

non aveva diritti, anzi lei tessa era una proprietà dell’uomo. Grazie ad Olimpe de Gouges ed ai

movimenti femministi e liberisti che riuscì a scatenare, nacque, nel Settecento, la “coscienza

femminile” ed un nuovo punto di vista: quello delle donne. Tali movimenti cominciarono poi a

diffondersi in misura maggiore nell’Ottocento e grazie ad un incontro avutosi negli Stati Uniti nel

1848, a Seneca Falls, nacque la prima convenzione. I movimenti divennero sempre più di

rivendicazione dei diritti ed in particolare del diritto di voto; da qui il nome a questi movimenti di

“suffraggiste”7. Il femminismo, di questo periodo rivendicava la parità dei diritti, ed agiva in

maniera tale che, come sostiene Facchi (2007), fece parlare nell’Ottocento della nascita di un nuovo

soggetto: la donna. Tuttavia, nonostante le proteste, la donna dovette aspettare la prima metà del

Novecento per vedere, in molti paesi, riconosciuti, i propri diritti. I primi a riconoscere alla donna le

“libertà positive”, ossia la capacità di prendere decisioni, di realizzare la propria vita e di “fare”,

furono la Gran Bretagna ed i paesi Scandinavi (Norvegia e Svezia) nel 1918. Dopo la prima guerra

mondiale, questi riconoscimenti, compreso quello del diritto di voto, si sono avuti in quasi tutti i

paesi europei mentre per l’Italia, si dovette aspettare il 1945. Si può comunque affermare che il

Novecento, è il secolo delle conquiste delle donne. In quanto, dalla seconda metà del secolo a

tutelare e riconoscere i loro diritti non vi furono solo gli organi nazionali ma anche quelli

sovranazionali. Come la costituzione della carta internazionale, Cedaw8 e le conferenze tenutesi a

Città del Messico nel 1975, a Copenaghen nel 1980, a Nairobi nel 1985, a Pechino nel 1995 e a

7 Con il termine “suffragiste”, erano indicate tutte quelle donne che prendevano parte ai movimenti di emancipazione femminile di fine Ottocento e d’inizio Novecento, rivendicando, alla stregua degli uomini il riconoscimento dei diritti giuridico-formali e politici, in particolar modo il diritto politico di voto. Tale diritto, inteso sia in termini di “diritto a votare” che in termini di “diritto ad essere votate”, si doveva raggiungere attraverso il suffragio. Da qui il termine “suffragiste” o anche “suffragette”. Tuttavia, pur essendo quest’ultimo divenuto ormai di uso comune, in realtà era stato introdotto in modo sprezzante dagli uomini di quel periodo per indicare le donne rivendicatrici. A innescare questi movimenti di rivendicazione femminile, fu il processo di industrializzazione del XIX secolo, che aveva modificato il modo di pensare facendo scomparire il lavoro a domicilio e cambiando la condizione della donna, la quale, per la prima volta nella storia appare sulla scena lavorativa con la sua occupazione in fabbrica e non più nel focolare domestico. Queste donne, che operavano attraverso delle vere e proprie “organizzazioni femminili”, rivendicavano non solo il diritto di voto e con esso l’ingresso in quella scena politica da cui erano state storicamente escluse, ma lottando contro determinate ingiustizie rivendicavano anche tutta una serie di diritti di uguaglianza, come ad esempio quello di una pari ed equa retribuzione salariale. Ciò, in quanto, pur essendo numericamente superiori agli uomini nelle fabbriche, di fatto, le donne ricevevano un salario più basso rispetto agli operai maschi. La rivendicazione era poi rivolta anche all’ottenimento dell’accesso agli studi universitari, dato che, in quel periodo erano costrette a lavorare solo come insegnanti, commesse, impiegate e professioni simili ma non potevano intraprendere professioni universitarie come quella medica, dell’avvocatura e dei magistrati. Prerogativa quest’ultime, degli uomini. Le lotte e le rivendicazioni portate avanti da queste donne, avvenivano attraverso diverse manifestazioni che andavano dai semplici cortei pubblici ad atti più eclatanti, come l’incatenarsi nelle piazze. 8 Il Cedaw (“Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne”), adottato dalle Nazioni Unite nel 1979 ed entrato in vigore nel 1981, costituisce il primo documento formale internazionale che sancisce la definitiva eliminazione di ogni qualsiasi discriminazione nei confronti delle donne, nonché il riconoscimento, la diffusione e la tutela a livello non più solo nazionale ma anche sovranazionale dei diritti umani fondamentali delle donne in materia di maternità e parità fra i coniugi. (Facchi 2007; www.retepariopportunità.it)

11

New York nel 2000, che garantivano, adesso anche nell’agenda globale, la tutela e la piena

attuazione dei diritti di uguaglianza tra uomo e donna e ribadivano soprattutto l’importanza dei

diritti delle donne come diritti umani nel loro pieno significato.

4. L’emancipazione storico-femminile italiana: movimenti femministi e conquista dei diritti

A differenza degli altri paesi europei, in Italia, la presenza delle donne in politica iniziò a

diventare un vero e proprio tema centrale dell’opinione pubblica come anche dell’agenda politica,

dagli anni Settanta. Prima di questo periodo, vi furono solo atti isolati, mentre, come mostra Rauti

(2004), è proprio questo il periodo in cui l’azione politica dei governi e in particolare di quelli che si

sono succeduti tra il ‘68 e il ‘72, fu per la prima volta direttamente rivolta a dare risposte alle

pressioni provenienti dai movimenti femministi, varando politiche e riforme adeguate alle loro

richieste e destinate a cambiare il volto della società e della politica. Una prima tappa, del processo

di emancipazione politico femminile, fu segnata in Italia dall’immediato dopoguerra. Infatti, dopo

Svezia (1866), Finlandia (1906), Norvegia (1909), Danimarca (1915), Urss (1917), Inghilterra

(1918), Stati Uniti (1920) e Francia (1945), anche in Italia fu riconosciuto alle donne il diritto di

voto (nel 1945 il diritto di voto attivo, nel 1946 quello passivo). È proprio in questi anni che

nacquero il CIF9 (Centro Femminile Italiano), che si proponeva di ricostruire la patria devastata

dalla guerra ed impoverita dalla politica di Mussolini e l’UDI 10 (Unione Donne Italiane), una

ramificazione del Partito Comunista che si proponeva di coinvolgere attivamente le donne nella vita

politica del paese. Da qui in avanti, si susseguirono poi tutta una serie di provvedimenti legislativi

in materia, a cui si accompagnarono le prime apparizioni di donne in politica. Nel 1950, si emana la

prima legge che garantisce la conservazione del posto di lavoro per la donna madre lavoratrice. Nel

1951, la democristiana Angela Cingolani, è la prima donna a diventare sottosegretario di un

governo italiano. Nel 1958, si approva in Parlamento una legge, proposta dalla senatrice socialista

Lina Merlin, in cui si sanciva la chiusura delle case di tolleranza. Questa legge, che aveva lo scopo

di eliminare dal paese la piaga della prostituzione, mostrò però subito i suoi limiti. Tant’è che, la

prostituzione, dalle famose "case chiuse" si riversa nelle strade. Dunque, non diminuendo affatto il

giro di affari. Nel 1959, nacque il Corpo di Polizia femminile. Nel 1961, le donne poterono

intraprendere senza più alcun ostacolo la carriera della magistratura e della diplomazia. Nel 1963,

9 Costituito nel 1946, il CIF è un’associazione di volontariato sociale, un’ONLUS, che collegando donne ed associazioni di ispirazione cristiana, contribuiva alla ricostruzione del Paese operando in campo civile, sociale e culturale. (Rauti, 2004) 10 L’UDI nacque nella Roma appena liberata, il 12 settembre 1944. Si trattava di un’associazione che raccogliendo le esperienze elaborate dai Gruppi di Difesa della Donna (GDD), durante la Resistenza, si proponeva di “unire tutte le donne italiane in una forte associazione che sapesse difendere gli interessi particolari delle masse femminili, risolvendo i problemi più gravi e più urgenti di tutte le donne lavoratrici, delle massaie come anche delle donne madri”.

(Rauti, 2004)

12

alle casalinghe si riconosce il diritto alla pensione d’invalidità e vecchiaia. Nel 1975, entrò in vigore

il nuovo Diritto di Famiglia. Nel 1976, per la prima volta in Italia, una donna, la democristiana Tina

Anselmi, assunse la carica di Ministro di un settore piuttosto difficile quello del Lavoro. Nel 1979,

la comunista Leonilde (meglio conosciuta come Nilde Iotti), fu eletta presidente della Camera dei

Deputati11. In tutta la storia italiana, nell’intero Novecento, non esiste un periodo favorevole alle

donne come quello degli anni Settanta. Sono gli anni in cui incalzano i movimenti femministi, i

quali da gruppi ristretti diventano fenomeno sociale diffuso. Grazie a questi movimenti femministi e

alle loro pressioni, le donne iniziarono a raccogliere i frutti di anni di lotte e ad ottenere

riconoscimenti legislativi. Si ricordi in tal senso, la legge sul Divorzio (legge n. 898 del 1970); la

legge sugli Asili Nido (legge 6 dicembre 1971 n. 1044); il Diritto di Famiglia (legge 19 maggio

1975, n. 151); la nascita dei Consultori Familiari (legge 29 luglio 1975, n. 405); ed infine la legge

sull’Aborto (legge 22 maggio 1978, n. 194). Gli anni Settanta, furono anche quelli delle leggi in

materia di lavoro e ancora una volta, anche in questo campo, le donne si trovarono per la prima

volta di fronte a leggi che le tutelavano. Come si ricorderà, il 1970 è l’anno dello statuto dei

lavoratori; nel 1971, fu emanata la legge sulle lavoratrici-madri (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204);

nel 1977, fu promulgata la legge sulla parità tra uomo e donna (legge 9 dicembre 1977, n. 903). La

normativa citata, attraverso la rimozione di ostacoli che provocano disuguaglianze di genere,

rappresentava una tappa fondamentale per l’emancipazione delle donne italiane. Infatti, con essa, si

fa strada la “cultura della parità e delle pari opportunità”. Tuttavia, le norme più innovative di

questa legge, ad esempio l’art.7, trovarono in realtà scarsa applicazione. Furono proprio i

movimenti degli anni Settanta a consentire l’evoluzione politico-normativa delle donne. In

particolar modo quello femminista, unitamente però alla scuola di massa del periodo, alla cultura,

alla legislazione come strumento di sostegno, unito anche all’influenza proveniente dalle esperienze

e dagli orientamenti politico culturali provenienti dagli altri paesi europei e non. A tutto ciò, si

accompagnava l’istituzione di opportuni organismi di governo, detti delle pari opportunità, come ad

esempio il “Comitato Nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza

di opportunità tra lavoratori e lavoratrici” presso il Ministero del Lavoro (D.M. 2 dicembre 1983).

Nel 1984, fu istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la “Commissione Nazionale

per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna”. Vediamo ora, quali sono stati gli effetti di tutti

questi provvedimenti legislativi e di quelli previsti dall’UE, sulla presenza delle donne nel

Parlamento.

11 Nello stesso anno una donna, la francese Simone Weil , venne eletta presidente del Parlamento Europeo.

13

5. La presenza delle donne nel parlamento italiano dal 1948 al 2008

Quanto alla presenza delle donne nel parlamento italiano, i dati raccolti ed elaborati, hanno

consentito di prendere in esame la variabile “presenza femminile nei processi politici decisionali”

nel lungo periodo storico che va dal 1948 sino ad oggi e di studiarne l’andamento. Come abbiamo

già anticipato nelle prime pagine di questo saggio, ai fini di una migliore comprensione del nostro

oggetto di studio e delle dinamiche che l’hanno influenzato, a volte anche in maniera retroattiva, si

è deciso di spezzare l’arco temporale osservato in due momenti: quello che va dal 1948 al 2008 e

quello concernente la nuova classe politico-parlamentare del 2013.

In questo paragrafo esaminiamo il primo periodo. Come si nota dal grafico 1, la percentuale

delle donne in Parlamento nel corso della nostra storia repubblicana ha subìto una profonda crescita,

portando la presenza femminile in Parlamento dal 5% della prima legislatura (1948) al 20% della

sedicesima legislatura (2008).

Fig . 1 Andamento percentuale delle donne nel Parlamento italiano dalla I alla XVI legislatura.

