droghe diritti in questo numero - ristretti orizzonti. … · 2015-10-28 · sa nella nuova guerra...

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FUORI LUOGO DROGHE & DIRITTI NUOVA SERIE ANNO 5 NUMERO 4 SUPPLEMENTO MENSILE DE IL MANIFESTO 25 APRILE 2003 IN EDICOLA L’ULTIMO VENERDÌ DEL MESE Come scrive Franco Corleone, Antonio Co- sta – responsabile dell’agenzia antidroga del- l’Onu – ripropone da Vienna la strategia fal- limentare lanciata cinque anni fa dal suo predecessore Pino Arlacchi. An- che se le forme che essa assume cambiano a seconda dei diversi scenari, la proibizione sulle droghe è una aggressiva politica globale i cui drammati- ci effetti sono osservabili a tutte le latitudini, in America latina come in Eu- ropa. Per questo motivo Dario Fo e Franca Rame hanno scelto di dire no alla “war on drugs”, così come a tutte le guerre, in un editoriale che pub- blichiamo con particolare piacere. Intanto la guerra alla droga è ricompre- sa nella nuova guerra contro il terrore, come spiega Massimo Campedel- li, e la divaricazione tra i paesi “tolleranti” da una parte, e l’Onu e i paesi “intolleranti” dall’altra, sta aumentando. A questo proposito Fuoriluogo ha intervi- stato Martin Jelsma, e ospita interventi di Cindy Fazey e Patrizio Gonnella circa le Convenzioni Onu sulle droghe. In Italia lo scontro si accende: Gianfranco Fini da Vienna ha annunciato la revisione repressiva della legge sulla droga, cancellando i risultati del re- ferendum del '93. La rete “La libertà è terapeutica” ha deciso di rilanciare da subito con una piattaforma alternativa in difesa dei diritti di cittadi- nanza su cui costruire vaste alleanze. Ne scrive Susanna Ronconi. Per concludere, segnaliamo una voce tra le più autorevoli e amate dal mo- vimento antiproibizionista: Lester Grinspoon ripercorre su Fuoriluogo il suo viaggio alla scoperta della cannabis. IN QUESTO NUMERO fuori luogo .it Upperground Mdma ha promosso “Upperground”, un progetto artistico antiproibizioni- sta “dal mondo sommerso e proibi- to alla luce del sole” insieme a Fuo- riluogo, Encod, Indymedia. Per realiz- zare il progetto sono stati invitati ar- tisti, poeti, scrittori, musicisti e atto- ri, ed è stato chiesto loro di realizza- re un’immagine o uno scritto origina- le per la campagna. Le opere sono state poi fotografate e stampate in modo da ottenere dei manifesti. Il progetto, patrocinato dall’Assesso- rato alle politiche per le periferie e per il lavoro del Comune di Roma, sarà inaugurato in prima nazionale a Roma con la mostra e un night- party il 3 maggio, in concomitanza con la Million Marijuana March. Info: [email protected] www.arte.it/upperground UNA VIENNA DI LUCI E DI VOCI Vienna ha segnato l’esordio del movimento globale sulle droghe, con la manifestazione di sabato 12 aprile. È stata una bella “prima”, con quasi tremila manifestanti da ogni parte d’Europa, la musica e la poesia, gli artisti di strada e perfino un coffeeshop su quattro ruote... Tanti gli italiani, col Movimento Di Massa Antiproibizionista a gridare lo slogan più bello. “Fermiamo la guerra, fermiamo la guerra al- la droga”. Sì, perché la war on drugs è lo sciagurato, antico modello cui si ispira il nuovo governo glo- bale, fondato sulle bombe. Ricordate lo slogan femminista? “Era una notte di lupi feroci, l’abbiamo riempita di luci e di voci...” Li conosciamo bene i lupi feroci, quelli che spargono micidiali pesticidi su- gli inermi cocaleros, o eliminano gli avversari politici con la comoda scusa della “lotta al narcotraffico”, o riempiono le galere di consumatori. Alcuni così feroci da rialzare ancora la posta, vedi Fini. Li cono- sciamo e li riconosciamo, anche quando si camuffano dietro i doppiopetti delle grigie burocrazie Onu. Ora un nuovo movimento è qui, forse il buio non è più così fitto. alle pagine 3, 4, 5, 10, 11 e 12 Vienna, 12 aprile 2003. “Upperground”, evento situazionista durante il meeting Onu sulle droghe. Foto di Lucaddy

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FUO

RIL

UOG

ODROGHE&DIRITTI

NUOVA SERIEANNO 5

NUMERO 4SUPPLEMENTO

MENSILEDE

IL MANIFESTO

25APRILE2003IN EDICOLAL’ULTIMO VENERDÌDEL MESE

Come scrive Franco Corleone, Antonio Co-sta – responsabile dell’agenzia antidroga del-l’Onu – ripropone da Vienna la strategia fal-limentare lanciata cinque anni fa dal suo predecessore Pino Arlacchi. An-che se le forme che essa assume cambiano a seconda dei diversi scenari, laproibizione sulle droghe è una aggressiva politica globale i cui drammati-ci effetti sono osservabili a tutte le latitudini, in America latina come in Eu-ropa. Per questo motivo Dario Fo e Franca Rame hanno scelto di dire noalla “war on drugs”, così come a tutte le guerre, in un editoriale che pub-blichiamo con particolare piacere. Intanto la guerra alla droga è ricompre-sa nella nuova guerra contro il terrore, come spiega Massimo Campedel-li, e la divaricazione tra i paesi “tolleranti” da una parte, e l’Onu e i paesi

“intolleranti” dall’altra, sta aumentando.A questo proposito Fuoriluogo ha intervi-stato Martin Jelsma, e ospita interventi di

Cindy Fazey e Patrizio Gonnella circa le Convenzioni Onu sulle droghe.In Italia lo scontro si accende: Gianfranco Fini da Vienna ha annunciato larevisione repressiva della legge sulla droga, cancellando i risultati del re-ferendum del '93. La rete “La libertà è terapeutica” ha deciso di rilanciareda subito con una piattaforma alternativa in difesa dei diritti di cittadi-nanza su cui costruire vaste alleanze. Ne scrive Susanna Ronconi.Per concludere, segnaliamo una voce tra le più autorevoli e amate dal mo-vimento antiproibizionista: Lester Grinspoon ripercorre su Fuoriluogo ilsuo viaggio alla scoperta della cannabis.

