Corso di laurea in Scienze dell‟Educazione
A. A. 2011 / 2012
Istituzioni di Linguistica (M-Z)
Dr. Giorgio Francesco Arcodia
1. Le funzioni della lingua
Il linguaggio umano è caratterizzato dalla plurifunzionalità; con la lingua si può
adempiere ad una lista teoricamente illimitata di funzioni diverse (esprimere il pensiero,
trasmettere informazioni, risolvere problemi, creare e regolare rapporti sociali,
manifestare sentimenti...)
Funzioni = scopi che possiamo conseguire tramite un atto linguistico
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Componenti dell‟atto di comunicazione linguistica (R. Jakobson):
2. Referente
(Contesto)
1. Parlante 3. Messaggio 6. Ascoltatore
(Mittente) (Destinatario)
4. Canale
(Contatto)
5. Codice
→ referente: contesto, ciò a cui l‟atto linguistico rimanda, realtà extralinguistica.
→ canale (contatto): fisico (l‟aria, la linea telefonica…), ma anche psicologico
(connessione tra i partecipanti), permette la comunicazione.
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Funzioni della lingua:
2. Referenziale
1. Emotiva 3. Poetica 6. Conativa
4. Fàtica
5. Metalinguistica
→ ogni funzione è associata ad un componente dell‟atto comunicativo.
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1. Funzione emotiva / espressiva (parlante): quando il parlante esprime stati d‟animo,
messaggio incentrato sull‟esprimere, piuttosto che sul comunicare.
→ ess.: “sono stufo!!”, “che paura”, “che bella sorpresa”, etc.
2. Funzione referenziale (referente): funzione informativa, neutra, incentrata sul
contenuto informativo.
→ es.: “il volo BA 39 parte alle ore 10.23”; “l‟ananas è un frutto tropicale”
3. Funzione poetica (messaggio): “si realizza la funzione poetica quando il messaggio
che il parlante invia all‟ascoltatore è costruito in modo tale da costringere l‟ascoltatore a
ritornare sul messaggio stesso per apprezzare il modo in cui è formulato (per la scelta dei
suoni, delle parole, dei giri di frase, ecc.)” (Graffi, G. & Scalise, S., 2002, Le Lingue e il Linguaggio, Bologna, Il Mulino)
→ ess.: “vespizzatevi”
“accendiamo il presente per illuminare il futuro”
“Nel mezzo del cammin di nostra vita / Mi ritrovai per una selva oscura / Ché
la diritta via era smarrita”
“Inclinado en las tardes, tiro mis tristes redes a tus ojos oceánicos”
(„Chino sulle sere, lancio le mie reti tristi nei tuoi occhi oceanici‟, P. Neruda)
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4. Funzione fatica (canale): quando si vuole aprire il canale, verificare questo sia aperto e
“disponibile” o chiuderlo; in altre parole, se il destinatario ci sente, ma anche se ci ascolta.
→ ess.: “pronto!!”, “mi senti?”, “ci sei?”, “mi stai ascoltando?”, “mi segui?”, etc.
5. Funzione metalinguistica (codice): uso del codice (lingua) per parlare del codice
stesso; funzione realizzata, per esempio, da una grammatica descrittiva (dell‟italiano, del
tedesco, etc.) o da un manuale per l‟apprendimento di una lingua.
→ es.: “i verbi italiani possono appartenere a tre classi di coniugazione”, “in giapponese
gli aggettivi si comportano in parte come i verbi”, “cavallo è una parola di sette lettere”,
etc.
6. Funzione conativa (ascoltatore): quando si usa la lingua per “agire” sul
comportamento dell‟ascoltatore, con ordini o esortazioni (spesso associata al modo
imperativo, nelle lingue ove è presente tale distinzione).
→ es.: “non parlare a voce così alta”, “non gettare i mozziconi di sigaretta in cortile”,
“dai, sbrigati!!”, etc.
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N.B.: normalmente, ogni messaggio assolve a più di una funzione; tuttavia, la struttura
del messaggio dipende principalmente dalla funzione predominante.
