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PRATICHE

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Tra Marconi e SiloneSiamo ad Avezzano, nella piana del Fucino. Qui, per la prima volta in Italia, forse in Europa, si svolge un master universitario residenziale all’interno di un centro spaziale: nel bacino di un antico lago preistorico sorge il centro Telespazio ‘Piero Fanti’, il più grande interporto al mondo per le telecomunicazioni satellitari civili. Qui, come in un campo di enormi girasoli meccanici, sono piantate e puntate al cielo cento parabole, alcune con un diametro di trenta metri. Accanto a una di queste antenne, poggiata su di una piattaforma di cemento a forma d’onda, emerge incredibilmente la carcassa di una nave, consegnata dalla storia a questo luogo: è la reliquia dell’Elettra, il battello su cui Marconi condusse i primi esperimenti di telecomunicazione. In un silenzio lunare, qui il cielo confina con la terra, le antenne captano i segnali dai satelliti, le stazioni li elaborano e li rilanciano per il mondo, la curva della superficie terrestre diventa una invisibile linea diritta che tutto connette; il lancio, la traiettoria e la performance dei satelliti vengono monitorati e gestiti da operatori satellitari in turno h 24.

In questo luogo la società Telespazio ha riorganizzato un’ala della stazione spaziale per destinarla al centro di alta formazione, una scuola di ‘space ma-nagement’. Gli alloggi residenziali, esclusivamente riservati agli allievi, sono stati allestiti nel vicino piccolo comune di Pescina: un intero nobile edificio del centro storico, a pochi passi dalla casa natale di Mazarino e di Silone e dal museo che amore-volmente i cittadini hanno dedicato ai suoi ricordi (quanti lo conoscono in Italia?). Un accordo costruito con

l’amministrazione comunale ha consentito in tempi record di completare la ristruttura-zione dell’edificio e di arredare, a cura dell’azienda, le stanze dei suoi tre piani, ciascuno dotato di una sala comune, cucina e internet point. Travi di castagno, pietre, cotto e ferro sono i tratti di un’architettura che sa di buona minestra, di radici e di cose vere, ingre-dienti di vita e storia che faranno anch’essi parte dell’avventura formativa dei giovani partecipanti. Un master di futuro e di passato. Telespazio, Thales-Alenia Space, Selex-communications, le aziende del Gruppo Fin-meccanica operanti nel settore dello spazio e delle telecomunicazioni sono accomuna-te non solo dalla sofisticata complessità delle loro tecnologie, ma anche da uno storico

Francesco Perillo ha maturato una trentennale esperienza nella Direzione del Personale in Italia e all’estero nell’ambito del Gruppo Finmeccanica. È Direttore della Fondazione Space Academy, e docente di Gestione Risorse Umane all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Collabora con la Luiss Guido Carli e altre business school. È autore di La leadership d’ombra, Guerini e Associati 2005. Di prossima uscita per le edizioni Guerini il libro L’insostenibile leggerezza del management, dedicato alle best practices per l’impresa che cambia.

Competenze per la gestione della complessitàdi Francesco Perillo

Telespazio, Thales Alenia Space, Selex-communications –le aziende del Gruppo Finmeccanica operanti nel settore dello spazio e delle telecomunicazioni– sono accomunate non solo da una sofisticata complessità tecnologica, ma anche da uno storico radicamento nel comprensorio abruzzese, un’area di sviluppo debole in cui tuttavia allevamento, agricoltura, artigianato e cultura coesistono, in una sintesi forse unica in Italia, con processi ad alta tecnologia. Alla fine del 2005, queste aziende hanno promosso con i tre atenei della regione Abruzzo un Master post universitario di 2° livello per 15 laureati di eccellenza.

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radicamento nel comprensorio abruzzese, un’area di sviluppo debole in cui allevamento, agricoltura, arti-gianato, tecnologia e cultura coesistono in una sintesi forse unica. Alla fine del 2005 queste aziende hanno promosso in partnership con i tre Atenei della regio-ne Abruzzo –L’Aquila, Chieti-Pescara e Teramo– un master post universitario di 2° livello per 15 laureati di eccellenza. Un’esperienza di successo che si ripete da quattro anni, facilitando la realizzazione del sogno nel cassetto di giovani provenienti dall’Abruzzo come da ogni parte d’Italia: l’accesso al mondo dello Spazio.

