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RAY BRADBURY. VIAGGIATORE DEL TEMPO. Il Convettore di Toynbee "Bene! Fantastico! Evviva me!" Roger Shumway si tuff sul sedile, si allacci "la cintura di sicurezza, avvi il rotore e sospinse il suo elicottero Drago Volante Super6 a innalzarsi nel cielo estivo, puntando a sud, verso La Jolla. "Si pu essere pi fortunati di cos?" Perch era diretto a un convegno incredibile. Il viaggiatore del tempo, dopo 100 anni di silenzio, aveva accettato di essere intervistato. Quel giorno compiva 130 anni. E quello stesso pomeriggio, alle quattro in punto, ora del Pacifico, ricorreva l'anniversario del suo unico e ineguagliato viaggio nel tempo. Mio Dio, s! Cento anni prima, Craig Bennett Stiles aveva salutato, era salito sul suo Orologio dell'Immenso, come l'aveva chiamato, ed era svanito dal presente. Era e rimaneva l'unico uomo della storia ad aver viaggiato nel tempo. E Shumway godeva del privilegio, unico fra tutti i suoi colleghi giornalisti, di essere stato invitato, dopo tutti quegli anni, a prendere il t. E? E all'eventuale annuncio di un secondo e conclusivo viaggio attraverso il tempo. Il mitico viaggiatore aveva accennato a tale possibilit. "Vecchio mio," disse Shumway "Mr. Craig Bennett Stiles... ecco che arrivo!" Il Drago Volante, assecondandone la febbre, afferr il vento, sulle cui ali vol rasente alla costa. Il vecchio era l, in attesa, sul tetto della Lamasseria, sul ciglio dello scivolo di decollo degli alianti dalla collina di La Jolla. L'aria fremeva di deltaplani cremisi, azzurri e color limone, appesi ai quali giovanotti lanciavano richiami, contraccambiando i saluti di fanciulle rimaste a terra. Stiles, per i suoi 130 anni, non era vecchio. Il suo viso, rivolto in alto verso l'elicottero, era il viso radioso di uno di quei folli apollinei sui deltaplani, che adesso si affrettavano a farsi da parte, per lasciar spazio all'elicottero in discesa. Discesa che Shumway andava prolungando, in un indugio che acuiva la febbre dell'incontro. L sotto, v'era una faccia che aveva sognato architetture, conosciuto incredibili amori, registrato misteri di secoli, di giorni, di ore, di secondi, per poi tuffarsi ad anticipare il futuro. Una faccia cotta dal sole, che celebrava il proprio compleanno. Per una notte, una soltanto, cento anni prima, Craig Bennett Stiles, fresco reduce dal tempo, aveva rivelato via Telstar a miliardi di uomini di tutto il mondo il loro futuro. "Ce l'abbiamo fatta!" aveva detto. "Ci siamo riusciti! Il futuro nostro. Abbiamo ricostruito le metropoli, rinnovato le piccole citt, ripulito i laghi e i fiumi, purificato l'aria, salvato i delfini, ripopolato i mari di balene, bloccate le guerre, disseminato lo spazio di stazioni solari per illuminare il mondo, colonizzato la luna, raggiunto Marte, e poi Alfa Centauri. Abbiamo debellato il cancro e fermato la morte. Ce l'abbiamo fatta - oh, Signore, ti ringraziamo! - ci siamo riusciti. Oh, radiosi e splendidi germogli del futuro, sbocciate!" Ai suoi contemporanei aveva mostrato fotografie, portato campioni, dato nastri e dischi LP, film e musicassette del suo favoloso viaggio nel tempo. Il mondo era impazzito di gioia. Era corso incontro a quel futuro, anticipandolo, nella visione delle citt promesse, della salvezza totale e dei mari e delle terre fraternamente suddivisi tra uomini e animali.

Il grido di benvenuto del vecchio sal nel vento. Shumway contraccambi con egual calore, port gi lentamente il suo Drago Volante e tocc terra. Craig Bennett Stiles, anni 130, si avvicin con passo brioso e, incredibilmente, fu lui ad aiutare il giovane a scendere dall'abitacolo, in quanto Shumway si era sentito improvvisamente debole, con le gambe fiacche. "Non riesco a credere di essere qui" balbett Shumway. "Ci sei, e neanche troppo presto" rise il viaggiatore del tempo. "Ormai, ogni giorno buono, perch io possa disintegrarmi e sparire. La colazione ci aspetta. Pedala!" Maestoso come un corteo di una sola persona, Stiles sgusci via dall'ombra frusciante del rotore, che lo faceva sembrare un personaggio di un vecchio film tremolante di un futuro che fosse gi fuggito. Shumway, come un cagnolino mascotte di un grande esercito, gli si accod. "Cosa vuoi sapere?" domand il vecchio, mentre attraversavano il tetto a passo di carica. "Primo," ansim Shumway, affiancandolo "perch ha rotto il silenzio dopo cento anni? Secondo, perch con me? Terzo, qual il grande annuncio che far questo pomeriggio alle quattro, l'ora esatta in cui il suo "pi giovane io" arriver dal passato - quando, per un breve attimo, lei apparir in due luoghi differenti, il paradosso: la persona che lei era, l'uomo che lei , fusi in un'ora gloriosa perch noi la si festeggi?" Il vecchio rise. "Come corri!" "Mi scusi." Shumway arross. "E' roba che ho scritto ieri sera. Bene. Queste sono le domande." "Avrai le tue risposte." Il vecchio gli tocc leggermente il gomito. "Tutto... a tempo debito." "Deve perdonare se sono tanto eccitato" disse il giovane. "Dopotutto, lei un mistero. Era famoso, acclamato in ogni angolo della Terra. Part, vide il futuro, torn, ci raccont, e poi si estrani come un eremita. S, per qualche settimana ha monopolizzato le telescriventi di tutto il mondo, si fatto vedere alla Tv, ha scritto un libro, ci ha fatto dono di un meraviglioso documentario televisivo di due ore, poi si richiuso, inaccessibile, qui. S, la macchina del tempo offerta gi da basso alla curiosit del pubblico, che pu accedervi ogni giorno a mezzogiorno, per vederla, toccarla. Ma lei, personalmente, ha rifiutato la fama..." "Non andata proprio cos." Il vecchio guid il visitatore lungo il tetto. Adesso, nei giardini sottostanti, erano in arrivo altri elicotteri da ogni parte del mondo, carichi di attrezzature televisive per riprendere il miracolo nel cielo, il momento in cui la macchina del tempo, rientrando dal passato, sarebbe apparsa, scintillante, per involarsi a visitare altre citt, prima di svanire di nuovo nel passato. "Ho avuto tanto da fare, come architetto, per costruire quello stesso futuro che vidi, da giovane, quando arrivai nel nostro domani dorato!" Indugiarono un istante a osservare i preparativi in basso. Venivano montati enormi tavoli per i rinfreschi. Di l a poco, sarebbero giunte alte personalit da tutto il mondo, per ringraziare - forse per l'ultima volta - quel fiabesco, quasi mitico viaggiatore attraverso gli anni. "Vieni!" sollecit il vecchio. "Non ti piacerebbe sederti nella macchina del tempo? Nessun altro lo ha mai fatto. Non vorresti essere il primo?" Non era necessaria la risposta. Il vecchio poteva leggerla negli occhi lucidi e umidi del giornalista. "Via, via" esclam Stiles. "Oh, povero me!" Un ascensore tutto vetri li port gi, e li scaric in un sotterraneo d'un bianco assoluto, nel centro del quale troneggiava... L'incredibile macchina.

"Ecco." Stiles tocc un pulsante, e l'involucro di plastica, che da cent'anni aveva sigillato la macchina del tempo, apr silenzioso le sue valve di conchiglia. Il vecchio accenn con la testa. "Vai dentro, siediti." Shumway si mosse lentamente verso la meraviglia. Stiles sfior un altro pulsante, e la macchina si illumin, come una caverna di tele di ragno. Anelito di anni, bisbigli di ricordi. Fantasmi annidati nelle sue vene di cristallo. In una sola notte, un dio ragno ne aveva intessuto le pareti. Era fantasmagorica, reale e vivente. Invisibili maree pulsavano nei suoi congegni. Qui, un autunno veniva soffiato via in frammenti, l incombevano inverni con nevi che si adagiavano in bocci primaverili per infiorare campi d'estate. Vi ardevano soli e lune vi nascondevano le loro fasi. Il giovane prese posto al centro di tutto ci, incapace di parlare, abbrancandosi ai braccioli del sedile imbottito. "Non aver paura" disse il vecchio, con dolcezza. "Non ti mando a fare un viaggio." "Non mi importerebbe!" rispose Shumway. Stiles lo scrut in viso. "No, lo vedo. Sembri me, cento anni fa. Mi venga un accidente se non sei mio figlio putativo!" Il giovane chiuse gli occhi all'enorme complimento, le palpebre scintillanti, mentre i fantasmi nella macchina lo avvolgevano di sospiri e promesse del suo domani. "Allora, che ne pensi del mio Convettore di Toynbee?" domand il vecchio briosamente, per rompere il silenzio, fermando i motori. Shumway apr gli occhi. "Il Convettore di Toynbee? Cosa..." "Altri misteri, eh? Il grande Toynbee, questo acuto storiografo che disse come ogni gruppo, ogni razza, ogni universo noncurante di correre verso il futuro e di plasmarlo era condannato a divenire polvere nella tomba, nel passato." "Questo, disse?" "Pi o meno. Lo sostenne, comunque. Quindi, quale nome migliore per la mia macchina? Toynbee, dovunque tu sia, ecco qui il tuo congegno per catturare il futuro!" Afferr per un gomito il giornalista perch uscisse dalla macchina. "Adesso lasciamo riposare il Convettore. E' tardi. Quasi ora per il grande arrivo, eh? E dell'ultimo apocalittico annuncio di questo vecchio viaggiatore del tempo che risponde al nome di Stiles! Vieni!" Tornati sul tetto, guardarono i giardini sottostanti, inondati adesso dalle celebrit o quasi celebrit accorse da ogni angolo del mondo. Le strade circostanti erano bloccate da un traffico feroce. I cieli pieni di elicotteri e di biplani ronzanti. I deltaplani avevano sgombrato il campo gi da un bel po', e risultavano adesso allineati sul ciglio della collina, ali ripiegate, simili a pterodattili colorati, in contemplazione delle nuvole, in attesa. "Tutto questo," mormor Stiles "mio Dio, per me." Il giovane consult l'orologio. "Dieci minuti alle quattro e al conto alla rovescia. E' quasi l'ora del grande arrivo. Voglia scusarmi, cos che l'ho chiamato nel mio articolo su di lei, una settimana fa, sul News. Quell'attimo dell'arrivo e della partenza, in un batter d'occhio, quando, entrando nel tempo, lei cambi l'intero avvenire del mondo, dalla notte al giorno, dalle tenebre alla luce. Spesso mi sono chiesto..." "Che cosa?" Shumway studi il cielo. "Quando lei viaggi precedendo il tempo, nessuno la vide arrivare? Non avvenne che qualcuno guardasse in su, capisce, e vedesse la sua macchina librata in aria, qui e un attimo dopo sopra Chicago, e poi New York e Parigi? Nessuno?"