→ ess.: un manuale per l‟apprendimento dell‟inglese può assolvere a funzioni sia
metalinguistiche che conative; la poesia, oltre a realizzare la funzione poetica, realizza
spesso quella espressiva (i sentimenti del poeta).
(cf. Jakobson, Roman, 1960, Linguistics and poetics, trad. it. in Heilmann, Luigi (a cura di), Saggi di Linguistica
Generale, Milano, Feltrinelli)
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2. Lingua e variazione
Presupposto: una lingua (storico-naturale) non è un “blocco monolitico”, conosce una certa
articolazione interna e stratificazione; il repertorio del parlante comprende almeno una lingua,
articolata nelle sue varietà e, eventualmente, uno o più dialetti e/o altre lingue.
“Ogni lingua conosce al suo interno usi diversificati, forme differenti, modi diversi di
esprimersi, realizzazioni specifiche, ecc., in relazione a diversi fattori sociali. Mediante tali
differenziazioni la lingua si adatta a tutti i vari contesti d‟impiego possibili in una cultura e
società, e permette di esprimere, assieme al significato referenziale dei segni linguistici in
quanto tali, anche significati sociali e valori simbolici di varia natura (...). La ragione ultima
della variazione linguistica sta quindi nel suo essere funzionale ai diversi bisogni comunicativi
e più ampiamente sociali a cui per i suoi parlanti una lingua deve rispondere in un certo
periodo storico in una certa comunità” (Berruto, G. & Cerruti, M., 2011, La linguistica: un corso introduttivo, Torino, UTET)
“Come tutte le „grandi‟ lingue di cultura, l'italiano ha sviluppato una gamma assai ampia di
diversificazione, nella quale si possono riconoscere specifiche varietà di lingua, determinate
dalle fondamentali dimensioni di variazione, vale a dire dai parametri extralinguistici con cui
la variazione interna alla lingua è correlata.” (G. Berruto, 1993, Varietà del repertorio, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo.
Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza)
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La linguistica teorica si basa su “idealizzazioni”, su un parlante nativo ideale, facente
parte di una comunità linguistica sostanzialmente omogenea. La sociolinguistica si
occupa della variazione della lingua negli usi concreti; si basa su parlanti “reali”, facenti
parte di una comunità linguistica stratificata, e mette in relazione lingua, società e usi
linguistici.
Concetti chiave:
(1) Comunità linguistica = “insieme di tutte le persone che parlano una determinata
lingua o varietà linguistica e ne condividono le norme d‟uso.” (Graffi, G. & Scalise, S., 2002, Le Lingue e il Linguaggio, Bologna, Il Mulino)
(2) variabile sociolinguistica = „punto‟ o unità del sistema linguistico che ammette
realizzazioni diverse, equivalenti dal punto di vista del significato, connesse con fattori
extralinguistici → danno luogo alle varietà di lingua
Ess.: pronuncia della consonante <s> tra due vocali, come in casa (parlanti settentrionali
vs. centro-meridionali); diminutivi in –uccio (parlanti centro-meridionali), pronome ci in
luogo di gli e le (parlanti meno istruiti); padre (formale) vs. papà / babbo (confidenziale
nazionale vs. toscano), etc.
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(3) Varietà di lingua = “insieme di forme linguistiche, ai vari livelli di analisi, che
abbiano la stessa o analoga distribuzione sociale, cioè che cooccorrano (tendano a
presentarsi insieme) in concomitanza con certe caratteristiche della società, dei suoi
membri, e delle situazioni in cui questi si trovano ad agire” (Berruto, G. & Cerruti, M., 2011, La linguistica: un corso introduttivo, Torino, UTET)
→ la definizione di „varietà di lingua‟ tiene conto di fatti linguistici e di fatti sociali
→ una varietà di lingua è costituita, in realtà, da un‟insieme di varianti solidali (=
“dotate dello stesso grado e natura di marcatezza sociolinguistica, in quanto tendono a
comparire assieme in contensti simili”)
→ una varietà si caratterizza in base a diverse dimensioni della variazione (in base al
fattore sociale essenziale che condiziona la variazione)
→ lingua come somma di varietà
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Dimensioni sincroniche della variazione (asse della simultaneità):
(1) Variazione diatopica: in rapporto all‟area geografica in cui viene usata la lingua, alla
regione di provenienza dei parlanti e alla loro distribuzione geografica
Ess.: italiano standard “normativo”, italiano regionale piemontese, etc.
