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‘Dentro’ la luce: onde o corpuscoli?Le moderne interpretazioni sulla natura della luce risalgono al XVIII secolo e sono attribuibili al fisico inglese Isaac Newton e all’astronomo olandese Christian Huygens, sostenitori di ipotesi diverse.
In estrema sintesi, secondo Newton vediamo gli oggetti che ci circondano perché essi emettono dei corpuscoli, mentre per Huygens le immagini che percepiamo, in analogia ai suoni, sono formate da un flusso di onde che partono dai corpi.
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Un passo decisivo nella
comprensione della natura della
luce fu fatto ancora una volta
grazie allo studio dell’elettricità.
Nella seconda metà del XIX
secolo, il fisico scozzese Maxwell,
studiando i fenomeni elettrici e
magnetici, intuì che una carica
elettrica oscillante doveva
produrre un campo elettrico e
uno magnetico, tra loro
perpendicolari, che si
propagavano in forma di onde.
L’esistenza di tali onde
“elettromagnetiche” fu poi
effettivamente dimostrata
sperimentalmente dal fisico
tedesco Hertz
Linee del campo elettrico che si propagano in tutte le direzioni
carica elettrica oscillante
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Poiché spesso l’interazione tra luce e materia riguarda esclusivamente la componente elettrica della radiazione, per semplicità si rappresenta solo quest’ultima.
La luce rivelava un comportamento analogo a quello delle onde elettromagnetiche e, poiché la velocità di propagazione di queste ultime risultò uguale a quella misurata per la luce, egli concluse che:
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Ogni onda elettromagnetica è caratterizzata da una lunghezza
d’onda λ (lambda), che rappresenta la distanza fra i punti corrispondenti
di due onde successive, e dalla frequenza ν (ni), che è il numero delle
oscillazioni che l’onda compie in un secondo.
Frequenza dimezzata
Lunghezza d’onda raddoppiata
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Lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali e la
costante di proporzionalità è data dalla velocità di propagazione dell’onda.
La velocità di tutte le onde elettromagnetiche, luce compresa, è dunque
costante ma varia da un mezzo all’altro (aria, acqua, vetro ecc.).
Nel vuoto essa vale circa 300 000 km · s-1 e si indica con la lettera c.
La lunghezza d’onda viene misurata in metri, mentre la
frequenza viene misurata in cicli al secondo o hertz (Hz).
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Le onde elettromagnetiche hanno frequenze comprese tra
1024 Hz per i raggi cosmici fino a pochi hertz per alcuni tipi di
onde radio, ed è proprio la frequenza che determina
l’energia di un’onda e quindi il suo modo di interagire con
la materia.
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Vi sono onde (o radiazioni) elettromagnetiche con frequenze
diversissime.
L’insieme di tutte le radiazioni elettromagnetiche si dice spettro
elettromagnetico.
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Le onde elettromagnetiche possono comportarsi in maniera diversa quando incontrano la materia. Da questo punto di vista, esse possono essere divise in due grandi categorie:
le onde con frequenza superiore a 3 ·1015 Hz e
quindi lunghezza d’onda inferiore a 100 nm hanno
un’energia sufficiente per staccare gli elettroni dagli
atomi e sono dette radiazioni ionizzanti;
le onde con frequenza inferiore a 3 ·1015 Hz non
trasportano un quantitativo di energia sufficiente a
staccare gli elettroni: sono dette radiazioni non
ionizzanti e hanno più blande interazioni con la materia;
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Lo spettro elettromagnetico è stato suddiviso in
regioni, in particolare le radiazioni percepibili
dall’occhio umano appartengono alla zona del
visibile, compresa tra 400 nm e 700 nm.
Ultravioletti (UV) e infrarossi (IR) per
noi sono invisibili, ma interagiscono
entrambi con il nostro organismo: i primi
sono responsabili dell’abbronzatura della
nostra pelle, mentre i secondi li
avvertiamo, sotto forma di calore, quando
ci avviciniamo a un fuoco o a un
termosifone. C2 Luce ed elettroni Pina Russo
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La luce del Sole è formata da onde elettromagnetiche di molte lunghezze d’onda diverse. Lo vediamo quando essa attraversa un prisma di materiale trasparente, o delle gocce d’acqua, dando luogo all’arcobaleno.
Quando un fascio di luce emesso dalle comuni sorgenti luminose, che
sono per lo più policromatiche, attraversa per esempio un prisma
trasparente o delle gocce d’acqua, viene scomposto nelle radiazioni di
diversa frequenza che lo compongono.
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Passando da un mezzo (l’aria) a un altro (il materiale del prisma, l’acqua)
ogni radiazione viene deviata in modo proporzionale alla sua frequenza.
