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Page 1: La pace va cercata a qualunque costo...La Chiesa è in prima linea in tutto il mondo nel fronteg-giare le conseguenze del co-ronavirus. Necessità non solo sani-tarie, ma anche economiche

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 86 (48.410) Città del Vaticano giovedì 16 aprile 2020

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All’udienza generale il nuovo monito del Papa contro la «guerra a pezzi» che oggi viene combattuta in diversi modi su vari fronti

La pace va cercataa qualunque costo

Nuovo monito del Papa contro la«guerra a pezzi» che oggi nel mon-do «viene combattuta su più scenarie in diverse modalità». Riprendendoil ciclo di catechesi sulle Beatitudini— all’udienza generale di mercoledì15 aprile, trasmessa attraverso la ra-dio, la televisione e il web dalla Bi-blioteca del Palazzo apostolico vati-cano a causa delle misure antiassem-bramento imposte dalla pandemia dicovid-19 — Francesco ha denunciatol’apparente paradosso che caratteriz-za la storia umana, scandita da«un’infinita serie di trattati di pace»puntualmente «smentiti da guerresuccessive, o dalla metamorfosi diquelle stesse guerre in altri modi oin altri luoghi». Una realtà che nelcontesto di «una globalizzazione fat-ta soprattutto di interessi economicio finanziari» appare ancora più in-quietante, generando il sospetto che«la “pace” di alcuni corrisponda alla“guerra” di altri».

Nella sua riflessione dedicata allasettima beatitudine — che proclama«figli di Dio» gli «operatori di pa-ce» — il Pontefice ha ricordato che iltermine biblico shalòm ha un signifi-cato più ampio e profondo di quelloche comunemente si attribuisce allaparola “pace”. «La vera shalòm e ilvero equilibrio interiore — ha sottoli-neato — sgorgano dalla pace di Cri-sto, che viene dalla sua Croce e ge-

nera un’umanità nuova». Non a ca-so, ha osservato, «la settima beatitu-dine è la più attiva, esplicitamenteoperativa; l’espressione verbale èanaloga a quella usata nel primoversetto della Bibbia per la creazione

e indica iniziativa e laboriosità».L’amore, infatti, «per sua natura ècreativo e cerca la riconciliazione aqualunque costo». Sono chiamati«figli di Dio», dunque, «coloro chehanno appreso l’arte della pace e la

esercitano, sanno che non c’è ricon-ciliazione senza dono della propriavita, e che la pace va cercata sempree comunque».

PAGINA 8

Intervista al cardinale Turkson

Pensare al dopo covid-19per non essere impreparatidi MASSIMILIANO MENICHETTI

La Chiesa è in prima linea intutto il mondo nel fronteg-giare le conseguenze del co-

ronavirus. Necessità non solo sani-tarie, ma anche economiche e so-ciali proiettate nel breve e lungoperiodo. Mentre si continuano asperimentare vaccini e cure per de-bellare il covid-19, le previsioni delFondo monetario internazionaleper il 2020 parlano di un calo del 3per cento del prodotto interno lor-do mondiale. La flessione sarebbepeggiore della “Grande depressio-ne” degli anni Trenta. In questoscenario il cardinale Peter KodwoAppiah Turkson, prefetto del Dica-stero per il Servizio dello Sviluppoumano integrale, sottolinea che «auna crisi rischia di seguirne un’al-tra e altre ancora, in un processodove saremo costretti a impararelentamente e dolorosamente aprenderci cura della nostra Casacomune, come Papa Francesco in-segna così profeticamente nell’enci-clica Laudato si’».

Eminenza, il Papa l’ha ricevuta inudienza diverse volte per parlaredell’emergenza coronavirus. Qual è lapreoccupazione che le ha manifestato?

Il Papa ha espresso la sua preoc-cupazione per il tempo presente,per la crisi mondiale generata dalcovid-19 e per gli scenari dramma-tici che si affacciano all’orizzonte.Ci ha detto di non perdere tempo,di metterci immediatamente al la-voro, poiché siamo il Dicastero diriferimento. Dobbiamo agire subi-to. E dobbiamo da subito pensareper il dopo.

In cosa consiste il mandato che è sta-to affidato al suo dicastero e qual èla vostra missione?

Il Santo Padre ci ha affidato duecompiti principali. Il primo riguar-da l’oggi: la necessità di offrire conprontezza, con sollecitudine, conimmediatezza il segno concreto delsostegno da parte del Santo Padree della Chiesa. Dobbiamo offrire ilnostro contributo, in questo mo-mento di emergenza. Si tratta dimettere in campo azioni di suppor-to alle Chiese locali per salvare viteumane, per aiutare i più poveri. Ilsecondo riguarda il dopo, il futuro,riguarda il cambiamento. Il Papa èconvinto che siamo a un cambia-mento di epoca, e sta riflettendo suciò che verrà dopo l’e m e rg e n z a ,sulle conseguenze economiche e

sociali della pandemia, su quel chedovremo affrontare, e soprattuttosul modo in cui la Chiesa potrà of-frirsi come punto di riferimento si-curo al mondo smarrito di fronte aun evento inatteso. Contribuireall’elaborazione di un pensiero suquesto è il nostro secondo compi-to. Il Papa ci ha chiesto concretez-za e creatività, approccio scientificoe immaginazione, pensiero univer-sale e capacità di comprendere leesigenze locali.

Come state impostando questa attivi-tà?

Abbiamo costituito cinque grup-pi di lavoro che sono già all’op era.Abbiamo già avuto due incontri di

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

CO N T I N UA A PA G I N A 3

Piazza piena e Piazza vuota

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha accettatola rinuncia al governo pasto-rale della Diocesi di RuyBarbosa (Brasile), presentatada Sua Eccellenza Monsi-gnor André De Witte.

Il Santo Padre ha accettatola rinuncia al governo pasto-rale della Diocesi di Paterson(Stati Uniti d’America), pre-sentata da Sua EccellenzaMonsignor Arthur J. Serra-telli.

Il Santo Padre ha accettatola rinuncia al governo pasto-rale della Diocesi di Callao(Perú), presentata da Sua Ec-cellenza Monsignor José Luisdel Palacio y Pérez-Medel.

Provviste di ChieseIl Santo Padre ha nomina-

to Vescovo di Ruy Barbosa(Brasile) Sua EccellenzaMonsignor Estevam dos San-tos Silva Filho, trasferendolodalla Sede titolare vescoviledi Feradi maggiore e dall’uf-ficio di Ausiliare dell’A rc i d i o -cesi di São Salvador daBahia.

Il Santo Padre ha nomina-to Vescovo di Erexim (Brasi-le) il Reverendo Adimir An-tônio Mazali, del clerodell’Arcidiocesi di Cascavel,finora Parroco della Catte-drale “Nossa Senhora Apare-cida”.

Il Santo Padre ha nomina-to Vescovo di Paterson (StatiUniti d’America) il Reveren-do Kevin J. Sweeney, del cle-ro della Diocesi di Brooklyn,finora Vicario Foraneo del“Brooklyn 8 Deanery” e Par-roco della “Saint Michael Pa-rish” a Brooklyn.

Nominadi Amministratore

Ap ostolicoIl Santo Padre ha nomina-

to Amministratore Apostolico“sede vacante” della Diocesidi Callao (Perú) Sua Eccel-lenza Monsignor RobertFrancis Prevost, O.S.A., Ve-scovo di Chiclayo.

DIARIO DELLA CRISI/1

La preghiera nella messaa Santa Marta

Per gli anziani soli

PAGINA 8

Documento sull’ethos socialedella Chiesa ortodossa

Essenziale mezzodi salvezza

PAGINA 6

ALL’INTERNO Condanna di Mosca e Pechino

Trump taglia i fondi all’O ms

di FEDERICO LOMBARDI

In questo periodo milioni e milioni di per-sone in Italia e nel mondo hanno seguitoe seguono i momenti di preghiera guidati

dal Papa attraverso la televisione e i mediaelettronici. Sono livelli di ascolto straordinari.Non c’è da stupirsi. La situazione porta natu-ralmente a compensare con la comunicazionemediatica tutta quella dimensione di parteci-pazione fisica e di relazioni a cui dobbiamo ri-nunciare. Inoltre e ancor più, porta a cercarequella parola e quell’immagine che incontra leattese profonde di consolazione, di ricerca diluce in tempo di oscurità, di conforto in tem-po di incertezza.

Quando Papa Francesco iniziò a celebrare laMessa mattutina a Santa Marta con un gruppodi fedeli — una delle prime e più caratteristicheinnovazioni di questo pontificato — giunse pre-sto la richiesta (da parte di Tv 2000) di ricever-ne in diretta il segnale televisivo per permetterea un pubblico più vasto la possibilità di seguirequel momento toccante di preghiera con il Pa-pa. Ricordo bene che allora se ne parlò con ilPapa stesso e si fece una riflessione se dire di sìo di no. La conclusione fu allora di non tra-

smettere in diretta quella Messa, perché, a dif-ferenza delle celebrazioni pubbliche, intendevaconservare un carattere più intimo e privato,semplice e spontaneo, senza che il celebrante el’assemblea dovessero sentirsi sotto gli occhi delmondo. Certamente, si potevano diffonderespunti e brevi immagini dell’omelia e della ce-lebrazione, ma non farne una trasmissione inte-grale. Non mancavano infatti molte altre occa-sioni in cui un grande pubblico poteva seguireil Papa che si rivolgeva intenzionalmente nonsolo ai presenti, ma a un uditorio assai più am-pio collegato tramite radio, televisione o altrimedia.

Ora la situazione è cambiata. A Santa Mar-ta non c’è un’assemblea di fedeli, per quantopiccola, e la Messa del Papa — che celebraquasi solo — è trasmessa in diretta e seguita daun numero grandissimo di persone che ne ri-cevono conforto e consolazione, si unisconocon lui in preghiera e sono da lui invitati a“fare la comunione spirituale” poiché non pos-sono avvicinarsi per ricevere il corpo del Si-gnore. Il mistero celebrato è lo stesso, ma ilmodo di parteciparvi è cambiato. Il PapaFrancesco nell’omelia ama guardare negli oc-chi i presenti e dialogare con loro. Ora lo

sguardo e la voce sono mediati dalla tecnolo-gia, ma riescono ugualmente a raggiungere ilcuore. L’assemblea non è più presente fisica-mente, ma c’è ed è realmente unita, attraversola persona del celebrante, intorno al Signoreche muore e risorge.

Analoga e ancor più intensa è l’esp erienzadel Papa che parla e prega nella Basilica o nel-la stessa Piazza San Pietro completamentevuota. Quante volte ci siamo trovati negli annia lanciare cifre sempre più impressionanti difedeli presenti: 50, 100, 200 mila persone... intutta la Piazza, anche in Via della Conciliazio-ne fino al Tevere... Il luogo delle assembleeinnumerevoli... Nel corso del secolo passatoavevamo imparato ad aggiungere gradualmen-te a questa presenza fisica tante altre personeche grazie alla radio, poi alla televisione, poiai nuovi strumenti della comunicazione allar-gavano quelle assemblee alle diverse parti delmondo. Benedizione “Urbi et Orbi”, “alla Cit-tà e al mondo”. In particolare Giovanni PaoloII, con gli auguri natalizi e pasquali in decinedi lingue, ci aveva fatto capire che la grandeassemblea riunita nella Piazza era il centro, ilcuore di un’assemblea molto più larga, capil-larmente diffusa in tutti i continenti, unita dal

desiderio di ascoltare grazie alla voce del Papaun unico messaggio di salvezza.

Ora abbiamo visto la Piazza assolutamentevuota, ma l’assemblea più larga, quella nonpresente fisicamente ma spiritualmente c’è sta-ta, e forse anche più numerosa e intensamenteunita che in altre occasioni. Il Papa può esseresolo in Piazza San Pietro, come nella Cappelladi Santa Marta, ma la Chiesa, l’assemblea uni-versale dei fedeli è fortissimamente reale e uni-ta da vincoli profondissimi radicati nella fedee nel cuore umano.

La Piazza vuota, ma in cui si percepisce lapresenza densissima e l’incrociarsi di relazionispirituali di amore, di compassione, di soffe-renza, di desiderio, di attesa, di speranza... èun segno forte della presenza dello Spirito,che tiene unito il “Corpo mistico” di Cristo.Una realtà spirituale appunto, che si manifestaquando l’assemblea è fisicamente riunita e pre-sente, ma che non è legata e limitata alla pre-senza fisica, e paradossalmente in questi giornisi può sperimentare in modo più forte ed evi-dente. «Il vento soffia dove vuole e tu ne sentila voce, ma non sai di dove venga e dove va-da... così è chiunque è nato dallo Spirito» di-ceva Gesù nella notte a Nicodemo.

LETTERE DAL DIRETTORE

La forza del sorrisopotenza invincibile

PAGINA 4

WASHINGTON, 15. «L’epidemia po-teva essere contenuta alla sua origi-ne con pochi morti. Si sarebberosalvate migliaia di vite e si sarebbe-ro evitati danni economici». Questele parole pronunciate ieri dal presi-dente degli Stati Uniti, DonaldTrump, che ha duramente criticatol’Organizzazione mondiale della sa-nità (Oms) affermando di tagliare icontributi statunitensi all’agenziaOnu. «L’Oms ha gestito male e in-sabbiato la diffusione del coronavi-rus» ha detto Trump. «Una delledecisioni più pericolose e costosedell’Oms è stata la sua opposizionealle restrizioni ai viaggi dalla Cina eda altri Paesi». Trump ha spiegatoche i contributi Usa saranno sospe-si fino a quando non sarà stata fattachiarezza sulle modalità in cui lacrisi è stata gestita.

Immediata la replica del segreta-rio dell’Onu, António Guterres.«Non è il momento di ridurre le ri-sorse per le operazioni dell’Oms odi qualsiasi altra organizzazioneumanitaria nella lotta contro il co-ronavirus. Questo è il momentodell’unità» ha spiegato Guterres.

Dure critiche sono giunte daMosca e Pechino. «Consideriamomolto allarmante la dichiarazionedi Washington sulla sospensionedei finanziamenti all’Oms» ha det-to il vice ministro degli Esteri russoSerghei Ryabkov. «Questo è il se-gno di un approccio egoista delleautorità statunitensi a ciò che staaccadendo nel mondo nel pienodella pandemia». Pechino, dal can-to suo, ha invitato Washington ad«adempiere ai suoi doveri». Se sa-ranno tagliati i fondi Usa, «tutti ipaesi ne saranno colpiti».

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 giovedì 16 aprile 2020

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Il presidente apre al confronto per discutere su come riaprire l’economia senza rischiare un aumento dei contagi

Altro record di decessi in 24 orenegli Stati Uniti

La Giornata mondiale della voce

Per denunciarele ingiustizie

WASHINGTON, 15. Nuovo record dimorti per coronavirus in 24 ore negliStati Uniti. Dopo un paio di giorniampiamente sotto la soglia delleduemila vittime, l’ultimo rilevamentodella Johns Hopkins University haregistrato 2228 decessi tra la sera dilunedì e quella di martedì. Questonuovo picco ha portato oltre quota25.000 il numero complessivo dellemorti nel paese, all’incirca un quintodel totale mondiale. Infine è statasbarrata anche quota 600.000 perquanto riguarda i casi confermati dicontagio. L’aumento delle vittimenelle ultime 24 ore non è però lega-to alla revisione dei dati sulle mortipubblicata dalla città di New York.La Grande Mela ha incluso nella li-sta dei decessi anche quelli che, apartire dall’inizio di marzo, si presu-me siano dovuti al coronavirus, inquanto riconducibili per sintomato-logie, ma mai testati. Il dipartimentosanitario di New York City ha di-chiarato che il bilancio delle vittimeè ora di oltre 10.000, inclusi i 3700decessi aggiunti martedì.

Lo stato di New York e alcune al-tre aree tra le più colpite stanno co-munque continuando a registrareforti riduzioni di ricoveri e di pa-zienti sottoposti a ventilazione. Gliesperti in virologia e immunologiadell’unità di crisi della Casa Biancaavevano previsto che i decessi avreb-bero raggiunto il picco questa setti-mana anche se c’era stata la speran-za che il peggio fosse passato dopoche nel weekend di Pasqua le mortierano state circa 1500 al giorno.

Il presidente statunitense DonaldTrump ieri, nel suo lungo discorsodal giardino delle Rose alla CasaBianca, ha dichiarato di augurarsiche i morti per coronavirus negliStati Uniti siano molti meno di100.000. Il presidente ha poi annun-ciato che nei prossimi giorni sentirà icinquanta governatori dei singolistati — rimodulando in qualche mo-do le sue dichiarazioni sul suo pote-re assoluto di decisione —, le mag-giori aziende americane, da Gold-man Sachs a JPMorgan, da Apple aGoogle, nonché le associazioni spor-tive e quelle religiose per la riapertu-ra degli Usa. Per discutere su come

riaprire l’economia senza rischiareun aumento dei contagi. L’inquilinodella Casa Bianca si è detto convin-to che alcuni stati potrebbero riapri-re già prima del 1° maggio.

«L’economia tornerà a volare eWall Street raggiungerà nuovi re-cord», ha detto ieri il presidente. Se-condo indiscrezioni riportate dal«Washington Post», il presidenteavrebbe molta fretta di riaprire, e staspingendo affinché gli vengano pre-sentati il prima possibile piani daisingoli stati per centrare il suo obiet-tivo. Stando a quanto dichiarato dalpresidente della Federal Reserve diSt. Louis, James Bullard, l’arresto dibuona parte dell’attività produttivasta costando circa 25 miliardi di dol-lari al giorno, in termini di perditaproduttiva, all’economia Usa.

Intanto il Dipartimento del Teso-ro Usa e le compagnie aree nazionalitravolte dalla crisi legata al coronavi-rus hanno raggiunto ieri un accordodi principio per i termini degli aiutifederali. Gli aiuti sono inclusi nelpacchetto di stimoli all’economia da2200 miliardi di dollari approvatodal Congresso. Sono 10 le compa-gnie aeree che usufruiranno del pia-no di aiuti del governo Usa. L’intesapreliminare è stata confermata dalpresidente Trump durante la quoti-diana conferenza dal Garden Rose.Assistenza a un malato in un ospedale di New York (Reuters)

di SI LV I A CAMISASCA

In occasione della Giornatamondiale della voce, istituitadalle Nazioni Unite per il 16

aprile, il pensiero corre ai tanti,troppi, a cui non è data voce, perrivendicare diritti negati, denuncia-re ingiustizie subite, far sentire lapropria solitudine. In un momentoin cui — in milioni — stiamo viven-do in una sorta di bolla, in cui ab-biamo sospeso le nostre relazionisociali, alcuni più di altri faticano afar sentire la propria voce: «Gli an-ziani, in questa situazione surreale,stanno pagando un prezzo maggio-re, perché, soprattutto se soli, comemolti di loro, vivono in modo am-plificato paure e incertezze, con laconsapevolezza, per lo più, di ap-partenere alla fascia più esposta alrischio di contagio» sottolinea Ful-vio Giuliani, giornalista caporedat-tore di Rtl 102.5, esperto, dopo an-ni sul “camp o”, a riconoscere letanti voci del silenzio.