"Be'," disse l'inventore del Convettore di Toynbee "suppongo che nessuno mi stesse aspettando! E se la gente mi vide, di sicuro non sapeva che cosa diavolo stesse guardando. Ebbi cura, comunque, di non indugiare troppo l dove arrivavo. Mi occorreva soltanto il tempo per fotografare le citt ricostruite, i mari e i fiumi tornati limpidi, l'aria nitida e priva di smog, le nazioni non pi fortificate, le dilette balene ormai in salvo. Mi spostavo veloce, fotografavo alla svelta, per volare a casa a ritroso negli anni. Oggi, paradossalmente, diverso. Milioni e milioni di occhi guarderanno in su con enorme anticipazione. E concederanno, oppure no, uno sguardo che corra dal giovane pazzo fulmineo nei cieli al vecchio folle di adesso, ancora nella gioia per il suo trionfo?" "Oh, s" conferm l'altro. "Senz'altro, milioni di sguardi!" Un botto. Shumway distolse gli occhi dalla calca sui campi vicini e dalla moltitudine di oggetti sospesi nel cielo, per constatare che Stiles aveva test stappato una bottiglia di champagne. "Il nostro brindisi privato e la nostra celebrazione privata." Presero i bicchieri, in attesa del momento adatto per brindare. ".Cinque minuti alle quattro e al conteggio alla rovescia. Perch" disse il reporter "nessun altro mai ha viaggiato nel tempo?" "Anche a me stesso ho posto il veto" rispose il vecchio, sporgendosi a osservare la folla. "Mi ero reso conto di quanto fosse pericoloso. Non per me, naturalmente, affidabile com'ero. Ma, Signore Iddio, pensaci - chiunque poteva mettersi a far rotolar bocce lungo le corsie del tempo a venire, abbattendo tutti i birilli d'un colpo, spaventando i nativi di un luogo, sconvolgendo gli abitanti di una citt, disquisendo con la linea della vita di Napoleone, a ritroso, o ripristinando al potere i cugini di Hitler, in avvenire? No, no. E il governo, ovviamente, fu d'accordo, anzi, insistette, che mettessimo il Convettore di Toynbee sotto chiave. Oggi, sei stato il primo e l'ultimo a lasciarvi sopra le tue impronte digitali. La macchina del tempo rimasta sotto buona, ferrea e continua guardia per decine di migliaia di giorni, per impedire che venisse rubata. Che dice il tuo orologio?" Shumway verific e trattenne il fiato. "Un minuto al conteggio alla rovescia..." E prese a contare. E il vecchio scand assieme a lui. Sollevarono i loro bicchieri di champagne. "Nove, otto, sette..." Gi in basso, la folla era caduta in un silenzio sconfinato. Il cielo bisbigliava, sospeso. Le telecamere erano puntate in alto, a scandagliare, a frugare. "Sei, cinque..." Sul tetto, i due bicchieri si toccarono, tintinnarono. "Quattro, tre, due..." Il vecchio e il giovane bevvero. "Uno!" Bevvero lo champagne, con una risata. Guardarono il cielo. L'aria dorata sopra la linea costiera di La Jolla attendeva. Il grande momento dell'arrivo... "Ora!" grid il giornalista, come un mago che desse l'ordine. "Ora" fece eco Stiles, con sommessa gravit. Nulla. Passarono cinque secondi. Il cielo rimaneva vuoto. Passarono dieci secondi. I cieli aspettavano. Venti secondi. Nulla.

Alla fine, Shumway si gir a fissare stupito e con aria interrogativa il vecchio al suo fianco. Stiles ricambi lo sguardo, si strinse nelle spalle e disse: "Ho mentito". "Lei, cosa?" url Shumway. Di sotto, la folla si agitava. Stupore, disagio, delusione. "Ho mentito" ripet semplicemente il vecchio. "No!" "Oh, s, invece" conferm il viaggiatore del tempo. "Non sono mai andato da nessuna parte. Mai mosso da qui, ma ho fatto sembrare che ci fossi andato. Non esiste alcuna macchina del tempo... soltanto qualche cosa che sembra esserlo." "Ma perch?" Il giovane formul la domanda, sconvolto, ancora incredulo, sostenendosi alla ringhiera sull'orlo del tetto. "Perch?" "Vedo che hai all'occhiello il pulsante di un registratore a nastro. Premilo. Cos, ecco. Voglio che tutti sentano quello che dir. Adesso." Il vecchio scol il bicchiere di champagne, poi prese a parlare. "Perch nacqui e crebbi in un'epoca, gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, in cui gli uomini avevano smesso di credere in se stessi. Vedevo quella incredulit, la ragione che non dava pi a se stessa il motivo per sopravvivere, e ne ero sconvolto, depresso e poi furente. "Ovunque, vedevo e sentivo il dubbio. Ovunque assistevo alla distruzione. Ovunque imperavano la disperazione professionale, la noia intellettuale, il cinismo politico. E quando non era noia o cinismo, erano scetticismo dilagante e nichilismo incipiente." Il vecchio tacque, come rincorrendo un ricordo. Si chin e tir fuori da sotto un tavolo una speciale bottiglia di Burgundy rosso, la cui etichetta era datata 1984. Stiles prosegu, cominciando a lavorare con cautela sull'annoso turacciolo. "Chiamala come vuoi, la situazione era quella. L'economia arrancava come una lumaca. Il mondo era una fogna. Le economie nazionali restavano un mistero insolubile. L'atteggiamento generale era la tristezza. L'impossibilit di cambiare era la moda imperante. Lo slogan era: la fine del mondo. "Nulla che valesse la pena di essere fatto. Andavi a letto la sera alle undici, saturo di cattive notizie, ti svegliavi la mattina alle sette per ricevere notizie ancora peggiori. Annegavi la notte in una marea di guai e di pestilenze. Ah!" Il turacciolo aveva ceduto, dolcemente, e il vino non pi traditore come il suo anno di nascita era adesso pronto al bacio dell'aria. Il viaggiatore del tempo lo annus e annu soddisfatto. "All'orizzonte non incombevano soltanto i quattro cavalieri dell'Apocalisse, pronti a scagliarsi sulle nostre citt: una quinta creatura li accompagnava, peggiore degli altri: la Disperazione, ammantata con i neri veli della disfatta, a piangere soltanto il ritornello di passati disastri, di presenti fallimenti, di future codardie. "Soffocato da nere scorie, senza alcun seme vivo, quale specie di raccolto rimaneva per l'uomo, in quell'ultima parte dell'incredibile XX secolo? "Dimenticata era la luna, dimenticati i rossi paesaggi di Marte, il grande occhio di Giove, gli stupefacenti anelli di Saturno. Rifiutavamo di essere confortati. Piangevamo sulla tomba di nostro figlio, e il figlio eravamo noi." "Cos era," chiese sommesso Shumway "cento anni fa?" "S." Il viaggiatore del tempo sollev la bottiglia di vino, quasi vi fosse contenuta la prova. Vers nel bicchiere due dita del rosso liquido, lo guard, bevve, e prosegu. "Hai ben visto i documentari e hai letto i libri di quell'epoca. Di essa, sai tutto.

"Oh, naturalmente, c'era qualche momento radioso. Quando Salk restitu alla vita i bimbi di tutto il mondo. O la notte in cui Eagle allun e l'uomo mise piede sul nostro pianeta, epica tappa per l'umanit. Ma nelle menti e dalla bocca di molti, il quinto cavaliere era cupamente acclamato. Con vive speranze, sembrava a volte, nella sua vittoria. Cos tutti sarebbero stati tetramente soddisfatti che le loro predizioni della catastrofe si fossero dimostrate esatte sin dall'inizio. E cos le profezie di autodistruzione annunciata: scaviamo le nostre fosse, pronti a giacere in esse." "E lei non poteva permetterlo?" disse il giornalista. "Sai che non potevo." "E allora, costru il Convettore di Toynbee..." "Non immediatamente. Ci vollero anni per concepirlo." Il vecchio fece una pausa per rigirare quel che restava nel bicchiere, chiuse gli occhi e bevve. "Fu un periodo in cui mi pareva di morire; mi disperavo, piangevo fino a tarda notte, pensavo: "Che posso fare per salvarci da noi stessi? Come sottrarre i miei amici, la mia citt, il mio Stato, la mia nazione, il mondo intero a questa ossessione per la condanna?". Be', una notte ero nella mia biblioteca, quando sfiorai con la mano un vecchio e caro libro di H.G. Wells. La sua macchina del tempo evocava, come uno spettro, il decorso degli anni. Sentii! Capii. Ascoltai con il cuore. Poi i disegni, il progetto. Costruii. Viaggiai, o cos parve. Il resto, lo sai, storia." Il vecchio riapr gli occhi. "Dio santo" bisbigli il reporter, scuotendo la testa. "Oh, mio Dio! Incredibile, pazzesco..." C'era adesso un colossale fermento nei giardini sottostanti, nei campi vicini, sulle strade e nell'aria. Milioni di creature ancora in attesa. Dov'era il grande arrivo? "Allora," disse il vecchio, riempiendo di nuovo il bicchiere dell'ospite "sono o non sono qualcuno? Ho costruito le macchine, citt in miniatura, laghi, stagni, mari. Ho eretto stupende architetture sullo sfondo di cieli cristallini, ho parlato ai delfini, giocato con le balene, registrato nastri fasulli, ho mitizzato film. Oh, ci sono voluti anni, anni di lavoro duro e di preparativi segreti, prima che annunciassi la mia partenza, che mi involassi e tornassi con la lieta novella!" Bevvero il resto del vino d'annata. Dalla folla si levava adesso un brusio, denso di ansia e di incertezza. Tutti dal basso stavano guardando verso il tetto. Il viaggiatore del tempo salut, agitando un braccio, e si volt. "Presto, adesso. D'ora in avanti, tocca a te. Hai il nastro con incisa la mia voce. Qui ci sono altri tre nastri, con dati pi completi. Questa una videocassetta, la storia di tutta la mia ispirata frode a fin di bene. Ed ecco, un manoscritto conclusivo. Prendi, prendi tutto quanto, divulgalo. Ti nomino mio figlio per spiegare il padre. Svelto!" Di nuovo ingoiato dall'ascensore, Shumway sent il mondo sparirgli sotto i piedi. Non sapeva se ridere o piangere, e cos, alla fine, lanci un urlo. Sorpreso, il vecchio url con lui, mentre uscivano l sotto e si dirigevano verso il Convettore di Toynbee. "Afferri il punto, vero, figliolo? La vita non ha fatto altro che mentirci, sempre, in una continua negazione di noi stessi. Da bambini, da giovani, da vecchi. Da bimbe, ragazze, donne, mentendo sempre, seducendoci e comprovando che la menzogna era la verit. Intessendo sogni, e mettendo cervelli, idee, carne e la verit reale sotto a quei sogni. Tutto, in definitiva, come una promessa. Ci che sembra una menzogna un'esigenza confusa, il desiderio di venire al mondo. Qui. Allora e adesso."

Schiacci il pulsante che faceva schiudere l'involucro di plastica, ne azion un altro che avviava il ronzio della macchina del tempo, e poi corse a prendere posto sul sediolo del Convettore. "Abbassa quell'ultima levetta, giovanotto!" "Ma..." "Stai pensando" e qui il vecchio scoppi in una risata "che se la macchina del tempo fasulla, come pu funzionare, che scopo c' ad abbassare quella leva, non vero? Comunque, esegui. Questa volta funzioner!" Shumway si gir, identific la leva di comando, la impugn, quindi alz gli occhi su Craig Bennett Stiles. "Non capisco. Dove sta andando?" "O bella, per essere uno nei secoli, naturalmente. Per esistere, ora, soltanto nel remoto passato." "Come possibile?" "Credimi, questa volta accadr. Addio, mio caro, gentile, comprensivo figliolo." "Addio." "Adesso. Di' come mi chiamo." "Cosa?" "Pronuncia il mio nome e abbassa la leva." "Viaggiatore del tempo?" "S! Ora!" Il giovane abbass la levetta. La macchina ronz, rugg, dardeggi energia. "Oh!" esclam il vecchio, chiudendo gli occhi. Sulle labbra gli apparve un sorriso, dolce. "S." La testa gli ricadde sul petto. Shumway grid, capovolse sullo zero la levetta, e balz avanti per lacerare le cinghie che inchiodavano il vecchio alla macchina. E, pur affannandosi nel tentativo, trov un attimo per sentire il polso del viaggiatore del tempo, per porgli due dita sotto la gola, alla ricerca di pulsazioni, e imprec. Cominci a piangere. Perch il vecchio era retrocesso nel tempo, e il suo nome, adesso, era morte. Stava viaggiando nel passato, ormai, per sempre. Shumway torn al quadro comandi, e riattiv l'energia. Se il vecchio doveva viaggiare, che la macchina - anche se simbolicamente - andasse con lui! Ed essa rispose con un ronzio riconoscente. La luce che l'animava, l'abbagliante fuoco del sole, splendeva in tutta la ragnatela delle sue vene e delle sue armature, e accendeva le gote e la fronte del vecchio viaggiatore del tempo, la cui testa sembrava ora annuire insieme con le vibrazioni, e il cui sorriso, mentre egli si inoltrava nelle tenebre, era il sorriso di un bimbo assai felice. Il reporter indugi ancora lunghi attimi, asciugandosi le guance col dorso della mano. Poi, lasciando in moto la macchina, torn all'ascensore, schiacci il pulsante di chiamata. Mentre attendeva, prese i nastri e le videocassette lasciatigli dal viaggiatore del tempo, e, a uno a uno, li gett nello sportello dell'inceneritore inserito nella parete. Le porte della cabina si aprirono richiudendosi quando egli fu entrato. E l'ascensore ripart ronzando, come un'altra macchina del tempo, sembrava, portando il giovane a riemergere in un mondo sbalordito, in un mondo tuttora in attesa. Di un luminoso continente, di una terra futura, di un meraviglioso sopravvissuto pianeta... Che un solo uomo, con una sola menzogna, aveva creato. La botola Clara Peck viveva in quella vecchia casa da almeno una decina d'anni quando fece, per la prima volta, la strana

