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NEWS - EDUCAZIONE DELLE BAMBINE
Non sei una principessa! Nell'educazione delle bambine, quel modello resta l a trappola perfetta. Lo denunciano tanto le femministe che le suore del Kentucky. Ecco come svegliare le piccole in tempo. Senza aspettare il bacio del principe, che non c'è di ELISABETTA MURITTI
La bambina è bella, biondazzurra come avrebbero detto i futuristi, calzamaglia pastello,
cappottino sciancrato, sorriso incantevole. "Tu sei una principessa", la complimenta la
commessa del negozio dov'è entrata con la mamma". "Sì", ammette lei, compresa. E
invece no: "Tu non sei una principessa". Perché "la vita non è una favola". E, tientelo per
detto: "Non aspettarti nessun principe". Nessuno arriverà per baciarti mentre dormi, o
portarti a ballare dopo che hai spolverato i soprammobili, sporca di cenere. Sappilo: "Ti devi
salvare da sola".
La bimba milanese forse scoppierebbe in lacrime a sentirselo ricordare. Ma tant'è: questo le
avrebbero recitato le recenti pubblicità di una Prep School della provincia americana (solo
ragazze, dai 14 ai 18 anni, più o meno), privata e cattolica, a Louisville, Kentucky, che di
"You're Not a Princess" ha fatto il proprio slogan di battaglia. La campagna ha subito
scaraventato la piccola Mercy Academy nella notorietà ideologico-mediatica internazionale:
suore e femministe laiche Usa sorprendentemente affiancate nel deplorare un'istruzione e
un'educazione femminile stereotipate, che non esigono competenze, preparazione,
perseveranza, indipendenza di giudizio, cultura, fatica, dignità, coraggio, studio, escludendo
ogni sogno a larga gittata.
Unite nell'avvertire che il futuro si preannuncia duro per tutte, e non ci sono bacchette
magiche. I poster della scuola, corredati da tiare sfavillanti, scarpine di cristallo, giovani
monarchi in alta uniforme e sirenette sinuose, raccontano tutt'altro lieto ine (senza
assicurarlo, ovvio) e incitano a tenersi pronte per la realtà, a non rinunciare al potere di
governare il mondo, ma semmai a concepirlo in un altro modo, diventando protagoniste di
storie ben meno stucchevoli e bugiarde. La "principessizzazione" di bambine e ragazzine è
un problema serio. Connesso all'educazione di genere.
Non per nulla, in Italia, Elsa Fornero ha emanato poco prima della caduta del governo Monti
un documento "per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate
sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere". La direttiva è stata poi recepita dalla
legge Carrozza 128/2013, che prevede lo stanziamento di 10 milioni di euro per la
formazione obbligatoria dei docenti alle pari opportunità. Spiega Barbara Mapelli, docente di
pedagogia delle differenze di genere all'Università di Milano-Bicocca: "I negozi per l'infanzia
straboccano di abiti e giocattoli rosa. In un mondo che cambia a velocità vertiginosa, hanno
preso ancora più forza queste forme di regressione culturale, questi ritorni a tradizioni
esasperate. Che tra l'altro colpiscono anche i maschietti, costretti ad aderire a modelli
preconfezionati".
Insomma, la Bella Addormentata, avvolta di sete e velluti, e il Principe Azzurro sul bianco
destriero impennato. "Certo, non è facile affrontare mutamenti così rapidi e complicati. Ma
bisogna intervenire, a partire dai genitori, che non dicono mai nulla e quindi legittimano gli
stereotipi". Si chiede anche, Barbara Mapelli, come mai madri aggiornate, che lavorano,
fanno carriera, non riescano poi a proteggere le loro figlie da quest'immaginario fuori dal
mondo, da questo bombardamento incontrollato, da questa mancanza di ironia nel
decodificare i messaggi pubblicitari. E mette sott'accusa, dunque, una generazione di
mamme-di-principesse. "È fatta di giovani donne che faticano ad accettare la realtà qual è.
Da piccole erano precoci, non vedevano il pericolo, non ricevevano messaggi contrastanti;
poi si sono trovate accanto a maschi non forti, coi quali non sanno vivere ruoli di
condivisione. Ed ecco la marea dei divorzi". Poca ironia e tante pretese, e un futuro finto e
sberluccicante come un gioiello di bigiotteria: ma il mito è inossidabile. Le "principesse
Disney" sono un brand appetitoso, un redditizio franchise che arruola le regali fanciulle dei
vecchi e nuovi film d'animazione della media company statunitense (da Biancaneve a
Pocahontas, da Ariel la Sirenetta a Soia The First, più di 25 mila prodotti, con incassi che
tra il 2001 e il 2006 sono passati dai 300 milioni ai 3 miliardi di dollari).
E non rinuncia alle principesse (Anna ed Elsa) nemmeno Frozen-Il regno di ghiaccio,
l'ultimo film prodotto e distribuito dalla Disney, benché presentato come non esclusivamente
"da bambine". Certo, in America c'è la generazione degli stay-at-home-dad quarantenni, i
"casalinghi intellettuali" per necessità o per scelta che si scagliano contro il "Princess
Industrial Complex". Ne è un emblema combattivo Andy Hinds, genitore di due gemelline di
3 anni, creatore del sito Beta/Dad e collaboratore del blog DadCentric. Ma sorvegliate le
truppe minorenni, e anche ammesso che le loro principessine si siano un po' evolute, resta
da rimettere in riga la compagine delle adulte.