Il master ‘Space and communications systems’La marcia in più di questa iniziativa sta nella realizzazione di un network tra le tre aziende del Gruppo Finmeccanica e le tre Università regionale del territorio, con il dichiarato obiettivo di formare profili professionali non disponibili su nessun mercato: quelli di ‘gestori della complessità’, profili costruiti attraverso un master in ‘Processi e tecni-che di gestione di sistemi complessi nei settori dello Spazio e Telecomunicazioni’, con un’offerta didattica originale che mira a finalizzare la preparazione di laureati sia in di-scipline scientifiche sia gestionali. Obiettivi formativi che, come recita il Bando, puntano, “allo sviluppo di figure pro-fessionali in grado di comprendere e gestire le complessità e le opportunità di business legate allo spazio e alle telecomuni-cazioni, di operare in una logica di interfunzionalità orien-tata ai processi, rispondendo pienamente alle esigenze di un mercato competitivo in fase di internazionalizzazione”.

Persone capaci di bilanciare competenze tecniche e ge-stionali, tecnologia ed economia, vita personale e im-pegno, per operare in modo integrato e interfunzionale in un contesto di forte spinta all’innovazione e all’in-ternazionalità: questo il ‘profilo di uscita’. Non una mansione, ma una capacità, conseguibile al termine di un impegnativo percorso annuale in cui a essere messa alla prova non è tanto la preparazione teorica quanto l’attitudine ad affrontare la ‘complessità’ dei processi con cui oggi le nostre aziende necessariamente devono confrontarsi.

La struttura didatticaNon solo, dunque, le conoscenze, ma la capacità di connettere le diverse discipline, di parlare ciascuno il linguaggio dell’altro: i geologi quello degli ingegneri ambientali, gli elettronici quello degli economisti, que-sti quello degli informatici. Le lauree di livello specia-listico ammesse al Master spaziano infatti da Fisica a Matematica, Informatica, Scienze dell’economia, In-gegneria, Scienze geologiche, Tecniche e metodi per la società dell’informazione.Le aree tematiche sono state progettate come learning objectives autoconsistenti, non legati da una logica consequenziale, in modo da favorire la partecipazione anche parziale a singoli moduli del master di risorse interne alle aziende del network, in particolare di lau-reati di recente inserimento o in contratto di sommini-strazione. I contenuti formativi sono invece veicolati in

Master - Space & Comunications System

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cinque streamline: Basi di conoscenza (in Figura l’area in giallo), mattoni comuni del sapere spaziale condivisi anche dai laureati non tecnici; Scenari e mercato (area viola), indispensabile visione d’insieme del contesto di business anche per i laureati di estrazione tecnica; Gestione della complessità (area verde), vero cuore del master, centrato sia sul sistema di Qualità che sulle me-todiche del System engineering e del Project manage-ment, considerati gli assi portanti delle professionalità nelle imprese high tech del Gruppo; Sistemi complessi (area in rosso), per la conoscenza delle specifiche tecno-logie satellitari ed alle loro applicazioni; Gestione della Conoscenza e risorse umane, modulo traversale al Ma-ster, per lo sviluppo delle competenze organizzative e la condivisione del know-how.

La nuova frontiera della competenzaLe nostre aziende, che operano sul front-end della tec-nologia in un mercato di competizione sempre più glo-bale, cominciano a richiedere sempre meno specialisti e più integratori. È una tendenza speculare alla crescente convinzione che non basti essere bravi manager, perché le turbolenze sono ormai più delle certezze e le varian-ze da risolvere più delle procedure che prescrivono. Si cercano invece leader capaci di trasformare processi e modi di fare, di spingere le cose al di là del ‘si è fatto sempre così’, di gestire obiettivi contraddittori e spesso ambigui, di esprimere una evidente capacità relazionale oltre ogni barriera organizzativa o culturale, spingen-dosi anche al di là degli stessi confini dell’azienda, verso i partner, i co-fornitori, i clienti, il network operativo dell’azienda. Operare in questo contesto in progetti internazionali richiede necessa-riamente il possesso di alcune personali ed essenziali caratteristiche: il gusto della sfi-da, la curiosità di confrontarsi con culture e mentalità diverse, la motivazione a puntare sempre all’eccellenza: in sintesi la voglia di volare ‘fuori dal nido’.Il Gruppo Finmeccanica è una realtà in-dustriale unica per tecnologia, posiziona-mento sui mercati internazionali, capaci-tà di innovazione e di valorizzazione del capitale intangibile. Nata come holding finanziaria sotto il controllo dell’Iri, met-tendo insieme filiere diverse di business, dall’energia ai trasporti all’elettronica industriale, all’aerospazio, alla difesa, as-sorbendo poi le attività del gruppo Efim, Finmeccanica si è trasformata poi in vera holding industriale, dirigendo le aziende controllate senza comprimerne il brand e la responsabilità gestionale, mediante l’adozione di una serie di best practices comuni basate sul rigoroso controllo dei processi e delle leve di creazione del va-lore. Una grande multinazionale italiana, con più di 50.000 dipendenti, di cui un terzo all’estero.