(2) Variazione diastratica: in rapporto allo spazio sociale (strati sociali, gruppi di
parlanti, etc.)
Ess.: italiano colto ricercato, italiano popolare “basso”, etc.
(3) Variazione diafasica (o situazionale): in rapporto alla situazione comunicativa in cui
si usa la lingua
Ess.: italiano formale aulico, italiano informale trascurato, etc.
(4) Variazione diamesica: in rapporto al canale attraverso cui la lingua viene usata
Ess.: scritto, parlato.
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→ N.B.: ogni asse è un continuum
“Nelle reali varietà d'uso della lingua spesso le varie dimensioni si intersecano, e le
relative varietà possono determinarsi [...] contemporaneamente secondo più assi di
variazione [...]. Un italiano fortemente marcato in diatopia sarà per lo più anche una
varietà socialmente bassa; l'italiano popolare, varietà diastratica tipica di fasce sociali non
istruite, sarà per i suoi parlanti anche una varietà diafasica, il registro delle occasioni più
formali” (G. Berruto, 1993, Varietà del repertorio, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo.
Vol II: La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza)
Dimensione diacronica della variazione (asse della successione):
La variazione della lingua nel tempo.
Ess.: Inglese antico (o anglossassone), antico alto tedesco, italiano contemporaneo, etc.
→ la dimensione diacronica della variazione non viene normalmente tenuta in
considerazione nello studio del repertorio linguistico di un parlante o di una comunità
(per ovvi motivi…)
Ess.: perdita della distinzione tra vocali brevi e lunghe nell‟evoluzione dal latino
all‟italiano; lat. caballus „cavallo da lavoro‟ > it. cavallo
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3. La variazione diatopica: lingua, dialetti…
Tre nozioni fondamentali:
(1) Italiano standard (normativo)
(2) Italiano regionale
(3) Dialetto (locale)
Italiano standard: a partire dal XVI secolo, “costruzione” di una lingua letteraria a base
toscana (Petrarca modello per la poesia, Boccaccio per la prosa; P. Bembo, 1525, Prose
della Volgar Lingua); toscano urbano della classe colta di Firenze.
→ fino al 1861 non esisterà uno Stato italiano e l‟italiano “bembiano” resta una lingua
letteraria.
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“in Italia, quella lingua (…) diventò con il nuovo Stato unitario il modello imposto (…) a
comunità che per l‟innanzi erano spesso soltanto dialettofone. (…) in Italia, come in
Francia, la lingua nazionale incomincia ad essere sottoposta, proprio nel momento del suo
faticoso trionfo, a processi di frammentazione, di divisione, di «destandardizzazione» (…)
ciò avviene soprattutto sul fronte della diatopia, cioè della variabilità spaziale.” (T. Telmon, 1993, Varietà regionali, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo. Vol II:
La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza)
→ una “convergenza” verso lo standard si attua quasi esclusivamente nella lingua scritta;
“in Italia, nessuno (se non notabili eccezioni del tutto speciali) possiede l‟italiano
standard come lingua materna (…). La pronuncia standard è il frutto artificiale di
apposito addestramento” (Berruto, Gaetano, 1998, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Carocci)
→ nell‟interazione quotidiana, nella maggior parte dei contesti, noi utilizziamo una
varietà di italiano regionale o, eventualmente, di dialetto (magari in contesti più specifici)
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Italiani regionali: “un sottoinsieme coerente di italiano fortemente influito, a tutti i livelli,
dal dialetto, al punto che i tratti identificanti di questo italiano, quelli che lo differenziano
da un (ipotetico) italiano medio, sono proprio, e quasi solo, quelli locali” (Cortelazzo, M.A., Paccagnella, I., 1992, Il Veneto, in Bruni, F. (a cura di), L’italiano nelle regioni. Lingua
nazionale e identità regionali, Torino, UTET)
→ gli italiani regionali sono un livello intermedio tra lingua standard e dialetti; sono
influenzati dal dialetto locale (sostrato dialettale) e influenzano a loro volta la lingua
nazionale, con l‟apporto di forme dialettali italianizzate, così come “trasmettono” ai
dialetti elementi dello standard.