La presenza delle donne nel Parlamento Italiano dalla I alla XVI legislatura

5,03,9 3,2 3,4

2,33,1

6,9 7,0 6,8

10,08,4

12,9

10,0 10,0

15,6

20,0

0

5

10

15

20

25

I 1948

II 1953

III 1958

IV 1963

V 1968

VI 1972

VII 1976

VIII 1979

IX 1983

X 1987

XI 1992

XII 1994

XIII 1996

XIV 2001

XV 2006

XVI 2008

Legislature

Val

ori

per

centu

ali

Fonte: Nostra elaborazione dati dell’Editoriale Italiana.

Seppur basso, il 5%, deve essere comunque considerato come un dato positivo, poiché grazie

al suffragio universale e al connesso diritto non solo di votare ma anche di essere votate, esso

rappresenta e segna una vera e propria rottura con un passato storico italiano di assoluta assenza

delle donne nei processi politici decisionali. La questione del voto alle donne, come evidenziano

diversi politologi e sociologi (Conti Odorisio 2000; De Leo, Taricone 1996; Taricone 1996) trova

radici in un passato storico ben lontano dai nostri tempi e risale alle riflessioni che all’indomani

dell’Unità d’Italia avvenivano negli ambienti intellettuali. Le prime a promuovere la questione del

voto alle donne, furono le donne lombarde. Le quali, cercarono di ottenere l’estensione dei diritti di

cui godevano sotto la dominazione austriaca, in particolare il diritto di voto amministrativo, alle

14

donne dello Stato Unitario che da poco era sorto. Tale diritto, era allora riconosciuto per procura

alle donne che amministravano i propri beni e potevano designare un loro rappresentante nei

Convocati del comune in forza di un livello di censo particolarmente elevato. Tuttavia, per

esercitare questo voto, le donne dovevano possedere non solo un certo censo ma anche capacità

giuridica. E questa capacità giuridica, fu loro negata dallo Statuto Albertino. In base al quale, le

donne non potevano acquistare, alienare, ipotecare né fare alcun’altra cosa senza la potestà maritale;

ovvero, senza che il marito prestasse il proprio assenso, in maniera personale o per iscritto, a

qualsiasi atto che la donna voleva compiere.

Iniziarono così, le prime mobilitazioni da parte delle donne per la conquista dei diritti politici

ed in particolare del diritto di voto. Queste mobilitazioni, si svolsero dalla seconda metà

dell’Ottocento sino a giungere al 1946. Nel corso del XIX secolo, le donne, attraverso i primi

movimenti femministi avevano più volte cercato di portare l’attenzione della classe dirigente

italiana sulla questione del voto ma senza ottenere alcun successo. Nella seconda metà

dell’Ottocento, la prima proposta di allargamento del voto amministrativo alle donne fu formulata

da parte di Cairoli. All’inizio del nuovo secolo, invece, la questione del voto femminile venne per la

prima volta inserita in un disegno di legge dal repubblicano Mirabelli e da allora fu poi ripresa e

riproposta con la sinistra di Depretis e di Crispi sino a giungere nel 1907, all’Età giolittiana, in cui

fu istituita, a seguito delle pressioni delle “suffragiste”, una commissione parlamentare volta

all’analisi della questione del voto alle donne. Tuttavia, ancora una volta non si ottenne nulla di

fatto. In questi anni, infatti, il tema del voto alle donne fu affrontato in sede parlamentare ma senza

tuttavia sfociare in alcun provvedimento legislativo. Nel 1912, le donne parteciparono assieme agli

uomini alla lotta per il suffragio universale. In questo periodo, infatti, erano ancora esclusi dal

diritto di voto gli uomini analfabeti; potevano votare solo gli uomini con un certo censo e che erano

in grado di leggere e scrivere. Tuttavia, fu approvato il suffragio maschile mentre fu respinto quello

femminile, proprio con la motivazione che dilagava tra le donne un diffuso analfabetismo. Nel

1919 vi fu invece, un primo passo un po’ più significativo per le donne, poiché, la Camera per la

prima volta approvò l’accesso al voto alle donne. Tuttavia, lo scioglimento della Camera prima che

la proposta di legge fosse approvata dal Senato, fece decadere nuovamente la questione del voto

femminile. Si dovette aspettare il 1925, con Mussolini, per vedere riconosciuto il diritto di voto ad

alcune categorie di donne; quelle maggiori di 25 anni, abbienti, madri o vedove di caduti in guerra,

decorate per meriti di guerra o al valore civile, investite di patria potestà ed aventi licenza

elementare. Si trattava però ancora di un diritto che era esteso alle donne, solo per le elezioni

amministrative. Diritto che rimase in realtà solo sulla carta, perché il regime dittatoriale fascista ben

presto annullò, con delle leggi speciali, il diritto al voto democratico dell’intera popolazione italiana

15

(maschile e femminile). Solo a seguito della caduta del regime fascista, dopo anni di lotte per il

suffragio universale (esteso stavolta anche alle donne), il governo Bonomi, su proposta di Alcide De

Gasperi e Palmiro Togliatti, il 1° febbraio 1945 concesse il diritto di voto alle donne e stabilì liste

elettorali distinte per maschi e femmine. In seguito, il 2 giugno 1946, in occasione del Referendum

sulla forma di Stato, Monarchia o Repubblica, le donne italiane parteciparono per la prima volta alle

elezioni democratiche. Dunque, era stato raggiunto quel traguardo tanto sofferto e perseguito da

molte donne, anche se a ben vedere si trattava di una conquista solo parziale.

Infatti, i confronti con i dati internazionali dimostrano che molto resta ancora da fare dato che,

l’Italia, non solo tardò nella concessione del diritto di voto alle donne rispetto a molti altri paesi

occidentali quali Nuova Zelanda (1893), Norvegia (1913), Regno Unito, Polonia e Russia (1918) e

Svezia ed Ucraina (1919) ma soprattutto dato che l’Italia tardava anche per quel che concerneva la

percentuale delle donne presenti in Parlamento e la situazione rimase tale fino alla sedicesima

legislatura. Tuttavia, bisogna precisare che la percentuale delle donne in Parlamento non è sempre

stata costantemente in crescita nel corso degli anni che intercorrono tra la prima e la sedicesima

legislatura. Né del resto, il suo sviluppo è stato perfettamente lineare. Ci sono state delle oscillazioni

nel tempo. Prima di arrivare alla percentuale del 20% della sedicesima legislatura (2008), vi sono

stati momenti di crescita della presenza femminile in Parlamento e momenti di regressione. In una

prima fase, quella successiva al primo ingresso delle donne in Parlamento, dapprima nella

Costituente (1946) e immediatamente dopo nella prima legislatura (1948), la presenza delle donne

in Parlamento tende a decrescere. Da 1968 sino al 2008, inizia nuovamente a crescere. Tuttavia, la

crescita che si è avuta in quest’ultima fase, è stata segnata da non poche battute d’arresto (si veda

grafico 1) tra la settima (1976) legislatura e la nona (1983), nell’undicesima legislatura (1992), ed in

fine tra la tredicesima (1996) legislatura e la quattordicesima (2001). In tutto l’arco temporale

considerato (dal 1948 al 2008), vi sono stati due soli casi, due frangenti di tempo, in cui la presenza

delle donne in Parlamento è stata di tendenziale crescita: dalla nona (1983) legislatura alla decima

(1987) e dalla quindicesima (2006) alla sedicesima (2008). Considerato quest’andamento piuttosto

complesso della variabile “donne in parlamento” e tenuto conto dell’enorme quantità dei fatti storici

che l’hanno determinato e che si sono verificati tra la prima (1948) legislatura e la sedicesima

(2008), si è reso necessario operare un’ulteriore suddivisione di questo periodo storico osservato

(1948-2008) in due sotto periodi. Il primo, va dalla prima (1948) legislatura all’undicesima (1992),

ed è quello che viene comunemente definito della Prima Repubblica; il secondo invece, va dalla

16

dodicesima (1994) legislatura alla sedicesima (2008) e viene anche questo comunemente

denominato della Seconda Repubblica12.

5.1 Donne e Parlamento nelle due Repubbliche

L’analisi dei fatti storici che influenzarono la presenza o meno delle donne in Parlamento

durante la Prima Repubblica, prende avvio dal 1948. L’anno in cui, si ha la prima legislatura della

nostra storia repubblicana e come si è già precisato, solo il 5% (si veda fig.2) delle donne è inserito

in Parlamento.

Fig. 2 Trend della presenza femminile italiana in Parlamento, dalla I alla XVI legislatura

Donne e Parlamento italiano, dalla I alla XVI legislatura

5,0 3,9 3,2 3,4 2,3 3,1

6,9 7,0 6,810,0

8,4

12,910,0 10,0

15,6

20,0

0

5

10

15

20

25

I

194

8

II

1953

III

19

58

IV

19

63

V

19

68

VI

19

72

VII

197

6

VIII

19

79

IX

19

83

X

19

87

XI

19

92

XII

199

4

XIII

19

96

XIV

20

01

XV

2006

XVI

20

08

Legislature

Val

ori

per

centu

ali

Fonte: Nostra elaborazione dati dell’Editoriale Italiana

Al di là di quelle che possono essere le caratteristiche socio-anagrafiche e professionali delle donne

presenti in Parlamento nel 1948, emerge che nella prima legislatura costituivano un numero

piuttosto esiguo. Tuttavia, come dimostrato dalle ricerche di diversi studiosi (Lussana 1998; Rauti

2004; Rossi Doria 1994), non dobbiamo considerare questo dato come sconcertante. E’ vero, che se

noi osserviamo il diagramma che descrive la presenza delle donne in Parlamento nel lungo periodo

che va dal 1948 al 2008, si comprende quanto fosse bassa la componente femminile nel ‘48 e

quanto tempo sia dovuto trascorrere prima di poterla vedere crescere. Si dovrà, infatti, arrivare alla

sedicesima legislatura (2008) per giungere ad una percentuale pari al 20%. Tuttavia, è altresì vero

che il 1948 rappresenta un momento di rottura con il passato politico storico che l’ha preceduto 12 Abbiamo utilizzato la terminologia, introdotta in ambito giornalistico, di Prima e Seconda Repubblica perché questa etichetta è ormai sempre più entrata a far parte dell’uso comune. Tuttavia, precisiamo che non è corretto parlare di Prima e Seconda Repubblica poiché, parlare di due Repubbliche significa affermare che in Italia dal ‘48 ad oggi sia cambiata la forma di governo e quindi che vi siano stati due diversi assetti costituzionali ed istituzionali e così non è stato. Con la caduta del regime fascista e le votazioni del 1946, il popolo italiano ha scelto di passare dalla forma di Stato monarchico a quello repubblicano. Da allora, quest’ultima è stata ed è ancora tutt’oggi l’unica forma di regime politico che abbiamo avuto nella storia del nostro paese. Dunque, gli unici cambiamenti che si sono avuti, sono stati all’interno di questo sistema politico, con ricadute sul sistema partitico e sui suoi esponenti nazionali. Per questo motivo, più che di Repubbliche si dovrebbe parlare di due diversi sistemi politici elettorali che abbiamo avuto nel corso della nostra storia repubblicana.

17

poiché, prima di allora le donne non erano ammesse nei processi politici decisionali; ovvero, non

erano fisicamente presenti in parlamento. Come il 1948, anche il 1994 rappresenta un’altra frattura

per la storia politico-parlamentare femminile poiché, nelle legislature precedenti, la presenza delle

donne nei seggi, non aveva mai raggiunto i livelli in esso presenti del 12,9% (si veda fig. 2). Da

allora, grazie alle “quote di genere” inserite nelle amministrative, la percentuale subisce

un’impennata sostanziale anche a livello nazionale. E’ da qui, che si ha anche l’avvio della Seconda

Repubblica.

Passando ora all’analisi di quest’ultima, si evince subito l’impennata pari al 20% del 2008.