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Anche elementi in fase gassosa, se opportunamente stimolati, sono in grado di emettere luce, come si verifica nei comuni tubi al neon o, in modo più spettacolare, con i diversi colori dei fuochi d’artificio.
Ciò che distingue queste sorgenti è che la luce emessa ha colore diverso a seconda dell’elemento che la produce ed è composta da poche frequenze diverse.
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Scomponendo la luce emessa da questi elementi con un prisma,
si produce un’immagine (detta spettro) che, anziché variare con
continuità da un colore all’altro, è costituita da poche righe
distinte, caratteristiche dell’elemento che emette la luce.
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Gran parte dei corpi che vediamo normalmente non emettono luce propria. Il loro colore dipende dalla lunghezza d’onda delle radiazioni che essi non assorbono e ‘rimbalzano’ su di loro. Il colore di un corpo dipende dunque sia dalle sue caratteristiche, sia anche dalla composizione della luce che lo illumina.
Sono esempio i pigmenti fotosintetici, primo tra tutti la clorofilla. Le piante appaiono verdi perché la clorofilla assorbe i fotoni nel rosso e nel blu, riflettendo quelli del giallo e del verde. Il nostro occhio fa il resto dato che è più sensibile al verde che al giallo.
Gli stessi oggetti, illuminati con luce di diversa composizione,
appaiono di colori differenti. È per questo che, prima di acquistare
una maglietta, vogliamo vederla alla luce del giorno e non solo a quella
artificiale del negozio.
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Quanti e fotoniLo studio degli spettri dei due diversi tipi, continuo e a righe, occupò i fisici tra l’Ottocento e il Novecento. Era noto che un corpo riscaldato cambiava colore con l’aumentare della temperatura. Un pezzo di ferro, per esempio, assume prima un colore rossastro, poi giallo, poi bianco con sfumature addirittura bluastre se la temperatura è sufficientemente alta.
Anche il colore delle stelle è legato alla loro temperatura. Si può addirittura fare una buona stima della temperatura superficiale di una stella in base al suo colore: le stelle ‘più fredde’ ci appaiono rosse e quelle più calde azzurre. In generale, i fisici pongono la seguente definizione:
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L’analisi dello spettro emesso da un corpo riscaldato (spettro del corpo nero) rivelò che il cambiamento di colore legato allo stato termico di un corpo è dovuto al fatto che, all’aumentare della temperatura, esso emette radiazioni il cui massimo si trova a energie sempre più alte (cioè verso il blu).
E questo accade indipendentemente dalla natura del corpo osservato: in altre parole, gli spettri dei corpi riscaldati sono legati solo alla loro temperatura.
Purtroppo però le leggi dell’elettromagnetismo, che descrivevano le modalità con le quali la materia emette luce, non erano in accordo con le osservazioni sperimentali.
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La spiegazione della composizione della luce emessa dai corpi riscaldati venne trovata nel 1900 da Max Planck che, per determinare delle equazioni in grado di descrivere matematicamente i fenomeni osservati, dovette imporre le seguenti condizioni:
I pacchetti di energia vennero chiamati quanti (dal latino quanta,
“quantità definite, discrete”) e h, pari a 6,626 · 10-34 J · s, fu detta
successivamente costante di Planck.
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L’energia emessa dalle sorgenti
luminose è dunque strettamente legata
alla frequenza della radiazione. Questa
limitazione può essere meglio compresa
se facciamo un paragone con la
distribuzione dei liquidi. È come se i
rubinetti non potessero essere regolati a
piacere, ma si comportassero come dei
distributori di lattine: aprendo di più il
rubinetto, vedremmo uscirne non un
getto più potente, ma un numero
maggiore di lattine. Inoltre, al variare del
liquido erogato cambierebbero anche le
dimensioni dei contenitori.
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La teoria dei quanti trovò conferma
quando Einstein riuscì a spiegare il
fenomeno per cui alcuni metalli, se
investiti da radiazioni di frequenze
opportune, emettono elettroni (effetto
fotoelettrico).
L’emissione si verifica soltanto
quando la frequenza della radiazione
incidente supera un certo valore vo,
detto soglia fotoelettrica,
caratteristico del metallo considerato.
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Nel 1905 Einstein, utilizzando la teoria di Planck, immaginò che
l’energia della radiazione luminosa fosse non solo scambiata per
quantità discrete, ma fosse anche costituita da ‘pacchetti’, cioè
quantizzata.
Per Einstein quindi:
Dal 1923 i quanti di luce vengono chiamati fotoni.