IN QUESTO NUMERO

fuoriluogo.itUppergroundMdma ha promosso “Upperground”,un progetto artistico antiproibizioni-sta “dal mondo sommerso e proibi-to alla luce del sole” insieme a Fuo-riluogo, Encod, Indymedia. Per realiz-zare il progetto sono stati invitati ar-tisti, poeti, scrittori, musicisti e atto-ri, ed è stato chiesto loro di realizza-re un’immagine o uno scritto origina-le per la campagna. Le opere sonostate poi fotografate e stampate inmodo da ottenere dei manifesti. Il progetto, patrocinato dall’Assesso-rato alle politiche per le periferie eper il lavoro del Comune di Roma,sarà inaugurato in prima nazionale a Roma con la mostra e un night-party il 3 maggio, in concomitanzacon la Million Marijuana March. Info: [email protected]/upperground

UNA VIENNADI LUCI E DI VOCIVienna ha segnato l’esordio del movimento globale sulle droghe, con la manifestazione di sabato 12

aprile. È stata una bella “prima”, con quasi tremila manifestanti da ogni parte d’Europa, la musica e la

poesia, gli artisti di strada e perfino un coffeeshop su quattro ruote... Tanti gli italiani, col Movimento

Di Massa Antiproibizionista a gridare lo slogan più bello. “Fermiamo la guerra, fermiamo la guerra al-

la droga”. Sì, perché la war on drugs è lo sciagurato, antico modello cui si ispira il nuovo governo glo-

bale, fondato sulle bombe. Ricordate lo slogan femminista? “Era una notte di lupi feroci, l’abbiamo

riempita di luci e di voci...” Li conosciamo bene i lupi feroci, quelli che spargono micidiali pesticidi su-

gli inermi cocaleros, o eliminano gli avversari politici con la comoda scusa della “lotta al narcotraffico”,

o riempiono le galere di consumatori. Alcuni così feroci da rialzare ancora la posta, vedi Fini. Li cono-

sciamo e li riconosciamo, anche quando si camuffano dietro i doppiopetti delle grigie burocrazie Onu.

Ora un nuovo movimento è qui, forse il buio non è più così fitto. alle pagine 3, 4, 5, 10, 11 e 12

Vienna, 12 aprile 2003. “Upperground”, evento situazionista durante il meeting Onu sulle droghe. Foto di Lucaddy

scente da un grave incidentestradale soffro di vertigini,mal di testa, vomito e doloriatroci sulle placche metalli-che che mi hanno messo allozigomo e alla tempia. Qua ilmedico non si vede e io nonso più che fare. Per quanto riguarda l’indulto, ol’indultino non se ne parla piùperò qua stiamo stipati comele bestie e le condizioni igieni-che non sono descrivibili.

Lettera firmata carcere di Rebibbia, Roma

CANAPA MEDICAIN TRIBUNALEUn mio cliente viene arresta-to da elementi del Corpo Fo-restale dello Stato che, inve-ce di pensare agli incendi ap-piccati per rendere fabbrica-bili le macchie mediterranee,si dedicano alla caccia allacannabis. Il mio cliente avevapiantato trecento piante dicanapa indiana vicino al suocasale, nelle colline di Orvie-to. In sede di convalida del-l’arresto il Gip, nonostante ilcontrario avviso del Pm, haaccolto la tesi difensiva del-l’uso terapeutico, scrivendonell’ordinanza di immediatascarcerazione che, in assen-za di elementi che rinviasse-ro allo spaccio, appariva cre-dibile la tesi difensiva per cuil’uso della cannabis avevaconsentito al mio cliente diuscire dal tunnel dell’eroina.In sede di dibattimento il giu-dice monocratico, dopo quat-tro ore di solitaria meditazio-ne, ha condannato l’imputatoad 8 mesi di reclusione consospensione condizionaledella pena: in sentenza hapoi scritto che la tesi dell’usoterapeutico non era ancoramaturata nella giurispruden-za, e che se ne auspicava lamaturazione.

Avv. Fausto Cerulli

Per rivivere Vienna Sul sito www.vienna2003.org potete tro-vare il resoconto e le immagini della ma-nifestazione del 12 aprile in occasionedel meeting Onu sulle droghe.

Una nuova struttura per EncodDomenica 13 aprile si è tenuta a Vien-na, in occasione della mobilitazionecontro la politica dell’Onu sulle droghe,una riunione della rete europea Encod(European Ngo Council on Drugs). All’e-vento hanno partecipato organizzazionie movimenti provenienti da molti paesieuropei, non solo dell’Unione ma anchedell’est europeo come nel caso dell’Un-gheria, della Polonia, della Croazia. Perl’Italia erano presenti Fuoriluogo, ForumDroghe, rete Mdma, Cgil nazionale,Rifondazione comunista. All’ordine del

giorno della riunione il riassetto di En-cod, necessario per avviare un pianod’azione per il dopo-Vienna. La nuovastruttura si è dotata di un comitato dicoordinamento internazionale, e sonostati costituiti alcuni gruppi di lavoro.Uno di essi si occuperà di individuare lestrategie politiche generali e metterà apunto delle linee-guida per impostarel’attività politica nei prossimi mesi,mentre un secondo si propone l’obietti-vo di portare la questione delle drogheall’interno dell’agenda politica dei so-cial forum. Prossimo appuntamento: ilsocial forum europeo che si terrà in no-vembre a Parigi. Altrettanto importanteè il gruppo di lavoro che si occuperà dipromuovere eventi artistici e culturali,nonché la produzione di video (moltomateriale è stato già girato a Vienna).

Infine, un gruppo si occuperà di gestireil sito europeo. Attualmente ne esisto-no due (www.encod.org e www.vien-na2003.org) ma nel futuro si potrebbedecidere di unificarli. Infine, al comitatodi coordinamento spetta il compito piùpressante ed anche quello forse più dif-ficile: la ricerca di fondi.

Diamo i numeriOgni tanto ci capita. Sono i numeri dellestatistiche che sempre più ci aiutano acomprendere come il lavoro fatto sullacarta e sulla rete sia apprezzato dai no-stri lettori. Sono oltre 1200 i visitatorigiornalieri del piccolo network di fuoriluo-go (che comprende anche medicalcanna-bis.it) per oltre 6200 pagine viste di me-dia. Gli iscritti alla newsletter sono circa4250, mentre coloro che hanno deciso

di “iscriversi” al sito sono più di 2000.Per i più affezionati visitatatori avevapensato originariamente ad una serie disevizi “riservati”, che per motivi tecnicinon abbiamo mai potuto sviluppare. Orache i problemi tecnici sono superati at-tendiamo anche le vostre idee: scrivetea [email protected].