Come quelle, d’altro canto, deibambini e degli adolescenti «aiquali non solo è impedito di viverepienamente la scuola, come espe-rienza formativa integrante alla cre-scita, ma per loro, per i quali la so-cialità è un istinto e un bisogno,uno stile di vita del genere è inna-turale, e naturale è sentirsi senzavoce» osserva il giornalista, ricor-dando che, «soprattutto chi non hala possibilità di farsi sentire, devepoter contare su una voce equili-brata, razionale e credibile a cui af-fidarsi».

E in settimane in cui gli scambiinterpersonali sono ridotti ai con-tatti all’interno delle mura domesti-che, laddove le crisi familiari sonodegenerate in violenza e soprusi, laconvivenza forzata, imposta dallemisure di contenimento della pan-demia, si traduce in costrizione allaresa, a subire oltre ogni limite disopportazione. Più che mai oggi,dunque, è indispensabile assicuraretutela e protezione a tutte le vitti-me di violenze domestiche, impri-gionate sotto lo stesso tetto con iloro aguzzini, e ostacolate nel fararrivare la richiesta di soccorso aicentri di aiuto.

Tra gli effetti più preoccupantidelle convivenze forzate e delle li-mitazioni alla libertà di circolazio-ne, si registra, anche in Italia, chetra i Paesi europei vanta il tristeprimato di una vittima di femmini-cidio ogni tre giorni, il dato allar-mante relativo al calo delle denun-ce sporte in queste settimane: de-nunce talvolta frutto di confidenze— più o meno dirette — a colleghi,amici o conoscenti, e che ora sonorese mute all’interno delle dinami-che violente delle mura di casa.«Poiché ci sono inequivocabili se-gnali che inducono a ritenere incostante aumento le violenze endo-familiari, sia psicologiche sia fisi-che, proprio legato all’obbligo dipermanenza in casa che, in molteipotesi, genera o alimenta tensionifamiliari, occorre impedire che ilcoronavirus diventi il più pericolo-

so alleato della violenza domesticae di genere» premette il giudicedella sezione del tribunale di Ro-ma, Valerio de Gioia, da anni im-pegnato nel contrasto a questa ti-pologia di reati, sottolineando l’ul-teriore aggravante della costantepresenza nelle abitazioni dei figliminori che, lontano dalla scuola edalle attività extrascolastiche, fini-scono per diventare loro stessi vitti-me della medesima spirale di vio-lenza.

«Questo fenomeno alimenta ildrammatico circuito della violenzaassistita, con reati commessi ai dan-ni o in presenza di un minore dietà: reati che comportano pene piùelevate» specifica il giudice. A ciòsi aggiunge la diffusa, e quantomai pericolosa, convinzione chenon sia permesso uscire di casa perrecarsi a sporgere denuncia: al con-trario, la vittima di violenze dome-stiche può e deve denunciare quan-to subito. Tra i motivi che legitti-mano gli spostamenti, infatti, i mo-duli di autocertificazione prevedo-no proprio quello di rivolgersi alleautorità preposte. Del resto, la no-stra Costituzione esprime un bilan-ciamento tra diritti — quello allasalute collettiva, ad esempio, ri-spetto a un’epidemia, come quelloall’incolumità personale — tale percui l’ordinamento garantisce, con leprescrizioni restrittive atte a conte-nere il contagio, il bene della col-lettività (art. 32), e, contempora-neamente, riserva analoga attenzio-ne all’integrità psico-fisica del sin-golo.

Esiste, poi, un timore diffuso re-lativo alla sospensione del procedi-mento penale, a causa della pande-mia: «Sporta la denuncia, il proce-dimento si attiva immediatamentecon il Codice Rosso — spiega ilgiudice — ossia quell’insieme dinorme tese a evitare che eventualistasi nelle indagini preliminari pos-sano pregiudicare la tempestività diinterventi, cautelari o di prevenzio-ne, a tutela della vittima dei reatidi maltrattamenti, violenza sessua-le, atti persecutori e di lesioni ag-gravate commesse in ambito fami-liare». Il Codice Rosso, infatti, evi-tando vuoti di potere, intende ga-rantire l’immediata adozione diprovvedimenti protettivi o di nonavvicinamento, tesi all’incolumitàfisica delle vittime.

Infine, De Gioia sottolinea l’im-portanza di denunciare ogni tipodi maltrattamento, anche al fine diinterrompere il circolo vizioso checoinvolge doppiamente i minori,prima loro stessi vittime e, poi, po-tenziali autori delle medesime vio-lenze: come dimostrano tristementei numeri, infatti, coloro che subi-scono o assistono ad atti di questanatura, facilmente, da adulti, emu-lano i comportamenti di cui sonostati vittima: «Purtroppo, solo il 10per cento di loro trova il coraggiodi denunciare — aggiunge con ram-marico il giudice — per questo èfondamentale che non si sentano,in alcun modo, abbandonate».

In Brasileospedale da campo

per le tribùdell’Amazzonia

BRASÍLIA, 15. Nello stato brasilianodi Amazonas sarà istituito un ospe-dale da campo per le popolazioniindigene colpite dal coronavirus, percercare di evitare che la pandemiaraggiunga quei villaggi dove sarebbedifficile accedere e fronteggiareun’emergenza sanitaria. In questearee è infatti praticamente inesistenteogni forma di assistenza medica. Unadolescente di 15 anni dell’etnia Ya-nomami che aveva contratto il covid-19 è morto nello Stato amazzonicodi Roraima la scorsa settimana e al-meno altri tre indigeni delle tribù diSanto Antonio do Ica, nello Stato diAmazonas, sono stati contagiati. Ilgovernatore dello stato, Wilson Li-ma, ha affermato che «Amazonas èlo stato con il maggior numero digruppi etnici in Brasile, che sono an-che i più vulnerabili al virus». Lima,sottolineando la difficile situazionesanitaria nello stato, ha dichiaratoche finora sono stati registrati 1275infetti e 71 morti.

Il Brasile detiene un terzo deicontagi dell’intera America Latina,oltre 25.000, e soprattutto il tristeprimato dei decessi, oltre 1500, lametà circa dei morti dell’intera re-gione. In poco più di 48 ore nellaregione si è passati da circa 60.000casi a oltre 72.000. E da 2500 a oltre3200 vittime.

In Perú si è superata la soglia deidiecimila contagi. Intanto Argentinae Colombia hanno superato i centodecessi e stanno per avvicinarsi allasoglia dei tremila contagi.

Gradualità e coordinamento le linee guida principali

La strategia dell’Ue per uscire dalla crisi

Il presidente della Commissione Ue von der Leyen (Afp)

Per la Banca mondiale l’Asia meridionalerischia la peggiore crisi degli ultimi quarant’anni

BRUXELLES, 15. Gradualità e co ordi-namento sono le parole chiave dellastrategia preparata dall’Ue perl’uscita dalla paralisi del covid-19.

Il piano viene presentato oggidal presidente della Commissione,Ursula von der Leyen, ma già si co-noscono le linee guida. Fermo re-stando che le competenze in mate-ria sono dei singoli governi, in undocumento di quattro pagine, l’ese-cutivo comunitario raccomandastandard e parametri su cui le can-cellerie potranno basare le propriedecisioni per ripartire.

Ma il come e il quando sarà co-munque prerogativa delle capitali, aseconda delle situazioni. Anche seil rischio, avverte Bruxelles, è che«la mancanza di coordinamentopossa avere effetti negativi per tuttigli Stati membri», e porti a nuovefrizioni. Nel testo, la Commissioneinvita a una ripresa delle attivitàproduttive e sociali per correre airipari di fronte al forte shock eco-nomico, alla disoccupazione già dainumeri esponenziali e alla fram-mentazione del mercato unico.

Ma il punto centrale di tutte leazioni dovrà essere sempre il mini-mo impatto sulla salute dei cittadi-ni. Per questo motivo si indicanocome condizioni per le revoche unadiminuzione significativa e conti-nuativa della diffusione del virus euna capacità di risposta sufficienteda parte dei sistemi sanitari. Serve«un’uscita graduale», insiste laCommissione Ue, con restrizioni da

rimuovere «passo dopo passo», in-tervallate da lassi di tempo che per-mettano di misurarne gli effetti.

Iniziative da avviare a livello lo-cale, e solo successivamente daestendere geograficamente, preve-dendo anche una progressiva sosti-tuzione delle misure generalizzate

con azioni mirate a salvaguardaregruppi più vulnerabili, come gli an-ziani. Tutte mosse che dovrannocomunque procedere in parallelo amisure di accompagnamento, comeil rafforzamento dei sistemi sanitari,lo sviluppo di terapie e vaccini el’aumento dei test.

NEW DELHI, 15. L’Asia meridionaledovrà far fronte al peggior tasso dicrescita degli ultimi 40 anni a causadella propagazione del coronavirus.Lo afferma la Banca mondiale nelsuo rapporto biennale “South AsiaEconomic Focus”. Sono a rischiodecenni di progressi nella lotta con-tro la povertà in India, Bangladesh,Pakistan, Afghanistan e altre nazio-ni della regione, molti dei quali ca-dranno in «profonda recessione».Malgrado i pochi casi di covid-19riferiti, alcuni paesi dell’area ri-schiano di trasformarsi nei prossimi

focolai. «L’Asia del Sud si trova inuna tempesta perfetta di effetti av-versi», afferma l’organismo e la crisiglobale avrebbe già compromessotutti i segnali di ripresa economicadel 2019.

In India il primo ministro, Na-rendra Modi, ha annunciato ieri ilprolungamento fino al 3 maggio delpiù esteso lockdown al mondo. Ilconfinamento è in atto dal 24 mar-zo. Finora sono oltre 10 mila i casiconfermati e circa 350 i decessi.

Intanto a Singapore si registraun boom di contagi. Ieri sono stati

segnalati altri 334 nuovi casi, per untotale di 3252. In Giappone i parla-mentari tanto della maggioranzaquanto dell’opposizione hanno de-ciso di tagliarsi gli stipendi del 20per cento per un anno per rispon-dere alla crisi.

L’Unhcr esorta la comunità inter-nazionale a un maggiore sostegnoad Afghanistan, Pakistan e Iran nelcontesto della pandemia. Preoccupal’incessante rientro di migliaia dicittadini afghani in patria da Iran ePakistan, mettendo a serio rischio lemisure di contenimento in atto.

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L’OSSERVATORE ROMANOgiovedì 16 aprile 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’a f f a re ,

ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene» (D. Bonhoeffer)

Creati dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale cinque gruppi di lavoro

Il cardinale Turkson: pensareal dopo per non essere impreparati

lavoro con il Santo Padre. Abbiamocreato una cabina di regia, di coordi-namento, per coordinare le iniziativeche riguardano l’azione di oggi equelle che riguardano preparare ildomani. Il nostro è un servizio intermini di azione e di pensiero. Ser-vono azioni concrete subito, e lestiamo facendo. E serve guardare ol-tre l’oggi, tracciare la rotta per la na-vigazione difficile che ci attende. Senon pensiamo al domani ci trovere-mo di nuovo impreparati. Agire og-gi e pensare il domani non sono inalternativa. Non siamo di fronte aun “aut aut” ma a un “et et”. Il no-stro team ha già avviato una colla-borazione con la Segreteria di Stato,con il Dicastero per la Comunicazio-ne, con Caritas Internationalis, conle Pontificie accademie per le Scien-ze e per la Vita, con l’ElemosineriaApostolica, con la Congregazioneper l’Evangelizzazione dei Popoli econ la Farmacia Vaticana. Con il no-stro team si è creata una modalità inun certo senso nuova di collabora-zione fra i diversi dicasteri e i diversiuffici della Santa Sede. Una modali-tà da task force. Una modalità agileche testimonia l’unità e la capacitàdi reazione della Chiesa.

Da chi è composta la commissione cheè stata creata all'interno del dicastero equali sono i suoi ambiti di intervento?Vi partecipano anche personalità ostrutture esterne alla Santa Sede?

La commissione è composta dacinque gruppi di lavoro. Il primogruppo è già al lavoro sull’e m e rg e n -za. Lavora con la Caritas Internazio-nale. Ha avviato meccanismi diascolto delle Chiese locali per identi-ficare i bisogni reali e assistere nellosviluppo di risposte efficaci e ade-guate. Ha chiesto ai nunzi e alleconferenze episcopali di segnalare lequestioni sanitarie e umanitarie cherichiedono azioni immediate. Serveuno sguardo largo. Serve non di-menticare nessuno: i carcerati, igruppi vulnerabili. Serve condividerele buone pratiche. Il secondo gruppoha il compito di scrutare la notte,come la sentinella, per vedere l’alba.E per far questo serve connettere lemigliori intelligenze nelle areedell’ecologia, dell’economia, della sa-lute, della sicurezza sociale. Serve laconcretezza della scienza e serveprofezia, creatività. Serve un andareoltre. Questo gruppo lavorerà instrettissima collaborazione con laPontificia accademia per la Vita, conla Pontificia accademia delle Scienzee con la Pontificia accademia delleScienze Sociali. Il terzo gruppo ha ilcompito di comunicare il nostro la-voro, e di costruire — attraverso lacomunicazione — una nuova consa-pevolezza, di chiamare attraverso lacomunicazione a un impegno rinno-vato. Una sezione del sito di HumanDevelopment sarà dedicata alla comu-nicazione del nostro team. Il quar-

to gruppo coordinato dalla Segrete-ria di Stato si occuperà di tutte lepossibili iniziative riguardo al rap-porto con gli Stati o multilaterali.C’è bisogno anche qui di azioneconcreta e di profezia. Il quin-to gruppo si occuperà di reperire inmaniera trasparente i fondi necessaripromuovendo una circolarità virtuo-sa della ricchezza. Stiamo muovendoi primi passi. Sappiamo che c’è tan-to da fare. Ci impegneremo con tut-te le energie di cui siamo capaci.Stiamo coinvolgendo anche istituzio-ni che tradizionalmente hanno colla-borato — e tutt’ora collaborano —con il dicastero, come per esempioGeorgetown University, UniversitätPotsdam, Università Cattolica delSacro Cuore di Milano, World Re-sources Institute, e molti altri.

La Chiesa tutta è molto impegnata inquesta emergenza: ci sono le Caritas, lecongregazioni religiose, le comunità, gliorganismi e i movimenti cattolici... Si èmobilitata tutta la rete di carità e soli-darietà del mondo ecclesiale. Quali

rapporti avrete con queste realtà?

La rete della Chiesa nei singoliPaesi è essenziale. Il lavoro che fan-no le Caritas è straordinario. Tuttoquello che faremo, sarà fatto in co-munione fra noi a Roma e le Chieselocali. Il team è al servizio del Papae delle Chiese. La nostra missionenon è rimpiazzare l’azione delleChiese locali, ma aiutarle ed essere

da esse aiutati. Siamo gli uni al ser-vizio degli altri. Non capiremmo iltempo che viviamo se non facessimocosì. Ma è così soprattutto che simanifesta l’universalità della Chiesa.

Perché è importante già oggi pensarealle prospettive future?

Ragionare da subito su ciò cheverrà dopo è importante per non es-sere impreparati. La crisi sanitaria hagià innescato una crisi economica. Ela crisi economica se non viene af-frontata subito rischia di provocareuna crisi sociale. A una crisi rischiadi seguirne un’altra e poi altre anco-ra, in un processo dove saremo co-stretti a imparare lentamente e dolo-rosamente a prenderci cura della no-stra Casa comune, come Papa Fran-cesco insegna così profeticamentenell’enciclica Laudato si’'. C’è biso-gno di coraggio, di profezia. Il Papalo ha detto con chiarezza nel suomessaggio Urbi et Orbi. Non è que-sto il tempo dell’indifferenza, degliegoismi, delle divisioni; perché tuttoil mondo sta soffrendo e deve ritro-varsi unito nell’affrontare la pande-mia. È invece l’ora di allentare lesanzioni internazionali che inibisco-no la possibilità dei Paesi che ne so-no destinatari di fornire adeguatosostegno ai propri cittadini. È l’oradi mettere in condizione tutti gliStati di fare fronte alle maggiori ne-cessità del momento. È l’ora di ri-durre, se non addirittura condonare,il debito che grava sui bilanci degliStati più poveri. È l’ora di ricorrerea soluzioni innovative. È l’ora ditrovare il coraggio per aderire all’ap-pello per un cessate il fuoco globalee immediato in tutti gli angoli delmondo. Non è questo il tempo incui continuare a fabbricare e traffica-re armi, spendendo ingenti capitaliche dovrebbero essere usati per cura-re le persone e salvare vite.

Come è chiamato a vivere questa proval’uomo di oggi?

L’uomo riscopre oggi tutta la suafragilità. Riscopre, anzitutto, cheabitare la Terra come Casa comunerichiede molto di più: richiede la so-lidarietà nell’accesso al bene dellacreazione come “bene comune”, esolidarietà nell’applicazione dei frut-ti della ricerca e della tecnologia perrendere la nostra “Casa” più sana evivibile per tutti. In questo l’uomoriscopre Dio, che ha affidato all’uo-mo tale vocazione alla solidarietà.Riscopre quanto il destino di ognu-no è legato a quello degli altri. Ri-scopre il valore delle cose che conta-no e il non valore di così tante coseche ritenevamo importanti. Come hadetto il Papa il 27 marzo: “Latempesta smaschera la nostra vulne-rabilità e lascia scoperte quelle falsee superflue sicurezze con cui abbia-mo costruito le nostre agende, i no-stri progetti, le nostre abitudini epriorità”.