scoperta. A met della rampa di scale che portava al secondo piano, sul pianerottolo, sul soffitto... La botola. "... O bella, santo Cielo!" Si ferm di botto, inchiodata su un gradin, a fissare la sorpresa, quasi a sfidarne la realt. "Non pu essere! Come ho potuto essere cieca a tal punto? Povera me, c' un solaio in casa mia!" Aveva fatto su e gi quelle scale migliaia di volte per migliaia di giorni, senza mai vedere... "Vecchia scema che sono!" E per poco non inciamp, tornando gi, dimentica del perch fosse salita. Prima di pranzo, and di nuovo a piazzarsi sotto la botola, come una troppo cresciuta, esile, nervosa fanciulla dai pallidi capelli e smorte gote, con occhi troppo febbrili, a indagare, scrutare, fissare. "Adesso che ho scoperto 'sto maledetto coso, mi dici che ne faccio? Su li, sai che deposito di vecchiume! Ci scommetto. Be'..." E ridiscese, vagamente turbata, con la mente gi adombrata e incerta. "Oh, al diavolo, Clara Peck! Fammi il piacere!" si disse mentre passava l'aspirapolvere in salotto. "Hai solo cinquantasette anni. Non sei ancora rimbambita, perdio!" Per, come mai non se n'era mai accorta? Era la qualit del silenzio, ecco cos'era. Il suo tetto non aveva mai avuto bisogno di riparazioni, mai l'acqua si era infiltrata a macchiare il soffitto, mai le travi avevano scricchiolato sotto il vento, e topi non ce n'erano. Se la pioggia avesse frusciato, o le travi si fossero lamentate, o i topi avessero danzato nel solaio, lei avrebbe guardato su, avrebbe scoperto la botola. Ma la casa era sempre rimasta silenziosa, e lei era rimasta cieca. "Stupidaggini!" esclam, a cena. Lav i piatti, lesse fino alle dieci, and a letto di buon'ora. Fu durante la notte che ud il primo, debole ticchettare - un appello in codice Morse?, il primo scricchiolio, graffiti sulla roccia? - provenire dall'alto, al di l della pallida, lunare faccia del soffitto. Semi addormentate, le sue labbra bisbigliarono: "Topi?". E poi venne l'alba. Scendendo per la prima colazione, Clara Peck fiss la botola col suo intrepido sguardo di bimba cresciuta, sentendo le proprie dita ossute contrarsi per andare a prendere la scaletta a pioli. "Uffa" brontol. "Perch tanta fretta di esplorare un solaio pieno di niente. La settimana prossima, magari." Per i tre giorni seguenti, la botola non esistette. Perch Clara dimentic di guardarla. Come se non fosse mai stata l. Per, verso la mezzanotte della terza notte, ella ud i rumori dei topi, o i rumori di altri esseri, quali che fossero, filtrare attraverso il soffitto della camera da letto, simili a lattiginosi fantasmi che sfiorassero le desolate superfici della luna. Da quella strana similitudine, ne nacque un'altra, nella sua mente dubbiosa: uno spolverio di foglie secche afferrate dal vento o semplice polvere setacciata gi dalla soletta del solaio? Dormirci su. Era l'unica. Ma il sonno rimaneva latitante. Piatta sul letto, osserv il soffitto con tale intensit da avere l'impressione che gli occhi avessero la potenza di raggi X a indagare quel che ci fosse dietro l'intonaco. Un circo di pulci? Una trib di topi zingari nell'esodo da una delle case confinanti? Di recente, parecchie di quelle

abitazioni erano state paludate da sudari, al punto da sembrare cupi tendoni da circo equestre, in modo che gli specialisti in derattizzazione potessero inondarle di mortali proiettili e fulminare sul posto la vita segreta che vi si annidava. Quella vita segreta, probabilmente, aveva raccolto il suo bagaglio peloso, in cerca di nuove sedi. Il solaio della pensione di Clara Peck, vitto gratuito, era la loro nuova casa, in sostituzione della precedente, ora proibita. Eppure... Mentre ella fissava in alto, i rumori ricominciarono. Si consolidavano intrecciandosi attraverso l'ampio fronte del soffitto; lunghe unghie che, grattando, erravano da un angolo all'altro del sovrastante impenetrato locale. Clara Peck trattenne il respiro. Le furtive scorribande si facevano pi rumorose. Lo scalpiccio frusciante cominci a concentrarsi in una zona sopra e al di l della porta della camera da letto. Come se le minuscole creature, quali che fossero, stessero accalcandosi a un'altra porta segreta, in cerca di evasione. Lentamente, Clara Peck si mise seduta sul letto, lentamente spost il proprio peso sul pavimento, non volendo che scricchiolasse. Lentamente socchiuse la porta. Sbirci fuori nel corridoio, inondato dalla luce fredda di una luna piena, che entrava dalla finestra del pianerottolo per mostrare.. La botola. Adesso, come se richiamati dal calore di lei, i rumori del piccolo nascosto fantasma deambulante si precipitarono a condensarsi proprio sull'orlo della botola stessa. "Cristo!" pens Clara Peck. "Mi sentono. Vogliono che io..." La botola vibr impercettibilmente sotto il minuscolo peso di chi, di coloro, quali che fossero, la stava incalzando. E sul telaio di legno, altri e altri ancora invisibili zampe di ragno o di roditori, usciti dagli anfratti di vecchi giornali ingialliti, insistevano e frusciavano. Pi insistenti, pi febbrili. Clara fu sul punto di gridare: "Via! Andatevene via!". Quando il telefono squill. "Oh!" sussult Clara Peck. Avvert una tonnellata di sangue piombarle a peso morto lungo tutto il corpo a maciullarle i piedi. Corse ad afferrare, sollevare, strangolare la cornetta. "Chi ?" ansim. "Clara! Sono Emma Crowley! Che ti succede?!" "Mio Dio!" url Clara. "Mi hai fatto gelare il sangue! Emma, perch mi chiami a quest'ora impossibile?" Segu un lungo silenzio, mentre la donna dall'altra parte della citt tentava a sua volta di trovare le parole. "Lo so, stupido, non riuscivo a dormire. Avevo come un presentimento..." "Emma..." "No, lasciami finire. Di colpo, ho pensato: "Clara si sente male, o le successo qualcosa, o..."." Clara Peck si accasci, sedendosi, sull'orlo del letto, il peso delle parole di Emma che ve la trascinava. A occhi chiusi, fece cenno di s. "Clara," disse Emma, mille miglia lontana "tutto bene l da te?" "Tutto bene" articol alla fine Clara. "Non che ti senti male? Non ti sta andando a fuoco la casa?" "No, no. No." "Sia ringraziato il Signore. Stupida io. Mi perdoni?" "Sei perdonata." "Be', allora... Buonanotte." Ed Emma Crowley riattacc.

Clara Peck rimase seduta, a fissare il telefono per un buon minuto, ascoltando il segnale di libero, e poi - quasi alla cieca - depose la cornetta sulla forcella. Rifece le scale, per guardare verso la botola: era immobile. E silenziosa. Solo un disegno di foglie tremolava e palpitava oltre i vetri della finestra, accarezzandone il telaio. Clara socchiuse gli occhi, fissando la botola. "Vi credete furbi, vero?" disse. Non vi furono, per il resto della notte, fruscii, danze, mormorii o pavane di topi. Ritornarono, tre notti dopo, ed erano... pi sonori. "Non topi," decise Clara Peck "ma ratti d'assalto! Eh?" In risposta, il soffitto esegu un intricato balletto senza musica. Una danza sulle punte, di qualit del tutto peculiare, and avanti fino al calar della luna. Poi, non appena la luce diminu, la casa torn silenziosa, e solo allora Clara Peck riprese a respirare e a vivere. Verso fine settimana, le cadenze misteriose divennero pi geometriche. Il loro rumore echeggiava in ogni stanza del piano di sopra, la vecchia camera da letto, la biblioteca, dove qualche precedente pensionante aveva un tempo sfogliato pagine e spaziato lo sguardo su un mare di alberi di castagno. La decima notte, tutta occhi e niente faccia, con i suoni che arrivavano a scarica di tamburo e spettrali ritmi sincopati, Clara Peck impugn il ricevitore con mano sudata, per telefonare a Emma Crowley. "Clara! Sapevo che mi avresti chiamata!" "Emma, sono le tre di mattina. Non sei sorpresa?" "No, ero a letto, e pensavo a te. Volevo chiamarti, ma non volevo fare la figura della stupida. C' qualche cosa che non va, vero?" "Emma, rispondi a questo: se una casa ha sempre avuto un solaio vuoto, da anni, e poi, tutto d'un tratto si ritrova con un solaio pieno di cose, come si spiega?" "Non sapevo che tu avessi un solaio..." "Chi lo sapeva? Ascoltami, tutto cominciato con un brusio di topolini e poi diventato un rumore di un branco di ratti e adesso sembra una banda di gatti scorrazzanti... Che cosa posso fare?" "Il numero di telefono della Derattizzante Rapida di Main Street ... aspetta un attimo... Eccolo. MAIN settesettenovenove. Sei sicura che c' qualcosa nel tuo solaio?" "Tutti i maledetti concorrenti di una maratona." "Chi viveva un tempo in quella casa, Clara?" "Chi..?" "Cio, stata pulita per tutti questi anni, e adesso, di colpo, infestata. Non morto mai nessuno l?" "Morto?" "Certo, se qualcuno vi morto, forse non si tratta affatto di topi." "Stai cercando di dirmi... fantasmi?" "Non credi che..." "Fantasmi, o le cosiddette amiche che tentano di spaventarmi con essi. Non telefonarmi mai pi, Emma!" "Ma, sei stata tu a chiamare me!" "Riattacca, Emma!" Emma Crowley riattacc. Alle tre e quindici minuti della fredda mattina, Clara Peck scivol in corridoio, rimase l in piedi un attimo, quindi punt l'indice verso il soffitto, quasi in un gesto di sfida. "Fantasmi?" sussurr. I cardini della botola, perduti lass nelle tenebre, sospirarono, lubrificati dal vento. Clara Peck fece un lento dietrofront, torn in camera e, indugiando in ogni movimento, si mise a letto. Si svegli dopo un'ora, perch il vento scuoteva la casa. Fuori, nell'atrio, in corridoio, poteva essere?