Link di stagioneLe pagine interne più consultate sonoquelle del cow jones, un primato que-sto ormai storicamente consolidato.Nel mese di aprile si segnala invece lospeciale sulla festa della semina cheriesce a superare in accessi (in parti-colare alla pagina dei link per la coltiva-zione...) lo speciale di Vienna 2003.Quando le passioni agricole superanoquelle politiche.

fuoriluogo.it

Le lettere vanno indirizzate a:redazione fuoriluogo c/o il manifestovia Tomacelli, 146 – 00186 Romafax 0668841224e-mail: [email protected] Supplemento mensile

de il manifesto25 aprile 2003FUORILUOGOLETTERE

DA NEW YORK A VIENNAIL CAMMINO DELLA RIFORMALa “campagna di Vienna” perla riforma della politica Onusulle droghe può contare suun alleato di un certo peso. Sitratta del settimanale ingleseThe Economist, che all’inizio diaprile ha dedicato a questaquestione un servizio piutto-sto approfondito. Dalla sessio-ne speciale dell’Assembleagenerale del ‘98 a New York,quando fu lanciato l’obiettivodi liberare il mondo dalla dro-ga entro il 2008, alla fine inglo-riosa di Pino Arlacchi costret-to ad abbandonare tra le pole-miche il suo incarico alla gui-da dell’Odccp, fino alle più re-centi tensioni determinatesinei rapporti tra l’Onu (in par-ticolare l’agenzia Incb) e queipaesi che negli ultimi annihanno avviato un ripensa-mento in senso liberale delleloro politiche (come la GranBretagna, la Svizzera, il Cana-da): l’articolo ripercorre unaserie di tappe importanti, for-nendo al lettore una sorta dimappa generale. Il lavoro di documentazioneaccumulato in anni di lavoroda Ong e ricercatori trasparechiaramente in filigrana, se-gno che questi hanno ben se-minato producendo dellecompetenze che non possonopiù essere negate. Tra l’altroregistriamo con piacere il fat-to che in questi anni – ma an-che ultimamente a Venezia –molti degli esperti citatidall’Economist sono venuti aesporre i loro contenuti inItalia per iniziativa del Fo-rum Droghe. Ethan Nadel-mann (Drug Policy Founda-tion, New York) e Martin Jel-sma (Transnational Institute,Amsterdam) sono nomi giànoti ai lettori di Fuoriluogo.Ad essi si aggiunge, proprioin questo numero, anchequello di Cindy Fazey del-l’Università di Liverpool.Per quanto riguarda le previ-sioni politiche, va detto chel’anonimo estensore dell’arti-colo non lascia molto spazioalle illusioni. «Il cammino ver-so una politica razionale sulledroghe – scrive – sarà verosi-milmente lungo». Vorremmotanto che si sbagliasse.

“Illegal Drugs: Just Say Maybe”The Economist, 3 aprile 2003a cura di Marina Impallomeni

INTERNATIONAL DRUG TRIBUNE

Quattro anni fa sono stato trovato in possesso di un cylum non perfettamen-te pulito. Le analisi hanno potuto individuare «tracce di thc infinitesimali».Qualche giorno fa mi sono visto recapitare una lettera dalla Prefettura di Mi-lano che mi intima di presentarmi al centro tabagismo per valutare una miaeventuale adesione a un programma terapeutico socio-riabilitativo. Dopo ilcolloquio con l’assistente sociale mi è stato detto che la mia segnalazione verràtenuta negli archivi di tutte le questure d’Italia e che, nel caso venga trovatonuovamente in possesso di sostanze stupefacenti, rischio dal ritiro della pa-tente o del passaporto all’adesione forzata a un programma socio-riabilitati-vo. Nel frattempo vedrò arrivarmi a casa una lettera del Prefetto che mi invi-terà formalmente a non fare più uso della sostanza. Quello che vorrei sapereè che cosa rischio realmente e se non ci sono delle dosi minime di sostanza stu-pefacente da trovare prima di arrivare a provvedimenti del genere. Una quan-tità infinitesimale non dovrebbe essere sotto una qualsiasi soglia minima?

Lettera firmata

ANASTASIARISPONDETutto vero, caro amico! Tutto stupidamente vero! L’articolo 75 del Testo unico suglistupefacenti delinea esattamente questo calvario fatto di burocrazia, piccole torturepsicologiche e limitazioni delle condizioni di libertà che ha descritto. L’unica atte-nuante che esso ha è che fu concepito come alternativo alle più crude sanzioni penaliche vengono comminate a chi viene trovato in possesso di quantità di sostanze stupe-facenti eccedenti quelle che si possono presumere destinate all’uso personale. Quindi,essendo un privilegio il calvario amministrativo, anche la quantità infinitamente pic-cola di Thc che le è stata trovata nel cylum non gli si può sottrarre. Contro la stupi-dità (e la pervicacia) delle sanzioni amministrative (e in particolare del ritiro della pa-tente previsto anche da un correlato articolo del codice della strada), sanzioni destina-te a quelli che la stessa legge considera come meri consumatori di sostanze stupefa-centi, Giancarlo Arnao dedicò gran parte delle sue energie e della sua memorabile acri-bia negli ultimi anni. Eppure sono ancora lì, monumento dell’idiozia proibizionista se-condo cui, in virtù del principio dell’infinitamente piccolo, alcuni milioni di personedovrebbero prestarsi all’iter del buffetto prefettizio, prima di vedersi assegnati a unprogramma terapeutico socio-riabilitativo dai contenuti impossibili e privati di docu-menti essenziali al proprio lavoro o al proprio ben-essere (non male, per un propositosocio-riabilitativo!).L’assurdità del tutto è connaturata al fatto che sul disvalore attribuito al consumo didroghe attraverso questo articolo si regge l’intera ideologia del Testo unico, la sua con-fusione tra diritto e morale, il suo asservimento del diritto alla morale e quindi delle li-bertà individuali alla moralità e alla opinione dominante. Se il consumo di droghe fos-se escluso dal novero delle condotte negativamente rilevanti ai fini della legge, ca-drebbero i pregiudizi che impediscono all’Italia di seguire le esperienze più avanzatein fatto di legalizzazione dei derivati della cannabis e di somministrazione controllatadi eroina. Questo stupido articolo 75 del Dpr 309/90, insomma, è il totem intorno acui gira la politica sulle droghe del nostro Paese. Non sarebbe male se qualcuno, a par-tire dalla sua palese stupidità, volesse riprendere la saggia battaglia per abbatterlo.

Stefano AnastasiaPresidente nazionale di Antigone

associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale

GLI STUPIDI E I SAGGISUL FILO DELLA PIPÌSalve, mi chiamo Federico, ho26 anni e sono alle prese conl’ennesimo rinnovo della pa-tente con le conseguenti “fan-tastiche” analisi delle urine.Vorrei solo domandarvi quan-ti casi di positività (all’Emit te-st) più o meno avete ricevutodi persone che avevanosmesso di “fumare” da alme-no 50 giorni. Io sono una diquelle, ed essendo stato unfumatore abituale, mi sonopreso questo periodo di ripo-so (per l’esattezza 52 giorni).Ora sto aspettando i risultatie ho il panico di non essereriuscito a “depurarmi”. Ho let-to migliaia di siti internet, eognuno dà dei tempi diversiper questi “periodi di riposo”.Mi sapreste dire con precisio-ne qualcosa di più? Senza im-pegno, naturalmente! Graziecomunque e complimenti peril lavoro di informazione chestate svolgendo!Ciao

Federico

Il Thc (cioè il principio attivodella cannabis) può rimanerenelle urine per una settimanacirca se è stato fumato unospinello una-tantum, mentrepuò persistere un mese o po-co più se si è fumato tutti igiorni per periodi più o menolunghi. Perciò non dovrestiavere particolari motivi dipreoccupazione.