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

Firmato da 170 personalità, promuove azioni che abbiano come priorità la tutela dei più fragili e vulnerabili

Manifesto dei leader cattolici dell’America LatinaAffrontare la difficile realtà attuale a partire dalcomune sguardo cristiano e agire di conseguenza,avendo sempre come obiettivo prioritario la tuteladei più fragili e vulnerabili, e promuovendo unacooperazione ed un’integrazione maggiore su ba-se internazionale. È l’appello contenuto nel “Ma-nifesto dei cattolici latinoamericani che hanno re-sponsabilità politiche”, firmato da 170 personalità,fra le quali tre ex capi di stato, un ex segretariodell’Organizzazione degli stati americani, un exdirettore del Fondo monetario internazionale e di-versi parlamentari ed ex parlamentari. L’iniziativaè promossa dall’Academia de Líderes católicos,nata in Cile ed ora presente in vari paesidell’America Latina. A essa fa capo un Consigliolatinoamericano di cui sono membri il teologoRodrigo Guerra López, il filosofo Rocco Butti-glione, Ignacio Sánchez, rettore della PontificiaUniversità cattolica del Cile, il presidente dellaConfederazione latino-americana dei religiosi, Li-liana Franco Echeverri, Guzmán Carriquiry, vice-presidente emerito della Pontificia commissioneper l’America Latina, e José Antonio Rosas, che èdirettore generale dell’Academia.

«Il nostro sguardo — si legge nel Manifesto —nasce dal dolore per coloro che soffrono e soffri-ranno di più a causa di questa pandemia: i pove-ri, i più soli ed abbandonati, i più fragili e vulne-

rabili, i più poveri e indifesi, quelli che sarannocolpiti più duramente dalla pandemia. Basti pen-sare al drammatico impatto che avrà per le molti-tudini di fratelli latinoamericani che sopravvivonosolo grazie al lavoro nero e, in generale, al lavoroin strada o ai così tanti anziani abbandonati. So-no i poveri che devono uscire di casa per guada-gnare il pane quotidiano e che spesso non riesco-no ad osservare le regole di isolamento e di qua-rantena». Una lettura autentica della realtà, pro-segue il documento, è dettata dalle scelte fatte apartire dalla scelta di Cristo Gesù: «Pertanto tuttele azioni e gli impegni per affrontare la crisi devo-no essere fatti dal punto di vista dell’impatto sulpiù vulnerabile».

Concretamente, secondo i firmatari del Manife-sto, «la solidarietà deve essere organizzata tra di-verse aree territoriali e tra diversi paesi. La pande-mia non colpisce l’intero territorio nazionale conuguale forza»; occorre «coinvolgere i media in vi-sta del bene comune, evitando il sensazionalismoper contribuire ad un clima consapevole dei ri-schi, ma sereno e sicuro di sé»; «accanto all’ac-compagnamento psicologico, sarà fondamentale emolto salutare anche l’accompagnamento spiritua-le, per questo è necessario coinvolgere le chiesenell’accompagnamento di coloro che vivono situa-zioni traumatiche o stressanti»; «l’economia deve

dimostrare la sua capacità di affrontare la sfidasenza precedenti. Né le ideologizzazioni né le or-todossie tradizionali possono avere la precedenzasulla realtà. Ci vuole creatività per resistere e poisuperare la crisi»; «i leader politici delle diversenazioni dell’America Latina devono cercareun’azione coordinata e concertata. Non esiste un“si salvi chi può”, pertanto gli organismi multila-terali devono assumersi responsabilità e leader-ship. Le chiese devono essere portavoci e, nellaloro misura, esecutori di queste misure».

È un momento fondamentale, si legge ancoranel Manifesto, per rafforzare i meccanismi di inte-grazione (Alleanza del Pacifico, Mercosur, Siste-ma dell’integrazione Centroamericana) e le rela-zioni di cooperazione tra i paesi con le più grandipopolazioni del continente (Messico, Colombia,Brasile e Argentina/Cile)». Molto importante è,quindi, «la cooperazione della Banca mondiale,della Banca interamericana di sviluppo e dellaBanca di sviluppo dell’America Latina. In questostesso senso, il debito estero dei paesi deve essereristrutturato e rimandato a lungo termine con lasolidarietà dei creditori: sicuramente ci troviamoin una situazione molto grave sul nostro pianeta,probabilmente la più grande sfida che noi, comegenerazione, vivremo nella nostra storia».

Inviato dall’Onu per alleviare le sofferenze degli sfollati

Convoglio di aiutinella regione di Idlib

DA M A S C O, 15. Una piccola speran-za per le migliaia di profughi esfollati al confine tra Turchia e Si-ria. Un convoglio di mezzidell’Onu è entrato ieri nel nord-ovest della Siria, nella contesa re-gione di Idlib sotto controllo turco,portando aiuti umanitari alla popo-lazione di profughi e sfollati nellazona che fino ai primi di marzo havisto un’intensificazione dei com-battimenti. Lo riferiscono fonti lo-cali, precisando che il convoglio dioltre trenta veicoli è entrato dallaTurchia in direzione della città diIdlib.

L’invio di aiuti umanitari alla re-gione era stato deciso prima delloscoppio della crisi del coronavirus.Nella zona non si sono ufficial-mente registrati casi di persone po-sitive al covid-19 ma il sistema sani-tario nella zona, provato da anni diguerra, non è in grado di verificarein maniera massiccia e capillarel’eventualità della diffusione del vi-rus in una popolazione di circa tremilioni di persone, tra locali e sfol-lati.

Per far fronte all’emergenza co-ronavirus, il presidente Assad haannunciato l’entrata in vigore delcoprifuoco notturno in tutte le areesotto il controllo formale delle au-torità centrali di Damasco. Inoltre,è stata disposta la chiusura dellefrontiere con il Libano. Il bilanciodell’Organizzazione mondiale dellasanità (Oms) parla di soli 25 deces-si, tuttavia, secondo molti esperti,il peggio deve ancora arrivare.

Com’è noto, da diversi mesi laregione di Idlib è al centro deicombattimenti tra gruppi di ribellie forze di Damasco. Finora non èstato possibile raggiungere nessunatregua duratura, nonostante l’imp e-gno diplomatico di Mosca e Anka-ra. Di recente, il governo siriano ediversi gruppi ribelli hanno decisodi aderire all’appello delle NazioniUnite per una tregua a causadell’emergenza coronavirus.

Tuttavia, molti gruppi vicini alsedicente stato islamico (Is) hannolanciato attacchi a postazionidell’esercito. Anche ieri — stando afonti della stampa internazionale —sono stati segnalati combattimentia nord di Idlib.

Di recente l’Onu ha lanciato unappello a tutte le parti in conflittoin Siria affinché cessino i combatti-menti per far fronte all’e m e rg e n z ac o ro n a v i ru s .

«Lancio un appello specifico perun cessate il fuoco immediato chesi applichi a tutto il territorio siria-no per rendere possibile uno sforzogeneralizzato contro il covid-19 inSiria» aveva detto l’inviato specialeOnu per la Siria, Geir Pedersen,secondo cui «i siriani hanno unavulnerabilità accentuata al covid-19» a causa di nove anni di guerra.«Centri medici sono stati distruttie la loro capacità si è deteriorata;c’è penuria di materiale medico es-senziale così come di professionistidella sanità» aveva spiegato l’esp er-to dell’O nu.

La crisi libica

Al-Serraj esclude qualsiasitrattativa con Haftar

A un annodal grande rogodi Notre-Dame

PARIGI, 15. «Ricostruiremo No-tre-Dame in 5 anni, ho promes-so. Faremo di tutto per rispetta-re questa scadenza». Queste leparole del presidente franceseEmmanuel Macron pronunciateoggi a un anno esatto dal gran-de rogo che distrusse parte dellacattedrale parigina.

«Il cantiere è in attesa in que-sto momento per la crisi sanita-ria, ma riprenderà appena saràpossibile» ha promesso il capodell’Eliseo. L’edificio è ancora inuno stato di emergenza assolutae il restauro vero e proprio nonè ancora iniziato. Il cantiere èfermo da diversi mesi. Unicamanifestazione ufficiale in pro-gramma oggi sarà il rintoccodella campana della Torre suddella cattedrale, alle 20, percommemorare l’inizio del gran-de rogo.

TRIPOLI, 15. «Non mi siederò conHaftar dopo i disastri e i criminiche ha commesso nei confronti ditutti i libici. Noi abbiamo semprecercato di risolvere le nostre dispu-te attraverso un processo politico,ma ogni accordo è stato subito rin-negato da Haftar. La Libia nonpuò essere assoggettata a una solapersona o a un gruppo di perso-ne». Queste le parole usate oggi,in un’intervista, da Fayez al-Serraj,capo del governo libico riconosciu-to ufficialmente dalle Nazioni Uni-

te. Al-Serraj accusa l’uomo fortedella Cirenaica, il generale KhalifaHaftar, di aver approfittato dellapandemia da coronavirus per viola-re la tregua e bombardare Tripoli.

Da alcune settimane il generaleHaftar ha lanciato una pesante of-fensiva contro Tripoli per spodesta-re il governo di al-Serraj e prendereil controllo della capitale. «Aveva-mo accettato il cessate il fuoco e latregua umanitaria, ma senza abbas-sare la guardia. Ci aspettavamo —racconta Serraj — che i pericolidell’epidemia di coronavirus avreb-bero trasformato Haftar in un uo-mo di parola, per una volta. Ma luiha visto nella pandemia un’opp or-tunità per attaccarci».

I tentativi di negoziato sostenutidalle Nazioni Unite sono falliti, di-ce al-Serraj. «Ora Haftar bersagliacon bombardamenti indiscriminatiTripoli, le zone residenziali, gli im-pianti e le istituzioni civili, e addi-rittura l’ospedale pubblico Al Kha-dra. Da aprile 2019 dopo aver rias-sorbito il primo attacco, siamo riu-sciti a riorganizzare le nostre forze,siamo riusciti a lanciare delle con-troffensive e a recuperare molte po-stazioni, fino alla conquista dellacittà di Gharian dove l’a g g re s s o reaveva insediato il comando dellesue operazioni militari». Al-Serrajha precisato che «l’accordo di sicu-rezza con la Turchia è stato firmatosolo il 27 novembre scorso, mentrel’attacco (di Haftar, ndr) era statosferrato il 4 aprile. Gli Stati sosteni-tori dell’aggressore hanno intensifi-cato di molto il loro appoggio mili-tare». Abbiamo inviato messaggi anumerosi Stati «per attivare la coo-perazione securitaria: la Turchia hareagito positivamente e abbiamo fir-mato un Memorandum d’Intesa mi-litare-securitario, riceviamo esperti,consiglieri e sostegno per il nostroprogramma di sicurezza».

Una commissione per il covid-19

Lo scorso 20 marzo Papa France-sco ha chiesto al Dicastero per ilservizio dello sviluppo umano in-tegrale (Dssui) di creare unaCommissione, in collaborazionecon altri Dicasteri della Curia ro-mana, per esprimere la sollecitu-dine e l’amore della Chiesa perl’intera famiglia umana di frontealla pandemia di covid-19, soprat-tutto mediante l’analisi e la rifles-sione sulle sfide socio-economichee culturali del futuro e la propo-sta di linee guida per affrontarle.Lo rende noto oggi, mercoledì 15aprile, un comunicato del Dssuiin cui si evidenzia come quest’ul-timo abbia dunque istituito lasuddetta Commissione, che preve-de cinque Gruppi di lavoro: IlGruppo di lavoro 1, coordinatodal Dssui, è dedicato all’ascolto eal sostegno delle Chiese locali, inun servizio che le renda protago-niste delle situazioni che vivono,in cooperazione con Caritas In-ternationalis. Il gruppo ha il com-pito di collaborare positivamentecon le iniziative di carità promos-se da altre realtà della Santa Se-de, quali l’Elemosineria Apostoli-ca, la Congregazione per l’Evan-gelizzazione dei Popoli e la Far-macia Vaticana. Il Gruppo di la-voro 2, anch’esso coordinato dalDssui, si occuperà della ricerca edello studio della pandemia, di ri-flettere sulla società e sul mondopost covid-19, particolarmente neisettori dell’ambiente, dell’econo-mia, del lavoro, della sanità, della

politica, della comunicazione edella sicurezza. I partner delGruppo saranno le Pontificie ac-cademie per la Vita e delle Scien-ze, insieme a varie Organizzazio-ni che già collaborano con il Ds-sui. Il Gruppo di lavoro 3, coor-dinato dal Dicastero per la comu-nicazione, si occuperà di informa-re circa l’operato dei Gruppi epromuoverà la comunicazionecon le Chiese locali, aiutandole arispondere in maniera autentica ecredibile al mondo post covid-19.Il Gruppo di lavoro 4, coordinatodalla sezione per i Rapporti congli stati della Segreteria di stato,sosterrà la Santa Sede nelle sueattività e nei suoi rapporti con iPaesi e gli organismi internazio-nali, comunicando a essi i fruttidella ricerca, del dialogo e delleriflessioni prodotte. Il Gruppo dilavoro 5, coordinato dal Dssui, èresponsabile del finanziamentoper sostenere l’assistenza dellaCommissione per il covid-19 alleChiese locali e alle organizzazionicattoliche, e la sua attività di ri-cerca, analisi e comunicazione.

Gli obiettivi dei cinque Gruppidi lavoro, presentati al Papa il 27marzo scorso, saranno coordinatida una Direzione, che riferirà di-rettamente al Santo Padre, com-posta dal cardinale prefetto delDssui, Peter Kodwo Appiah Tur-kson, dal segretario del medesi-mo, monsignor Bruno-Marie Duf-fé, e dal segretario aggiunto, donAugusto Zampini.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 giovedì 16 aprile 2020

L’incontro con il misterioso viandante di Emmaus e la scoperta della mistica in Simone Weil

Come un sorrisoin un volto amato

«A mia insaputa, recitare quei versi— scrive citando una poesia di Herbert —aveva la virtù di una preghieraFu proprio mentre la stavo recitandoche Cristo è disceso e mi ha presa»

Matera, murale dedicato a Simone Weil(foto di Angela Capurso)

Nel 1937 ad Assisi per la prima voltale accadde di sentirsicome obbligata a inginocchiarsiSuccesse «nella piccola cappella romanicadi Santa Maria degli Angeliincomparabile miracolo di purezza»

La forza del buonumore, potenza invincibileA dieci anni dalla morte di Raimondo Vianello

di ANNA MARIA TAMBURINI

È noto il travaglio di Si-mone Weil prima di ap-prodare alla fede cristia-na. Della propria vicendalei stessa racconta alcune

esperienze: l’accorata, profondissimapena che le accadde di condividereascoltando il canto straziante delledonne dei pescatori una sera in Por-togallo — «Non ho mai udito uncanto così doloroso, se non quellodei battellieri del Volga. Là, improv-visamente, ebbi la certezza che il cri-stianesimo è per eccellenza la reli-gione degli schiavi, che gli schiavinon possono non aderirvi, ed io conloro» scrive in Attesa di Dio — le duegiornate trascorse nel 1937 ad Assisidove «nella piccola cappella romani-ca del secolo XII di Santa Maria de-gli Angeli, incomparabile miracolodi purezza, in cui san Francesco hapregato tanto spesso» per la primavolta nella vita le accadde di sentirsicome obbligata a inginocchiarsi,l’esperienza mistica vissuta nella Set-timana santa del 1938 a Solesmes. ASolesmes, tra la domenica delle Pal-me e il martedì di Pasqua, la con-giunzione tra «la gioia pura e perfet-ta nella inaudita bellezza del canto edelle parole» nelle funzioni e l’e s t re -ma sofferenza fisica personale le per-mise d’intuire «la possibilità di ama-re l’amor divino attraverso la soffe-renza» e d’intravvedere la virtù so-prannaturale dei sacramenti nel vol-to radioso di un giovane che le fece

visto questa possibilità di un con-tatto reale, da persona a persona,quaggiù, fra un essere umano eDio», «la presenza di un amoreanalogo a quello che si legge nelsorriso di un viso amato. Non ave-vo mai letto nulla dei mistici».

rispose: / E chi fece gli occhi se nonio? // È vero, Signore, ma li mac-chiai: se ne vada la mia vergogna /Là dove merita andare. / E non saitu, disse Amore, chi portò questacolpa? / Se è così, servirò, mio caro./ Tu siederai, disse Amore, per gu-stare della mia carne. / Così io se-detti e mangiai». (testo raccolto inLa tigre assenza, Adelphi, 1991).

Nel rapporto tra Amore e il suoospite si riconoscono le medesimedinamiche relazionali dell’esp erienzamistica, che per essere raccontatenon di rado attingono al Cantico deiCantici, dove nelle espressioni piùardite dell’amore naturale tra duegiovani, nelle modalità della ricercae dell’inseguimento, mirabilmente sirappresenta il rapporto tra l’anima eDio, come anche al tempo stesso traDio e il suo popolo.

Simone Weil rappresenta qualcosadi analogo a sua volta, come espe-rienza di incontro con una presenzaviva, personale, in un brano del qua-le nei C a h i e rs si trovano più stesurein collocazioni diverse, ma che è sta-to pensato ad incipit di tutti i qua-derni come Prologue de La connaisan-ce surnaturelle. In quelle pagine, chela Campo ritenne sempre tra le più

alte della Weil, si riporta un’esp erien-za mistica sullo sfondo di una cittàche madame Selma Weil, la madre diSimone, pensò essere Parigi.

