DON FRANCESCO ZENNA
“Voglio osservare il Santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo...”
(dalle Costituzioni)
Esercizi Spirituali 2009
DON FRANCESCO ZENNA
“Voglio osservare il Santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo...”
(dalle Costituzioni)
Esercizi Spirituali 2009
ISTITUTO SECOLARE DEI MISSIONARIDELLA REGALITA’ DI CRISTO
Esercizi SpiritualiLa Verna 22-29 agosto 2009
INDICE
LA CONSACRAZIONE
I CONSIGLI EVANGELICI
LA POVERTA’
L’OBBEDIENZA
LA CASTITA’
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41
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PREFAZIONE
Offriamo a tutti questo piccolo opuscolo che
raccoglie le meditazioni di DON FRANCESCO
ZENNA agli Esercizi Spirituali del 2009 a La
Verna, in Italia, luogo in cui SAN FRANCESCO
ricevette le stigmate.
E’ un testo di meditazione da tenere unito alla
n o s t r a R E G O L A D I V I T A – L E
COSTITUZIONI quale aiuto per approfondire e
vivere gli impegni liberamente assunti DAVANTI A
D I O , a l l a C H I E S A , a l l a C O M U N I TÀ
DELL’ISTITUTO.
Il Presidente
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1 MEDITAZIONE
LA CONSACRAZIONE
“Dio Onnipotente ed eterno,giusto e misericordioso,
concedi a me misero di fare sempre, per grazia tua, quello che Tu vuoi
e di volere sempre quello che a Te piace.Purifica l’anima mia, perché illuminato dallo Spirito Santo
e acceso dal suo fuocopossa seguire l’esempio del Figlio tuo e Signore nostro Cristo Gesù.
Donami di giungere, per tua sola grazia, a TeAltissimo e onnipotente Dio
che vivi e regni nella gloria, in perfetta Trinitàe in semplice unità, per i secoli eterni. Amen”
(San Francesco)
Mi è stato chiesto di incentrare le meditazioni sulTitolo IV delle Costituzioni “I nostri impegni”, dove siparla di consacrazione, di consigli evangelici, di povertà,castità, obbedienza.
Saranno i titoli delle cinque meditazioni di questigiorni, che svilupperò in maniera molto semplice, senza lapretesa di fare dei trattati di teologia o di spiritualità, macercando, per quanto è possibile, di scoprire insieme convoi che cosa comporta per la nostra vita la chiamata cheabbiamo ricevuto dal Signore.
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La consacrazione
N o i c o n o s c i a m o l ’e t i m o l o g i a d e l t e r m i n econsacrazione, che deriva da “consacrare”, cioè renderesacro. Il sacro è ciò che appartiene a un ordine di coseriservato, inviolabile. E’ tutto ciò che merita rispetto edesce dalla sfera del cosiddetto “profano”. “Sacro” in modopieno e in modo prioritario si dice di Dio e si dice dellecose che hanno relazione con Dio. Allora la parolaconsacrazione designa un atto che unisce a Dio, medianteun legame talmente stretto da far sì che la persona inquestione, che definiamo appunto “sacra”, sia riservata alSignore. E’ consacrato ciò che è riservato al Signore.
Trattandosi nel nostro caso di una persona, laconsacrazione comporta una scelta da parte di Dio checonsacra a sé, che vuole riservare per sé una persona, manello stesso tempo anche una risposta da parte dellalibertà e della responsabilità che è propria di ogni uomo.Quindi l’incontro che rende sacra una persona, che laconsacra, è la convergenza di due volontà: quella di Dioche prende l’iniziativa e quella dell’uomo che rispondedonandosi. Non sto dicendo niente di straordinario, masto focalizzando dei concetti che ogni tanto abbiamobisogno di r iprendere, per capire la bellezza e laprofondità di questa vocazione che abbiamo ricevuto. Inverità è in forza del battesimo che noi siamo consacrati alSignore: la chiamata fondamentale, la chiamata essenzialeè infatti quella del Battesimo; è per essa che Dio fa suol ’uomo, per render lo, appunto, figl io nel Figl io,assimilandolo, trasformandolo pienamente in Lui.
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La Chiesa stessa, in quanto l’insieme di coloro che,presi da Cristo, inseriti in Cristo, partecipano e vivono“della sua stessa vita, è tutta quanta un popolo che Dioconsacra a sé” (Lumen Gentium, n° 9).
La Chiesa è dunque una comunità di indole sacra.Però alcuni dei suoi membri sono chiamati a incarnare inmodo specifico questo aspetto particolare della santitàecclesiale, fino al punto che per questi, che Dio chiama auna spec ia le consacraz ione, avv iene una nuovaconsacrazione. Q uindi pur fondandosi su quel labattesimale, questa nuova consacrazione differisceessenzialmente da quella comune di tutti i fedeli (cfrLumen Gentium, n°10). Il Concilio afferma che questanuova consacrazione “ha le sue radici profonde nellaconsacrazione battesimale e ne è l’espressione perfetta”(PC, 5). Però è una nuova e speciale consacrazione.
Restando ancora nell’insegnamento del Concilio: Lavita consacrata è un arrendersi incondizionatamenteall’Amore di Dio, è un donarsi totalmente a Lui, è undonarsi pienamente al suo servizio. E’ un arrendersiincondizionatamente all’Amore che Dio ha per noi. E’ unamore dentro il quale Dio ci chiama, ci coinvolge. E’ undonarci totalmente a Lui (cfr Lumen Gentium, n° 44).Questa consacrazione è innanzitutto amore di Dio,ricerca di Dio, incontro con Dio. E’ questo il suomovimento primo, assolutamente fondamentale, perchépossa esserci, perché si possa parlare di consacrazione. Loscopo di questa consacrazione è un impegno radicale divivere per Lui, per Dio solo. È, come dice il Concilio, ilservizio e l’onore di Dio, che muove chi accetta di lasciarsiconsacrare a Lui, cioè di lasciarsi prendere in disparte da
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Lui. L’obiettivo è la sua glorificazione, è il servizio el’onore di Dio.
Quindi il “proprium”, lo specifico del consacrato èquesto: puntare su Dio e puntare su Dio direttamente.Tutti gli stati di vita consentono la scelta di Dio,domandano per essere vissuti evangelicamente che Dios ia l ’ob ie t t i vo, i l punto d i a r r i vo, anche l a v i tamatrimoniale. Quella della speciale consacrazione è lascelta di “Dio solo”, è un puntare su di Lui direttamente,senza intermediari. E’ la sete di Dio che viene resa vita,che viene resa attività. Se c’è un Salmo che è tutto nostroè il Salmo 63: “Tu sei il mio Dio, all ’aurora ti cerco, ha setedi Te l ’anima mia, desidera Te la mia carne; il tuo Amorevale più della vita”. La Liturgia ce lo fa cantare spessoquesto salmo, ma noi con questo salmo dovremmopregare tutti i giorni.
Questo stato di vita è diventato per noi uno statoufficiale, è uno stato ufficiale nella Chiesa, riconosciutodalla Chiesa. La Chiesa lo ha ufficializzato attraverso ilRito della Professione; con il Rito della Professione laChiesa lo unisce all’offerta di Cristo. E noi siamoveramente, di fronte alla Chiesa e di fronte al mondo,coloro che per “professione” cercano Dio, che puntanodirettamente su di Lui senza intermediari. Questo,ritengo, sia il paradigma della nostra vita di consacrati:gente che punta su Dio, gente che si fida di Lui, gente acui Dio basta, gente per cui la sua Parola diviene – comedice il Salmo – “lauto convito” .
Mi preme sottolineare questa dimensione della piena,totale, totalizzante, stabile, indivisibile consacrazione aDio. E’ impegno totale per Cristo, radicalizza la
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consacrazione battesimale, la conduce a pienezzamediante la professione dei consigli evangelici.
E’ così anche per noi membri di Istituti Secolari. Loaffermava Paolo VI nel 1972 parlando ai ResponsabiliGenerali in occasione del Congresso Mondiale: “Laconsacrazione indica l ’intima e segreta struttura portante delvostro essere e del vostro agire. Qui è la vostra ricchezzaprofonda e nascosta, quella ricchezza che gli uomini in mezzoai quali vivete non si sanno spiegare e spesso non possononeppure sospettare. La consacrazione battesimale è stataulteriormente radicalizzata in seguito a una accresciutaesigenza di amore, suscitata in voi dallo Spirito Santo, nonnella stessa forma dei religiosi, ma pur tuttavia tale daspingervi a un opzione fondamentale per la vita secondo leBeatitudini evangeliche”.
Mi preme sottolineare questo perché quando,giustamente, si insiste sulla dimensione secolare dellanostra vocazione, a volte rischiamo di perdere di vista checomunque la sorgente della vocazione è prima di tuttoquella di puntare direttamente, in maniera totalizzante edefinitiva sulla ricerca di Dio come il nostro bene piùgrande, il Bene assoluto.
Fin dal I Congresso Mondiale del 1970, Paolo VIaveva detto: “La consacrazione di un membro di un IstitutoSecolare lascia intatta la secolarità”. La consacrazione nontoglie niente alla secolarità”. E nel 1976 precisava: “ Nonsolo non toglie il membro di Istituto Secolare dal mondo ma loincorpora ad esso in modo nuovo, poiché i consigli evangelicinon intralciano la laicità”.
Non mi dilungo a richiamare e a chiarire questadimensione secolare, perché è que l la che c i s ta
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particolarmente a cuore, ma mi dilungo piuttosto asottolineare questa dimensione della consacrazione.
Nell’economia del tema d questi Esercizi sottolineeròprevalentemente questa dimensione teologica e spiritualedella consacrazione.
Richiamo ancora un passaggio del pensiero di PaoloVI, passaggio che ricorda come la consacrazione resta unelemento costitutivo della stessa secolarità. Non si dàsecolarità consacrata se non c’è in un membro di IstitutoSecolare la presa sul serio della consacrazione come sceltadi vita, come vocazione, come chiamata. “La vostra è unaforma di consacrazione nuova e originale, suggerita dalloSpirito, per essere vissuta in mezzo alle realtà temporali e perimmettere la forza dei Consigli Evangelici, dei valori divinied eterni in mezzi ai valori umani e temporali” (CongressoCMIS, 1972). Ma è pur sempre consacrazione.
Alla luce di queste considerazioni vi propongoun’icona biblica per la meditazione. La prima iconabiblica che vi propongo è quella del Tabor, così come laracconta Matteo (17,1-5):
“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo eGiovanni suo fratello e li condusse in disparte, su unalto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suovolto brillò come il sole e le sue vesti divennero candidecome la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, checonversavano con lui. Pietro prese allora la parola edisse a Gesù: “Signore, è bello per noi restare qui; sevuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè euna per Elia”. Egli stava ancora parlando quandouna nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed
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ecco una voce che diceva: “Questi è il Figlio mioprediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”.
“Sei giorni dopo …”. Vuol dire che l’esperienza delTabor comincia sei giorni prima, quando Gesù detta lecondizioni per una sequela radicale. Infatti il brano sicollega chiaramente a quel momento con l’espressione“Sei giorni dopo”. Andiamo a riprendere quel testo:
“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuolvenire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce em i segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, laperderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, latroverà»” (Mt 16, 24-25).
L’invito che Gesù rivolge a Pietro, Giacomo eGiovanni suona come una provocazione. Siete dispostia seguirmi a queste condizioni? Sei giorni dopo, nonera ancora tramontato il ricordo di queste richiesteradicali di Gesù che invita i tre discepoli a seguirlo sulmonte. È come se chiedesse: siete pronti? Sietedisposti? Accondiscendete?
E poi il racconto si sviluppa attraverso elementi digrande spessore simbolico, proprio a richiamare questaprovocazione.
“Gesù prende con sé”. Si tratta di una vocazione, diuna provocazione appunto. Ma prima ancora si trattadi una elezione da parte del Signore Gesù, perché lascelta è sua, è Lui il protagonista: “Non voi avete sceltom e , m a i o h o s c e l t o v o i ”. L a d inamic a de l l a
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consacrazione è racchiusa in questo racconto con isuoi significati simbolici.
“P rese con sé Piet ro, Giacomo e Giovanni ”.L’elezione, la vocazione, non è generica, non èindistinta, indiscriminata, ma personale, cioè rivoltanon al gruppo ma alle singole persone e nemmeno atutte quelle che componevano il gruppo dei dodici.
“Li condusse in disparte”. Non si tratta di unaseparazione ma si tratta di una specificità. La chiamatapersonale richiede uno spazio proprio per potersiesprimere e uno spazio adeguato per poter maturare:quello che viene chiesto a te riguarda te, riguarda latua persona, riguarda la tua storia, ha a che fare con lecoordinate spazio-temporali nelle quali vivi, ha a chefare con la realtà antropologica di persona insituazione in cui tu ti trovi. Comunque ha a che farecon situazioni diverse da quelle degli altri. È proprio laprima domanda che noi potremmo farci per lariflessione: Dove mi ha raggiunto la chiamata delSignore? In quale situazione? In quale momento dellamia vita? In quale dinamica della mia ricerca?
“Li condusse su un alto monte”. Gli elementisimbolici qui sono fondamentalmente due: quandoGesù chiama coinvolge in una fatica: “salire su unmonte” e poi “salire verso l ’alto”. La fatica è indice diconquista. Ogni dono che viene da Dio ci raggiungese noi lo accogliamo nella sua novità, nella suaimprevedibilità. E questa conquista avviene se cidisponiamo alla fatica, la fatica di uscire da noi stessi,d i u s c i r e d a i n o s t r i s c h e m i , d a l l e n o s t r eprecomprensioni; la fatica di fidarci, perché è faticoso
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fidarsi di chi ti chiama a cambiare, uscire fuori dallatua situazione o comunque a leggere la tua situazione,quella in cui ci ha raggiunto la chiamata del Signore,con un occhio diverso, con una prospettiva diversa,quella appunto che porta “in alto, su un alto monte”.
“L’alto” è appunto il luogo “altro” , cioè il luogo diDio, non necessariamente un luogo fisico come si puòben capire, ma un luogo dove è possibile che avvengal’incontro, un luogo sgombro da condizionamentiinteriori ed esteriori. In tutte le culture religiose, inparticolare nella cultura biblica il monte richiamal’idea di maggiore vicinanza a Dio, l’idea di intimità,l’idea di liberazione.
