UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “ROMA TRE “ Facoltà di Ingegneria
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN “ Ingegneria gestionale e dell’automazione “
Insegnamento di “ Comunicazione tecnico-scientifica “
Titolare: Prof.ssa Giuditta AlessandriniCultore della Materia: Dott.ssa Maria Vittoria Ballan Dott.ssa Nicoletta Pucci
Anno accademico 2008/09
La Comunicazione interpersonale
Dispensa didattica ad esclusivo uso interno a cura di Maria Vittoria Ballan
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INTRODUZIONE
Quale collocazione e senso dare ad un tema come quello della
comunicazione interpersonale all’interno di un Corso di Laurea in Ingegneria
Informatica, dove gli obiettivi formativi sembrerebbero identificabili in modo
preciso e netto nell’ambito matematico o comunque scientifico, nelle
competenze necessarie per utilizzare tecniche e strumenti per la
progettazione di componenti , sistemi , processi?
Gli anni novanta saranno ricordati per molto tempo come uno dei periodi di
crescita economica più lunghi ed intensi, ma soprattutto come gli anni in cui si
è affermato un nuovo modo di essere dell’economia e della concezione del
lavoro. La spiegazione di un mutamento così strutturale è stata individuata
nella “ Nuova Economia “: le innovazioni introdotte a partire dagli anni
settanta dalla tecnologia digitale si sono propagate non solo all’interno del
sistema produttivo ma anche a quello sociale, producendo poi i suoi effetti
sistemici negli anni novanta. Il progresso tecnico ha prodotto perciò una
profonda riorganizzazione dei processi e delle strutture produttive lanciando
una nuova sfida, quella della innovazione continua, necessaria per sostenere
la sempre maggiore competitività: siamo entrati nell’era che potremmo
definire basata sul sapere, sull’utilizzo di sempre nuove e diverse
competenze e la nuova ricchezza , la materia prima più preziosa , diventa il
“ capitale intellettuale “, l’uomo nella sua totalità.
Nel XVIII secolo la ricchezza era essenzialmente identificabile in un bene
fisico , il valore aggiunto era ciò che si produceva in più rispetto a ciò che si
consumava nel produrre , la ricchezza era costituita dalla terra e dalle braccia
dei contadini : la rivoluzione industriale modifica notevolmente i rapporti di
produzione a favore del lavoro ma la ricchezza resta ancora un fattore
quantitativo di natura fisica . Negli anni cinquanta - sessanta del XX secolo
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importantissime scoperte tecnico-scientifiche permetteranno in un breve
lasso di tempo il passaggio ad una meccanizzazione ed informatizzazione di
massa , la terra ed il lavoro vengono sostituiti dal sapere e dalla informazione
, la conoscenza travalica i confini dell’accessorietà per diventare il motore
principale della ricchezza.
Uno dei pericoli che uno scenario come quello appena descritto può
evidenziare è una esasperazione del potenziale mentale , una sorta di
specializzazione del sapere che sarebbe però non adeguato per affrontare la
complessità di questo nuovo ambiente in cui ci troviamo a vivere ed operare.
Se è vero che in questa nuova società della conoscenza è la persona nella
sua totalità ad essere l’attore principale non possiamo dimenticare di
sviluppare , indagare , valorizzare le nostre facoltà interiori , facoltà che si
esprimono in quel potere fortissimo che è la mente immaginativa e
creativa , di pensare in astratto ciò che produrremo concretamente. Le
trasformazioni , riarticolazioni , le nuove connessioni delle conoscenze e dei
modi del sapere rendono impossibile , in ambito didattico , concepire le varie
discipline come sistemi chiusi in sé , completamente astratti dai ragionamenti
sulle forme del pensiero che si vanno svolgendo in altri ambiti conoscitivi , è
necessario sviluppare una sorta di “occhio critico “ per guardare il mondo
contemporaneo nella sua complessità e metamorfosi.
Per tutte queste ragioni si parla sempre di più di competenze trasversali , che
vanno oltre cioè quelle più specifiche , specialistiche , tecniche , non legate
strettamente al compito ma indispensabili per un pieno sviluppo delle persone
: gestire lo stress , il cambiamento , perseguire gli obiettivi , comunicare
efficacemente sono solo alcune delle competenze necessarie per
governare , gestire , affrontare la complessità. Non a caso , dunque , negli
obiettivi formativi specifici del Corso di Laurea in Ingegneria si parla non solo
di capacità di condurre esperimenti , di analizzare ed interpretare dati etc…
ma anche di saper comunicare efficacemente , di saper leggere il contesto
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all’interno del quale si opera , di saper descrivere e presentare i propri risultati
, di trasferire cioè in modo consapevole i principi della comunicazione efficace
nella stesura di rapporti , relazioni , report.
COMUNICAZIONE E SIGNIFICATO
La comunicazione è una dimensione psicologica costitutiva di ogni essere
umano , non possiamo scegliere di essere o meno comunicanti ma solo in
che modo comunicare : da sempre l’uomo ha cercato di esprimersi , all’inizio
piuttosto rozzamente attraverso suoni , gesti , posture , fino ad elaborare il
linguaggio , la scrittura , creando così messaggi sempre più precisi . L’ homo
sapiens lo si potrebbe definire homo loquens in quanto lo sviluppo ed il
progresso dell’umanità sembra essere andato di pari passo con lo sviluppo
del linguaggio e di tutti quei mezzi che hanno reso possibile una sempre più
profonda e chiara comunicazione fra gli individui . Sembra chiaro perciò
quanto essenziale sia la comunicazione per l’esistenza umana , a diversi
livelli e per un’ampia gamma di motivazioni : la comunicazione è una attività
sociale anzi è alla base delle interazioni sociali e delle relazioni interpersonali
in quanto soddisfa bisogni quali il senso di appartenenza , di controllo ed
influenza sulle persone , di dare e ricevere affetto , la comunicazione
risponde a bisogni di tipo fisico , la sua qualità e frequenza può avere una
importante influenza sulla salute infatti numerosi studi hanno dimostrato
come persone sole o con scarse relazioni interpersonali sono più soggette a
malattie e persino a morte prematura : Federico II , uno degli imperatori più
colti e sempre alla ricerca di risposte alle sue innumerevoli domande , nel
1200 decise di scoprire quale fosse la lingua originaria dell’uomo , quella da
cui scaturiscono tutte le altre ed ideò un curioso e singolare esperimento .
Ordinò che un certo numero di neonati venissero allevati fornendo loro tutte
le cure fisiche ed alimentari necessarie ma senza che venisse mai
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pronunciata in loro presenza una parola . L’ipotesi che voleva verificare era
che in presenza di questo vuoto linguistico sarebbe emersa in modo
spontaneo quella lingua naturale di cui presupponeva l’esistenza .
Naturalmente nulla di tutto ciò accadde ed i bambini morirono . La
comunicazione contribuisce a formare e consolidare il nostro senso di identità
che si basa appunto su come noi interagiamo e sui messaggi che , fin
dall’infanzia , gli “ altri significativi “ ci inviano , la comunicazione è una attività
prevalentemente cognitiva in quanto strettamente connessa a processi
mentali superiori e con il pensiero . Tutto questo mette chiaramente in
evidenza la complessità del fenomeno comunicazione e può essere utile
sgombrare subito il campo da un equivoco in cui spesso si incorre e cioè
quello di equiparare i verbi comunicare e trasmettere , tendendo perciò a
confondere un fenomeno tanto articolato con quella che invece ne è solo una
parte. Se analizziamo l’etimologia dei due verbi notiamo che trasmettere
deriva dal verbo latino transmittere , composto da mittere ( mandare ,
inviare ) e dal prefisso trans che significa attraversamento , passaggio ,
quindi indica semplicemente l’invio di un dato messaggio . L’etimo del termine
comunicazione rimanda al latino communis ( comune ) , comunicare
( mettere in comune , accostarsi ) , cum munia ( con vincoli , con legami ) , la
sua maggiore complessità semantica e concettuale appare chiara.
“ Un tempo neppure troppo lontano , si diceva comunicare con… mentre oggi
si dice semplicemente e con stupefacente disinvoltura comunicare a…E non
sembra che sia necessario attendersi risposta “ ( Ferrarotti ).
Comunicare è uno scambio ed arricchimento reciproco , un processo in cui si
trasferiscono significati in forma di idee o di informazioni , attraverso l’uso di
varie modalità ( linguaggio , scrittura , lettura , comunicazione non verbale ) ,
ma la comunicazione è efficace solo se arriviamo , nel corso delle nostre
interazioni , ad una condivisione sul piano di questi significati .