La costruzione di una solida unità gestionale pur nella diversità di storia e di business delle aziende controllate non passa solo attraverso i classici meccanismi di con-trollo di una Corporate, ma è resa vitale dalla forza di gravità dei suoi valori. L’eccellenza tecnologica innanzi-tutto, in quanto espressione evidente del capitale intel-lettuale e umano del Gruppo, fortemente ‘engineering oriented’: vi operano più di 10.000 ingegneri, il 15% del fatturato è investito in ricerche e sviluppo, l’innovazio-ne è il terreno più naturale della competizione sugli sva-riati mercati in cui operano tutte le aziende del Gruppo. Il Valore come modello di gestione: in forza del quale i project manager e i controller guidano programmi complessi, spesso pluriennali, sulla difficile rotta della redditività. L’internazionalizzazione: un dato divenu-to irreversibile per il Gruppo, un orientamento stra-tegico che esprime la volontà di saper competere con i big players del settore su ogni mercato, gara dopo gara, ma anche di saper cooperare nelle alleanze, nelle joint venture, nella gestione di programmi internazionali, gomito a gomito con professionisti di culture diver-se, mantenendo sempre allo stato dell’arte le proprie competenze. Forse quest’ultimo rappresenta proprio il ‘business driver’ più critico per la cultura organizzativa di aziende nate e cresciute sotto l’ala protettrice dello Stato, abituate in passato a portafogli ordini garantiti dalle grandi commesse pubbliche, a ricapitalizzazioni a costo zero, e poi repentinamente passate nel corso degli anni ’90 attraverso pesanti processi di ristrutturazione, che hanno lasciato un segno sul clima e sulla capacità reattiva.

Il radicale cambiamento è ora, semplicemente, ‘stare sul mercato’. Tutto qui. Un diffuso bisogno di leadership come piattaforma su cui ricostruire, voglia di fare e non di guardare, di ar-rivare su ogni cosa un minuto prima dei competitori:

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una leadership tecnica, gestionale, di processo, che non nasce dal nulla, ma affonda le radici nell’esperienza dei tecnici e dei manager. Una competenza e un approccio al lavoro che stenta ad affermarsi nei senior manager e che per le nuove generazioni occorre cominciare a co-struire in casa.

Una Space AcademyTelespazio oggi ha quarant’anni e dai suoi primi passi fino alla maggiore età è stata nutrita dal Ministero delle Poste che le affidò per oltre un ventennio il monopolio delle comunicazioni satellitari in Italia. Oggi l’azienda, che ha acquisito la divisione dei servizi satellitari di Al-catel (Thales), e con circa 1500 dipendenti ha capacità non più solo in Italia ma in Francia, in Germania, in Spagna, in Brasile, Argentina, Romania e a Kourou nella Guyana francese, punta a ingegnerizzare soluzio-ni che, sfruttando e integrando le capacità satellitari, consentano di soddisfare la domanda crescente del-la info-mobilità, della navigazione, dell’osservazione della terra. Un futuro prossimo che passa per la imple-mentazione dei principali programmi ‘Cosmo Skymed’ e ‘Galileo’, una vera e propria costellazione di satelliti (Galileo è il sistema destinato a sostituire il Gps ameri-cano) la cui gestione è in buona parte affidata proprio ai Centri spaziali della Telespazio.C’è dunque un profondo processo di cambiamento in corso, in un’azienda che punta decisamente al merca-to concorrenziale e ad affermarsi come ‘first player’ in Europa.