«Entrò nella mia camera e disse:“Miserabile, che non comprendi nul-la, che non sai nulla. Vieni con me et’insegnerò cose che neppure sospet-ti”. Lo seguii. Mi portò in una chie-sa. Era nuova e brutta. Mi condussedi fronte all’altare e mi disse: “Ingi-no cchiati”. Io gli dissi: “Non sonostato battezzato”. Disse: “Cadi in gi-nocchio davanti a questo luogo conamore come davanti al luogo in cuiesiste la verità”. Obbedii. Mi feceuscire e salire fino a una mansardada dove si vedeva attraverso la fine-stra aperta tutta la città, qualche im-palcatura in legno, il fiume dove al-cune imbarcazioni venivano scarica-te. Nella stanza c’erano solo un ta-volo e due sedie. Mi fece sedere.Eravamo soli. Parlò. Talvolta qualcu-no entrava, si univa alla conversazio-ne, poi se ne andava. Non era piùinverno. Non era ancora primavera.I rami degli alberi erano nudi, senzagemme, in un’aria fredda e piena disole. La luce sorgeva, splendeva, di-minuiva, poi le stelle e la luna entra-vano dalla finestra. Poi di nuovo

sorgeva l’aurora. Talvolta taceva,prendeva da un armadio un pane elo dividevamo. Quel pane avevadavvero il gusto del pane. Non homai ritrovato quel gusto. Mi versavae si versava del vino che aveva il gu-sto del sole e della terra dove era co-struita quella città. Talvolta ci sten-devamo sul pavimento della mansar-da, e la dolcezza del sonno scendevasu di me. Poi mi svegliavo e bevevola luce del sole. Mi aveva promessoun insegnamento, ma non m’insegnònulla. Discutevamo di tutto, senzaordine alcuno, come vecchi amici.Un giorno mi disse: “Ora vattene”.Caddi in ginocchio, abbracciai le suegambe, lo supplicai di non scacciar-mi. Ma lui mi gettò per le scale. Lediscesi senza rendermi conto di nul-la, il cuore come in pezzi. Camminaiper le strade. Poi mi accorsi che nonavevo affatto idea di dove si trovassequella casa. Non ho mai tentato diritrovarla. Capii che era venuto acercarmi per errore. Il mio postonon è in quella mansarda. Esso èdovunque, nella segreta di una pri-gione, in uno di quei salotti borghe-si pieni di ninnoli e di felpa rossa, inuna sala d’attesa della stazione.Ovunque, ma non in quella mansar-da. Qualche volta non posso impe-dirmi, con timore e rimorso, di ripe-termi un po’ di ciò che egli mi hadetto. Come sapere se mi ricordoesattamente? Egli non è qui per dir-melo. So bene che non mi ama. Co-me potrebbe amarmi? E tuttavia infondo a me qualcosa, un punto dime, non può impedirsi di pensare

mente la prigione di Rouen dove nelfebbraio-maggio 1940 si curò del fra-tello lì recluso. L’episodio dellamansarda è stato interpretato anchecome una rappresentazione del rap-porto drammatico di lei, che è statadetta «la santa degli esclusi» (Gian-ni Criveller) con la Chiesa.

Ma pensando alla realtà della Ri-surrezione e al volto trasfigurato delRisorto, non immediatamente rico-noscibile ai sensi naturali — nemme-no agli occhi dei discepoli inizial-mente, che pure avevano familiaritàcon il loro Maestro — è interessantequella sorta di riscrittura che ne fecea suo modo la Campo con la poesiaEmmaus, apparsa su «Il Corrieredell’Adda» il 14 dicembre 1957. «Ticercherò per questa terra che trema /lungo i ponti che appena ci sorreg-gono ormai / sotto i meli profusi, leviti in fiamme. / Volevo andarmenesola al Monte Athos / dicevo: resta-no pagine come torri / negli alti covidifesi da un rintocco / (...) / Ma oranon sei più là, sei tra le grandi aliincerte / trapassate dal vento, negliaeroporti di luce // (...) / nei dentidisperati degli amanti che non dis-serra / più il dolce fiotto, la viad’oro del figlio».

Ti cercherò «per questa terra chetrema (...) ora non sei più là» simil-mente a «Il mio posto non è inquella mansarda. Esso è dovunque,nella segreta di una prigione (...) inuna sala d’attesa della stazione», neiluoghi più squallidi e anonimi dellavita ordinaria. È evidente la presenzadel modello weiliano nella poesia

poi scoprire i poeti metafisici inglesi,sino alla lettura della poesia Am o redi George Herbert, rivelatasi effica-ce sull’anima come una preghiera.«A mia insaputa, quella recitazioneaveva la virtù di una preghiera. Fuproprio mentre la stavo recitandoche Cristo, come già vi scrissi, è di-sceso e mi ha presa», annota, e «neimiei ragionamenti sull’insolubilitàdel problema di Dio non avevo pre-

trasse, / Di polvere macchiata e dipeccato. / Ma Amore dal rapidosguardo, vedendomi esitante / Sindal mio primo entrare, / Mi si fecevicino, dolcemente chiedendo / Sedi nulla mancassi. // Di un ospite,io dissi, degno di essere qui. / Alloradisse: Quello sarai tu. / Io, lo scor-tese e ingrato? O, amico mio, / Nonposso alzare lo sguardo su Te. / Al-lora mi prese la mano e sorridendo

Nella traduzionedi Cristina Campo,che amava i metafi-sici inglesi, comeamava la Weil, lapoesia di Herbert(pubblicata dappri-ma nel volume de Imistici dell’occidente acura di Elémire Zol-la, nel 1963) è resacosì: «Amore midiede il benvenuto;ma l’anima mia si ri-

LETTERE DAL DIRETTORE

tremando di paura che forse, mal-grado tutto, mi ama».

Insieme ai simboli eucaristici con iquali si esprime la beatitudine dellarelazione, il brano contiene allusionialla vicenda esistenziale dell’autrice,ad esempio le esitazioni sul Battesi-mo (che più di recente sappiamoavere ricevuto in punto di morte)l’episodio della spinta interiore amettersi in ginocchio, il senso dellapropria indegnità, ma anche altrecircostanze esterne come verosimil-

della Campo, la qualein prosa scriverà a suavolta un proprio sag-gio di Sensi sopranna-t u ra l i ; ma a quel pun-to il rapporto con laWeil sarà non più cosìstretto e la vita stessatutta proiettata nellaliturgia. I versi 4-6della prima strofa ri-chiamano il profeta

Isaia a proposito del giusto che«cammina nella giustizia»: «costuiabiterà in alto, / fortezze sulle roccesaranno il suo rifugio». Ma neanchenei monasteri impervi come alti co-lombari si trova più l’Amato, resosiormai invisibile: ora non sei più là,sei «tra le grandi ali incerte / trapas-sate dal vento, negli aeroporti di lu-ce». Lungo le vie della sofferenza,nel dolore, può farsi trovare il Risor-to (la via d’oro del figlio); «nei dentidisperati degli amanti che non dis-serra / più il dolce fiotto», le traccedell’oro di quella Sua regalità. Gliultimi versi alludono come per con-trocanto, capovolto il contesto, alpiù bello dei canti («Il tuo palato ècome vino squisito, / che scorre di-ritto verso il mio diletto / e fluiscesulle labbra e sui denti!», Cantico deiCantici 7, 10). «Io vorrei scrivere cer-ti versi che ho in mente da tantotempo — scrive la Campo in una let-tera del dicembre 1956 a MargheritaPieracci Harwell — una specie diCantico dei Cantici rovesciato. “An-drò per le piazze e per le vie, cer-cherò quelli che nessuno ama”».

Senza addentrarci negli aspettipiù squisitamente formali di analisistilistica, non si può trascurare peròil fatto che nell’economia del testodi Emmaus i puntini di sospensioneche precedono ciascuno dei tre rag-gruppamenti dei versi fungono daformula anaforica, in assenza, peresprimere un indicibile che precedeogni parola umana, qualcosa che silascia intuire come presenza significa-tiva, poiché ritorna, senza esplicitare.

L'episodio evangelico dei discepo-li di Emmaus attesta la Risurrezionemostrando il Risorto come presenzanascosta ma reale viva e vicina, lapresenza del Signore con noi, a noidonata per sempre sotto le speciedel pane eucaristico. Presenza trasfi-gurata nella vittoria, per questo inaf-ferrabile allo sguardo dei sensi “na-turali” (non ai sensi sovrannaturali).È raccontato nel Vangelo secondoLuca (24, 13-35), mentre è solo enu-merato tra le prime apparizioni delRisorto in Marco (16, 12). Luca con-clude: «Non ardeva forse in noi ilnostro cuore mentre conversava connoi lungo la via, quando ci spiegavale Scritture?».

Nella poesia della Campo è il ti-tolo a richiamare palesemente il bra-no evangelico. I versi che seguonodenotano, come nel brano dellaWeil, l’inquietudine che subentra alnascondimento, la premura della ri-cerca che ricomincia, la dinamicadell’inseguimento. Anche i discepoli,quando scomparve ai loro occhi, ri-colmi di gioia si affrettarono a ri-prendere il cammino, e confrontan-dosi lungo la via corsero ad annun-c i a re .

«Q uesto ricordo non vi con-soli, quando si muore, simuore soli», cantava nel1966 Fabrizio De André emai come oggi, in tempo

di pandemia, le sue parole suonano aspre, im-placabili. Eppure mi vengono in mente pro-prio oggi per un motivo che invece è ricco diconsolazione: infatti il 15 aprile di dieci annifa moriva uno dei personaggi più amati dalpubblico italiano, il comico Raimondo Via-nello. Era nato a Roma nel 1922 e per decen-ni ha fatto ridere, con la sua figura alta, a untempo buffa ed elegante, intere generazioni diitaliani, incarnando perfettamente il carattere,insieme goffo e arrogante, fragile e meschino,tipico del nostro popolo. I vizi italiani eranoimpietosamente raccontati dalla sua ironia egliene siamo grati come sempre si deve esseredi fronte a chi ci ha fatto ridere di noi stessi.Fellini lo ripeteva spesso: i comici sono i be-nefattori dell’umanità e aveva ragione. Rai-mondo Vianello è stato un nostro benefattore.Non da solo. Non si può infatti pronunciareil suo nome senza fare subito quello della mo-glie, Sandra Mondaini. Oggi chissà comeavrebbero raccontato il dramma che stiamovivendo, questo virus che obbliga al distanzia-mento, loro che erano sempre insieme, semprestretti l’uno all’altro, pronti a litigare su tutto,al punto che negli ultimi anni il set delle lorogag era praticamente il loro letto, la loro stan-za matrimoniale. Hanno vissuto insieme, vici-ni, per tutta la vita e sono morti vicini. Cin-que mesi dopo la morte del marito ancheSandra ci ha lasciati, come a dire che senzaRaimondo la sua vita non aveva più senso.Non è l’unico caso di coppie che muoiono inmodo ravvicinato. Per il già citato FedericoFellini era stato lo stesso: cinque mesi tra l’ot-tobre del 1993 e il marzo del 1994 quando loseguì Giulietta Masina. Forse il caso più toc-cante è quello di Benito Jacovitti, il geniale edivertentissimo fumettista, spentosi il 3 di-

cembre 1997 e seguito, solo poche ore dopo,fisicamente “abbracciato” dall’amata moglieFloriana.

Suonano meravigliosamente stridenti que-sti episodi rispetto al dato della vasta solitu-dine che affligge le grandi città nel nostrotempo, e non solo ora, in questo periodo dipandemia, ma già da decenni: è questa infat-ti la cifra della contemporaneità, l’i s o l a m e n-to, la fragilità nella fase di “manutenzione”delle relazioni. In questo anche un fenomenobuono in sé e inevitabile come la «medicaliz-zazione della morte», ha finito per relegarequesto evento umano (e i suoi protagonisti)nell’asettica sfera delle strutture ospedaliere,contribuendo ancora di più a privarlo diogni residua traccia di umanità che pur do-vrebbe avere. Perché il morente è un viventee la morte è qualcosa che si vive, è anzi ilculmine dell’esistenza, anche se questa èun’idea che chi è sano, chi è giovane (equanto è ampia oggi la fascia della giovinez-za?) preferisce rimuovere.

Se si vive insieme si può morire insieme,evento che per due persone che si amano èun desiderio profondo, qualcosa che moltecoppie si promettono e alcune realizzano co-me anche la letteratura racconta. È quello cheaccade ad esempio a Filemone e Bauci, nelleMe t a m o r f o s i di Ovidio: i due vecchietti che«riconoscendo la loro miseria e soffrendola inpace l’alleggerirono», dimostrandosi generosie solidali con il prossimo, verranno premiatida Giove che esaudirà il loro unico desiderio,appunto quello di morire insieme, trasforman-doli in due rami dello stesso albero. Questomito classico, amato da molti autori successivi(Tolstoj lo riprenderà nel suo Padre Sergio),esprime un ideale agognato, più o meno con-sapevolmente, da ogni essere umano.

In tanti altri casi, sia nella letteratura chenella realtà (chi ha vissuto l’esperienza di assi-stere persone anziane nel momento della mor-te, lo avrà certamente osservato), l’uomo rie-sce a non subire la morte ma, accettandola, fi-nisce quasi per controllarla, incanalarla, acco-

gliendo il momento in cui cedere definitiva-mente, in cui dire, assieme al vecchio Simeo-ne del vangelo di Luca: «Nunc dimittis Domi-ne», «Ora lascia, Signore, che il tuo servo va-da in pace».

C’è un modo, allora, per attraversare davincitori la morte e i suoi temibili alleati, lapaura e la solitudine, ed è quello indicato daiclassici e dalla Bibbia: innanzitutto accettan-do appunto di attraversarla, riconoscendo lapropria miseria e la propria finitezza di crea-tura che vive la condizione della speranzanell’esercizio della fraternità. «Alla sera dellavita verremo giudicati sull’amore», il santomistico spagnolo della Notte Oscura può can-tare a nome di tutti gli uomini che c’è solouna via di uscita, una risposta all’enigma rap-presentato dalla morte: l’amore che unisce gliuomini e permette loro di vincere la barrieradel tempo che passa.

Sullo sfondo della dimensione dell’a m o re ,la morte appare allora come un momento del-la vita, per quanto ultimo, definitivo e “verita-tivo”. «Presto saprò chi sono», così descrivevaquesto momento un anziano Borges nel cele-bre Elogio dell’o m b ra . Forse c’è allora una spe-ranza: se si ri-impara a vivere, si riesce anchea saper morire. Non viviamo da soli in que-sto mondo, e, se vogliamo, non moriamo dasoli, in tutto questo stridore c’è una nota didolcezza, appunto di consolazione, che fuo-riesce dalla vicenda di Sandra e Raimondo, diGiulietta e Federico, di Benito e Floriana (fa-teci caso: tutte persone dotate di grande sensodell’umorismo): si può vivere la morte da pro-tagonista e non da vittima solitaria e dispera-ta, lo si può fare se si è accompagnati, se concura certosina, quotidiana, si sono custoditenegli anni le relazioni (ed è in questo che ilbuon umore è fondamentale), allora ci si rie-sce, perché non si muore soli, a dispettodell’amarezza cantata da De André.

A. M.

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L’OSSERVATORE ROMANOgiovedì 16 aprile 2020 pagina 5

Crisi sanitaria attuale e attenzione per l’ambiente

Cominciare dalla cura

La gallina e l’antidotoLe vicende di un’epidemia nel Duecento raccontate nella «Cronica» di Salimbene da Parma

L’Antonianum in ascolto di chi soffre

Si tratta di un documento preziosoperché non è solo un bollettino medicoma anche uno strumento di denunciacontro speculazione e sciacallaggioNon disdegnando i risvolti ironici

Da secoli abbiamo smarrito l’attenzioneper l’ambiente che ci circondaSoffriamo di amnesiadella meraviglia e dello stuporesiamo concentrati sull’utileche satura i bisognie ottiene risultati tangibili e immediati

di GIUSEPPE BUFFON

L’attuale crisi sanitaria non èfenomeno accidentale, néimprovviso, ma ha originiremote. Le sue radici affon-dano nel terreno complesso

di una crisi integrale, che abbraccia nonsolo la dimensione naturale, ma anchequella sociale, antropologica e spirituale.

del mondo nuovo, definitivo. Francescod’Assisi lo ha cantato nel momento piùcritico della sua vita, riconoscendovi lacarezza del Creatore. Lo ha ricantatonell’ora della morte, per annunciarla co-me sorella.

Tutto rischia di procedere con una man-canza di cura, anche in questi giorni, incui usiamo un linguaggio militaresco, chesepara, contrappone, esclude, omologa,

parare, anziché di unire, di diffidare anzi-ché abbracciare. Anche in questi giorni lamancanza di cura trasforma l’isolamentoin isolazionismo, che cova sospetto, osses-sione “difensivistica”, disinteresse, ripiega-mento, chiusura.

Tuttavia, proprio in questi giorni abbia-mo assistito anche all’emergere dell’uma-no, della sensibilità verso i più fragili, del-la cura per i malati, della cura che accom-pagna verso un mondo nuovo.

Tutto, perciò, deve ricominciare dallacura, che non è solo servizio per la guari-gione dalla malattia, ma deve essere cam-biamento/inversione dello scarto in risorsa.Non è solo attenzione al contagio. È atten-zione all’aria che respiriamo, alla luce cheogni mattina ci accoglie, al cibo che ci ali-menta, all’acqua che ci disseta, ai saporiche stimolano il nostro palato, ai suoni chesollevano la nostra mente verso il bello.

stema guidato dal mito dell’efficienti-smo, del pragmatismo, del consumismo.Consumatori, ci siamo disabituati al gu-sto, al sapore, allo “s t a re ”, al convivio,alla festa.

Tutto comincia da una mancanza di cu-ra per i luoghi del nostro abitare. Alvearicreati per fornire alloggi agli schiavidell’industria, gli agglomerati urbani cihanno privato dell’odore della terra, delfresco refrigerio dell’acqua sorseggiata di-rettamente alla fonte, del tenue calore del-la luce primaverile, dell’iridescente assorti-mento dei tappeti floreali, della fragranzaaromatica del sottobosco. Abbiamo di-menticato il ritmo delle stagioni: la lentaincubazione invernale, lo spumeggiante ri-sveglio primaverile; l’attesa della matura-zione estiva; la sazietà della raccolta au-tunnale.

Tutto comincia da una mancanza dicura e di vigilanza su un giardino, delquale avevamo la responsabilità della cu-stodia. Ci era stato affidato come nostraabitazione, nostra casa comune, ideato anostra misura, perché ammirandolo im-parassimo i misteri del vivere, del gioire,del commuoverci, dell’accarezzare e an-che del morire. Le cattedrali gotiche,contravvenendo ai bestiari del romanico,lo hanno rappresentato come annuncio

Tutto comincia da una mancanza dicura per la casa comune, la madre terra.Da decenni, anzi da secoli abbiamosmarrito l’attenzione per la cura dell’am-biente che ci circonda. Da secoli soffria-mo di amnesia della meraviglia, dellostupore. Da secoli siamo concentratisull’utile che satura i bisogni; sul prag-matico, che ottiene risultati tangibili eimmediati. L’aria, l’acqua, la terra, sonodiventati per noi un mero serbatoio dimaterie prime. Almeno a partire dalla ri-voluzione industriale siamo stati preda-tori di risorse naturali, ritenendole “terradi conquista”, “terra di nessuno”. Abbia-mo dimenticato che esse sono, invece,patrimonio comune, bene comune. Edopo averle dilapidate, abbiamo scarica-to nei mari, nei fiumi, gli scarti di un si-

li, ribadendo così quel legame direciprocità che troppo spesso di-mentichiamo: perché se è veroche tante epidemie traevano (etuttora possono trarre) originedagli animali, era vero pure chela morte degli animali lasciavapresagire quella di molte personeche da loro ricavavano il neces-sario per vivere.