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Dato che la comunicazione , come abbiamo detto all’inizio , è una dimensione
psicologica costitutiva di ognuno di noi , ai più potrebbe sembrare la cosa più
naturale del mondo , noi comunichiamo in continuazione , praticamente in
ogni momento della nostra giornata ed allora perché considerarla un
processo , perché studiarla e cercare , scomponendo i suoi elementi , di
analizzarla così in profondità ? Non rischiamo in questo modo di perdere in
spontaneità , in naturalezza ? Se questo fosse vero , se la comunicazione
fosse davvero solo un qualcosa che noi , in quanto essere umani , mettiamo
in atto naturalmente perché sempre più spesso sentiamo , anzi diciamo , frasi
tipo “ il grande male della nostra società è la difficoltà nel comunicare “
oppure “ non riusciamo più a comunicare “ ? In effetti , a pensarci bene ,
viviamo in un mondo non certamente esente da conflitti , in un mondo in cui
le persone entrano molto spesso in relazioni antitetiche che non rendono
possibile sviluppare quel valore della relazione che potrebbe portare a vivere
in modo più soddisfacente e pieno . Allora , probabilmente , dobbiamo parlare
non di comunicazione ma di comunicazione efficace e se non vogliamo che la
comunicazione diventi estremamente problematica , capace di generare
conflitti magari insanabili , è necessario assumere la consapevolezza della
complessità del processo comunicativo . La consapevolezza ci porta anche a
riflettere su quale sia la strada che vogliamo percorrere e su quale sia il punto
dal quale partiamo , l’obiettivo assume un valore centrale : se in un processo
non abbiamo ben chiaro quale sia il nostro obiettivo da raggiungere non
possiamo neanche stabilire un percorso ed investirvi energie , altrettanto
importante , oltre alla sua chiarezza , è mettersi nelle condizioni di poterlo
verificare e valutarne la realizzabilità . Avere la consapevolezza e
conoscenza delle componenti di un processo comunicativo ci permette di
essere preparati ed in possesso degli strumenti che possano far leggere ,
analizzare , valutare una determinata situazione , fare individuare , affrontare
e , si spera , risolvere eventuali nodi critici . Una attenta riflessione aiuta
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perciò ad attuare una comunicazione efficace , a migliorare i rapporti
interpersonali , a dare un impulso positivo alle relazioni ed essere
consapevoli della complessità del processo comunicativo è una
valorizzazione della condizione umana e non una rinuncia alla spontaneità .
Oltre all’obiettivo si dovrebbe tener sempre presente il ruolo che abbiamo in
quel momento , in quel preciso processo comunicativo , ( la sua definizione
permette una maggior chiarezza del percorso ) , tutto ciò che concerne il
nostro interlocutore ( età , livello di istruzione , tipicità caratteriali , cultura ,
valori , motivazioni ) , gli eventi comunicativi già intercorsi ovvero la storia
della relazione tra noi e colui o coloro con cui stiamo comunicando , gli
strumenti utilizzati ( posta elettronica , posta ordinaria , telefono , colloquio
“ faccia a faccia “ , discussione di gruppo ) , la specifica situazione o anche
ambiente fisico in cui si sta svolgendo la comunicazione : la considerazione di
tutti questi elementi rappresenta un valore aggiunto per una comunicazione
efficace. La consapevolezza all’interno del processo comunicativo ci porta
anche a comprendere quanto sia fondamentale la dimensione temporale ai
fini della competenza comunicativa . Nella nostra società siamo arrivati ormai
ad avere una concezione utilitaristica del tempo ed abbiamo costruito una
sorta di equazione : tempo uguale denaro. Vivere “ di corsa “, fare più cose
possibili contemporaneamente, non perdere mai tempo se non investendolo
in qualcosa di produttivo e tangibile è quasi uno status symbol, socialmente
altamente apprezzato. A tutti noi sarà capitato di essere infastiditi da
qualcuno che non ci ha capiti al volo facendoci perdere tempo nel tentativo di
spiegarci meglio, oppure di distrarci davanti a persone che parlavano troppo
lentamente non esprimendo rapidamente il proprio pensiero. E’ chiaro che in
determinate situazioni il ritmo, la chiarezza e la sinteticità possono essere
elementi funzionali e necessari ma non possiamo fare a meno di chiederci
quanto lo diventino invece all’interno di una reale e profonda comunicazione
interpersonale.
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Vi siete mai trovati coinvolti in una conversazione con due persone che si
conoscono intimamente e delle quali voi siete soltanto una conoscenza
superficiale ? Le persone che si conoscono bene possono anche comunicare
per mezzo di una singola parola o gesto , mentre voi per farvi capire non
potete omettere alcunché : infatti la comunicazione avviene sempre su due
piani , quello del contenuto ( ciò che si dice ) e quello della relazione ( come
lo si dice ) , tendente cioè ad identificare , appunto , il tipo di relazione
esistente . Per quanto riguarda il livello di contenuto può essere interessante
analizzare un brano tratto dalle Lezioni americane di Italo Calvino ( nel 1985
Italo Calvino tenne cinque conferenze all’università di Harvard negli Stati Uniti
parlando delle qualità letterarie più importanti che , secondo lui , uno scrittore
avrebbe dovuto proiettare nel nuovo millennio ormai alle porte ) :
“ Sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà
che più la caratterizza , cioè l’uso della parola , una peste del linguaggio che
si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza , come
automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche ,
anonime , astratte , a diluire i significati , a smussare le punte espressive , a
spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove
circostanze “.
Molto spesso oggi , soprattutto fra i giovani , si tende ad utilizzare delle
espressioni comuni sempre uguali , c’è una sorta di omologazione del
linguaggio , un utilizzo estremamente ristretto di vocaboli che rischia di
togliere valore alla ricchezza ed alla vivacità insita invece nella nostra lingua :
la parola potremmo definirla come la bandiera del concetto , un modo per
evitare di perdersi nell’oceano della diversità e per affrontare invece l’unicità
di tutte le esperienze che viviamo oppure , più semplicemente , con questa
frase di Seth Godin ( vice presidente direct marketing di yahoo ) : “ Le parole
sono i chiodi per attaccare le idee “ .
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L’educazione del bambino avviene anche insegnandoli parole , l’oggetto che
la madre indica e sillaba viene ripetuto dal figlio che lo fa proprio . Un laureato
mediamente conosce tra le 30.000 e le 50.000 parole , un dizionario
solitamente ne riporta 80.000 ma spesso non vi si possono trovare termini
riferibili in modo specifico ad una sorta , per esempio , di gergo lavorativo o
culturale o , magari , di tipo dialettale , il che fa aumentare il numero di parole
da noi usate . In un certo senso il nostro archivio mentale dei vocaboli è la
somma di un vocabolario , di una enciclopedia , di un diario , di un atlante
etc… e chi conosce molte parole può evitare la reiterazione di un linguaggio
sterile e banale che non porta alcun tipo di accrescimento nello scambio fra le
persone . Ma una comunicazione efficace deve essere in grado di soddisfare
non solo quelle che potremmo definire le esigenze razionali ( uso chiaro ,
preciso , contestualizzato del linguaggio ) degli interlocutori , ma anche quelle
che potremmo definire creative/emozionali , fornire perciò informazioni , dati ,
notizie “ certe “ e , contemporaneamente , essere in grado di comunicare le
proprie emozioni , saperle riconoscere , esserne consapevoli e
comprendere , accettare , saper gestire gli stati d’animo altrui . Elemento
essenziale in un processo comunicativo di questo tipo diventa l’ascolto :
ascoltare non significa semplicemente stare a sentire le informazioni che ci
vengono date ma recepirle , trasformarle e comunicarle a nostra volta con un
qualcosa in più . Possiamo parlare di :
- ASCOLTO ATTIVO O EMPATICO : si rinuncia al giudizio su ciò che ci
viene comunicato , ci si identifica con il nostro interlocutore , ci si mette
nei suoi panni cercando di condividere e “leggere” i veri significati , le
sue emozioni , i suoi sentimenti . Partecipiamo con la mente ma anche
con il cuore .
- ASCOLTO SUPERFICIALE : si pone attenzione alla forma e non allo
spirito del messaggio correndo il rischio di fraintendimenti in quanto
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l’interesse è decisamente ridotto e chi parla può avere la falsa
sensazione di essere ascoltato e capito.
- ASCOLTO SALTUARIO : si segue il filo dei propri pensieri e non
quanto ci stiamo dicendo , è una sorta di ascolto “ a tratti “ , ci si lascia
catturare da distrazioni , dalla immaginazione , ci si fida troppo
dell’intuito che ci porta a credere che tratteniamo le cose più importanti ,
tralasciando le altre . E’ un ascolto passivo , senza partecipazione ,
vissuto magari solo come opportunità per poter parlare .
Può essere interessante riflettere anche sul valore che ha per la nostra
cultura il parlare : essere buoni oratori, riempiendo i nostri discorsi magari
anche di concetti vacui e parole vuote, ci fa spesso considerare come
persone “in azione”, in grado di controllare ed avere potere all’interno delle
varie relazioni, come un bravo attore è capace di tenere e riempire la scena.
L’ascolto invece viene valutato come un atto passivo, se stiamo zitti, se non
partecipiamo in maniera convulsa, talvolta prevaricatrice ad una discussione,
non interrompendo, non sovrapponendo la nostra voce a quella dei nostri
interlocutori rischiamo di essere considerati come persone senza idee, senza
forza, dei deboli incapaci di affermare le nostre opinioni.
Saper ascoltare invece riduce le incomprensioni , induce il nostro
interlocutore ad esprimersi a pieno in quanto si sente “ accolto “ , contribuisce
a creare un clima di fiducia e rispetto all’interno della relazione . Certamente
la nostra modalità di ascolto è influenzata dai modelli appresi da bambini o da
come si è sviluppata la nostra integrazione nelle prime occasioni di
socializzazione , ma non è impossibile cercare di modificarla e , nel caso ,
migliorarla . Possiamo esercitarci , per esempio , facendo mente locale su
qualcuno che riteniamo “ un buon ascoltatore “ : quale è il suo modo di
porgersi , quali sono le gradevoli sensazioni che ci procura ? Ripensando ad
alcuni momenti passati della nostra vita in cui siamo riusciti ad esprimerci su
argomenti difficili , con chi eravamo e quanto ci siamo sentiti veramente
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ascoltati ? Al contrario , quante volte invece ci siamo tenuti tutto dentro
perché bloccati dal nostro interlocutore ?
L’ascolto è stato anche definito come quella metà del dialogo senza la quale
non si ha comunicazione, tanto che se ci si accorge che l’altro ha smesso di
ascoltare si smette di parlare. A che serve infatti parlare se l’altro non
ascolta?