Tuttavia, mentre nel 1948, pur essendo minima, la componente femminile in Parlamento costituiva

un fatto storico positivo, come del resto accadde nel 1946 con la Costituente13, altrettanto non lo è

stato per la sedicesima legislatura. E’ vero che la percentuale delle donne in Parlamento nel 2008 è

pari al 20% e che tale valore percentuale è cresciuto notevolmente rispetto a quanto accadeva in

passato. Tuttavia, non rappresenta un incremento di particolare rilievo e non lo è soprattutto se

confrontato con le corrispondenti percentuali dei paesi europei maggiormente sviluppati, tipo ad

esempio i paesi del Nord-Europa, nei quali la componente femminile nei rispettivi Parlamenti

oscilla tra il 35% ed il 45% (Baldassarre, Scaccia, Carli 2003). Dunque, parlare delle donne nel

parlamento italiano della prima legislatura (1948) e dire che in esso vi era un 5% costituito da

donne, è un dato positivo e lo è soprattutto perché rappresenta una vera e propria rottura con un

passato storico ottocentesco in cui alle donne erano ancora precluse diverse professioni, tra cui

anche l’accesso all’arena politica14. Il 1948 (e con esso il 5% delle donne presenti in Parlamento),

rappresentava dunque una vera e propria svolta; costituiva il raggiungimento di un successo frutto

di dure lotte portate avanti dal movimento femminista di emancipazione. Il suffragio universale

concesso nel 1946 (che portò alle urne, contrariamente a quanto ci si aspettava l’89% delle donne),

fu solo la prima di tante altre tappe e successi che le donne tentarono di raggiungere. Segnò, infatti,

il primo passo di una svolta emancipativa femminile che pur avendo una battuta d’arresto durante il

fascismo, proseguì nel ventennio successivo per terminare negli anni Settanta, lasciando poi spazio

ad una fase non più di emancipazione delle donne ma di liberazione. L’esercizio del voto da parte

delle donne italiane nel 1946, pur costituendo un dato sintomatico di quanto fosse in ritardo il

nostro paese rispetto al resto degli altri paesi europei nella duplice accezione di eleggere ed essere

13 A seguito del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946, il primo a suffragio universale, con il quale il popolo italiano sceglie la Repubblica, l’Italia, per la prima volta nella storia, si trova di fronte all’elezione di 21 donne su 556 membri all’interno dell’Assemblea Costituente. Un numero esiguo se considerato nel suo complesso ma di particolare importanza poiché, prima di allora le donne non avevano mai avuto la possibilità di presidiare i cosiddetti “luoghi del potere”, con l’accesso a cariche politiche istituzionali. 14 Con la legge 17 luglio 1919 n. 1176 (in Gazzetta Ufficiale 19 luglio 1919 n. 172), veniva abolita l’autorizzazione maritale per le donne e si riconosceva loro il libero esercizio delle professioni, fatta eccezione che per la magistratura, la diplomazia e la carriera militare.

18

elette, rappresentò per la prima volta nella storia italiana la testimonianza dell’effettiva

partecipazione democratica delle donne alla vita politica, economica e sociale del paese. Votando

prima per il Referendum volto a dirimere la questione Monarchia-Repubblica e poi per l’Assemblea

Costituente, per la prima volta nella storia anche le donne avevano esplicitato in maniera piena ed

attiva il loro diritto di cittadinanza e riuscirono ad incidere in maniera significativa sulle scelte che i

costituenti posero alla base della nostra Costituzione. Con la loro presenza nell’Assemblea

Costituente e nella prima legislatura del nostro Parlamento, le donne, erano riuscite dopo tante

battaglie a ottenere l’acquisizione non solo dei diritti politici ma anche dei diritti e dei principi

ispirati alla parità e alla giustizia sociale15. L’acquisizione del diritto di voto da parte delle donne e

la loro presenza nella Costituente segnarono così l’avvio dell’attività parlamentare femminile e un

impegno politico attivo in settori quali la famiglia, l’istruzione, la sanità e i servizi. Si inaugurò così

una tendenza positiva dell’impegno politico istituzionale delle donne che, nato nel ‘46 continuò ad

esprimersi nel ventennio successivo sino a giungere al ‘68 (quinta legislatura); anno in cui, da un

impegno attivo in politica le donne iniziarono a passare volontariamente all’astensionismo, ossia ad

un impegno politico non più diretto.

Lo slancio positivo del movimento politico femminile di emancipazione iniziava così ad

affievolirsi e in breve tempo, la presenza delle donne in parlamento, cominciò a incrinarsi

vertiginosamente sino a toccare un minimo pari al 2,3% (si veda fig.2) nella quinta legislatura

(1968). Tale declino parlamentare, sembra essere connesso alle motivazioni più ovvie del

movimento femminista di emancipazione. Il movimento, aveva esaurito parte del compito cui era

stato chiamato e non aveva trovato ricambio generazionale. La presenza femminile iniziale si era

ridotta numericamente per cause naturali quali pensionamento, ritiro dalla vita politica, scomparsa

dalla scena pubblica.

Tuttavia, il ‘68 con le sue manifestazioni studentesche (Conti Odorisio 2000, Lussana 1998),

inaugurò una nuova stagione politica per le donne e per il movimento femminista i cui strumenti e

contenuti erano diversi. Prendeva così le mosse la seconda ondata di movimenti femministi, noti

15 Uno dei principali meriti delle donne della Costituente fu proprio quello di lottare unite per ottenere i primi articoli a tutela delle donne e che disciplinavano la parità di trattamento tra uomini e donne e l’uguaglianza dei cittadini. Ricordiamo ad esempio l’art. 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua”) e l’art. 29 (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”). A questi fece seguito l’articolo 31 che tutela le madri (“La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia…Protegge la maternità…”) e l’art. 37 che tutela le donne lavoratrici (“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.”) ed infine l’art. 51 che disciplina il libero accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive (tale articolo è stato poi rinnovato nel maggio del 2003 con l’assunto finale: “A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne”).

19

con il nome di neo femminismo16. Alla base di questa nuova spinta politica delle donne, vi erano

nuove tematiche quali: il rifiuto dei modi tradizionali di fare politica, dall’associazionismo ai

sindacati ed ai partiti; le nuove esigenze dei giovani, con l’emancipazione dei costumi da cui prese

le mosse la libera espressione della propria sessualità; e la libertà di atteggiamento. Quest’ultime,

furono proprie di questo periodo storico e trovarono espressione in una nuova concezione del

“corpo”, portando alla ribalta temi legati alla fisicità della donna, in precedenza considerati tabù. I

temi del movimento femminista, non erano più dunque uguaglianza e parità ma aspetti nuovi quali

la maternità e la sessualità.

Questi, erano ormai diventati il fulcro attorno a cui, ruotavano i nuovi dibattiti politici delle

donne. Questi nuovi temi però, furono terreno di forti scontri e di dibattiti anche all’interno del

tessuto sociale femminile, così da creare profonde divisioni e da indebolire quel fronte unitario delle

donne che aveva animato la nascita della Repubblica. Dunque, mentre il movimento femminista di

fine Ottocento vide le donne impegnate e dedicate alla partecipazione politica per il voto, per

l’ottenimento dei diritti politici per le donne e per l’ottenimento di riforme volte a tutelare

l’uguaglianza e la parità di genere (e quindi per questo denominati movimenti di emancipazione), il

neo femminismo, partendo da una critica radicale al vecchio femminismo, si poneva, nuovi obiettivi

come il superamento del sessismo ed il cambiamento della società dominata “dal maschio”. Per

questo motivo, furono definiti movimenti di liberazione. A caratterizzare questi nuovi movimenti, vi

era un nuovo ruolo della donna sulla scena politica.

Dunque, non più partecipazione delle donne in politica per l’ottenimento di riforme paritarie

ed egualitarie come in passato ma, si trattava adesso di “scarsa presenza” delle donne in politica.

Tale scarsa presenza, scaturiva non più dall’essere escluse ma da una volontà di “non voler esserci”,

tanto da sfociare in un’autoesclusione. Si nota, infatti, che nella quinta (1968) legislatura e nella

sesta (1972), la percentuale delle donne in Parlamento resta bassa e rispettivamente pari al 2,3% ed

al 3% (si veda fig. 2).

Tuttavia, anche se la presenza femminile in parlamento era bassa, la mobilitazione civile del

‘68, dei movimenti femministi e studenteschi, fu tale da spingere i governi che si succedettero tra il

16 Il neo femminismo, costituisce la seconda ondata di movimenti femministi nati in Italia alla fine degli anni Sessanta all’interno del movimento studentesco del ‘68, anche se da esso poi se ne distacca, poiché le donne che ne fanno parte restano deluse dalla bassa considerazione che è loro riservata dai loro compagni rivoluzionari maschi. Si è trattato dunque, questa volta, di un movimento animato soprattutto da studentesse e giornaliste. Tale movimento si distingue da quello che l’ha preceduto (il femminismo) poiché, considerata ormai acquisita la propria emancipazione, non si parlò più di parità e di uguaglianza ma ci si concentrò in modo particolare sul tema della “differenza”. Ed in virtù di questo nuovo valore, il nuovo movimento femminista, il neo femminismo, effettua una critica ed un rifiuto forte nei confronti delle Istituzioni, della Politica e del Capitalismo, considerati patriarcali per eccellenza. A tale rifiuto, si accompagnarono l’astensionismo in politica ed un’azione più attiva ed intensa delle donne nel sociale e nella vita collettiva. (Boccia, 2002; Rossi Doria, 2007)

20

‘68 (V legislatura) e il ‘72 (VI legislatura) 17 ad emanare leggi18 volte a modificare in maniera

profonda i costumi della società e la politica stessa. Queste leggi, unite alle manifestazioni e alle

nuove mobilitazioni femminili che si ebbero a partire dal 1974-197519, segnarono l’avvio di un

nuovo aumento della presenza delle donne in Parlamento. Una crescita davvero considerevole, che

vede la percentuale femminile triplicarsi, passando dal 2,3% del 1968 al 6,9% del 1976.

Quest’aumento, sembra essere dovuto ad un mutamento interno del movimento femminista che

fuoriuscendo dall’astensionismo entro cui si era chiuso, avvia una nuova forma di partecipazione

alla vita politica, facendo si che dalle semplici mobilitazioni civili si passi ad un impegno in politica

diretto ed esplicito. Quindi, l’astensionismo femminile che aveva caratterizzato la parabola fino a

metà degli anni Settanta, si trasformava ora in un coinvolgimento pieno in politica. Il movimento

femminista, modificando il suo rapporto precedente che guardava alla politica come un referente

istituzionale esterno su cui esercitare un’azione critica, ritornava ora ad “immischiarsi” di e in

politica. Non s’interveniva più solo dall’esterno ma si agiva dall’interno, facendone parte.

Quest’aumento della presenza femminile in Parlamento, pari al 7% circa, restò tale e costante

per tutte e tre le legislature successive, la settima (1976), l’ottava (1979) e la nona (1983). Furono

questi, gli anni in cui alla discussione ed approvazione della legge sul divorzio (n. 898/1970) e alla

relativa vittoria del no al referendum popolare di una sua abrogazione (nel maggio del 1974),

seguono la discussione e l’approvazione poi della legge sull’interruzione volontaria della

gravidanza (n. 194/1978). Si trattava, poi anche, degli anni in cui si inizia a discutere delle leggi

contro la violenza sessuale delle donne, anche se, in realtà, si dovettero aspettare altri vent’anni, il

1996, prima di vederle approvate (n. 66/1996). Nel 1983, durante la decima legislatura, è decretata

l’istituzione di un organismo con funzioni di promozione all’accesso al lavoro ed alla progressione

professionale delle donne oltre che alla formulazione di leggi propositive per quel che concerneva

17 I governi che si alternarono tra il ‘68 e il ‘72 furono: nella V Legislatura il II Governo Leone (24 giugno 1968 - 19 novembre 1968), il I Governo Rumor (12 dicembre 1968 - 5 luglio 1969), il II Governo Rumor (5 agosto 1969 - 17 febbraio 1970), il III Governo Rumor (27 marzo 1970 - 6 luglio 1970), il Governo Colombo (6 agosto 1970 - 15 gennaio 1972), il I Governo Andreotti (17 febbraio 1972 - 26 febbraio 1972); nella VI legislatura il II Governo Andreotti (26 giugno 1972 - 12 giugno 1973), il IV Governo Rumor (7 luglio 1973 - 2 marzo 1974), il V Governo Rumor (14 marzo 1974 - 3 ottobre 1974), il IV Governo Moro (23 novembre 1974 - 7 gennaio 1976), il V Governo Moro (12 febbraio 1976 - 30 aprile 1976). 18 Nel 1970, fu approvato lo statuto dei lavoratori; nel 1971 furono varate due importanti leggi quella concernente l’istituzione di asili nidi comunali (legge 6 dicembre 1971, n. 1044) e quella a tutela delle lavoratrici madri (legge 30 dicembre 1971, n. 1204). Queste normative, per la prima volta, miravano a valorizzare il lavoro femminile rendendolo scevro dalle passate discriminazioni, spesso anche retributive, con l’intenzione di sottolineare anche l’enorme valore sociale della maternità. Le radici di questi provvedimenti, rivolti a tematiche prettamente femminili, si possono rintracciare nelle leggi n. 7 e n. 66 del 1963. La prima, prescriveva il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio, mentre la seconda, abrogando la precedente normativa (la cosiddetta Legge Sacchi che precludeva alle donne la magistratura, la diplomazia e la carriera militare), stabiliva il libero accesso della donna “a tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici compresa la magistratura nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera”. 19 Sono gli anni in cui le donne si battono proficuamente per la parità tra i coniugi, per la sostituzione della “patria potestà” con la “paritaria potestà” di padre e madre e per l’istituzione di Consultori Familiari (1975).

