Diario di caccia in Sudafrica
Diario di caccia in Sudafrica
19-27 maggio 2006
scritto da Marco Zenone
© MZ 2006
© Marco Zenone 2006 Pagina 1 di 26
Diario di caccia in Sudafrica
19.05.2006 (scritto 18:30 del 20.05.06, aereo VR - Parigi)
Da qualche giorno cerco di preparare la mia valigia e i bagagli per il Sud Africa, ma non ho mai tempo; o
forse mi manca lo sprint finale di sapere che DEVO finire sennò non ce la faccio a partire.
La lista a excel è pronta da mesi; ri-aggiornata nelle ultime settimane.
Alla fine riesco a finire i bagagli, sono 4:
- valigia rigida
- zaino medio-piccolo, che porterò nei 3 + 3 viaggi aerei come bagaglio a mano
- valigia con carabina CZ mod. ZKK 600 in cal. 30-06
- valigetta con 50 colpi in 30-06 di cui 40 da 165 gr. (Remington CORE LOKT) e 10 da 180 gr.
(Winchester Silver tip).
Con Daniela, mia moglie, parliamo poco del viaggio, so che lei non approva e non condivide.
Alla fine dei bagagli, resta qualcosa da comprare, per il sabato mattina. La partenza è alle 18:10 da VR
per Parigi, poi su Johannesburg, poi Port Elizabeth.
20.05.2006 in aereo VR – Parigi
Salutati i 3 figli più grandi, che alle 15:00 hanno la riunione Scout, resto a chiudere i bagagli, prendere le
ultime cose acquistate stamattina, chiudere con catenelle di ferro e lucchetti la carabina e le munizioni, e
ricevo le telefonate di Alessandro A. e Michele P., compagni d’avventura.
Saluto Daniela, che è nervosa e arrabbiata, nervosa perché ha paura dei pericoli che correrò, arrabbiata
perché parto (anche se lo sa da mesi), perché la lascio sola a casa coi bambini, perché non voleva che io
partissi.
Le formalità all’aereoporto Catullo di Verona sono state lunghe ma abbastanza semplici; check-in con
dichiarazione delle armi e munizioni, pagamento di 40 Euro per la guardia giurata che avrebbe portato
armi e munizioni all’imbarco, giro dalla Polizia per il controllo della licenza di temporanea esportazione,
della matricola dell’arma, e dei colli; poi, separati dalle armi e colpi, e senza le valigie già consegnate al
check-in, finalmente liberi di passare i controlli di sicurezza e sedersi qualche minuto in sala d’attesa per
l’imbarco. Intanto Michele P., sofferente di una forma acuta di lombo-sciatalgia presa in volo di ritorno
dal Brasile, dichiarate al check-in le siringhe (non gliele hanno lasciate, le ha dovute mettere in valigia),
ha fatto una puntata al pronto soccorso dove, date le iniezioni già fatte, gli hanno dato solo un’ulteriore
pastiglia (che non ha preso …)
Nello zainetto a mano ho messo quello che non voglio farmi rubare dalla valigia, fotocamera digitale
Nikon Coolpix 5400 con schede da 512 Mb, 256 Mb e 16 Mb, mini-treppiede e tre batterie al litio
cariche, telemetro Bushnell laser da 800 yarde max, un telefono cellulare di scorta (Nokia 6100), vari
effetti personali, torcia a 8 led da testa o da casco, e per emergenza (smarrimento valigia) un paio di calze
e mutande ed una t-shirt. E il binocolo zoom 8-32x40 camo, un cuscino gonfiabile per reggere il collo
mentre dormo, Tom Clancy da leggere nelle pause, tappi per orecchie (ne ho seminati in tutti i bagagli).
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Domenica 21.05.2006 ore 23.20
Doveva essere un’avventura, e come avventura è già iniziata.
Alessandro arriva a Parigi al gate poco prima dell’imbarco, a Milano gli hanno chiesto 400 euro in più per
armi e colpi, poi ci imbarchiamo, cena in aereo strizzati, non si riesce a muoversi per mangiare
(ovviamente siamo in classe turistica), poi si dorme stretti, poco e male, accanto a me Michele P. ogni
tanto fa 5 o 6 russate che sembra il gorgoglio di un sommergibile che emerge, al mattino colazione, una
veloce passata ai servizi dell’aereo (anche se è un Boeing 747, il Jumbo, le toilettes sono piccole, con
coda, e senza più le dotazioni di servizio), e poi è ora di sbarco.
L’avventura continua: ad Alessandro manca tutto: valigia, carabina e colpi. Io sono il più fortunato:
mancano solo i colpi. Facciamo la richiesta di inoltrare tutto al nostro ospite per il safari, Franco Giulietti,
poi espletiamo alla Polizia sudafricana le pratiche per le armi e colpi e … la nostra coincidenza parte
senza di noi.
Cerchiamo il primo volo successivo per Port Elisabeth, è dopo un’oretta e mezza, ma British Airways
comunica che nei voli interni in Sud Africa non accetta armi e munizioni.
Passiamo al volo South African Airways delle 15.30. Saltiamo il pasto, che faremo appena imbarcati sul
volo, in ritardo di mezz’ora, verso le 16.15.
A Port Elisabeth ritiriamo bagagli, armi, e incontriamo Franco Giulietti che ci aspetta con il Pick-up 4 x 4
con rimorchio per i bagagli. Purtroppo sono già le 17.30, il sole è al tramonto, e non vediamo quasi nulla
da Port Elisabeth alla game farm.
L’avventura continua: dopo un po’, sulla strada statale, bella ed asfaltata come da noi, sentiamo uno
strano rumore. Accostiamo a sinistra (si guida come in GB) ed una gomma (posteriore destra) è a terra.
Stacchiamo il rimorchio, con qualche fatica solleviamo la macchina col crick, morendo di paura ogni
volta che macchine e
soprattutto camion ci
sfrecciano accanto nel
buio, sostituiamo la
gomma e ripartiamo.
Dopo circa 2 ore e mezza
di strada arriviamo alla
“farm”. Mezz’ora di
sterrato e siamo al
cancello, lo apriamo a
mano e abbiamo mezz’ora
per arrivare alla casa di
caccia. Innestiamo le 4
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motrici e avanziamo lenti, sui 40 Km/h, per non rischiare di investire animali. Prima una lepre ci corre
davanti per qualche decina di metri, per poi sparire nel veld. Poi incontriamo un gruppo di 3 o 4 gazzelle
impala che, abbagliate dai fari, se ne stanno ferme 3 metri a destra della strada.
Ci fermiamo per guardarle e non si muovono: un bello spettacolo. Oggi è piovuto, passiamo qualche
depressione allagata da grandi pozzanghere e poi ci fermiamo qualche minuto, spegniamo auto e fari, e
guardiamo il cielo stellato, con così tante stelle che noi neanche immaginiamo, e con la via lattea molto in
evidenza, sembra addirittura una nuvola tanto è chiara, e poi le stelle che non sono solo in alto, ma si
vedono in tutto il cielo, anche basse sull’orizzonte, fino a toccare terra tutt’intorno.
Arriviamo alla casa di caccia: tutto uno stupore.
Anche se è buio (sono le 21.00) notiamo che è immersa nella vegetazione, c’è la piscina appena fuori, una
costruzione scavata a lato per i barbecue, e la moglie di Franco Giulietti che ci attende con un’ottima cena
già pronta. La innaffio con un bianco, un ottimo Chardonnay di Città del Capo (da 14°) e poi, dopo che
Alessandro ha fatto un’iniezione a Michele P., ci ritiriamo per lavarci e dormire, in tre belle stanze tutte
con stufette elettriche accese ed accese anche le coperte termiche elettriche.