Proviamo a mettere qualche punto fermo di un buon ascolto :
- ascoltare il punto di vista dell’altro anche se è diverso dal nostro
- guardare l’interlocutore
- non pensare a come ribattere mentre ci sta ancora parlando
- non giudicare ma cercare di capire
- non interrompere , lasciare all’altro la possibilità di sviluppare a pieno il
suo pensiero
- fare domande per avere altre informazioni se sentiamo sia necessario
per comprendere meglio
- fare una sintesi per verificare la comprensione
- ascoltare attivamente , non saltuariamente , non superficialmente
Marshall Rosenberg è uno psicologo clinico , considerato un guru della
comunicazione non violenta ed uno degli assunti più importanti della sua
teoria è che per essere ascoltati occorre prima di tutto imparare a riconoscere
ed esprimere i propri bisogni , in quanto le valutazioni che noi diamo dell’altro
sono proprio l’espressione dei nostri bisogni insoddisfatti . Sinteticamente ,
secondo la teorizzazione della comunicazione non violenta , dovremmo
focalizzare la nostra attenzione ed attivare la nostra consapevolezza rispetto
a quattro punti fondamentali che facilitano e rendono possibile una piena
espressione e l’ascolto :
1) Osservare semplicemente i fatti senza dare giudizi moralistici , in modo
tale da mettersi nella condizione di poter osservare anche ciò che
accade in noi stessi in una determinata situazione , di poterci chiedere :
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“ Nelle parole e nei gesti del nostro interlocutore che cosa mi fa stare
male o bene ? “
2) Esprimere i nostri bisogni e valori , quello che si prova di fronte alle
parole o gesti dell’altro : “ Sono soddisfatto , triste , deluso , infastidito “.
3) Fare chiarezza su ciò che sentiamo e sull’origine del nostro sentire ,
definire cioè , quale bisogno esista all’origine di questi sentimenti . Per
esempio , come dice Rosenberg stesso , la madre di un adolescente
potrebbe percorrere le tappe appena descritte dicendo al figlio :
“ Quando lasci i vestiti per casa invece di metterli a posto
( osservazione del dato di fatto ) io mi innervosisco ( descrizione del
sentimento suscitato in me dal comportamento dell’altro ) perché ho
bisogno di più ordine negli spazi che condividiamo ( espressione
precisa di un bisogno ) .
4) Fare richieste precise e concrete : Continuando con l’esempio
precedente la madre dovrebbe chiedere : “ Potresti , per favore ,
prendere le tue cose e metterle in camera tua ? “.
Seguire questi quattro punti ed aiutare l’altro a fare altrettanto o , qualunque
sia il modo con il quale le persone si rivolgono a noi , scegliere di ascoltare
negli altri le quattro informazioni anche quando sono nascoste o espresse
nei termini moralistici di cui parlavamo prima fatti magari di pretese o doveri ,
ci dà la possibilità di stabilire una corrente di comunicazione capace anche di
trasformare un conflitto in dialogo , di trasmettere il potere forte e pacifico
dell’empatia , di aiutare a mettere in pratica la fiducia nelle risorse creative di
ognuno di noi .
“Noi abbiamo due orecchie ed una sola bocca,di modo che si ascolti di più e
si parli di meno” ( Epitteto )
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Qualche spunto di riflessione…….
Due amici stanno facendo una passeggiata in un bosco e chiacchierano
piacevolmente . Ad un certo punto Mario dice : “ Ognuno di noi vive del suo
passato , è condizionato da quello che ha fatto ed è costretto a ripetere , a
fare sempre le stesse cose “. Franco quasi interrompendo ribadisce : “ Ma
neanche per idea . Ognuno è condizionato dalle sue aspirazioni , dai suoi
progetti , non da quello che ha già fatto , ma da quello che vuole fare “ .
Mario con un tono perentorio ribadisce la sua posizione portando a supporto
tanti esempi presi dalla storia o citando amici comuni . Mentre parla è
talmente preso dalla sua foga che non si accorge che Franco non lo sta
ascoltando. Infatti Franco sta preparando cosa ribadire per cercare di
convincere Mario . Così , non appena Mario prende fiato ecco che Franco è
pronto ad intervenire citando a supporto della sua tesi esempi tratti dalle
evoluzioni scientifiche e tecnologiche provocate dal desiderio dell’uomo di
migliorare continuamente la sua condizione . Ma mentre parla è talmente
preso dalla foga di quello che dice che non si accorge che Mario non lo sta
ascoltando perché sta pensando a quali argomentazioni presentare a
supporto della sua tesi . Ad un certo punto sentono il lamento di un animale .
Vanno verso la voce e vedono che un cucciolo è caduto in una siepe di rovi e
si è riempito di spine . Mario apre il suo zaino , prende le pinzette e con molta
cautela toglie tutte le spine al cucciolo , il quale non appena si accorge di
essere finalmente libero dal dolore scappa via . Quando è ad una certa
distanza si volge indietro , come per ringraziarli mentre i due hanno già
ripreso la discussione .
Adesso ognuno può cominciare ad ascoltare con maggiore attenzione quanto
l’altro ha da dire . Ognuno lascia completare l’altro e cerca di capirne la
posizione . Mentre stanno dialogando ecco che nuovamente sono distratti da
grida di aiuto . E’ una voce di donna che chiama . Si guardano intorno e non
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vedono nulla. Si fanno allora guidare dalle indicazioni della donna che è
caduta in una trappola . La donna per fortuna non si è fatta molto male solo
che la fossa è profonda e lei non sa come venirne fuori . Allora Franco apre il
suo zaino , prende una corda , se la avvolge in vita e la lancia alla donna la
quale la prende , se la lega in vita e con questa può essere tirata su dai due
uomini . Quando finalmente la donna è fuori dalla fossa racconta che
camminava con la testa in su senza guardare dove metteva i piedi . Così è
caduta nella trappola . Ringrazia i due uomini che la hanno fatta uscire , li
saluta e se ne va per la sua strada stando attenta a guardare non solamente
in alto ma anche dove mette i piedi . I due riprendono il loro discorso ed
anche questa volta c’è un cambiamento . Ora ognuno pone domande
all’altro , domande che servono per capirne la posizione . Mentre sono intenti
a dialogare ecco che sentono nuovamente grida di aiuto , questa volta
provengono da un bambino . Si guardano intorno , lo cercano ma non lo
trovano , sino a quando il bambino li vede e dice che è sulla cima di un albero
. Franco e Mario gli chiedono “ cosa ci fai lassù , come ci sei arrivato ?” e lui
risponde che era stufo di vedere gli alberi dal basso . voleva cambiare punto
di vista . Voleva salire in cima all’albero più alto per vedere la foresta
dall’alto , per vedere l’orizzonte . Solo che ora non sa come discendere . Ha
paura perché non ha ancora imparato la via della ridiscesa . Allora Mario e
Franco con molta cautela gli insegnano la via . Quando il bambino torna a
terra li ringrazia e dice che non vede l’ora di poterlo raccontare ai suoi amici ,
ricordandosi d’ora in poi che prima di salire in alto bisogna anche saper
ridiscendere .
I due amici riprendono a camminare , per un po’ tacciono ognuno preso dalle
proprie riflessioni . Ad un certo punto si fermano , si rivolgono l’un verso l’altro
e quasi contemporaneamente dicono : “ Forse hai ragione tu “.
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Schematizzando potremmo dire che chi comunica è una fonte di trasmissione
, chiameremo veicolo di trasmissione il mezzo che usiamo per comunicare ,
canale di comunicazione la strada attraverso cui passa la comunicazione ,
messaggio l’oggetto della comunicazione , strumento di ricezione il mezzo
con il quale si raccoglie il messaggio , infine destinatario la persona alla
quale indirizziamo il messaggio.
INTERFERENZA Fonte di Destinatario trasmissione
Messaggio Messaggio
Veicolo di trasmissione Canale di Strumento di trasmissione ricezione
Dallo schema riportato vediamo chiaramente che il termine interferenza
assume un valore centrale , è una vera e propria barriera alla comunicazione
che può essere presente in ognuno dei passaggi sopra menzionati : può
essere presente nella fonte di trasmissione in quanto , per esempio , chi
trasmette può essere balbuziente o parlare una lingua diversa , nel
messaggio se vengono usati termini complicati o talmente astratti da risultare
incomprensibili , nel veicolo di trasmissione , pensiamo ad un microfono non
funzionante o ad una linea telefonica disturbata , l’interferenza può essere un
forte rumore , un grande freddo o un calore intenso , qualsiasi impedimento
cioè che si trovi lungo il canale di comunicazione . Può esservi interferenza
anche nello strumento di ricezione e nel destinatario stesso che può
sperimentare condizioni spirituali o fisiche non favorevoli a ricevere il
messaggio che gli stiamo trasmettendo .
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In precedenza abbiamo sottolineato l’importanza per una comunicazione
efficace della valutazione di elementi quali l’obiettivo , il ruolo , le
caratteristiche del nostro interlocutore , la situazione , le circostanze ,
l’ascolto attivo , ora compare un altro elemento fondamentale : il feedback .