IN CARCERE ALLA ROVESCIASalve! Mi presento. Ho 57anni, mi trovo ristretto nel car-cere romano di via RaffaeleMaietti per un mandato di cat-tura antico. In pratica (essen-do tanti anni che non entravo)a me pare che non funzionapiù niente o se funziona qual-cosa è alla rovescia di comedovrebbe. Essendo convale-

3Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003 FUORILUOGOEDITORIALI

Fuoriluogomensile di Forum Droghenuova serie anno 5, numero 4chiuso in redazione il 18/04/03supplemento de il manifestodel 25/04/03

Direzione:Grazia ZuffaCecilia D’EliaCoordinamentoredazionale:Marina [email protected]:Beatrice Bassini, Claudio

Cappuccino, LeonardoFiorentini (webmaster)Enrico Fletzer, Lucio GamberiniPatrizio GonnellaGiovanni NaniSusanna RonconiSergio SegioMaria Gigliola Toniollo

Comitato editoriale:Stefano Anastasia, Andrea Bianchi, Giorgio Bignami, Giuseppe Bortone, Gloria Buffo, Massimo Campedelli,Stefano Canali, Giuseppe Cascini,

Luigi Ciotti, Maria GraziaCogliati, Peter Cohen,Antonio Contardo, Franco Corleone, PaoloCrocchiolo, Daniele Farina,Matteo Ferrari, Andrea Gallo, Maria Grazia Giannichedda,Betty Leone, Franco Maisto, Luigi Manconi,

Patrizia Meringolo, Toni Muzi Falconi, Mariella Orsi, Livio Pepino,Tamar Pitch, Anna Pizzo,Toy Racchetti, ErsiliaSalvato, Nunzio Santalucia, Luigi Saraceni, Uwe Staffler,Stefano Vecchio,Maria Virgilio

Direttore responsabile:Maurizio BaruffiSegreteria di redazione:tel. e fax 0684241224 0684080238E-mail: [email protected] grafico:Andrea MattoneDisegni: Onze

Impaginazione:Sagp, RomaSito web: www.fuoriluogo.itRealizzato col contributo diLeonardo Previ e SaraSecomandi di Methodos s.p.a.Editore: Forum Droghe

via Salaria 222, 00198 RomaE-mail: [email protected]. n. 25917022Pubblicità: Poster pubblicità s.r.l.via Tomacelli, 146 00186 Romatel. 06/68896911fax 06/68308332

Stampa: Sigraf spa, via Vailate 14Calvenzano (Bg)Registrazione :Trib. Roma: n. 00465/97 del 25/7/97Iscrizione al Registronazionale della Stampa :n. 10320 del 28/7/00

Di Pinoin peggio

Un mondosenza guerre

LE DROGHE DEL “MONDO NUOVO”Si può dire che Aldous Huxley anticipòdi vent’anni la moderna psicofarmacolo-gia, quando ne Il mondo nuovo (1932) ipo-tizzò che l’umanità del futuro potesseogni tanto ricorrere a una droga-farmaco– «euforica, narcotica, gradevolmente al-lucinante... un grammo per una giornatadi vacanza, due grammi per un’escursio-ne nel fantasmagorico Oriente» – in fun-zione anti-stress.Huxley non era certo digiuno di letture (oesperienze) sulle “droghe”. Soma, il nomedel “farmaco perfetto” del suo libro è pro-prio quello di una misteriosa droga citatanel Rg-Veda indiano e mai identificatacon certezza. E nel 1931 egli scrisse: «Perquanto posso guardare avanti, il solo pos-sibile nuovo piacere potrebbe derivaredall’invenzione di un nuovo farmaco...qualcosa che possa, per 5 o 6 ore al giorno,abolire la nostra solitudine di individui,portarci con i nostri compagni in un’ar-dente esaltazione di affetti, e far sì che lavita in ogni suo aspetto sembri non solodegna di essere vissuta, ma divinamentebella e piena di significato...» (a occhio ecroce, per quanto ne so, e a parte i persi-stenti dubbi sulla sua tossicità, questo po-trebbe essere il ritratto dell’Mdma!).Molti anni dopo, nel maggio 1953, sotto laguida dello psichiatra HumphryOsmond, Huxley fece la prima delle sueesperienze con la mescalina, una delle“nuove droghe” che in quegli anni stava-no appassionando i ricercatori, e la de-scrisse in Le porte della percezione (da Wil-liam Blake: «Se le porte della percezionefossero perfettamente ripulite, ogni cosaapparirebbe come è, infinita»).Per chi scrive, queste pagine restano an-cora oggi la più bella e ricca introduzionealle straordinarie proprietà farmacologi-che delle sostanze “psichedeliche”, o se sipreferisce, allucinogene («Vedevo ciò cheAdamo aveva visto la mattina della suacreazione: il miracolo della nuda esisten-za [...] Mi vennero alla mente parole come“grazia” e “trasfigurazione”»), e non ten-terò nemmeno di riassumerle malamentein poche righe (potete leggerle negliOscar Mondadori, insieme all’altro sag-gio, di due anni dopo, Paradiso e inferno).Huxley morì di cancro il 22 novembre1963, il giorno dell’assassinio di Ken-nedy. La moglie Laura ha raccontato chevolle essere accompagnato nella fase fi-nale del trapasso da una dose di Lsd, chepotesse facilitare il suo passaggio in quel-la che il suo amatissimo Libro tibetano deimorti chiama “la luce chiara”.

a cura di Claudio Cappuccino

UOMINI, DONNEE DROGHE

FRANCO CORLEONE

Pino II, lo chiameremo così. Perché al summit di Vien-na l’attuale responsabile dell’Agenzia dell’Onu sulledroghe (Unodc) ha confermato la strategia di cinqueanni fa del suo predecessore Pino Arlacchi, senza unsegno di ripensamento, nonostante l’evidente falli-

mento della missione impossibile di creare in dieci anni unmondo senza droga. Nel discorso di apertura del meeting del-la Commissione sulle Droghe Narcotiche (Cnd), non si capiscese per ingenuità o protervia, il suddetto ha chiesto una confer-ma all’unanimità della scelta di guerra.

Il grottesco è stato raggiunto quando ha denunciatol’aumento della produzione e del consumo di cannabis e ha en-fatizzato il danno per la salute che tale sostanza produce. Il pro-blema nasce dalla percezione distorta che si tratti di una drogaleggera, ha sentenziato, e l’unico momento di imbarazzo l-hamostrato sulla questione della canapa terapeutica.

Fa senso l’appropriazione e lo snaturamento della ridu-zione del danno, di cui le strategie di eradicazione farebbero par-te (sic!) Anche il latinetto scolastico viene buono al nostro: pactasunt servanda e così lancia la sfida agli stati membri di proporre ladenuncia (o la modifica) delle convenzioni oppure di tacere. Glielogi sono andati alle Ong svedesi, paladine del proibizionismo,a quelle che dissentono sono stati riservate squallide offese.