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Il lavoro di Einstein riaccendeva i dubbi sulla natura della luce. Tutti i
fenomeni luminosi studiati fino a quel momento (diffrazione, riflessione,
rifrazione ecc.) erano perfettamente spiegabili considerando la luce un
insieme di onde (teoria ondulatoria); mentre l’effetto fotoelettrico richiedeva
di ipotizzarla formata da particelle (teoria corpuscolare). Einstein stesso
ammise che non si poteva decidere se la luce fosse un’onda o un getto di
fotoni. Si deve ricorrere a volte a una teoria e a volte all’altra, a seconda dei
fenomeni considerati. Per questo motivo, in relazione alla natura delle onde
elettromagnetiche, si parla di dualismo onda-corpuscolo.
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Spettri a righe: segnali dagli atomi
Sappiamo che il modello di Rutherford non era completo, in quanto
l’elettrone, per continuare a ruotare attorno al nucleo, avrebbe dovuto
emettere energia elettromagnetica, perdendo via via energia cinetica, fino
a precipitare sul nucleo stesso annullandosi. In altre parole l’atomo, in un
intervallo di tempo brevissimo, avrebbe dovuto perdere la propria stabilità,
cosa che invece non accade.
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Il modello, inoltre, non spiegava il comportamento degli elementi in fase gassosa che, se opportunamente stimolati, emettono luce. Lo spettro di emissione rivelava infatti la presenza di poche righe soltanto, le cui frequenze erano diverse da elemento a elemento.
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Se un atomo emette o assorbe soltanto radiazioni di ben precisa frequenza, ciò indica che per i suoi elettroni è possibile ricevere o cedere esclusivamente determinate quantità di energia. In altre parole, gli elettroni possono solamente ‘saltare’ tra alcuni stati energetici ben definiti e fissi, come se nell’atomo esistessero dei “gradini” di energia.
La quantizzazione negli atomi: Niels BohrNel 1913, Niels Bohr si rese conto che le righe degli spettri di emissione o di assorbimento dell’idrogeno e degli altri elementi erano segnali della quantità di energia posseduta dagli elettroni nei rispettivi atomi.
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Queste considerazioni condussero Bohr a proporre un nuovo modello
atomico basandosi su due affermazioni che contrastavano con la
meccanica classica. Si tratta di due postulati, cioè affermazioni non
dimostrate, accettando le quali si riescono a calcolare esattamente le
frequenze degli spettri dell’atomo di idrogeno.
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Il primo postulato di Bohr afferma che:
I raggi di tali orbite soddisfano tutti la relazione:
Al fattore n, un numero intero che può assumere tutti i valori compresi tra 1
e infinito (∞), Bohr diede il nome di numero quantico principale.
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Il modello atomico di Bohr, dunque, mantiene la struttura ‘planetaria’, con
elettroni che girano intorno al nucleo, già suggerita da Rutherford, ma
impone che soltanto alcune orbite siano percorribili.
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La distanza dal nucleo delle orbite permesse è quantizzata, A partire dal valore del
raggio di un’orbita, Bohr calcolò l’energia posseduta da un elettrone su di essa.
Anche le energie delle orbite risultano così quantizzate poiché dipendenti dal
numero quantico principale: n.
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Il secondo postulato di Bohr afferma che:
In pratica l’elettrone occupa una ben definita orbita, che è la sua orbita
fondamentale. Quando riceve energia dall’esterno, passa a una delle
orbite di energia superiore. Dopo un tempo brevissimo, l’elettrone torna
nella sua orbita fondamentale ed emette un fotone, la cui energia
corrisponde esattamente alla differenza tra l’energia dell’orbita occupata
nello stato eccitato e quella dell’orbita fondamentale.
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A ogni differenza di energia tra le orbite corrisponde una diversa
frequenza di emissione, e quindi una riga del relativo spettro.
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I valori trovati sperimentalmente per le righe di emissione avevano mostrato l’esistenza di sette livelli energetici, via via più vicini tra loro, indicati secondo energie crescenti con le lettere K, L, M, N, O, P, Q.
In realtà, esistono infiniti livelli di energia, ma dopo il settimo essi sono così ravvicinati da essere difficilmente distinguibili. Si dice che per quei valori di energia i livelli formano un continuum.
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La quantizzazione negli atomi: Sommerfeld
Il modello atomico ideato da Bohr spiegava lo spettro dell’idrogeno.
Inoltre, pur non riuscendo a prevedere matematicamente le frequenze delle righe di atomi con più di un elettrone, il suo modello consentiva di spiegare perché elementi diversi emettevano radiazioni di differente frequenza.