Il feedback potremmo definirlo come una risposta/reazione ad un messaggio ,
una sorta di alimentazione di ritorno indispensabile per valutare la ricezione ,
per fare un esame di ogni singolo passaggio del processo comunicativo e
prevenire quelle che abbiamo chiamato interferenze . In ordine al tempo
possiamo parlare di feedback coerente , se il destinatario mostra di aver
compreso significato , senso e contesto del messaggio ricevuto , o incoerente
, in ordine alla qualità di feedback atteso ( esito positivo del processo ) ,
inatteso ( esito imprevisto ) , disatteso ( esito negativo ) . Dovrebbe essere
ormai assodato e chiaro come la comunicazione non sia un fenomeno da
laboratorio , meccanico e neutro , ma un qualcosa di estremamente vivo e
ricco , interagendo con gli altri non ci preoccupiamo solo di dare e raccogliere
informazioni ma anche dell’immagine che diamo , se è vero che i nostri
incontri sociali ci servono per confermare la nostra identità diventa inevitabile
chiedersi cosa gli altri stiano pensando , quali sentimenti stiano provando ed
avere una risposta . Pensiamo , per esempio , ad un venditore , per lui
ricevere delle informazioni retroattive assume anche una valenza
professionale , sarà fondamentale avere informazioni sulla comprensione e
sul consenso da parte del cliente , ma anche sugli atteggiamenti che il cliente
medesimo ha nei suoi confronti e verso una positiva decisione di acquisto .
Numerosi sono gli approcci alla comunicazione elaborati all’interno di
altrettante numerose discipline , ma continuando a seguire il filo conduttore
che abbiamo delineato fino ad ora potremmo collocare la nostra prospettiva
all’interno del quadro teorico secondo cui la comunicazione viene definita in
base a due caratteristiche fondamentali ( Wiemann , Giles , 1988 ) : 1) il
livello di consapevolezza e quindi intenzionalità nella persona emittente ,
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necessarie per codificare gli elementi di un messaggio , 2) il considerare la
comunicazione come un processo , un sistema che coinvolge più soggetti
sociali in una serie di eventi .
Facendo una seppur breve e limitata analisi di alcuni modelli che
storicamente si sono succeduti nel campo degli studi sulla comunicazione
possiamo tracciare il percorso concettuale e metodologico che ha portato alla
elaborazione di questa prospettiva .
MODELLO LINEAREIl modello più importante sviluppato in questo ambito è quello di Shannon e
Weaver ( 1949 ) all’interno del loro lavoro sulla teoria matematica della
trasmissione dei segnali elettronici , adottato poi dalla psicologia
sperimentalista e comportamentista . E’ uno schema molto semplice in cui la
comunicazione viene considerata come un comportamento spiegabile
secondo la logica dello stimolo – risposta : l’emittente codifica idee e
sentimenti in una sorta di messaggio , lo spedisce attraverso un canale ad un
ricevente che risulta essere una macchina di decodifica passivo e muto .
Viene introdotto anche il concetto di rumore , inteso come una qualsiasi forza
che interferisce con una comunicazione efficace . Canale
Fonte(emittente) Segnale (messaggio) Destinatario
Rumori
Codificazione Decodificazione
( Modello “ Matematico “- Shannon e Weaver )
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MODELLO INTERATTIVO
Se il modello lineare viene definito come “ la metafora del condotto “ , la
prospettiva interattiva può essere paragonata ad “ una partita a tennis “
verbale e non verbale in cui i messaggi vanno avanti e indietro tra le parti
interagenti . Vengono introdotti concetti importanti come quello di feedback
ed ambiente , inteso non solo come luogo fisico ma anche come storia
personale che i partecipanti portano nella conversazione . La comprensione
reciproca è resa possibile dal fatto che i due ambienti in parte coincidono e
perciò i due interlocutori hanno un certo grado di conoscenze e background
in comune .
EMITTENTE CODIFICA MESSAGGI
ODECODIFICA
RICEVENTE
CANALI
CANALI
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RICEVENTE
DECODIFICA
MESSAGGIO CODIFICA EMITTENT
E
AMBIENTE DI”A” AMBIENTE DI”B”
( Modello interattivo, adattato da Adler-Towne )
La critica più importante che viene rivolta a questo modello è quella di
considerare la comunicazione come una attività statica , con un inizio ed una
fine ben precisa , mettendo l’accento sulla produzione dei vari atti come
azioni singole di persone individuali .
MODELLO DIALOGICOGli studi più recenti in ambito psicosociale si sono preoccupati proprio di
rivedere questo aspetto , sottolineando , il carattere più “ dialogico “ della
comunicazione che viene considerata come un processo , all’interno del
quale gli interlocutori sono contemporaneamente emittenti e riceventi e
contribuiscono a creare il significato degli scambi ed a realizzare un progetto
comunicativo comune .
Contesto
Messaggio
Emittente Destinatario Feedback
Codice
( Modello dialogico o circolare )
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Mettendo in evidenza la natura simultanea dell’interazione e la conseguente
difficoltà di analizzare un singolo atto di comunicazione , assume una
particolare importanza il concetto di contesto . Prendiamo in considerazione ,
per esempio , la discussione di due coniugi relativamente a come trascorrere
le vacanze . Il marito dice : “ Potremmo andare in montagna , come l’anno
scorso “. Ma la moglie prima ancora che la frase venga terminata comincia ad
aggrottare la fronte e ad alzare le sopracciglia ( manda un messaggio non
verbale ) in segno di disappunto . Questo può portare il marito ad
interrompersi e la moglie ad inviare un messaggio difensivo : “ No , aspetta
un attimo “ . Molto probabilmente il messaggio non verbale riportato sopra
nasce da scambi precedenti , così come interazioni successive dipenderanno
dall’esito di questa conversazione .
LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONETra gli anni cinquanta e sessanta un gruppo di ricercatori del Mental
Research Institute di Palo Alto in California , guidato da Don Jackson e sotto
la guida di Gregory Bateson , era stato ingaggiato per degli studi sulla
schizofrenia ma sviluppò anche delle interessanti teorie sulla comunicazione
che ora vengono universalmente riconosciute come i caposaldi di questa
disciplina . In particolare Jackson , Watzlawick , Janet Baveles scrissero , nel
1967 , “ Pragmatica della comunicazione umana “ in cui delinarono I percorsi
della comunicazione . Il libro applica l’approccio sistemico la cui più comune
definizione è : “ Insieme di elementi talmente in interazione che una qualsiasi
modificazione di uno di essi comporta una modificazione di tutti gli altri “. Il
concetto , di derivazione cibernetica , viene applicato alle relazioni umane
dove gli elementi del sistema sono gli individui in interazione. L’interazione è
il meccanismo centrale in un procedimento sistemico ed implica l’idea di
mutua relazione , di azione reciproca. E’ possibile pensare che i rapporti
interattivi tra gli individui siano determinati essenzialmente dai tipi di
comunicazione che essi adoperano fra di loro ? E’stata questa domanda a
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portare gli autori del testo ad analizzare gli effetti pragmatici e cioè
comportamentali della comunicazione e la tesi centrale dei loro studi è che
“ un fenomeno resta inspiegabile finchè il campo di osservazione non è
abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica “.
“ Nel giardino di una casa di campagna , visibile dal marciapiede esterno , un
grosso signore con tanto di barba striscia accoccolato per il prato tracciando
degli otto , mentre continua a guardarsi indietro e a fare ininterrottamente qua
qua qua … “ E’ la descrizione che Konrad Lorenz ci dà del proprio
comportamento durante uno dei suoi memorabili esperimenti con gli
anatroccoli ( nella fattispecie si era sostituito alla loro madre ) . “ Ero molto
compiaciuto “ , scrive , “ dei piccoli che ubbidienti e precisi seguivano
trotterellando il mio qua qua , quando ad un certo momento alzai gli occhi e
vidi una fila di volti allibiti affacciata sopra la siepe del giardino : una intera
comitiva di turisti mi guardava stupefatta “ . L’erba alta nascondeva gli
anatroccoli e quello che vedevano i turisti era un qualcosa del tutto
inspiegabile , un comportamento veramente folle . ( 96, p.43 ).
L’obiettivo che i ricercatori di Palo Alto si prefiggevano era quello di superare
una visione statica e meccanica del fenomeno comunicazione e la
considerazione dell’individuo come una monade , cosa che le scienze del
comportamento continuano , almeno in parte , a fare : studiando una persona
dal comportamento disturbato si estende l’ indagine anche agli effetti che tale
comportamento ha sugli altri , alle loro reazioni ed al contesto in cui tutto ciò
accade , il centro dell’interesse si sposta dalla monade isolata alla relazione
tra le parti di un sistema più vasto . Proprio a questo proposito è molto
interessante riflettere sulle affinità che gli autori ritengono di avere , nella
formulazione delle loro ipotesi , con la matematica piuttosto che con la
psicologia tradizionale : infatti è proprio la matematica quella disciplina in cui
l’oggetto di interesse sono i rapporti tra entità e non la loro natura isolata .
Centrale diventa il concetto matematico di funzione , messo in parallelo con
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quello psicologico di relazione e gli autori fanno un breve excursus all’interno
della teoria del numero per spiegare meglio i loro assunti . Spengler ( Il
tramonto dell’occidente , 1957 ) evidenzia molto chiaramente come la storia
del sapere occidentale sia nata dalla progressiva emancipazione dal pensiero
antico , pensiero che , nel campo della scienza ed in generale nella nostra
civiltà , ha esercitato per secoli una profonda e persistente influenza : era
come se il desiderio continuo di emulare l’antico ci togliesse il coraggio di
avere un pensiero nostro . Per duemila anni si è creduto che i numeri fossero
l’espressione di grandezze concrete , i matematici greci ritenevano che
fossero grandezze concrete , intuitive , proprietà di oggetti ugualmente reali ,
perciò lo scopo della geometria era misurare e quello della aritmetica contare
e , naturalmente , era impensabile la nozione di zero come numero ,
tantomeno quella di grandezze negative . Per dirla perciò con le parole di
Spengler : “ L’evoluzione della nuova matematica è stata una lunga , segreta
e , infine , vittoriosa lotta contro il concetto di grandezza “ che si è
concretizzata con l’apparire sulla scena del concetto di variabile : la variabile
non ha un valore indipendente ma solo in rapporto ad un’altra variabile ed il
concetto di funzione è costituito proprio da tale rapporto . Allo stesso modo il
rapporto dell’uomo con la realtà , la sostanza di ogni nostra percezione , non
è costituita da “ cose “ ma da funzioni , che non sono grandezze isolate ma
“ segni per un nesso “.