Narra appunto Salimbene chenel 1286, in molte città del nordItalia, si registrò una grave mor-

In un libro dello storico statunitense Kyle Harper

L’impero romano tra cambiamenti climatici e pestilenze

toglie responsabilità, produce mera esecu-zione, genera aggressività, diffidenza, sfi-ducia. Usiamo metafore dicotomiche alloscopo di semplificare, creare automatismi,esecuzione efficientista, col rischio di se-

Allo scopo di alleviare il disagioche in questi giorni è provocatodall’isolamento al quale cicostringe la pandemia, la Pontificiauniversità Antonianum ha messo apunto una proposta di ascolto e diriflessione da realizzarsiconcretamente mediante unapiattaforma digitale dedicata.L’idea è quella di utilizzarel’interdipendenza tecnologica,scoperta in modo traumatico conla diffusione planetaria del virus,per animare una solidarietà nutritadalla cura reciproca. Il punto dipartenza è il progetto«Humanitarian Care for Faith-Based Organizations» (Hc), natonell’Ateneo alla fine dello scorsoanno allo scopo di formareoperatori addetti alla cura dipopolazioni afflitte da catastrofi.Molto spesso le organizzazionireligiose (in primo luogo quellecattoliche) sono infatti chiamate agestire situazioni che seguono adisastri naturali. A chi interviene èrichiesta un’attività non solopratica, ma anche profondamente

umanitaria e adeguatamenteantropologica. L’iniziativa cheparte ora mette a disposizione unaesperienza sapiente e prolungatanella gestione di diverse crisi. Loscopo è quello di far tesoro di tantiinsegnamenti e strumenti di curamessi a punto durante interventi asostegno di popolazioni che hannosperimentato situazioni simili. Imembri del progetto «Hc» assiemead altri esperti si metterannoquindi a disposizione per questoservizio. L’obiettivo principale èquello di proporre percorsi diriscoperta di quell’armonia che laLaudato si’ individuanell’esperienza di fede di Francescod’Assisi, modello di ecologiaintegrale, uomo riconciliato conDio, con gli altri, con sé e contutto il creato. La stessa pandemiavirale, d’altronde, è l’esito di unanatura ferita dallo squilibrio,causato dalla pretesa di dominiosulle cose e sugli altri, dalla sete diarbitrio individualistico, che lede lafraternità non solo umana, maanche cosmica.

di GABRIELE NICOLÒ

Si racconta che uno storico tedescoabbia addotto duecentodieci motivi perspiegare il crollo dell’impero romano.Molto più parco è lo storicostatunitense Kyle Harper che nel libro Ildestino di Roma. Clima, epidemie e la finedi un impero (Torino, Einaudi, 2019,pagine 520, euro 34) di cause — a partequelle “istituzionali” legate sia allefarraginose dinamiche della ormaifatiscente struttura governativa che allogorio dell’esercito e delle forze dicombattimento in generale — neindividua due: i cambiamenti climatici ele pestilenze. Vale a dire, due cause cherivestono, evidentemente, un valore diattualità sorprendente e disarmante. Èvero che Giulio Cesare si vantava che isuoi soldati erano così vigorosi nelfisico che potevano resistere sia ai rigoridell’inverno che ai torridi raggi del sole

d’estate, ma è altrettanto vero — rilevalo storico statunitense in un’intervista alsettimanale francese «NouvelleObservateur» — che i bruschicambiamenti del clima, attestati tral’altro da numerosi documenti d’ep o ca,con graduale e non arginata pressionefinirono per incidere profondamentesulla popolazione dell’impero, e inparticolare sulla psiche dei soldati, resipiù vulnerabili dalle continueprivazioni, inevitabile prezzo da pagarein una vita spesa sui campi di battaglia.E a dare il colpo di grazia al giàfatiscente impero — sottolinea Harper —furono le pestilenze, la cuipropagazione fu alimentata dallavertiginosa crescita del numero dellapopolazione, non solo a Roma, maanche nelle zone limitrofe, ovvero nellecampagne che, col declinaredell’impero, non vennero piùadeguatamente bonificate come invece

accadeva nei giorni di gloria. Inparticolare — sostiene lo storico — asbaragliare ogni forma di resistenza fulo Yersinia pestis, che corrisponde allamoderna accezione di peste bubbonica.Un inquietante intreccio di morbi e digermi invase vaste regioni dell’imp eromietendo, senza pietà, lutti edevastazione. I romani — ricorda KyleHarper — avevano saputo comesconfiggere i nemici, anche perchéaveva saputo imparare dalle lezioniderivanti dalle sconfitte subite. Ma nonavevano le conoscenze e i mezziadeguati per fronteggiare le ricorrentipestilenze che certo potevano“a p p ro f i t t a re ”, per attecchire e poiinfuriare, anche della mancanza di socialdistancing, misura certo non praticabilevisto che i romani solevano vivere inambienti molto ristretti e inaccampamenti sovraffollati.

di FELICE ACCRO CCA

Stiamo vivendo giorni tragici,ancor più perché in Occidenteabbiamo conosciuto lunghi de-cenni di prosperità e d’assenzadi guerra, potendo beneficiare

di cure e strutture mediche che in passatonon si avevano e, purtroppo, molte altrezone del mondo non hanno ancora oggi.Siamo impreparati, perciò, quando dob-biamo prendere atto, in modo drammati-co, della nostra fragilità.

Per troppi secoli carestie ed epidemiesono invece andate a braccetto, falciandocon inesorabile efficacia larghi strati dellapopolazione: quando santa Caterina nac-que, nel 1347, secondo la Cronaca diAgnolo di Tura a Siena vivevano circatrentamila uomini; dopo la grande pesteche si abbatté sulla città tra il maggio e

l’agosto dell’anno successivo, ne eranorimasti solo diecimila. Allora s’invo cavaDio e si chiedeva per questo l’i n t e rc e s -sione della Vergine e dei santi; oggi, ol-tre a questo, si spera nella scienza, per-ché trovi un rimedio. Tuttavia, purenell’Evo medio si ricorreva alla scienza,spesso più avanzata di quanto comune-mente oggi si creda. Da Giacomo daVitry — un prelato brabantino — che nelsecondo decennio del Duecento si tro-vava nel Regno latino di Gerusalemme,poiché nel 1216 era stato nominato daInno cenzo III vescovo di San Giovannid’Acri, veniamo infatti a sapere che aquel tempo gli arabi avevano già sco-perto il modo di avere pulcini senza lacova naturale, mettendo le uova «in cer-ti forni».

Mi soffermo su una notizia che traggodalla C ro n i c a di Salimbene da Parma, na-to nel 1221 e morto intorno al 1288. En-trato tra i frati minori nel 1238, Salimbe-ne non era certo un uomo riprovevole,ma neppure un modello di virtù, loquacecom’era, a tratti linguacciuto e persinoimpertinente. La sua Cronica assume atratti l’andamento di un disastroso bollet-tino medico, con notizie di epidemie chefalciano a più non posso uomini e anima-

riempirono di sementi di ogni genere,che tuttavia furono messe in vendita adun prezzo così alto che i poveri non po-terono acquistarne».

Torniamo però a Salimbene e alla mo-ria di galline nel 1286: com’è facile com-prendere, la situazione era particolarmen-te difficile per la popolazione, anche per-ché alla perdita degli animali andava as-sommata quella delle uova, con tutto ciòche ne comportava! Il parmense ci fa pe-

talità di galline, tanto che «nella città diCremona a una sola donna ne morironoin un breve spazio di tempo quarantot-to». Ciò fece sì che una sola gallina finis-se per vendersi a «cinque denari piccoli».Niente di nuovo sotto il sole: scarsità delprodotto, rincaro dei prezzi, con le soliteoperazioni di sciacallaggio (si pensiall’attuale situazione delle mascherine).Emblematica, in proposito, la testimo-nianza di un altro cronista, del secoloprecedente a quello in cui visse Salimbe-ne, Sigeberto di Gembloux; questi, neldare notizia di una grave carestia occorsanelle Fiandre nella prima metà del XII se-colo, racconta un episodio di grave spe-culazione avvenuto a Bruges nel 1126: «Imercanti del Mezzogiorno – narra il cro-nista — portarono con una nave unaquantità considerevole di sementi. A que-sta notizia un cavaliere, Lamberto diStraet, fratello del prevosto di Saint-Do-natien, e suo figlio acquistarono per pocotutte queste sementi. I loro granai si

rò sapere che, di fronte a tale disgrazia,la sagacia di alcune donne partorì un ri-medio efficace: dettero infatti da mangia-re alle loro galline «del marrubio pestatoo tritato, impastandolo con acqua e cru-sca o farina», e «grazie a tale antidoto»salvarono i loro animali.

Furono, perciò, delle anonime donne asalvare la situazione. Certo, la notizia Sa-limbene non l’ha inventata, anche perchénon avrebbe mai assegnato gratuitamentea delle donne un tale onore, visto che —da figlio del suo tempo quale era — nonle avrebbe mai messe sullo stesso pianodegli uomini; se quindi il cronista ci rife-risce che furono delle donne a trovare ilrimedio, così probabilmente fu, o almenodi questo egli era convinto. Anche oggi ilrimedio al tanto temuto coronavirus po-trebbe dunque venire da dove meno lo siaspetta: perché molto spesso Dio dona aipiccoli la saggezza dei grandi e ai debolila potenza dei forti.Giovanni Lomi, «Aia con galline»

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 giovedì 16 aprile 2020

Essenziale mezzo di salvezzaDocumento sull’ethos sociale della Chiesa ortodossa

La Chiesa non può seguire vera-mente Cristo o renderlo pre-sente al mondo se non riesce a

porre al centro della sua vita morale,religiosa e spirituale l’assoluta preoc-cupazione per i poveri e gli svantag-giati. La ricerca della giustizia socia-le e della clemenza — aiuto ai poverie riparo per i senzatetto, protezioneper i deboli, accoglienza per gli sfol-lati e assistenza ai disabili — non èsemplicemente un ethos che la Chie-sa raccomanda per avere la coscienzatranquilla, ma è un necessario mezzodi salvezza, il percorso indispensabi-le per l’unione con Dio in Cristo.Non riuscire in queste responsabilitàporta alla condanna davanti al giu-dizio di Dio (Ma t t e o , 25, 41-45). Perquesto le prime comunità cristianedell’età apostolica adottarono unmodo di vivere radicalmente diversoda quello del più ampio ambienteculturale, possedendo tutto in comu-

ne e rinunciando a tutta la ricchezzaprivata a favore della comunità nelsuo complesso, in modo che le esi-genze di ogni membro del corpo diCristo potessero essere soddisfatte(At t i , 2, 44–45; 4, 32–37).

A quel tempo la Chiesa non pote-va permettersi di rimodellare la so-cietà civile e, data la realtà assoluta-mente inattaccabile dell’ordine impe-riale, la Chiesa non avrebbe potutoprodurre qualcosa di simile aun’ideologia politica astratta, percorreggere o migliorare le ingiustiziedell’epoca. Tuttavia i cristiani eranoin grado di prendersi cura dei poveriche si trovavano tra di loro e soprat-tutto delle vedove e degli orfani (leclassi più indifese del mondo anti-co), creando una politica d’a m o reche non abbandonava alcuno al pro-prio destino. Inoltre questa com-prensione della vita in Cristo, comesolidarietà radicale, è continuata,non perfettamente purtroppo macon un effetto reale, nell’epoca incui la Chiesa si era politicamente af-francata.

Dopo la conversione dell’imp era-tore Costantino, nessun cambiamen-to nella politica imperiale fu più si-gnificativo, come espressione concre-ta delle conseguenze sociali del Van-gelo, che il grande impegno dellaChiesa per i poveri, grazie anche algrande sostegno materiale da partedello Stato.

Tutti i più grandi padri dellaChiesa del IV e V secolo hanno inol-tre testimoniato eloquentemente laprofonda intuizione cristiana, secon-do cui la vita in Cristo deve com-portare un’ostilità combattiva allecondizioni che creano povertà, non-ché un impegno eroico per la filan-tropia e la carità. San Basilio ilGrande si oppose alle disuguaglian-ze della ricchezza nella società deisuoi tempi e criticò aspramente i ric-chi che immaginavano di avere il di-ritto di nascondere agli altri i propribeni, richiamandosi solo a motivi le-gali; tutte le benedizioni vengono daDio, insisteva, e tutti i beni dellacreazione sono proprietà comunidell’umanità. San Giovanni Criso-stomo ha detto lo stesso di tutti co-loro che guadagnano la loro ricchez-za attraverso pratiche ingiuste chesottopongono i poveri a una semprepiù grande povertà. Sant’A m b ro g i odi Milano aveva un punto di vistasimile. Questa era l’epoca in cui iteologi cristiani ebbero per la primavolta l’opportunità, e l’obbligo, diconsiderare come trasferire la radica-le solidarietà sociale e la carità co-mune della Chiesa apostolica nellepratiche civiche di una cultura pre-sumibilmente cristiana.

Tutti erano profondamente consa-pevoli del fatto che una cultura cri-stiana doveva affrontare i mali strut-turali che condannano così tanti allapenuria, concedendo a pochissimiun’immensa ricchezza.

Una grande sfida che la Chiesaortodossa può incontrare nel mondomoderno è quella di trovare il mododi obbedire oggi a questi insegna-menti e tradizioni scritturistici e pa-tristici riguardo al bene comune, edè una sfida che richiede discerni-mento e pazienza. Richiede anche,tuttavia, una fedeltà senza compro-messi alla persona di Cristo e agliesempi degli apostoli e dei santi.Ciò significa che la Chiesa è chiama-ta a condannare le attuali condizionisociali, quando la condanna è giusti-ficata, a elogiare laddove tali condi-zioni sono meritorie e a incoraggiareil cambiamento in meglio, ovunquel’incoraggiamento possa dare frutti.Soprattutto la Chiesa non può esseremeno preoccupata per la situazionedei poveri e degli indifesi di quantonon lo fosse Cristo stesso e deve es-sere pronta a parlare per conto loro,

quando le voci di questi non vengo-no ascoltate.

In qualsiasi nazione i poveri sonoquasi sempre i primi a soffrire, acausa di eventuali condizioni avversegenerali, naturali o sociali, economi-che o politiche. E, in molti luoghi,la povertà è tanto il risultato di di-scriminazioni razziali o di classe,

quanto di mera sventura personale.L’attuale crisi ambientale ad esempio— cambiamenti climatici antropoge-nici, inquinamento tossico delle ri-sorse idriche e dei suoli in tutto ilmondo, danni onnipresenti all’i n t e roecosistema da parte di microplasti-che e altri contaminanti, deforesta-zione, erosione del suolo, rapido de-clino della diversità biologica — èuna catastrofe incalcolabile per l’in-tero pianeta e per tutta la vita sullaterra. Quasi sempre, tuttavia, l’o n e repiù grande e immediato ricade suiluoghi della terra economicamentemeno sviluppati, dove i governi pos-sono fare, o scelgono di fare, moltopoco per proteggere gli indigentidalle conseguenze dei rifiuti indu-striali e della devastazione ecologicagenerale. Sono i poveri, inoltre, chesono più regolarmente sfollati e ulte-riormente impoveriti dalla distruzio-ne dell’ambiente che li circonda. An-che nelle nazioni più sviluppate icittadini più poveri tendono a esserequelli più regolarmente esposti aiterribili risultati del degrado ambien-tale e non hanno le risorse per porrerimedio alla loro situazione.

Finché sussistono immense discre-panze di ricchezza tra le nazioni etra gli individui, il potere sociale epolitico resterà in mano principal-mente ai ricchi, così come qualsiasigrado di relativa immunità dalleconseguenze della follia umana edella corruzione o di calamità natu-rale potrà essere raggiunta con mez-zi materiali. La Chiesa deve, in ognigenerazione e ricordando l’esempiodella Chiesa dell’età apostolica, chie-dere a ogni società se non ci possa-no essere mezzi efficaci e forse nuovimodelli economici attraverso i qualiottenere una distribuzione più giustadella ricchezza, e quindi un impe-gno più radicale per il bene comunedella società e del pianeta, che dob-biamo condividere tutti. Per santaMaria Skobstova, questo è un man-dato rivolto a tutti coloro che cerca-no di elevarsi dalla terra al cielo egioire con gli angeli quando un bic-chiere d’acqua viene offerto a unsingolo individuo nel nome del Si-gnore: «Una persona dovrebbe avere

un atteggiamento più attento allacarne del suo fratello che alla pro-pria. L’amore cristiano ci insegna adare al nostro fratello non solo benimateriali, ma anche doni spirituali.Dobbiamo offrirgli la nostra ultimacamicia e la nostra ultima crosta dipane. Qui la carità personale è cosìnecessaria e ha tanto valore quantola più ampia opera sociale. In talsenso, non c’è dubbio che il cristia-no è chiamato al lavoro sociale. Èchiamato a organizzare una vita mi-gliore per i lavoratori, a provvedereagli anziani, a costruire ospedali, aprendersi cura dei bambini, a lottarecontro lo sfruttamento, l’ingiustizia,la povertà, l’illegalità».