La dichiarazione finale dei governi non è destinata cer-to a lasciare una traccia nella storia. Conferma in maniera ge-nerica il sostegno alle agenzie delle Nazioni unite, esprime unappoggio criptico alle politiche di riduzione del danno e solle-cita un-opera di dissuasione dal consumo delle droghe, com-preso l’uso ricreativo di sostanze come la cannabis, da parte deibambini e dei giovani.

Lo scontro è stato più acceso sulle risoluzioni partico-lari. Nel gioco dei veti incrociati, è caduto l’appog-gio allo scambio siringhe e ai trattamenti sostitutiviper i tossicodipendenti; ma è caduta anche, per for-tuna, la condanna delle organizzazioni della società

civile che chiedono politiche più tolleranti, ree di “indebolire ilsistema di controllo internazionale”.

E allora, tanto rumore per nulla? No davvero, in primisper i molti interventi di rappresentanti di governi che hannomostrato, seppure con prudenza, visioni diverse e alternative:dalla Grecia, alla Gran Bretagna, al Canada al Belgio e all’O-landa. Rispetto alla discussione dell’assemblea generale diNew York, è diffusa la percezione che il giocattolo dell’unani-mismo ideologico si è rotto irrimediabilmente: l´Unodc dovràseppure a malincuore prendere atto che il mondo è cambiato.

Ma anche perché nelle stesse ore e negli stessi giornidella riunione ufficiale dell’Onu, si è sviluppata una conferen-za alternativa organizzata dal Senlis Council in cui il confron-to culturale, scientifico e politico si è animato senza verità pre-costituite tra rappresentanti di delegazioni ufficiali, studiosi,operatori e associazioni.

Non è stata una sorpresa l’intervento di Gianfranco Fi-ni che ha platealmente annunciato il nuovo giro di vite proibi-zionista in Italia. La legge annunciata non sarà solo una riven-dicazione dello stato etico, ma ancheun cinico strumento di persecuzio-ne dei tossicodipendenti e dei con-sumatori accusati di minare la coe-sione sociale. In Italia ci aspetta unanuova battaglia, da subito. ■

DARIO FO E FRANCA RAME*

La logica della guerra moltiplica e drammatizza i problemi ele situazioni che pretende di risolvere manu militari. La pra-tica della guerra lascia dietro di sé solo sofferenza e morte,torture e carcerazioni di massa, violazione di diritti umani ecivili. Questo è vero per tutti i conflitti bellici, compresa la

guerra “preventiva” in Iraq. Ma è vero anche per la war on drugs, per laguerra che da decenni, sempre su impulso dominante degli Usa, si stacombattendo contro le droghe. Ma più corretto sarebbe dire contro chile droghe consuma. Perché certo le politiche della war on drugs non col-piscono o danneggiano i narcotrafficanti. Anzi. Lo stesso Afghanistan,dopo aver subito la “guerra umanitaria” e pur in presenza delle forzearmate occidentali, è tornato a essere, indisturbato, uno dei centri mon-diali di maggior coltivazione e traffico di oppio.

Chi paga il maggior prezzo delle politiche di massima repres-sione sulle droghe sono esclusivamente i consumatori. In Italia, su cir-ca 57.000 detenuti presenti al 30 giugno 2002, risultavano 15.698 tossi-codipendenti. La metà di loro viene arrestata e detenuta esclusiva-mente per violazione della legge sulla droga, e in particolare per il pos-sesso di piccole quantità di sostanze.

Ma questa situazione non è solo italiana, pur se a livello euro-peo molti Paesi, a differenza del nostro, stanno sperimentando politi-che di maggior tolleranza. Di nuovo, gli Usa sono un modello negati-vo e fallimentare: lo dimostrano anche lì le cifre penitenziarie, che ve-dono ormai 2 milioni di persone in carcere e altri 4 milioni sottoposti amisure penali. Gran parte di loro sono perseguiti per reati di droga.

Ma la war on drugs non si traduce solo in privazione della li-bertà. Spesso comporta anche la perdita della vita. In Italia, negli ulti-mi 25 anni sono morte 18.000 persone. Altrettante sono morte per Aids.Si usa dire: “morti per overdose”, “morti per droga”. Invece, nella granparte dei casi sono morti per le condizioni in cui, grazie alle politichedi massima repressione, le persone sono costrette ad acquistare e con-sumare quelle sostanze.

C’è un evidente fallimento di queste politiche. Anche in Ita-lia crescono le iniziative e le sensibilità per chiedere mo-difiche di rotta, a partire da quelle portate avanti da Fo-rum Droghe, il cui appello “Verso Vienna 2003” ha rac-colto centinaia di adesioni di associazioni e, significati-

vamente, di 40 parlamentari. Purtroppo, il governo di centrodestra pa-re intenzionato ad andare in tutt’altra direzione, inasprendo ancora dipiù la legislazione.

Vogliamo sperare che il Vertice di Vienna possa portare un se-rio ripensamento a livello mondiale. Anche per questo è importante l’i-niziativa del “Senlis Council”, a cui mandiamo i nostri saluti, e la ma-nifestazione del 12 aprile a Vienna. Così come la logica della guerra co-me metodo di risoluzione dei conflitti internazionali è la stessa che staalla base della war on drugs, così, la logica e la mobilitazione per la pa-ce debbono estendersi nel chiedere anche diritti per tutti e pace per chiviene perseguitato e incarcerato per le sostanze che consuma.

All’Assemblea generale Onu sulle droghe, nel 1998 a NewYork, dall’allora responsabile dell’Undcp venne lanciata la parola d’or-dine di “un mondo senza droghe”. A cinque anni di distanza si puòben dire quanto già si sapeva: quella parola d’ordine è pura demago-gia, che comporta effetti tragici. A cinque anni di distanza, in questomomento importante di Vienna, noi vogliamo lanciare una diversa pa-

rola d’ordine: vogliamo un mondo senza guerra. Senza guerracontro i popoli e senza guerra contro chi consuma droghe. Cisembra un obiettivo ben più praticabile e ben più giusto. ■

* Lettera inviata al convegno del Senlis Council (Drug Policy AdvisoryForum) nei giorni del summit Onu di Vienna (15-17 aprile 2003)

FL Speciale Vienna su www.fuoriluogo.it

4 Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003FUORILUOGOWAR

ON DRUGS

M a r i n a I m p a l l o m e n iV E N E Z I A

Sulla scena internazionale assistiamo a un radicalizzarsi delloscontro tra i paesi che sono favorevoli a riforme pragmatiche,e paesi invece, come gli Usa, la Svezia o il Giappone, semprepiù arroccati su posizioni proibizioniste. Ne abbiamo parlatocon Martin Jelsma (Transnational Institute, Amsterdam) in oc-casione del convegno dedicato alla politica dell’Onu e le con-venzioni internazionali, recentemente organizzato dal Fo-rum droghe con la collaborazione dell’assessorato alle politi-che sociali del Comune di Venezia.Come vedi lo scenario internazionale?