“E lì fu trasfigurato davanti a loro”. Sottolineiamoinnanzitutto che l’evento avviene per loro, quindi Gesùvuole r ivelare loro qualcosa di sé, qualcosa diparticolare, qualcosa di specifico. Che cosa? Che Gesùdi Nazareth è il Figlio di Dio; e ancora che il Regno diDio è già venuto. Queste sono le rivelazioni del Tabor.Due rivelazioni fondamentali per la vita consacrata:Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio; il Figlio perrivelarsi ha assunto il nostro corpo, ha assunto laforma di servo, perché il nostro corpo e tutta lamateria partecipasse in Lui alla forma di Dio. LaTrasfigurazione ci anticipa questa partecipazione. Inquesta trasformazione, in questa metamorfosi non siparla, come negli antichi racconti, di un Dio cheappare in forma umana, ma si parla di un uomo, Gesùdi Nazareth, che assume la forma di Dio. In Lui anchenoi, siamo per dono ciò che Dio è per natura, siamopartecipi della natura di Dio.
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E’ interessante la lettura che Pietro fa nel laSeconda Lettera di questa icona del Tabor, di questomessaggio racchiuso nella Trasfigurazione di Gesù. Laglor ia e la potenza che s i manifestano nel laTrasfigurazione “ci ha donato i beni preziosi che eranostati promessi perché diventaste per loro mezzo partecipidella natura divina”. La consacrazione ci rendepartecipi della natura divina.
Primo messaggio: Gesù di Nazareth è il Figlio diDio e ci rende partecipi della sua stessa natura.Secondo messaggio: il Regno è già venuto; Gesùtrasfigurato è la Verità di Dio manifestata all’uomo edè la Verità di chi è l’uomo per Dio, partecipe della suastessa vita.
Il suo volto di Figlio che risplende in un volto diuomo è la luce della nostra vita, è la realtà verso cuinoi camminiamo, in Lui noi gustiamo il Regno giàvenuto con potenza e grazia. Di questo noi siamochiamati ad essere trasparenza, di questo Regnopresente nel mondo. Ecco chi è il consacrato e quale èl’obiettivo della consacrazione.
“Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennerocandide come la luce”. L’Esortazione Apostolica “VitaConsecrata” assume questa icona biblica all’inizio dellapr ima par te, sot to l inea cos ì un a l t ro aspettoimportante della consacrazione: il fascino esercitato daCristo su chi decide di lasciare tutto e di seguirlo. Perlasciare infatti tante realtà interessanti e positive èproprio necessario che Cristo si riveli come “il piùbello”. Per decidersi a un progetto di vita tanto insolitocome quello della vita consacrata c’è bisogno di una
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rivelazione tutta particolare dell’unicità di Cristo, luiche con il suo splendore può offuscare ogni realtà, luiche con il suo straordinario fascino appare come ilvertice di ogni possibile realizzazione. Altrimenti chidedicherebbe tutta la sua vita a Lui se Egli nona p p a r i s s e c o m e i l v e r t i c e d i o g n i p o s s i b i l erealizzazione?
Al l ’ i n i z i o d i ogn i voc az ione – d i c e “VitaConsecrata” – c’è una seduzione divina: Dio chiama,Dio attira a sé sul monte, Dio appare – come dice ilSalmo 44 – “come il più bello dei figli dell ’uomo”.
E si giustifica proprio così la risposta di Pietro:“Signore, è bello per noi stare qui”. Letteralmente: esserequi. Espr ime quindi non soltanto un concettogeografico ma una situazione che coinvolge la personanella sua interezza, nel suo essere. E’ bello per noiessere affascinati da Te, da questa divinità che trasparenel tuo volto. E’ bello il fascino che tu eserciti sullapossibilità che noi partecipiamo pienamente a questatua natura divina.
Chi incrocia la bellezza, chi incrocia il fascino delVolto di Cristo prova quell’ invaghimento che fadimenticare tutto, che relativizza tutto e innesca ildesiderio più grande: poter partecipare a questabellezza e a questo fascino.
Ma qui entra in scena un altro protagonista dellaconsacrazione, letta alla luce di questa icona biblica,che è lo Spirito Santo. “Una nube luminosa li avvolsecon la sua ombra”. Dice San Tommaso che nella scenadel Tabor si manifesta tutta la Trinità: il Padre nellavoce che dice: “Questi è il mo Figlio diletto”; il Figlio
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nell’uomo trasfigurato, lo Spirito Santo nella nubeluminosa.
Dice esplicitamente in n° 9 di “Vita Consecrata” :“Come l ’intera esistenza cristiana, anche la chiamata allavita consacrata è in intima relazione con l ’opera delloSpirito Santo. È Lui che, lungo i millenni, attrae semprenuove persone a percepire il fascino di una scelta tantoimpegnativa”.
Lo Spirito rende evidente e convincente questamisteriosa attrazione. Ed è proprio questo che inducead accettare il dono di una vita di piena partecipazionealla vicenda, al destino, alla stessa forma di vita diCristo.
“Questi è il mio Figlio prediletto nel quale mi sonocompiaciuto: Ascoltatelo”. Sembra quasi una risposta aPietro: “E’ bello per noi stare qui, facciamo tre tende”. Lavoce invece: non dire, non fare, ma ascolta. Il fascinodi Gesù, quel che in definitiva attrae in manieratotalizzante è dato proprio dal fatto che egli è il Figlio,Parola definitiva del Padre, che in Lui dice e dà tuttose stesso. A Pietro, che vuol costruire dimore, Colui ilcui trono è il cielo e il cui sgabello dei piedi è la terradice che l’unica cosa a Lui gradita è il cuore umile dichi lo ascolta.
Ancora una pennellata al quadro che stiamodipingendo della vita consacrata: un’esperienza diascolto che porta a riprodurre in sé la stessa forma divita abbracciata da Gesù. Ecco cos’è la vita consacrataalla luce di questa icona biblica: la riproduzione in sestessi della forma di vita di Gesù che passa attraversol’ascolto, un ascolto fattivo.
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La tradizione occidentale ha visto sempre nellaconsacrazione e nei consigli evangelici una forma di vitache configura alla forma di vita di Cristo storico,soprattutto al Gesù vergine, povero, obbediente, per esserepoi in grado di agire come ha agito Lui. Egli è venutosenza potere, nella forma di servo obbediente, senzaricchezze né mezzi umani, con la sola forza disarmatadella Parola; senza gratificazioni affettive, celibe, con la solaforza dell’amore di Dio. Questo per dimostrare che è Diola sua e quindi la nostra realizzazione, e non le scalate alpotere di questo mondo; per ricordare che Dio è la sua e lanostra vera, unica, intramontabile ricchezza, che nessunopuò togliere; per far comprendere che Dio è il suo e ilnostro amore, un amore che riempie totalmente il cuore enon lascia spazio per nient’altro e per nessun’altro. Questaè la grande Parola che il Padre ha pronunciato una voltaper sempre.
Allora dire: “ascoltatelo” vuol dire: guardate a Lui e fatedella vostra vita la sua e incarnate nella vostra vita la suavita.
Coloro ai quali è dato comprendere, coloro cheascoltano questa parola affermano di fronte al mondo cheCristo, pur nelle sue sconcertanti risposte, è la Via vera checonduce alla vita.
Vi suggerisco di prendere in mano questo testo, dileggerlo in continuità con le affermazioni di ciò che è lavita consacrata e di applicare ciò che lo Spirito visuggerisce alla vostra vita, per poter leggere la nostra storia,la storia della nostra vocazione, del nostro “sì” con questaottica e scoprire giorno per giorno la ricchezza di questachiamata che ci è stata rivolta.
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2 MEDITAZIONE
I CONSIGLI EVANGELICI
“Spirito Santo, riempi il cuore dei tuoi fedelie accendi in essi quello stesso fuoco
che ardeva nel cuore di Gesùmentre Egli parlava del Regno del Padre.
Fa che questo fuoco si comunichi a noiCome si comunicò ai discepoli di Emmaus.Fa che non ci lasciamo tanto soverchiareo turbare dalla moltitudine delle parole
ma che dietro di esse cerchiamoquel fuoco che si comunica e infiamma i nostri cuori.
Tu solo, Spirito Santo, puoi accenderloe a Te dunque rivolgiamo
la nostra debolezza, la nostra povertà, il nostro cuore spento.perché Tu lo riaccenda
del calore della santità di vita,della forza del tuo Regno. Amen”
(Carlo Maria Martini)
Se ieri abbiamo approfondito la seconda partedell’artico 13 delle Costituzioni che dice: “Tale professioneesprime in Cristo e nella Chiesa il dono totale della nostrapersona a Dio, ci lega a Lui che amiamo sopra ogni cosa e agliuomini nostri fratelli che intendiamo servire con tutte lenostre forze”, questa mattina cerchiamo di approfondire ilcontenuto della prima parte dell’articolo 13 che recita:
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“La nostra consacrazione si realizza nella professione deiconsigli evangelici vissuti nel mondo, espressa con il voto dicastità e le promesse di povertà e di obbedienza”. La speciale consacrazione avviene allora attraverso la
professione dei consigli evangeli. I consigli evangelici
hanno un’importanza centrale e vengono presentati anche
qui come il segno della totalità della nostra consacrazione.
Vogliamo accostare alcuni elementi per cogliere in
profondità l’importanza dei consigli evangelici e il loro
significato.
I consigli evangelici sono un dono, un dono dall’alto,
quindi non sono l’espressione di un ideale umano. Anche
se hanno il carattere di impegni ascetici che noi ci
prendiamo nei confronti di Dio non sono l’espressine di
un ideale umano. Sono invece grazia, sono dono gratuito,
non scelta umana. Sono la capacità che noi abbiamo di
comprendere e di vivere al massimo l’ideale presentatoci
da Gesù.
Voi capite che questa capacità non ce la possiamo
dare da soli: è qualche cosa che ci viene donato senza
nessun merito.
I consigli evangelici non sono quindi appannaggio dei
migliori: siamo tutti poveri peccatori ai quali è stata fatta
misericordia e ad alcuni dei quali è stato offerto il dono di
accettare nella propria vita il mistero di Cristo per poterlo
poi manifestare al mondo. Coloro che hanno ricevuto il
dono dei consigli evangelici non possono dire “siamo
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migliori degli altri” ma possono dire soltanto: “il Signore
ci ha fatto un grande dono”.
Vi invito ad andare a rileggere uno dei Fioretti che ci
racconta come a S. Francesco Dio rivela che quanto gli
domanda gli è stato dato come dono. E’ il famoso
episodio di Francesco che nel suo dialogo con Dio si
sente rivolgere la domanda: fammi qualche dono. E
Francesco risponde a Dio: cosa posso donarti, non ho
niente. E Dio gli dice: prova a mettere una mano nel tuo
seno; Francesco tira fuori le note tre palle d’oro, che poi
egli dice sono l’obbedienza, la castità e la povertà (FF
1916).
Noi siamo convinti di questo, che i voti sono un
dono. Questo dono ci viene fatto dalla Trinità. Dice
l’Esortazione Apostolica “Vita Consecrata” al n° 20: “La
vita consacrata è annuncio di ciò che il Padre, per mezzo del
Figlio nello Spirito Santo compie con il suo amore, la sua
bontà, la sua bellezza”. E’ veramente lapidario questo brano
di “Vita Consecrata”.
La vita consacrata non è qualcosa che noi facciamo, è
un annuncio con la nostra vita, nella nostra vita, nella
realtà in cui viviamo, per noi nella secolarità, nelle
situazioni più comuni, dove il cristiano è chiamato a
testimoniare la sua fede, di quanto il Padre per mezzo del
Figlio nello Spirito Santo compie. E’ Lui il protagonista e
tutto compie con il suo amore, la sua bontà, la sua
bellezza. Possiamo affermare allora che i consigli
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evangelici sono una traccia della Trinità eterna dentro
questo mondo che passa.
La castità è il riflesso dell’amore che lega le persone
divine: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; la povertà è
l ’e sp re s s ione de l dono to ta l e che e s s i s i f anno
reciprocamente; l’obbedienza manifesta la dipendenza
filiale e non servile che c’è tra le persone divine nella
corrispondenza dell’amore reciproco.
Nella Trinità tutto è ricevuto l’una persona dall’altra;
tutto è accolto da ciascuna persona nei confronti delle
altre; tutto è ridonato; tutto è vissuto in povertà perfetta,
perché quando ci si dona totalmente non si conserva più
niente per sé; tutto è vissuto in dipendenza e nello stesso
tempo in libertà totale. Le persone divine sono allora
l’origine, il modello a cui guardare, sono la forza a cui
attingere per poter vivere quegli atteggiamenti che i
consigli evangelici vogliono definire.
Nella sua esistenza terrena Cristo Gesù, assumendo
una vita casta, povera e obbediente non ha fatto altro che
rendere visibi le la realtà da sempre vissuta nel la
comunione Trinitaria, da sempre vissuta nel suo eterno
atteggiamento verso il Padre, nell’unità dello Spirito
Santo. E lo Spirito Santo dice al cuore della persona
umana, al nostro cuore che Cristo è il modello dell’uomo
secondo Dio. Guardiamo a Cristo e troviamo il modello
di quello che è l’uomo secondo il progetto di Dio. Egli
illumina il cuore perché ne senta la seduzione, si senta
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sedotto dal Signore: “Signore tu mi hai sedotto e io mi
sono lasciato sedurre da Te”. È lo Spirito Santo che
provoca in noi questo. Lo Spirito Santo rassicura il cuore
sulla verità di questa comprensione. Lo Spirito Santo
infonde la forza di accettare e di rispondere a questo dono
che ci viene fatto dalla Trinità, di poter vivere la stessa
esperienza di piena comunione, attraverso l’accoglienza
dei consigli evangelici, che sono dei doni che ci fa la
Trinità, perché possiamo vivere come Cristo e con Cristo
di essa: vivere della Trinità. Allora la risposta che noi
diamo a questo dono trasforma l’impegno dei consigli
evangeli in una nostra espressione d’amore nella stessa
Trinità.
Come non riconoscere che tutto è dono, viene dal
Padre e quindi tutto deve ritornare a Lui, arricchito dalla
nostra esperienza d’amore?Come ritornare a Lui se non
seguendo le orme del Figlio, che per noi si è fatto servo, si
è incarnato, che per noi si è reso partecipe della nostra
stessa natura umana? Come non professare che tutto
questo è reso possibile dalla luce, dalla forza, dall’amore
diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo? Sono un
dono della Trinità per poter ripresentare nella nostra vita
la forma di vita di Gesù Cristo, ripresentare nella nostra
vita la forma con cui Cristo Gesù l’ha vissuta.