La bellezza e la bontà della crea-zione si manifestano generosamentenella cornice stessa della natura. Maallo stesso tempo il nostro è unmondo decaduto, schiavizzato amorte, sfigurato ovunque da violen-za, crudeltà, ignoranza e conflitti. Laviolenza contro la natura è già unsegno di un ordine creato corrottodall’allontanamento da Dio; ma laviolenza perpetrata intenzionalmenteda uomini assennati, specialmentequando è organizzata e perseguitasu vasta scala, come guerra tra po-poli o nazioni, rappresenta la piùterribile manifestazione del regnodel peccato e della morte in tutte lecose. Nulla è più contrario alla vo-lontà di Dio, per le creature model-late a sua immagine e somiglianza,dell’esercitare la violenza l’uno con-tro l’altro, e non vi è nulla di più sa-crilego della prassi organizzata delleuccisioni di massa. Tutta la violenzaumana è, in qualche modo, una ri-bellione contro Dio e contro l’o rd i n edivinamente creato. Non è un casoche il linguaggio dei diritti umani,così come le convenzioni e le istitu-zioni giuridiche concepite per pro-teggere e far progredire tali diritti,sono sorti in particolare in nazioni lecui culture etiche erano state formatedal credo cristiano. Oggi impieghia-mo il concetto di diritti umani innaticome una sorta di lingua neutraleper negoziare meccanismi politici egiuridici, per la salvaguardia delladignità umana, della libertà genera-

Per la vita del mondo

Il 27 marzo, presso l’arcidiocesi greco-ortodossa d’America a New York, èstato presentato il documento Per la vita del mondo. Verso un ethos socialedella Chiesa ortodossa. L’origine risale al giugno 2017 quando il patriarcaecumenico Bartolomeo nominò una commissione speciale di teologi(presieduta da John Chryssavgis) «per preparare un documento formalesulla dottrina sociale della Chiesa ortodossa», come essa si è riflessa nellatradizione lungo i secoli e nella pratica contemporanea tenendo contodelle decisioni del grande concilio tenutosi a Creta nel giugno 2016.Viene ora predisposto questo testo affinché possa essere accolto ediscusso all’interno della Chiesa, anche alla luce dei recentisconvolgimenti mondiali. Vi si sottolinea l’importanza dellacollaborazione sociale, della voce della fede sui temi della giustizia edella convivenza. Pubblichiamo stralci della traduzione in italianoeffettuata da Athenagoras Fasiolo, archimandrita del Trono ecumenico.

le, della stabilità sociale, della paritàdei diritti per tutti, del pieno coin-volgimento politico, della giustiziaeconomica e dell’uguaglianza davan-ti alla legge, nonché dell’istituzionedi convenzioni internazionali per laprotezione dei diritti delle minoran-ze, dei migranti e dei richiedenti asi-lo, e contro i crimini di guerra e icrimini contro l’umanità. Ma le radi-ci storiche di tali idee affondano nel-le profondità dell’annuncio del Van-gelo, nel bel mezzo di una culturaimperiale alla quale tali idee eranoin gran parte estranee, promuovendoil valore infinito di ogni anima e lapiena dignità personale di ogni indi-viduo.

Il XXI secolo nasce come un seco-lo di migranti e rifugiati in fuga dal-la criminalità violenta, dalla povertà,dai cambiamenti climatici, dallaguerra, dalla siccità, dal collasso eco-nomico e dalla richiesta di sicurezza,sostentamento e speranza. Il mondosviluppato conosce ovunque la pre-senza di rifugiati e richiedenti asilo,molti ammessi legalmente, ma anchemolti altri senza documenti. Essiscuotono quotidianamente le co-scienze delle nazioni più ricche pro-prio con la loro vulnerabilità, indi-genza e sofferenza. Questa è una cri-si globale, ma anche un appello per-sonale alla nostra fede, alla nostrapiù profonda natura etica, alle no-stre indiscutibili responsabilità. LaChiesa ortodossa considera la situa-zione di questi popoli sfollati comeuna chiamata divina all’amore, allagiustizia, al servizio, alla misericor-dia e all’inesauribile generosità. LaChiesa loda dunque le nazioni chehanno accolto questi migranti e rifu-giati e che hanno concesso asilo acoloro che lo cercano. Inoltre ricor-da ai cristiani di tutto il mondo chetale accoglienza è un comando bibli-co, che trascende gli interessi dei go-verni secolari. Lo Stato nazionalemoderno non è un’istituzione sacra,anche se a volte può servire le causedella giustizia, dell’equità e della pa-ce. Le frontiere non sono altro cheaccidenti della storia e delle conven-zioni di diritto. Anche queste posso-no servire a volte a un fine utile, madi per sé non sono beni etici o spiri-tuali, il cui intento potrebbe giustifi-care il fallimento di prendere le no-stre sacre responsabilità verso coloroche Dio ha raccomandato alla nostraparticolare cura.

L’ethos sociale della Chiesa si rea-lizza non solo attraverso l’attuazionedi prescrizioni etiche ma anche e piùpienamente nell’attesa liturgica delRegno di Dio. Nulla di quanto quiproposto può portare molti frutti seviene sottratto alla piena vita sacra-mentale di coloro che sono chiamatia essere immersi nel fuoco dello Spi-rito Santo, uniti in tal modo a Cri-sto e, attraverso Cristo, al Padre. Peri padri della Chiesa, e specialmentenell’insegnamento di Dionisiol’Areopagita, la dossologia celestedelle potenze angeliche e delle schie-re dei giusti che circondano il tronoregale di Cristo (cfr. Ap o c a l i s s e , 7, 11)perfeziona e allo stesso tempo fa co-noscere il perfetto culto archetipo, acui tutta la creazione è chiamata dal-la notte dei tempi, ed è questa litur-gia celeste che ispira e forma il sa-cramento eucaristico sulla terra. Af-finché i cristiani ortodossi si confor-mino ai comandamenti etici di Cri-sto, tuttavia, bisogna che ognunoprenda ogni giorno la propria crocepersonale, e questa decisione deverelazionarsi con la disciplina asceticadella “gioiosa tristezza”, non comeuna sorta di scarica catartica di emo-zioni ma piuttosto come un atto dipentimento per il proprio allontana-mento dalla grazia di Dio.

La Chiesa esiste nel mondo, manon è del mondo (Giovanni, 17, 11,14–15). Essa abita questa vita sullasoglia tra la terra e il cielo, e testi-monia di generazione in generazionedelle cose ancora non viste. Essa di-mora tra le nazioni, come segno eimmagine della pace permanente eperpetua del Regno di Dio e come

promessa della perfetta guarigionedell’umanità e della restaurazione diun ordine creato, frantumato dalpeccato e dalla morte. Coloro chesono “in Cristo” sono già «una crea-tura nuova; le cose vecchie sono pas-sate, ecco ne sono nate di nuove» (2Corinzi, 5, 17). Questa è la gloria delRegno del Padre, del Figlio e delloSpirito Santo, che ancora oggi si in-travede nei volti radiosi e trasfiguratidei santi. Tuttavia la Chiesa non èsolo l’icona vivente del Regno maanche una testimone profetica inces-sante di speranza e di gioia, in unmondo ferito dal suo rifiuto di Dio.Questa vocazione profetica esige ilrifiuto di tacere di fronte a ingiusti-zie, falsità, crudeltà e disturbi spiri-tuali; e questo non è sempre facile,anche nelle moderne società libere.Caratteristico segno comune di mol-te delle nostre società contempora-nee, spesso in modo curioso, con si-stemi politici incompatibili tra loro,sia in Oriente che in Occidente, è ilnuovo insegnamento che debba esi-stere una sfera puramente pubblicache, per essere allo stesso temponeutrale e universale, deve escluderel’espressione religiosa. La religione,inoltre, è intesa in tali società comeessenzialmente un fatto privato, chenon deve intromettersi nelle discus-sioni pubbliche per il bene comune.Ma questo è falso in linea di princi-pio e risulta vessatorio nella pratica.Da un lato, il secolarismo stesso èuna forma di ideologia moderna, in-vestita con il suo proprio concettoimplicito del bene e del giusto; mase viene imposta in modo assoluto asocietà versatili e realmente diversifi-cate diventa solo un altro credo au-toritario.

In alcune società contemporanee,le voci religiose negli spazi pubblicisono state legalmente e forzatamentesilenziate, sia con il divieto dei sim-boli religiosi o anche per certi stilireligiosi di abbigliamento, sia col ne-gare alle persone religiose di agiresecondo coscienza su questioni di ri-levanza etica, senza violare i dirittiinalienabili degli altri. In verità, gliesseri umani non possono erigerecompartimenti stagni che separanole loro convinzioni etiche dalle lorocredenze più profonde sulla naturadella realtà e chiedere loro, o co-stringerli ad agire in questo modo, èun invito al risentimento, ad appro-fondire la faziosità, il fondamentali-smo e il conflitto.

È innegabile il fatto che le societàmoderne siano sempre più cultural-mente diverse e, lungi dal deplorarequesto fatto, la Chiesa ortodossa sa-luta ogni occasione di incontro e direciproca comprensione tra le perso-ne e i popoli. Ma tale comprensionediventa impossibile allorché certevoci vengono messe a tacere, a prio-ri, da leggi coercitive. Mancando ta-le comprensione e forse in parte acausa di tali coercizioni, problemimolto peggiori e molto più deva-stanti di un semplice disaccordo civi-le possono covare e crescere oltre imargini dell’arena pubblica “asetti-ca”.

La Chiesa Ortodossa, quindi, nonpuò accettare la relegazione della co-scienza e della convinzione religiosaa una sfera puramente privata, senon altro perché la sua fede nel Re-gno di Dio modella necessariamenteogni aspetto della vita dei fedeli,comprese le loro opinioni su questio-ni politiche, sociali e civili. La Chie-sa non può semplicemente ricono-scere il carattere manifestamentespregiudicato e imparziale dell’ideo-logia del secolarismo; ogni ideologiapuò diventare oppressiva quando leviene dato un potere indiscusso perdettare i termini della vita pubblica.Mentre un sistema politico che nonimpone una religione ai suoi cittadi-ni costituisce un ideale realmentebuono e onorevole, un governo chelimita anche le espressioni ordinariedi identità e di fede religiosa diventafin troppo facilmente una tiranniamorbida che, alla fine, crea più divi-sione che unità.

Decalogo dell’ecumenismo

Benedetto dubbiodi MARCELO FIGUEROA

Nei mesi passati, nel quadro del dialogo ecume-nico, si sono tenuti diversi eventi internazio-nali a cui hanno partecipato l’Argentina e altri

paesi dell’America Latina. La storia, la pertinenza, laprassi, l’esperienza e la vitalità di tali incontri, soprat-tutto in Argentina, sono stati consistenti, vari e diver-si, per lo meno negli ultimi vent’anni. Per questo mo-tivo, e solo come un ulteriore contributo, viene quiproposto un decalogo, volutamente incompleto ed es-senziale, del dialogo ecumenico. È stato elaborato ri-correndo alla congiunzione avversativa “piuttostoche”, a mo’ di genere sapienziale, per riflettere suicontrasti insiti nella natura di tale dialogo. Si utilizzail termine “ecumenismo”, in greco oikoumenē o “terraabitata”, perché con ciò s’intende che alla sua radiceinclude quello che viene definito “dialogo interreligio-so”.

1. Diversità piuttosto che uniformità. La ricchezzanel dialogo, capace di costruire ponti d’incontro enon “torri di Babele”, con una semantica univoca, èun requisito fondamentale dell’ecumenismo. Affinché“il tutto” sia al di sopra delle “parti”, queste ultimedevono esistere e coesistere in un’armonia inclusiva,che quindi le trascende. Se c’è un’unicità che va rico-nosciuta è quella costruita in modo armonioso e inte-sa come diversità riconciliata.

2. Cosmovisione piuttosto che monovisione. Do-vremmo volgere il nostro sguardo verso orizzonti euniversi variopinti e diversi. Rinchiuderci nella nostravisione parziale e considerarla unica non aiuta l’ecu-menismo. Saperci parte di un cosmo multiforme ciarricchisce dal punto di vista non solo individuale maanche sociale e comunitario.

3. Pedagogia piuttosto che ideologia. Essere apertiad apprendere e comprendere da chi pensa e vede lapropria fede in modo diverso è essenziale. A tal finela pedagogia del dialogo richiede prima di tuttol’ascolto silenzioso e poi l’espressività propria dellanostra spiritualità. Spesso la religione rivestita diideologia non ascolta e cerca solo di convincere. Sia-mo soliti dire che la spiritualità rende liberi mentrel’ideologia rende schiavi.

4. Il naturale piuttosto che l’ideale. Uso qui il ter-mine “naturale” per riferirmi al rapporto che ognunoha con il creato, gli esseri viventi, la “madre terra” p eralcuni, e all’urgenza di consensi in un ecumenismoecologico. Il termine “ideale” si riferisce invece a con-cetti astratti, che sono certamente buoni e costruttivi,ma che spesso vengono usati per evadere o sfuggireda realtà concrete più impegnative.

5. Identità piuttosto che universalità. Questo con-cetto non contraddice quelli precedenti, anzi conferi-sce loro un posto fondamentale nell’ecumenismo.Conservare la propria identità di fede, la propria spi-

ritualità e le proprie convinzioni è un requisito nonsolo onesto ma anche essenziale nell’ecumenismo.D’altro canto, “l i q u e f a re ” queste identità a favore diuna mescolanza uniforme chiamata “universalità” di-sintegra la possibilità dell’incontro con il diverso.

6. Fondamenti piuttosto che fondamentalismi.Questo concetto completa quello precedente e al tem-po stesso mette in guardia contro uno dei rischidell’ecumenismo. Conservare l’identità di fede non vausato come un’arma o una trincea per convincere,sottomettere e scontrarsi con chi professa un’altra fe-de. La “verità” in quanto tale, riconosciuta da diversecredenze nella persona di Dio, per attributo unico dieternità, deve possedere ognuno di noi e ogni spiri-tualità. Pertanto pensare di possedere tale “verità”contraddice la persona del Creatore, riducendola auna caricatura creata a nostra immagine e somiglian-za. I fondamentalismi religiosi sono purtroppo stru-menti storici di infiniti mali e atrocità in “nome diD io”.

7. Inclusione piuttosto che selezione. Includerechiunque nel nostro universo di esperienza spiritualeè il modo per avvicinarlo affinché possa parteciparviindipendentemente dalla sua provenienza. Quandoscegliamo con chi preferiamo dialogare, compiamo unatto discriminatorio. La discriminazione per motivi direligione, che all’inizio può apparire solo come unesercizio selettivo inadeguato, sappiamo purtroppocon quale facilità possa diventare germe dei mali piùatroci e persino di genocidi religiosi.

8. Alterità piuttosto che tolleranza. L’“a l t ro ” o “glialtri” sono sempre il motivo imprescindibile e i com-ponenti indispensabili in un’esperienza che si vuoledefinirsi ecumenica. La tolleranza, che in apparenzapuò essere considerata un suo sinonimo, non è di fat-to un termine adeguato. E questo perché si è soliti“t o l l e r a re ” il diverso a partire da una posizione di po-tere, di dominio, e non di uguaglianza.

9. Scomodità piuttosto che confort. Dialogare com-porta sempre uscire dalla nostra zona di confort, chemolto spesso è limitata a quanti pensano, sentono, vi-vono e semplicemente sono come noi. Il dialogo ecu-menico implica scomodità perché ci invita a uscire daquella zona per entrare in un territorio sconosciutoche può avere codici, concetti e strumenti di comuni-cazione di vita e di spiritualità molto diversi dai no-stri.

10. Dubbi piuttosto che certezze. Se il dubbio è unamico inseparabile della fede, è anche un compagnoinseparabile del cammino ecumenico. Le certezze chespesso si costruiscono come barriere nell’ascoltodell’altro e il timore di introdurre sani dubbi nellanostra visione non ci aiutano. Benvenuto il dubbiobenedetto che ci renderà pellegrini sempre migliorinel meraviglioso percorso dell’incontro ecumenico.

Page 7: La pace va cercata a qualunque costo...La Chiesa è in prima linea in tutto il mondo nel fronteg-giare le conseguenze del co-ronavirus. Necessità non solo sani-tarie, ma anche economiche

L’OSSERVATORE ROMANOgiovedì 16 aprile 2020 pagina 7

Le testimonianze di alcune donne immigrate ospitate a Roma dalle suore scalabriniane

Chiesa che accogliedi FRANCESCO RICUPERO

È scappata quattro anni fa dallaNigeria, dove fin dalla suaadolescenza ha subito minacce

e violenze fisiche continue. Esaspe-rata ha deciso di abbandonare il suoPaese per poter assicurare un futuromigliore a lei e al suo bambino, dicui però ha perso le tracce. Prima, èriuscita a raggiungere la Libia, dovesono proseguiti i maltrattamenti e leviolenze fisiche. Sfruttata e schiaviz-zata per oltre un anno ha anche ri-schiato di morire perché picchiataselvaggiamente dai suoi aguzzini.Arrivata in Italia, nell’isola di Lam-pedusa, Cristina (il suo è un nomedi fantasia) ha avuto la fortuna diimbattersi nella rete di solidarietàpromossa dalle suore missionarie diSan Carlo Borromeo (scalabriniane).Adesso, vive e lavora a Roma, ospi-tata in una delle due strutture di ac-coglienza per sole donne gestite dal-le scalabriniane, nell’ambito dell’ini-ziativa «Chaire Gynai», espressionegreca che significa “Benvenuta don-na”. Ed è propio nella struttura divia della Pineta Sacchetti, insiemead altre donne con bambini, cheCristina, che ha voluto ricevere il sa-cramento del battesimo a Roma, hatrascorso i giorni di Pasqua all’inse-gna della solidarietà e della condivi-sione. «Se da un lato la pandemiasta creando a queste donne, e nonsolo, notevoli problemi dal punto divista lavorativo, ha favorito le condi-zioni per un clima di maggiore fra-tellanza, tolleranza e reciproco ri-spetto», spiega a «L’O sservatoreRomano» suor Eleia Scariot, religio-sa scalabriniana coordinatrice di«Chaire Gynai» e responsabile dellecase di accoglienza di via della Pine-ta Sacchetti e di via Michele Merca-ti, ai Parioli.

Papa Francesco ha voluto affidarequesto progetto alle scalabriniane,famiglia religiosa da sempre attentaai temi sociali ed in particolare aldramma dei migranti. Nel giugno2018, sono state inaugurate nella ca-pitale due case per realizzare questoprogetto di seconda accoglienza se-guito dal Dicastero per lo Sviluppoumano integrale. L’iniziativa «Chai-re Gynai» è stata resa possibile an-che grazie alla collaborazione dellaCongregazione per gli istituti di vitaconsacrata e le società di vita apo-

stolica, dell’Unione internazionalesuperiore generali (Uisg) e dellaConferenza episcopale italiana(Cei).

«Durante la Settimana santa —spiega suor Eleia — insieme alledonne ospiti nelle nostre case abbia-mo condiviso gran parte delle gior-nate e accompagnato i momenti dipreghiera e di riflessione. I bambinihanno mangiato le uova di Pasquacon grande gioia per le sorpresecontenute. Oltre a giocare insieme,hanno realizzato diversi disegni raf-figuranti i simboli della nostra festi-vità. Le mamme hanno condiviso e

mangiato la colomba di Pasqua eabbiamo spiegato loro, in particola-re alle ospiti musulmane, cosa rap-presenta per noi Cristo Risorto.Non tutte sono cristiane, ma anchequelle musulmane hanno apprezza-to questi momenti di reciproco ri-spetto e fratellanza. Il coronavirus —aggiunge — ha in sostanza impeditoa gran parte di loro di poter andareal lavoro, però, allo stesso tempo,consente di poter stare insieme, ri-spettando le reciproche distanze eraccontare le proprie esperienze».