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Esempi di tratti caratteristici di varietà regionali di italiano:
(1) Riduzione del dittongo <uo> (ovo, novo, bono); Toscana e Roma
(2) “Gorgia” toscana (casa → hasa)
(3) Realizzazione di <e> “apertissima” accentata (in sillaba aperta o in sillaba chiusa da
consonante nasale (perché, tre, caffè); Lombardia
(4) Apocope degli infiniti verbali (faticare → faticà, sentire → sentì); Lazio, Abruzzo,
Molise
(5) Uso dell‟oggetto preposizionale (ho chiamato a Carlo); Centro-Sud
(6) Costruzioni ellittiche (voglio che mi sia spiegata la lezione → voglio spiegata la
lezione); Italia meridionale
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(7) Uso di “geosinonimi”, “lessemi della lingua italiana aventi, come i sinonimi, forma
diversa e significato uguale, ma aventi anche, a differenza dei sinonimi comunemente
riportati negli appositi dizionari, una diffusione arealmente più limitata, tanto da poter in
taluni casi identificarsi in una singola città o poco più” (T. Telmon, 1993, Varietà regionali, in A. A. Sobrero (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo. Vol II:
La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza)
→ ess.: cacio / formaggio, cocomero / anguria / melone, panetteria / forno / prestino
(8) Regionalismi semantici → scendere per „uscire‟ e uscire per „estrarre‟ (alcune aree
del sud), togliere per „riporre‟ (Abruzzo), etc.
(9) Regionalismi morfologici → suffisso ‒aro (Roma, centro) vs. ‒aio (Toscana,
standard), benzinaro vs. benzinaio; scatolo (Sicilia) vs. scatola (standard)
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Lingua standard: lingua codificata, con una norma d‟uso e con disponibilità dei relativi
testi di riferimento quali grammatiche e dizionari, frequentemente espressione di una
tradizione letteraria di prestigio e di lunga data; la lingua standard viene tipicamante usata
nell‟insegnamento scolastico.
Dialetti: “Un dialetto è una lingua che ha un esercito e una marina” (M. Weinrich). Dal
punto di vista linguistico, non c‟è sostanziale differenza tra “lingua” e “dialetto”; la
distinzione tra di esse è di natura socioculturale.
→ dialetto (in senso stretto): sistema linguistico strettamente imparentato con la lingua
standard (es. dialetto umbro)
→ dialetto/2 (cf. ingl. dialect): varietà di una lingua nata dalla variazione diatopica della
stessa (es. British English vs. American English); per l‟italiano, parliamo piuttosto di
dialetti (es. milanese) e di italiani regionali (es. lombardo)
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I dialetti italiani: meglio dire “dialetti italiani” o “italo-romanzi” che “dialetti
dell‟‟italiano”, in quanto questi sono tutti discendenti del latino
latino
emiliano lombardo toscano pugliese …
italiano standard
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Come distinguere una “lingua” da un “dialetto”?