La vita consacrata è stata inaugurata dalla persona
stessa di Gesù, non da qualche sua parola, da qualche suo
gesto, da qualche suo discorso. La vita consacrata è stata
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inaugurata dalla sua incarnazione. Prima ancora di aver
chiamato alcuni a condividerla, Egli stesso ha abbracciato
questa forma di vita; con l’Incarnazione il Figlio di Dio
fatto carne, vergine, povero, obbediente, ha inaugurato
anche la vita consacrata.
Egli è il modello insuperabile, primogenito della
nuova creazione, pietra angolare di ogni edificio; in Lui il
Padre ha detto tutto quanto voleva dire. Così inizia la
Lettera agli Ebrei: “Dio che aveva già parlato nei tempi
antichi, molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei
Profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per
mezzo del Figlio”. Ecco perché diciamo che il Figlio è la
Parola fatta carne, è la Parola eterna per mezzo della quale
tutto è stato creato e, nello stesso tempo, è la Parola
incarnata, è l’Eterno che entra nel tempo, il centro del
cosmo e della storia, che permette a noi di capire e ci dà la
possibilità di vivere quello che è il disegno di Dio sul
mondo, sulla storia, sulla nostra vita. Allora la vita
consacrata prende sul serio questa centralità di Cristo e
cerca di modellarsi su di Lui che è la manifestazione
definitiva di Dio, per proclamare con la vita, il più
possibile conforme alla sua e plasmata appunto dai
consigli evangelici: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente”, “Tu sei il centro del cosmo e della storia”.
I consigli evangelici ci vengono proposti nella triade
classica con cui l’Esortazione Apostolica e la dottrina
tradizionale del secondo millennio ce li propone: castità,
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povertà e obbedienza. Si sa che il Nuovo Testamento
presenta un numero ben più elevato di consigli evangelici:
la preghiera continua (“pregate incessantemente”) l a
generosità del donare, la condivis ione dei beni ,
l’accettazione dell’ingiustizia o tutto ciò che le beatitudini
propongono. Tuttavia questa triade non è la riduzione al
minimo di quello che il Signore ci propone nel Vangelo,
ma è un andare alla radice, da cui poi scaturiscono gli altri
atteggiamenti evangelici.
Perché questa triade sta all ’origine di tutti gli
atteggiamenti evangelici? Perché la persona umana si
rapporta sostanzialmente con i beni materiali, con gli
affetti con cui vive le relazioni e con l’affermazione di sé
con cui stabilisce una relazione con se stesso. Da queste
tre pulsioni fondamentali vengono i veri atteggiamenti
che determinano il comportamento umano. P. Gemelli
affermava che il più grande impedimento al desiderio
divino sono le passioni nella loro estesa gamma sotto cui
s i nasconde la t r iade fondamentale : la superbia
(l’affermazione di sé), la cupidigia (l’accumulo dei beni) e
la sensualità (il disordine degli affetti). Orientare verso
Dio, sull’esempio di Cristo, nella forza dello Spirito
Santo, queste tre forze fondamentali significa dare inizio
a un riorientamento di tutta la persona umana, partendo
da una base so l ida , pe rché è l a base cent ra l e e
determinante; chi appunto assume l’impegno di ordinare
queste pulsioni nel suo rapporto, nel desiderio di Dio,
27
dell’Eterno, mette in ordine tutta la sua persona e tutte le
espressioni della sua vita.
I consigli evangelici sono vissuti come totalizzanti nel
senso che orientano le più profonde tendenze della nostra
natura, oltre il fatto che coinvolgono ed esprimono i
diversi valori evangelici. Allora la verginità ripresenta non
solo il Cristo vergine, ma anche il Cristo orante, il Cristo
in contatto intimo e continuativo col Padre, perché il suo
Tu costante è il Padre. Per la persona consacrata questa
intimità con i l Padre, questa familiar ità con Lui
costituisce la premessa, la possibilità stessa del celibato e
della verginità.
La povertà che rappresenta Cristo servo del Signore e
degli uomini, venuto senza potere, comporta l’umiltà,
comporta lo spirito di servizio, il mettersi all’ultimo
posto; la povertà di spirito si trasforma in disponibilità al
servizio. Orientando queste pulsioni fondamentali si
costruisce l’identità, la personalità cristiana.
L’obbedienza che configura a Cristo che si ciba della
volontà del Padre, comporta l’ascolto della Parola, la
dedizione totale al suo Regno, la dedizione cioè alla
missione che Cristo stesso ha portato a compimento
mettendosi a servizio degli uomini e dei fratelli.
Sono i grandi dinamismi della nostra natura umana
che vengono riorientati, riplasmati continuamente sulla
forma di vita di Cristo. E’ evidente che il solo fatto di
professare i consigli evangelici non è che cambi in poco
28
tempo la nostra natura umana, che resta tenacemente
orientata verso i beni materiali, verso l’appagamento
affettivo e sessuale, verso l’affermazione di sé. Ecco allora
che viene esigito nella professione dei consigli evangelici
quel clima mistico, ascetico nel quale vanno accolte e
vanno vissute queste realtà che ci elevano; senza questo
clima mistico e ascetico che è un clima d’amore che
contempla e che si lascia plasmare dallo Spirito, senza
questo impegno umile queste realtà rischiano di diventare
col tempo una parola vuota, pura poesia o giogo
insopportabile. Quindi è fondamentale che noi ci
sentiamo coinvolti nella realizzazione di questo impegno
di riordinare la nostra vita secondo il progetto di Dio
appunto da questa relazione profonda con il Padre, in
Cristo per mezzo dello Spirito Santo.
La consacrazione a Dio avviene attraverso la
professione dei voti di castità, povertà e obbedienza.
L’Esortazione Apostolica come il Concilio Vaticano II
preferisce parlare di consigli anziché di voti. Non cambia
molto, ma la differenza sta nel fatto che sia il Vaticano II
che l’Esortazione Apostolica intendono mettere in risalto
più l’elemento evangelico che canonico. In passato infatti
la concentrazione sul dato giuridico proprio del voto può
aver favorito un certo impoverimento della vita consacrata
che era vista più come una serie di obblighi, di doveri da
osservare, cui sottostare, rappresentava prevalentemente
29
c o m e u n i n s i e m e d i n o r m e e d i d o v e r i s e n z a
un’ispirazione di fondo.
Il senso pregnante dei voti è quella di alimentare una
intensa vita teologale, che vuol dire una intensa vita di
relazione con Dio che sfocia in una più profonda
confessione della Trinità. I voti, essendo un dono che
permette di comprendere meglio la realtà divina di
Cristo, fanno della persona consacrata una confessione
vivente di Cristo, il Figlio unigenito, il consacrato,
l’inviato del Padre e vengono assunti in vista della speciale
sequela di Cristo. Infatti Gesù appare agli occhi della
persona consacrata tanto importante, tanto significativo,
tanto luminoso da essere l’Unico, da essere il “tesoro
nascosto” per il quale vale la pena vendere tutto, mettersi
alla scuola e assumere la sua stessa forma di vita, che è
una forma umana assunta dal Figlio Unigenito per
rivelare la profondità del mistero di Dio. I consigli
evangelici diventano allora la proclamazione della unicità
di Cristo, della sua importanza decisiva, del suo essere
tutto per ogni uomo che viene in questo mondo: Egli è il
nostro Tutto! Conformandoci a Lui, anche noi nella
nostra vita, nella nostra realtà feriale e quotidiana,
diventiamo trasparenza del la vita stessa di Dio,
confessiamo chi è il Cristo e perché Cristo si è fatto
uomo.
Ma Cristo ha assunto questa forma di vita per
proclamare di essere una cosa sola con il Padre, per
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rivelare qualche raggio del modo di essere in relazione
con il Padre. La sua verginità dice il Padre è l’unico Tu,
l’unico suo amore; la sua povertà dice che il Padre è
l’unica sua ricchezza; la sua obbedienza dice che il Padre è
la sua vera, unica realizzazione. Questo è il senso della
specifica forma di vita assunta da Cristo: essere una sola
cosa con il Padre, essere tutto orientato al Padre, essere lo
specchio fedele del Padre. Questa confessione del Padre
da parte di Cristo è accolta intenzionalmente e professata
anche dalla vita consacrata. Per la persona consacrata il
Padre diventa il vero amore, la vera ricchezza, la vera
rivelazione, la vera realizzazione. E questo fin d’ora quale
segno e anticipazione di quanto avverrà un giorno per
tutti. E tutto questo è reso possibile “dall ’infinita potenza
dello Spirito Santo che opera mirabilmente nella sua Chiesa –
dice “Vita Consecrata” – che permette a povere e fragili
creature come siamo noi di entrare nel mistero luminoso delle
realtà divine, di partecipare a un programma divino di vita
umana”. E’ un programma divino di vita umana. E così
noi confessiamo la forza e la potenza con cui lo Spirito
Santo agisce nella nostra vita e nella nostra natura. E’ una
meta a l t i s s ima , ma è s t upenda s e r i u s c i amo a
comprender la e a entrarc i dentro. E ’ tut ta una
dimensione che dice desiderio di totalità, di dedizione, di
ideale che può apparire utopico ma che diviene possibile
perché tutto questo è dono da parte di Dio ed è grazia per
l’azione potente dello Spirito Santo.
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Vorrei offrirvi un brano biblico su cui concentrare
l’attenzione, per meditare questa peculiare vocazione di
fare propria la vita stessa di Gesù Cristo. Però prima che
sulle parole di Gesù la vita consacrata si fonda su Gesù
che è Parola, Quando il Figlio di Dio, del Dio creatore del
cielo e della terra venne in mezzo a noi non venne come
un grande di questo mondo, ma come uno dei tanti
uomini che devono sudare per guadagnarsi da vivere, uno
che abitò lontano dai centri del potere, che fu tanto
dedito alle cose di Dio da non pensare neppure di farsi
una famiglia. Quindi la contemplazione di questo mistero
sconcertante che è presente nella vita stessa di Gesù che è
la Parola del Padre che si rivela ha portato a guardare con
occhi stupiti, con occhi ammirati questo Dio che apparve
ai nostri occhi, povero e servo: “Spogliò se stesso assumendo
la condizione di servo e divenendo simile agli uomini.
Apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,7-8). “Conoscete
infatti – scrive San Paolo ai Corinzi – la grazia del Signore
nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per noi,
perché diventiate ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor
8,9). Questo Dio che apparve ai nostri occhi povero e
servo, che apparve vergine e orante, unito nella più
ineffabile unione con Dio: “Io e il Padre siamo una cosa
sola” (Gv 10,30); “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv
14,11); che si è presentato come apostolo obbediente alla
32
volontà del Padre: “Mio cibo è fare la volontà di Colui che
mi ha mandato” (Gv 4,34).
Basta guardare a Gesù, a quello che Egli è, più che a
quello che Lui ha detto, per poter trovare appunto nella
ricchezza della Rivelazione che arriva a noi attraverso la
Parola il fondamento dei consigli evangelici.
Questo Gesù ai discepoli del Battista disse: “Venite e
vedrete” (Gv 1,35-39).
“Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei
suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse:
“Ecco l ’agnello di Dio! ”. E i due discepoli, sentendolo parlare
così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo
seguivano, disse: “Che cercate? ”. Gli risposero: “Rabbì (che
significa maestro), dove abiti? ”. Disse loro: “Venite e
vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel
giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del
pomeriggio”.
I primi discepoli di Gesù non sono rappresentati da
Giovanni come i pescatori del lago di Galilea, che
abbandonano le loro barche per seguire Gesù, ma sono
rappresentati come uomini che sono già in ricerca, cioè
uomini occupati già in quel Dio Salvatore che hanno
voluto attendere assieme e guidati dal Battista. Ora,
poiché il Battista è l’inviato di Dio, poiché egli è la voce
che fa risuonare e attualizza la voce ispirata dei Profeti,
33
possiamo dire anche che è Dio in definitiva che dona al
suo Figlio i primi discepoli, è Dio che ha preparato i
primi discepoli e li dona al Figlio suo. Del resto Gesù
stesso si è espresso così a proposito di un gruppo più
vasto: “Coloro che tu mi hai dato sono con me” (Gv 17,6). I
discepoli allora, preparati dal Padre per il Figlio suo
seguono, nel senso fisico della parola: si misero a seguire
quel Gesù che era stato indicato dal Battista. Seguono
Gesù che cammina verso i l suo dest ino. I l loro
comportamento esprime concretamente, anche nella
sequela fisica, in che cosa consisteva presso i giudei la
condizione di discepoli: consisteva non soltanto nello
stare insieme al proprio Rabbì ma nel seguirlo nel
compimento della sua missione; non solo nei suoi
spostamenti ma anche nel compimento della sua
missione. Il discepolo è colui che fa propria la missione
del maestro.
Gesù prende l’iniziativa, vuole aiutarli a capire fino in
fondo che cosa stavano seguendo, qual era la missione per
la quale essi si erano messi alla sequela del Maestro.
Rivolge loro una domanda, non una chiamata autoritaria
(del tipo: “Seguitemi!”), come ha fatto altre volte con altri
discepoli; sono anche le prime parole che Gesù dice nel
Vangelo di Giovanni: “Che cercate?”. Che domanda! È
noto che Israele, nutrito dalle Scritture, rappresentato da
questi discepoli del Battista, è proteso verso il futuro
compimento delle promesse che Dio ha fatto ai Padri.
34
Perché Gesù f a que s t a domanda a l l o r a ? L o f a
innanzitutto per rispettare la libertà dei suoi interlocutori,
per consentire loro di esprimere in maniera chiara e
consapevole questa sequela e non attuarla in maniera
inconsapevole. Ma soprattutto per portare i suoi discepoli
ad elevare l’oggetto della loro ricerca.
Proviamo a confrontare questo testo con quello che
riporta la prima parola di Gesù Risorto. Qual è la prima
parola che pronuncia Gesù Risorto? E’ anche quella una
domanda alla Maddalena: “Che cerchi?” (20,15). C i s i
accorge che, formalmente vi è una sequenza molto simile
in questi due passi. In 1,38 i discepoli replicano a Gesù
con un’altra domanda: “Rabbì, dove abiti, dove dimori?”;
Maria risponde a sua volta con una domanda simile:
“Dove è stato posto” colui che essa non trova più nella
tomba. In ambedue i casi la domanda si riferisce a una
localizzazione in questo mondo: “dove abiti?” e “dove è
stato posto?”. Una localizzazione in questo mondo della
abitazione di Gesù e del luogo dove riposa il suo corpo.