21

l’applicazione dei principi di parità di genere. Si tratta del Comitato Nazionale di Parità e Pari

opportunità nel Lavoro. Nel 1984, viene istituita una Commissione Nazionale per la Parità e Pari

Opportunità tra uomo e donna, concernente tutte le questioni femminili e non solo quelle lavorative.

Così, da allora e per tutti gli anni Ottanta, sino a giungere agli anni Novanta, è un susseguirsi

d’istituzionalizzazione di Istituti preposti a varare provvedimenti volti alla parità di genere e alle

pari opportunità e alla sorveglianza della loro attuazione. Tutto ciò, consentì e favorì un ulteriore

incremento della presenza femminile in Parlamento, la quale passò dal 7% della nona legislatura

(1983), al 10% della legislatura successiva. Tuttavia, dalla decima (1987) legislatura all’undicesima

(1992), si ebbe una nuova battuta d’arresto; la percentuale crolla all’8,4%, contestualmente allo

scoppio dello scandalo di Tangentopoli. Evento che contribuì a diffondere diffidenza nei confronti

della politica e delle istituzioni politiche. Una ripresa della percentuale della presenza femminile in

Parlamento si ebbe poi, nella dodicesima legislatura (1994), a seguito della legge 1993 sulle quote

di genere20, che nacque con lo scopo di riequilibrare la rappresentanza femminile nei collegi

uninominali maggioritari. Tale legge, fece innalzare la presenza femminile di quasi cinque punti

percentuali dal’8,4% della precedente legislatura al 12,9% della dodicesima legislatura (1994).

Tuttavia, l’intervento della Corte Costituzionale, che dichiarò l’incostituzionalità di questa

normativa21, fece di nuovo crollare la percentuale al 10%. E tale restò poi per tutta la tredicesima

(1996) e quattordicesima legislatura (2001). Nel 2003 invece, una modifica dell’art. 51 della

Costituzione22 (cui diede il via libera, la Corte Costituzionale), consentì una risalita della

percentuale di donne presenti in Parlamento, arrivando al 15,6% nella quindicesima legislatura

(2006) e al 20% nella sedicesima (2008). Possiamo quindi terminare che, complessivamente, la

presenza femminile in Parlamento dal 1948 al 2008 è quadruplicata, passando dal 5% al 20%. Va

però detto che, questo dato non è poi così positivo poiché mostra quanto ancora nel 2008 quattro

parlamentari su cinque sono uomini e non lo è neppure se confrontato con gli altri paesi europei.

Quindi, l’Italia nel 2008 vantava un duplice ritardo storico, il ritardo con cui le donne ottennero il

diritto di voto ma anche ritardo per quel che riguarda la percentuale di rappresentanza femminile

presente in Parlamento. Cosi, nel 2008, le donne erano ancora sottorappresentate nelle due Camere.

20 La legge 1993, che inserì l’alternanza di uomini e donne nella quota del 25% da eleggere con sistema proporzionale, non faceva altro che prevedere il riservare di quote alle donne nella composizione delle liste elettorali al fine di diminuire il gap esistente fra i due sessi. 21 Con la sentenza n. 422 del 1995, la Corte Costituzionale interpretò la legge sulle “quote rosa” come una violazione al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione. La Corte Costituzionale dichiarò illegittima ed incostituzionale tale legge, poiché a suo giudizio si trattava di un’azione positiva rivolta alle donne mentre l’appartenenza all’uno o all’altro genere non poteva essere considerata come requisito di eleggibilità e di candidabilità. In realtà così non era, perché non si trattava di un’azione positiva verso le donne, ma di un’azione antidiscriminatoria delle medesime. 22 Il 20 febbraio 2003, dopo anni di discussione, il Parlamento italiano approva la legge costituzionale n. 1, che modifica l’art. 51 della Costituzione aggiungendo la dicitura: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le Pari Opportunità tra donne e uomini».

22

Forse a causa di una sorta di diffidenza da parte di un ambito diverso da quello che solitamente

viene considerato come naturale ambito di appartenenza della donna, quello privato-domestico, o

anche a seguito di una naturale diffidenza da parte delle donne medesime nei confronti dei luoghi di

potere da cui per anni sono state escluse, a tal punto che esse stesse continuano ad autoescludersene.

Certo è che nel 2008, a decenni di distanza dall'inizio dei processi di emancipazione femminile in

quasi tutti i campi della vita sociale, la classe politica parlamentare italiana è ancora un affare di

uomini e l’Italia costituisce una vera e propria anomalia rispetto agli altri paesi europei. Come

sosteneva Sarlo Zajczyk (2012, V) «Peggio dell’Italia fanno soltanto pochissime altre nazioni».

Questa scarsa presenza delle donne nei luoghi del potere decisionale, ci deve far riflettere sulla

qualità della nostra democrazia e sulla sua effettività (Filippini, Scattigno 2007; Pasquino 1999).

6. Le donne della nuova classe politico-parlamentare: la diciassettesima legislatura

Alle considerazioni sin qui esposte, si aggiungono poi quelle concernenti la nuova classe

politica parlamentare della diciassettesima legislatura23, iniziata nel 2013. Anche in questo caso, il

procedimento utilizzato è stato quello di ricostruire i caratteri socio-anagrafici di tutti i deputati e

senatori eletti nel 2013, al fine di mostrare se e quanto siano rappresentativi per il nostro Parlamento

o se viceversa costituiscono una rottura con il passato della nostra storia parlamentare; quanto e

quali punti di contiguità esistono; infine, in quale direzione si stia orientando il nostro ceto politico

parlamentare e quale possa essere il suo possibile futuro. Per dare una risposta a tali quesiti, ma

soprattutto per fare emergere la variabile oggetto di studio, il “genere” nella diciassettesima

legislatura, viene qui esposto un breve accenno all’ identikit del personale politico parlamentare

eletto nel 2013 operando confronti tra la legislatura attuale e le ultime tre ad essa precedenti: la

quattordicesima, la quindicesima e la sedicesima.

6.1 I caratteri principali del ceto politico parlamentare del 2013

Il nuovo campione oggetto di studio è costituito da una popolazione di circa 4000

parlamentari (si veda tab. 6) che, con riferimento alla legislatura attuale, sono stati eletti in misura

maggiore nelle regioni del Nord-Ovest e del Sud (si veda tab. 7), mentre, nelle legislature

precedenti prevalentemente nelle regioni del Centro e del Nord-Ovest. 23 I dati che hanno consentito la costruzione dei caratteri socio anagrafici di questo nuovo campione, frutto di un lavoro di ricerca successivo e che hanno consentito di aggiornare il lavoro precedente (relativo ai dati dal 1948 al 2008), sono stati tratti dalle biografie dei Deputati e dai Senatori complessivamente proclamati il 15 marzo 2013 e pubblicati sui siti internet delle rispettive camere (www.cameradeideputati.it; www.senato.it). Per ovviare ad alcune delle lacune incontrate, abbiamo utilizzato documenti cartacei e file in formato elettronico forniti direttamente dall’Archivio Storico del Senato e dai Servizi Informatici della Biblioteca del Senato e della Camera dei Deputati. Tuttavia, nonostante ciò, non si è riusciti ad ovviare alla mancanza dei titoli di studio di alcuni Senatori. Per tale motivo non essendo esaustivi i dati a disposizione si è preferito utilizzare la tabella statistica resa nota dal Senato.

23

Tab. 6: Numero complessivo dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV-XVII

Legislature Elezioni Numero dei

Deputati

Numero dei

Senatori

XIV 13/05/2001 645 338

XV 9-10/04/ 2006 650 335

XVI 13/14/04/2008 630 326

XVII 15/03/2013 635 319

Totale 2560 1318

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Tab. 7: Distribuzione “geografica” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV-XVII (% di riga)

Legislature

Regione di

elezione

XIV XV XVI XVII

Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori

Nord Ovest 25,6 24,0 25,7 23,9 25,9 24,5 26,2 25,4

Nord Est 18,6 17,8 18,6 17,6 18,3 18,4 18,9 18,5

Sud 19,1 19,2 18,5 18,5 18,7 18,4 22,7 23,5

Centro 24,2 24,0 23,8 24,5 24,0 23,6 19,0 19,1

Isole 11,2 11,0 11,4 11,0 11,3 11,0 11,2 10,3

Altro 1,4 4,1 2,0 4,2 1,9 4,0 1,9 3,2

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII).

A caratterizzare questa nuova legislatura, vi sono due governi (si veda tab. 8): il governo Letta, che

si è dimesso il 14 febbraio 2014 e il governo Renzi, che si è costituito il 22 febbraio 2014.

Tab. 8: Legislature e Governi dal 2001 al 2013 Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

La prima variabile esaminata al fine di ricostruire il profilo del personale politico parlamentare

attuale, è quella del genere. Con riferimento a tale variabile emerge che, nella diciassettesima

legislatura, quella attuale, su 954 parlamentari 284 sono donne; 195 alla Camera dei Deputati ed 89

al Senato della Repubblica (si veda tab. 9a); rispettivamente il 30,7% ed il 27,9% (si veda tab. 9b).

Tab. 9a: Distribuzione per “genere” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV-XVII (v.a. di riga)

Femmine Maschi

Legislature Deputati Senatori Deputati Senatori

XIV 72 26 573 312

XV 109 45 541 290

XVI 132 59 498 267

XVII 195 89 440 230

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII).

Legislature Elezioni Data nomina Data dimissioni Durata

( in anni)

Governi

XIV 13/05/2001 30-05-2001 27-04-2006 5 2 (Berlusconi II, III)

XV 9-10/04/2006 28-04-2006 28-04-2008 2 1 (Prodi)

XVI 13-14/04/2008 29-04-2008 14/03/2013 5 2 (Berlusconi IV, Monti)

XVII 15/03/2013 28-04-2013 In corso 5 1 (Letta, Renzi)

24

Tab. 9b: Distribuzione per “genere” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV-XVII (% di riga)

Femmine Maschi

Legislature Deputati Senatori Deputati Senatori

XIV 11,2 7,7 88,8 92,3

XV 16,8 13,4 83,2 86,6

XVI 21,0 18,1 79,0 81,9

XVII 30,7 27,9 69,3 72,1

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII).

Confrontando i valori di questa legislatura con le tre precedenti, si osserva un notevole

cambiamento, tanto che dal 2001 ad oggi la presenza femminile si è triplicata, sia alla Camera che

al Senato. Va anche detto che tale crescita delle deputate e delle senatrici si è realizzata

progressivamente. Infatti, nella quindicesima legislatura si è attestata al 16,8% alla Camera ed al

13,4% al Senato, mentre, nella sedicesima legislatura ha raggiunto il 21,0% (si veda tab.9b) alla

Camera ed il 18,1% al Senato (si veda tab. 9b). L’aumento percentuale della rappresentanza

femminile in Parlamento, nella quindicesima legislatura, è stato letto da De Mucci (2008) come il

risultato dell’impatto della riforma elettorale del 2005; ossia, come l’effetto di un fattore strutturale.