Altro concetto fondamentale è quello di informazione e retroazione .
Prendiamo in considerazione questo esempio : se un uomo camminando
colpisce con un piede un sasso , l’energia espressa dal piede verrà trasferita
al sasso che si muoverà e si fermerà in una certa posizione determinata da
fattori quali la quantità di energia trasmessa , la forza ed il peso del sasso , la
natura della superficie su cui è rotolato . Se invece un uomo dà un calcio ad
un cane , quest’ultimo può reagire mordendolo e non prende l’energia per la
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sua reazione dal calcio ma dal proprio metabolismo , non si ha trasmissione
di energia ma di informazione .
Gli autori utilizzano questo esempio per evidenziare la differenza tra la
psicodinamica freudiana , che considerava il comportamento come una
conseguenza di una azione reciproca di forze intrapsichiche , non prendendo
in considerazione le forze esterne , l’interdipendenza tra l’individuo ed il suo
ambiente e le teorie della comunicazione che , al contrario , assumendo i
principi fondamentali della cibernetica oltrepassano lo studio dei rapporti
lineari , di causa ed effetto , introducendo i concetti fondamentali di
informazione e retroazione . Se l’evento A produce l’evento B e poi B produce
C etc… potrebbe sembrare di essere ancora nell’ottica di un sistema lineare ,
deterministico , ma se poi C riconduce ad A il sistema diventa circolare ed
anche il suo funzionamento è decisamente diverso . La retroazione può
essere positiva o negativa , non nel senso della sua desiderabilità o meno ,
ma nel senso che una ( quella negativa ) caratterizza l’omeostasi e cioè la
stabilità delle relazioni e l’altra ( quella positiva ) provoca invece un
cambiamento e cioè la perdita di stabilità ed equilibrio .
I sistemi interpersonali possono perciò essere considerati circuiti di
retroazione , in quanto il comportamento di ogni persona influenza ed è
influenzato dal comportamento di ogni altra persona . Obiettivo principale dei
ricercatori di Palo Alto perciò fu quello di scoprire i procedimenti pragmatici ,
cioè comportamentali , e l’insieme di quelle regole che vengono osservate
nella comunicazione efficace e violate nella comunicazione disturbata . Per
fare questo postularono 5 assiomi fondamentali :
1) L’impossibilità di non comunicare :il comportamento non ha un suo opposto , per quanti sforzi possiamo
produrre non riusciremo mai a non comunicare . Anche il silenzio o
l’inattività hanno valore di messaggio , influenzano gli altri che a loro
volta non possono non rispondere . Prendiamo il caso di due
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passeggeri d’aereo, A e B : A vuole conversare mentre B no, sicura-
mente quello che B non può fare è andarsene, a questo punto le rea-
zioni possibili sono :
- Rifiuto della comunicazione : con modi bruschi e decisi B può far
chiaramente capire ad A che non vuole conversare ma ciò provocherà
un clima di tensione ed oltretutto B non è riuscito ad evitare una rela-
zione con A
- Accettazione della comunicazione : B si rassegna, suo malgrado, a
conversare
- Squalifica della comunicazione : B può ricorrere a questa tecnica per
difendersi esprimendosi in modo da invalidare la propria comunicazione
o quella dell’altro ( ad esempio contraddicendosi , cambiando argomen-
to , dando risposte incoerenti o incomplete )
- Utilizzazione del sintomo : B può far finta di dormire ,di essere sordo , di
non capire la lingua , utilizzare perciò il “ sintomo “ come un messaggio
non verbale : “ non sono io che non voglio fare questo , è qualcosa che
non posso controllare “
2) Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione :l’aspetto di relazione classifica quello di contenuto ed è quindi
metacomunicazione . Ogni atto comunicativo ha un aspetto di “ notizia “
( trasmette informazioni ) ed uno di comando ( identifica la relazione
esistente ) Es : un uomo incontra un amico dopo tanto tempo e dice
“ ma come sei invecchiato “, dopo però può aggiungere “ come me del
resto “.
Se sul contenuto si può trovare un accordo ( dati oggettivi ) , sulla
relazione il problema è più complicato perché riguarda la definizione
che i soggetti offrono di sé e dell’altro, possiamo dire che di qualunque
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argomento due persone stiano parlando nello stesso tempo parlano
anche della relazione che li unisce . A questo riguardo tre sono le
possibili reazioni :
- Conferma : si accetta la definizione
- Rifiuto : “ tu hai torto “ , comunque presuppone il riconoscimento ,
seppur limitato , della definizione che un interlocutore ha dato di sé
- Disconferma : è la possibilità più importante per la pragmatica della
comunicazione umana , equivale a “ tu non esisti “ , non si occupa della
verità o della falsità della definizione che un’interlocutore da di sé ma
nega la realtà dell’emittente di tale definizione
Numerose osservazioni sperimentali in campo clinico hanno messo in
evidenza come disaccordi profondi relativi al piano relazionale si manifestino
spesso attraverso dispute sul piano del contenuto, classico è l’esempio di
persone che discutono animatamente e talvolta violentemente pur dicendo in
fondo la stessa cosa. Le relazioni più problematiche e meno “ sane “ sono
proprio quelle caratterizzate da una continua ed estenuante lotta di
definizione della relazione.
3 ) La punteggiatura della sequenza di eventi :i nostri scambi comunicativi non costituiscono una sequenza ininterrotta
ma seguono una sorta di punteggiatura ed il disaccordo su come
punteggiare la sequenza di eventi è alla base di innumerevoli conflitti di
relazione . Ogni elemento della sequenza è simultaneamente stimolo ,
risposta , rinforzo , mentre spesso gli organismi coinvolti , data la loro
incapacità di metacomunicare , ritengono semplicemente di reagire ad
un dato stimolo . Anche un evento esterno fortuito può impedire di
punteggiare in modo efficace la sequenza ( per esempio una lettera mai
arrivata ).
25
4) Comunicazione numerica ed analogica :per linguaggio numerico intendiamo le parole, segni arbitrari dovuti ad
una convenzione semantica e che ha una importanza particolare
perché serve a scambiare informazioni sugli oggetti ed ha la funzione di
trasmettere la conoscenza di epoca in epoca. Il linguaggio analogico si
riferisce invece ad ogni comunicazione non verbale, ha le sue radici in
periodi molto più arcaici della evoluzione e riguarda prevalentemente il
settore della relazione. Il materiale del messaggio analogico può avere
però molti aspetti contraddittori e prestarsi ad interpretazioni numeriche
diverse e spesso incompatibili, fondamentale perciò diventa la capacità
di dare una numerizzazione corretta e correttiva del messaggio
analogico.
5) Interazione complementare e simmetrica: l’interazione simmetrica è caratterizzata dalla uguaglianza e cioè il
comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro, le
relazioni complementari invece sono caratterizzate dalle differenze
esistenti. Nella comunicazione, la simmetria e la complementarietà non
sono in sé buone o cattive, normali o anormali, entrambe svolgono
funzioni importanti e sono necessarie nelle relazioni “sane”, questo però
se si alternano ed operano in settori diversi. Questo significa che
anche nelle relazioni più tipicamente complementari o simmetriche vi
possono essere degli scambi basati sul riconoscimento reciproco delle
rispettive aree di competenza. Quando invece nelle relazioni si
irrigidisce una delle due modalità di entrare in rapporto con l’altro, si
producono patologie o fallimenti comunicativi.
LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
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“ L’organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che con le
parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e
nell’atteggiamento che assume. In ogni gesto, l’organismo parla un
linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale “
( Lowen,1958,trad.at.1978.p.3 )
La C.N.V. costituisce un sistema di comunicazione sociale complesso ed
elaborato che è strettamente legato ad un contesto ed influenzato da fattori
culturali, svolge svariate funzioni, utilizza canali autonomi e ben definiti.
L’apporto che numerose discipline (sociologia,psicologia,antropologia etc…)
hanno dato allo studio della C.N.V. ha contribuito a far superare la dicotomia
fra C.N.V. e C.V. considerandoli aspetti differenti ma dipendenti ed interagenti
dello stesso processo comunicativo. Allo stesso modo si è ormai risolta quella
che è stata per molto tempo una controversia fra i sostenitori delle teorie, per
quanto riguarda l’origine dei segnali non verbali, di tipo innatista ( prevalenza
dei fattori genetici) e quelle di tipo ambientalista (prevalenza dell’ambiente e
dell’apprendimento). Per esempio si è accertato che alcune espressioni del
volto sono innate, i gesti invece sono per lo più appresi e rispetto alla loro
codifica e decodifica cambiano di significato a seconda delle culture.