Si tese, e tese le orecchie. Con torpida indolenza, flebilmente, la botola nel soffitto della tromba delle scale, cigol. E si spalanc. "Non pu essere" pens la donna. Il portello della botola, in verticale per un attimo, ricadde, con un tonfo. "Lo !" conferm la mente di Clara Peck. Di scatto, ella fugg, si rifugi in camera da letto, ne chiuse a chiave la porta, torn a coricarsi. "Pronto, la Derattizzante?" sent la propria voce chiedere, ansimando nell'immaginario ricevitore impugnato sotto le coperte. Scendendo le scale, alle sei di mattina, dopo la notte insonne, ella ebbe cura di tenere gli occhi fissi in avanti, per non vedere quel maledetto soffitto. A met delle scale, per, si gir, alz gli occhi e trasal. E rise. "Scema!" esclam. Perch il coperchio della botola non era affatto aperto. Era chiuso, chiusissimo. "La Derattizzante?" disse al telefono, alle sette e trenta di una mattina luminosa. Era mezzogiorno quando il camioncino della Derattizzante Rapida si ferm davanti alla casa di Clara Peck. Dal modo con cui Mr. Timmons, il giovane specialista, imbocc e si inoltr lungo il vialetto d'accesso, fu evidente a Clara che egli sapeva tutto in fatto di topi, termiti, vecchie zitelle e strani rumori notturni. Camminando con sdegnosa noncuranza, l'uomo posava lo sguardo sul mondo circostante con la splendida altezzosit mascolina del matador al centro dell'arena, o del paracadutista appena disceso dal cielo, o del seduttore che si accende la sigaretta, ignorando la povera femmina che giace sul letto. Mentre suonava il campanello, egli era il messaggero di Dio. Allorch gli apr, Clara fu l l per richiudergli la porta sul muso, per il modo con il quale gli occhi di lui le mettevano a nudo carne e pensieri. Il sorriso di Mr. Timmons era un sorriso da alcolista, ubriaco di se stesso. C'era solo una cosa da fare: "Non resti l impalato" lo aggred lei. "Si renda utile!". Gir sui tacchi, e fece strada, dando la schiena a quel viso sbalordito. Che pareva stesse studiando la porta. Poi, stranamente, egli entr. "Da questa parte!" disse Clara. Marci impettita nell'atrio, su per i gradini, fino al pianerottolo dove aveva piazzato la scaletta metallica. Protese in alto una mano, indicando: "L c' il solaio. Veda se riesce a scoprire il motivo di quei maledetti rumori. E quando ha finito, non mi sporchi in giro. Si pulisca le scarpe prima di venir gi. Adesso esco per fare la spesa. Posso fidarmi che, mentre sono via, lei non saccheggi la casa?" Poteva vederlo andare fuori di squadra man mano che le sferzate arrivavano. Faccia paonazza, occhi scintillanti. Prima che l'uomo potesse aprire bocca, Clara Peck cal a valle per infilarsi il soprabito. "Ha idea di come fanno rumore i topi in un solaio" fu la freccia del Parto che gli lanci, al di sopra della spalla. "Se ne ho idea? Ci pu scommettere le..." "Moderi il linguaggio, giovanotto! Lei pratico di ratti? Potrebbero essere ratti o qualcosa di pi grosso. Che cosa ci pu essere di voluminoso in un solaio?" "Ha mai visto qui in giro qualche procione?" domand lui. "E come sarebbe entrato lass?" "Che, non conosce casa sua, signora? Io..." Ma a questo punto ammutolirono entrambi. Perch da sopra era venuto un rumore.

Prima, un piccolo accenno di rumore. Poi, come qualcosa che strisciasse. Poi un tonfo, come di un cuore inquieto. Qualche cosa si stava muovendo, su nel solaio. Timmons sbirci verso la botola chiusa, e soffi dal naso. "Ehi!" Clara Peck annu soddisfatta, si infil i guanti, si raddrizz il cappellino, in vigile attesa. "E' un rumore come di..." bofonchi incerto Mr. Timmons. "Come di?" "Ha mai abitato in questa casa un lupo di mare?" chiese l'uomo alla fine. Il rumore si ripet, pi forte. Tutta la casa parve oscillare e gemere sotto il peso che di sopra veniva spostato. "Come un carico, sembra." Timmons socchiuse gli occhi per ascoltare. "Il carico su una nave che si sposta quando la nave cambia rotta." Si mise a ridere e riapr gli occhi. "Buon Dio" esclam Clara, cercando di immaginarsi la scena. "Oppure," prosegu Mr. Timmons, con un mezzo sorriso rivolto al soffitto "non che lei ci ha impiantato una serra l sopra? E' come se ci stessero crescendo delle piante. O magari, del lievito, un bell'ammasso di lievito che sta fermentando e andando per conto suo? Una volta, ho saputo di un uomo che immagazzinava lievito in cantina e..." La doppia porta di rete metallica all'ingresso venne chiusa con fragore. Al di l di essa, Clara Peck, a muso duro per quelle assurdit, disse: "Sar di ritorno tra un'oretta. Veda di non perdere tempo!". Sent la risata seguirla, mentre si avviava lungo il vialetto. Non esit che un istante prima di girarsi a guardare. Il maledetto scemo era ai piedi della scala, e stava guardando in su. Poi alz le spalle, fece un gesto con le mani, di indubbia eloquenza,... Si arrampic su per la scaletta metallica, come un marinaio. Quando, un'ora dopo, Clara Peck fu di ritorno, il camioncino della Derattizzante era ancora fermo davanti casa. "Accidenti" fece lei. "Pensavo che ormai avesse finito. Strano uomo, con quelle arie e quel frasario..." Si ferm e ascolt il respiro della casa. Silenzio. "Strano" borbott. E poi: "Mr. Timmons?". E rendendosi conto di essere ancora a sei metri dalla porta d'ingresso spalancata, raggiunse la soglia e ripet il richiamo. "C' nessuno in casa?" Entr, accolta da un silenzio eguale al silenzio dei vecchi tempi, prima che i topi si fossero trasformati in ratti, e i ratti avessero intrecciato danze, per poi materializzarsi in qualche cosa di pi sostanzioso e misterioso, sull'impiantito del solaio. Un silenzio che, a respirarci dentro, ti soffocava. Sost incerta ai piedi della rampa di scale, sbirciando in su, col pacco della spesa tra le braccia, come un bimbo morto. "Mr. Timmons...?" Ma tutta la casa era muta. La scaletta portatile era ancora parcheggiata sul pianerottolo. Ma la botola era chiusa. "Be', chiaro che lui non l dentro" pens Clara. "Mica ci salito e ci si chiuso. Quell'emerito idiota se n' andato!" Si gir a guardare il camioncino abbandonato sotto il sole. "Il motore non gli sar partito, immagino. Lui andato in cerca di un meccanico." Scaric il pacco delle provviste sul tavolo in cucina, e per la prima volta dopo anni, non sapendo perch, si accese una sigaretta, la fum, ne accese un'altra, e pranz facendo molto

rumore con le casseruole e con eccessivo uso dell'apriscatole elettrico. La casa ascoltava e insisteva nel suo ostinato silenzio. Un silenzio che, per le due del pomeriggio, le grav addosso, vischioso come una colata di cera da pavimenti. "La Derattizzante" disse Clara e form il numero. Il titolare delle Truppe Pesticide arriv in motocicletta, una mezz'ora pi tardi, per ricuperare il camioncino derelitto. Entr, toccandosi la visiera del berretto, per conferire con Clara, constatare che i locali erano deserti, e soppesarne il silenzio. "Il cocco di mamma non vuole sciuparsi, signora mia" disse alla fine. "E' da un po' di tempo che Charlie se la prende comoda. Domani, quando si presenta in ditta, lo mando a spasso. Che ci stava facendo qui?" E guard su, alla scaletta sul pianerottolo. "Oh," si affrett a rispondere Clara "stava controllando un po' dappertutto." "Domani vengo io personalmente" assicur l'uomo. Rimasta sola, Clara Peck sal lentamente le scale, per sollevare la faccia verso il soffitto e fissare la botola. "Neanche lui ti ha vista" bisbigli. In solaio, non una trave si lament, non un topo esegu danze. Lei rimase come una statua, mentre il sole, nel suo cammino pomeridiano, irrompeva dalla porta d'ingresso. "Perch?" si chiese la donna. "Perch ho mentito?" Be', se non altro, la botola era chiusa. "E, non so perch," - fu il secondo pensiero - "non voglio che nessuno salga mai pi su quella scaletta. Non stupido da parte mia? Non un'idea assurda, la mia?" Cen di buon'ora, ascoltando. Lav i piatti, in un'atmosfera di preallarme. Alle dieci and a letto, ma nella vecchia stanza a pianterreno, non utilizzata da molti anni. Perch avesse scelto di dormire l, non sapeva spiegarselo. O, se c'era una ragione, volle ignorarla. Giacque sul letto, con le orecchie doloranti, i battiti del polso e del collo troppo accelerati. Rigida come in una tomba, sotto il lenzuolo, attese. Verso mezzanotte, uno sbuffo di vento agit uno schermo di foglie contro i vetri della finestra. Clara spalanc gli occhi. Le travi della casa tremavano. Clara alz la testa dal cuscino. Sommessamente qualche cosa sussurrava, in solaio. Clara si tir su a sedere sul letto. Il sussurro diventava rumore, ingigantiva, pi forte, pi pesante, come se un grosso, ma uniforme animale si aggirasse nel solaio buio. Clara Peck mise i piedi sul pavimento, se li guard. Il rumore ritorn, su in alto, ora come un trepestio di coniglio in fuga, ora come il tonfo di un cuore spropositato. Usc dalla stanza, sost nell'andito a pianterreno, bagnata in una luce lunare che, simile a una pura fresca mattina, filtrava dalle finestre. Le ciglia palpitanti, le parve le si fermasse il cuore, poi si fece forza, restando immobile. Perch, in quell'attimo sospeso, lentissimamente la botola su in alto si stava schiudendo, si apriva del tutto per mostrarle un quadrato in attesa, nero come un pozzo di miniera che sprofondasse senza fine. "Adesso, ne ho davvero abbastanza!" grid lei. Corse in cucina, ne riemerse in volata, con in mano martello e chiodi, sal i gradini di slancio, si inerpic sulla scaletta metallica. "Non ci credo!" url. "E' ora di finirla, adesso, avete capito? Basta!"

In cima alla scaletta, fu costretta a protendersi all'interno dell'apertura, dentro l'oscurit compatta, con un braccio e una mano. Il che voleva dire che la sua testa spuntava al di l del bordo della botola. "Adesso!" esclam Clara. In quel preciso istante, mentre il capo affiorava e le dita annaspavano sul bordo dell'apertura, avvenne fulminea la pi sorprendente delle cose. Come se qualcuno l'avesse afferrata per i capelli, come se lei fosse stata un turacciolo divelto dal collo di una bottiglia, tutto il suo corpo, le braccia, le gambe, i piedi in equilibrio sull'ultimo piolo, vennero risucchiati su nel solaio. Clara Peck scomparve, come il fazzoletto di un prestigiatore. Come una marionetta, i cui fili fossero afferrati da una forza invisibile, venne aspirata su. Con una violenza tanto subitanea che le sue pantofole rimasero solitarie sui pioli della scaletta. E dopo, non un ansito di terrore, non un grido. Solo un lungo silenzio affannoso. Per non pi di dieci secondi. Poi, senza plausibile motivo, il coperchio della botola ricadde, richiudendosi con un tonfo. A causa del tipo di silenzio che regnava nella vecchia casa, nessuno pi si accorse della botola... Se non dopo che i nuovi occupanti vi ebbero abitato per una decina d'anni. Sull'Orient, diretto a nord Fu sull'Orient Express in marcia verso nord, da Venezia a Parigi e Calais, che l'attempata signora si avvide dello spettrale passeggero. Un passeggero, ovviamente agli ultimi stadi di una malattia mortale. Occupava lo scompartimento 22 sulla terzultima vettura, si era fatto servire i pasti senza uscirne, e solo al crepuscolo si era mosso per prendere posto nel vagone ristorante, circondato dalle ambigue lampade elettriche, dal tintinnio di cristalli, dalle risate delle donne. Vi era arrivato, quella sera, arrancando con terribile lentezza, per sedersi, al di l della corsia, non lontano da quella signora, avanti negli anni, dal seno maestoso come un torrione, la fronte serena, gli occhi animati da una comprensione che il tempo aveva ancor pi addolcita. Una signora che aveva al fianco una borsa nera, di quelle che usano i medici. Dal taschino della giacca di foggia maschile, spuntava la sommit di un termometro. Il pallore dello spettrale viaggiatore le fece portare, per istinto, la mano sinistra a sfiorare quel termometro. "Oh, poverino" sussurr Miss Minerva Halliday. Il maitre stava passando in quel momento. Gli tocc il gomito e accenn con la testa oltre la corsia. "Mi scusi, ma dov' diretto quel povero signore?" "Calais e Londra, madame. Se Dio lo consente." E si invol verso altri tavoli. Minerva Halliday, il cui appetito si era dileguato, sbirci quello scheletro fatto di neve. L'uomo e le posate che aveva davanti parevano tutt'uno. Coltelli, forchette e cucchiai tintinnavano con un freddo suono metallico. Egli sembrava ascoltarli, affascinato, quasi che la voce della sua anima si identificasse con l'inquietudine delle posate: un monotono tintinnare da un'altra sfera. Le mani gli giacevano in grembo, come cuccioli abbandonati, e quando il treno abbord una lunga curva, il suo corpo, senza nerbo, ne segu le oscillazioni, pencolando ora da un lato, ora dall'altro.