Il risultato della sedicesima legislatura, è stato invece interpretato come la manifestazione di un

fenomeno di carattere prevalentemente culturale, con l’affermarsi di una nuova cultura politica più

sensibile al tema del riequilibrio tra i generi nella composizione delle assemblee elettive. Gli effetti

di tale cambiamento socio-culturale, sono stati poi rafforzati nelle elezioni del 2013 da scelte

specifiche, a favore della presenza femminile in Parlamento, effettuate dai due partiti che hanno

avuto più suffragi (PD e Cinque Stelle) e dal clima di critica generalizzata ai modelli di politica

tradizionale che, probabilmente, ha favorito il voto alle donne (come una delle espressioni della

volontà di cambiamento tra le altre manifestazioni della ricerca diffusa di novità). De Mucci,

sostiene che il significativo aumento della rappresentanza femminile in Parlamento si è avviato con

il passaggio alla nuova e tanto criticata legge elettorale del 2005, con liste bloccate e premio di

maggioranza, ossia dal “Mattarellum” al “Porcellum”. Uno degli effetti di questa riforma è visibile,

secondo De Mucci, proprio nella relazione tra la sua entrata in vigore e l’incremento della presenza

femminile in Parlamento; effetto appunto, di un sistema di selezione dei parlamentari maggiormente

controllato dalle élite partitiche. L’aumento della percentuale femminile nei circuiti parlamentari,

sarebbe quindi, ad avviso di questo autore, correlato alla volontà dei partiti politici di aumentare il

consenso elettorale presentando ed eleggendo un maggior numero di donne. A tale proposito, si è

reso necessario operare una semplificazione (seppur opinabile), dei diversi partiti politici presenti

dal ‘48 ad oggi nel Parlamento italiano in coalizioni (si veda tab.10).

25

Tab. 10: Raggruppamento in coalizioni dei partiti presenti nel Parlamento italiano dal ‘48 ad oggi

Centro

Scpl, Dc, Pri, Partito poolare di Don Sturzo, Svp, Pr, Alleanza Democratica Nazionale, Uv, Pli-Pri-Psdi, Dc-Ppi, Patto Segni, Patto per l’Italia, Udeur, ML, Lista per Valle d’Aosta, Pannela-Sgarbi, Udc-Ccd-Cdu, Udc, Autonomie.

Centro Destra

Pdl, Ln-Aut, Lna, Pli, Gruppo Parlamentare liberale, Lega autonoma veneta, Lega alpina lumbarda, Lega lombarda, FI, Ln, Polo per le libertà, Polo del buon governo, Cdu, Case delle libertà, La rosa nel pugno, Dem-Crist-Nuovo Psi, Lnp,

Centro Sinistra

Pd, Aut, Aut-Psi, Psdi, Psi-Psdi, Psd’a, Unione rinnovamento italiano, Rnp, Ulivo-Svp, Dl la margherita, Insieme con l’unione, Ds, Idv, Pdl, Lna,

Destra Fdi, Pnm, Msi, Blocco nazionale delle libertà, Concentrazione nazionale democratica liberale, Udn, Pnm, Pmp, Msi-Dn, Pdium, Msi-Pdium, Ccd, Ln, An, Fdi.

Sinistra Sel, Pci, Partito d’unità socialista, Gruppo parlamentare di unità socialista, Fronte democratico popolare, Psli, Movimento di unità socialista, Lega lombarda repubblicana socialista, Psu, Unità socialista, Cln, Psiup, Pci-Psiu, Pdup-Pd, Pci-Psi-Pdup, Verdi, Rc, Verdi-Ulivo, Federazione dei Verdi, Comuinsti italiani.

Estero Ass. ital. Sud America, Cricoscrizione estera.

Misto Misto, Lista Mista, Consulta Nazionale, Gruppo parlamentare misto, Movimento per l’autonomia Alleanza per il Sud.

Movimento Cinque Stelle

M5S

Grandi Autonomie e Libertà

Gal

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana

Come si osserva, dalla tabella 11, nella quattordicesima legislatura, a portare una maggiore

presenza femminile nei seggi del Parlamento sono stati alla Camera, Sinistra e Centro Sinistra; al

Senato, Centro Sinistra e Centro. Nella quindicesima legislatura invece, la quota di donne in

Parlamento è stata garantita per entrambe le camere da Sinistra e Centro Sinistra. Nella sedicesima

legislatura, se ne osserva un incremento, grazie a Centro Sinistra e Centro Destra per la Camera dei

Deputati, Centro Sinistra e Gruppo Misto24 per il Senato. Si osserva inoltre, che le punte più alte

sono state raggiunte dalla Sinistra nella quattordicesima legislatura per la Camera, con il 42,8%,

nella quindicesima legislatura per il Senato, con il 39,3%. Un ulteriore e significativo passo avanti

per le donne, in termini di conquista dei seggi parlamentari, si è avuto proprio nell’attuale

legislatura ad opera del Centro Sinistra e del Movimento Cinque Stelle alla Camera, rispettivamente

con il 34,5% e con il 33,1%, del Movimento Cinque Stelle e del Gruppo Misto al Senato,

rispettivamente con il 42,6% e con il 41,7%. Emerge dunque, che nell’attuale legislatura,

l’aumentata presenza delle donne nelle due Camere non è soltanto il risultato delle quote a loro

riservate da alcune formazioni politiche tradizionali (come il PD) ma che sia dipeso soprattutto

dall’ingresso nel Parlamento del nuovo movimento politico Cinque Stelle. I parlamentari “grillini”,

contano infatti, al loro interno molte donne. Di conseguenza, possiamo affermare che la percentuale

delle donne nell’attuale Parlamento costituisce nella storia politica italiana un valore straordinario,

senza precedenti. E’ vero, infatti, che la storia ci dimostra come le donne dal ‘48 ad oggi hanno

24 Sono stati censiti e classificati come appartenenti al “Gruppo Misto”, solo i deputati ed i senatori che abbiano optato per tale scelta all’atto della elezione.

26

visto crescere lentamente il loro spazio in Parlamento; ma è ancora più vero che, le percentuali

raggiunte nel 2013 fanno recuperare molte posizioni alla rappresentanza parlamentare femminile

italiana nelle classifiche mondiali ed europee che misurano i rapporti tra i generi nei Parlamenti

nazionali. A tal punto che si ridimensiona lo stereotipo, secondo il quale l’Italia è da tempo agli

ultimi posti con riferimento alla presenza femminile nelle élites politiche. Naturalmente, tale valore,

restando comunque ben lontano dal 50%, non ci consente ancora di parlare di un’equa ripartizione

dei seggi, né di una giusta rappresentanza femminile nell’amministrazione del nostro paese. Anzi,

come Bardi, Ignazi e Massari (2007) dimostravano, nonostante che da più parti (movimenti

specificatamente femministi ma, più in generale, anche movimenti sociali a sostegno

dell’affermazione, attuazione e diffusione della parità di genere), provengano sollecitazioni per una

più massiccia inclusione delle donne nelle istituzioni elettive, in realtà, la presenza delle donne in

Parlamento rispetto a quella nella società, risulta essere profondamente sottorappresentata. Questo

ragionamento, che consiglia di mitigare i commenti esageratamente entusiastici sul cambiamento

avvenuto, è rafforzato dalla considerazione che un analogo e forte aumento delle donne elette non si

registra in Italia nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni.

Tab. 11: Distribuzione per “gruppo politico per genere ” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV-XVII (% di colonna)

Legislature Gruppo Politico Genere XIV XV XVI XVII

F 9,6 5,6 7,6 22,4 Deputati M 90,4 94,4 92,4 77,6 F 8,4 6,4 16,6 18,2

Centro

Senatori M 91,6 93,6 83,4 81,8 F 6,8 14,8 20,3 21,8 Deputati M 93,2 85,2 79,7 78,2 F 4,1 6,1 9,7 15,9

Centro Destra

Senatori M 95,9 93,9 90,3 84,1 F 16,1 18,3 25,0 37,3 Deputati M 83,9 81,7 75,0 62,7 F 12,6 18,2 29,3 34,5

Centro Sinistra Senatori

M 87,4 81,8 70,7 65,5 F 4,9 18,1 - 11,2 Deputati M 95,1 81,9 - 88,8 F - 4,7 - -

Destra

Senatori M 100,0 95,3 - - F 42,8 23,1 - 23,6 Deputati M 57,2 76,9 - 76,4 F - 39,3 - -

Sinistra

Senatori M 100,0 60,7 - - F - - - - Deputati M - 100,0 - - F - - - -

Estero

Senatori M - 100,0 - - F - - - 16,6 Deputati M 100,0 100,0 100,0 83,4 F - - 20,0 41,7

Misto

Senatori M 100,0 100,0 80,0 58,3 F - - - 33,1 Deputati

M - - - 66,9

F - - - 42,6

Movimento

Cinque Stelle

Senatori M - - - 57,4 F - - - - Deputati

M - - - -

F - - - -

Grandi

Autonomie e Libertà

Senatori M - - - 110,0

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

27

Guardando alla letteratura scientifica sull’argomento, il difficile ingresso delle donne nei

circuiti elettorali e ancor più nel novero degli eletti, è dipeso secondo alcuni studiosi (Darcy, Welch

e Clark 1994; Norris 1997; Matland 1997), dalle barriere sociali e/o culturali poste all’ingresso delle

donne sia a livello di selezione delle candidature sia a livello elettorale. Si tratterebbe, come

sostiene Facchi (2007), di notevoli ostacoli provenienti dai retaggi culturali ottocenteschi, ancora

oggi presenti in molti paesi e per i quali, la principale sfera d’azione delle donne e luogo

privilegiato dell’espletamento delle loro attività quotidiane, dovrebbe essere prevalentemente quello

privato-domestico e non quello pubblico; considerato, quest’ultimo, più adatto agli uomini.

Sembrerebbe dunque, che pur avendo ormai superato da qualche tempo l’esclusione storica dal

suffragio e dai diritti fondamentali, pur avendo raggiunto nella seconda metà del Novecento con il

Cedaw il riconoscimento internazionale della piena e libera partecipazione a tutti i luoghi della sfera

pubblica, nella realtà, permangono ancora per le donne meccanismi che ostacolano il loro diritto a

essere elette oltre che ad eleggere. Così, a tutt’oggi l’elettorato passivo si configura ancora come

una prerogativa assai maschile e poco femminile. Così, come i dati internazionali dimostrano,

esistono tuttora pregiudizi su basi culturali che continuano a considerare le donne poco adatte alle

decisioni economiche politiche e giuridiche a causa di una supposta maggiore emotività e minore

razionalità rispetto all’uomo, considerato invece, meno sensibile e più razionale e di conseguenza

più capace nel campo politico (Facchi 2007). E’ vero, che diversi partiti si stanno muovendo

utilizzando la riserva di quote che garantiscono una certa percentuale di donne al loro interno.

Tuttavia, queste quote, come sostiene Hazan (2006), sono spesso l’effetto di scelte operate dai

singoli partiti e solo raramente riflettono decisioni generali comuni all’intero sistema partitico.

Poiché i partiti sono in grado solo in parte di interessarsi e di inglobare al loro interno gli interessi e

le conoscenze delle donne, a completare il quadro dovrebbe dunque esserci l’azione degli organi

istituzionali. Lo studioso asserisce, infatti, che i diversi criteri di selezione promossi dai partiti per

favorire la presenza femminile non sono in grado, da soli, di correggere in profondità lo

sbilanciamento esistente in molte società a favore del potere maschile. A tale proposito, il fattore

che con maggiore sicurezza promuove un cambiamento profondo è l’inserimento di quote di genere

nel calcolo delle candidature e nel numero degli eletti. Ossia, una norma dello Stato, vincolante per

tutti i partiti e volta ad assicurare la presenza di una specifica categoria di cittadini, nel nostro caso

le donne, con la riserva del 50% dei seggi. Comunque, al di là di quello che ancora si dovrebbe e/o

si potrebbe fare, va precisato che, mentre, in altri paesi europei la percentuale delle donne in politica

si è attualmente ridotta, si pensi ad esempio alla Danimarca dove da una partecipazione politica

femminile degli anni ‘70-‘80 pari al 38% passa nel 2000 ad una partecipazione pari al 33%, in

Italia, invece, con la diciassettesima legislatura è emersa una tendenza di segno opposto. Nonostante

28

i mutamenti nei ruoli della nostra società post-industrializzata, che hanno portato alla penetrazione

della donna in ambiti prima impensabili ed inconcepibili con il suo essere storicamente considerata

solo come donna-moglie e donna-madre, il rapporto fra uomini e donne nella politica ci dimostra

quanto lunga sia ancora la strada da percorrere e come ancora oggi, specie in Italia, la politica è

ancora troppo spesso un “affare per uomini” (Bille e Pedersen, 2006).