Ancora più "sentimentali" delle bambine, se diamo retta agli ultimi kolossal cinematografici
(Naomi Watts a interpretare Lady D, Nicole Kidman nei panni di Grace di Monaco) e ai
sondaggi (Point de vue, periodico francese che tratta l'actualité glamour des têtes
couronnées, pubblica l'hit parade delle principesse 2.0 più amate, guarda caso spesso delle
borghesi che ce l'hanno fatta, Letizia di Spagna, Mary di Danimarca, Matilde del Belgio,
Maddalena di Svezia, a parte l'immarcescibile Caroline di Monaco, che "a soli 14 anni,
vestita da Givenchy, seduceva già il re Costantino di Grecia"). "La crisi economica
rinvigorisce scettri e corone", si duole Barbara Mapelli. "I sogni diventano rifugi. Tanto più
che i problemi economici fanno traballare il ruolo di breadwinner del maschio, e magari i
coniugi si trovano a dover accettare entrambi dei lavori poco gratificanti. Anche la crisi è da
vedere in un'ottica di genere. Meglio dire a queste principesse pseudomoderne, dotate di
qualche tratto emancipato, che rischiano di trovarsi in casa un principe orribile".
Per Judith Tissi Pinnock, psicologa, scrittrice, femminista, docente della Scuola di politica
dell'Udi, nonché autrice, insieme a Serena Gibbini Ballista, del saggio Bellezza femminile e
verità. Modelli e ruoli nella comunicazione sessista (Lupetti), più che una
microemancipazione illusoria e funzionale, le malate di "sindrome principesca" manifestano
un'emancipazione negativa. E cioè? "L'adesione, da parte delle donne, a una mitologia,
anzi, sempre alla stessa mitologia: il supereroe destinato all'esplorazione del mondo, in
movimento verso lavori pagati, e la principessa, dedita alla perfezione estetica e ai lavori di
cura. Questa mitologia è sottoscritta in tutte le età della vita femminile, grazie a spiccate
capacità di sopportare e sacrificarsi".
Pinnock è preoccupata: "Guardiamo cosa c'è dietro a una "principessa": una ragazza
giovane e bella che deve riscattarsi da una maledizione, che dev'essere salvata. Senza
"principe" la sua vita è ferma. È un soggetto inessenziale, è condannata all'invisibilità, ha
ricevuto il messaggio che la competenza non paga. Si perde dietro una giovinezza che non
dura. Che aspiri a un trono o a un ministero". Eppure, anche se perfino le suore del
Kentucky tuonano contro una generazione di genitori che non fa appello alla faticosa
bellezza della normalità, forse ci vorrebbe un po' di comprensione... Come comportarsi con
una bambina che ama i vestitini rosa e dice che da grande farà la principessa?
Magari è solo romanticismo in erba, e le proibizioni, si sa, non possono che renderla più
golosa di melassa. E come comportarsi con un'adolescente che si sente dire da anni che
non troverà mai un lavoro, che con la cultura non si mangia, che darsi da fare è da sfigate,
che i valori che contano sono giovinezza, avvenenza, furbizia, freddezza? Occorre,
appunto, freddezza. "Sono andata a casa di amici più giovani, con figli piccoli. La bambina
ha messo i sette nani sul trenino, io le ho messo Biancaneve sulla locomotiva, lei mi ha
detto che le femmine non sanno guidare i treni, io l'ho presa in giro: non è vero, moltissime
lo fanno...", racconta Barbara Mapelli. In questo simile a signore progressiste Usa come
Sonia Sotomayor, giudice della Corte Suprema, che in un video destinato ai programmi tv
dei bambini, avverte che far la principessa non è un mestiere su cui investire.
O Amy Reiter, scrittrice e giornalista di successo, che alla figlia di 4 anni, intenzionata a
seguire le orme di Kate Middleton, ha detto: "Bene. Lo sai, vero, che per far la principessa
bisogna studiare tantissimo, imparare le lingue, laurearsi in scienze internazionali e
diplomatiche, meglio ancora una laurea magistrale in studi internazionali?". Anche sulle
adolescenti, però, possiamo lavorare. "I giovani crescono già avvolti dallo stereotipo, ma
basta poco per sbloccarli. Certo, devi farti educatore: ai maschi devi dar ragione quando ti
dicono che le femmine non sono le sole vittime, prova tu a dire a una di loro che sei un tipo
a cui piace la poesia. E alle ragazze devi ricordare che oggi sono le più brave, peccato che
basti un anno, quello tra la ine della scuola e l'ingresso nel mondo del lavoro, a ribaltare
questo vantaggio.
Come se il loro corpo fertile fosse una menomazione ", spiega Judith Pinnock. Che poi
parte lancia in resta: "La "principessizzazione" è l'ultima lotta di classe. Nessuna donna ne
è esente, è un gioco feroce tra chi può e chi non può. Come tutte le discriminazioni produce
discriminazioni, ed è legata a un preciso sistema economico. In più è una ferita psicologica,
che sottrae alla giovane la chance di giocarsi la carta delle competenze e del potere". Già,
come diceva Oscar Wilde, ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un
desiderio e soddisfarlo. Magari ci riesci, a far la principessa. Ma la principessa prima o poi,
se diventa regina, deve far vedere quant'è brava.