Domani sveglia solo alle 7, tanto aspettiamo ancora armi, munizioni e bagagli di Alessandro.
Lunedì 22.05.06 ore 17.50 20.55
Stamattina sveglia verso le 7.15. Franco G. quando parla in Afrikaans ha un’altra voce, più bassa che
quando parla con me in inglese o con noi in italiano.
Mi sveglio subito, senza troppo sonno, nonostante ieri sera abbia scritto fino quasi a mezzanotte.
Il programma della giornata prevede un caffè con qualche biscotto appena svegli, poi subito a caccia. Poi
un bel brunch verso le 11.00 e riposo fino alle 13.00, ore in cui gli animali non si fanno vedere. Poi caccia
fino al tramonto,
ritorno, doccia e lauta
cena, preparataci dalla
brava Charmaine,
moglie di Franco.
Usciamo sul
fuoristrada, io e
Alessandro all’inizio
ci alterniamo nel
posto anteriore a
sinistra (guida il PH
Franco, a destra), con
Michele P. in cabina
dietro e Mabuti, il
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tracker tuttofare, in “cassa”, cioè su una traversa imbottita dietro nel vano del pick-up, e quindi all’aperto
e più alto della cabina.
Essendo io l’unico dei due “in caccia” che ancora non ha avuto il “battesimo del sangue”, si decide poi
tacitamente di lasciarmi con il fucile nel posto anteriore.
Il fucile, in prestito dal PH per i noti problemi di Air France con lo smarrimento di armi e munizioni, è un
bel Sako in .308 Win. con canna pesante e ottica 6-24x40, tarata a 200 metri, con cartucce ricaricate da
Franco, in rame massiccio e a punta cava.
Ogni tanto Franco rallenta o si ferma, ci indica qualcosa, là lontano da qualche parte, Michele P. e
Alessandro vedono gli animali, io di solito non vedo un bel niente, poi se hanno voglia di spiegarmi bene
con qualche riferimento, vedo qualcosa, mi tolgo gli occhiali (da miope) ed inforco il binocolo zoom 8-
32x40, lo tengo al minimo, su 8x, e riesco a vedere degli impala, o degli orix o kudu, o bushbock o
facoceri.
Più spesso è Mabuti che vede qualcosa, allora batte sul tetto della cabina, il PH rallenta e frena, dal
finestrino posteriore Mabuti gli dice due parole su dove sono gli animali, o indica, subito Franco li vede e
col binocolo li inquadra e ci dice cosa sono, quanti, se maschio o femmina, e se è maschio se è un bel
capo già adulto e da cacciare o se è giovane e da lasciare.
La cosa si ripete varie volte, viaggiando tra i 20 e i 40 Km/h sulla pista sterrata, a tratti fangosa, a tratti
con pozzanghere marron, segno delle piogge abbondanti quanto fuori stagione degli ultimi 3 giorni. Dopo
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mezz’ora, su consiglio di Franco, invece che al posto anteriore, prendo con me il fucile e vado “in cassa”,
con Mabuti che guarda fisso per manciate di secondi per localizzare qualche animale o branco di animali.
Io guardo dove guarda lui, e come al solito non vedo niente. [te lo dico sempre che non vedi un elefante a
1 metro! nota della moglie] Lui batte sul tetto, ci fermiamo, Franco spegne il motore per non fare rumore,
Mabuti punta il suo binocolo, un 8x30, punto anch’io il mio nella stessa direzione, non vedo niente,
alberelli, terra, cespugli, alberelli, chiedo a Mabuti in inglese dov’è che c’è qualcosa, lui è paziente, mi
chiama “sir”, mi dà i riferimenti precisi da cui partire, lo seguo, capisco, tolgo gli occhiali e punto il
binocolo, sì, ci siamo, vedo 3 nyala che pascolano, poi si muovono, Franco e Alessandro sono già giù dal
Nissan che puntano i
binocoli; vedono subito i
nyala.
Chiediamo a bassa voce
ad Alessandro a che
distanza sono, Franco il
PH stima subito 320
metri, Alessandro che ha
un binocolo Leica Geovid
8x42 con telemetro
incorporato misura e
risponde 315 metri, noi
tutti ci incazziamo per la
precisione di stima di
Franco, io che neanche riuscivo a vederli se non mi spiegavano dov’erano, e li lasciamo stare, dato che
sono troppo lontani ed in fondo anche troppo costosi; tiri il grilletto al nyala e sono già subito 2200 € in
una frazione di secondo.
La mattina procede, andiamo, le mani si gelano sulla barra del roll-bar, e mi metto a pensare. Io sono un
principiante, anzi sono uno zero, a caccia non ci sono mai stato, non so niente, non mi posso neanche
chiamare principiante.
A casa ho 34 armi, metà pistole e revolver, metà fucili a pompa e carabine, ho sparato migliaia di colpi
contro fogli di carta, contro piatti metallici, contro birilli da bowling, so riconoscere, usare e smontare
almeno 60 tipi di armi diverse, … ma a caccia sono uno zero perfetto. Non ho mai neanche provato. Ma
ho qualcosa in più degli altri zero, miei pari grado in fatto di caccia e magari sparacchiatori da subito; l’
ho imparata al Maffei, il liceo classico di Verona, e si sintetizza in due frasi greche: la prima,
γνωθι σεαυτον, “conosci te stesso”, e la seconda, dalla filosofia non so se di Socrate o Platone, che
mi ricorda che io una cosa so, e cioè “so di non sapere”. In una parola, umiltà. Ed intanto che mi si
gelavano le mani sul roll-bar del Nissan pick-up, in lontana terra d’Africa, a caccia in safari, come sogno
da anni, ogni volta che Mabuti vede quale cosa che io non vedo, ogni volta che Alessandro e Michele P.,
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la vedono prima di me, ogni volta che Franco stima la distanza ad occhio e la sua precisione viene
confermata dal telemetro laser, io mi ricordo chi sono: non importa se in qualcos’altro pensi di essere
bravo, o di esserlo stato, nell’hic et nunc, “qui ed ora” non so niente e non so fare niente.
E, per la prima volta in vita mia, primo regalo dall’Africa, avverto dentro di me una grande liberazione.
È faticoso essere qualcuno, è dura essere bravi, devi sempre dimostrarlo, non puoi sbagliare, devi fare
vedere che sei come si dice di te, devi ottenere buoni risultati, devi continuare a ottenerli. Tutti si
aspettano da te che tu sia conforme alle aspettative che loro hanno.
Si spia il cedimento e si aspetta che tu non riesca, per rimetterti a posto: “Visto, è stato solo un colpo di
fortuna”. “Ma allora non sei poi così bravo”. “Vedi che anche tu sbagli”. La mediocrità che non attende
altro che prendersi una rivincita sull’eccellenza: “In fondo siamo tutti uguali”.
Qui no, qui sono io ad essere lo scemo del villaggio, quello che non ha mai cacciato. E qualsiasi cosa io
faccia, non devo incontrare aspettative, attese, pretese. Se sbaglio, è normale. Se faccio male, è ovvio.
E così, nel ciclo della vita, un’altra volta, con gioia e umiltà, parto dal gradino più basso.