Spostiamo ora la nostra attenzione alla variabile anagrafica. Se con riferimento alle legislature

precedenti si era portati ad affermare che la classe politica parlamentare non era rappresentativa nei

confronti dell’elettorato, poiché i giovani erano sottorappresentati e gli anziani sovra rappresentati

dalla classe politica insediatasi in parlamento nel 1994 e quivi invecchiata, per la legislatura attuale,

vale invece l’esatto contrario dato che tutte e quattro le fasce di età sono presenti in Parlamento. E

soprattutto dato che, come si può osservare dalla la tabella 12, rispetto alle legislature precedenti,

caratterizzate da una massiccia presenza di deputati e senatori verso le fasce di età medio alte di

cinquantenni e sessantenni e mantenutesi costanti nel tempo a tali valori, così da condurci a parlare

di basso ricambio generazionale, per il ceto politico parlamentare italiano della diciassettesima

legislatura, si osserva una vera e propria inversione di tendenza.

Tab. 12: Distribuzione per “fasce di età” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV- XVII (% di riga)

Entro 42 anni Da 43 a 50 anni Da 51 a 60 anni Oltre 60 anni

Legislature Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori

XIV 21,0 4,4 32,0 27,5 32,8 38,7 13,9 29,2

XV 14,1 1,7 29,3 21,4 39,2 42,0 17,2 34,3

XVI 21,5 3,9 27,4 22,3 35,8 42,6 15,0 30,9

XVII 41,3 7,2 21,1 26,3 27,4 42,3 10,2 24,1

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Ciò vale soprattutto per la Camera, dove i deputati con un’età compresa “entro i 42 anni”

costituiscono attualmente il 41,3% dei parlamentari eletti. Situazione diversa invece per il Senato,

dove si ha un aumento di circa cinque punti percentuali, di coloro che hanno un’età compresa tra i

“43 ed i 50 anni” di età, il 26,3%; una eguale concomitante riduzione dei senatori che hanno “oltre

60 anni”, il 42,1%; ed una cristallizzazione della fascia di età tra i “51 e i 60 anni” di età, il 42,3%.

Nonostante ciò, prima di affermare che la Camera dei deputati ha avuto un ricambio generazionale

con riferimento alla variabile età e che tale ricambio non è stato vissuto dal Senato, si deve tenere

conto della differenza di età cui si può accedere all’elettorato passivo delle due Camere; venticinque

anni alla Camera, quarant’anni compiuti al Senato. Comunque, riducendosi la presenza dei

sessantenni in entrambi le camere e spostando l’età alle fasce medio basse si può affermare che nel

complesso il nostro Parlamento ha subito un profondo ricambio generazionale, con riferimento

all’età, così che ha assistito all’ingresso in Parlamento, in misura maggiore, di giovani. Dunque,

quando si parla del nostro ceto politico, non trova più riscontro l’etichetta di Carboni (2007) di un

29

Parlamento di anziani ma stavolta, si deve parlare di Parlamento di giovani. Un ringiovanimento

dell’élite parlamentare pari al 40%, si era avuto anche, come sostiene De Mucci (2008), nel ’94.

Tuttavia, si trattò di un fenomeno non duraturo, tant’è vero che alla sedicesima legislatura si arriva

con una profonda riduzione dei giovani. Bisognerà ora vedere, quali valori raggiungerà quest’indice

discendente del tasso di anzianità, che a differenza di quanto accaduto a seguito di Tangentopoli,

porta oggi il nostro paese molto vicino agli standard dei parlamentari europei.

Quando si considera l’età degli attuali parlamentari, una considerazione altrettanto importante

concerne il genere femminile. Le elette nel 2013, non solo costituiscono il più consistente numero

di donne che abbiamo mai avuto nella storia politico-parlamentare italiana ma come si evince per il

sesso maschile anche quello femminile si presenta maggiormente concentrato, tra coloro che hanno

un’età compresa “entro i 42 anni”, il 39,7% (si veda tab. 13), ed è stato così anche nelle tre

legislature precedenti. Quasi a voler dire che, le donne storicamente presenti in Parlamento, che

hanno cioè messo in atto una partecipazione politica attiva nei circuiti politico-istituzionali

elettorali, sono sempre state in misura maggiore le più giovani. Passando ora ad osservare la

situazione nel Senato, si evince che, come nella Camera le donne senatrici maggiormente elette

sono quelle “entro i 42 anni”, il 47,8%, ma rispetto alla Camera risultano concentrate in misura

maggiore in tale fascia. In oltre, rispetto ai senatori maschi, la cui età media è attualmente di

quarantenni e cinquantenni, le senatrici sono invece soprattutto quarantenni.

Tab. 13: Distribuzione per “genere per fasce di età” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV- XVII (% di riga)

Entro 42 anni Da 43 a 50 anni Da 51 a 60 anni Oltre 60 anni

Legisl Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori

F M F M F M F M F M F M F M F M

XIV 16,2 83,8 20,0 80,0 10,6 89,4 9,7 90,3 12,7 87,3 9,9 90,1 1,1 98,9 1,0 99,0

XV 22,8 77,2 16,7 83,3 15,2 84,8 19,4 80,6 18,4 81,6 11,3 88,7 10,7 89,3 12,2 87,8

XVI 34,6 65,4 30,8 69,2 20,8 79,2 19,2 80,8 15,0 85,0 19,4 80,6 15,8 84,2 13,9 86,1

XVII 39,7 60,3 47,8 52,2 29,1 70,9 35,7 64,3 23,6 76,4 26,7 73,3 16,9 69,3 15,6 84,4

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Passando adesso ad analizzare un'altra variabile fondamentale per l’identikit della classe

politica parlamentare dell’attuale legislatura, il titolo di studio, emerge che nell’attuale Parlamento

sia stato maggiormente privilegiato l’ingresso di possessori di titoli medi piuttosto che alti. Alla

Camera i deputati laureati restano pressoché stabili (si veda tab. 14) attorno al 69,2%, mentre, i

diplomati rispetto alle legislature precedenti diminuiscono sino al 25,4%. Al Senato invece, una

lieve riduzione dei laureati, che li porta al 69,3%, è accompagnata da un aumento significativo dei

30

diplomati, il 28,8%. Dunque, sembra quasi a voler preannunciare, che ci si avvia verso il prediligere

una classe politica che non debba necessariamente essere altamente qualificata e titolata25.

Tab. 14: Distribuzione per “titolo di studio” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV- XVII (% di riga)

Licenza media Diploma Laurea Non disponibile

Legislature Deputati Senatori* Deputati Senatori* Deputati Senatori* Deputati Senatori*

XIV 1,1 1,2 26,8 21,0 71,0 72,5 - 5,0

XV - - 30,0 18,2 64,9 64,8 4,6 16,1

XVI 1,3 - 29,4 15,3 68,6 71,2 - 13,5

XVII 1,3 - 25,4 28,8 69,2 69,3 5,0 -

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

* Si ricorda che i dati relativi al titolo di studio dei Senatori, con riferimento alla XVII legislatura a tutt’oggi, non sono ancora stati resi completamente pubblici per cui per completare il quadro di questa variabile utilizziamo la tabella statistica costruita dal Senato ( http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede_v3/Statistiche/Composizione/SenatoriPerTitoloDiStudio.html)

L’elemento innovativo dell’attuale Parlamento è dunque costituito dal fatto che, mentre quelli

precedenti erano caratterizzati, come sostiene De Mucci, da eletti in possesso di Laurea se non

addirittura di specializzazioni superiori quali Master e Dottorato, nel Parlamento del 2013, ciò resta

vero solo in parte. Si registra cioè, nel complesso, una riduzione dei livelli di formazione

universitaria ed un innalzamento della scolarizzazione secondaria, più marcata al Senato che alla

Camera, quasi pari a quelli che si verificarono nel 1994. Tali cambiamenti, proverebbero la teoria di

Pasquino (1999), secondo il quale, con l’inizio della seconda Repubblica gli eletti preferirono ed

avrebbero continuato a preferire una formazione on the ground piuttosto che una formazione

universitaria. Ossia, che dalla tredicesima legislatura, la nuova élite politica avrebbe prediletto

l’esperienza in ruoli istituzionali locali rispetto al conseguimento di titoli alti. C’è da chiedersi, se

questi valori che si hanno nell’attuale legislatura con riferimento ai titoli di studio, piuttosto che

quelli delle legislature precedenti, rappresentino al meglio o meno la nostra società. A tale

proposito, vediamo come questo tema si correla con quello della questione femminile in politica.

Come si può osservare dalla tabella 15, le donne presenti in Parlamento, sia deputate che senatrici,

sono nettamente più titolate degli uomini e lo sono state anche nelle precedenti legislature prese in

esame. Ci si chiede allora, il perché pur essendo posseditrici di titoli alti, le donne restano sempre

più escluse dai circuiti politico-elettorale rispetto agli uomini. L’istruzione è sempre stata

considerata come una risorsa di non poco conto nell’innescare partecipazione politica, giacché

25 Precisiamo che le riflessioni fatte sul titolo di studio, si basano su autodichiarazioni che i parlamentari hanno fatto al momento dell’elezione, giacché, spesso alcuni parlamentari preferiscono non dichiararlo. È vero, che nella diciassettesima legislatura i dati non disponibili si sono notevolmente ridotti quasi a far diventare questa voce insignificante; è vero, che i laureati sono soliti esprimere i loro titoli alti nella biografia o è facile intuirli attraverso l’indicazione della professione svolta che presuppone la Laurea, tuttavia, non si può non tenere conto della delicatezza di tale voce.

31

sarebbe, secondo Bille e Pedersen (2006), l’effetto di una maggiore conoscenza ed acculturamento

dei processi politici:

...più i cittadini sono istruiti, più essi saranno inclini ad iscriversi ad un partito. (Bille L., Pedersen K, 2006, pag. 203)

Tab. 15: Distribuzione “legislatura per genere per titolo di studio” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia leg. XIV-XVII (% di riga)

Licenza elementare Licenza media Diploma Laurea

Leg. Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori

F - - - 3,8 24,23 11,5 75,7 84,1

XIV M 0,18 - 1,2 1,0 27,4 25,0 71,2 75,0

F - - 0,9 - 24,3 27,3 74,8 72,7

XV M - - 0,4 1,3 32,8 20,9 66,8 77,8

F - - 2,4 - 22,3 24 75,3 74,0

XVI M - - 1,0 - 31,5 16,0 67,5 84,0

F - - 0,6 - 20,0 - 79,4 -

XVII M - - 1,7 - 29,7 - 68,6 -

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XIV-XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Seguendo tale ragionamento, una maggiore istruzione delle donne le spingerebbe

maggiormente a entrare in un ambito storicamente prerogativa degli uomini ma c’è da chiedersi,

come mai nonostante gli alti titoli delle donne, queste non sono ancora equamente rappresentate in

Parlamento. Si tratta del risultato di una disuguaglianza tra i sessi che, di fatto, è ancora operata

oppure, come accade in Danimarca (Bille L., Pedersen K., 2006), in realtà sono le donne a preferire

canali di partecipazione politica nei movimenti, nei sindacati e quant’altro piuttosto che nei partiti

politici. Sembrerebbe quasi, che i criteri di selezione dei candidati, al meno con riferimento al titolo

di studio, si sarebbero abbassati. Dunque, resta solo da chiedersi in che direzione si muoverà una

classe politica meno qualificata.

6.2 Le donne della diciassettesima legislatura: un vero e proprio salto rispetto al 2008

Al fine di mostrare quanto sia innovativo il Parlamento attuale con riferimento al “genere”, si

è deciso di compiere dei confronti con la legislatura ad essa immediatamente precedente, la

sedicesima, iniziata nel 2008. Tutte le considerazioni, sono effettuate su di un campione di studio

costituito da 1265 deputati e 645 senatori (si veda tab. 16).

Tab. 16: Numero complessivo dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia nelle leg. XVI e XVII

Legislature Elezioni Numero dei

Deputati

Numero dei

Senatori

XVI 13/14/04/2008 630 326

XVII 15/03/2013 635 319

Totale 1265 645

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg.XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Al di là, del suo essere un campione di studio piccolo, l’importanza delle considerazioni e

delle analisi formulate, ci sono servite per dimostrare come la legislatura attuale rompe

32

statisticamente con quello che era sempre stato il passato storico caratterizzante il Parlamento

italiano. Osservando, infatti, la tabella 17, come già precedentemente evidenziato nella legislatura

attuale, le donne sono il 30,7% alla Camera dei deputati ed il 27,9% al Senato; nella sedicesima

legislatura costituivano invece, il 21% alla Camera dei Deputati ed il 18,1% al Senato.