Ripensare alle strategieIn questo contesto la stra-tegia delle risorse umane non poteva non essere ri-pensata, a partire proprio dalle modalità di recru-itment. La gestione vera del cambiamento comin-cia necessariamente dalle nuove generazioni e ri-chiede una messa a punto e una cura delle persone, non solo all’interno ma addirittura prima e fuori dell’azienda, con una stra-tegia di orientamento, di comunicazione e di forma-zione che deve spingersi a investire il territorio, le istituzioni, il mercato del-le professionalità. Prima e fuori dell’azienda: esatta-mente allo stesso modo in cui il sistema di Qualità aziendale deve necessaria-mente uscire dai confini

dell’organizzazione per coinvolgere la complessa rete di co-forniture e sub-forniture, richiedendo ai partner l’adozione di standard comuni a quelli del prime con-tractor.Con il master Space and communications systems ci si è posti appunto l’obiettivo di giocare di anticipo sia sul piano di una buona selezione sia su quello di una forma-zione capace di sostenere i potenziali ‘space-workers’ nelle nuove competenze richieste dalle sfide in corso: costruire in laboratorio neo-professional e neo-manager che, una volta inseriti, siano in grado di sentirsi imme-diatamente nel cuore dei processi e di agire essi stessi come di cambiamento della cultura organizzativa. Nella gestione del cambiamento uno dei maggiori pun-ti più critici è spesso rappresentato dalla necessità di aprire una breccia nello spirito di resistenza passiva, se non di indifferenza collettiva, delle risorse interne più mature, con le quali i giovani provenienti dalle aule del Fucino interagiranno sin dalla fase di stage, della dura-ta di quattro mesi, che ne potrà precedere il definitivo inserimento.Anche per questo motivo, e non semplicemente per ragioni di trasferimento di know how, l’azienda ha in-scritto l’iniziativa di questo master nell’ambito dei pro-grammi della propria scuola tecnica interna. Chiamarla ‘corporate university’ sarebbe davvero presuntuoso. In realtà la scuola –ora divenuta Fondazione Space Aca-demy– offre uno spazio virtuale, ma fortemente rela-zionale, in cui si focalizzano e si portano a sistema le competenze distintive delle aziende coinvolte. Una sor-ta di circolo di qualità per la cultura d’impresa, compo-sto da un council di esperti: la comunità dei principali

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referenti dell’esperienza sia tecnico sia gestionale legata ai progetti dello Spazio. La progettazione del Master ha perciò coinvolto un council composto dai responsabili delle ingegnerie e dei principali programmi delle diverse Business Unit. Il percorso formativo è stato quindi oggetto di confronto e di integrazione tra le aziende partecipanti e i vari dipar-timenti universitari, allo scopo di utilizzarne al massi-mo le competenze. Il risultato è stato un programma di lavoro in cui docenze universitarie e docenze azien-dali, tematiche tecniche e tematiche gestio-nali, sono perfettamente bilanciate. Un ‘Comitato Ordinatore’ paritetico tra aziende e Università gestisce un per-corso di apprendimento attraverso modalità esperienziali e interattive adottate in modo continuativo den-tro e fuori il centro spaziale ospitante. Anche il campus nel comune di Pescina contribuisce infatti a fare degli allievi partecipanti un coeso gruppo in ap-prendimento anche nel tempo libero.La forte spinta a ricostruire un comune patrimonio di cultura d’impresa, in termini proprio di identità orga-nizzativa, sostiene questa iniziativa, il cui principale valore aggiunto risiede probabilmente nell’aver abi-litato un luogo in cui è possibile gettare un ponte tra Università e Impresa, patrimonializzare le esperienze di aziende diverse, valorizzare le competenze dei senior per trasferire le conoscenze ai junior.

Emotional learning, tecnologia e managementL’esperimento di un master ‘in house’, in grado di co-niugare un percorso formativo sulle competenze del business spaziale con la valorizzazione del know how interno, ha comportato l’adozione di una metodologia diversificata rispetto alla tradizionale offerta universi-taria. Il modello che ne è scaturito è infatti più vicino ai metodi della formazione aziendale che non a quelli più tipicamente frontali e teorico-cognitivi, a volte an-che sostenuti da efficaci attività di laboratorio, propri di tanti percorsi post universitari. La assoluta convin-zione che ha animato il progetto è che l’efficacia di un percorso formativo è in maggior misura nelle mani dei partecipanti che in quelle dei docenti: esattamente come avviene, o dovrebbe avvenire, nella formazione manageriale. Il nodo da risolvere è però quello della attivazione dei partecipanti, frequentemente bloccata dall’abitudine al ‘broadcasting del sapere’: una trasmissione da parte del docente, cui corrisponde una ricezione passiva, nel migliore dei casi completata con una generica intera-zione di aula, da parte dei discenti. L’attivazione è in-vece altra cosa, un elemento essenziale e costitutivo di apprendimento nelle comunità di pratica; una messa in comune delle esperienze e dei modi di recepire gli stessi contenuti di un percorso formativo affrontato insieme;