Per quanto riguarda la politica della cannabis, a mio parere i messaggilanciati dall’Onu sono un po’ contraddittori. All’inizio di marzo, il capo dell’a-genzia Onu sulle droghe (Odc), Antonio Costa, parlando in Svezia si è espressocontro qualunque allentamento delle leggi penali sulla cannabis. Ero rimastosconcertato perché, parlando con molti funzionari dell’Odc, avevo raccolto se-gnali diversi. Il fatto interessante è che si sta determinando una grossa differen-za di interpretazione delle Convenzioni Onu tra l’Incb – che intende mantenereun’interpretazione molto restrittiva e continua a diffondere un messaggio incre-dibilmente duro contro qualunque misura di riduzione del danno o tentativo didecriminalizzare la cannabis – el’Odc. Ci sono indicazioni chel’Odc ritenga maturo il momen-to per dare più spazio a queipaesi che stanno attuando poli-tiche di riduzione del danno eche subiscono pressioni crescen-ti dall’Incb. Questi paesi comin-ciano ormai a protestare con leagenzie Onu per la mancanza dispazio di manovra, ma anche per le continue critiche che ricevono.

Quali segnali di tensione vedi?Un esempio è la lettera del sottosegretario agli interni britannico, Bob

Ainsworth, all’Incb, in cui egli protesta ufficialmente in tono molto deciso con-tro le critiche del Board alla decisione del governo di riclassificare la cannabis(vedi articolo a pag. 11). Nella lettera si dice che l’atteggiamento del Board èsemplicemente inaccettabile. Naturalmente, questo per l’Odc non è piacevole.

Quali le conseguenze?Questa crescente tensione va gestita in qualche modo. Ad esempio il si-

gnor Leroy, della sezione affari legali dell’Undcp, ha detto alla conferenza del-l’Unione Europea ad Atene che le Convenzioni non sono immutabili e posso-no essere modificate. Egli ha menzionato specificamente il diritto di fare degliaggiustamenti per mediare con i paesi che stanno applicando misure di ridu-zione del danno. Sono segnali che fanno pensare che, dentro l’Odc, gli espertidelle Convenzioni stiano considerando questa possibilità.

Ciò vale anche per la decriminalizzazione della cannabis?Su questo punto potrebbe essere più difficile ottenere lo stesso atteggia-

mento di relativa apertura da parte dell’Odc, vista la presa di posizione di Costa.Ci sono anche altri segnali: a ottobre, il comitato di esperti dell’Oms ha racco-mandato di riclassificare il Thc, il principio attivo della cannabis. Ma questa rac-comandazione non è stata trasmessa al Cnd. L’Odc in sostanza l’ha bloccata, so-stenendo che non era ben fondata.

A mio parere, un primo test sarà offerto dalla nuova legge sulla canna-bis in Svizzera, che sarà adottata entro quest’anno. Sarà interessante vedere co-me reagirà l’Incb. Continuerà a protestare e gli svizzeri ignoreranno le critiche,oppure gli svizzeri cercheranno di chiedere anche delle modifiche alle Con-venzioni internazionali?

Stai dicendo che la legge che sarà approvata in Svizzera è fuori dalle Con-venzioni?No, o quantomeno ci sono interpretazioni diverse. Le autorità svizzere

sostengono che, in base alla loro interpretazione delle Convenzioni, queste mi-sure non violano i trattati. L’Incb invece sostiene il contrario.

È una situazione simile a quella delle injecting rooms. Anche qui le ten-sioni sono molto evidenti, e bisogna vedere se paesi come la Germania, l’O-landa, il Portogallo e altri, semplicemente ignoreranno le critiche del Board, ose avvieranno qualche tipo di procedura per chiedere di modificare i trattati.

In questi giorni si riparla del piano Scope. Puoi chiarire in cosa consiste?Il piano Scope (Strategy for Coca and Opium Poppy Elimination) fu messo

a punto in fretta e furia poco prima della Sessione speciale del ‘98. Si trattavadi un pacchetto di interventi controverso e ambizioso, focalizzato sugli otto

VIENNA 2003, PARLA MARTIN JELSMA DEL TRANSNATIONAL INSTITUTE DI AMSTERDAM

NAZIONI UNITE, PRIME CREPEDOPO I FASTI DI NEW YORK

paesi dove la coca e il papavero da oppio sono ora concen-trati. Esso prevedeva un mix di misure alternative di svi-luppo e programmi di eradicazione forzata per raggiunge-re l’obbiettivo di eliminare completamente le coltivazionidal pianeta in 10 anni. Ma il piano Scope non fu mai adotta-to, e neanche presentato formalmente alla Sessione specialedel ‘98.

Perché?Da una parte era costoso (qualcosa come 4 miliardi

di dollari), dall’altra era un miscuglio non chiaro di misuredi sviluppo ed eradicazioni forzate. Inoltre c’era un puntomolto controverso, cioè l’avvio di eradicazioni biologichecon l’uso di funghi che erano in grado di eliminare sia le col-tivazioni di coca che quelle di papavero da oppio. Così, daallora in poi, il nome Scope è completamente scomparso enon esiste più nei documenti Onu. Ma il messaggio chiave,l’obiettivo principale del programma Scope – cioè l’elimi-nazione delle coltivazioni entro il 2008 – è stato inserito nel-la dichiarazione finale di New York (anche se lì è stato ag-giunto l’obiettivo della “riduzione significativa”). Perciò,dopo il ‘98, molti paesi hanno messo a punto strategie na-

zionali ispirate a raggiunge-re l’obiettivo indicato nel do-cumento politico per il 2008,e questo è stato il back-ground per lo sviluppo delPlan Colombia, e del Plan Dignidad per la Bolivia.

Inoltre, dato che losviluppo di colture alternati-ve è difficile e non dà mai ri-

sultati a breve termine, sempre più paesi sono passati amezzi di eradicazione più repressivi, per rientrare negliobiettivi dell’Assemblea Generale. Perciò abbiamo assistitoagli interventi militari in Chapare, in Bolivia, e l’aumentodei programmi con le fumigazioni in Colombia, anche senon si può dire che l’Onu sia direttamente coinvolto in taliprogrammi.

La produzione della foglia di coca sembra essere calatanegli ultimi anni, almeno in Colombia e, se è così, natu-ralmente gli Usa e gli altri paesi “intransigenti” dirannoche la loro politica di eradicazione sta funzionando. Co-me risponderesti loro, e come dobbiamo interpretarequesto dato?Sia gli Usa che l’Onu recentemente hanno diffuso

nuovi dati per quanto riguarda il numero di ettari coltivatia coca. Gli Usa sostengono che c’è stata una riduzione del15% nel 2002, in confronto al 2001. L’Onu sostiene che c’èstato un calo del 30% ed è il secondo anno che in Colombiaviene riferita dall’Onu una riduzione del numero di ettari.Gli Usa nel 2001 riportavano ancora un aumento.