Di l a poco, il convoglio entr in una curva pi accentuata, con uno stridore di rotaie e scompiglio rabbioso di posate. Una donna, a un tavolo lontano, grid ridendo: "Io non ci credo!". Al che, un uomo voci con vigore anche pi clamoroso: "Figurarsi io!". Una coincidenza che provoc, nello spettrale passeggero, un'agitazione spaventosa, molto vicina a un collasso. L'ilarit scettica e blasfema gli aveva trapanato i timpani. Parve ritirarsi, restringersi. Gli occhi gli si fecero di una vacuit spaventosa, e si sarebbe potuto immaginare che un vapore gelido gli uscisse dalla bocca ansimante. Sconvolta, Miss Minerva Halliday si protese in avanti, allungando una mano. Ud se stessa mormorare: "Io credo!". L'effetto fu istantaneo. Lo spettrale passeggero torn a sedere eretto. Le gote pallide ripresero colore. I suoi occhi brillarono di un fuoco rinato. Il suo capo ruot; ed egli fiss, al di l della corsia, la miracolosa donna le cui parole guarivano. Arrossendo violentemente, l'anziana infermiera dal caldo seno generoso si ricompose, si alz e fugg fuori dal vagone ristorante. Dopo neanche cinque minuti, Miss Minerva Halliday sent il maitre camminare in fretta lungo il corridoio, bussando alle porte, bisbigliando. Mentre passava davanti alla porta aperta dello scompartimento di Miss Halliday, l'uomo le lanci un'occhiata: "Lei per caso non ...". "No," gli rispose, indovinando la domanda "non sono un medico. Ma un'infermiera diplomata, s. E' quel vecchio signore nel vagone ristorante?" "S, s! La prego, madame, da questa parte!" Lo spettrale passeggero era stato trasportato nel suo scompartimento. Giunta sulla soglia, Miss Minerva Halliday sbirci dentro. E l'uomo era l, disteso sui sedili, gli occhi serrati, la bocca simile a un'esangue ferita, l'unico segno di vita in lui il saltellare della testa ai sobbalzi del treno. "Mio Dio," pens lei "quest'uomo morto!" Ad alta voce disse: "La chiamer se avr bisogno di lei". Il maitre se ne and in fretta. Miss Minerva Halliday chiuse silenziosamente la porta scorrevole, e si chin a osservare il morto - perch di sicuro, era morto. Tuttavia... Finalmente os toccare il polso dove correva solo acqua ghiacciata. Poi si chin a sussurrare su quella faccia cerea: "Mi ascolti con molta attenzione. Si?". In risposta le parve di avvertire l'eco pi tenue di una pulsazione. Continu: "Non so come lo deduco, ma so chi lei, e di che cosa malato...". Di nuovo un'altra curva del treno. La testa dell'uomo ciondol, come se gli si fosse spezzato il collo. "Le dir di quale malattia lei sta morendo!" gli sussurr. "Lei soffre di una sindrome... del prossimo!" L'inquietante passeggero spalanc di scatto gli occhi, dilatandoli fuori dalle orbite. E lei continu: "E' la gente su questo treno che la sta uccidendo. Sono loro la sua condanna". Una parvenza di sospiro scatur dalla ferita chiusa che era la bocca dell'uomo. "Siiiii... iiii." Gli strinse con pi forza il polso, in cerca di un battito. "Lei di qualche paese dell'Europa Centrale, vero? Dove le notti sono lunghe, e la gente ascolta quando il vento soffia?

Ma dove adesso le cose sono cambiate, e lei ha tentato di evadere viaggiando, ma..." Lo spettrale viaggiatore parve avvizzire, perch, in quel momento, un gruppetto di giovani turisti, gasati di vino, aveva fatto irruzione nel corridoio tra un crepitio di risate. "Come fa..." sussurr lui "lei... a sapere... questo?" "Sono un'infermiera speciale con una memoria speciale. Vidi, incontrai qualcuno come lei, quando avevo sei anni..." "Vide?" alit il pallido individuo. "In Irlanda, vicino a Kileshandra. In casa di mio zio, una casa vecchia di cent'anni, piena di pioggia e di nebbia, e a tarda notte si sentivano passi sul tetto, e rumori nell'atrio, come vi fosse entrata la tempesta, e poi, alla fine, quest'ombra entr in camera mia. Sedette sul mio letto, e il gelo del suo corpo rese gelata anche me. Ricordo, e so che non fu un sogno, perch l'ombra che venne a sedersi sul mio letto e mi parl bisbigliando... era tanto... simile a lei." Con gli occhi ora richiusi, il vecchio infermo, dalle profondit della sua anima artica, reag con un dolente mormorio: "E io, chi... e che cosa... sono?". "Lei non malato. E non sta morendo... Lei ..." Il fischio dell'Orient Express ulul, insistente. "... un fantasma" concluse la donna. "Siiiii!" grid il viaggiatore. Era un'enorme esplosione insopprimibile di bisogno, di conferma, di appagamento, che quasi lo fece scattare eretto. "S!" In quel momento, si affacci alla porta un giovane prete, ansioso di espletare la sua missione. Con occhi accesi, labbra umide, una mano stretta sul crocefisso, egli fiss la figura riversa dello spettrale passeggero, ed esclam: "Posso...". "L'ultimo sacramento?" Il vecchio apr un occhio, come il coperchio di una scatola d'argento. "Da lei? No." Lo sguardo gli scivol verso l'infermiera. "Da questa signora!" "Oh!" grid il giovane prete. Indietreggi, afferr il crocifisso quasi fosse il tirante di sicurezza di un paracadute, gir sui tacchi e spar, lasciando la vecchia infermiera a studiare pensosa quel suo paziente, adesso ancora pi singolare. Il quale, alla fine, proffer ansimante: "Come pu, lei, curare me?". "Be'" rispose la donna, con un mezzo sorriso di autocommiserazione. "Dobbiamo trovare il modo." Facendosi procedere da un altro ululato, l'Orient Express affront e macin nuovi chilometri di notte, nebbia e bruma, in cui si immerse di schianto. "Lei va a Calais?" chiese Minerva Halliday. "E oltre. A Dover, Londra, e forse a un castello fuori di Edimburgo, dove sar al sicuro..." "Questo quasi impossibile..." Fu come se gli avesse sparato al cuore. "No, no, un momento!" si affrett ad aggiungere. "Impossibile senza me! Verr con lei a Calais, e poi fino a Dover." "Ma lei non mi conosce!" "Oh, ma l'ho sognato da bambina, molto prima che incontrassi qualcuno come lei, nelle brume e nelle piogge d'Irlanda. A nove anni, gi esploravo la brughiera in cerca del Cane di Baskerville." "S" ammise l'uomo. "Lei inglese, e gli inglesi credono!" "E' vero. Pi degli americani, che dubitano. I francesi? Cinici! Gli inglesi sono i migliori. Difficile vi sia una vecchia casa londinese che non abbia la sua dolente lady fatta di brume che pianga prima dell'alba." Fu interrotta dall'improvvisa apertura della porta scorrevole, che ubbidiva all'inclinazione del treno in curva. Una ventata di frasi inquinanti, di chiacchiericcio delirante, di

quella che poteva essere soltanto empia ilarit, si rivers dal corridoio a riempire lo scompartimento. Lo spettro viaggiante si fece diafano, contraendosi. Scattando in piedi, Minerva Halliday richiuse d'impeto la porta, e si gir a osservare, con la dimestichezza di tutta una vita di notti di veglia, il suo compagno di viaggio. "Dunque," domand "chi lei esattamente?" Ed egli, vedendole in faccia il volto di una malinconica bimba che avrebbe potuto incontrare anni e anni prima, narr la propria esistenza: "Per duecento anni, ho "vissuto" in un luogo fuori di Vienna. Per sopravvivere agli assalti degli atei cos come dei veri credenti, mi sono tenuto nascosto nelle biblioteche, tra pile di volumi pieni di polvere, per nutrirmi di miti e cimiteriali leggende. Ho fatto festini di panico e terrore di cavalli imbizzarriti, di cani latranti, di gatti impazziti... briciole scosse da lapidi tombali. Col passare degli anni, i miei compatrioti del mondo invisibile svanirono uno a uno, mentre i castelli crollavano o i nobili affittavano i loro giardini visitati dagli spiriti a club femminili o tenutari di tavole calde con alloggio. Privati delle nostre dimore, noi, spettrali errabondi dell'universo, siamo sprofondati nel catrame, nelle latrine, in sfere di incredulit, di dubbio, di mortificazione, o di assoluta derisione. Con la popolazione e l'incredulit che aumentavano giorno per giorno, i miei amici spettri sono fuggiti. Io sono l'ultimo che tenta di viaggiare col treno attraverso l'Europa verso un qualche castello sicuro, saturo di pioggia, dove gli uomini siano doverosamente terrorizzati dalla fuliggine e dal fumo delle anime vaganti. Inghilterra e Scozia, per me!" La voce gli si spense in un soffio. "E il suo nome?" chiese l'infermiera. "Non ho un nome" bisbigli lui. "Mille nebbie hanno visitato la terra della mia famiglia. Mille piogge hanno inzuppato la mia tomba. Ci che lo scalpello vi aveva inciso fu cancellato dalla brina, dall'acqua, dal sole. Il mio nome scomparso assieme ai fiori e l'erba e la polvere del marmo." Apr gli occhi. "Perch lo sta facendo? Perch mi sta aiutando?" E allora Minerva Halliday sorrise, udendo che le proprie labbra pronunciavano la risposta giusta. "Perch in tutta la mia vita non mi sono mai concessa uno svago." "Uno svago?!" "La mia esistenza stata quella di un gufo impagliato. Non mi sentivo una monaca, eppure non mi sono mai sposata. Dovendo curare una madre invalida e un padre semicieco, ho finito per diventare un'appendice di ospedale, di letti di moribondi, di gemiti notturni, e di medicine che, per chi sta passando all'al di l, non sono profumi. Cos, sono io stessa una sorta di fantasma, no? E adesso, questa sera, a sessantasei anni, ho trovato in lei un paziente, splendidamente diverso, fresco, nuovo di zecca. Oh, mio Dio, che sfida! Una gara! Io le camminer al fianco, per affrontare la gente, scendendo dal treno, in mezzo alla folla di Parigi, poi sulla nave oltre la Manica..." "Uno svago!" grid lo spettro viaggiante, scosso da spasmi di risa. "Due che se la spassano? S, ecco cosa siamo noi due!" "Per," aggiunse lei "a Parigi, non dove mangiano quelli che se la spassano, mentre arrostiscono i preti?" L'altro chiuse gli occhi, e mormor: "Parigi? Ah, si." Il treno gemeva. La notte passava. E arrivarono a Parigi. E mentre il treno rallentava, un ragazzino, di non pi di sei anni, galopp lungo il corridoio e si immobilizz davanti al loro scompartimento, gettando uno sguardo atterrito al fantomatico passeggero, il quale contraccambi con