Gesù risponde a Maria: “Io salgo verso il Padre mio e Padre
vostro”. Questo nostro testo insiste invece sul verbo
dimorare : “videro dove dimorava e quel giorno dimorarono
con Lui”. Superficialmente si potrebbe pensare a una
concreta abitazione di Gesù, ma per chi conosce il
linguaggio di Giovanni sa che la dimora di Gesù è la
“inabitazione” di Gesù con il Padre.
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Nella 1 Lettera di Giovanni leggiamo: “Se uno mi
ama dimora in Dio e Dio dimora in lui”. Allora perché
Gesù fa questa domanda: “Chi cercate?”. Per elevare
l’oggetto della loro ricerca. Per il discepolo si tratta
appunto di cercare la partecipazione a quella relazione
profonda che Gesù ha col Padre: “Venite e vedrete” dice
Gesù ai discepoli. In altre parole traduciamo: Venite e
scoprirete che io vivo nel Padre e il Padre vive in me, in
modo che anche voi possiate vivere per mezzo di me in
questa relazione profonda con il Padre.
Allora l’espressione con cui Gesù ha esplicitato in che
cosa consiste il seguirlo è la rivelazione di quello che è la
vita consacrata. Quando dice “Venite e vedrete” in altre
parole invita i suoi ad assumere quella che è la sua
esperienza di trasparenza della Trinità in questo mondo,
la sua missione di rendere presente nel seno di questo
mondo l’Eterno. La domanda che i Greci fanno a Gesù
nel capitolo 12 di Giovanni attraverso Filippo e Andrea
che si erano fatti interlocutori di questi Greci, Gesù
risponde: “ Se qualcuno vuole essere mio servo mi segua e
dove sono io là sarà anche il mio servitore” (12,26). Seguire
Gesù vuol dire essere condotti lì dove Egli è, cioè essere
condotti, attraverso la Croce, nell’esperienza della Gloria;
a essere là dove Gesù dimora. L’invito di Gesù “Venite e
vedrete” con la sua indeterminatezza aveva aperto un
avvenire ancora imprecisato e sarà quello di fare propria la
forma di vita di Gesù che i discepoli sperimenteranno e,
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sperimentantola, comprenderanno e saranno messi nella
condizione di operare la loro scelta: si, è questo che noi
vogliamo; si, è questo che io voglio!
Le persone consacrate hanno ricevuto questo dono e
questa chiamata: “Venite e vedrete”. I consigli evangelici
diventano il loro progetto esistenziale e sono assunti con
modalità proprie e con una radicalità particolare ad
imitazione di Cristo per il quale la castità, la povertà e
l’obbedienza non furono tanto dei momenti isolati della
vita, bensì il modo abituale per manifestare la sua totale
adesione al disegno del Padre, per realizzare la sua
missione di Redentore.
Nasce qui il senso pieno dei consigli evangelici: essere
come Cristo in tutto. Se il Figlio di Dio ha scelto questa
forma di vita, significa che essa ha una dimensione divina,
significa che essa è la forma divina di vivere la vita umana,
una forma insuperabile che va al di là di ogni più alto
ideale umanistico che noi possiamo immaginare, che noi
p o s s i a m o p r o g e t t a r e , c h e n o i p o s s i a m o
volontaristicamente ricercare.
I Santi lungo i secoli sono stati gli esegeti più autorevoli
di questa forma di vita di Cristo, quando si sono dati alla
contemplazione del mistero del Verbo incarnato, intuendone
le conseguenze di assimilazione per la loro vita.
San Francesco, tutto preso dalla configurazione a
Cristo, “Figlio dell ’Altissimo e dell ’umile Vergine Maria”,
riassume nella sua Regola tutto il suo programma in una
37
sola frase: “La Regola dei frati minori è questa: vivere in
obbedienza, senza nulla di proprio e in castità”. E’ significativo
che questa formula, desunta dalla Regola di San Francesco,
venga usata da voi per la consacrazione.
La vita consacrata è stata discepola di questa scienza dei
Santi, di questa ermeneutica dell’Amore capace di indagare,
di penetrare il Mistero di Cristo. Una scienza all’insegna
dell’intelletto dell’amore, non meno vigorosa e non meno
plausibile di altre forme di indagine, dal momento che è il
cuore l’organo della conoscenza delle cose di Dio, tanto più
capace di conoscenza quanto più è purificato, quanto più è
conquistato dalla concretezza dell’Amore di Cristo.
Per avvicinarsi al mistero di Cristo è necessario
sintonizzarsi sul suo Amore, un amore che l’ha portato a
scegliere quella vita di incredibile umiltà. Da qui la risposta
d’amore che, per chi è chiamato, può giungere al desiderio di
identificazione con la sua forma di vita, con il suo modo di
amare senza riserve Dio e i fratelli.
Per la meditazione possiamo riprendere questo brano
perché possiamo domandarci in questa sequela radicale di
Cristo: a che punto sono? In questo invito che mi fa Gesù
“Vieni e vedi” a che punto sono? Questa decisione,
sull’esempio e sulla testimonianza di San Francesco di vivere
secondo la Regola del Santo Vangelo, in castità, povertà e
obbedienza, a che punto si trova la mia esperienza di vita?
Così la riflessione di oggi diventa anche verifica e
conversione.
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39
40
3 MEDITAZIONE
LA POVERTA’
Meditiamo l’articolo 14 delle Costituzioni sul tema
della povertà.
“A noi particolarmente è rivolto l ’invito che Gesù fa ai
suo i s eguac i , affinché , abbandonata ogni e c c e s s iva
preoccupazione terrena e ogni spirito di dominio nel governo
di uomini e cose, aperto l ’animo alla fiducia nella paterna
azione di Dio, donino generosamente se stessi al prossimo e,
consapevoli dell ’originaria appartenenza comune di tutte le
cose, facciano parte con esso dei beni di cui dispongono. Per
questo ci facciamo serio dovere di ridurre le nostre esigenze a
ciò che ci è necessario, secondo le condizioni sociali di ciascuno
nell ’uso responsabile di tutte le possibilità che i mezzi del
mondo ci offrono, onde farne strumento di servizio sempre più
efficace, in linea con il Can. 600 del C.D.C.
Per questo ancora ci proponiamo di stare sempre, quanto
possibile, dalle parte dei più deboli, degli incapaci, degli
indifesi, dei soli.
Esprimiamo questa volontà nel testamento che ci
obblighiamo a redigere al momento in cui assumiamo
l ’impegno di povertà e ad aggiornare quando occorra; e la
mettiamo umilmente a punto con il rendiconto delle spese che,
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in virtù della promessa di povertà, ci impegniamo a
sottoporre ogni anno al Presidente dell ’Istituto”.
Il testo delle Costituzioni costituisce per noi quello
strumento che ci viene messo a disposizione perché ci
possiamo misurare personalmente, all’ interno di un
carisma specifico con quanto ci domanda il Signore Gesù,
con la modalità con cui noi diamo la nostra risposta alla
sua chiamata.
Invochiamo lo Spirito
“Vieni Spirito Creatore,
perenne sorgente della missione.
Vieni, sostienici quando annunciamo il Vangelo che salva.
All ’uomo smarrito
ricorda che Cristo solo è la Via,
all ’uomo in ricerca del bene
ricorda che Cristo solo è la Verità,
all ’uomo che teme la morte
ricorda che Cristo solo è la Vita.
Vieni e soffia ancora su di noi,
soffia e sarà rinnovata la fede,
soffia e sarà beata la speranza,
soffia e sarà grande la carità.
La Chiesa di Dio a Te si affida,
ci affidiamo al tuo soffio d’amore
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e sempre ti invochiamo:
Vieni, Spirito Creatore”.
(Card. Tettamanzi)
Siamo blindati da questo testo carismatico delle
Costituzioni e da questa invocazione allo Spirito che va
alla radice della nostra identità, non soltanto cristiana, ma
anche umana, perché con tutti gli uomini, anche noi,
grazie anche allo specifico della nostra vocazione, ci
sentiamo alla ricerca della verità, alla ricerca della vita, alla
ricerca del percorso che il Signore ha riservato perché noi
possiamo giungere alla pienezza della vita, alla pienezza
della gioia.
Questo articolo 14 è molto articolato, ma mi sembra
di cogliere due fulcri: il primo riguarda l’esplicitazione
della volontà del Signore su di noi; un secondo fulcro
riguarda i doveri ai quali ci sentiamo chiamati.
Il primo fulcro riguarda la volontà del Signore:
“Abbandonata ogni eccessiva preoccupazione terrena”. Vi cito
alcuni brani del Vangelo che mi sembra stiano a
fondamento di questa esplicitazione dell’articolo 14.
Mt 7,25 ss: “Per la vostra vita non affannatevi di quello
che mangerete … Non preoccupatevi del domani”. Francesco
proibiva ai frati di mettere a mollo i fagioli la sera prima,
perché diceva di non preoccuparsi del domani, allora li
mettevano a mollo la mattina presto per soddisfare questo
invito del Signore.
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“Abbandonare ogni eccessiva preoccupazione e ogni
spirito di dominio nel governo di uomini e cose”. Mt 20,25 ss:
“Chiamateli a sé disse: i capi delle nazioni dominano su di
esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Ma non così
dovrà essere tra voi: Colui che vorrà diventare grande dovrà
essere come colui che serve”.
Gesù chiede ai suoi seguaci, dice ancora l’articolo
delle Costituzioni di “aprire l ’animo alla fiducia nella
paterna azione di Dio”. Mt 6,7 ss: “Non sprecate parole come
fanno i pagani quando vi rivolgete al Padre, perché Egli, il
Padre vostro, sa di quali cose avete bisogno ancora prima che
gliele chiedete”. Ecco cosa vuol dire avere fiducia nella
paterna azione di Dio.
E poi Gesù chiede di donare se stessi al prossimo: Mt
14,16 ss: “Vedendo una gran folla che li aveva seguiti ed era
senza mangiare da più giorni, dice: date loro voi stessi da
mangiare”, in cui quel voi stessi potrebbe essere soggetto
ma potrebbe essere complemento oggetto. Forse questa
gente non ha fame solo di pane che potete moltiplicare
loro, ma ha fame forse della vostra presenza, ha fame della
vostra testimonianza, ha fame della vostra parola.
Gesù ai suoi chiede di far parte con il prossimo dei
beni di cui dispongono, consapevoli che questi beni
appartengono a tutti. Mt 20, 1 ss la parabola degli operai
mandati nella vigna nelle diverse ore del giorno. Questa
parabola si conclude con le parole lapidarie del padrone di
quella vigna: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio?
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Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. E’ l’invito a
percepire i beni, ciò di cui possiamo godere non come
possesso, frutto di un diritto, ma come un bene che ci è
donato gratuitamente.
Per approfondire ulteriormente questo primo fulcro
che ho definito “la volontà del Signore Gesù”, ricordiamo
come Egli mette spesso in opposizione Dio è il denaro.
Sono i due padroni che si contendono il mondo. Esiste
un conf ronto-opposizione tra il denaro che diventa
facilmente idolo e il Dio vivo e vero che non ammette
concorrenti. Da qui la profonda diffidenza verso il denaro
e le ricchezze, perché queste portano con sé l’insidia
dell’illusione, l’insidia dell’inganno. Questa opposizione è
presente in una diffusa spiritualità cristiana. Per questo
Luca fa del distacco dei beni il banco di prova del vero
discepolo. Tutto il Vangelo di Luca è percorso da questa
convinzione, che il vero discepolo deve realizzare un
chiaro, preciso distacco dei beni materiali. Basta citare fra
tutte l’espressione di Gesù in Luca 12,15: “Guardatevi e
tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è
nell ’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni”.
Ma soprattutto Gesù chiede ad alcuni di lasciare tutto
per seguirlo. Al di là dunque di una spiritualità della
sequela c’è anche una vocazione specifica che domanda di
liberarsi da beni ingannevoli di questo mondo.
Vi consegno un brano del Vangelo di Luca 18, 18-
23:
45
“Un notabile lo interrogò: “Maestro buono, che devo fare
per ottenere la vita eterna? ”. Gesù gli rispose: “Perché mi dici
buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. Tu conosci i
comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non
rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua
madre”. Costui disse: “Tutto questo l ’ho osservato fin dalla
mia giovinezza”. Udito ciò, Gesù gli disse: “Una cosa ancora
ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e
avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi”. Ma quegli,
udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto
ricco”.
Il tema è molto chiaro: per ereditare la vita del Padre
bisogna seguire Gesù povero nel compimento del suo
destino, della sua missione. A questo Gesù chiama, riserva
alcuni. Percorriamo insieme il testo per cogliere questo
messaggio.
“Un notabile lo interrogò”. Per Matteo è “un giovane”,
per Marco è “un tale”, per Luca è “un notabile”, cioè un
capo, una persona che conta, una persona in vista. Che poi
– dirà l’Evangelista – è anche ricco. In lui si assommano
l’avere, la ricchezza e anche il potere e l’apparire. Costui,
forte di questa sua identità, sicuro della posizione
economica e sociale in cui versa, si rivolge a Gesù:
“Maestro buono”. Nella sua bocca questa espressione è un
titolo onorifico; le persone del suo livello allora come
oggi, si rapportano così, con il linguaggio dei titoli, con la
46
logica dei privilegi. “Maestro buono”, noi due possiamo
interagire alla pari!
“Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non solo Dio”.
Con la sua risposta Gesù aiuta subito quel ricco notabile a
saper distinguere quella che è la nobiltà esteriore data dai
suoi titoli da quella interiore proveniente da Dio. Gesù ha
questa nobiltà interiore e vuole fare conoscere a quel tale
la sua identità. In Lui c’è la bontà stessa di Dio, che si è
fatto nostro prossimo. Ecco in che cosa consiste la nobiltà
di Dio: nel farsi prossimo in Cristo, per amarci e poter
essere riamato con tutto il cuore.
Ma torniamo alla domanda del versetto 18: “Maestro
buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?”. Egli ha il
concetto della vita eterna e della salvezza dell’uomo. Però
egli la vede in prospettiva futura, come una meta, come un
premio, come la retribuzione per qualche cosa che è stato
fatto, infatti domanda: “che devo fare per conquistare la vita
eterna?”.