Anche se intorno a queste cifre c’è un sacco di con-fusione, penso che sia stato un passo positivo per l’Onu svi-luppare dei programmi autonomi di monitoraggio delle coltivazioni, senza di-pendere da quelli degli Usa. Questi ultimi spesso hanno adattato, e a volte an-che manipolato, i dati in base alle loro esigenze politiche.

Dunque è solo un problema di dati opinabili?No. È ovvio, e direi che non è una grossa sorpresa, che le massicce fu-

migazioni, specialmente negli ultimi mesi del 2002, abbiano determinato untemporaneo calo nel numero degli ettari coltivati in Colombia. La vera que-stione è la durata nel tempo di questa diminuzione. Dieci anni fa il quadro eracompletamente diverso rispetto ad oggi, ma il numero di ettari per l’intera re-gione è rimasto relativamente costante.

L’enorme incremento della produzione di coca in Colombia è comin-ciato nel ‘94-’95, e nel frattempo c’è stata una riduzione in Bolivia e Perù. Era-no come vasi comunicanti: il totale restava comunque costante. Ora vediamoche il trend sta andando nella direzione opposta. In Colombia la produzionesta diminuendo, mentre in Perù e Bolivia sta aumentando di nuovo. Così, an-che secondo le cifre Usa, il totale della regione rimane costante. ■

* Transnational Institute, Amsterdam.

PRODUZIONE DI COCA

IL BALLETTO DELLE CIFRENel marzo scorso, l’Unodc (United Na-tions Office on Drugs and Crime) ave-va annunciato un calo nella produzionedella cocaina, dovuta alla significativariduzione della coltivazione di coca inColombia (il 30%). Secondo i risultatidella ricerca condotta dall’Unodc insie-me al governo della Colombia, al 31 di-cembre dello scorso anno ci sarebbe-ro stati 102.000 ettari coltivati contro i144.807 dell’anno prima.È solo dal 1999 che l’Onu ha avviatoun programma di monitoraggio dellecoltivazioni illegali in Colombia, e più direcente in Perù e Bolivia. Precedente-mente questo era effettuato solo daldipartimento di stato Usa, le cui cifredifferiscono notevolmente da quellefornite dall’Onu: secondo gli america-ni, gli ettari coltivati a coca in Colombianel 2002 sarebbero 144.450, contro i169.800 del 2001, e dunque la ridu-zione sarebbe assai meno rilevante.Tuttavia, per stimare la produzione dicocaina, non è sufficiente calcolare ilnumero degli ettari coltivati, ma biso-gna prendere in considerazione anchela resa per ettaro nell’arco di un anno,che è cresciuta per i metodi semprepiù sofisticati di coltivazione. Nella re-gione Andina si è infatti passato dai3,6/4,5 chili di cocaina estraibili da unettaro negli anni dal 1992 al 1999, ai5,3% kg di cocaina estraibili per ettaronel 2001. Perciò la riduzione dellearee coltivate è ricompensata dallamaggiore resa delle coltivazioni. Il fe-nomeno dell’abbandono dei campi edella deforestazione per ottenere nuo-ve aree coltivabili è dovuto alle fumiga-zioni chimiche, che spingono i contadi-ni a continue migrazioni interne, conenormi costi umani e ambientali. D’al-tro lato, la riduzione della produzionein Colombia si accompagna ad una ri-presa in Perù e Bolivia. Si è cioè inver-tito il trend iniziato subito dopo il1998, che aveva visto la concentrazio-ne delle coltivazioni in Colombia.

Per rincorrere l’obiettivo di eliminarele colture entro il 2008, i paesi utilizzanomezzi di eradicazione sempre più repressivi

5Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003 FUORILUOGOWAR

ON DRUGS

M a s s i m o C a m p e d e l l i *

Cosa ci fosse veramente al centro della As-semblea generale dell’Onu sulle droghedel 1998 era, di primo acchito, di difficilecomprensione. I punti di discussione inagenda (controllo dei precursori chimici,diffusione delle droghe sintetiche, coopera-zione giudiziaria, riciclaggio dei narcodol-lari, riduzione della domanda, eliminazio-ne della produzione di droghe vegetali esviluppo alternativo) non erano nuovi. Più

significativo era l’accento sulla necessità di un maggiore bilancia-mento negli interventi sulla produzione e sul consumo, ovvero ilriconoscimento dello stretto rapporto tra i due poli della parabo-la del narcotraffico. In ogni caso, le questioni sul tappeto erano,come sempre, cosa fare e come fare. Affermare, come fece Arlac-chi, che «in dieci anni si può eliminare dalla faccia della terra laproduzione di oppio e di coca, ridurre notevolmente il consumo,armonizzare le politiche giudiziarie di tutti i paesi del mondo,ecc.....» non poteva non far sorridere, come poii fatti hanno confermato.

Se guardiamo all’area andina, la relati-va diminuzione delle coltivazioni illecite di co-ca in Perù e Bolivia è stata compensata dall’e-splosione fino al 2001 delle piantagioni in Co-lombia. Sempre la Colombia, oltre che esserediventata il primo paese mondiale della pro-duzione di cocaina, è oggi il terzo paese mon-diale nella produzione dell’oppio e dei suoiderivati. Non si può, comunque, fare una net-ta distinzione tra paesi produttori e paesi con-sumatori. Più di 130 paesi, appartenenti tantoalle aree sviluppate quanto a quelle in via disviluppo, segnalano l’esistenza di problemati-che legate all’uso delle droghe. L’aumento delconsumo, a livello mondiale, riguarda soprat-tutto la cannabis, insieme agli anfetaminici nei paesi occidentali eall’eroina e cocaina nei paesi di transito (Asia centrale, Europaorientale, America del Sud e Centrale, Africa australe). Letteral-mente impressionanti le ricadute sul mercato statunitense. Se-condo la Dea (Drug Enforcement Agency), tra il 2000 e il 2001 sonoaumentati del 70% i grandi laboratori di ecstasy (i sequestri sonopassati dai 6.5 kg del 1992 ai 1371 kg del 2001!), senza contare poisia l’aumento dei piccoli laboratori domestici così come la cresci-ta della capacità produttiva di quelli collocati in Messico. Gli Usahanno visto aumentare anche l’uso dell’eroina, della marijuana,dell’Lsd e stabilizzarsi, ad un alto livello, il consumo di crack e dicocaina. Detto in altri termini, neanche l’11 settembre è riuscito afermare (se non per qualche giorno, sembra) il traffico dal SudAmerica verso gli Usa e la produzione interna delle droghe disintesi è un fiorente mercato in crescita.

Le indicazioni richiamate a New York dall’allora presi-dente del Consiglio Prodi furono giustamente considerate del-le vere e proprie prese di distanza dal Piano di Arlacchi. Fare iconti con i contadini e non solo con i governi, dare sbocchi ef-fettivi ai prodotti alternativi, valorizzare la dimensione europeaper la sua specificità, differenziare le vittime dai narcocriminali,riconoscere l’importanza della riduzione del danno dentro unquadro non repressivo di prevenzione e recupero, erano posi-zioni assolutamente realistiche ma che, per l’appunto, conflig-gevano con quanto imposto dalle burocrazie delle Nazioni Uni-te e dai potentati di riferimento.