Decine di volte Mabuti batte sul tetto della cabina, decine di volte ci dispieghiamo attorno al pick-up con i
binocoli, vediamo, apprezziamo tante bellezze di vegetazione, d’animali, di paesaggi ed altrettante volte
risaliamo sul pick-up, per ripartire in pochi secondi e cercare ancora, più avanti. Ci fermiamo, sinistra un
branco, saranno 6 o 7 impala, maschi e femmine. Se ne vanno verso il veld, scende Franco e mi dice di
seguirlo a piedi. Prendo il Sako, ha 4 colpi nel serbatoio; ne metto uno in canna, metto la sicura, e metto
l’arma a spalla con la cinghia; bella larga, di pelle intrecciata. Ci inoltriamo nel veld; terra marrone,
alberelli verdi con spine lunghe,
appuntite, grigio argento: acacia
spinosa.
Lo seguo agevolmente, l’arma a
spalla è un dolce peso, che come
sempre non mi dà fastidio ma mi fa
sentire parte di questo mondo,
Africa-natura-caccia, che amo da
anni, seppure finora di amore
platonico.
Faccio attenzione a dove passo,
cerco di non pungermi, cerco di
camminare senza fare troppo
rumore, non voglio che Franco mi pensi non solo un principiante, ma anche un “cittadino” incapace di
muovermi nella natura senza sembrare un branco di elefanti.
Rientriamo in contatto con gli impala, adesso ne vediamo solo 3 o 4, ma continuano ad allontanarsi.
Rinunciamo all’inseguimento, e approfitto della marcia di ritorno al pick-up per fare qualche domanda a
Franco. Non mi risponde, aspetto qualche secondo, penso che non abbia sentito bene, rifaccio la
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domanda, e vedo che mi fa cenno con la mano di non fare rumore, e si ferma. Ha visto qualcosa. Indica
là, in mezzo alla boscaglia rada del veld. Vedo qualcosa di marron chiaro che se ne va velocemente, e
Franco mi dice gentilmente che per quel motivo non mi rispondeva, aveva visto qualcosa e la voce
l’avrebbe messo in fuga. Infatti.
Altra lezione: siamo in caccia. Siamo sempre in caccia. Penso: “Ma … stavamo tornando al pick-up!”.
Ho capito la lezione, e non me la farò ripetere.
Sono le 10 passate, la mattina si sta un po’ riscaldando. E non abbiamo preso niente. Mi diceva
Alessandro di non avere fretta, in 5 giorni si può fare di tutto.
Torniamo verso la casa nella farm, e i miei occhi stanno iniziando a “vedere” un po’ meglio.
Ad un certo punto sento il pick-up che frena, e nello stesso tempo Mabuti mi indica a destra, nella piana
al nostro livello, un animale non lontano. Ormai conosco la storia, l’abbiamo già ripetuta decine di volte.
Inquadro l’impala direttamente nel cannocchiale del fucile, il colpo è già in canna, e Franco mi dice che è
un bel maschio, corna buone, si può fare, Alessandro mi risponde che è a 130 metri, Franco mi dice di
mirare diritto, tanto la taratura a 200 m. andrà più che bene.
L’impala mi è di fronte, mi guarda, aumento gli ingrandimenti da 6 a 12, Franco mi dice “spara!”, è già
capitato un paio di volte che l’animale si muova mentre lo punti, quindi o spari subito o lo perdi. Chiedo a
Franco: “Dove?” Non ero preparato a sparargli di fronte, lo pensavo di fianco, “da cartolina”, come dice
Franco.
Mi risponde: “In mezzo al petto”, miro bene e tiro. Giù, secco. Mi guardano tutti, e subito si
complimentano, bel tiro,
non si muove più. Anche
Mabuti mi viene subito a
stringere la mano. Andiamo
a prenderlo.
Sono curioso di vedere
dove l’ho preso, è un po’ in
alto, sul collo, proprio in
mezzo, ma va bene. A tirare
più alto ancora rischiavo di
rovinare il trofeo. E
chissenefrega del trofeo.
Tocco l’impala, era bello,
begli occhi, aspetto gentile;
quasi mi dispiace, non mi faceva niente di male, anche se lo lasciavo vivere stavo bene lo stesso. Foto di
rito. Mabuti prende il coltello e inizia ad aprirgli la pancia, e il leggero senso di colpa si fa un po’ nausea.
Estrae i visceri e li getta da parte, volpi e altri selvatici ne faranno banchetto. La nausea e il senso di colpa
crescono un po’, li ricaccio indietro, questa è la caccia, questa è la vita, questa è l’Africa.
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Caricano l’impala sul retro del pick-up, e questa volta lascio solo Mabuti, e salgo in cabina e ripenso che
l’impala era più bello vivo, e che in fondo non sono un grande cacciatore d’Africa, ma sono solo ancora
lo zero di prima, e in più ho ammazzato un impala di 35 Kg.
E va bene, non era un cristiano, e in ogni caso di qui io volevo e dovevo passare.
“Volevo” perché ho letto quasi tutto ciò che ha scritto Hamingway, romanzi e racconti, e poi ho iniziato a
leggere Wilbur Smith, e ho letto 18 - dicesi diciotto - dei suoi romanzi, ed entrambi gli autori mi hanno
fatto salire, irresistibile, il desiderio di safari in Africa.
“Dovevo” perché in realtà il desiderio ruotava attorno ai grandi safari africani, ai cosiddetti “big five”,
leone, elefante, bufalo, rinoceronte, e il quinto è il leopardo oppure l’ippopotamo? E per cacciare questi,
mio sogno di divoratore di romanzi, dovevo pure iniziare dal primo gradino, dalla caccia semplice e meno
pericolosa, no?
Proseguiamo verso la farm bassa a riportare l’impala, e mi chiedono se voglio il trofeo a mezzo busto o
solo le corna montate sul teschio. Rispondo a tutti, stupiti, che non voglio né l’uno né l’altro, che del
trofeo non me ne frega niente.
Non riescono a capacitarsi del fatto, e alla fine Alessandro dice che lo prenderà lui.
Torniamo a casa per il brunch, sono quasi riuscito a ricacciare giù senso di colpa e nausea, ma ecco che
già ritornano.
Mangiamo dolci, pane,
marmellate, miele, uova al
bacon, salsicce di kudu,
latte, caffè, torta, e alle
12:45 riprendiamo il pick-
up per il pomeriggio di
caccia.
Stavolta il fucile lo tiene
Alessandro, e se ne sta
davanti a sinistra, di fianco
a Franco. Ne approfitto per
tornare dietro, “in cassa”, di
fianco al nostro tracker
Mabuti che, mentre noi
mangiavamo, ha ripulito il vano del pick-up e lavato via il sangue.
Ancora qualche decina di “stop-and-go”, la cosa mi piace sempre di più, adesso il senso di colpa è quasi
superato.
Passiamo spediti traballando, e d’un tratto Mabuti guarda a sinistra, in basso nel bush giù da una scarpata
e subito batte sul tetto della cabina; non so cos’abbia visto, ma ormai ho capito che se non c’è niente, e lui
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batte, allora vuol dire che c’è qualcosa. Ovviamente Franco, che conosce Mabuti, frena e ferma subito, e
Mabuti fa cenno di arretrare di qualche metro.
Spento il motore, tutti guardiamo, prima a occhio nudo e poi con il binocolo, e dopo 3 volte che mi ci fa
tornare sopra, capisco che là sotto, alla distanza che poi vedremo essere 73 metri, ma con un’inclinazione
di circa 60°, quel grande sasso grigio che ho guardato 3 volte è un bushbock accosciato che riposa. Franco
ci dice che il bushbock è l’unico del genere che, sano o ferito, può anche attaccare l’uomo.