Gesù (al versetto 20) dice: non occorre che te lo dica
io, tu conosci i comandamenti. Gesù risponde rimanendo
su questo piano della domanda; non ha niente di nuovo
da dire rispetto alla legge mosaica a chi ragiona con la
logica del premio e del merito. Proprio per questo quel
ricco notabile non si dichiara soddisfatto: tutto questo
l’ho osservato fin dalla mia giovinezza, ma non mi basta
(V.20). C’è nel suo cuore un desiderio più grande, un
desiderio di radicalità. A questo punto l’evangelista Marco
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dice che Gesù lo guardò dentro e lo amò, non perché era
stato bravo nell’osservanza dei comandamenti, ma perché
era disponibile a una chiamata più radicale, una chiamata
ulteriore, posta su un altro piano, non più il piano del
dovere ma quello della gratuità e dell’amore: spogliarsi,
dare tutto ai poveri, tendere al tesoro nei cieli, seguire il
Maestro nel suo destino.
Possiamo trarre alcuni insegnamenti dal testo.
La povertà è una scelta libera e responsabile che il
consacrato fa per dimostrare a se stesso e al mondo che
egli mette Dio al primo posto. Uno può anche limitarsi a
osservare i comandamenti ma se si sente chiamato in
maniera particolare dal Signore a questa vocazione, egli
compie non il dovere dei comandamenti per ottenere il
premio del la v i ta eterna, ma una sce l ta l ibera e
responsabile con la quale vuole fare della sua vita, di
fronte a se stesso e di fronte agli altri, una testimonianza
che Dio va messo al primo posto.
Abbracciare la povertà volontaria significa scegliere
decisamente Dio, rinunciando all’idolo per eccellenza che
è il denaro, che è mammona, visto come la sorgente di
ogni iniquità, perché al suo seguito vengono facilmente
tutti gli altri idoli che conosciamo molto bene e che sono
legati alla smania, all’ansia del possesso, che sono il
potere, il piacere, le sicurezze che distolgono da Dio.
Soprattutto dalla ricchezza viene la dimenticanza del
proprio nulla e l’illusione, di conseguenza, di essere
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padroni di se stessi, di poter disporre del tempo, del
futuro, dimenticando la propria precarietà: “Stolto, questa
notte stessa ti sarà chiesta la tua vita e tutto quello che hai a
disposizione di chi sarà?” (Lc 12). L’illusione di essere noi i
padroni di quello che abbiamo, della nostra stessa vita.
Chi fa questa scelta volontaria della povertà si pone in
questa ottica di libertà. La povertà volontaria riguarda
non solo i beni materiali, ma riguarda anche la libertà
dalle sicurezze umane. Anche l’A.T. considera con una
certa diffidenza colui che loda il Signore nella prosperità:
è facile lodare il Signore nella prosperità, c’è sempre il
pericolo che si lodi Dio per il dono delle ricchezze, non
perché Dio è la mia ricchezza. Israele giunge a scoprire
Dio come vera sua ricchezza quando perde le sue
sicurezze, cioè in esilio, quando rimane senza terra,
quando rimane senza un re che gli dia sicurezza, nel
conf ronto e nello scontro rispetto agli altri popoli
limitrofi. Quando gli vengono a mancare i Profeti,
quando gli vengono a mancare i Sacerdoti, il Tempio, in
quel momento Israele coglie che Dio è la sua vera
ricchezza, è a Lui che si deve aggrappare. E Dio in questa
situazione viene sentito come la Roccia solida, il Rifugio,
la Ricchezza.
Anche la povertà del Signore Gesù non è solo povertà
economica, ma è assenza di potere, di prestigio umano. E’
essere uno dei tanti che contano poco o nulla, che
appartengono a quelli meno presi sul serio: “Che cosa può
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venire di buono da Nazareth?”. Egli è il servo umile e mite,
che non si vergogna della sua umile e oscura origine, ma
dice, con disarmante sicurezza: “Imparate da me che sono
mite e umile di cuore”. Il fatto che Gesù sia venuto fra noi
povero, umile, servo è la rivelazione della modalità
dell’azione di Dio. La ricchezza di Dio giunge al mondo
attraverso la povertà; la ricchezza di Dio giunge al mondo
attraverso l’umiltà e il servizio; la salvezza di Dio non ha
bisogno di mezzi umani, manifesta anzi la sua unica
potenza proprio nella povertà dei mezzi umani.
Ancora un altro messaggio che ci viene offerto da
questo percorso biblico: la povertà è f rutto della
contemplazione del Figlio di Dio. Questa è l’esperienza
d e i S a n t i : l a s c e l t a d i p o v e r t à è f r u t t o d e l l a
contemplazione del Figlio di Dio. Dice S. Chiara: “Il
Figlio di Dio che si fa povero è un fatto di insuperabile
eloquenza, di f ronte al quale le parole tacciono”. Per S.
Francesco la povertà è la sposa dell’Altissimo Figlio di
Dio. La povertà è la realtà brutta, da fuggire, senza valore
né gloria, odiosa, diventa per questo, perché è sposa
dell’Altissimo Figlio di Dio, amabile. E’ stata inseparabile
compagna di Cristo e lo dovrà essere anche di Francesco,
quale sposa fedele. Vi rimando alla breve biografia di
Francesco che porta il titolo di “Sacrum Commercium”(FF
1959 in poi), per cogliere come davvero la povertà per
Francesco è l a r i sposta ovv ia , conseguente a l l a
contemplazione della povertà del Figlio di Dio.
50
Charles de Foucauld, contemplando a Betlemme il
mistero dell’Incarnazione affermava: “Se c’è qualcuno che
può contemplarti nella grotta di Betlemme continuando
ad essere ricco, non so... Io non posso!”. E’ lapidario
questo modo di esprimersi dei Santi nei confronti di
questa contemplazione del Figlio di Dio, che viene messa
come fondamento della scelta libera e responsabile della
povertà.
In questi ultimi decenni siamo passati da una ricerca
sincera di vivere i valori della povertà, dell’essenzialità,
della libertà dei beni materiali a una sorta di totalitarismo
del mercato, del profitto, del denaro, tanto da poter
parlare di un economicismo avido e distruttivo al quale si
stanno piegando i governi e tutti i media.
Il Concilio aveva rilanciato temi come Chiesa povera,
Chiesa dei poveri, opzione preferenziale per i poveri,
povertà personale, povertà collettiva. Erano temi, tra
l’altro, che entusiasmavano e promuovevano scelte e
conversioni nella vita personale e nella vita degli Istituti di
vita consacrata e questo aveva il suo riscontro anche nella
società: erano forti le correnti culturali e politiche che
lottavano per una società più giusta.
Con l’accelerazione della globalizzazione le cose sono
cambiate. Il problema oggi non appare la giustizia sociale,
ma la produzione dei beni, anzi la produttività è
l’obiettivo delle società moderne, per poter reggere alla
concorrenza internazionale, mondiale con cui dobbiamo
51
fare i conti. In questo clima il discorso sulla povertà può
sembrare anacronistico; però solo ad uno sguardo
superficiale, dal momento che la realtà presenta un volto
diverso, se la si guarda dalla parte della folla sempre più
folta dei poveri che non possono partecipare al banchetto
dell ’abbondanza. Su questo f ronte il cristiano e il
consacrato in particolare, ha molto da dire alla società di
oggi, ha molto da fare all’interno di questo contesto,
assieme agli uomini di buona volontà.
Qui innesterei il secondo fulcro dell’articolo 14 delle
Costituzioni: “I nostri doveri”. Le Costituzioni indicano
un percorso specifico che si sviluppa in tre fronti.
Il primo è quello di guardare “ai mezzi messi a
disposizione dalle risorse tecniche e scientifiche” non
come un fine per il nostro benessere egoistico ma
guardarli come uno strumento per portare a compimento
la nostra vocazione e missione che è quella di servire i
fratelli, che è quella di collaborare al compimento del
Regno di Dio nella storia, che è un Regno di giustizia, un
Regno d’amore, di pace. Proviamo a pensare all’uso dei
mass-media per l’evangelizzazione; pensiamo alla ricerca
scientifica nel campo della medicina, dell’agricoltura, della
fisica. Pensiamo ancora più da vicino al nostro personale
campo d’azione con tutte le sue possibilità. Ebbene lì
possiamo uti l izzare quest i mezzi messi a nostra
disposizione o per raggiungere il nostro egoistico
benessere oppure come strumenti per promuovere l’uomo,
52
per promuovere e costruire il Regno di Dio nella storia. E’
una domanda che dobbiamo farci diretta e personale:
come stiamo utilizzando questi mezzi?
Un secondo percorso indicato dalle Costituzioni è
quello di partecipare in prima persona ai disagi materiali,
sociali, psicologici, morali in cui versano tanti nostri
fratelli, tante culture, tanti popoli. Questo impegno va
da l l a conoscenza d i ques te p rob lemat i che a l l a
condivisione di un giudizio su queste realtà. O lo
vogliamo o non lo vogliamo, siamo inseriti e coinvolti fino
all’impegno diretto o indiretto per un superamento di
queste situazioni: dall’impegno nel commercio equo e
solidale, alla partecipazione a progetti di sviluppo. Ma
ognuno di noi dovrebbe dire: in che modo mi sto
impegnando in questo, in modo da potere dire che
partecipo in prima persona ai disagi materiali, ma anche
sociali, psicologici, morali dei miei f ratelli vicini o
lontani?
Un terzo percorso indicato dalle Costituzioni sono
delle regole concrete che garantiscono questo stile di vita
povero e solidale, che sono non tanto il fine ma degli
strumenti semplici ma verificabili con cui vediamo se
stiamo vivendo o meno questa scelta di povertà radicale: il
testamento, il rendiconto annuale.
53
54
4 MEDITAZIONE
L’OBBEDIENZA
Vieni in mezzo a noi, Spirito di Dio,
illumina le nostre menti
e apri i nostri cuori per far spazio
nella nostra vita alla tua Parola che salva.
Vieni in mezzo a noi, Spirito di Dio,
donaci intelligenza e cuore
perché si riempia della tua speranza,
del tuo amore e della tua fede la nostra esistenza
e trasformaci in creature nuove.
Vieni in mezzo a noi, Spirito di Dio,
donaci sapienza e amore
perché ci appassioniamo alla costruzione
di un mondo di misericordia, di giustizia, di pace,
collaborando con tutti i credenti
e con ogni persona di buona volontà.
Vieni in mezzo a noi, Spirito di Dio,
donaci compassione e timore del Signore
per essere tutti un segno della speranza
che silenziosamente produce nella storia il tuo Regno.
55
Questa mattina cercheremo di entrare dentro lo
spirito e in parte dentro la lettera dell’articolo 15 che
propone la promessa di obbedienza.
“Il nostro genere di vita richiede grande libertà di
giudizio e d’iniziativa per affrontare con lucidità e prontezza
situazioni sempre nuove e non di rado difficili.
Dobbiamo dunque educare la nostra coscienza a valutare
le circostanze con equilibrio e fermezza, distaccati da vedute e
interessi personali: in obbedienza fedele alla nostra vocazione,
docili all ’azione dello Spirito, fedeli alla Chiesa, rispettosi
verso le legittime autorità, attenti alle indicazioni che
emergono dalle cose.
Affinché l ’Istituto ci aiuti a raggiungere questa difficile
meta, ci obblighiamo, in virtù della promessa, a obbedire
lealmente al Presidente dell ’Istituto in ciò che riguarda
l ’osservanza delle presenti Costituzioni. Tale obbligo è grave
qualora venga dato con un richiamo formale all ’impegno di
obbedienza”.
Io che ho modo di leggere tante Costituzioni trovo
sempre che c’è una specificità che legge la storia e la vita
delle persone che a quelle Costituzioni si ispirano. Per
esempio noto che in questo ar t icolo è chiara la
consapevolezza che nella nostra vita ci veniamo a trovare
di fronte a “situazioni sempre nuove e non di rado difficili”,
di modo che l ’obbedienza non è qualcosa che cada
56
dall’alto in termini puramente teorici e spiritualistici ma
ci provoca e ci verifica sul concreto, sulle realtà, selle
situazioni. E proprio per questo l’attuale cultura nella
quale noi viviamo individualistica, libertaria è proprio una
situazione nuova e piuttosto difficile.
Libertà e obbedienza sono apparse in questi anni
come feroci antagoniste. Le grandi democrazie sono
basate sui diritti umani, sulla volontà popolare, sulla
libertà, sul voto dei cittadini. Sono invece i totalitarismi
da cui l’Europa si è faticosamente liberata che trovano
nell’obbedienza al capo il loro punto di forza. Da qui la
d i ffi d e n z a c u l t u r a l e v e r s o o g n i c e l e b r a z i o n e
dell ’obbedienza, r itenuta f ra l ’altro, responsabile
dell’acquiescenza, dell’indifferenza nei confronti degli
orrori perpetrati dai vari sistemi dittatoriali.
Anche nel campo religioso stiamo assistendo a un
fenomeno nuovo e non facile, costituito dalla presenza
nella nostra cultura dell ’ islam che pone dei nuovi
problemi circa l’obbedienza religiosa. Se da una parte noi
possiamo ammirare il senso della Trascendenza di Dio
che loro hanno e quindi di r iflesso della assoluta
obbedienza da parte dei fedeli musulmani, dall’altra
l’affermazione del fondamentalismo suscita non poche
difficoltà nel dialogo interculturale e non poca diffidenza
nei conf ronti delle conseguenze di questa univoca
sottolineatura dell’obbedienza-sottomissione religiosa.
57
La nostra tradizione biblica ha messo sempre bene in
evidenza l’importanza, da una parte della volontà di Dio,
ma dall’altra anche della libertà e della responsabilità
personale. Credo che noi dobbiamo tenere unite queste
due cose: è la profezia anche della nostra vocazione, non
solo di quella battesimale ma anche di quella consacrata.
L’obbedienza a Dio rende liberi e responsabili di
f ronte agli uomini. L’individualismo che impera in
occidente non sembra avere bisogno oggi della volontà di
Dio. Ciascuno pare regolarsi secondo ragione o secondo il
suo sentire, o meglio ancora potremmo dire, secondo il
suo interesse; riferimenti a valori, a principi, a norme
oggettive sembra non ce ne siano più. Tanto è vero che la
ricerca di nuove forme di religiosità spesso appare
l’espressione della volontà di colorare religiosamente
quelli che sono i propri desideri, i propri bisogni, più che
dall’esigenza di scoprire una Parola che viene dall’alto e
che quindi ha una oggettività sull ’ individuo, sulle
situazioni, sulla storia alla quale fare riferimento perché si
ritiene che sia portatrice di vita, fuori anche dalle
angustie, dai limiti delle situazioni all’interno delle quali
noi viviamo.