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Le frequenze delle radiazioni emesse o assorbite, infatti, dipendono dalle energie delle orbite interessate al salto elettronico, il cui raggio varia da elemento a elemento a causa del diverso numero di protoni ed elettroni dei loro atomi. Per ‘vederlo’, si possono per esempio bagnare con acido cloridrico i composti di alcuni metalli, il che li rende facilmente volatilizzabili alla fiamma del becco bunsen. Il calore eccita allora gli elettroni che, tornando nella loro orbita fondamentale, conferiscono alla fiamma colorazioni caratteristiche, dovute alle diverse frequenze dei fotoni rilasciati.
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Successivamente, utilizzando strumenti più perfezionati, si scoprì che le righe degli spettri sono in realtà costituite da gruppi di righe più sottili. Per spiegarlo, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld estese il primo postulato di Bohr con una nuova condizione:
In sostanza, agli
elettroni sono
permesse orbite
non solo circolari, ma
anche ellittiche, per le
quali sono consentite
ben definite
orientazioni spaziali.
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Ogni orbita ha un valore di energia suo proprio, che può essere rappresentato con l’introduzione di due nuovi numeri quantici: uno collegato alla forma dell’orbita l e uno alla sua orientazione spaziale m.Nell’atomo si individuano quindi diversi livelli di energia, a ciascuno dei quali appartengono (a partire dal secondo livello) una o più orbite (o sottolivelli) vicine tra loro che gli elettroni possono percorrere.In seguito Wolfgang Pauli introdusse un nuovo numero quantico, collegato alla rotazione dell’elettrone su se stesso (spin).
Il nuovo modello atomico che si ottenne dalla quantizzazione della forma e dell’orientazione delle orbite, modello di Bohr-Sommerfeld, costituiva un passo in avanti rispetto al modello di Bohr ma lasciava ancora molti problemi irrisolti: spiegava solo parzialmente, per esempio, gli spettri di atomi con più elettroni.
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Le energie di ionizzazione: la conferma dei livelli di energiaLe conclusioni cui erano arrivati Bohr e Sommerfeld, in base alle quali gli elettroni di un atomo possiedono una differente energia in funzione della loro distanza dal nucleo, furono avvalorate da altre ricerche.In un atomo, elettroni e nucleo hanno carica elettrica opposta e si attraggono perciò reciprocamente, per la forza di Coulomb, con un’intensità inversamente proporzionale alla loro distanza. Quanto più un elettrone dista dal nucleo, dunque, tanto più debolmente è a esso legato.
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Si possono determinare sperimentalmente le energie necessarie (seconda ionizzazione, terza ionizzazione e così via) per strapparne anche tutti gli altri elettroni. Le energie di ionizzazione determinate sperimentalmente per un dato elemento presentano valori progressivamente crescenti, come è logico attendersi.
Gli elettroni strappati in successione sono infatti sempre più vicini al nucleo e quindi più fortemente legati a esso.
Su di loro inoltre agisce una carica positiva residua sempre maggiore, perché sempre maggiore è il numero dei protoni non più bilanciati dagli elettroni che sono stati allontanati.
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Analizziamo i valori delle energie di ionizzazione dei dodici elettroni del magnesio e mettiamoli in grafico Si può osservare che le prime due ionizzazioni, cioè l’allontanamento dei due elettroni più esterni, richiedono energie simili. Con il terzo valore, l’energia necessaria si impenna bruscamente per poi crescere in maniera lineare per l’allontanamento di ognuno di altri sette elettroni. Un nuovo brusco salto si verifica quando si considerano le energie di ionizzazione degli ultimi due elettroni.
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L’interpretazione dei dati sperimentali ci porta a concludere che i dodici elettroni del magnesio sono suddivisi in tre livelli di energia: due elettroni appartengono al primo livello, il più vicino al nucleo, otto sono nel secondo livello, intermedio, e due stanno nel terzo livello, quello più esterno.
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C2 Luce ed elettroniEner. ionizzazione
All’interno di uno stesso livello vi sono dunque due gruppi di elettroni che si
differenziano per i valori di energia posseduta. I due gruppi individuano così due
sottolivelli la cui presenza era già stata determinata da Sommerfeld quando aveva
introdotto un nuovo numero quantico collegato alla forma delle orbite degli elettroni
di un dato livello di energia.
Un’analisi estesa a tutti gli elementi noti ci permette di stabilire che:
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Esiste pertanto un solo sottolivello per il primo livello di energia
(n = 1) che in totale può ospitare due elettroni.
Nel secondo livello (n = 2), invece, possono stare al massimo otto
elettroni (2 · 22) distribuiti in due sottolivelli.
Nel terzo livello (n = 3) trovano posto tre sottolivelli, per un massimo
di 18 elettroni, quattro nel quarto, per complessivi 32 elettroni e così
via. I sottolivelli vengono contraddistinti con un numero che indica il
livello di energia e una lettera che indica il sottolivello.
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