un'occhiata glaciale. Il ragazzo lanci un urlo e si invol. L'infermiera corse alla porta per spiarne la fuga. Il piccolo stava farfugliando vibratamente con suo padre, in fondo al corridoio. E il padre super la distanza a passo di carica, gridando: "Che succede qui dentro? Chi ha spaventato...". Si interruppe di colpo. Dalla soglia pos lo sguardo su quello spettrale viaggiatore, sull'Orient Express in frenata nelle sue ultime decine di metri. E anche l'uomo mise freno alla propria lingua. "... mio figlio" concluse. L'evanescente passeggero lo guard in silenzio, con occhi colore della nebbia. "Io..." Il francese si ritrasse, incerto, incredulo. "Vogliate perdonarmi" bofonchi. "Spiacente." Voltatosi, corse a rimproverare il figlio. "Discolo e bugiardo. Prenditi questo!" Il resto fu soffocato dalla porta che si chiudeva. "Parigi!" echeggi l'annuncio lungo il convoglio. "Adesso, silenzio e gambe in spalla!" ammon Minerva Halliday, mentre pilotava il compagno di viaggio, facendolo scendere su un marciapiede mulinante di malumori e valigie disperse. "Mi sto sciogliendo" gemette lo spettro ambulante. "Non dove la sto portando!" ribatt lei, esibendo un paniere da picnic, e lo trasport quasi di peso al miracolo dell'unico taxi ancora disponibile. E, sotto un cielo procelloso, arrivarono al cimitero del Pre Lachaise. I grandi cancelli stavano chiudendosi. L'infermiera sventol un mazzetto di banconote francesi. Uno dei cancelli torn ad aprirsi. Dentro, i due errarono in pace tra diecimila monumenti. Vi era l tanto freddo marmo, si sentiva la presenza di cos tante anime nascoste da dare le vertigini. E l'infermiera fu colta da un improvviso giramento di testa, avvert un dolore lancinante a un polso, una subitanea sensazione di gelo sul lato sinistro del viso. Scosse il capo, rifiutando il malessere. E, fianco a fianco, essi proseguirono, tra le tombe. "Dov' che facciamo il picnic?" domand lui. "Dove capita. Ma, all'erta! Perch questo un cimitero francese! Imbottito di cinici! Eserciti di egotisti che bruciarono esseri di fede diversa, solo per essere bruciati a loro volta, l'anno dopo, per la propria fede. Quindi, attento alla scelta!" Il nebuloso compagno annu. "Questa pietra. Sotto di essa: nulla. Morte assoluta, non un sussurro di tempo. Quest'altra: una donna che credeva in segreto, perch amava suo marito e sperava di rivederlo nell'eternit... qui c' un mormorio dello spirito, il battito di un cuore. E' migliore. Questa terza lapide, adesso: uno scrittore di thriller per una rivista francese. Ma che amava le sue notti, le sue nebbie, i suoi castelli. Questa pietra ha la giusta temperatura, come un buon vino. Quindi, sosteremo su di essa, cara signora, mentre lei lascia respirare lo champagne e aspettiamo di tornare alla stazione." Miss Halliday gli porse giocondamente un bicchiere. "Ma lei riesce a bere?" "Ci provo" accett il bicchiere. "Si deve sempre provare, no?" Poco prima della partenza da Parigi, per poco il fantasma vestito da uomo non "mor". Un gruppo di intellettuali, freschi reduci da seminari sulla "nausea" di Sartre e accaniti nel dissertare ferocemente su Simone de Beauvoir, dilag lungo i corridoi, lasciandosi dietro un'aria vacua e surriscaldata. Il pallido viaggiatore si fece ancor pi pallido. Alla seconda fermata dopo Parigi, altra invasione! Una comitiva di tedeschi sal a bordo, esuberanti nella loro incredulit negli spiriti ancestrali, scettici sulla politica, alcuni avendo sotto il braccio libri intitolati Visit mai Iddio le nostre case?

Il fantasma dell'Orient sprofond ulteriormente nel proprio telaio di ossa: le ossa che i raggi X sanno delineare. "Oh, mio povero amico!" esclam Miss Minerva Halliday, e si precipit nel proprio scompartimento, per tornare con un carico di libri che rovesci sui sedili. "Amleto!" grid. "Suo padre, s? Canto di Natale. Quattro fantasmi! Cime tempestose. Kathy ritorna, va bene? Per esorcizzare le nevi? Ah, Il giro di vite, e... Rebecca. Poi... il mio preferito! La zampa della scimmia. Quale?" Ma il fantasma dell'Orient rest muto. I suoi occhi restavano chiusi, la bocca cucita di ghiaccioli. "Aspetti!" implor lei. E apr il primo libro. Dove Amleto sulle mura del castello, e ode il lamento del fantasma di suo padre, e quindi Miss Halliday lesse le parole: ""E' quasi pronta la mia ora... allorch fra i tormentosi fuochi di zolfo io debba ritornare..."". E ancora: ""Io son lo spettro del padre tuo/ costretto ad errar la notte per qualche tempo..."". E ancora: ""Se mai amasti il tuo caro padre... O, Dio!... Vendica un triste e innatural delitto..."". E ancora: ""Tristissimo delitto..."". E il treno si avvent nella notte mentre ella ripeteva le ultime parole dello spettro del padre di Amleto: ""Su, dunque, addio..."". ""... Addio, addio! Ricordati di me"." E lo spettro dell'Orient ebbe un fremito. Lei finse di non notarlo, ma afferr un altro libro: ""... Marley era morto, tanto per cominciare..."". E il treno dell'Orient romb, superando nel crepuscolo un ponte sopra un invisibile corso d'acqua. Le mani della donna volavano come uccelli, frugando tra i libri. ""Io sono lo Spirito del Natale che fu!"" Poi: ""Il Fantasma del Ricsci emerse dalla bruma e spar trottando nella nebbia..."". E non c'era forse l'eco quanto mai flebile degli zoccoli di un cavallo, che seguiva, inseguiva, uscendo dalla bocca del fantasma dell'Orient? ""Il battito, battito, battito, sotto le pareti del Cuore del Vecchio Chiacchierone!"" disse ella, sommessamente. Ed ecco, come il salto di una rana. Il primo, debole battito del cuore del fantasma sull'Orient, il primo nel corso di oltre un'ora. I tedeschi lungo il corridoio esplosero in una salva di incredulit. Ma Minerva Halliday fu pronta a versare la medicina: ""Il Cane latr, laggi nella Brughiera..."". E l'eco di quel latrato, di quel pianto di estrema desolazione solitaria, proruppe dall'anima, sgorg dalla gola del suo compagno di viaggio. Mentre la notte avanzava e la luna sorgeva, e una Donna in Bianco attraversava il paesaggio, mentre la vecchia infermiera diceva e parlava, e un pipistrello diventava un lupo che diventava una lucertola che scalava un muro sulla fronte dello spettrale viaggiatore. E finalmente, il treno si fece silenzioso nel sonno, e Miss Minerva Halliday lasci cadere sul pavimento l'ultimo libro, con un tonfo che era quello di un corpo. "Requiescat in pace?" sussurr il viaggiatore dell'Orient, a occhi chiusi. "S." Gli sorrise, annuendo."Requiescat in pace." E dormirono. E finalmente raggiunsero il mare.

E c'era la bruma, che si trasform in nebbia, che si tramut in rovesci di pioggia, come una vera cascata di lacrime da un cielo senza pi remore. Il che indusse lo spettrale passeggero a schiodare, aprire la bocca, e mormorare ringraziamenti per il sospirato cielo e la costa visitati da fantasmi della marea, mentre il convoglio scivolava nel ventre metallico ove sarebbe avvenuta la febbrile metamorfosi: un treno completo divenuto una nave completa. Lo spettro gi dell'Orient Express si impunt, ultima figura su un treno ora desiderabile. "Aspetti" grid, lamentoso. "Quella nave! Non ci sono nascondigli l sopra! E' la dogana!" Ma i doganieri non dedicarono che un'occhiata alla pallida faccia ancor pi smorta sotto lo scuro berretto e i paraorecchie e senza perdere tempo concessero all'anima desolata l'accesso al ferry boat. Per immetterla in un inferno di voci blateranti, di gomiti prepotenti, di strati di gente che premeva e spintonava, mentre la nave fremeva e si avviava e l'infermiera constatava come il suo fragile ghiacciolo stesse liquefandosi. Fu una turba di bambini schiamazzanti che la indusse a dire: "Da questa parte, si sbrighi!". E non fece altro che sollevare e trasportare l'inconsistente mole del nuovo amico al centro dello sciame composito di bambine e bambini. "Bambini!" grid poi. I piccoli si fermarono. "E' l'ora delle storie." I giovanissimi stavano per ripartire di slancio, quando lei aggiunse: "E' l'ora delle storie di fantasmi!". E indic, con aria indifferente sino a un certo punto, lo spettrale passeggero, le cui pallide dita da larva tormentavano la sciarpa che gli proteggeva la gola diaccia. "Tutti seduti!" impose l'infermiera. I bambini ubbidirono, in un coro di gridolini eccitati. Tutti intorno al viaggiatore dell'Orient, come indiani attorno al tepee, a osservare dal basso verso l'alto quel corpo, fin dove tempeste di neve sembravano raggelare le temperature nella sua gola ansimante. Quel corpo che oscillava. Minerva Halliday intervenne subito. "Voi ci credete ai fantasmi, vero?" "Oh, si!" fu il grido unanime. "S!" Fu come se un palo di ferro gli avesse raddrizzato la spina dorsale. Il viaggiatore dell'Orient si eresse. La pi minuscola delle scintille brill nei suoi occhi. Rose invernali sbocciarono sulle sue gote. E pi i bimbi si protendevano verso di lui, pi la sua statura aumentava, pi calda appariva la sua pelle. Con un dito di ghiaccio puntato verso le loro facce, egli sussurr: "Io... io... vi racconter una storia terribile. Di un fantasma vero!". "Oh, s!" gridarono i fanciulli. E lui cominci a parlare e la febbre della sua lingua radun nebbie, convoc brume, invit piogge, e i piccoli si davano di gomito, gli si stringevano pi vicini, un letto di tizzoni su cui egli si rosolava lietamente. E durante la narrazione, l'infermiera Halliday, isolatasi vicino alla porta del locale giochi, vedeva quel che vedeva lui al di l del mare tanto agognato, le scogliere spettrali, le scogliere di gesso bianco di Dover, e poco oltre, in attesa, i torrioni dei castelli mormoranti, i recessi fruscianti dei castelli, dove c'erano fantasmi, come sempre c'erano stati, con i solai vuoti pronti ad accoglierli. E, perduta in quella visione, l'infermiera sent la mano correrle a sfiorare il termometro nel taschino. Si tast il polso. Per un attimo, le tenebre le invasero gli occhi. E poi, uno dei bimbi chiese: "Tu chi sei?".

Chiamando a raccolta la propria immaginazione, quasi si trattasse di radunare i brandelli di un impalpabile sudario, egli rispose. Fu soltanto il fischio d'approdo del traghetto che tronc il lungo racconto delle storie di mezzanotte. E i genitori accorsero a recuperare i loro figli, sottraendoli al signore dell'Orient dagli occhi irreali, e le cui parole dolcemente demenziali davano loro i brividi, mentre lui continuava a bisbigliare e bisbigliare, fin quando la nave tocc il molo, finch l'ultimo bambino recalcitrante fu portato via, lasciando soli il vecchio e la sua infermiera nella sala giochi, mentre la nave si fermava, vibrando in deliziosi sussulti, quasi avesse sentito, ascoltato e fanaticamente gustato le storie che preludono l'alba. In cima alla passerella, il viaggiatore dell'Orient disse, con un tocco di rudezza: "No. Non ho bisogno di aiuto per scendere. Guardi!". E si avvi quasi di corsa gi per l'assito. E nello stesso modo con cui quei bambini avevano miracolato il suo colorito, la sua statura, le sue corde vocali, adesso ogni suo passo che lo avvicinava all'Inghilterra lo rinvigoriva. E quando mise piede sul molo, dalle sue esili labbra eruppe un piccolo grido di trionfo, e l'infermiera, alle sue spalle, pur accigliandosi, si ferm e lo lasci trottare verso il treno. E vedendolo procedere spedito, come un bimbo che volesse distanziare gli adulti, ella non pot che restare immobile, inchiodata l da una sensazione deliziosa, deliziosa al punto da non essere solo gioia. Lui correva, il cuore di Minerva Halliday correva con lui. La donna sent una frecciata improvvisa, un dolore mostruoso: un coperchio di tenebre cal su di lei, la fece stramazzare al suolo, inanimata. Affrettandosi, lo spettrale passeggero non si avvide che l'infermiera non gli era pi al fianco o a poca distanza, tanta era l'ansia che lo spingeva. Al treno, egli ansim "Eccoci!" afferrando saldamente la maniglia dello scompartimento. Solo allora avvert la mancanza, il vuoto, e si gir. Minerva Halliday non c'era. Eppure, un istante dopo, lei arriv, sembrando pi pallida di un minuto prima, ma illuminata da un sorriso incredibilmente radioso. Lo salut agitando una mano, per poco non cadde. E questa volta fu lui che dovette sostenerla. "Mia cara, buona signora," le disse " stata tanto gentile." "Ma," ribatt lei, sottovoce, guardandolo, aspettando che la vedesse realmente "io non me ne sto andando via." "Lei...?" "Vengo con lei." "Ma, i suoi piani?" "Sono cambiati. Adesso non devo andare in nessun altro posto." Si volt a met, a guardare con la coda dell'occhio. Sul molo, un gruppo di gente, che andava infoltendosi sollecita, osservava qualcuno giacente a terra. Mormorio di voci, appelli. La parola "dottore" pronunciata a voce alta, insistente. Lo spettrale viaggiatore guard Minerva Halliday. Poi guard la ressa l in fondo, e l'oggetto di tale ressa, l'oggetto riverso a terra: un termometro clinico sbriciolato al suolo sotto i piedi della gente. Riport lo sguardo sull'infermiera, la quale stava ancora fissando il termometro in pezzi. "Oh, mia cara e dolce signora" disse egli, alla fine. "Venga." Lei lo scrut in volto. "Noi due a spassarcela?" chiese. Annu e le rispose: "A spassarcela!". E l'aiut a salire sul treno, che di l a poco si mosse con uno scossone, e poi prese slancio, fischiando, sui binari, verso