Prendiamo in considerazione il sorriso : la sua espressione spontanea è
innata, infatti è il prodotto di una attivazione del sistema neuromuscolare in
seguito ad uno stimolo di tipo emotivo, ma si è evoluto come importante
strumento di segnalazione sociale, gli individui possono perciò decidere
quando e come esibirlo. Si può quindi affermare che alcuni segnali vengono
emessi in modo volontario e con uno scopo ben preciso, altri invece sono una
risposta spontanea ad uno stimolo e non vi è una intenzione di comunicare
od un fine specifico: quando strizziamo un occhio in segno di intesa o
portiamo un dito davanti alla bocca per chiedere silenzio, facciamo un uso
cosciente di questi segnali, servendoci di un codice che si presume condiviso
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anche da parte di chi riceve il messaggio, una espressione di disgusto, il
rossore del viso sono invece reazioni spontanee di tipo fisiologico, ben
riconoscibili dagli altri ma emesse involontariamente. Spesso questi segnali,
consapevoli ed inconsapevoli, sono entrambi presenti nel nostro
comportamento. Sicuramente se la comunicazione verbale ha il compito
principale di convogliare e trasmettere informazioni relative al mondo esterno,
quella non verbale ha un valore molto importante sul piano relazionale, una
funzione più affettiva che cognitiva perché parla di ciò che sentiamo dentro di
noi.
Come per la C.V. anche per la C.N.V. è centrale il concetto di codifica e
decodifica, abilità e competenza sociale determinante nello stabilire la qualità
e la varietà dei nostri rapporti: questa abilità dipende dal saper analizzare
fattori quali la situazione, il contesto, le caratteristiche individuali delle
persone che partecipano all’interazione ma anche dal possedere la
consapevolezza dei differenti significati che i vari segnali hanno all’interno
delle differenti culture. Abbiamo già accennato al fatto che non sempre è
facile dare corrette interpretazioni numeriche al materiale analogico: per
esempio se una persona sottoposta ad un interrogatorio impallidisce, suda,
balbetta, rischia di veder interpretati questi segnali come indizi di
colpevolezza quando invece è solo il comportamento di un innocente che
vive l’incubo di essere sospettato di un delitto e che si rende conto che la sua
paura possa venir letta come una ammissione di colpa. Molti esperimenti
hanno dimostrato la potente influenza della C.N.V. nelle relazioni
interpersonali ma anche nell’ambito professionale o nell’apprendimento: i
consulenti ed i terapeuti che sorridono di più,guardano di più ed in generale
sono più espressivi vengono considerati non solo più cordiali ma anche più
competenti dai loro clienti, gli allievi lavorano di più se gli insegnanti sorridono
molto e questo effetto è più forte di quello prodotto dalle gratificazioni verbali.
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“Il linguaggio del corpo non è stato toccato dal progresso. Esso sopravvive
come una meravigliosa reliquia del passato nel mezzo delle nostre città
moderne a garanzia che in una fredda età delle macchine noi rimaniamo
umani e caldi “ ( D.Morris ).
FUNZIONI DELLA C.N.V.
1) Esprimere emozioni : nonostante i tentativi di controllo o di simulazione
delle emozioni i segnali non verbali possiedono, rispetto al linguaggio,
una maggior efficacia comunicativa e veridicità. Il volto( le sue
espressioni , lo sguardo ), il corpo, il tono della voce, sono i canali
rivelatori delle emozioni e possiamo dire che il volto,essendo il canale
più controllabile, trasmette informazioni sul tipo di emozioni, la postura,
i gesti, la voce danno informazioni sull’intensità.
2) Comunicare atteggiamenti interpersonali : nonostante le somiglianze,
un dato importante differenzia gli atteggiamenti interpersonali dalle
emozioni: queste si possono verificare indipendentemente dalla
presenza o dagli stimoli che ci provengono dagli altri mentre gli
atteggiamenti sono sempre diretti verso un’altra persona.
Analogamente a quanto detto per gli stati emotivi, i segnali non verbali
con cui si comunicano gli atteggiamenti interpersonali possono essere
emessi in modo spontaneo oppure venire controllati intenzionalmente
per mantenere una relazione sociale. Atteggiamenti positivi come
amicizia e simpatia vengono, di norma , espressi spontaneamente,
atteggiamenti negativi come ostilità ed avversione si controllano
maggiormente. Atteggiamenti amichevoli volto sorridente, alta
frequenza di sguardi, vicinanza e contatto maggiore,timbro e tono di
voce vivaci. Atteggiamenti ostili fronte aggrottata, sguardo fisso e
minaccioso, postura tesa. Atteggiamenti di dominanza assenza di
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sorriso, sopracciglia aggrottate, tono di voce grave, tendenza ad
ostentare la propria altezza.
3) Presentare se stessi : nei primi istanti di un processo comunicazionale
noi percepiamo del nostro interlocutore il 55% dei messaggi provenienti
dal linguaggio del corpo, il 38 % dei messaggi provenienti dagli
elementi prosodici ( tono, ritmo, pause della voce ), il 15% dei messaggi
provenienti dal linguaggio verbale. Abbiamo già visto come Watzlawick
parlasse di un aspetto di contenuto ed uno di relazione della
comunicazione e di come il secondo, in un certo senso, qualifichi il
primo. Quando la relazione è positiva non ci sono problemi, ma se la
relazione è negativa o da costruire i segnali non verbali diventano molto
importanti, prendono il sopravvento e spesso “ inghiottono “ le
informazioni sul piano del contenuto. E’ straordinario come noi, pur non
avendo piena consapevolezza del linguaggio non verbale,
istintivamente gli attribuiamo maggior importanza e gli concediamo
maggiore fiducia tanto da arrivare ad usarlo come modalità di controllo
del linguaggio verbale. Tutti noi siamo ben consci che ad un primo
incontro ci mettiamo molto poco a decidere se una persona ci sia
antipatica o simpatica e la nostra attenzione è catturata da particolari
quali l’aspetto fisico in generale, il vestiario, la voce e queste nostre
percezioni iniziali continuano ad influire notevolmente anche sul
proseguio della relazione perché cerchiamo più facilmente le conferme
piuttosto che attuare un eventuale processo di revisione o disconferma
delle nostre sensazioni iniziali. Questo testimonia quanta importanza si
dia nei rapporti sociali e nella vita quotidiana ad aspetti della
presentazione di sé , magari superficiali ma di cui ci serviamo per
inviare informazioni su caratteristiche personali, sullo status sociale,
sull’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o sull’esercizio di
una professione.
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4) Sostenere, modificare, completare, sostituire il discorso :
la comunicazione non verbale comprende una vasta gamma di segnali
che fungono da sostegno, modificazione e completamento della
comunicazione verbale ( talvolta la C.N.V. sostituisce del tutto quella
verbale, si pensi al linguaggio dei sordi ).
Proviamo ad ipotizzare una serie di regole che i partecipanti ad uno
scambio comunicativo dovrebbero rispettare per rendere efficace la loro
comunicazione:
- sincronizzazione del discorso e rispetto dell’alternanza dei turni
- controllo dell’eloquio evitando ripetizioni, silenzi, pause troppo lunghe e
frequenti
- verifica del grado di interesse ed attenzione del proprio interlocutore,
dando la possibilità di intervenire segnalando quando ha finito di parlare
- non interferire con interruzioni e sovrapposizioni troppo frequenti,
aspettando il proprio turno per prendere la parola
In questo tipo di scambio i segnali non verbali svolgono una importante
funzione di regolazione dell’interazione e di controllo, fornendo un feedback
di informazione per entrambi gli interlocutori, influenzando i loro
comportamenti. Uno sguardo, un gesto, un cenno del capo può segnalare
che si è finito di parlare, un tono di voce discendente solitamente indica la
fine di una frase, una breve pausa può dare enfasi al discorso. Per quanto
riguarda i feedback prestare attenzione al volto dell’ascoltatore, allo sguardo,
ai cenni del capo, è utile per capire se il messaggio che si sta trasmettendo è
compreso o se sia il caso di riprendere alcune parti del discorso o modificarlo.
Gesti di assenso, sorrisi, espressioni come “ si,bene,certo “ rivelano il grado
di interesse ed approvazione dell’interlocutore e costituiscono un rinforzo
rispetto a quanto viene comunicato.
ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE
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Gli elementi fondamentali della C.N.V. sono cinque:
- Le espressioni
- La prossemica
- La postura
- La gestualità
- La prosodia ( elementi paralinguistici )
Le espressioni : le espressioni del volto hanno la funzione fondamentale di
comunicare le emozioni e gli atteggiamenti verso gli altri, di sostenere ed
accompagnare il discorso , seguono i nostri movimenti interiori svelando
spesso i nostri reali stati d’animo in quanto difficilmente controllabili. La
cultura di appartenenza gioca però un ruolo importante nei tentativi che, in
alcune circostanze, facciamo di modificare le nostre espressioni, fin da piccoli
abbiamo appreso a nascondere alcuni sentimenti o a dissimularne altri. Un
segnale rivelatore della “finzione” è la durata delle espressioni, in quelle
autentiche è estremamente ridotta, dura sul nostro viso pochissimi secondi.
Possiamo suddividere il volto in due aree, superiore ( occhi, fronte,
sopracciglia ) ed inferiore ( naso e bocca ) ed è questo il “canale” su cui si
può esercitare un maggior controllo. L’emisfero destro che presidia il lato
sinistro del volto produce le espressioni emotive spontanee, mentre quello
sinistro, dove si originano anche i processi verbali, quelle intenzionali.
Secondo Argyle (1972) le sopracciglia sono l’elemento del volto che, per
entrambi gli interlocutori, forniscono un costante commento al discorso.
Elemento altrettanto importante nel processo di comunicazione è lo sguardo,
rivelatore soprattutto dell’intensità dell’emozione più che del tipo di emozione.
L’essere guardati (modo, tempo etc…) influenza notevolmente i nostri stati
emotivi ed i nostri comportamenti e sicuramente noi guardiamo più spesso e
più a lungo chi ci piace,chi ci attrae,chi ci interessa.Durante l’interazione
visiva però è molto importante che si stabilisca un equilibrio rispetto all’uso
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degli sguardi reciproci, è necessario saper usare il contatto visivo in modo
appropriato alle circostanze, alle persone coinvolte nella comunicazione ed
agli scopi che ci si prefigge. Persone dominanti verso persone di status
inferiore guardano di più mentre parlano e poco quando ascoltano, nei
rapporti amichevoli ed affettuosi c’è uno scambio di una grande quantità di
sguardi. Ci sono specifiche regole culturali anche alla base del
comportamento visivo : per esempio per un europeo abbassare lo sguardo
può denotare imbarazzo, per un’orientale è segnale di rispetto.