La stessa vita consacrata insiste oggi su concetti quali
dialogo, partecipazione, collaborazione, comunione e altri
termini tutti assai positivi ma anche ambigui perché in
non pochi casi danno l’impressione di voler ridurre al
minimo indispensabile l’uso e l’ambito dell’obbedienza.
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Allora la domanda che emerge da questa breve e
incompleta analisi è: dove attingere per avere una
garanzia che i nostri giudizi e le nostre iniziative - come
recita l’articolo 15 delle Costituzioni - siano davvero
lucide e pronte? A cosa riferirci per “educare la nostra
coscienza all ’equilibrio, alla fermezza, al distacco delle vedute
e degli interessi personali”? La risposta che io mi sento di
dare e sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione nella
meditazione è proprio questa: ancora una volta nella
Parola di Dio, ancora una volta in Gesù che è la Parola
del Padre. Gesù è presentato come colui che esegue
perfettamente la volontà del Padre: Egli è l’obbediente per
eccellenza. Sono innumerevoli i testi del N.T. che
presentano l’obbedienza di Cristo: Gesù obbedisce alle
mediazioni religiose, la Legge, il Tempio, il Sabato, le
Scritture, anche senza diventarne mai schiavo. Vi
obbedisce in favore dell’uomo: “l ’uomo è più grande del
sabato”. Ricordiamo tutti questa espressione forte di Gesù.
Però obbedisce alle mediazioni religiose, così come
obbedisce alle persone, agli eventi, ai genitori, alle
situazioni diverse di sofferenza, in cui si trova senza però
mai essere condizionato. “Non sapevate che io debbo
occuparmi delle cose del Padre mio?” , anche quando si
dichiara disponibile più con i fatti che con le parole a
ritornare a Nazareth e a rimanere loro sottomesso.
Ma soprattutto Gesù è perfettamente sottomesso alla
volontà del Padre. Per Luca in particolare, l’atteggiamento
59
fondamentale di Gesù è la sua assoluta docilità al Padre.
Nel suo Vangelo le prime e le ultime parole di Gesù
esprimono chiaramente questa volontà. Le prime parole
di Gesù nel Vangelo di Luca sono: “Non sapevate che devo
occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,19) e le ultime
quelle che Egli pronunciò sulla croce: “Padre, nelle tue
mani affido il mio spirito”. (Lc 23,46). Dall’inizio alla fine
della sua vita, l’ispirazione e la direzione è stata sempre la
volontà del Padre. Anche per l’evangelista Giovanni, dal
Prologo alla Croce, il Figlio è sempre orientato, proteso,
lanciato verso il Padre. “Mio cibo è fare la volontà del Padre”
(Gv 4,34): è uno dei testi chiave del Quarto Vangelo sulla
totale obbedienza di Gesù al Padre. I suoi pensieri e i suoi
progetti sono i pensieri e i progetti del Padre suo. Egli
non fa la propria volontà, ma quella del Padre: Gesù è
cosciente che il modo migliore per vivere il suo rapporto
spirituale con il Padre è quello di una totale obbedienza e
unità con la sua volontà. Il Figlio fa ciò che vede fare al
Padre (cfr. Gv 5,19). La sua dottrina non è sua ma del
Padre (Gv 7,16). Sulla Croce si rivela pienamente il
mistero dell ’obbedienza del Figlio: “Quando avrete
innalzato il Figlio dell ’uomo allora saprete che Io Sono e non
faccio nulla per me stesso, ma faccio ciò che il Padre mi ha
insegnato”. (Gv 8,28). Credo siano briciole di luce e di
forza per capire e per trovare le motivazioni che ci
mettono sulla strada dell’obbedienza.
60
La Croce rivela chi è Gesù il Figlio obbediente.
L’obbedienza fino al la Croce è r ivelata dal la sua
condizione di Figlio. L’obbedienza del Figlio permette a
Dio di manifestarsi pienamente in Lui come amore e
salvare il mondo dandogli amore e domandando amore.
Ciò che salva il mondo, ciò che rivela Dio al mondo non è
primariamente il sacrificio di Cristo, ma è l’obbedienza di
Cristo, è l’obbedienza che lo porta al sacrificio. Il senso
dell’obbedienza è il sacrificio. Per Paolo l’incarnazione è
l’epifania dell’obbediente. Leggiamo nella Lettera ai
Filippesi (2,8): “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e alla morte di Croce”. Ma, nello stesso tempo, è
anche manifestazione della esaltazione di chi sa umiliarsi
per servire. Sempre in Filippesi 2,9: “Per questo Dio lo ha
esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro
nome”. Anche nella Lettera ai Romani, S. Paolo presenta
l’obbedienza con la sua portata salvifica. Leggiamo in
5,12: “Come per la disobbedienza di uno solo molti furono
costituiti peccatori, così anche per l ’obbedienza di uno solo
molti saranno costituiti giusti”. Ma oltre a tutti questi brani
che ci parlano di Gesù Parola che dona a noi luce e forza
per capre e per vivere nell’obbedienza, vi propongo un
testo preciso di riferimento: Lc 11, 27- 28:
“Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo
alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da
61
cui hai preso il latte! ”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro
che ascoltano la parola di Dio e la osservano! ”.
In questo capitolo 11 del vangelo di Luca, dopo una
lunga e articolata catechesi sulla preghiera Gesù si scontra
con Satana e con i suoi detrattori; lo accusano perfino di
intendersela con Belzebul! All’apice di tutte le sue
argomentazioni Gesù fa un’affermazione lapidaria: “Chi
non è con me è contro di me e chi non raccoglie con me
disperde”. Non si tratta di un invito a schierarsi, a creare
divisioni, contrapposizioni. Quando i discepoli gli
suggeriscono proprio questo: “Abbiamo visto un tale che
scacciava i demoni in nome tuo e glielo abbiamo impedito
perché non è dei nostri” (Lc 9,49), Gesù non li approva, anzi
pronuncia parole di apertura: “Chi non è contro di voi è per
voi”. L’affermazione che leggiamo qui è un invito, invece,
a vivere la relazione con Lui come fondamentale, nella
scoperta di quello che è il bene per noi. Noi vogliamo
scoprire ciò che è bene per noi, ciò che è la nostra
realizzazione, ciò che è il compimento della nostra
vocazione: dobbiamo vivere in comunione con Lui.
Chi è in comunione con Gesù possiede quella forza
che gli permette di tenere al sicuro i suoi beni, senza
temere l’assalto di nessuno.
“Mentre diceva questo”: quello che segue si pone in
continuità con questo messaggio; quello che va dicendo lo
dice per sottolineare non solo l’importanza, ma anche la
62
modalità con cui vivere in comunione con Lui, per potersi
realizzare pienamente.
“Una donna alzò la voce in mezzo alla folla”. Sul tema
della relazione la donna ha una sensibilità particolare, è
nella sua natura tessere relazioni, coltivare relazioni,
renderle feconde. Lei, una donna, può dire una parola in
piazza proprio distinguendosi dalla folla.
“Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso
il latte”. Con il linguaggio della benedizione questa
donna, ma lo fa per stigmatizza l’esperienza più alta della
relazione, quella che si stabilisce tra una madre e la sua
creatura. Riusciamo a capire la forza che viene dal brano
che stiamo leggendo. E ci è caro anche fare riferimento a
Maria, la madre di Gesù. Chi può avere avuto una
relazione più profonda di quella di Maria? La donna della
folla usa delle immagini stupende: averlo portato in
grembo, averlo alimentato con il latte del proprio seno
dice non soltanto relazione, vicinanza, comunione di vita,
di ideali, partecipazione alla stessa missione, dice ancora
di più immedesimazione. Proprio per questo noi
assegniamo a Maria titoli di “Madre di Dio”, “Madre di
Cristo”, “Corredentrice” e altri. Ella è totalmente
coinvolta nella missione del Figlio suo, perché con Lui ha
questo rapporto biologico, prima che spirituale e ideale.
Quindi la forza dell’argomentazione di questa donna
fa risaltare enormemente il significato della risposta che
Gesù da a questa beatitudine.
63
“Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la
osservano”. Gesù non nega la beatitudine assegnata a sua
madre, ma stabilisce la condizione di felicità che è
superiore a questa, e che è data a coloro che si rapportano
con Lui attraverso la Parola.
L’espressione appartiene al quadro teologico di tutto il
Vangelo di Luca nel quale si insite sempre sull’ascolto
del la Parola , ma non solo sul l ’ascolto ma anche
sull’osservanza della Parola, nell’obbedienza alla Parola. Il
tema della Parola è rintracciabile in molti testi di Luca,
come quello per esempio della Parabola del Seminatore,
dove il seme caduto su terra buona descrive coloro che
ascoltano la Parola con cuore buono e perfetto e la
custodiscono con perseveranza (Lc 8,15). Anche
nell’episodio in cui giungono sua madre e i suoi fratelli,
Gesù alla fine afferma: “mia madre e miei fratelli sono coloro
che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc
8,21). E’ un brano parallelo a questo.
La Parola di Dio annunciata da Gesù ha come effetto
la chiamata di Pietro, di Giacomo e di Giovanni: “Sulla
tua Parola getterò le reti”. (Lc 5,1-11). Chi l’ascolta, chi
mette in pratica la Parola “è simile all ’uomo che ha costruito
la sua casa sulla roccia”, anche se viene inondata dal fiume
in piena non crolla, a differenza di chi l’ascolta ma non la
mette in pratica (Lc 6,46-49).
Maria fu la prima che ascoltò e disse: “Eccomi”. La
sua maternità prima che nel ventre fu nell’orecchio,
64
dicono i Padri della Chiesa, fu nel cuore. Essa obbedì e
per questo fu madre. La sua stessa beatitudine è quindi di
chiunque accoglie il seme della Parola e può essere padre
e madre per Cristo che vuole continuare a vivere dentro
questo nostro tempo. Allora possiamo tirare delle
conclusioni in riferimento al ruolo che ha la Parola di Dio
nella vita di noi consacrati.
La Parola ci l ibera dagli idoli. Gli dei stanno
tornando alla grande insieme agli idoli in rapida
moltiplicazione. Basti pensare all’idolatria dell’immagine
nelle sue varie espressioni, quali la moda, il salutismo,
l’audience, il rampantismo e noi non siamo esenti. Questo
è il nostro peccato. Ma c’è anche l’idolatria del potere che
coltiva il mito del più forte, dell ’efficienza con la
conseguente sindrome dell’onnipotenza.
La Parola ci propone il Dio vero, Signore del cielo e
della terra, che ha un progetto di realizzazione piena sul
mondo e sulla storia. Questo progetto realizzato in Cristo
Gesù si compie attraverso l’obbedienza alla sua legge di
umiltà e di mitezza, attraverso l’accoglienza docile
dell’azione gratuita, nascosta e forte dello Spirito Santo.
Dicono le Costituzioni: “docili all ’azione dello Spirito”.
La Parola costruisce solidarietà, essa ci fa scoprire i
limiti di un individualismo irresponsabile e selvaggio,
ind iffe ren te a l l e sofferenz e a l t r u i , inc apace d i
compassione, di servizio. Dalla Parola di Dio viene la
proposta di una vita intesa come libertà, ma anche come
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capacità di dono, come oblatività. Cristo ci ha liberati per
amore, ci ha liberati dagli idoli per servire il Dio vero, ci
ha liberati dal narcisismo, dalle logiche di mercato, dalle
mode, dalla sovranità dell’io, per affermare il mondo
nuovo della comunione e dell’incontro. Forse su questa
terra non riuscirà ad imporsi la civiltà dell’amore in tutta
la sua pienezza, ma noi siamo chiamati a costruire
comunità evangeliche nelle quali vivere relazioni gratuite,
forti, mature, cementate dall’accoglienza e dal perdono
reciproco; comunità fraterne, capaci di comprendere e far
sentire Dio come Padre e la Chiesa come Madre. L e
Costituzioni ancora ci dicono: “fedeli alla Chiesa”.
La Parola conduce all’obbedienza della fede. Essa fa
vedere la propria esistenza umana come risposta a una
vocazione, a una chiamata che viene da un Amore che
pensa alla mia realizzazione. Educa alla convinzione che
“è meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”. Educa
all’obbedienza alle cose di ogni giorno, come recitano le
Costituzioni: “attenti alle indicazioni che emergono dalle
cose”: lavoro, salute, vicende. Soni i luoghi dell’obbedienza,
dove la Parola ci dice che dobbiamo riscattare ciò che non
si può evitare, riscattarlo dalla deriva della disperazione,
ricondurlo nell’alveo dell’accettazione della propria croce,
dell’offerta sacrificale assieme a quella del Signore Gesù, il
quale fa entrare tutto nel suo Regno, nella costruzione del
suo Regno; tutto fa crescere e maturare dentro la sua
logica, dentro il suo progetto, dentro il suo disegno, anche
66
ciò che noi non riusciamo a capire, anche ciò a cui non
riusciamo a dare un nome. Questo ci dice la Parola. La
Parola educa all’amore e all’obbedienza alla Chiesa, dove
Cristo continua a vivere presente fra noi; educa a “non
conformarsi alla mentalità di questo mondo” ma a far vi
entrare lo Spirito e l’esperienza della Regalità di Cristo,
“nell’obbedienza fedele alla nostra vocazione” (Cost. art.
15).
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma
trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono a Lui gradito e
perfetto” (Rm 12,2). Che cosa ci può dare questa mente
nuova che ci permette di discernere la volontà di Dio, ciò
che è buono, a Lui gradito e perfetto? E’ la Parola di Dio.
Non credo sia necessario sottolineare il ruolo centrale che
l a Paro l a de ve ave re ne l l a vos t r a v i t a , a s s i eme
all’Eucarestia, alla Riconciliazione f requente e alla
Liturgia delle Ore, (come dice l ’articolo 11 delle
Costituzioni). Il Vangelo è un dono da tenere carissimo
(articolo 6 Costituzioni), come la Vergine Maria e la
Chiesa. E’ vero per tutti i consacrati ma in particolare per
voi che in forza della vostra secolarità non avete la verifica
costante di una comunità, l’impegno specifico di un’opera
particolare da compiere; la Parola di Dio resta i l
riferimento ultimo e fondamentale.