Alessandro imbraccia il fucile, appoggia sul bipede-appoggio portatile di alluminio, tira, ed è giù, secco.
Poi si muove, rialza la testa, poi più nulla. Non scendiamo la scarpata, può essere pericoloso, sicuramente
è molto faticoso, e qui siamo in Africa, quello che è faticoso lo fanno i neri. Scende Mabuti. Noi risaliamo
sul pick-up e, per la pista, imbocchiamo un’altra sterrata che scende e passa sotto il bushbock abbattuto.
Dopo un quarto d’ora Mabuti ci chiama, l’ha trascinato alla pista. Ancora foto di rito, Mabuti toglie le
Questa volta non mi sento in colpa. Non perché non ho sparato io, ma Alessandro: non c’entra
viscere, carichiamo la preda, e via alla farm bassa dove prepareranno per il trofeo a mezzo busto.
. Perché
mo verso casa, buona giornata, io un’impala al mattino, compresa nausea e senso di colpa, e
Alessandro un bushbock al pomeriggio. Abbiamo fatto giornata. Penso che stiamo tornando un po’ troppo
presto, ma non mi dispiace: una doccia con calma e un po’ di relax, mica da sputarci sopra.
almeno il bushbock è un “cattivo”, uno che ti può attaccare, può essere pericoloso. OK, li sento già gli
animalisti ad oltranza, verdi e compagnia bolscevica, che ribattono che “se te ne stai a casa tua il
bushbock non ti viene a seccare”. Non mi interessa, questa volta la preda era “un cattivo”, e quindi sto
bene.
Tornia
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Io, al solito, siedo “in cassa”, con Mabuti. Qualcuno guarda in alto, a sinistra, sulla collina, nel bush:
fermi tutti, Franco ci dice che sono due kudu, ciascuno 250-300 kg. di animale, lunghe corna ritorte.
Alessandro li punta con fucile e cannocchiale, grossi, abbastanza costosi, sono 950 € al colpo.
degli altri,
on li ritrovi più.
Saliamo, fatica, spine, sassi, salita, poi il solito Mabuti vede a terra delle tracce di sangue, le segue verso
sinistra, e mi indica le gocce di sangue che, ogni tanto, punteggiano i sassi o i fili d’erba. Continuiamo a
Alessandro punta, Franco dice ”fai come vuoi, se lo vuoi puoi sparare, è un bel trofeo da libro dell’SCI”.
Alessandro è incerto, tiene inquadrato, poi toglie la sicura e tira. Il kudu va già, poi si rialza, ne spuntano
altri sei o sette e corrono tutti sul fianco della collina, verso sinistra. Uno zoppica, va più piano
poi non si vede più, dietro il bush, poi si vede ancora, poi sono due, Franco grida di tirargli ancora, ma
non si ferma, Franco prende il suo Sako in cal. 7 reg. mag. e fanno fuoco insieme. Non si vede più niente.
Al momento del tiro il telemetro diceva 202 m. ed è tutta salita, spini, sassi e bush. Qualcuno deve andare
su a vedere dove è finito il kudu. Chi mai? Per sicurezza, Alessandro mette un altro colpo in canna, mette
in sicura, e segue Mabuti che andrà a cercare il kudu. Franco, dal basso, dirige la ricerca. Gli chiedo
perché non va anche lui.
Mi spiega che una volta là, in mezzo al bush, si perde l’orientamento per l’eccessiva vicinanza, ed i
riferimenti che ti fai a 200 m. (radura piccola, albero rotondo, gruppo di rocce, albero più giallo dei
circostanti) non li vedi e n
Capisco, e ancora una volta mi dico di ricordarmi che “so di non sapere”, e porto a casa anche questa
lezione. Michele P. ha la gamba fuori uso, e si siede sulla pista di fianco al pick-up. Ed io, che paralitico
non sono, seguo Alessandro e Mabuti sulle tracce del kudu ferito.
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seguire, a tornare sui nostri passi e a riprendere le tracce per mezz’ora, e Mabuti chiama alla radio la farm
perchè ci mandino la cagna che segue le tracce sangue: sennò non ne usciamo.
Con Mabuti continuiamo a seguire le tracce che mi lui indica, e ne approfitta per spiegarmi a gesti (per
nsieme fanno un grande
non far rumore che possa ulteriormente spaventare e rimettere in fuga il ferito) come riesce ad individuare
il verso di fuga dell’animale ferito dalla forma delle gocce di sangue sui sassi o sulle foglie: il verso va
sempre dalla parte grossa della goccia verso gli schizzi più piccoli; non avevo osservato bene, non ci
avevo fatto caso; faccio tesoro di tutti questi piccoli trucchi che tutti i
ammaestramento alla caccia ed alla vita nella natura.
Intanto continuiamo a girare e cercare, e ci ha raggiunto anche Franco.
Insieme, Franco e Mabuti si girano uno verso l’altro, a distanza di pochi metri, e scoppiano in risate ed
allegre imprecazioni in inglese, in afrikaans e in nkosa, lingua di Mabuti che anche Franco capisce e parla
abbastanza. Eravamo tutti pochi passi intorno al kudu, caduto a terra e morto, e non l’avevamo visto!
Ormai erano le 17:00, avevamo pochi minuti prima che il sole scendesse dietro un promontorio dalla
parte opposta della spianata, dopo di che scendere nel bush scosceso per 230 metri fino al pick-up sarebbe
stato meno piacevole e più pericoloso. Quindi foto di rito, rapide, in posizione disagiata nel bush lungo il
fianco scosceso del monte, ed intanto era arrivata la squadra di recupero, con cagna, altro fuoristrada,
attrezzature ed altri 3 o 4 neri per il lavoro, pesante, di riportare alla farm il kudu da 250 kg.
Anche questo, grosso, cornuto, grigio e brutto: meglio per me, niente senso di colpa. Adesso, dopo 3 ore
che scrivo, si sono fatte le 23:30 e il rumore di Michele P. che russa da ore nella stanza di fianco, dopo
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l’iniezione di anti-infiammatorio fattagli da Alessandro, mi suggerisce di prepararmi con un buon sonno
ad un’altra giornata da grande cacciatore africano.
Martedì 23.05.06 ore 22.40
Solo ora mi rendo conto di avere sempre tralasciato di parlare delle cene che Charmaine, la gentilissima
moglie di Franco, ci prepara sempre, con l’aiuto di una giovane donna nera, che gira in casa
erennemente con un neonato legato ad una fascia dietro alla schiena.
Ci fa il pane, ieri ci ha perfino fatto 3 pani a ciabatta, meglio che in Italia, e ce li siamo fatti fuori con olio
ta di una pastasciutta, per passare ad ottime bistecche di gnu e ad
igorosamente evitato di aggiungere
ini sudafricani, sia lo Chardonnay che il Cabernet Sauvignon, entrambi di
cielo coperto, e ci accingiamo a sopportarlo per un
o in cerca di qualcosa da
ra in basso, a poco più
blue
p
di oliva e sale, declinando poi l’offer
un’abbondante filetto di Orix.
Poi i peperoni arrostiti e conditi con olio di oliva, e un buonissimo dolce di mele. Stasera Charmaine ci ha
stupiti, con abbondanti e squisiti spaghetti al ragu di kudu, ai quali ho r
il parmigiano, seppure della migliore qualità italiana, per gustare a fondo il sapore del ragù di kudu,
aggiungendovi piuttosto un filo di olio extra vergine di oliva di Cape Town.