Londra ed Edimburgo e le brughiere e i castelli e le cupe notti e i lunghi anni. "Mi chiedo chi fosse" disse lo spettrale viaggiatore, con un'ultima occhiata al capannello di gente sul molo. "Oh, mio Dio," rispose l'infermiera "non l'ho mai saputo realmente." E il treno si lasci alle spalle la stazione. Ci vollero venti secondi buoni perch le rotaie smettessero di tremare. Una notte nella tua vita Dopo aver tenuto una buona media, arriv a Green River, nello Iowa, in una tarda mattinata primaverile, veramente splendida. Avvicinandosi alla citt, la sua Cadillac decappottabile si era scaldata sotto il sole, ma poi egli aveva man mano ridotto la velocit sotto la cupola dei verdi alberi, la profusione di morbide ombre e la frescura frusciante. "Settantacinque chilometri all'ora" si era detto " una velocit abbastanza ragionevole." Lasciando Los Angeles aveva spinto al massimo la sua auto lungo la strada riarsa dal sole, tra canyon di roccia meteoritica, luoghi ove dovevi procedere veloce, perch tutto sembrava aver fretta, essere aspro e tagliente. Ma l, lo stesso verdeggiare dell'aria era come un fiume sul quale nessuna auto poteva correre troppo. Non restava altro che impigrire nella marea del fogliame generoso di ombre, scivolando sull'asfalto, come su una chiatta di fiume diretta a un mare estivo. Alzare lo sguardo attraverso gli alberi maestosi era come giacere sul fondo di uno stagno profondo, lasciando l'iniziativa motrice al flusso dell'acqua. Si ferm per un panino a una tavola calda, ai margini della citt. "Signore Iddio," mormor "sono trascorsi quindici anni da quando sono passato di qui l'ultima volta. Ti dimentichi di quanto veloci crescono gli alberi!" Alto di statura, con un viso affilato e cotto dal sole, i capelli scuri che andavano diradandosi, torn in macchina. "Perch sto andando a New York?" si chiese. "Perch non rimango qui sdraiato sull'erba, infischiandomi di tutto?" Attravers lentamente la vecchia citt. Vide un treno arrugginito su un vetusto binario morto, il suo fischio silenzioso da anni, la sua caldaia in disuso da chiss quando. Osserv la gente entrare e uscire da case e negozi, con la lenta indolenza di chi galleggia in un grande mare di acqua tiepida e limpida. Un mondo ricoperto di muschio, cos che ogni movimento si attutiva morbido e silenzioso. Era una citt a piedi scalzi, alla Mark Twain, dove l'infanzia indugiava senza anticipazioni e la vecchiaia arrivava senza rimpianti. "Sono contento che Helen non sia venuta con me" pens. Poteva sentirla ancora adesso: "Mio Dio, questo posto un buco. E' mai possibile? Guarda quei bifolchi. Di, accelera. Dove diavolo New York?". Scosse la testa, chiuse gli occhi, e Helen era a Reno. Le aveva telefonato la sera prima. "Aspettare il divorzio non tanto male. E' Reno che fa schifo. Meno male che c' la piscina dell'albergo. Be', e tu che stai facendo?" "Sto andando all'est, a lente tappe." Il che era una bugia. Stava filando all'est come una palla di schioppo, per chiudere col passato, per lasciarsi alle spalle quante pi cose poteva. "Guidare divertente."

"Divertente?" aveva ribattuto Helen, mille miglia lontana nell'arsura di Reno. "Quando avresti potuto prendere l'aereo? Le quattro ruote sono una tale barba!" "Tanti saluti, Helen." Usc di citt. Secondo i programmi, sarebbe dovuto arrivare a New York in cinque giorni, per discutere del copione che non aveva alcuna voglia di scrivere per Broadway, per poi tornare di volata a Hollywood, in tempo per non gioire alla fine di un soggetto cinematografico, e quindi precipitarsi a Mexico City, il prossimo dicembre, per una breve vacanza. "A volte" mugugn "sembro uno di quelle castagnole messicane che guizzano tra le case, attaccate a un filo, dal modo con cui sbatto la testa contro un muro, rimbalzo via per scontrarmi contro un'altra parete." Si trov di colpo a filare a 120 all'ora, e rallent giudiziosamente a 60, attraverso la campagna ondulata e verdeggiante, sotto la luce di mezzogiorno. Inspir a pieni polmoni l'aria pulita, accost e si ferm sul bordo della strada. In lontananza, tra alberi enormi, in cima a un'altura erbosa, gli parve di vedere camminare, ma immobile nello strano riverbero della calura, una giovane donna che subito scomparve, lasciandolo incerto fra miraggio o realt. Era l'una del pomeriggio, e la terra era piena di un ronzio, come di una grande centrale elettrica. Davanti a lui, ai finestrini della macchina, guizzavano aghi luminosi, simili ad aculei di sole. Sciami di api, e l'erba inchinata sotto un vento gentile. Apr lo sportello e scese nell'abbraccio della calura. Un sentiero solitario cantava a se stesso suoni di scarabei ubriachi di sole, e, a una cinquantina di metri dalla strada, si stagliava un folto verde e ombroso, da cui spirava una corrente di piacevole aria fresca. Da ogni parte, colline di trifoglio, in ondulanti sequenze, e cielo aperto. Indugiando l, a lui pareva che si dissolvesse il peso che gli gravava addosso, e che lo stomaco gli si liberasse dalla morsa, e il tremito delle dita scomparisse. E poi, pi lontano ancora e all'improvviso, in cammino su per una collina boscosa, attraverso un'apertura del fogliame, scorse di nuovo la giovane donna, un passo dopo l'altro, immersa nella calda distanza, procedere e sparire. Chiuse lentamente le portiere. Senza affrettarsi entr nel folto degli alberi, attratto da un suono che pareva poter colmare l'universo, il suono di un fiume che fluiva, con indifferenza, verso una meta sconosciuta; il suono pi bello di qualunque altro. Quando trov il fiume, erano ombre e luce ad alternarsi. Si svest e nuot, poi si distese sul greto ghiaioso ad asciugarsi, in una dolce rilassatezza. Si rivest, indolente, e poi avvert il ritorno del vecchio desiderio, il vecchio sogno di quando aveva diciassette anni. Che aveva confidato, e molte volte ripetuto, a un amico: "Mi piacerebbe camminare in una notte di primavera, sai, una di quelle notti che sono sempre calde fino all'alba. S, camminare. Con una ragazza. Andare avanti per un'ora, per arrivare in un posto dove puoi appena vedere e sentire qualcosa. Salire una collina e sedervi in cima. Guardare le stelle. Tenendo tra le mie la mano della ragazza. Mi piacerebbe sentire il profumo dell'erba e del grano nei campi, e sapere di essere al centro del Paese, al centro esatto degli Stati Uniti, ma con le citt e le autostrade lontanissime, e senza che nessuno sappia che noi due siamo l, in cima alla collina, sull'erba, a contemplare la notte. "E sarebbe gi bello il solo fatto di tenerle la mano. Puoi capire questo? Sai che tenere la mano di qualcuno pu essere una cosa importante? Una cosa che le tue mani accarezzano pur senza muoversi. Una cosa cos la puoi ricordare, pi di ogni altra, per tutta la vita. Unicamente, tenersi per mano pu avere un significato del genere, insuperabile. Io ci credo.

Quando tutto ripetitivo, si perpetua, diventa abitudine, sono le prime cose che contano anzich l'ultima. "Cos," aveva continuato "mi piacerebbe rimanere seduto lass, senza dire una parola. Non vi sono parole per una notte come quella. Io e lei neanche ci guarderemmo. Vedremmo le luci della citt lontana, sapendo che altre persone, prima di noi, hanno scalato altre colline, e che nulla di meglio al mondo esiste. Nulla potrebbe essere migliore; tutte le case e le cerimonie e le garanzie che ti pu dare il mondo sono nulla in confronto di una notte come quella. Le metropoli e la gente nelle stanze di quelle case cittadine sono una cosa quando scende la notte; le colline, l'aria aperta, le stelle e la mano nella mano sono qualcosa d'altro. "E poi, alla fine, senza parlare, lei e io gireremmo il capo, alla luce della luna, e ci guarderemmo l'un l'altra. "E rimanere cos, su quella collina, tutta la notte. C' qualcosa di male in questo? Puoi onestamente dire che vi sia qualcosa di male?". "No," aveva risposto una voce "l'unica cosa di male in una notte come quella che dici tu, che esiste un mondo, al quale tu devi tornare." Era stato il suo amico, Joseph, a parlare, quindici anni prima. Caro Joseph, con cui egli aveva discusso, per cos tanti giorni della loro adolescenza filosofeggiante, dei loro problemi di enorme importanza. Adesso Joseph, sposatosi, era stato ingoiato dalle nere vie di Chicago, lontano dall'amico del cuore che il tempo aveva trascinato a ovest, e tutta la loro filosofia non era servita a niente. Gli venne in mente il mese successivo al suo matrimonio con Helen. In macchina, erano partiti per un lungo viaggio attraverso il Paese, la prima e l'ultima volta in cui lei aveva accettato di sottoporsi al "bestiale" - come lo aveva definito trasferimento sulle quattro ruote. In sere di luna avevano attraversato le terre del grano e le terre del mais del Middle West, e una volta, all'imbrunire, guardando dritto davanti a s, lui, Thomas, aveva chiesto: "Che ne dici, ti piacerebbe passare la notte all'aperto?". "All'aperto?" aveva ripetuto Helen, sbalordita. "Qui" aveva confermato lui, con grande sfoggio di indifferenza. Aveva accennato dal margine della strada. "Guarda quei prati, quelle colline. E' una notte calda. Sarebbe bello dormire all'aria aperta." "Mio Dio" era stato il grido di Helen. "Non starai parlando sul serio?" "Era solo un'idea..." "Questi maledetti posti sono pieni di serpenti e di insetti. Un bel modo di passare la notte a farmi scorticare le calze, rischiando di violare qualche propriet privata..." "Nessuno verrebbe mai a saperlo." "Ma lo saprei io, mio caro!" "Ripeto, era solo un suggerimento." "Tom caro, stavi solo scherzando, vero?" "Dimentica che abbia aperto bocca" aveva concluso lui. Avevano proseguito sotto uno splendido chiarore lunare sino a un piccolo motel, bollente come un forno, dove le falene impazzivano contro le lampadine non schermate. In una cameretta che puzzava di vernice fresca, vi avevano trovato un letto di ferro. Erano stati deliziati per tutta la notte dai canti dei patiti di birra nel bar, e dal rombo degli autotreni, incessante sulla strada, fino all'alba... Si avvi nel bosco verdeggiante, tendendo l'orecchio ai vari silenzi che vi regnavano. Non un solo silenzio, ma parecchi: quello del muschio sotto i piedi, quello delle ombre da albero ad albero, il silenzio di un piccolo ruscello in esplorazione di pezzetti di terreno, i silenzi che lo attorniavano mentre sbucava su una radura.