(a) X è un dialetto di Y se X deriva dalla stessa lingua da cui deriva Y
→ questo è vero anche per italiano e spagnolo, derivate entrambe dal latino
(b) X è un dialetto di Y se i parlanti di X e Y si comprendono reciprocamente
→ questo è vero, di nuovo, anche per italiano e spagnolo: per i parlanti di certe zone è più
facile comprendere una persona che parla francese o spagnolo di una che parla, ad
esempio, dialetto napoletano
(c) X è un dialetto di Y se X e Y condividono buona parte del loro lessico
→ questo è vero anche per tutte le lingue “sorelle”, cioè derivate dalla medesima lingua
madre; it. albero, sp. arbol, fr. arbre…
(d) X è un dialetto di Y se X e Y condividono una buona percentuale della grammatica
→ vedi punto (c)
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La distinzione tra lingua e dialetto non è giustificabile in termini puramente
linguistici; i fattori rilevanti, di natura sociolingusitica, sono:
(a) sul piano sociale, le lingue hanno un riconoscimento che il dialetto non ha.
(b) sul piano funzionale, le lingue hanno un ambito di uso più ampio di quello dei dialetti.
(c) sul piano politico, le lingue hanno uno statuto ufficiale (e una conseguente
legislazione di riferimento) che i dialetti non hanno. Le lingue sono „create‟ per
consentire scambi economici e culturali tra gruppi sociali geograficamente distanziati e
come strumento imprescindibile per l'assetto amministrativo degli Stati nazionali
costituitisi nell'età moderna.
→ la gamma di funzioni dell‟italiano è aperta verso il basso, quella del dialetto è
limitata verso l’alto
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Un dialetto è una lingua “incompiuta”?
Secondo un‟opinione diffusa, un dialetto è una varietà della lingua nazionale poco diffusa
(cioè diffusa a livello locale), con una modesta tradizione scritta, con una „grammatica‟
poco sviluppata, utilizzata da pochi parlanti (soprattutto anziani) e in poche circostanze
(allora, il sardo e il friulano sarebbero lingue, non dialetti…).
→ i dialetti hanno, dal punto di vista linguistico, la stessa complessità delle lingue
nazionali; le lingue nazionali sono, frequentemente, dialetti “promossi” a lingue per
ragioni storiche.
“(...) dialetti (o lingue) non si nasce, ma di diventa. Una qualsiasi varietà linguistica che si
affermi in ambiti geografici e funzionali che in partenza non aveva può diventare così una
lingua, e contrapporti a dei dialetti: è quello che è avvenuto al fiorentino del Trecento,
che è diventato lingua solo imponendosi coi secoli sulle parlate delle altre regioni d‟Italia;
e queste, per converso, sono diventate dialetti solo dopo aver adottato il fiorentino come
varietà di riferimento” (Basile, G. et al., 2010, Linguistica Generale, Roma, Carocci)
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Principali raggruppamenti dei dialetti d‟Italia:
(1) Dialetti settentrionali
area gallo-italica: dialetti piemontesi, lombardi, liguri, emiliano-romagnoli
area veneta: dialetti veneti, veneto-trentini, veneto-giuliani
(2) Dialetti toscani
(3) Dialetti centro-meridionali
area mediana: romanesco, dialetti laziali, marchigiani ed umbri
area alto-meridionale: dialetti abruzzesi, molisani, campani, pugliesi
settentrionali, lucani, calabresi centro-settentrionali
area meridionale estrema: dialetti salentini, calabresi meridionali e siciliani
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→ dialetti di koinè (regione dialettale: veneto, Lombardia), dialetti del capoluogo
(milanese, trevigiano) e forme più locali (anche di un quartiere, come il Castello a
Venezia)
→ divisione fondamentale lungo la linea La Spezia-Rimini (o, meglio, Massa-
Senigallia), che divide i dialetti settentrionali da quelli centro-meridionali
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Alcune caratteristiche dei dialetti settentrionali:
(a) sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche (lat. fratellum > lomb. fradel)
(b) presenza di vocali anteriori arrotondate (soprattutto nei dialetti occidentali; lomb. lüna,
ünich)
(c) semplificazione del nesso latino <cl> (lat. clamare > lomb. ciamà)
Alcune caratteristiche dei dialetti centro-meridionali:
(a) il raddoppiamento sintattico (a casa → accasa)
(b) assimilazione nd > nn (lat. mundum > rom. monno)
(c) posposizione del possessivo (nap. frateme „mio fratello‟)