Abbiamo anche apprezzato i v
ben 14° alcoolici.
Stamattina dunque la solita sveglia alle 7:00 con veloce caffè e biscotti, e alle 7:30 siamo già sul pick-up
con un cielo coperto che non promette nulla di buono, e una temperatura bassa che mi fa lasciare Mabuti
solo “in cassa” e salire in cabina al caldo ed al riparo dal vento.
L’umore di Michele P. resta sempre più nero del
altro giorno grazie all’aria frizzante ed all’attesa
per l’avventura. < salto il fatto di Alessandro con il Sako 22-250 >
Dato che il tempo tiene, anche se il sole non si fa
vedere, ci avventuriam
“portare a casa”. Percorrendo una strada a mezza
costa, con la vallata a sinistra, Mabuti bussa in
cabina (io intanto ero salito “in cassa”) e Franco
inchioda; vediamo a sinist
d’un centinaio di metri, tre bei maschi di
wildebeest, cioè gnu. Tiro fuori la Nikon digitale,
zoom avanti, inquadro, scatto 2 o 3 foto, e Franco
scende, mi porge il fucile e mi chiede cosa
diavolo sto aspettando a tirargli. Cado dalle
nuvole, pensavo che fossero altri animali molto
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più costosi, non c’eravamo capiti, ed ora che io scendo e prendo l’arma i capi se ne sono già filati via. Mi
apposto a piedi, con il fucile sul bipiede, colpo in canna e sicura, e mandiamo giù Mabuti che li cerchi e
ce li spinga sotto tiro.
Torna dopo circa un quarto d’ora, sono scomparsi. Tolgo la sicura, tolgo il colpo dalla camera, richiudo
l’otturatore tenendo il grilletto premuto per evitare di farlo poi scaricare a vuoto, saliamo sul pick-up e
torniamo alla ricerca di questi blue wildebeest. Adesso lo ho visti bene, non sono come gli impala, che
r
moglie di Pali, il custode bianco della farm bassa, quella padronale, gli
certamente, e ci porta 4 sacchettini trasparenti, di cui uno con carne secca piccante, e 3 con carne non
età mattina, piovìggina appena, e ci dirigiamo verso casa (la
assomigliano al Bambi dei cartoni animati. Questi sono dei tori di gnu, brutti, grigio scuri, grandi corna
ricurve un po’ simili ad un bufalo, e pesano 250-300 kg.: ed in più hanno anche una gobba; decido che
sono dei bastardi e che li posso ammazzare senza nessun senso di colpa. Li ritroviamo dopo 20 minuti, e
questa volta con Franco ci capiamo al volo: letteralmente salto giù dal vano del pick-up, appena tocco
terra ho già aperto e chiuso e messo il colpo in canna e la sicura, Mabuti mi piazza il bipiede, punto
l’arma e tolgo la sicura, e dal pick-up a qualche metro Michele P. batte due volte leggermente sul vetro,
dall’interno, per dire qualcosa. I due o tre gnu in una frazione di secondo schizzano via galoppando, ed io
guardo Alessandro e Franco, rimetto la sicura, abbiamo tutti e 3 una faccia un po’ strana e un po’
incazzata, salgo “in cassa” con
Mabuti, e sento che guidando i
3 dentro discutono ad alta voce.
Guardo Mabuti, e lui mi dice
che suo nonno era molto
vecchio, e spesso faceva delle
grosse sciocchezze e pensava di
avere ragione, e tutti gli
dicevano che aveva torto, ma lui
ribadiva di avere ragione. Gli
dico che Michele ha 70 anni, e
lui mi dice che è molto, molto
vecchio.
a assaggiare la carne secca. La
dice che per lui, signore, ce n’è
Passiamo alla farm bassa, dove Michele P. chiede se gli fanno anco
piccante, da loro chiamata BBQ (barbeque).
Ricordando i molti romanzi di Wilbur Smith in cui si accenna all’importanza di questa carne secca (chi
non capisce, se li legga!) ne mangio con molta curiosità, e arrivo anche a prendere in giro Franco che non
vuole mangiare di quella piccante. Ormai è m
farm alta) per il brunch.
Arriviamo verso le 10:30, mangiamo, e alle 11:45 siamo già di nuovo in caccia.
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Dopo un’oretta dei soliti stop-and-go, ritroviamo uno dei blue wildebeest (gnu) che ormai cerchiamo da
ore, da quando Michele ce li ha fatti scappare.
o dietro ogni riparo per non farci vedere, e mi porta fino a
per
orto,
F
subito mi stringono la mano, si complimentano, intanto che Mabuti via radio chiam
altro Toyota pick-up e 4 neri per il recupero dell’animale.
a di cm. troppo avanti, per cui ho preso solo il
ssandro ieri,
Scendo veloce, colpo in canna e sicura, e seguo Mabuti che scende lungo il dolce declivio e mi indica un
punto lontano. Guardo con il binocolo, è il bastardo, gobbo, cornuto, a circa 200-250 metri da noi. Seguo
Mabuti, camminiamo in silenzio, ci abbassiam
100 metri dall’animale. So che non posso perdere tempo, lo gnu è fermo di lato e ci guarda con la testa
girata verso di noi. Mabuti mi dice sottovoce “take it!”, inquadro nell’ottica, il fucile sul bipiede che mi
ha appoggiato a terra, c’è ed è fermo, tolgo la sicura, porto gli ingrandimenti da 6 a 10, mi ripete “take
it!”, so che è facile che nei prossimi 2 secondi si muova e se ne vada tranquillamente via, miro all’altezza
della spalla, tiro, colpito, si muove appena ancora in piedi, ricarico subito per doppiare e finirlo, con il
rinculo ovviamente sono tutto fuori mira, miro ancora, giusto il tempo per sentire da dietro in alto un altro
sparo, è Franco che ha sparato da 270 m. con il suo Sako in 7 mm. Rem. Magnum e l’ha messo giù
definitivamente.
Metto la sicura, e
avanziamo (siamo
solo a 100 m.)
andarlo a vedere.
Tengo il colpo in
canna, non si sa mai,
potrei dover difendere
Mabuti che mi
precede, lo gnu è pur
sempre un cornutone
da 250-300 kg.!
Arriva sul posto, è a
terra, chiedo a Mabuti
in inglese se è m
gli tocca l’occhio,
ranco con Alessandro,
a la farm bassa con un
Vado a toccarlo: è ancora caldo; foto di rito, poi esaminiamo con Franco, come ho già fatto da poco con
Mabuti, i due fori di entrata dei proiettili, per analizzare il mio colpo e quello del PH Franco.
Il mio era all’altezza giusta, questa volta, ma di una decin
nessuna reazione, sì, è morto. Siamo abbastanza lontani dalla pista, scendono
collo invece che cuore o polmoni, zone più velocemente letali. Per evitare che il ferito se ne andasse per
centinaia di metri, facendoci sudare 7 camicie per poi recuperarlo, come con l’eland di Ale
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Franco ha giustamente doppiato con un colpo che, pur da 270 metri, è stato di una precisione chirurgica.
D’altra parte … anche per questo cacciamo con il P.H., no?