La prossemica : la distanza-vicinanza fra gli individui durante l’interazione è
un segnale altamente significativo dal punto di vista sociale e sinteticamente
possiamo dire che lo spazio di relazione con l’altro può assumere quattro
modalità:
- Zona intima : 0-45 cm, caratterizza i rapporti più intimi e confidenziali,
ma può anche essere collegata allo status dell’interlocutore, quanto più
è elevato tanto è maggiore l’ampiezza che gli altri le riconoscono.
- Zona personale : 45-120 cm, l’invasione di questo spazio personale può
recare disagio e malessere. Anche una semplice occhiata può essere
giudicata come una sorta di intromissione nel nostro spazio personale
ed è per questo che spesso in luoghi altamente affollati o ritrovandoci in
ascensore con persone sconosciute ripristiniamo la distanza evitando di
incrociare gli sguardi.
- Zona sociale : 120-365 cm, è la distanza più frequente nei rapporti
formali e di lavoro( ad esempio si frappongono oggetti come tavoli,
scrivanie, cattedre ), in questi casi si attivano maggiormente sensi come
la vista e l’udito, si vedono meglio i movimenti del corpo dell’altro.
- Zona pubblica : da 365 cm in poi, caratterizza le occasioni pubbliche
come cerimonie, conferenze, spettacoli. E’ necessario un tono di voce
alto ed enfatizzare i gesti.
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Ci sono anche differenze culturali che stabiliscono le norme che regolano la
vicinanza-distanza tra le persone. Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra
loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si tengono invece fuori
dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove
la distanza che gli appartenenti alle diverse caste debbono mantenere fra di
loro è rigidamente stabilita, quando gli individui della casta più bassa
incontrano i bramini, la casta più elevata, debbono tenersi ad una distanza di
39 metri. Watzlawick in un suo scritto riferisce una notizia diffusa dagli organi
di informazione della città brasiliana di San Paolo. Secondo quanto riportato
si era reso necessario alzare la ringhiera ( molto bassa ) della terrazza del
circolo ippico, dalla quale molti visitatori erano caduti all’indietro ferendosi
gravemente. Dal momento che non si potevano spiegare tutti gli incidenti con
eventuali stati di ubriachezza, fu suggerita un’altra spiegazione,
probabilmente da un’antropologo: culture differenti inducono regole diverse
riguardo la distanza “ corretta “ da assumere e mantenere durante una
conversazione faccia a faccia con un’altra persona. Secondo le culture
dell’Europa occidentale e del Nord America questa distanza consiste nella
proverbiale lunghezza del braccio, nelle culture mediterranee e latino
americane è considerevolmente più corta. Quindi se un nordamericano ed un
brasiliano iniziassero una conversazione, il nordamericano presumibilmente
stabilirebbe la distanza che per lui è quella “corretta”, “normale”. Il brasiliano
si sentirebbe a disagio poiché troppo distante dall’altro, si avvicinerebbe per
stabilire la distanza per lui “giusta”, il nordamericano si sposterebbe indietro,
l’altro si riavvicinerebbe e così via, fino a che il nordamericano cadrebbe
all’indietro dalla ringhiera…..
Anche l’orientazione, la angolazione con cui ci si colloca nello spazio l’uno
rispetto all’altro, assume una particolare rilevanza ai fini relazionali : per
esempio una orientazione fianco a fianco, indica un certo grado di intimità ed
amicizia, una orientazione frontale è utilizzata in situazioni più formali ed in
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cui si tende a stabilire un rapporto gerarchico, può indicare anche
atteggiamenti competitivi. Se quando entriamo in un ristorante facessimo
attenzione al nostro modo di scegliere il tavolo ci accorgeremmo che
istintivamente escludiamo posizioni centrali per preferire quelle più vicine alle
pareti : è un ricordo ancestrale di quando il momento del pasto rappresentava
un potenziale pericolo in quanto l’attenzione calava e si era più esposti
all’attacco dei predatori o di altri esseri umani.
Se la scelta di determinati spazi e l’orientazione sono importanti segnali che
rivelano comportamenti sociali possiamo anche pensare di utilizzarli
intenzionalmente per favorire l’interazione. Per esempio si può incoraggiare
la conoscenza reciproca fra persone estranee utilizzando, in maniera
opportuna, alcuni spazi, disponendo in un certo modo gli arredi di una stanza
etc…e la conoscenza ed il rispetto per l’uso dello spazio dei nostri
interlocutori, la consapevolezza dei segnali di distanza o prossimità che ci
inviano aiutano sicuramente a migliorare la comunicazione
Maria Teresa Giannelli in una sua pubblicazione molto stimolante
( Comunicare in modo etico ) mette in evidenza come il contatto corporeo
riveli moltissimo riguardo al tipo di relazione esistente fra due persone.
Naturalmente all’interno di un rapporto molto forte il contatto è frequente ed
intenso ma una importanza centrale nell’uso di tale contatto assumono tre
elementi quali il sesso, l’età e la cultura di appartenenza. Si può dire che ogni
cultura ha disegnato una sorta di mappa delle parti del corpo che possono
essere toccate e di quelle che invece sono considerate quasi tabù, nella
nostra per esempio l’abbraccio, uno dei più eloquenti mezzi di
comunicazione, fra gli adulti viene utilizzato quasi esclusivamente all’interno
di situazioni ad alto valore emotivo. Pensiamo anche a quanto risulti meno
imbarazzante quando ci toccano una mano rispetto a quando il contatto
riguardi il nostro viso o la testa o a come le donne si tocchino fra loro molto
più degli uomini. Le popolazioni di origine latina hanno contatti fisici
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decisamente maggiori rispetto alle anglosassoni, ebrei ed arabi dimostrano
un alto grado di tattilità. In generale all’interno della cultura occidentale è
frequente notare quasi delle differenze di classe nell’uso del contatto
corporeo, sono le classi più elevate ad evidenziare le maggiori difficoltà ad
esprimersi e comunicare attraverso il contatto fisico.
La postura : la postura può riflettere uno stato d’animo, un atteggiamento, il
ruolo o lo stato sociale, può rivelare l’immagine che si ha del proprio corpo ed
in ogni cultura esistono delle regole precise che definiscono quali siano le
posture adeguate ad ogni circostanza. La dominanza e lo stato sociale si
possono esprimere con una postura eretta, le mani sui fianchi, il capo
all’indietro, la sottomissione o la riverenza abbassando lo sguardo ed il capo,
inchinandosi o inginocchiandosi.
Meharabian ha condotto numerosi esperimenti soprattutto lungo la
dimensione tensione-rilassamento, rilevando che per la maggior parte dei
soggetti esaminati, una postura rilassata in presenza di una persona di status
inferiore esprime dominanza, ma può anche comunicare antipatia ed ostilità.
Le posture congruenti fra interagenti ( imitazione della postura dell’altro )
invece vengono generalmente interpretate come indice di simpatia.
La gestualità : i movimenti corporei sono, fra i segnali non verbali, quelli più
influenzati dalla socializzazione e dalla cultura, alcuni sono universali
(stringersi fra le spalle, battere le mani, salutare con la mano, additare, fare
cenni di richiamo ), altri invece sono tipici di uno specifico gruppo culturale. In
diverse parti del mondo si scuote il capo per dire no, nell’Italia meridionale ed
in Grecia si usa invece un colpo di testa all’indietro, il gesto della “mano a
borsa” si usa raramente in Inghilterra, è più frequente in Italia dove ha un
significato interrogativo mentre in Grecia viene usato per esprimere “buono”,
in Tunisia “lentamente”, in Francia “paura”. Questo per dire che approfondire
la conoscenza della comunicazione non verbale può contribuire al
miglioramento dei rapporti fra i popoli e favorire lo sviluppo delle relazioni
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internazionali. Siamo così abituati a sottolineare e ad enfatizzare quello che
diciamo con i gesti che spesso li utilizziamo anche quando il nostro
interlocutore non è presente ( per esempio al telefono ) e numerose ricerche
hanno dimostrato come il divieto di usarli influisca pesantemente sulla
produzione verbale e la ricchezza dei discorsi. Nell’ambito di interventi
pubblici come conferenze o lezioni i gesti aiutano a catturare l’attenzione,
infatti quando il livello raggiunto viene considerato soddisfacente tendono a
diminuire di intensità.
La prosodia : gli elementi prosodici possiamo identificarli nel tono, ritmo,
pause della voce. Il tono può essere strettamente legato a caratteristiche
individuali del soggetto ( età,sesso,provenienza ) ed è lo specchio del nostro
stato d’animo e può essere aggressivo, amichevole, alto, basso, chiaro…Il
ritmo deve essere in linea con il contesto comunicativo, variarlo è
sicuramente utile per richiamare l’attenzione. Le pause sono molto importanti,
danno il tempo di pensare e di riflettere, sono un segnale di rispetto per
l’altro, spesso servono per sottolineare passaggi particolari. La voce è il
canale su cui si esercita un minor controllo, è probabile quindi che riveli in
modo più veritiero i reali stati emotivi e gli atteggiamenti interpersonali.