Benedetto XVI nel discorso che ha tenuto al
S impos io de i 60 ann i de l l a “ Prov v ida Mate r ” ,
67
rivolgendosi ai membri degli Istituti Secolari dice: “Siete
sollecitati non da opere particolari ma dalle relazioni che si
sviluppano nella vita familiare, professionale, sociale,
amicale. Voi avete come luogo di apostolato tutto l ’umano, non
solo dentro la comunità cristiana (anche l ì se v i s i è
chiamati), ma anche e soprattutto nella comunità civile, dove
la relazione si attua nella ricerca del bene comune, nel dialogo
con tutti, chiamati a testimoniare quell ’antropologia cristiana
che costituisce proposta di senso in una società disorientata e
confusa dal clima multiculturale e multi religioso che la
connota”. Ebbene, in questa situazione, chi ascoltare? Chi
obbedire? E’ vero per noi più che per altri quanto
affermava Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai
parole di vita eterna”.
I l n° 94 di “Vita Consecrata” sottolinea chiaramente il
valore della Parola di Dio; la definisce “prima sorgente di
ogni spiritualità”, soprattutto quando il suo ascolto
avviene nella forma della Lectio Divina e quando avviene
in forma comunitaria con l ’ intero popolo di Dio,
attraverso esperienze quali scuole di preghiera, di
spiritualità, di lettura orante della Scrittura, nella quale
Dio parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con
essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. In
essa, nella Parola, uomini e donne di preghiera hanno
tratto la luce necessar ia per quel discernimento
individuale e comunitario che li ha aiutati a cercare nei
segni dei tempi le vie del Signore. Pensiamo a San
68
Francesco, a Santa Chiara, a P. Gemelli, ad Armida
Barelli.
E’ leggere le situazioni in cui ci troviamo e sentire che
lì la Parola di Dio acquista un’eco estremamente concreto.
Allora potrei invitarvi a riflettere sull’obbedienza nella
vostra vita di consacrati secolari dentro questo nostro
tempo, al rapporto che siete chiamati a vivere con la
storia, con la Chiesa e aprire una vasta gamma di
applicazioni concrete.
Vi propongo delle domande per la verifica personale.
� Quale posto occupa la Parola di Dio nella
interpretazione della mia vocazione, nella mia
vita di laico consacrato?
� Mi affido alla luce e alla forza che viene dalla
Parola per chiarire i miei dubbi sul contenuto
di certe obbedienze che mi vengono richieste
dalla vita, dalla storia, dalla Chiesa? Oppure
mi affido al pensiero comune, alle mode?
� L’ascolto obbediente della Parola riesce a
sciogliere alcuni nodi nel mio rapporto con il
mondo (lavoro, corresponsabilità sociale,
economica, politica, lì dove siamo chiamati a
dare delle risposte). Vediamo sulla base di
quali pr incipi, di quali valor i , di quali
orientamenti c’è questo ascolto obbediente
della Parola che scioglie alcuni nodi. A volte
69
facciamo fatica ad accogliere questo perché ci
domanda di andare contro corrente, ci
domanda di mettere in discussione quello che
abbiamo costruito negli anni, attraverso i
nostri bisogni individualistici e interessati,
piuttosto che orientati alla ricerca del vero
bene, della costruzione del Regno di cui ci
sentiamo missionari per vocazione.
70
71
72
5 MEDITAZIONE
LA CASTITA’
“Vieni in aiuto alla nostra debolezza
e insegnaci a pregare la tua Parola.
Senza di Te, Spirito del Padre,
non so che cosa devo chiedere né come chiederlo.
Ma tu stesso vieni in nostro soccorso
e prega il Padre per noi
con sospiri che nessuna parola può esprimere.
O Spirito di Dio, Tu conosci il nostro cuore,
prega in noi come il Padre vuole.
O Spirito Santo, vieni in aiuto alla nostra debolezza
e insegnaci a pregare la tua Parola”.
Basterebbe soffermarsi un attimo a contemplare la
profondità di queste parole per avere motivi più che
sufficienti per riflettere e verificare il nostro modo di stare
davanti a Dio.
Pensiamo all’Inno di stamattina, ha tre passaggi che
meritano di essere ripresi: “In te il divino Spirito dispensa
con amore il Pane e la Parola”. “Tu illumini ai credenti il
Mistero profondo del Verbo fatto uomo per la nostra
salvezza”. E poi i l terzo passaggio che sentiamo
73
particolarmente nostro: “Tu sei guida e modello a coloro
che seguono in povertà e letizia Gesù Sposo e Signore”.
Se volessi dare un titolo alla meditazione sulla castità,
darei proprio questo: Gesù è il nostro sposo e il nostro
Signore.
Il consiglio della castità consacrata è il consiglio che
apre la porta alla vita consacrata: senza castità consacrata
non c’è vita consacrata. La distinzione nei confronti di
altre forme di vita cristiana parte proprio da qui: c’è vita
consacrata quando c’è castità consacrata nel celibato.
Anche le vostre Costituzioni precisano che la castità, a
differenza degli altri consigli, è assunto come un voto.
La castità è sempre stata una realtà difficile da vivere
e oggi più di ieri. Oggi, a differenza di ieri, è diventata
una realtà difficile da spiegare. Eppure la coscienza
cristiana avverte la necessità della chiara testimonianza
del la cas t i tà in questo nostro tempo, un tempo
caratterizzato da un ritorno al paganesimo permissivo e
tollerante a tutti i livelli, anche a livello della coscienza dei
cristiani, i quali su questa materia derogano molto
facilmente.
Per affrontare questo discorso molto vasto mi rifaccio
a una definizione di castità o di verginità consacrata che è
stata formulata da P. Amedeo Cencini, che molto scrive
su questi temi. Nel 2005 ha scritto un libro “Verginità e
celibato oggi”. La definizione è questa: “Essere vergini per il
Regno in quanto consacrati vuol dire amare Dio al di sopra
74
di tutte le creature per amare con il cuore e la libertà di Dio
ogni creatura, senza legarsi a qualcuna né escluderne alcuna,
anzi amando in particolare chi non è amato”. Questa
definizione è complessa ma sottolinea fondamentalmente
una cosa, che il celibato è una questione d’amore e non è
una questione di rinuncia; è una questione d’amore per
Dio che va amato sopra ogni cosa, al di sopra di tutte le
creature e senza nessun specifico legame, anzi con una
preferenza: la preferenza va fatta nei confronti di chi non
è amato.
L’icona biblica che ci guida oggi: Mc 12,28-34:
Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi
discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò:
“Qual è il primo di tutti i comandamenti? ”. Gesù rispose: “Il
primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l ’unico
Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il
secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è
altro comandamento più importante di questi”. Allora lo
scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che
Egli è unico e non v’è altri all ’infuori di lui; amarlo con tutto
il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il
prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i
sacrifici”. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli
disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno aveva
più il coraggio di interrogarlo”.
75
Questo scriba si accosta a Gesù attratto dalla
profondità della sua Parola. Gesù aveva appena sostenuto
d a v a n t i a i sadducei il mistero della Resurrezione,
rivelando un volto inedito di Dio: Dio era il Dio di
Abramo, di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio della vita, il
Dio dei viventi: nessuno è morto ai suoi occhi. Si può
morire fisicamente ma il germe di vita eterna seminato in
noi nel Battesimo è garanzia di vita nuova. Capite come
un annuncio di questa portata non poteva non affascinare
uno scriba onesto, un ricercatore di Dio e della verità. E
infatti questa parola nuova e affascinante attira lo scriba
verso Gesù. Si rivolge a Lui e gli pone una domanda; è in
fondo simile a quella domanda di quel notabile ( o
giovane ricco) che chiedeva “Che cosa devo fare per avere
la v i ta eterna?” . Però egl i la pone con maggiore
competenza, egli sa che la via della vita è la via dei
comandamenti, per cui non fa questa domanda: “che cosa
devo fare per avere la vita eterna?” . Egli è consapevole
però anche che i comandamenti sono talmente numerosi
che è impossibile osservarli tutti. Allora dice: “Qual è il
primo?” Il “primo” in che senso? Quella da cui bisogna
cominciare? Quello che non si può comunque trascurare
tra i tanti? O meglio ancora, questo è il senso con cui
Gesù recepisce la domanda, quello su cui poggiano tutti
gli altri? Gesù risponde, seguendo la logica di questa
triplice interpretazione: l’amore di Dio e l’amore dei
76
f ratelli non è soltanto un comandamento, il primo di
molti altri, quello che vale di più rispetto agli altri. E’ il
fondamento degli altri comandamenti. Erano già presenti
questi impegni nell’ A.T.. Il libro del Deuteronomio recita
così: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è
uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con
tutta l ’anima e con tutte le forze” (Dt 6,4-5), e nel libro del
Levitico: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i
figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso”
(Lv 19,18). Gesù non dice niente di nuovo rispetto a
quello che già era proposto nell’antica Legge. Gesù
riprende questo insegnamento, riprende questi due testi e
li unisce insieme, non solo li unisce insieme ma li fa
dipendere l’uno dall’altro. Ecco la novità. Questi due
insegnamenti che dipendono l’uno dall’altro Gesù li pone
alla base del suo insegnamento. Li riformula in modo
nuovo e li riformula per gradi.
Primo gradino. “Ascolta Israele”. Non è un modo di
dire, non è un ‘intercalare. E’ il richiamo all’atteggiamento
previo , è i l r ichiamo all ’accoglienza della Parola
dell’Amore. Dio si rivela come Parola: “Parla, Signore, che
il tuo servo ti ascolta”. Quindi il primo gradino è quello
del la disponibi l i tà , de l la doci l i tà , de l la fiducia ,
dell’abbandono. Se non c’è questo atteggiamento previo
tutto il resto non sta in piedi.
A fondamento della castità c’è questa apertura del
cuore, c’è il superamento di quel “venne tra la sua gente ma
77
i suoi non l ’hanno accolto”. Il casto è colui che si lascia
met t e re in g ioco da Cr i s to, s enz a c a l co lo. E ’
l’atteggiamento di chi dice: io ci sto comunque ... Parla,
Signore che il tuo servo ti ascolta.
Secondo gradino. “Il Signore nostro Dio è l ’unico
Signore”. Dall’ascolto nasce la fede, la fede intesa qui
come accoglienza della signoria di Dio: “il Signore nostro
Dio è l ’unico Signore”. Una signoria che spazza via tutti gli
idoli su cui abbiamo costruito le nostre sicurezze, con cui
l’uomo costruisce quotidianamente le sue sicurezze. Egli è
l’unico. Ecco il secondo gradino. E’ questa adesione,
questo riconoscimento, questo orientamento che la Verità,
che la Luce, che il senso dell’esistenza vengono da Lui. E’
sempre l’evangelista Giovanni che ci introduce nella
comprensione di questa Verità: “a quanti l ’hanno accolto ha
dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel
suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da
volere di uomo ma da Dio sono stati generati” (Gv 1).
A fondamento de l l a c a s t i t à a l lo ra c ’è ques ta
disponibilità senza condizioni, c’è il riconoscimento della
signoria di Dio nella propria vita. “Chi crede è generato
da Dio”, è generato dall’Amore, per questo può amare.
I consigli evangelici sono un dono, anche la castità è
un dono, non è qualcosa che facciamo noi per Dio, non è
un impegno che noi assumiamo di vivere in un certo
modo davanti a Dio. E’ un dono impegnativo, che a volte
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pesa, ma che eleva, che porta a perfezione, è il dono di
essere generati dall’Amore e quindi capaci di amare.
Terzo gradino. “Amerai dunque (quel dunque sta a dire
che le parole che seguono vengono come conseguenza di
quell’”ascolta Israele” e di quel “Il Signore è il nostro Dio ed è
l ’unico Signore”, altrimenti tutto il resto non sta in piedi)
con tutto il cuore (gli affetti), con tutta la tua mente
(l’intenzione), con tutta la tua f or za (la volontà). E’
chiamata in causa tutta la persona: affetti, intenzioni,
volontà, comprese le intenzioni.
“Con tutta la mente”. Questa seconda modalità è
un’aggiunta di Gesù. Richiama la fede. Gesù la domanda.
Non basta l’ardore che ci spinge dentro nel seguire il
Signore sulla via della castità; non basta la volontà a
compiere le opere che testimoniano questa donazione a
Dio nella castità, ma è richiesta anche la fede, è necessaria
anche l’intenzionalità. E qual è l’oggetto di questa fede e
di questa intenzionalità? La signoria di Dio. Credo che
nel nostro compito vocazionale di essere Missionari della
Regalità la castità è la via maestra, è la via privilegiata.
Quarto gradino. Apparentemente in subordine:
“Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Apparentemente in
subordine perché subito Gesù lo integra al primo: “Non c’è
altro comandamento più importante di questi”.
Chi è i l pross imo? Lo sappiamo, è chiunque
incrociamo sulla nostra strada e ha bisogno del nostro
amore, come il malcapitato sulla strada di Gerico.
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E’ importante notare come lo scriba intuisca tutti
questi passaggi, li unisce insieme e ne trae le conseguenze:
Davvero questo “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”.
Gli olocausti e i sacrifici erano il cuore della religione
ebraica. Avvenivano nel Tempio e avevano la funzione o
di purificazione (il sacrificio noto come quello del capro
espiatorio) oppure avevano la funzione dell’alleanza (il
sacrificio che avveniva con l’aspersione del sangue delle
vittime sul popolo radunato) e i sacrifici di comunione
(che prevedevano il mangiare insieme con Dio, dunque
con la carne delle vittime, che una parte veniva bruciata e
una par te ven iva consumata t ra i p resent i ) . I l
comandamento dell ’Amore sintetizza tutta questa
ritualità, la assorbe, la riformula. La riformula perché non
è più qualcosa di esterno, qualcosa che io faccio, ma
qualcosa di interno e di personale.
Dio non vuole più – e Gesù ce lo manifesta
chiaramente – degli animali come vittime di sacrificio di
lode, ma tutta la nostra persona: cuore, mente, forze.
Perché non si sviluppa più nel Tempio questo sacrificio
ma nella nostra vita. E’ quello che Gesù dice alla
Samaritana: “Né su questo monte, né a Gerusalemme
(quindi nel Tempio) ma in Spirito e Verità adorerete il
Padre”.
Deve essere stato bello e soprattutto coinvolgente
l’espressione con cui Gesù chiude il discorso: “Non sei
lontano dal Regno di Dio”. E’ un invito alla sequela, ed è un
80
invito a guardare oltre dove la real izzazione e i l
compimento di questo progetto di vita rende attuale nel
tempo il compimento del Regno.