Questa volta assistiamo anche alla scuoiatura e macellazione dell’animale, e neanche la nausea fa
capolino in me: ovvio, era un bastardo, questo, non un “bambi”. Piove, e rientriamo a casa, la farm alta,
con un bel po’ di anticipo, ed aspettiamo la cena (servita prima delle 18:00) discutendo di tutto ed
do la 1^
arginando le polemiche di Michele P. che, pur essendo cacciatore di piuma e con cani, a noi pare troppo
spesso polemico orientato più al “verde” che alla caccia: miracoli dei dolori al nervo sciatico …
Finiamo la serata a parlare di caccia grossa, di Kenia, di elefanti, leoni, rinoceronti, leopardi, di episodi
capitati a Franco nella sua carriera di PH, di Tanzania, di malattie tropicali, di Zimbabwe, di armi e calibri
per i grossi animali feroci, di coccodrilli, di balistica, e penso che quest’anno io sto frequentan
elementare, e non vedo l’ora di passare in seconda, perché per me questo è solo il primo passo per
arrivare ai “big five” e alla grande caccia africana.
Mercoledì 24.05.06
Questa mattina sveglia, al solito alle 7:00. Guardo fuori dalla finestra: sole e un po’ di nuvole. Colazione
e … si va. Durante la colazione Mabuti e un altro nero stavano cambiando un’altra gomma,
era. Facendo retromarcia, uno scossone: guardiamo dov’era parcheggiato il
evidentemente forata ieri s
pick-up, e c’è una pietra a terra e una grossa buca scavata. Evidentemente non ce la facevano con il crick
ad alzare l’auto abbastanza, ed hanno scavato la buca sotto! Come diceva Franco, dato che noi qualche
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sera fa la gomma l’abbiamo cambiata con lo stesso crick, se noi facciamo quel che facciamo e loro fanno
il lavoro pesante, un motivo ci sarà pure …
Da qualche giorno tra Alessandro e Michele P. , entrambi cacciatori con cani, ci sono accese discussioni
sui cani, che si riaccendono in auto ogni volta che vediamo in giro qualche uccello. Parlando di caccia e
di uccelli selvatici, Franco ci dice che in tutte queste zone c’è grande scarsità di molte specie di uccelli
o sotto
o il recupero, e ci
isto di 3 o
d
Siamo “in cassa” Alessandro ed io, e Mabuti dietro di noi, sulla parte
cassone, proprio sull’angolo.
gnato già a me, punta a una scimmia sulla cima di un albero, tira: giù secca.
ve c’era la scimmietta.
che sarebbero abbastanza comuni, perché ci sono in giro troppe scimmie, che si nutrono anche di uova di
uccelli, e per questo motivo alle scimmie si può tirare liberamente, in quanto nocive ed infestanti.
Alla mattina, reduci da lunghi giri senza avvistare ciò che volevamo cacciare, su una strada a mezza costa
con strapiombo sulla destra, notiamo varie scimmie giù, in basso nella piana sottostante. Fermiamo,
Franco mi spiega come appoggiarmi al cofano motore del pick-up, con mano sinistra a ragn
l’astina del fucile, per regolare in altezza, calcio appoggiato al cofano, e dietro appoggiato alla spalla. Mi
apposto con il fucile Sako in cal. .22-250, metto il cannocchiale Tasco 3-12x40 sui 10 ingrandimenti,
sento la distanza da Alessandro, 200 metri esatti, punto una scimmietta ferma, tiro: giù secca. In una
frazione di secondo tutte le altre fuggono, e non ne rimane in vista neppure una.
Essendo l’ora del brunch, per non
far aspettare Charmaine
rimandiam
dirigiamo verso casa.
Passiamo dalla farm-macelleria,
dove non hanno ancora riparato la
gomma forata. In un m
4 lingue Franco fa capire ai boys
che la gomma la devono riparare
(non ne abbiamo altre di scorta), e
ci ricordiamo ancora una volta che
siamo in Africa, ed il tempo qui si
misura in un altro modo.
a noi mai esplorata fino ad oggi.
verticale del bordo posteriore del
Dopo pranzo, dalla casa (la farm alta) saliamo ancora, ad una zona
Lungo la strada che sale dolcemente, con scarpata a destra, vediamo ancora un branco di scimmie sugli
alberi al di là della scarpata. Fermiamo, Alessandro ha già il Sako in .22-250, mette il colpo in canna, si
appoggia come Franco ha inse
Distava 100 m.
Mabuti scende la scarpata per il recupero, e lo seguo, curioso di vedere dove l’ha presa. Attraversiamo un
torrente mezzo in secca, su larghi pietroni, risaliamo di là e ci portiamo nella zona dove pensiamo che
fosse l’albero do
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Ancora una volta capisco la difficoltà di inquadrare una zona
particolare del territorio: guardi a 100 metri, vedi un albero
un po’ più alto, o diverso, e tutto ti pare chiaro ed ovvio. Poi
zo: mi guarda curioso con aria
culo nero di Mabuti?
- No, e perché mai? - mi chiede mezzo ridend
- E perché allora noi due ci sediamo sempre
buti, quando stiamo dietro in due di noi, tocca sedere sulla sponda in lamiera del
ma insisto come un bulldozer:
freddo e la pioggia, Mabuti stava fuori “in cassa”, in più tenendo in mano una
acceso a ridere e scherzare? E invece oggi che c’è sole e caldo
sguardo che si fissa a tratti su porzioni di
utando e cercando contrasti di colore, o movimento, che ho imparato
6
ggi abbiamo fatto un giro completamente diverso: partiti da casa, subito verso l’alto. La mattinata e
parte del pomeriggio ci hanno regalato emozioni diverse da quelle dei giorni precedenti.
quei cento metri li superi, arrivi di là e non sai più dove sei,
rispetto a dove guardavi prima. Mabuti ed io giriamo un po’
guardando sotto vari alberi, finchè non vedo a terra la
scimmietta grigia morta. Mabuti la prende per la coda e
torniamo al pick-up.
Continuiamo il giro in auto, e ad un certo punto un pensiero
prende forma dentro di me; mi giro verso Alessandro, mi
metto a ridere come un paz
interrogativa, voglio spiegargli ma per mezzo minuto non
riesco a smettere di ridere. Poi glie lo dico:
- Ma in nostri culi bianchi hanno una consistenza diversa dal
o.
sulla traversa in legno con similpelle e grossa imbottitura in
gommapiuma, e a Ma
pick-up?
- Perché è giusto così!
Vedo che Alessandro, che è uno che ragiona e capisce, non vuole farsi in questo momento troppi
problemi,
- E perché ieri, con il
vaschetta di carne da cucinare, abbassandosi più che poteva per evitare pioggia e vento, e noi 4 stavamo
in cabina al riparo e con il riscaldamento
veniamo dietro in due, relegando lui sulla sponda del pick-up?
- Certo, perché è giusto così!
Non insisto, non cambierò il mondo oggi e da solo, e men che mai a dispetto dei miei privilegi; e
torniamo entrambi a volgere l’attenzione alla caccia, con quello
orizzonte e di territorio, scr
guardando Mabuti, 27 anni, in caccia da 10 anni, non sposato, con un figlio di 4 anni, nonché nostro
grande tracker nero.
Giovedì 25.05.0
O
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Imbocchiamo la strada in salita, guadiamo con il pick-up un torrente, e la strada comincia a salire; sassi
o la salita si fa
grossi, fango, salita dura e ripida, il pick-up ha le 4 ruote motrici, come sempre qui alla farm, inserite;
mettiamo le ridotte. Nonostante non piova da due giorni c’è molto fango, e quand
ripidissima ogni tanto le ruote slittano un po’. La macchina sbanda abbondantemente, seguendo più le
tracce tra terra dura e fango che i comandi del volante. Nei tornanti non possiamo rallentare troppo, se ci
fermiamo non si riparte più, e quindi li prendiamo relativamente veloci, e sento che tutte le 4 ruote
scivolano per farci fare il tornante, più che girare regolarmente. Non si può girare l’auto per tornare
indietro, e quindi si deve avanzare facendo attenzione a non fermarsi.