Tab. 17: Distribuzione per “genere” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia nelle leg. XVI eXVII (% di riga)

Femmine Maschi

Legislature Deputati Senatori Deputati Senatori

XVI 21,0 18,1 79,0 81,9

XVII 30,7 27,9 69,3 72,1

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Come si può osservare dal grafico 3a e 3b, si evince che rispetto a quanto accadeva nel 2008

nella legislatura attuale, iniziata nel 2013, la percentuale delle donne presenti alla Camera dei

deputati è aumentato di ben dieci punti percentuali, rompendo drasticamente con quello che era il

suo trend nel lungo periodo storico considerato (dal 1948 al 2008). Infatti, superando i cinque punti

percentuali statisticamente considerati per definire una crescita graduale, ora si deve parlare di vero

e proprio “salto”.

Fig. 3 a: Le Deputate della nuova legislatura, la XVII: il “salto”

Donne e Parlamento nella nuova legislatura: la XVII (2013)

20,0

30,7

0

5

10

15

20

25

30

35

XVI 2008 XVII 2013

Legislature

Val

ori

per

centu

ali

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Camera dei Deputati (leg. XVII)

Fig. 3 b: Le Deputate della nuova legislatura, la XVII: il “salto”

Donne e Politica nella nuova legislatura: la XVII (2013)

20,0

30,7

0

5

10

15

20

25

30

35

XVI 2008 XVII 2013

Legislature

Val

ori

per

centu

ali

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Camera dei Deputati (leg. XVII)

33

Analoga situazione, si osserva quando si passa al Senato della Repubblica (si veda fig. 4a e

fig. 4b).

Fig. 4a:Le Senatrici della nuova legislatura, la XVII: il “salto”

Le senatrici e il Parlamento della nuova Legislatura: la XVII (2013)

18,1

27,9

0

5

10

15

20

25

30

XVI 2008 XVII 2013

Legislature

Val

ori

per

centu

ali

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Camera del Senato della Repubblica (leg. XVII)

Fig. 4 b: Le Senatrici della nuova legislatura, la XVII: il “salto”

Le senatrici e il Parlamento della nuova legislatura: la XVII (2013)

18,1

27,9

0

5

10

15

20

25

30

XVI 2008 XVII 2013

Legislature

Val

ori

per

centu

ali

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Senato della Repubblica (leg. XVII)

Dunque, mentre sul lungo periodo osservato (dal 1948 al 2008), la presenza femminile in

Parlamento costituiva un fenomeno altalenante e di crescita graduale, nell’attuale legislatura i valori

mostrano non più una crescita graduale ma macroscopica; un vero e proprio “salto” statistico.

Passando poi alla variabile “genere per età”, si deve innanzitutto precisare che mentre per il

genere maschile il Parlamento italiano della diciassettesima legislatura si mostra innovativo, poiché

rispetto al passato e soprattutto rispetto alla sedicesima legislatura è ora caratterizzato da un forte

ingresso di parlamentari giovani, con un’età “entro i 42 anni”, con riferimento al genere femminile

emerge invece, che le donne maggiormente elette sono si giovani ma come lo erano anche nella

legislatura precedente (la sedicesima) e come lo erano anche in tutte le altre che l’hanno preceduta.

34

E ciò vale, in maniera ancora più radicale, per il Senato. Infatti, se si osserva la tabella 18 emerge

che le donne “entro i 42 anni” presenti alla Camera dei deputati nella diciassettesima legislatura

sono il 39,7% e nella sedicesima erano il 34,6%; al Senato invece, attualmente, sono il 47,8%

contro il 30,8% della sedicesima legislatura. Dimostrando così, che le donne che hanno attuato una

partecipazione politica attiva nei circuiti politici elettorali delle istituzioni parlamentari sono sempre

state donne giovani. Ciò vale ancora di più per il Senato attuale, poiché mentre alla Camera i

giovani eletti sono sia donne che maschi, al Senato invece i senatori maschi sono quarantenni e

cinquantenni mentre le senatrici sono soprattutto quarantenni.

Tab. 18: Distribuzione per “genere per fasce di età” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia nelle leg. XVI e XVII (% di riga)

Legislature Genere Entro 42 anni

Da 43 a 50 anni

Da 51 a 60 anni

Oltre 60 anni

F 34,6 20,8 15,0 15,8 Deputati M 65,4 79,2 85,0 84,2 F 30,8 19,2 19,4 13,9

XVI

Senatori M 69,2 80,8 80,6 86,1 F 39,7 29,1 23,6 16,9 Deputati M 60,3 70,9 76,4 69,3 F 47,8 35,7 26,7 15,6

XVII

Senatori M 52,2 64,3 73,3 84,4

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Passando ora alla variabile “titolo di studio”, va precisato che le considerazioni effettuate sulla

diciassettesima legislatura valgono per la Camera dei deputati, perché con riferimento al Senato il

dato è mancante.

Tab. 19: Distribuzione “legislatura per genere per titolo di studio” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia nelle leg. XVI e XVII (% di riga)

Lic.

Elementare

Lic.

media

Diploma Laurea

Leg. Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori Deputati Senatori

F - - 2,4 - 22,3 24 75,3 74,0

XVI M - - 1,0 - 31,5 16,0 67,5 84,0

F - - 0,6 - 20,0 - 79,4 -

XVII M - - 1,7 - 29,7 - 68,6 -

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg. XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

Osservando la tabella 19, emerge, che le donne maggiormente elette alla Camera nel 2013

sono quelle possiedono titoli alti mentre i corrispettivi colleghi di genere maschile hanno un lieve

abbassamento dei titoli alti, Laurea, a favore di un sostenuto innalzamento dei titoli medi, Diploma.

Tale dato, vale non solo per le donne elette nel 2013 ma anche per quelle elette in tutte le altre

legislature precedenti. Si può quindi concludere che, le donne elette alla Camera, sono sempre state

storicamente quelle altamente titolate. Il 79,4%, nella diciassettesima legislatura ed il 75,3%, nella

sedicesima. Analizziamo ora la variabile dei partiti politici sempre con riferimento al “genere”.

Questo tipo d’incrocio, è servito per evidenziare quali partiti politici hanno determinato l’innescarsi

di questo fattore di cambiamento, quello cioè di più donne nei seggi parlamentari, nel ceto politico

attuale.

35

Tab. 20: Distribuzione per “gruppo politico per genere ” dei Deputati e dei Senatori eletti in Italia nelle leg. XVI e XVII (% di colonna)

Legislature Gruppo Politico Genere XVI XVII

F 7,6 22,4 Deputati M 92,4 77,6 F 16,6 18,2

Centro

Senatori M 83,4 81,8 F 20,3 21,8 Deputati M 79,7 78,2 F 9,7 15,9

Centro Destra

Senatori M 90,3 84,1 F 25,0 37,3 Deputati M 75,0 62,7 F 29,3 34,5

Centro Sinistra Senatori

M 70,7 65,5 F - 11,2 Deputati M - 88,8 F - -

Destra

Senatori M - - F - 23,6 Deputati M - 76,4 F - -

Sinistra

Senatori M - - F - - Deputati M - - F - -

Estero

Senatori M - - F - 16,6 Deputati M 100,0 83,4 F 20,0 41,7

Misto

Senatori M 80,0 58,3 F - 33,1 Deputati

M - 66,9

F - 42,6

Movimento

Cinque Stelle

Senatori M - 57,4 F - - Deputati

M - -

F - -

Grandi

Autonomie e Libertà

Senatori M - 110,0

Fonte: Nostra elaborazione sui dati dell’Editoriale Italiana (leg.XVI) e sui dati Camera dei Deputati e Senato della Repubblica (leg. XVII)

La tabella 20 mostra che, nella sedicesima legislatura, i partiti che hanno portato più donne in

Parlamento sono stati con riferimento alla Camera i partiti di Centro Destra e Centro Sinistra, con

un valore pari rispettivamente al 20,3% e 25%. Con riferimento al Senato invece, sono stati i partiti

di Centro e Centro Sinistra, con un valore percentuale pari rispettivamente al 16,6% ed il 29,3%.

Nella diciassettesima legislatura si osserva invece, che ancora una volta è il Centro Sinistra a

portare più donne tra i seggi parlamentari, con un valore pari al 37,3%, seguito questa volta dal

Centro, con un valore pari al 22,4%. Al Senato invece, a portare più donne nei seggi sono

nuovamente i partiti di Centro Sinistra, il 34,5%, e quelli di Centro, il 18,2%. Accanto a queste

coalizioni di tipo tradizionale, all’interno delle quali spicca il PD, che hanno mostrato la loro

propensione ad una maggiore presenza femminile in Parlamento sia nella sedicesima che nella

diciassettesima legislatura, nella legislatura attuale abbiamo anche un nuovo Movimento Politico

che fa da traino, ossia il Movimento Cinque Stelle.

36

Conclusioni

Nel corso di questo lavoro ci siamo occupati della classe politica parlamentare italiana dalla I

alla XVI legislatura. In particola modo, dopo averne tracciato un identikit generale, abbiamo

analizzato i dati inerenti ad una delle più importanti variabili socio-anagrafiche degli eletti alla

Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, ossia il genere. Ciò ha significato, studiare la

presenza delle donne in Parlamento partendo dalla loro prima presenza nei seggi, a seguito della

storica assenza, quindi a partire dal 1948 con il suffragio universale, per poi seguirne gli sviluppi e

le tappe storiche sino a giungere ai nostri giorni. Tuttavia, prima di presentare i dati dell’attuale

legislatura, che rompono e sfatano definitivamente la declassificazione storica del nostro paese con

riferimento al genere, ne abbiamo anche studiato opportuni confronti con gli altri paesi Europei. Ne

deriva che, dalla I alla XVI legislatura la nostra classe politica parlamentare, caratterizzata da un’età

media compresa principalmente tra i 50-60 anni, le cui categorie professionale più rappresentate nei

due rami del parlamento sono state le professioni liberali e giuridiche e quelle di docenza e i cui

titoli di studio maggiormente posseduto dagli eletti sono stati quelli medio alti, è sempre stata

storicamente caratterizzata dal prevalere del genere maschile. E’ vero che, a partire dalla prima

macrofase (dalla I alla IV legislatura), si assiste ad un incremento della presenza femminile in

Parlamento. Tuttavia, essa è rimasta però ancora assai debole se paragonata a quella degli uomini e

lo è ancora di più se la si confronta con il suo equivalente nei diversi parlamenti europei e più in

generale con la situazione internazionale. Tant’è vero che gli studiosi (Carboni 2007), erano soliti

parlare di vecchia élite politica che necessitava, di un rinnovamento interno. Un’avvisaglia di ciò,

sembra che si sia avuta nel ‘94, allorquando, sulla scia del successo elettorale di Silvio Berlusconi,

non solo sono entrate e divenute prevalenti in Parlamento nuove professioni quali ad esempio quelle

imprenditoriali ma soprattutto, vi è stato un primo significativo ingresso di donne. Si parlò allora, di

collasso della vecchia élite politica travolta dagli scandali di Tangentopoli e dalle inchieste di Mani

Pulite. Il collasso di un’élite, secondo Cotta-Isernia (1996) può verificarsi a causa

dell’invecchiamento naturale di un’élite o perché la vecchia élite presente in un paese in un

determinato momento storico è inadatta a gestire i cambiamenti avvenuti in una società e inadatta a

dare risposte. Ora tale collasso, sembra essersi verificato ulteriormente con l’avvio della nuova

attuale legislatura, la diciassettesima. Dove ci troviamo, di fronte ad una classe politica

parlamentare che presenta, rispetto a tutte quella che l’hanno preceduta, l’età media degli eletti più

bassa, il maggior numero di giovani e il maggior numero di donne presenti in Parlamento. Si

potrebbe dunque concludere che, la diciassettesima legislatura abbia avuto, quel turnover dell’élite

politica tanto auspicato da Carboni (2007) ma, soprattutto, un ricambio innovativo con riferimento

alla variabile genere, da portare il nostro Parlamento tra i primi in Europa e da condurci a sperare in

37

un nuovo futuro per le donne in politica. Anche se, a dimostrare quanto ancora sia faticosa e piena

di battaglie la strada che le donne dovranno condurre prima di arrivare a una parità di genere

garantita a tutti gli effetti per legge, anche in Parlamento, vi è la bocciatura dell’emendamento

bipartisan della legge di riforma elettorale del 10 marzo 2014. Infatti, mentre aveva fatto ben

sperare il nuovo governo Renzi da poco avviatosi (il 22 febbraio 2014), poiché il più giovane mai

eletto nella storia repubblicana e soprattutto poiché caratterizzato da un eguale numero di ministri

uomini e di ministri donne. In realtà, a tarpare le ali alla tanto propagandata parità di genere è stata

proprio la bocciatura da parte della Camera (con 335 voti contrari e 227 favorevoli) della richiesta

di una legge elettorale che, consentendo l’alternanza dei sessi nelle liste e garantendo il 50% di

donne come capolista, garantiva per la prima volta nella storia d’Italia la parità di genere per legge.