Nelle due case sono accolte don-

ne che hanno già ottenuto il ricono-scimento dello status di rifugiate inItalia o che potrebbero regolarizzarela loro posizione. Si può stare perun periodo che va dai sei mesi a unanno al massimo, comunque fino aquando non abbiano raggiunto unacompleta autonomia. Al momento,sono ospitate una trentina di donnecon nove minori, provenienti da Si-ria, Nigeria, Uganda, Senegal, Re-pubblica Democratica del Congo,Camerun, Etiopia, India e Burundi.«Valorizziamo il principio della di-gnità umana — dice al nostro gior-nale suor Eleia — il diritto alla liber-

tà e all’uguaglianza, la valorizzazio-ne delle persone e la loro tutela. Èun progetto di semiautonomia fon-dato sull’accoglienza, la protezione,la promozione e l’integrazione perpercorsi di vita autonoma e di pro-cessi di cittadinanza e inclusione so-ciale». La base è il riscatto dellasperanza: queste ragazze e mammericevono aiuto e accompagnamentoumano e professionale, vivendoesperienze di convivenza, di svago edi spiritualità che siano rivitalizzantiper riscattare la stima di loro stesse,spesso ferita durante il loro viaggio

migratorio. Allo stesso tempo, que-ste donne e i loro figli potrannocontribuire alla costruzione di unasocietà diversa, qui nel territorio ro-mano dove sono inserite». Nelle duecase romane sono passate quest’an-no diverse migranti, alcune dellequali hanno già terminato il loropercorso di semiautonomia, comeFatima e Abir (nomi di fantasia)mamma e figlia, di origine siriana,arrivate in Italia qualche anno fagrazie ai corridoi umanitari. «Il no-stro — ci spiega la scalabriniana — èun intervento più di progettualitàche di assistenzialismo vero e pro-prio. Le donne sono protagonistedelle loro vite. Grazie a “C h a i reGynai” vengono formate professio-nalmente e aiutate a trovare un’o c-cupazione».

«Purtroppo — aggiunge suorEleia — adesso rischiano di perdereil lavoro a causa della pandemia.Sono preoccupate perché dopo averabbandonato i loro Paesi, lasciato ifamiliari, fuggite da guerre e violen-ze, adesso il loro futuro è nuova-mente compromesso». Fatima eAbir, per esempio, quando hannoabbandonato la Siria hanno dovutosepararsi dal papà e dal fratello. Pri-ma, hanno soggiornato tutti insieme,per diverso tempo, in un campoprofughi del Libano, e poi sonotransitate in Italia. «Questi sonotraumi difficili da rimuovere — ag-giunge la religiosa — solo grazie aun lavoro attento e a un sostegnospirituale si possono raggiungere ri-sultati soddisfacenti. Quando ledonne arrivano in Italia, facciamoloro un colloquio e si prosegue conl’iter per la documentazione, poi leterapie psicologiche e come gestirele pratiche della vita quotidiana».

Assistite da volontari e scalabri-niane, coordinate da suor Eleia, ledonne vengono poi impegnate incorsi di formazione professionale efaccende domestiche. Attività utili arecuperare la dimensione relazionaleperduta. «Noi le accogliamo con en-tusiasmo, anche perché il Papa ripe-te spesso che la Chiesa è madre. Illavoro più difficile — conclude lamissionaria scalabriniana — è ricon-quistare la fiducia: uomo-donna,donna-donna, con la Chiesa. Puntia-mo a un servizio alla persona nellasua globalità».

L’esperienza di una comunità di recupero per tossicodipendenti

Nessuna pandemia fermerà la forza del Risorto

Pasqua in quarantena in Sud Africa e Zimbabwe

Non c’è spazioper la rassegnazione

di ENRICO CASALE

È stata una Pasqua in quaran-tena. Una Pasqua che anche isudafricani e gli zimbawiani

non scorderanno facilmente. In en-trambi i Paesi, che per storia e tra-dizioni sono molto legati, le funzio-ni religiose pubbliche sono statevietate per timore che il contagioda coronavirus si propagasse. Lechiese cattoliche, ma anche quelleanglicane, riformate e indipendenti,sono rimaste chiuse. A celebrare so-no rimasti solo i sacerdoti, senza ilconcorso del loro popolo. E i cre-denti sono stati costretti ad assisterealle celebrazioni della SettimanaSanta attraverso lo streaming livesul web o in televisione.

In Zimbabwe i contagi sono an-cora limitati (ufficialmente unaquindicina di casi e tre decessi), mala vicinanza con il Sud Africa (dovei casi sono più di duemila e i mortiuna ventina) e l’estrema povertà incui versa il Paese ha messo in allar-me l’intera popolazione. Di fronteai primi contagi, il presidente Em-merson Mnangagwa è subito corsoai ripari cercando di ridurre al mi-nimo i contatti tra persone. Il go-verno ha imposto la quarantena fi-no al 19 aprile e ha concesso la pos-sibilità di uscire solo ai lavoratoridel settore sanitario. Tutti gli as-sembramenti sono stati vietati. Proi-bite anche le cerimonie religiose e ifunerali con più di cinquanta perso-ne. «Il governo — spiega padreBrian MacGarry, gesuita zimbab-

weano — ha inviato l’esercito nellestrade per far rispettare il blocco.La gente più povera è in difficoltà.Nelle township si vive giorno pergiorno e se il settore informale vie-ne bloccato diventa impossibileprocurarsi il cibo quotidiano».Questa epidemia si presenta in unmomento di forte recessione econo-mica. Oggi i quasi 17 milioni di abi-tanti si trovano a dover fare i conticon il 95 per cento di disoccupazio-ne, un tasso di inflazione superioreal 500 per cento e oltre il 70 percento della popolazione sotto la so-glia di povertà (due dollari al gior-no). Di fronte all’emergenza, poi, ilsistema sanitario si presenta già indifficoltà. Mancano i posti in tera-pia intensiva e sono carenti anche ifarmaci, ma anche i dispositivi diprotezione individuale (mascherine,guanti, grembiuli, ecc.) necessariper poter salvaguardare medici e in-fermieri dal possibile contagio.

La Conferenza episcopale delloZimbabwe ha chiesto al governo di«intensificare gli sforzi per combat-tere la pandemia considerando cheil settore sanitario del Paese non èin buona forma e mancano attrez-zature e farmaci necessari per cura-re le malattie ordinarie». In questocontesto di chiusura, anche qui al-cuni vescovi hanno posticipato lamessa crismale e i sacerdoti potran-no ricevere l’olio santo solo quandosarà più semplice muoversi. «Lamaggior parte della popolazione,che è al 90 per cento cristiana —continua padre Brian — ha assistitoalle funzioni della Settimana santaattraverso lo streaming live su Webe in televisione. Devo essere since-ro: quest’anno non c’era l’aria di fe-sta degli anni passati. È stata unaPasqua sottotono».

Non molto diversa la situazionein Sud Africa. «Il lockdown è mol-to rigido — osserva Luigi Morell,padre bianco, missionario nel Kwa-Zulu-Natal (regione orientale delPaese) — tutti i negozi, tranne quel-li di pubblica utilità (alimentari, di-stributori di carburante, officinemeccaniche, ecc.), sono stati chiusi.Dalle finestre della nostra comunitàvediamo l’autostrada Durban-Johannesburg. C’è traffico, ma mol-to limitato. Le cittadine sono deser-te. Solo nelle township continuanole attività informali e la gente sisposta per strada a piedi».

A Pasqua, i padri bianchi hannocelebrato una messa solo per imembri della comunità. Così comehanno fatto le altre comunità reli-giose presenti nella regione. Anchein Sud Africa, le funzioni religiosesono state trasmesse via web o allatelevisione. La quarantena ha fer-mato l’attività pastorale, ma nonquella di formazione. Nel KwaZu-lu-Natal ha sede il St Joseph’stheological institute, si tratta di unafacoltà intercongregazionale. Diver-se congregazioni mandano i propriseminaristi a studiare teologia e fi-losofia in questo istituto. Quando ilgoverno ha imposto il lockdown glistudenti si sono trovati «intrappola-ti» nelle rispettive comunità senzapotersi recare all’università. «Manon ci siamo persi d’animo — con-clude padre Morell, che è docente ecura l’amministrazione della facoltà— abbiamo subito detto ai ragazziche la quarantena non è una vacan-za, ma un modo diverso per studia-re e approfondire le materie. Abbia-mo preparato lezioni scritte e le ab-biamo inviate ai nostri studenti viamail. Poi abbiamo inviato loro eser-cizi da fare. Alcuni professori han-no addirittura girato video che poihanno fatto avere ai giovani semi-naristi. In ogni comunità religiosaesiste una biblioteca dove i ragazzipossono studiare e approfondire lesingole materie. Quindi, nonostantele difficoltà, continuiamo ad andareavanti. Una cosa è certa, non per-deremo il semestre».

di IGOR TRABONI

«L a realtà della Pasqua, lapresenza del Risorto, noila stiamo sperimentando

da tempo, è già all’opera. Chi pote-va immaginare che dalle nostre si-tuazioni così distrutte, così senzasperanza, potesse risgorgare la gioiache troviamo oggi?»: nei suoi modigentili, ma altrettanto fermi, padreMatteo Tagliaferri racconta così laPasqua di questi giorni appena tra-scorsi, ma anche di sempre, dellacomunità In dialogo, una onlus chesi occupa del recupero dei tossico-dipendenti, compreso quello socialee lavorativo, ma anche di dare unacasa ai malati di aids e di seguire ledonne sfruttate, con la sede princi-pale a Trivigliano, nel Frusinate adue passi da Fiuggi, e altre sedi intutta Italia e varie gemmazioniall’estero, dal Perú all’Ucraina, dal-la Colombia all’A rg e n t i n a .

Da oltre un quarto di secolo que-sto religioso vincenziano percorre lestrade dei bisogni e del cuore per-ché, come ama ripetere, «ogni uo-mo ha le sue ferite, e ciascuno è fe-rito lì dove non è stato amato». Daquando era giovane parroco in unpaesino abruzzese e prima ancora,dal germe della vocazione in unafamiglia profondamente cristiana(due sorelle religiose e un fratello,don Giorgio, sacerdote della diocesidi Anagni-Alatri e che porta avanticon Agape un altro progetto dicooperativa sociale e di vita in co-mune).

Una Pasqua che per padre Mat-teo ha anche il volto risorto di tan-te persone, ritrovate nel ricordo delprimo ragazzo, il quindicenne Da-nilo, che gli chiesero di aiutare e dalì iniziò l’opera; o nel presente diun uomo affidato alla casa per ma-lati di aids con una speranza di vitadi due-tre mesi e che invece è lìoramai da anni.

«Dio da sempre è vita, Dio vincela morte — aggiunge il religiosoparlando di questa Pasqua — certo,c’è il coronavirus che ci fa chiuderedentro, sembra quasi quella pietramessa sul sepolcro di Gesù, ma nondimentichiamo che poi Gesù ha ro-vesciato quella pietra, perché la vitariesploda sempre più forte dentro lenostre situazioni, dentro i nostri se-polcri. No, Dio non si rassegna aisepolcri dell’uomo».

Ma nessun miglioramento nei ra-gazzi a lui affidati, rimarca padreMatteo, «sarebbe stato possibile sequesto spirito del Risorto non agis-se già dentro l’esperienza della co-munità, come tra le braccia del Pa-dre che ci dice “Io voglio che tu vi-

va, che tu viva per sempre”. Eccoperché, poggiando su questa certez-za, per noi da tempo è Pasqua: per-ché la morte ha lasciato lo spazioalla vita. Ancora di più oggi la no-stra fede si fa certa, la nostra spe-ranza ci porta a credere alla realiz-zazione piena di quelle nostalgie divita, di pienezza di gioia e di amoredi cui abbiamo bisogno. Non c’ècoronavirus di tutti i tipi che possafermare la forza dirompente del di-vino che è entrato nell’umano attra-verso lo Spirito di Gesù che è spiri-to di risurrezione».

Certo, dal punto di vista operati-vo e logistico non sono giorni facilineppure per la comunità, con tutti icolloqui sospesi, così come le visite

delle famiglie ai ragazzi ospiti, con-tatti che comunque gli operatoristanno mantenendo in piedi via te-lefono. Sono giorni di accorgimentiparticolari anche dal punto di vistasanitario, per soggetti naturalmentepiù esposti di altri. Ma sono giorniche padre Matteo sta sperimentan-do come un’ulteriore risurrezione:«Me ne accorgo dalla riflessionedei ragazzi, da quello che scrivono:vanno sempre più in profondità,perché c’è Qualcosa che li toccad e n t ro » .

Da questa prospettiva, anche ildomani fa meno paura, mantenen-do però lo sguardo fisso sul tantoche ancora c’è da fare: «Anche perquesto problema delle dipendenze— aggiunge il fondatore della co-munità In dialogo — bisognerebb espronarci ed attivarci, per salva-guardare un concetto più ampiodella salute della persona vista a li-vello globale (interiore, relazionale,sociale, valoriale ed etico). Dai pri-mi anni della nostra esperienza di-cevo che i giovani pagano per unacultura mutilata di spiritualità e ditrascendenza, che li lascia analfabe-ti nei rapporti, incapaci di sostenerele inevitabili contrarietà e limiti chela realtà del vivere pone da sempre.Se i nostri adolescenti e giovanistanno mostrando tanta maturitàper contrastare il coronavirus, ac-cettando regole che sembrano an-dare contro la loro natura, per sal-vaguardare appunto la salute perso-nale e sociale, perché, passato que-sto momento, da adulti responsabi-li, non assumere a livello politico esanitario, precisi orientamenti al-trettanto coraggiosi? Perché non in-vestire la stessa determinazione eresponsabilità per favorire un forteimpegno educativo, familiare, scola-stico e sociale, per la vita integrale(biologica, affettiva, spirituale) del-le persone?».

†Il Rettore, i Prorettori, il Senato Accade-mico, il Consiglio di Amministrazione, ilDirettore Amministrativo, l’Assistente Ec-clesiastico Generale, i Docenti, il Persona-le, i Laureati e gli Studenti dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore accompagnanocon la preghiera il ritorno alla casa delPadre del

Professore PadreFRANCESCO MAT T E S I N I

emerito di Letteratura italiana moderna econtemporanea, e già Preside della Facol-tà di Lettere e Filosofia, ricordandone conprofonda gratitudine l’alto magisteroscientifico, il generoso impegno didatticoprofuso nell’educazione di numerose ge-nerazioni di giovani e l’esemplare testimo-nianza di quella sobria e operosa spiritua-lità francescana, che egli condivise con ilnostro fondatore, Padre Agostino Gemelli,nella costante ricerca e attiva contempla-zione del vero, del bello e del bene.

Milano, 15 aprile 2020

Lutto nell’episcopatoMonsignor Miguel Ángel D’Anni-bale, vescovo di San Martín, in Ar-gentina, è morto martedì 14 aprilenel Centro di educación médica einvestigaciones clínicas “Norb ertoQuirno” (Cemic) di Buenos Aires.Il compianto presule era nato il 27marzo 1959, in Florida, diocesi diSan Isidro, e aveva ricevuto l’o rd i -nazione sacerdotale il 6 dicembre1985. Eletto alla Chiesa titolare diNasai e al contempo nominato ausi-liare di Río Gallegos, il 19 febbraio2011, aveva ricevuto l’o rd i n a z i o n eepiscopale il 29 aprile successivo. Il18 aprile 2012 era stato nominatoamministratore apostolico di que-st’ultima sede residenziale e il 21febbraio 2013 vi era stato trasferitocome ordinario diocesano. Il 15 giu-gno 2018 era stato trasferito a SanMartín. Nell’ultima plenaria dellaConferenza episcopale argentina erastato nominato membro della com-missione permanente e presidente diquella commissione liturgica.

Page 8: La pace va cercata a qualunque costo...La Chiesa è in prima linea in tutto il mondo nel fronteg-giare le conseguenze del co-ronavirus. Necessità non solo sani-tarie, ma anche economiche

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 giovedì 16 aprile 2020

Riprendendo le catechesi sulle beatitudini il Pontefice commenta la settima

La pace va cercataa qualunque costo

La preghiera del Papa nella messa a Santa Marta

Per gli anziani solinella pandemia

Nomine episcopali

Nei saluti all’udienza generale

La Chiesa e l’umanità affidate alla divina misericordia

SA N TA SEDE

L’Eminentissimo Signor Cardi-nale Segretario di Stato ha no-minato Direttore dell’Autorità diInformazione Finanziaria l’Illu-strissimo Dott. Giuseppe Schlit-zer, subentrando al Dott. Tom-maso Di Ruzza che il 20 gen-naio scorso ha concluso il suomandato quinquennale.

L’Eminentissimo Signor Car-dinale Segretario di Stato ha no-minato Vice Direttore dell’Auto-rità di Informazione Finanziarial’Illustrissimo Dott. FedericoAntellini Russo.

Le nomine di oggi riguardanoBrasile e Stati Uniti d’America.

Estevam dos SantosSilva Filho

vescovo di Ruy Barbosa(Brasile)

Nato il 10 aprile 1968 a Vitó-ria da Conquista, ha frequentatoil corso di filosofia all’Institutofilosófico Nossa Senhora das Vi-tórias e quello di teologia all’In-stituto Coração Eucarístico deJesus a Belo Horizonte. Inoltresi è specializzato in comunica-zione alla Pontificia universidadJaveriana di Bogotá, Colombia,e presso il Servizio alla pastoraledella comunicazione (Sepac) aSão Paulo. Ordinato sacerdote il9 giugno 1995 per il clerodell’Arcidiocesi di Vitória daConquista, è stato parroco diNossa Senhora do Perpétuo So-corro a Iguaí, di Senhor doBonfim e Santa Rita a Planato,di Divino Espírito Santo a Po-ções e di Nossa Senhora dasCandeias a Vitória da Conqui-sta. È stato amministratore par-rocchiale di Nossa Senhora daConceição a Nova Canaã, diret-tore spirituale del seminario pro-pedeutico e del seminario mag-giore di filosofia dell’arcidio cesie del seminario maggiore di teo-logia a Ilhéus. Inoltre è statomembro del consiglio dei forma-

tori, del collegio dei consultori edel consiglio presbiterale; asses-sore ecclesiastico della pastoraledella comunicazione e del setto-re giovanile; economo arcidioce-sano e professore di comunica-zione sociale. Il 29 gennaio 2014è stato nominato vescovo titola-re di Feradi maggiore e ausiliaredi São Salvador da Bahia, rice-vendo l’ordinazione episcopale il30 marzo successivo.