Ogni tanto ci sono in mezzo alla strada, o di qua e di là, delle pietre particolarmente grosse (circa cubiche
di 25-30 cm. di lato) e Franco fa attenzione a farle passare tra le ruote, ma non in centro, per non sfondare
i differenziali.
bottita e la canna verso l’alto, l’ho messo prima alla spalla,
raverso,
Dopo un po’, nonostante il freddo (fuori dalla casa sul prato c’era la brina) sudiamo leggermente.
Siamo Alessandro ed io “in cassa”, Mabuti dietro sulla sponda. Il fucile, che all’inizio della salita tenevo
in mano con il calcio appoggiato alla panca im
con la cinghia, poi quando le difficoltà della salita si son fatte più serie, sempre in spalla ma di t
infilando rapidamente la testa nella cinghia per metterlo in diagonale.
La terra che compone questo fango è rossa. Le 4 ruote sono tutte impastate di questo fango rosso e
scivoloso.
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Tutto ad un tratto il terreno cambia colore, il fango rosso lascia il posto ad un pietrisco grigio, le ruote si
puliscono, il pick-up non sbanda più, e noi tutti ci rilassiamo un po’, pensando che Franco, alla prova dei
e puliti ma che riesce poi a
endere io, ma alcune
n
darci il tempo di scendere dal pick-up, mentre l’altro lo vedo, lo inquadro n
ne abbiamo tutti apprezzato la carne squisita.
che la peggior feccia
fatti, non è solo un buon PH per la conoscenza degli animali e per la mira ottima e veloce, con la quale
rimedia ai nostri tiri non sempre risolutivi, ma anche un ottimo guidatore in fuoristrada, cosa che non
guasta per riportare a casa i nostri culi, misti bianchi e neri.
Alessandro alla mattina abbatte un blesbuck, ed al pomeriggio un mountain reedbuck, con tiri non perfetti
doppiare senza l’aiuto di
Franco.
Il mountain reedbuck l’avrei
voluto pr
incertezze che mi hanno fatto
evitare di sparare, per
difficoltà ad inquadrare
l’animale, lasciandolo poi
andare via, hanno suggerito
ad Alessandro di sparare lui, e
sparare veloce. Vediamo
anche un paio di facoceri, a
iamo il motore, senza neppure
ell’ottica della carabina, tolgo
la sicura, si muove voltandomi le spalle e se ne va via tranquillo, e non voglio sparargli mentre si muove,
e così lo perdiamo. Domani, ultimo giorno di caccia, lo dedicheremo ai facoceri: speriamo di riuscire a
prenderne un paio, uno ciascuno.
Questa sera per cena Charmaine ci ha cucinato in abbondanza filetto di facocero, di quelli presi dal
gruppo di cacciatori prima di noi, e
cui da almeno 2 giorni facciamo la posta, ma uno sparisce appena speg
Quest’idea, accanto all’altra preponderante, e cioè che il facocero è una specie di cinghiale africano, ma
molto più brutto e cattivo, ci fa rendere ancora più determinati ad ucciderne un paio.
Questa mattina, oltre alle emozioni del “fuoristrada spinto”, il giro in quota, oltre ad un’aria
particolarmente frizzante, ci ha regalato una serie di viste e di panorami incantevoli,
di scrittoruncoli di oggi non esiterebbe a definire “mozzafiato”. (Per me l’unica esperienza mozzafiato è
stata quando, a 10 anni nel cortile delle scuole Don Mazza, in cui per caso giocavo una partita a pallone,
in porta, mi sono corsi addosso in due, sbattendomi sul petto, e per una lunga manciata di secondi non
sono più stato in grado di respirare; esperienza tremenda: quella sì mozzafiato.) Dicevo, in quota lo
sguardo spaziava tutt’intorno, e da una parte era un susseguirsi di bassi monti e vallate, con in fondo,
lontano all’orizzonte, una grande cima piatta ed innevata. Dall’altra parte invece il panorama digradava
ad una grande pianura, e lontano molti chilometri brillavano argentei dei tetti di capannoni industriali, e
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più a destra una città; in mezzo si snodava un lungo canale di irrigazione nel suo invaso regolare di
cemento, frutto dell’oculata gestione, come per altre opere, di boeri ed inglesi, che per centinaia d’anni
hanno costruito questa grande nazione, che da qualche decennio sta regredendo per l’agire sconsiderato
del nuovo governo dei neri, che avranno sì la maggioranza in parlamento, ma non certo la capacità di
gestire il Paese, come d’altra parte succede ovunque in terra d’Africa negli ultimi decenni.
Venerdì 26.05.06
Questa mattina usciamo con il pick-up verso le 7:25. La giornata si preannuncia bella. Non c’è neanche
a stessa ora, sul prato all’inglese fuori casa c’era la brina. Tutto leggermente
lla cassapanca imbottita, tenendolo verticale, in modo che la volata
mani gelate, muscoli delle mani e delle
braccia stanchissimi. Essendo io per natura una scimmia imitatrice, ho guardato cosa e come faceva
freddo. Ieri mattina, all
imbiancato. Qui siamo ad autunno avanzato, o inizio inverno. Ogni volta che passiamo dalla farm bassa, o
dalla farm macelleria, gli unici posti in cui i cellulari funzionano, facciamo tutti qualche telefonata, in
azienda o a casa. Io mando e ricevo gli SMS a mia figlia maggiore Giulia, 15 anni, che mi risponde che in
Italia adesso muoiono dal caldo.
Qui è freddo, e alla mattina o al pomeriggio dopo le 16:00, quando stai “in cassa”, con una mano tieni il
fucile, col calcio appoggiato su
(l’estremità della canna da dove esce il proiettile) sia più alta delle nostre teste; l’altra mano, quando la
pista non è troppo ripida o troppo sconnessa e non è necessario tenersi alla barra del pick-up, la tengo
sotto una coscia, che si riscaldi tra la coscia e la panca imbottita.
Nelle prime ore fatte “in cassa” quando c’erano piste ripide, o troppo sconnesse, mi aggrappavo alla
grossa barra e mi tenevo quasi fisso a forza. Risultato, oltre alle
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Mabuti, che di ore in cassa e sulla sponda ne aveva fatte chissà quante. Facile: non si tiene neanche! Mani
rilassate, se ne sta sempre verticale: quando il pick-up sale, si inclina in avanti rispetto all’auto, ed il
contrario quando il pick-up scende. Altra lezione dal nostro giovane tracker nero. E funziona! da quando
faccio come lui, sto molto meglio.