“Con il tono giusto si può dire tutto, con quello sbagliato non si può dire nulla “
( George Bernard Shaw )
Molto altro da dire ci sarebbe riguardo alla C.N.V. ma, se vogliamo attribuire
un “senso” al percorso effettuato fino ad ora, possiamo affermare che la
conoscenza dei significati della C.N.V. non serve per giocare allo psicologo
e,solamente, per interpretare le intenzioni dell’interlocutore ma, soprattutto,
per imparare a controllare il proprio comportamento e diventare consapevoli
degli effetti che la nostra comunicazione produce sugli altri.
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Sintetizzando i livelli di lettura della comunicazione sono tre:
- SINTATTICO : riguarda tutti quegli aspetti relativi alla trasmissione delle
informazioni e perciò si parla di codifica, decodifica, canali, interferenza,
proprietà statiche del linguaggio ( appunto i suoi elementi sintattici )
- SEMANTICO : riguarda il significato dei simboli del messaggio. Uno
scambio effettivo, una comunicazione efficace presuppone una
convenzione non solo sintattica ma anche semantica
- PRAGMATICO : riguarda gli effetti della comunicazione sui
comportamenti
Dal punto di vista concettuale è possibile effettuare un tal tipo di divisione ma
è chiaro come i tre piani siano assolutamente interdipendenti . Gorge
afferma : “ Sotto molti punti di vista è giusto dire che la sintassi è la logica
matematica, la semantica è la filosofia o la filosofia della scienza e la
pragmatica è la psicologia, ma in realtà questi campi non sono affatto ben
distinti”.
Questa interdipendenza ci appare forse più chiara se ripensiamo agli
elementi che fino ad ora abbiamo considerato necessari per una
comunicazione efficace :
- Definizione dell’obiettivo
- Chiarezza espositiva
- Interesse reale e profondo alla dinamica comunicativa
- Consapevolezza e responsabilità
- Ascolto attivo
- Congruenza
- Feedback
Molto spesso facciamo una gran fatica ad individuare e ad addossarci la
responsabilità di un atto comunicativo non andato a buon fine, quante volte ci
è capitato di dire : “ Ho parlato con lui, ho cercato di dirglielo in tutti i modi ma
proprio non ci sente”. Questo può essere un classico esempio di un
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messaggio caduto nel vuoto della incomunicabilità, mentre molto spesso il
significato di una comunicazione è la risposta che riceviamo, in un certo
senso non conta ciò che trasmettiamo ma ciò che l’altro riceve, se lui non ha
capito sono io a non aver comunicato efficacemente e l’obiettivo fallito è il
mio, non il suo.
“Non so mai esattamente cosa ho detto prima di sentire la risposta a quello
che ho detto “ ( N.Wiener )
Dalla corposa letteratura esistente possiamo cercare di evidenziare alcuni
punti che possono aiutare a superare alcune difficoltà che talvolta insorgono
in uno scambio comunicativo. Adler e Towne offrono i seguenti suggerimenti:
1) Distinguere i fatti dalle inferenze : “ Dato che ieri non mi hai telefonato
(fatto),sei sicuramente arrabbiato con me (inferenza). Non è vero?
(domanda di chiarimento). Chiarire il comportamento
soggettivo,separandolo dalle interpretazioni che ne abbiamo tratto,
consente all’altro di commentare, aggiungendo informazioni mancanti,
l’accuratezza della interpretazione avanzata.
2) Usare gli eufemismi con parsimonia : dire ad una amica “ E’ una
acconciatura originale “ invece di “ E’ veramente brutta “, quando
magari tale pettinatura è stata già stroncata da tutti gli altri può essere
un modo gentile per mitigare una critica spiacevole, ma va sicuramente
a discapito della chiarezza del messaggio. Nella nostra amica rimarrà il
dubbio circa le nostre vere opinioni.
3) Usare il linguaggio emotivo con moderazione : uno stesso oggetto può
essere definito “classico” o “fuori moda”, una persona un po’ fuori dal
normale come “eccentrica” o “matta”, una azione militare una “vittoria” o
un “massacro”. I termini a forte coloritura emotiva hanno una grande
probabilità di essere male accolti e di porre l’altro in una posizione
difensiva e di chiusura.
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4) Evitare il linguaggio equivoco : quei termini cioè che hanno più di un
significato comunemente accettato.
5) Diffidare delle valutazioni statiche : invece di affermare “Francesco è un
ragazzo aggressivo” sarebbe meglio sottolineare la situazione in cui il
ragazzo è stato aggressivo. E’ importante precisare il contesto in cui si
verificano i comportamenti, consente di evitare l’etichettamento del
soggetto attribuendogli tratti stabili e permanenti.
Ma allora chi è il buon comunicatore?
La comunicazione è reciprocità, rispetto dell’altro, arricchimento, è un
momento significativo del processo di apprendimento, anzi come tale
dovrebbe far parte, fin dall’inizio, dell’educazione di un individuo, perciò
possiamo anche essere dei grandi esperti e conoscitori delle tecniche ma se
non crediamo fortemente nel valore della comunicazione, così come lo
abbiamo descritto, saremo solo dei manipolatori.
Quando la comunicazione è scientificamente strutturata per sfruttare
emozioni ed atteggiamenti inconsci non dovremmo più denominarla così ma,
per esempio, coercizione o indebita influenza. Sappiamo benissimo come i
regimi dittatoriali abbiano individuato nella comunicazione di massa un
sistema per la creazione di consenso, ma anche la comunicazione
pubblicitaria o elettorale potrebbero configurarsi come indebita influenza.
Vengono utilizzati “testimonial” di cui è nota la simpatia o la stima presso il
grande pubblico per convalidare e rafforzare il messaggio comunicativo, le
emozioni vengono evocate ad arte per creare un supporto inconscio alla
persuasione. Come fare per riconoscere una indebita influenza, sia all’interno
delle nostre relazioni, sia nel variegato mondo della comunicazione di
massa? Potremmo riconoscere nella autostima e nell’addestramento delle
facoltà critiche i due principali meccanismi di difesa: la costruzione della
propria autostima si basa sulla valorizzazione delle proprie esperienze
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positive abituandosi a sviluppare un atteggiamento positivo, l’addestramento
delle proprie facoltà critiche è un processo culturale continuo in cui l’individuo
deve continuamente porsi delle domande sulle comunicazioni e gli stimoli che
riceve, cercando di individuarne la reale validità al di là dei condizionamenti
emotivi e prescindendo dalla fonte. Bisogna scindere la nozione dalla fonte e
valutarla in sé, evitare, per esempio, di ritenere valida e giusta una
comunicazione solo perché ci perviene da un amico o da un movimento di
opinione o partito in cui ci identifichiamo, cercare di esaminarla anche per i
contenuti che esprime rispetto alla nostra cultura e scala di valori. Questi
meccanismi creano una sorta di vaccinazione nei riguardi dei luoghi comuni e
delle banalità culturali, dell’uso strumentale che spesso viene fatto delle
conoscenze sulla comunicazione,sulle sue modalità e sui corrispondenti
effetti e possono consentire alle persone di difendersi meglio dalla
comunicazione coercitiva o dall’indebita influenza, senza limitarle
nell’accettazione del contributo derivante dall’interazione con gli altri che
deriva da un corretto scambio di informazioni e di opinioni.
Il buon comunicatore non ha come obiettivo la strumentalizzazione ma la
promozione di sé e dell’altro e suggestivo è l’ideogramma cinese che designa
la comunicazione. E’ piuttosto complesso ed è la risultante degli ideogrammi,
che si integrano vicendevolmente, riferiti ai seguenti significati: orecchio
( ascolto ), occhi (vista), attenzione completa, cuore. In mancanza di uno di
questi elementi non vi è comunicazione piena, possiamo rimanere su un
piano esclusivamente superficiale, sui vari piani estetico, intellettuale,
affettivo ma per una comunicazione efficace deve entrare in campo la totalità
della persona, con l’attivazione cosciente di tutte le sue facoltà.
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Se ancora, in qualcuno di noi, dovesse sussistere il dubbio che la
comunicazione sia un fenomeno assolutamente naturale che non necessita,
perciò,di “apprendimento”, può essere stimolante rifarsi alla cornice
concettuale che lo psicologo americano Abraham Maslow ci fornisce per
capire in che modo impariamo qualsiasi cosa, anche a comunicare:
1) Incompetenza inconscia: non conosciamo quello che non sappiamo.
Esempio: vogliamo imparare a guidare la macchina.Non ne abbiamo
alcuna esperienza.
2) Incompetenza conscia: conosciamo quello che non sappiamo. Saliamo
sulla macchina e cominciamo ad usare i comandi. Andiamo
sicuramente a sbattere al primo o uno dei primi ostacoli.
3) Competenza conscia: agiamo su quello che non sappiamo,andiamo a
scuola di guida. Facciamo il nostro esercizio, ripetendolo con grande
attenzione e sforzo consapevole per acquisire la capacità richiesta.
4) Competenza inconscia: non abbiamo bisogno di pensare se sappiamo.
La capacità diventa automatica a livello inconscio. Sappiamo guidare
senza neppure pensarci. Corriamo agevolmente lungo le strade del
mondo.
Per concludere possiamo dire che saper gestire l’evento comunicativo nella
sua complessità e completezza, comprendere e porre attenzione alle
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dinamiche che avvengono all’interno del processo che abbiamo chiamato
“ comunicazione “ è molto importante, non solo per la nostra vita personale
ma,anche, per il raggiungimento dei nostri obiettivi in ambito professionale.
Non a caso si dice che “una azienda è come comunica” e che le performance
dei singoli e dei gruppi saranno influenzate dal tipo di comunicazione interna
ed esterna, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo: verranno
influenzati il clima, il livello di soddisfazione, la stabilità della leadership e, non
ultima, la motivazione al lavoro.
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