Adimir Antônio Mazalivescovo di Erexim

(Brasile)

Nato il 16 maggio 1966 a Cor-bélia, in arcidiocesi di Cascavel,ha compiuto gli studi di filoso-fia nella Facoltà di scienze uma-ne “Arnaldo Busato” a Toledo(1986-1988) e quelli di teologianello Studium Theologicum aCuritiba (1989-1992). Poi ha ot-tenuto la licenza in teologia pa-tristica a Roma, presso la Ponti-ficia università Gregoriana(1999-2001). Il 5 maggio 1992 èstato ordinato sacerdote per ilclero dell’arcidiocesi di Casca-vel, dove è stato direttore spiri-tuale del seminario minore SãoJosé e promotore vocazionale(1992-1999); vicario parrocchialedi Imaculado Coração de Maria(1995-1996); amministratore dellaparrocchia di Nossa Senhora deCaravaggio (1996-1999) e delsantuario diocesano di NossaSenhora da Salette a Braganey;rettore del seminario maggioredi teologia (2002-2009); profes-sore del Centro interdiocesanodi teologia (2002-2004); diretto-re spirituale del seminario pro-pedeutico (2005-2006); docente(2005-2019) e direttore (2009-2019) alla Faculdade missioneirado Paraná (Famipar); parroco diNossa Senhora de Fátima (2009-2016); consulente della pastoralefamiliare a livello arcidiocesanoe del Regionale Sul 2. Dal 2016è parroco della cattedrale di Ca-scavel dedicata a Nossa SenhoraA p a re c i d a .

Kevin J. Sweeneyvescovo di Paterson

(Stati Uniti d’America)

Nato a Elmhurst, Queens,diocesi di Brooklyn (New York),il 17 gennaio 1970, ha frequenta-to la Cathedral Preparatory Se-minary High School e la Cathe-dral Seminary Residence a Dou-glaston, e ha ottenuto il bacca-laureato alla Saint John’s Uni-versity nel Queens. Ha svoltogli studi ecclesiastici pressol’Immaculate Conception Semi-nary ad Huntington, New York.Ordinato sacerdote per il clerodi Brooklyn il 28 giugno 1997, èstato vicario parrocchiale diSaint Nicholas of Tolentine aJamaica (1997-2003) e di OurLady of Sorrows a Corona(2003-2004); coordinatoredell’apostolato per gli irlandesi(1999-2001); direttore dell’ufficiodella pastorale vocazionale(2004-2010); cappellano alla Bi-shop Loughlin Memorial HighSchool (2005); amministratore,poi parroco, di Saint Michael(dal 2010); direttore spiritualedei Jovenes de Valor (2010-2013); membro del consiglio pre-sbiterale (2011-2016), del priestpersonnel assignment board (dal2017) e del seminary admissionsboard (dal 2010); vicario foraneodell’ottavo decanato (dal 2013);e rappresentante dell’ufficio perle vocazioni (dal 2014).

stre false sicurezze, per por-tarci alla salvezza. E in quelmomento sembra di non ave-re pace, ma è il Signore checi mette su questa strada perarrivare alla pace che Luistesso ci darà.

A questo punto dobbiamoricordare che il Signore inten-de la sua pace come diversada quella umana, quella delmondo, quando dice: «Vi la-scio la pace, vi do la mia pa-ce. Non come la dà il mondo,io la do a voi» (Gv 14, 27).Quella di Gesù è un’altra pa-ce, diversa da quella monda-na.

Domandiamoci: come dà lapace il mondo? Se pensiamoai conflitti bellici, le guerre siconcludono, normalmente, indue modi: o con la sconfittadi una delle due parti, oppurecon dei trattati di pace. Nonpossiamo che auspicare e pre-gare perché si imbocchi sem-pre questa seconda via; peròdobbiamo considerare che lastoria è un’infinita serie ditrattati di pace smentiti daguerre successive, o dalla me-tamorfosi di quelle stesseguerre in altri modi o in altriluoghi. Anche nel nostro tem-po, una guerra “a pezzi” vie-ne combattuta su più scenarie in diverse modalità (cfrOmelia nel Sacrario Militare diRedipuglia, 13 settembre 2014;Omelia a Sarajevo, 6 giugno2015; Discorso al PontificioConsiglio per i Testi Legislativi,21 febbraio 2020). Dobbiamoperlomeno sospettare che nelquadro di una globalizzazio-ne fatta soprattutto di interes-si economici o finanziari, la“pace” di alcuni corrispondaalla “guerra” di altri. E questanon è la pace di Cristo!

Invece, come “dà” la suapace il Signore Gesù? Abbia-mo ascoltato San Paolo direche la pace di Cristo è “fare didue, uno” (cfr Ef 2, 14), annul-lare l’inimicizia e riconciliare.E la strada per compiere que-sta opera di pace è il suo cor-po. Egli infatti riconcilia tutte

le cose e mette pace con ilsangue della sua croce, comedice altrove lo stesso Aposto-lo (cfr Col 1, 20).

E qui mi domando, possia-mo tutti domandarci: chi so-no, quindi, gli “operatori dipace”? La settima beatitudineè la più attiva, esplicitamenteoperativa; l’espressione verba-le è analoga a quella usata nelprimo versetto della Bibbiaper la creazione e indica ini-ziativa e laboriosità. L’a m o reper sua natura è creativo —l’amore è sempre creativo — ecerca la riconciliazione a qua-lunque costo. Sono chiamatifigli di Dio coloro che hannoappreso l’arte della pace e laesercitano, sanno che non c’è

riconciliazione senza donodella propria vita, e che la pa-ce va cercata sempre e co-munque. Sempre e comun-que: non dimenticare questo!Va cercata così. Questa non èun’opera autonoma fruttodelle proprie capacità, è ma-nifestazione della grazia rice-vuta da Cristo, che è nostrapace, che ci ha resi figli diD io.

La vera shalòm e il veroequilibrio interiore sgorganodalla pace di Cristo, che viene

dalla sua Croce e generaun’umanità nuova, incarnatain una infinita schiera di San-ti e Sante, inventivi, creativi,che hanno escogitato vie sem-pre nuove per amare. I Santi,le Sante che costruiscono lapace. Questa vita da figli diDio, che per il sangue di Cri-sto cercano e ritrovano i pro-pri fratelli, è la vera felicità.Beati coloro che vanno perquesta via.

E di nuovo buona Pasqua atutti, nella pace di Cristo!

«Preghiamo oggi per gli anziani, special-mente per coloro che sono isolati o nellecase di riposo. Loro hanno paura, pauradi morire da soli. Sentono questa pande-mia come una cosa aggressiva per loro.Loro sono le nostre radici, la nostra sto-ria. Loro ci hanno dato la fede, la tradi-zione, il senso di appartenenza a una pa-tria. Preghiamo per loro perché il Signo-re sia loro vicino in questo momento». Ècon questa preghiera, a braccio, che Pa-pa Francesco ha aperto la messa celebra-ta mercoledì mattina, 15 aprile, nella cap-pella di Casa Santa Marta, e trasmessain diretta streaming.

«Ieri — ha subito ricordato Francesconell’omelia — abbiamo riflettuto su Ma-ria di Màgdala come icona della fedeltà:la fedeltà a Dio». Ma «com’è questa fe-deltà a Dio? A quale Dio? Proprio alDio fedele» ha rilanciato il Papa nellasua meditazione.

«La nostra fedeltà non è altro che unarisposta alla fedeltà di Dio» ha spiegatoil Pontefice. Il Signore infatti «è fedele

alla sua parola», è «fedele alla sua pro-messa» e «cammina con il suo popoloportando avanti la promessa vicino alsuo popolo». Egli, ha ribadito, è «fedelealla promessa: Dio, che continuamente sifa sentire come Salvatore del popoloperché è fedele alla promessa»; Dio «cheè capace di ri-fare le cose, di ri-creare,come ha fatto con questo storpio dallanascita a cui ha ri-creato i piedi, lo hafatto guarire: il Dio che guarisce, il Dioche sempre porta una consolazione alsuo popolo». Il riferimento del Pontefi-ce è stato al passo degli Atti degli apo-stoli (3, 1-10) proposto dalla liturgia co-me prima lettura, che racconta appuntodi un uomo, storpio fin dalla nascita,che viene guarito, attraverso la preghieradi Pietro «nel nome di Gesù Cristo».

Dunque, questo è «il Dio che ri-creauna ri-creazione nuova: questa è la suafedeltà con noi. Una ri-creazione che èpiù meravigliosa della creazione». È, haspiegato il Pontefice, «un Dio che vaavanti e che non si stanca di lavorare —

diciamo “l a v o r a re ”, ad instar laborantis(cfr Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spi-rituali 236) come dicono i teologi — p erportare avanti il popolo, e non ha pauradi “stancarsi”, diciamo così».

Proprio «come quel pastore che,quando rientra a casa, si accorge che glimanca una pecora e va, torna a cercarela pecora che si è perduta lì» (cfr Ma t t e o18,12-14). Insomma, «il pastore che fa glistraordinari, ma per amore, per fedeltà».E «il nostro Dio — ha affermato France-sco — è un Dio che fa gli straordinari,ma non a pagamento: gratuitamente. Èla fedeltà della gratuità, dell’abb ondan-za».

«La fedeltà — ha proseguito il Papa —è quel padre che è capace di salire tantevolte sul terrazzo per vedere se torna ilfiglio e non si stanca di salire: lo aspettaper fare festa» (cfr Luca 15, 21-24)

Perciò, ha aggiunto Francesco, «la fe-deltà di Dio è festa, è gioia, è una gioiatale che ci fa fare come ha fatto questostorpio: entrò nel tempio camminando,saltando, lodando Dio (cfr Atti degli apo-stoli 3,8-9). La fedeltà di Dio è festa, èfesta gratuita. È festa per tutti noi».

«La fedeltà di Dio — ha insistito ilPontefice — è una fedeltà paziente: hapazienza con il suo popolo, lo ascolta, loguida». Di più: Dio arriva anche a spie-gare lentamente e a riscaldare il cuore,proprio «come ha fatto con questi duediscepoli che andavano lontano da Ge-rusalemme: scalda loro il cuore perchétornino a casa» ha sottolineato France-sco, facendo riferimento al passo delVangelo di Luca (24, 13-35) che raccontal’episodio di Emmaus.

«La fedeltà di Dio — ha detto ancorail Papa — è quello che non sappiamo:cosa è successo in quel dialogo, ma è ilDio generoso che ha cercato Pietro chelo aveva rinnegato, che aveva rinnega-to». Noi «soltanto sappiamo che il Si-gnore è risorto ed è apparso a Simone:cosa è successo in quel dialogo non losappiamo (cfr Luca 24,34). Ma sì, sap-piamo che era la fedeltà di Dio a cercarePietro». Perché «la fedeltà di Dio sem-pre ci precede e la nostra fedeltà sempreè risposta a quella fedeltà che ci prece-de». Dunque, «è il Dio che ci precedesempre». È come «il fiore del mandorlo,in primavera: fiorisce per primo».

«Essere fedeli — ha concluso il Ponte-fice — è lodare questa fedeltà, essere fe-deli a questa fedeltà è una risposta aquesta fedeltà».

Successivamente, con la preghiera disant’Alfonso Maria de’ Liguori il Papaha invitato «le persone che non possonofare la comunione» a fare la comunionespirituale. Per poi concludere la celebra-zione con l’adorazione e la benedizioneeucaristica. Il vescovo di Roma ha infinesostato in preghiera davanti all’immaginemariana nella cappella di Casa SantaMarta. E la sua preghiera è stata rilan-ciata, a mezzogiorno, nella basilica Vati-cana dal cardinale arciprete Angelo Co-mastri attraverso la recita del ReginaCaeli e del rosario.

«Con fiducia preghiamo Gesù Misericordioso perla Chiesa e per tutta l’umanità, specialmente percoloro che soffrono in questo tempo difficile»: lo hachiesto il Papa al termine dell’udienza generale —nei saluti rivolti ai vari gruppi linguistici collegatiattraverso i media — ricordando che domenicaprossima ricorre la festa della Divina misericordia.Ecco le parole pronunciate dal Pontefice primadi recitare il Pater Noster e impartire laBenedizione apostolica.

Saluto cordialmente le persone di lingua france-se! Mentre celebriamo la risurrezione del Signo-re, chiediamoGli di fare di noi degli artigiani dipace e di riconciliazione, affinché in questi tem-pi difficili tutti possiamo riconoscerci come figlidello stesso Padre! Ancora Buona Pasqua a tut-ti, nella pace di Cristo. Dio vi benedica.

Saluto i fedeli di lingua inglese collegati at-traverso i mezzi di comunicazione sociale. Nellagioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sullevostre famiglie l’amore misericordioso di Dionostro Padre. Il Signore vi benedica!

Cari fratelli e sorelle, buona e santa Pasqua!Gesù ha dato se stesso con tutta la sua vita ter-rena, fino alla morte in croce, per riconciliare gliuomini con Dio. Nella profonda unità con Dio,anche l’uomo ritrova un sano rapporto con glialtri, con se stesso e con tutto il creato. Questapace di Cristo sia sempre con voi.

Saludo cordialmente a los fieles de lenguaespañola que siguen esta catequesis a través delos medios de comunicación social. Los animo acolaborar con Dios en la tarea de construir lapaz, en cada momento y en cada lugar, comen-zando por aquellas situaciones que viven uste-des y con las personas que tienen alrededor; de

manera particular, en estos momentos que esta-mos viviendo a causa de la pandemia, para que,con un gesto concreto de bien, puedan llevar laternura, la alegría y la paz de Cristo Resucita-do.

Feliz pascua de Resurrección. Y que Dios losb endiga.

Cari ascoltatori di lingua portoghese, «la pa-ce del Signore sia con tutti voi». Dalla tombadove Lo avevano rinchiuso, Cristo Gesù è usci-to per noi, per portare la vita dove c’era la mor-te. Egli è risorto per noi e non ci lascerà manca-re nulla: appoggiati a questa certezza riusciremo

a superare ogni difficoltà. Di nuovo auguro atutti buona Pasqua, nella pace di Cristo.

Saluto i fedeli di lingua araba che seguonoquesta Udienza attraverso i mezzi di comunica-zione sociale! La pace è un dono di Dio ed è ilfrutto di una lotta spirituale incessante nel por-tare la croce ogni giorno dietro Cristo, perchéchi crede in Dio deve tradurre la sua fede inamore verso tutte le Sue creature. Deve trasfor-marsi in uno strumento di pace con tutti i fra-telli. Il Signore vi benedica e Buona Pasqua.

Saluto cordialmente i Polacchi. Domenicaprossima celebreremo la festa della Divina Mise-ricordia. San Giovanni Paolo II l’ha istituita ri-spondendo alla richiesta di Gesù trasmessa asanta Faustina. Così ha detto: «Desidero che lafesta della misericordia sia di riparo e rifugioper tutte le anime. L’umanità non troverà pacefinché non si rivolgerà alla sorgente della miamisericordia» (Diario 699). Con fiducia preghia-mo Gesù Misericordioso per la Chiesa e pertutta l’umanità, specialmente per coloro che sof-frono in questo tempo tanto difficile. Cristo Ri-sorto ravvivi in noi la speranza e lo spirito di fe-de. Di cuore vi benedico.

Saluto cordialmente i fedeli di lingua italiana.A tutti auguro di vivere appieno il messaggiopasquale, nella fedeltà al proprio Battesimo, peressere testimoni gioiosi di Cristo morto e risortoper noi.

Saluto infine i giovani, i malati, gli anziani egli sposi novelli. Carissimi, vi esorto a guardarecostantemente a Gesù che ha vinto la morte eche ci aiuta ad accogliere le sofferenze e le pro-ve della vita come preziosa occasione di reden-zione e di salvezza. Il Signore vi benedica e laVergine Maria vi protegga!

«L’amore è sempre creativo e cercala riconciliazione a qualunque costo»; perciò«sono chiamati figli di Dio coloro che hannoappreso l’arte della pace e la esercitano», sapendo«che non c’è riconciliazione senza donodella propria vita, e che la pace va cercatasempre e comunque». Lo ha sottolineato il Papaall’udienza generale di mercoledì 15 aprile.Rinnovando l’appuntamento settimanaledalla Biblioteca del Palazzo apostolico vaticano

con i fedeli che lo seguono attraverso radio,televisione e web — a causa delle misureantiassembramento imposte dalla pandemiadi covid-19 — il Pontefice ha ripreso le catechesisulle Beatitudini. E commentando il branodella lettera di san Paolo agli Efesini (2, 14-16)si è soffermato sulla settima: «Beati gli operatoridi pace, perché saranno chiamati figli di Dio»(Matteo 5, 9).

Cari fratelli e sorelle,buongiorno!La catechesi di oggi è dedica-ta alla settima beatitudine,quella degli “operatori di pa-ce”, che vengono proclamatifigli di Dio. Mi rallegro cheessa capiti subito dopo la Pa-squa, perché la pace di Cristoè frutto della sua morte e ri-surrezione, come abbiamoascoltato nella Lettura di SanPaolo. Per capire questa bea-titudine bisogna spiegare ilsenso della parola “pace”, chepuò essere frainteso o allevolte banalizzato.

Dobbiamo orientarci fradue idee di pace: la prima èquella biblica, dove comparela bellissima parola shalòm,che esprime abbondanza, flo-ridezza, benessere. Quando inebraico si augura shalòm, siaugura una vita bella, piena,prospera, ma anche secondola verità e la giustizia, cheavranno compimento nelMessia, principe della pace(cfr Is 9, 6; Mic 5, 4-5).

C’è poi l’altro senso, piùdiffuso, per cui la parola “pa-ce” viene intesa come unasorta di tranquillità interiore:sono tranquillo, sono in pace.Questa è un’idea moderna,psicologica e più soggettiva.Si pensa comunemente che lapace sia quiete, armonia,equilibrio interno. Questa ac-cezione della parola “pace” èincompleta e non può essereassolutizzata, perché nella vi-ta l’inquietudine può essereun importante momento dicrescita. Tante volte è il Si-gnore stesso che semina innoi l’inquietudine per andareincontro a Lui, per trovarlo.In questo senso è un impor-tante momento di crescita;mentre può capitare che latranquillità interiore corri-sponda ad una coscienza ad-domesticata e non ad una ve-ra redenzione spirituale. Tan-te volte il Signore deve essere“segno di contraddizione” (cfrLc 2, 34-35), scuotendo le no-


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