una modalità di apprendimento non individualistica, la cui premessa è però tuttavia assolutamente personale, nella misura in cui risponde alla disponibilità di mette-re in discussione le conoscenze già acquisite. In defini-tiva di mettere in gioco se stessi.Nel caso dei giovani neolaureati di eccellenza, prove-nienti dalle più diverse facoltà e regioni del Paese, il terreno per l’adozione di questo approccio didattico è potenzialmente fertile, ma le resistenze iniziali posso-

no risultare addirittura maggiori che nei senior manager, a causa di un

habitus assunto prima nel sistema scolastico, poi nel

quinquennio universita-rio, dove l’apprendimento avviene prevalentemente

mediante un univoco mec-canismo docente-discente.

La dimensione emozionaleDa qui l’idea di introdurre la dimensio-

ne emozionale nel percorso di un master teso tra tec-nologia e management. Un’esperienza outdoor ha ac-compagnato, dopo le celebrazioni di rito, i primi passi del master, realizzando una sperimentazione su di un target assolutamente nuovo: quello di un team di post-universitari aspiranti ‘spaceworker’. Sotto lo sguardo incuriosito degli operatori satellitari sono state effet-tuate una serie di attività di Adventure training tra l’aula e i grandi spazi esterni tra le grandi antenne del Fuci-no. Più che una sorta di ‘ice-breaking’ l’attività è stata impostata come un vero e proprio imprinting da dare al gruppo. Un’idea ambiziosa che puntava a cogliere tre obiettivi ‘strategici’: attivare i partecipanti nel processo di apprendimento rimuovendone le barriere comporta-mentali e stimolandone le caratteristiche di personali-tà; fare squadra, spingendo il gruppo a comportamenti cooperativi più che individualisticamente competitivi; far sperimentare sulla propria pelle le essenziali com-petenze organizzative del problem solving, dell’orien-tamento al risultato, del teamworking, che sarebbero state poi rielaborate successivamente in aula nel modu-lo di Gestione delle Risorse Umane.I facilitatori di Challenge hanno saputo mettere in mo-vimento un’aula inizialmente molto rigida, generando una positiva nuova condizione di sorpresa, di gusto di partecipare, di costruttivo caos creativo.Dal racconto di Maria Angelucci, neo-ingegnere am-biente e territorio:

9.30 del mattino, ignari di quanto aspettarci dalla giornata ci ac-cingiamo ad entrare in aula… ma già percorrendo il breve corri-doio dopo le scale, cominciamo a sentire una musica! Varcata la soglia facciamo la conoscenza di tre insoliti individui, i quali con un sorriso ancora un po’ troppo vispo per noi ci accolgono con un vivacissimo ‘buongiorno!’. Ma... quale sorpresa notando che i nostri ‘cavalieri’ sui banchi non erano più al loro posto. I tre ci

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invitano a sedere in posti diversi da quelli cui siamo già, dopo ap-pena un paio di settimane, incredibilmente abituati; a ‘guardare le cose da un altro punto di vista’… ciò che sembra semplice e scontato, a volte banale, non lo è affatto. Questi tre ragazzi simpaticissimi ci hanno catapultato nell’eser-cizio dello stimolo delle nostre percezioni, ci hanno letteralmen-te aiutato a tirar fuori aspetti della nostra personalità che diffi-cilmente avremmo mostrato al resto del gruppo dopo così poco tempo. È così che d’altro canto noi, parte attiva in tutto e per tutto, abbiamo lasciato che un peso si sciogliesse; intendo il peso della reticenza, ciò che è opportuno accada quando si entra a la-vorare in un nuovo team!

Così, attraverso il game della ‘pozza acida’ si è svilup-pato il senso di cooperazione fino a scoprire l’energia spontanea della solidarietà davanti all’incognita di si-tuazioni nuove e inaspettate: la squadra deve portare in salvo un proprio membro, rimasto intrappolato su di un isolotto circondato da un fiume acido che au-menta di livello col passare dei minuti; con un numero limitato di corde, utilizzate in modo creativo dal team, è possibile raggiungere l’altra riva… Alissa Ioannone, anche lei neo- ingegnere ambiente e territorio:

Quando si è tutti protesi verso il medesimo obiettivo, lo si vuo-le raggiungere con forza e ci si rende conto allo stesso tempo che si ha bisogno degli altri per farlo, allora ci si sente parte di un unico organismo. Diminuiscono ansie e incertezze e anche i problemi difficili non sembrano più tanto impossibili. È im-pensabile come da una situazione del tutto imprevista si possa trarre una enorme forza di solidarietà da persone che quasi non si conoscono…

E poi, attraverso ‘il percorso del cieco’, il team deve passare indenne in un percorso accidentato, dal pri-mo all’ultimo membro, tutti bendati, con la guida di un leader che vede e conduce gli altri con la fiducia; e ancora la ‘figura cieca’, con la analoga rinuncia al ca-nale visivo nella ardua impresa di dover disegnare una figura a terra con una corda. E da qui la straordinaria scoperta dell’ascolto quando, a occhi bendati, più è incerta l’azione e più è incisiva la funzione del leader. Gianni Marasca, anch’egli ingegnere ambientale:

Svolgendo questa prova da leader, ho avuto modo di rendermi conto di come effettivamente lo stress giochi un ruolo impor-tante nei momenti di maggiore impegno. Inizialmente credevo di aver gestito nel migliore dei modi la situazione. Tuttavia, solamente alla conclusione della prova, mi sono accorto di non aver sfruttato al meglio le risorse a mia disposizione. Ho dimen-ticato infatti una persona che rappresentava lo spigolo mancan-te al pieno completamento della figura geometrica. Vani sono stati i numerosi suggerimenti e tentativi di aiuto da parte dei facilitatori e dei miei colleghi nel farmi notare la distrazione, in quanto ero talmente concentrato a portare a termine la prova da estraniarmi completamente dall’ambiente.

E ancora, con la prova dello ‘spider web’, la rete attraverso le cui maglie ciascun membro del team deve passare una sola volta, bendato e senza toccare le corde, si è affinata la capacità di problem solving e acquisita la consapevolezza del contributo del sin-golo al successo collettivo. In assoluto l’esperienza di apprendimento che più ha lasciato il segno. Alessandro Flamini, neo-geologo con l’accento marchigiano:

In questa prova abbiamo sperimentato l’ebbrezza di lotta-re tutti insieme contro il tempo, nemico invisibile ma as-sordante, per arrivare all’obiettivo finale, al di là della rete. Questa esperienza ci ha permesso di comprendere l’impor-tanza di ogni singolo componente del team: la soluzione di un’impresa che sembrava quasi impossibile ci è giunta pro-prio da un collega inizialmente non ascoltato dal resto del gruppo. Questa prova poi, ripetuta daccapo più volte fino al successo, ci ha consentito di sbagliare, e di affinare quindi la metodologia di approccio al problema.

Un nuovo spirito di gruppoQualcosa è dunque successo nella testa e nel cuore di questi ragazzi, che mai prima d’ora, né durante gli anni del liceo né in quelli dell’università, avevano imparato ad apprendere attivando la forza dell’ in-telligenza emotiva, scoprendo in se stessi nuove ina-spettate competenze relazionali e personali. Lo svolgimento successivo del master ha evidenziato in loro, con effetto immediato e duraturo, uno spirito di gruppo fuori dal comune. Essi, pur dovendo ope-rare in futuro in aziende o in team diversi e lontani, manterranno un legame profondo con questo loro momento genetico aziendale. La formazione teorica, integrata con quella comportamentale, e questa con la scuola di vita fuori dal nido familiare offerta dalla esperienza di quotidianità comunitaria del campus di Pescina, hanno fornito formidabili ingredienti per formare neo-professionisti capaci di muoversi nel-la complessità e nell’ incertezza del contesto futuro prossimo di aziende come le nostre.La formazione efficace non si misura evidente-mente con il Roi, ma con un effettivo cambiamento nell’agire. Difficile misurarlo nel caso di risorse non ancora operanti all’interno dell’organizzazione. Ma nel profilo di uscita dei nostri futuri ‘spaceworkers’ qualcosa è già cambiato. Per misurarlo ci basti la te-stimonianza ancora di Alissa Iannone:

Sicuramente, vivendo tutti insieme, tra noi non mancano le occasioni per ascoltarci, ma quando si è in tanti, ognuno con le proprie opinioni, è sempre difficile prestare attenzione a tutti. Comunque, nelle decisioni comuni, è bello vedere che almeno proviamo a interpellarci tutti. Ci capita più volte di metterci spontaneamente in cerchio, così da vederci in viso gli uni con gli altri, senza escludere nessuno. E provare a parlarci.


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