Una delle scorse mattine,
forse martedì, erano circa
le 8:00, freddo, ed ero “in
cassa” in cerca del mio
pensavo. Ma guarda, solo una tazza di caffè caldo e lungo, e qualche biscot
abbondante, e poi fuori al freddo, in giro per questo veld ancora in parte in om
i con i raggi del sole
gnu, il blue wildebeest;
ancora non mi sentivo
proprio in forma, come mi
capita ogni mattina
almeno fino alle 10:00
quando il mio
metabolismo “entra in
coppia”, come si dice dei
motori. Franco guidava
lentamente in salita, sulla
n cerca di selvaggina, e io
to, neanche una colazione
bra. Insomma, non ero “al
massimo”. Poi penso ancora. Ma questi gnu, qui in giro, anche loro sono qui, in questo veld, con il
freddo, anche loro stanno incominciando a brucare qua e là, è appena passata la gelida notte, anche loro
magari non sono “al massimo”, alla mattina presto, e noi andiamo lì da loro, che si fanno gli affari loro, e
andiamo a rompergli le scatole, e ci avviciniamo per ammazzarli …
Poi con un po’ di sole ci si scalda, il paesaggio prende una colorazione diversa, molte piante di aloe
mostrano già i loro frutti rossi, a forma di pannocchia verticale in mezzo al ciuffo alto di foglie grasse,
spinose e verdi, dopo un fusto alto vari metri e color legno secco, il verde degli alber
pista sconnessa, Mabuti accanto a me scrutava fisso il paesaggio circostante, i
si stacca e prende contrasto rispetto al marron rossiccio della terra, e i miei pensieri ricominciano a
volgersi verso il sereno.
Oggi, ultimo giorno di caccia, siamo tutti tesi a prendere il facocero, che cerchiamo già senza successo da
almeno 2 o 3 giorni. Ormai tutti quanti ne conosciamo il nome in 3 lingue, in inglese è il warthog, in
afrikaans è il vlakvark.
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Diario di caccia in Sudafrica
Ne abbiamo avvistati diversi, tra cui anche intere famiglie con 4 o 5 piccoli al seguito, trotterellanti semi-
adulti dietro alla madre. Qualche bel verro, con le difese (zanne che sporgono davanti) e le caratteristiche
doppie sporgenze callose a protezione degli occhi e del muso. Qualche volta siamo anche riusciti a
puntarlo e ad inquadrarlo nell’ottica del fucile, ma la mia scarsa velocità nel tiro o il fatto che non stavano
fermi un attimo ha sempre impedito di tirare; o forse anche la mia scarsa propensione a “sparacchiare”
tentando colpi che non stato sicuro di mandare a segno in modo pulito.
Verso le 14:00 vediamo nella piana un bell’esemplare maschio, grosso, circa 60 kg., ma decisamente
fuori tiro per un abbattimento sicuro, essendo a circa 400 metri. Sparisce subito. Prendiamo un
riferimento, un albero con chioma tonda e gialla, molto più gialla del circostante, e che spicca perciò sul
verde degli altri alberi. Risaliamo tutti velocemente sul pick-up, e Franco ci porta sulla pista fino alla
corrispondenza con l’albero giallo, che ci rimane ad un centinaio di metri di distanza nel bush. Michele P.
è come al solito inchiodato in auto dalla sua gamba; scendiamo eccezionalmente in 4, Franco, Mabuti,
Alessandro ed io. Di solito si scende in 2, e cioè solo chi caccia e Mabuti, per fare meno rumore possibile.
Io prendo il Sako in cal. .308 Win., e Alessandro tiene il Sako in 22-250. Avanziamo nel bush, in silenzio,
scrutando verso la direzione in cui dovrebbe essere il facocero. A terra, tracce di molti selvatici, rami,
sassi, molti escrementi di varie dimensioni, segno che la zona è ben frequentata. Il bush, come al solito, è
composto in buona parte di acacia spinosa, per cui stiamo ben attenti a non pungerci passando.
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Diario di caccia in Sudafrica
Dopo un centinaio di metri di camminata in “avvicinamento tattico”, in silenzio e cercando di camminare
senza far rumore, ci fermiamo tutti 4, ci abbassiamo per vedere più lontano, sotto ai numerosi alberi, e
restiamo immobili per un minuto.
L’atmosfera ci prende. Sembra di essere in Vietnam, salvo che, per fortuna, non ci sono dall’altra parte i
Vietcong a spararci addosso.
Sentiamo uno strano rumore, tra il grugnire ed il grufolare; guardiamo tutti in quella direzione, non si
vede niente, lo sentiamo ancora, e poi più; ci incamminiamo di nuovo verso la direzione da cui veniva il
rumore. Facciamo un altro centinaio di metri, sempre nel massimo silenzio, e poi Franco, davanti a tutti
con Mabuti, ci fa segno di sederci tutti a terra, all’ombra di un’acacia spinosa per non essere troppo
visibili.
Avevamo già entrambi da tempo il colpo in canna e la sicura inserita, e quindi sia nella camminata tattica
sia nell’acquattarci e nel sederci, facevamo sempre la massima attenzione a dove puntavamo le armi.
Franco mi fa cenno di sedermi in posizione più avanzata rispetto agli altri, e fa cenno a Mabuti di mettersi
vicino a me e porgermi il bipiede.
Prima di porgermelo, ha già ridotto le aste telescopiche ad una sessantina di cm., per cui resto seduto ed
appoggio l’arma carica sul bipiede, nella direzione che immagino sia quella del facocero.
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Diario di caccia in Sudafrica
Resto con entrambi gli occhi aperti, come mi ha insegnato Franco, e uso il destro nell’ottica della
carabina, puntata sui 6 ingrandimenti (il minimo) e il sinistro per vedere tutto il campo e cercare
movimento di animali. Non vedo ancora niente, e Mabuti mi fa un rapido cenno con la mano. Bisbiglio:
“Where is it?”, “Dov’è?”, mi indica e mi bisbiglia che è a destra di un albero, sul fondo giallo dopo
l’ombra. Punto lì l’ottica della carabina, lo vedo, maschio e grosso, si muove tranquillo verso destra. Ad
un certo punto si muove per allontanarsi da noi, mi mostra il posteriore ed è quasi fermo, tolgo la sicura e
metto l’indice dentro il
ponticello del grilletto,
ricordo dove lo devo colpire
nei casi in cui sia di fianco, di
fronte, o di retro, tutto OK,
ma lentamente (non si è mai
fermato del tutto) si muove e
fa qualche passo verso destra,
lo seguo con l’ottica e con il
dito che sfiora il grilletto, si
ferma un attimo, tiro: preso in
pieno, cade giù e scalcia
furiosamente con le 4 zampe
in aria, ricarico subito e ri-
punto verso il facocero con il dito già sul grilletto, per finirlo, e sento da dietro di me, appena da destra,
un botto pazzesco, è Alessandro che temeva che scappasse e gli ha piantato un altro colpo, un 22-250,
nella pancia.
Scalcia appena per
qualche secondo ancora e
poi si immobilizza.
Togliamo il colpo dalla
camera, ci alziamo,
chiedo a Mabuti se mi
recupera la Nikon 5400
che ho lasciato sul pick-
up insieme al binocolo,
come mi ha insegnato
Franco, e ci dirigiamo
verso il facocero, io
curioso di vedere dove
l’ho preso, come al solito.
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Diario di caccia in Sudafrica
Lo giriamo, chiedo a Franco: colpo perfetto! esattamente al centro spalla. Dal facocero misuriamo con il
telemetro Leica di Alessandro verso l’albero sotto cui eravamo acquattati: esattamente 130 metri.
Non era necessario il colpo doppiato, ma la prudenza, dopo i colpi non risolutivi degli ultimi giorni, non è
mai troppa. Ci facciamo le foto di rito, e poi in 2 alla volta, tra Mabuti, Alessandro ed io, ci alterniamo al
duro lavoro di trascinare il facocero, tirando uno per ogni zanna, fino al pick-up.
Domani è giorno di partenza e di viaggio, sveglia alla 6:00.
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