Vorrei che questa espressione la sentissimo rivolta a
noi, oggi. Contiene la proposta celibataria così come è
espressa dal l ’ a r t icolo 16 del le Cost i tuzioni : “Ci
impegniamo a vivere il celibato nella castità, donandoci con
cuore indiviso a Dio e cercando nell ’amore di Dio e dei fratelli
la forza per combattere le tentazioni del corpo e le debolezze
dello spirito”.
Vi propongo alcune riflessioni.
La prima è che la sostanza della scelta celibataria, il
suo “cuore”, la sua parte vitale consiste essenzialmente
nell’amore, inizia e si compie nell’amore, nasce dalla
scoperta che avviene nella contemplazione e avviene
anche nell’esperienza della vita, della scoperta dell’amore,
e mira all’aumento della capacità d’amare. Questa è la
castità. Non consiste primariamente nella rinuncia a
istinti o a tentazioni, tantomeno non consiste a dire di no
consciamente o inconsciamente, come a volte può
avvenire, all’esperienza dell’amare e dell’essere amato. Non
c’è neppure una pretesa soggettiva di perfezione all’origine
del voto di castità, o un’esigenza cultuale. Lo dico
soprattutto in riferimento a chi il voto di castità o la
promessa di celibato la fa in funzione di un ministero da
compiere: io prete posso essere “costretto” a essere celibe
per compiere il ministero sacro, cosa che sottolineo molto
81
con i seminaristi; non si può subire il celibato, ma è da
chiedersi se si è disponibili a essere celibi, se si è
disponibi l i a questo dono del la v i ta . Non è una
imposizione esterna come può essere una legge, oppure
interna come può essere un condizionamento psichico, ce
ne sono tanti condizionamenti psichici: la paura dell’altro
sesso o simili patologie che possono essere presenti nel
cuore molto complesso dell’uomo. La scelta celibataria è
un fatto d’amore ed è possibile solo come scelta dettata
dall ’amore. Alla base di ogni castità consacrata c ’è
l’esperienza di essere coinvolti in una avventura d’amore
che domanda tutto, perché può dare tutto. C’è una sorta
di innamoramento che fa sbiadire tutto il resto; c’è la
sensazione che rispondendo a questa seduzione divina
Dio diventi veramente l’unico. E’ così che ci si decide e ci
si può impegnare per Dio, amato come l’unico Amore
della nostra vita. Sarebbe interessante leggere il voto di
castità con la categoria della relazione. Non può mancare
la relazione nell’amore. Si possono avere quindi molti
amici e molti fratelli ma uno solo è lo Sposo.
Quando la passione per Dio cresce nel cuore tende a
diventare esclusiva ed escludente: tutti passano sul ponte
che è il nostro cuore, ma nessuno si ferma. A tutti è
concesso passare perché siamo chiamati ad amare, ma
nessuno si deve fermare, perché se qualcuno si ferma
impedisce il passaggio agli altri. La passione per Dio
tende a diventare esclusiva ed escludente. Dio e il suo
82
Regno sono sentiti allora come il tesoro nascosto per
poter avere il quale si va a vendere tutto quello che si ha.
L’oggetto di questo amore verginale è Dio con tutto
ciò che questo significa sul piano della centralità
dell ’esperienza spirituale che noi siamo chiamati a
coltivare nella nostra vita. Solo un Dio Amore può
chiederti di amarlo con tutto il cuore, solo chi ti ha
donato tutto può chiederti tutto, solo chi ti ha amato sulla
Croce può chiederti un amore che ti porterà alla croce. E
queste non sono parole, devono diventare esperienza
spirituale. Solo chi plasma ogni giorno il tuo cuore con il
suo Spirito al quale tu ti apri, al quale tu ti consegni, può
domandarti di amare con modalità diverse da quelle della
carne e del sangue.
Ma non so l tanto Dio è l ’ogget to de l l ’ amore
celibatario, bensì anche le creature: ogni creatura, secondo
la definizione di Cencini. E questo particolarmente per la
specificità secolare del vostro Istituto: “soprattutto chi è più
povero d’amore”. Se dobbiamo avere delle preferenze è nei
confronti di questi, oppure nei confronti di chi è tentato
di non sentirsi amabile perché di fatto, magari, non è
amato ma è discriminato, è lasciato nella sua solitudine.
Non c’è rivalità, non c’è frattura fra amore di Dio e amore
per l’uomo, ma c’è progressione. A partire dall’amore di
Dio, come un movimento concentrico che si espande,
raggiunge ogni essere che noi avviciniamo. Quando si
getta un sasso nello stagno si creano questi cerchi
83
concentrici che vanno sempre più verso la periferia fino a
raggiungere quelli che potrebbero essere i più lontani da
Dio, i più lontani dalla speranza di essere amati da Lui.
Possono essere raggiunti dall’amore di un cuore verginale,
di un cuore casto, come quello che il Signore ci ha
donato. In questa prospettiva va intesa l’espressione
paradossale di Don MIlani che diceva ai ragazzi a cui
aveva dedicato la sua vita: “Ho voluto più bene a voi che a
Dio; ho la speranza che Lui non sia attento a queste
sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto”. Nessuna
rivalità, nessuna frattura, ma progressione.
La modalità generale con cui viene espresso l’amore
celibatario è la totalità. Dio è amato infatti con tutto i
cuore, con tutta la mente, con tutta la volontà. “La
creatura è ben voluta con il cuore e la libertà di Dio che è
la pienezza e la totalità dell’amore” (A. Cencini). La cosa
più interessante è che si tratta di una totalità incrociata, in
riferimento all’oggetto dell’amore, nel senso che l’oggetto
divino che è Dio è amato con un cuore e da un cuore
totalmente umano. Mentre la creatura umana è ben voluta
e amata con benevolenza divina. Siamo chiamati ad
amare Dio con il nostro povero cuore, ma siamo chiamati
ad amare i fratelli con il cuore ricco di Dio. Sempre un
cuore di carne, certamente, ma un cuore educato dalla
libertà di Dio ad amare con la sua larghezza, la sua
altezza, la sua intensità.
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Vivere la castità vuol dire attingere costantemente dal
cuore di Dio la capacità di amare come ama Lui; noi
dobbiamo andare ai fratelli e amarli non con il nostro
povero cuore di carne, sempre limitato, ma dobbiamo
amarli con l’altezza, la larghezza e la profondità del cuore
di Dio. E’ ovvia la relazione tra i due amori: l’uno influisce
sull’altro inevitabilmente. Il mio cammino di verifica è
sempre accompagnato da questa espressione che è molto
viva: “Tra me e Cristo nessun volto (con tutto il cuore,
con tutta la mente, con tutte le forze), tra me e il fratello
il volto di Cristo”.
C’è anche una condizione perché questo amore
celibatario sia autentico ed è la definitività. Un’altra
caratteristica della totalità dell’amore è relativa al tempo,
non per un po’, ma per sempre, per tutta la vita. E’ un
aspetto dell’amore scarsamente accolto e difficilmente
vissuto nella cultura odierna. Si teme la definitività e tutto
questo perché l’amore è considerato unicamente nel suo
aspetto emozionale e non invece anche ne l l a sua
dimensione volitiva, che coinvolge cioè anche la volontà.
Ogni amore vero, maturo domanda un atto della volontà
che assicura la fedeltà, mentre ne esprime la profondità.
Così è anche per l’amore celibatario. E’ un amore spesso
crocifisso perché in certi momenti è un amore “a caro
prezzo”, non è “uno scherzo”! E’ un amore che frequenta
il Crocifisso, per restare fedele alla caratteristica
dell ’oblatività. E’ amore che sa passare dal Volto
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trasfigurato di Gesù sul Tabor al Volto sfigurato di Gesù
sul Crocifisso, nel Crocifisso, senza scandalizzarsi. E’ un
amore allora che esulta sul Tabor ed è fedele sul Calvario,
che conosce la possente attrazione dell’eros divino, che è
accompagnato anche da questo supporto emotivo
nell ’andare a Cristo Gesù, ma sa abbassarsi anche
all ’umile, oscuro modo di amare del l ’agape, cioè
dell’amore che non si aspetta niente in cambio. E’ amore
che va sempre coltivato nella interiorità, nella preghiera
intensa perché imita il Figlio, vergine e orante, sapendo
che castità e intimità con il Signore sono una sola cosa.
Solo chi coltiva l’intimità orante può testimoniare che la
sua vita verginale è frutto di un amore invisibile, di un
amore irresistibile.
Vi suggerisco alcune sollecitazioni per la verifica.
L’amore va coltivato in ogni stato di vita, anche l’amore
celibatario ha bisogno di una formazione permanente, che
significa:
� Collegare costantemente l’aspetto positivo
della castità, che è la scelta di qualcosa di
grande, con quello negativo che è la rinuncia
a ciò che può limitarla. Non è possibile
scegliere senza rinunciare. Ogni scelta è una
rinuncia a qualcos’altro, così come però non è
possibile una rinuncia senza una scelta, una
scelta che coinvolge di più, coinvolge
maggiormente. Ci diventa facile rinunciare a
86
qualcosa quando noi abbiamo scelto una
realtà, un bene che è più grande, che ci
coinvolge maggiormente, altr imenti la
r inunc ia d iventa un in fe rno, d iventa
impossibile.
� Non sganciare mai l’innamoramento di Dio
da l l a pas s ione per l ’ uomo. E ’ l ’ un ico
comandamento, dice Gesù: Perché l’uno
conferma l’altro e lo sostiene. L’amore per
Dio conferma e sostiene l’amore per l’uomo e
l ’amore per l ’uomo conferma e sostiene
l’amore per Dio, altrimenti nessuno dei due
amori è credibile. San Giovanni lo dice
chiaramente nella sua Prima Lettera: “Non
possiamo amare Dio se non amiamo il
fratello”. E nell’amore del fratello l’amore di
Dio diventa per fetto. E’ un passaggio
interessantissimo della Prima Lettera di
Giovanni. Sembra quasi che l’amore di Dio
sia imperfetto in se stesso, e l’amore di Dio
ha come oggetto l’uomo, come oggetto la sua
salvezza, la sua redenzione. Come può
raggiungere il suo obiettivo? Attraverso chi
quest’amore lo incarna. L’amore celibatario,
l’amore della nostra vocazione di secolari è
proprio questo: portare l’amore di Dio al suo
87
oggetto, al suo obiettivo, quindi rendere
perfetto l’amore di Dio.
� Non essere così superficiali da pensare di
essere casti solo perché non si fa nulla contro
la purezza, se non c’è anche un grande amore
che ci spinge dentro. Possiamo essere illibati,
né un pensiero né una parola né un gesto e
potremmo non essere casti perché non
abbiamo accompagnato questa illibatezza con
l’amore che ci spinge dentro. Né possiamo
essere così legalisti da ridurre il voto ad una
s e r i e d i o b b l i g h i d a r i s p e t t a r e o d i
trasgressioni da evitare. Per cui quando noi ci
verifichiamo sulla castità non dobbiamo
ripiegarci nel prendere atto degli errori
commessi, ma elenchiamo i frutti che essa ha
prodotto in noi e attorno a noi. Ciò che ci
deve preoccupare non sono le cadute o gli
errori ma la mancanza di frutti della nostra
castità che sono appunto i frutti dell’Amore.
Vi propongo un passaggio incoraggiante, lo trovo
molto stimolante. E’ una interpretazione di P. Renè
Voillaume sul le dinamiche del la v i ta consacrata ,
facilmente applicabile al voto di castità.
“Il cammino della vita consacrata si sviluppa in tre fasi.
La prima fase che è la fase della prima chiamata è la fase
dell ’entusiasmo, del coraggio, dell ’innamoramento in cui tutto
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sembra possibile anche se magari non facile. La povertà della
vita, la castità del cuore, l ’obbedienza della volontà. Una
montagna da scalare, certamente. Ma si pensa che un po’ con
le mani, un po’ con le ginocchia la salita sia possibile. E’ una
fase che può durare anche tanto ma è una fase che non dura
sempre. Si passa prima o poi alla seconda fase.
La seconda fase è quella della consapevolezza che
rispondere a questa chiamata è impossibile. E’ costituita dallo
scontro con i propri limiti, con la propria fragilità, con la
propria infedeltà. Quello che si era abbracciato con tanto
entusiasmo, con tanta generosità si avverte che è impossibile
realizzarlo pienamente. In un certo momento della propria
vita c i s i sente vinti più che vincitor i . E’ una fase
delicatissima perché le soluzioni possono essere diverse. Alcuni
in questa fase decidono di lasciare tutto, capitolano, ritengono
che non sia possibile, che non valga più la pena di lottare,
tanto non si riuscirà mai ad essere coerenti fino in fondo. Altri
invece, imboccano il tunnel della mediocrità, si adeguano,
rinunciano alla lotta, cercano di contenere i danni per sé e per
gli altri, cercano di non dare scandalo più di tanto ma
neppure vivono nella gioia.
La terza fase è definita come quella della “seconda
chiamata”. E’ la fase della maturità in cui l ’innamoramento
diventa amore. Si ha consapevolezza della propria incoerenza
e allora ci si affida allo Spirito di Cristo. E’ la fase in cui
l ’impossibile diventa possibile in Cristo. E’ la fase della fede
vera, dell ’abbandono sincero, la fase della castità matura. Il
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passaggio a questa terza fase avviene se si volge lo sguardo
v e r s o l a direzione giusta. Come l ’alpinista. Quando è
imbragato, pronto per la salita ma con i piedi poggiati per
terra, si sente sicuro, forte, capace. Quando si trova in parete,
sospeso ad un cavo che magari gli appare debole e sottile non
può guardare indietro, altrimenti prova le vertigini e cade.
Deve guardare avanti anche se non vede la meta, anche se
non vede dov’è agganciato questo cavo. E agire nella
convinzione che la corda è ancorata a un appiglio sicuro.
Allora procede, procede con la forza e la chiarezza che gli
viene da questa consapevolezza di essere lì sulla parete perché
è stato amato da Dio. E c’è un’unica strada che gli permette di
arrivare alla cima, quella di aggrapparsi a questa corda,
quella di rispondere a questo amore; tanto più riesce a crescere
in questo amore tanto più si sente capace di compiere
l ’impossibile.”
L’impossibile diventa possibile in Gesù; il nostro
appiglio è Cristo Gesù, è la passione per il suo Regno
quaggiù da costruire e quello definitivo verso il quale ci
sentiamo chiamati. Perdere di vista questo rende la vita
una fatica immane e inutile. Invece tenerlo presente fa sì
che la nostra consacrazione secolare sia un’avventura
stupenda.
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ISTITUTO SECOLARE DEI MISSIONARI
DELLA REGALITA' DI CRISTO
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