Tale proposta della parità di genere, portata avanti dalle deputate presenti nei diversi partiti del

Parlamento, incoraggiata dallo stesso presidente della Camera Laura Boldrini e sostenuta dal primo

ministro Renzi è stata bocciata, poiché considerata incostituzionale da alcuni partiti, FI e PD (con

una forte spaccatura al suo interno), che affermavano che la scelta dei candidati debba essere una

libera scelta di coscienza piuttosto che l’imposizione di una percentuale di genere, e poiché

considerata invece ipocrita da altri movimenti politici, come ad esempio Movimento Cinque Stelle.

Dunque, nonostante la richiesta dello scrutinio segreto da parte di FI, FDI, NDC e UDC, che

avrebbe dovuto consentire una votazione libera a favore di tale emendamento, così da non dover

andare palesemente contro i vertici (maschili) del proprio partito, nonostante che tale proposta

sembrasse avere buone opportunità grazie al suo essere ufficialmente sostenuta dal PD, si è

concluso tutto in un nulla di fatto, a causa di una spaccatura interna al PD medesimo ma soprattutto

poiché ancora una volta, dietro le motivazioni ufficialmente dichiarate, sembra nascondersi il

pregiudizio maschile. Eppure, la proposta di questo emendamento, l’italicum, sembra poter essere

considerato una premessa, giacché a non farlo passare, è stata sola una ridotta mancanza di voti,

solo sessanta. Si può quindi concludere che, un ulteriore passo avanti nella storia italiana sia stato

compiuto; poiché a prendere coscienza della necessità della rappresentanza di genere femminile in

Parlamento, in questa occasione, non sono state solo le donne ma la nuova classe politica

parlamentare nel suo insieme. Con la bocciatura di questo emendamento, ancora una volta si parla

di democrazia violata e minacciata la vera causa di questo insuccesso si può intravedere

nell’ostruzione proveniente dai partiti; ossia, rispondendo con le parole di Brunelli (2006):

«non vi sono, ovviamente, ostacoli giuridici che limitano l’accesso delle donne ai luoghi della rappresentanza politica,

ma piuttosto ostacoli di carattere sociale e culturale (derivanti anche dai tempi e dalle modalità della politica) e,

soprattutto, difficoltà legate all’atteggiamento e all‘organizzazione interna dei partiti»

(Brunelli, 2006, pag.9).

38

Si può dunque affermare, utilizzando le parole dell’autrice, che nel nostro Parlamento, come

negli ordinamenti democratici di diversi paesi, non è più in discussione la previsione della parità

giuridica tra uomini e donne, quanto invece, la loro massiccia presenza:

«ciò che si chiede è un’uguale dignità fra uomini e donne, e non una posizione speciale, in qualche modo privilegiata,

delle donne…Ciò che si chiede è soltanto il ristabilimento dell’uguaglianza violata». (ivi, pag.15)

La mancanza di un’equa rappresentanza di genere ed il monopolio maschile in politica, vengono

letti dalla letteratura scientifica esistente sul genere, come un ritardo per il nostro paese nella piena

affermazione di una democrazia matura. In oltre, come evidenziano Sarlo e Zajcyk e Brunelli,

l’introduzione di una maggiore presenza delle donne nei processi politici decisionali e quindi il

riequilibrio della rappresentanza, costituisce l’affermazione di giustizia. Attualmente, esiste un vero

e proprio dibattito circa la veridicità o meno del fatto che le donne in politica apporterebbero

miglioramenti politici qualitativi; un nuovo punto di vista, quello femminile; ed un riordino

dell’agenda politica e delle priorità politiche che, tenendo conto anche del pensiero femminile si

muoverebbero verso settori come la sanità, l’ambiente ed il welfare. Tuttavia, al di là del fatto se la

presenza femminile gioverebbe o meno alla politica, resta vero che una partecipazione di grandi

numeri delle donne, consentirebbe e garantirebbe il fatto che loro, i loro pensieri e i loro interessi

vengano presi in considerazione. Si spera in una legge elettorale che imponga dall’alto questa

maggiore presenza femminile in Parlamento, dato che risultati positivi in merito a ciò si sono visti

ad esempio nel caso della politica attuata dal partito laburista inglese o nel caso della Regione

Campania, che a seguito di ciò hanno visto un’impennata della presenza femminile. Si pensa,

dunque, che una legge elettorale e non una libera scelta di un partito, farebbe della presenza

femminile sostenuta, alle camere, non un caso sporadico ed occasionale ma un dato concreto. Un

possibile futuro, potrebbe appunto essere la strategia del gender mainstreaming anche in Italia.

Ossia l’impegno, come hanno fatto diversi paesi membri dell’ONU, di cercare di concretizzare la

parità fra uomo e donna in tutti gli ambiti della vita politica.

39

Bibbliografia

Anastasi A. 2004 Parlamento e Partiti in Italia, Giuffrè, Milano. Aristotele 2007 Politica, Laterza, Bari-Roma. Baldassarre A., Scaccia G., Carli G., 2003 La rappresentanza femminile nel Parlamento Europeo e negli Stati Membri dell’Unione,

Luiss Roma. Bardi L, Ignazi P., Massari O., 2007 Iscritti, dirigenti, eletti, Egea, Milano. Beccalli (a cura di), 1999 Donne in quota. E’ giusto riservare posti alle donne nel lavoro e nella politica?,

Feltrinelli, Milano. Belotti E. G., 2007 Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano. Bille L., Pedersen K., 2006 L’attivismo degli iscritti ai partiti politici. Il caso della Danimarca. In Bardi L. (a cura

di), Partiti e Sistemi di Partiti. Il Mulino, Bologna, pp. 197-215. Bimbi F., Del Re A. (a cura di), 1997 Genere e Democrazia. La cittadinanza delle donne a cinquant’anni dal voto. Rosenberg

& Sellier, Torino. Boccia M. L., 2002 La differenza politica, Il Saggiatore, Milano. Brunelli G., 2006 Donne e politica, Il Mulino, Bologna. Carboni C. (a cura di), 2007 Élite e classi dirigenti in Italia, Laterza, Roma-Bari. Cavaglia C., 2003 Donne e politica, Editrice Lucia Tufani, Ferrara. Conti Odorisio G., 1997 Riflessioni sulla cittadinanza politica europea, in Trimestre, n. 3-4. 2000 La rivoluzione femminile, in Enciclopedia Italiana di Scienze, Eredità del Novecento, Appendice 2000, Roma. Conti Odorisio G., Weber M., Zincone G., 1984 La situation des femmes dans la vie politique en Europe, Conseil de l’Europe (Editeur),

Strasbourg. Darcy R., Welch S., Clark J., 1994 Women, Elections, and Representation. New York, N.Y., London. De Giorgio M., 1992 Le italiane dall’Unità ad oggi, Laterza, Bari-Roma. De Grazia V., 1994 Le donne nel regime fascista, Marsilio Editori, Venezia. De Leo M., Taricone F., 1992 Le donne in Italia. Diritti civili e politici , Liguori, Napoli. 1995 Le donne in Italia. Educazione-Istruzione, Liguori, Napoli 1996 Per una storia del voto alle donne, in Commissione Nazionale Parità, Presidenza del

Consiglio dei Ministri, Elettrici ed elette: storia testimonianze e riflessioni a cinquant’anni dal voto delle donne, Roma.

40

De Mucci R. (a cura di), 2008 La politica come professione? Saggio sulla classeparlamentare in Italia, Luiss

University Press, Pola. Del Re A. (a cura di), 2004 Quando le donne governano le città. Franco Angeli, Milano. 2008 Donne tra politica e istituzioni: questioni di genere e ricerca sociale, in Inchiesta,

Rivista trimestrale di ricerca e pratica sociale, XXXVIII, n. 160, aprile-giugno 2008. Duby G., Parrot M., (a cura di) 2009 Storia delle donne in occidente. Laterza, Roma. Editoriale Italiana, 2000 Repubblica Italiana 1948-1998. 50 Anni di Parlamento, Governi, Istituzioni, La Navicella, Centro Poligrafico Romano, Roma. 2003 I Deputati e i Senatori del quattordicesimo Parlamento Repubblicano. La Navicella, Centro Poligrafico Romano, Roma. 2007 I Deputati e i Senatori del quindicesimo Parlamento Repubblicano. La Navicella,

Centro Poligrafico Romano, Roma. 2009 I Deputati e i Senatori del sedicesimo Parlamento Repubblicano.La Navicella, Centro

Poligrafico Romano, Roma. Facchi A., 2007 Breve storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna. Filippini N.M., Scattigno A. (a cura di) 2007 Una democrazia incompiuta. Donne e politica in Italia dall’Ottocento ai nostri giorni. Franco Angeli, Milano. Forti S., Pasquino G., 2004 «Femminismo». In Il Dizionario di Politica, a cura di Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G., UTET, Torino. Galli G., 2006 I partiti politici italiani (1943-2004), Rizzoli, Milano. Grilli di Cortona P., 2007 Il cambiamento politico in Italia. Dalla Prima alla Seconda Repubblica, Carocci,

Roma. Goldmann A., 1996 Le donne entrano in scena. Dalle suffragette alle femministe. Giunti-Casterman, Firenze. Hazan Y.R., 2006 Metodi di selezione dei candidati: le conseguenze delle elezioni interne ai Partiti. In Bardi L., (a cura di), 2006 Partiti e sistemi di partito, Il Mulino, Bologna. Humphries J., Rubery J., 1995 Some Lessons for Policy, in J. Humphries, J. Rubery, The Economics of Equal

Opportunities, UK Equal Opportunities Commission. Lofstrom A., 2005 A report on gender equality and economic growth, Nimed Presidenza lussemburghese

del Consiglio dell’Unione europea, Beijing + 10. Progress made within the European Union, Lussemburgo.

Lussana F., 1998 Le donne e la modernizzazione: il neo femminismo degli anni Settanta, in Storia

dell’Italia repubblicana, Einaudi, Torino, vol. III.

41

Matland E. 1997 Women’s Representation in National Legislatures: Developed and Developing

Countries.cLegislative Studies Quarterly, vol.23, N.O. 1, pp. 109-125 Norris P. 1997 Representation and the democratic Deficit. European Journal of Political Research, 32

(2), pp. 273-282. Pasquino G., 1999 La classe politica, Il Mulino, Bologna. Piazza M. (a cura di), 2005 Ingressi riservati, donne e uomini nelle carriere politiche, Franco Angeli, Milano.

Primo Rapporto Luiss, 2007 Generare classe dirigente: un percorso da costruire, Luiss University Press, Roma. Rauti I., 2004 Istituzioni politiche e rappresentanza femminile. Il caso italiano, Editoriale Pantheon,

Roma. 2005 (a cura di), Percorsi di parità, Isfol, Roma.

Rossi-Doria A., 1994 Le donne sulla scena politica, in Storia dell’Italia repubblicana, Einaudi, Torino, vol. I.

2007 Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne. Viella, Roma. Sarlo A., Zajczyk F., 2012 Dove batte il cuore delle donne, voto e partecipazione politica in Italia, Laterza, Roma- Bari. Scattigno A., Filippini N.M., 2007 Una democrazia incompiuta. Donne e politica dall’Ottocento ai nostri giorni, Franco

Angeli, Milano. Taylor H., 2012 La liberazione delle donne, Il Nuovo Melangolo, Genova. Taricone F., 1996 L’associazionismo femminile italiano dall’Unità al fascismo, Rizzoli, Milano. 2001 Il Centro Italiano femminile dalle origini agli anni Settanta, Rizzoli, Milano.