Trov qualche fragola e la mangi. "Che la macchina vada a farsi benedire" pens. "Me ne infischio se me la portano via, smontata pezzo per pezzo. Me ne frego se la ritrovo squagliata dal sole." Si sdrai a terra, la testa affondata tra le braccia, e si addorment. La prima cosa che vide svegliandosi fu l'orologio che aveva al polso. Le sei e tre quarti. Aveva dormito praticamente tutto il pomeriggio. Fresche ombre erano scivolate attorno a lui. Rabbrivid, pens di mettersi seduto e restarvi. Invece rimase sdraiato, con il viso appoggiato agli avambracci, guardando davanti a s. La ragazza, seduta a pochi metri da lui, con le mani in grembo, sorrise. "Non ti ho sentita arrivare" le disse. Era stata attenta a non fare rumore. Per una ragione, inspiegabile fra tutte le ragioni del mondo, Thomas si sent battere il cuore forte e veloce. Lei rimaneva in silenzio. Lui si gir sulla schiena e chiuse gli occhi. "Abiti qui nei paraggi?" S, non molto lontano da l. "Nata e cresciuta qui?" Non era mai stata in nessun altro posto. "E' bello qui." Un uccello vol posandosi su un albero. "Non hai paura?" le chiese. Aspett una risposta che non venne. "Tu non mi conosci." Ma, d'altra parte, neanche lui conosceva lei. "Ma differente" ribatt Thomas. Perch era differente? "Oh, be', cos." Dopo un'attesa che gli parve durare mezz'ora, lui apr gli occhi e la guard a lungo. "Sei reale, no? Non che sto sognando?" Lei voleva sapere dove fosse diretto. "Da qualche parte, dove non ho voglia di andare." S, la stessa cosa che diceva tanta gente. Tanti passavano di l, per proseguire verso un posto che non amavano. "Io sono uno di quelli" conferm lui. Si mise in piedi lentamente. "Sai una cosa? Me ne accorgo solo adesso. E' da stamattina presto che non mangio." La ragazza gli offr pane, formaggio e crostatine che si era portata dalla citt. Restarono in silenzio mentre Thomas mangiava. Fu un pasto che consum con estrema lentezza, timoroso che un movimento, un gesto, una parola potessero farla fuggire. Il sole era ormai tramontato, l'aria si era fatta pi fresca e l'uomo era molto attento a non rompere il momento magico. La guardava, ed era bella: ventun anni, bionda, radiosa di salute, gote rosate, e seria. Il cielo indugiava nel ricordo dei colori del sole ora sparito, mentre loro due sedevano nella radura. Poi, egli ud un fruscio. La ragazza si stava alzando, e gli porgeva una mano perch lui la prendesse. Ritto al fianco di lei, ne accompagn lo sguardo che spaziava sui boschi intorno e le colline lontane. Presero a camminare, allontanandosi dal sentiero, dalla strada asfaltata, dalla citt. Una luna di primavera accompagnava i loro passi. Il respiro della sera alitava da ogni singolo filo d'erba, caldo sospiro dell'aria, placido e infinito. Raggiunsero la cima della collina, e, senza una parola, sedettero a contemplare il cielo. Thomas si disse che questo era impossibile, che cose del genere non accadevano; si chiese chi fosse la ragazza, e che cosa ci facesse l.

A quindici chilometri di distanza, un treno fischi nella notte primaverile e prosegu il cammino attraverso l'oscurit, dardeggiando per un istante un guizzo di fuoco. E poi, di nuovo, lui ricord la vecchia storia, il vecchio sogno, la cosa che, assieme all'amico, aveva discusso tanti anni prima. Ci deve essere una notte per ognuno, una notte nella tua vita che ricorderai per sempre. E se tu sai che la notte sta venendo, e che questa notte sar quella notte particolare, allora afferrala, non porle domande, e, dopo di essa, non farne parola con alcuno. Perch, se la lasci fuggire via, essa potrebbe non tornare un'altra volta. Molti l'avevano lasciata andare via, molti l'avevano vista dileguarsi e non ne avevano pi vista un'altra, cos come quando tutte le circostanze di tempo, luce, luna e momento, di collina notturna e di erba calda, e il treno e la citt e la distanza erano in miracoloso equilibrio sulla punta di un dito. Pens a Helen, e pens a Joseph. Joseph. "Si era mai avverato per te, amico mio? Ti sei mai trovato al posto giusto nel momento giusto, e tutto ti andato bene?" Non c'era modo di saperlo. La citt di mattoni e cemento s'era preso Joseph, imprigionandolo nelle viscere della metropolitana, di cupi ascensori, nel parossismo dei rumori. Quanto a Helen, non solo lei non aveva mai conosciuto una notte come questa, ma non l'aveva mai concepita, non c'era nella sua mente un posto per sognare una cosa del genere. "Eccomi qui, dunque," pens quietamente "a migliaia di chilometri da tutto e da tutti. " Attraverso il morbido paesaggio della notte venne il suono di un orologio campanario che scandiva l'ora. Uno, due, tre. Da uno di quei grandi municipi di pietra che si ergevano sul quadrato erboso di ogni piccola citt americana sin dalla fine del secolo, fresca pietra in estate, alta nel cielo notturno, con quattro quadranti rotondi scintillanti in ogni direzione. Cinque. Sei. Cont i bronzei rintocchi, i quali tacquero sul nove. Le nove di una sera di tarda primavera, su una collina calda e alitante, illuminata dalla luna, la sua mano che toccava un'altra mano, il pensiero: "Quest'anno ne compio trentatr. Ma non arrivata troppo tardi e non lascer che trascorra invano: questa la notte". Lentamente, adesso, cautamente, come una statua che si animasse, girando pian piano la testa, egli vide la ragazza rivolgere gli occhi verso di lui. Le due teste che si avvicinavano, come era avvenuto tante e tante volte nella sua immaginazione. Indugiarono a guardarsi, a lungo. Si svegli durante la notte. Lei era sveglia, al suo fianco. "Chi sei?" le bisbigli. Lei tacque. "Potrei fermarmi per un'altra notte" aggiunse Thomas. Ma sapeva che uno non poteva restare un'altra notte. Una notte la notte, e soltanto quella. Dopo, gli di voltano le spalle. "Potrei tornare tra un anno." La ragazza aveva gli occhi chiusi, ma non dormiva. "Ma non so chi sei" insist. E poi: "Potresti venire con me. A New York". Ma sapeva che lei non sarebbe mai potuta essere a New York o altrove, bens soltanto qui, in questa notte. "E io non posso restare" sapendo che questa era la parte pi vera e desolata di tutto quanto. Attese, e poi ripet: "Sei reale? Sei veramente reale?". Dormirono. La luna scese dal cielo, verso l'alba. E all'alba, lui lasci la collina e il bosco, per trovare l'auto coperta di rugiada. Apr la portiera, sedette al volante, e rimase un attimo a guardare il sentiero che aveva tracciato nell'erba bagnata. Lo assal l'impulso di scendere di nuovo a

terra. Mise la mano sulla levetta all'interno dello sportello, e frug fuori con lo sguardo. Vuoto il bosco, e immobile, deserto il sentiero, la strada asfaltata tranquilla e serena. Per migliaia di chilometri nulla sembrava muoversi. Avvi il motore, e lo lasci borbottare, in folle. Il cofano puntava verso oriente, dove il sole arancione stava sorgendo, lento. "Va bene" sussurr. "Voi tutti, ecco che arrivo. Che peccato siate ancora tutti vivi. Che peccato che il mondo non sia tutto e soltanto colline e colline, e che altro non ci sia che guidare su quelle colline, senza mai arrivare in una citt." Ingran la marcia e acceler verso est. Senzavoltarsi. A ovest di October Verso la fine dell'estate, i quattro cugini, Tom, William, Philip e John, erano venuti a far visita alla Famiglia. Non c'era posto nella vecchia grande casa, e quindi essi vennero sistemati su brandine nel granaio che, di l a poco, doveva prendere fuoco. C' da dire che la Famiglia non era una famiglia che rientrasse nella regola. Ogni suo componente era pi straordinario dell'altro. Affermare che, per lo pi, essi dormivano di giorno e si dedicavano a singolari lavori notturni, premessa opportuna. Precisare che alcuni di loro potevano leggere il pensiero altrui, e che altri volavano con i fulmini per atterrare con le foglie, sarebbe minimizzare la verit. Aggiungere che parte di essi non potevano essere visti riflessi negli specchi, mentre altri potevano essere riflessi nello stesso specchio in diverse forme, grandezza e materia, non sarebbe che ripetere voci che rasentavano il vero. Vi erano zii, zie, cugini, e nonni con la stessa abbondanza che caratterizza i funghi velenosi e quelli mangerecci. E all'incirca di tutti i colori che potresti mettere assieme in un'alacre nottata nei boschi. Alcuni erano giovani, altri esistevano da quando la Sfinge aveva affondato le sue zampe di pietra nella sabbia marina. In complesso era, per quantit, estrazione, tendenze e talento, la pi incredibile e miracolista masnada. E la pi incredibile tra essi era: Cecy. Cecy. La ragione, la ragione vera, la ragione determinante perch ogni membro della Famiglia venisse in visita, ma non solo in visita, bens per pendere dalle sue labbra e restarci appeso. Perch lei era sfaccettata come una melagrana. Il suo talento era specifico ma caleidoscopico. Lei possedeva tutti i sensi e i sentimenti di tutte le creature del mondo. Lei assommava tutti i cinema e i teatri e tutte le gallerie d'arte del tempo. A lei potevi chiedere quasi ogni cosa, e lei te ne faceva dono. Le chiedevi di svellerti l'anima, come un dente cariato, e di spedirtela tra le nuvole per darle pace, ed ecco che eri proiettato e aspirato in alto, a condensarti insieme con le nuvole e scioglierti come pioggia a fecondare prati e fare sbocciare fiori. Le chiedevi di prendersi la suddetta anima e di incorporarla nella linfa di un albero, e la mattina dopo ti svegliavi con le tue propaggini cariche di mele, e con uccelli canterini tra le foglie verdi della tua testa. Le chiedevi di farti vivere in una rana, e trascorrevi i giorni a fior d'acqua, e le notti a gracidare strane canzoni. Le chiedevi di trasformarti in pura pioggia, e cadevi irrorando ogni cosa. Volevi essere la luna, e di colpo eri lass a guardare in basso, e vedevi la tua pallida luce riflessa

imbiancare citt perdute, del colore delle pietre tombali, delle tuberose e di spettri. Cecy. La quale ti estrapolava l'anima, ne estraeva la saggezza che vi era compressa, per trasferirla in animale, vegetale o minerale. Nessuna meraviglia di quei raduni di consanguinei e affini. Non stupiva che essi rimanessero a lungo dopo il pranzo, dopo la cena, facendo la mezzanotte, settimana dopo settimana! E adesso, ecco arrivati i quattro cugini. In effetti, gi al tramonto del primo giorno di permanenza, ognuno dei quattro disse: "Allora?". Erano allineati davanti al letto di Cecy, nella grande casa, dove lei riposava per lunghe ore, sia di notte sia di giorno, tanta era la richiesta di esibizione dei suoi talenti da parte della Famiglia e degli amici. "Allora," disse Cecy, a occhi chiusi e con un sorriso che scherzava sulle sue adorabili labbra "quali sarebbero i vostri desideri?" "Io..." disse Tom. "Magari..." dissero William e Philip. "Non potresti..." disse John. "Farvi fare una visitina al locale manicomio," dedusse Cecy "a razzolare dentro i cervelli di gente molto strana?" "S!" "Detto e fatto!" acconsent la loro cugina. "Andate a sdraiarvi sulle vostre brande nel granaio." I quattro si precipitarono. Si distesero. "Cos. E adesso, su! Si parte!" grid lei. Come tappi, schizzarono via le loro anime. Come uccelli, esse volarono. Come lucenti invisibili aghi, sparati in varie e assortite orecchie che popolavano il manicomio ai piedi della collina, al di l della valle. "Ah!" gridarono esse, deliziate per quello che


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