Se però si inquadra l’Assemblea dentro le dinamichemeno evidenti e più profonde della storia della politica delladroga, emerge il senso di quella operazione e la sua persistenteattualità. Essa serviva, in una fase di profondi cambiamenti geo-politici, a rafforzare il tema “lotta alla droga” come dispositivoattivabile secondo necessità sia a livello di politica internazio-nale che a livello di politica interna.

Da una parte, insomma, si doveva bloccare la crescita di

consapevolezza internazionale sulla razionale necessità di cam-biare strada; dall’altra, si voleva mettere a disposizione unostrumento politico che giustificasse, in forma aggiornata, la ne-gazione dei diritti umani, delle regole fondamentali del dirittointernazionale e dello sviluppo endogeno e sostenibile, la viola-zione della sovranità politica di ogni popolo e del loro diritto acontrollare le proprie risorse naturali; e ancora, l’illegalità del si-stema finanziario mondiale, così come la persistenza di micro omacro eserciti delle varie mafie del pianeta, di piccoli e grandidittatori, quasi sempre corrotti (unica eccezione l’iman afganoOmar?), delle organizzazioni terroristiche e guerrigliere. Bastaprendere la mappa dei mercati della droga e sovrapporla aquella delle aree di crisi (interna, come la Russia di Putin) o in-ternazionale (come la ex Jugoslavia) e accorgersi della lorodrammatica convergenza.

La fine della contrapposizione tra i due blocchi ha infat-ti messo in moto la geopolitica del pianeta e la potenza econo-mica dei narcotraffici è sempre più determinante nelle scelte deisingoli stati e sempre più in grado di condizionare in modo ri-levante i conflitti militari locali. Una potenza ben protetta nei

vari paradisi fiscali di ancora troppi angoli delmondo. Dalle zone impervie di qualche sperdu-to villaggio alle periferie delle grandi metropoli,dai santuari della grande finanza alle aree natu-rali un tempo incontaminate, il sistema delledroghe ha continuato ad imporre la sua ferrea lo-gica creando una catena lunga e tenace di vitti-me. In questo senso l’Assemblea di New York hasvolto efficacemente il suo importante ruolo: af-fermare l’imperativo della eliminazione del pro-blema, affinché il problema permanga e giustifi-care quanto altrimenti sarebbe ingiustificabile.

Il caso della Colombia è emblematico. Laguerra civile che contrappone guerriglieri, para-militari, governativi da quasi quarant’anni, pro-gressivamente finanziata dal narcotraffico, si èacutizzata con l’elezione del nuovo presidente

Uribe. La difficoltà di trovare una via efficace di pacificazione,promossa da Pastrana e sostenuta da larghi strati delle forma-zioni sociali, ha determinato la vittoria dell’ex governatore diMedellin, e la risposta è stata, cronaca recente, l’aumento degliattentati, degli omicidi, delle violenze, degli attacchi contro lapopolazione inerme, da parte soprattutto della narcoguerriglia(Farc). Parallelamente, gli Usa hanno imposto a partire dal set-tembre del 1999 il loro Plan Colombia, «un piano di pace per laprosperità e il rafforzamento dello stato», steso dal Dipartimen-to di stato americano, senza consultare il parlamento Colom-biano, con contrarie le organizzazioni sociali raggruppate inPaz Colombia poiché il vero obiettivo del piano è la lotta mili-tare al narcotraffico.

L’occupazione militare, diretta o indiretta, della Colom-bia rappresenta una questione strategica: per la collocazione delpaese nella congiunzione tra centro e sud America, per le risor-se energetiche di cui dispone (biodiversità, petrolio e carbone)per la vicinanza a zone strategicamente importanti come l’Ecua-dor (sede del comando militare Usa in America latina) e il Vene-zuela (petrolio), per il “controllo”sul Brasile di Lula. Questoquadro ha portato, recentemente, alla definizione della situazio-ne colombiana come “minaccia regionale”, come fattore di crisiinternazionale di tutta l’area amazzonica, caraibica, andina, ri-comprendendo e trasferendo la precedente teoria della “guerraalla droga” nella nuova “guerra globale contro il terrore”.

Si tratta di un salto di qualità assai rilevante, il cui primoesito è la richiesta di coinvolgimento attivo dei paesi dell’areanel conflitto colombiano; e il secondo la richiesta di Uribe chel’enorme contingente bellico dispiegato in Iraq sia trasferito nel-la zona caraibica per contrastare il narcotraffico sudamericano ecolombiano in particolare. Insomma, fin che c’è droga, unaguerra ti l’altra... ■

* Mlal - Movimento laici America latina, Progetto Mondo.

La lotta alla droga come strumento di geopolitica

DI GUERRA IN GUERRA

La guerra alla drogaè ricompresa nella nuova guerra globalecontro il terrore. CosìUribe chiede che le truppe schierate in Iraq intervengano nel conflitto colombiano

REGNO UNITOSecondo un rapporto della Joseph Rown-tree Foundation, le persone che coltivanocannabis per uso personale e in piccoliquantitativi dovrebbero rischiare solo unammonimento della polizia. Secondo talerapporto, nel 2000 nel Regno unito sono sta-te incarcerate per aver coltivato cannabis243 persone, ma ci sono molte differenze nelmodo in cui le forze di polizia hanno tratta-to il reato. Secondo il rapporto, fino allametà di tutta la cannabis consumata in GranBretagna potrebbe essere oggi coltivata incasa e le pene previste per la coltivazionedovevano essere modificate quando la dro-ga è stata riclassificata come classe C que-st’estate. Il professor Mike Hough, che hacontribuito alla stesura del rapporto, ha sot-tolineato che molti consumatori farebberovolentieri a meno di acquistare la cannabisdagli spacciatori se potessero produrla essistessi senza incorrere in problemi penali.

STATI UNITILa Casa Bianca ha annunciato che il presi-dente Bush nominerà Karen P. Tandy a capodella Dea (Drug Enforcement Administra-tion). Tandy prenderà il posto John B. BrownIII, un dirigente della Dea che aveva assuntoprovvisoriamente l’incarico a gennaio dopoche l’ex capo della Dea Asa Hutchinson ave-va dato le dimissioni per diventare sottose-gretario per la sicrezza dei trasporti e dellefrontiere presso il Dipartimento della sicu-rezza nazionale. Da quando è stata fondatanel 2982, la Dea ha avviato procedimenti pe-nali contro più di 44.000 persone e ha confi-scato ai sospetti beni e contanti per oltre 3miliardi di dollari. Se confermata, Tandy sa-rebbe la prima donna a ricoprire questo in-carico. Attualmente è “Deputy Associate At-torney General”, cioè una collaboratrice delministro della Giustizia.

BELGIOil Parlamento belga ha approvato la legaliz-zazione dell’uso personale di cannabis perchi ha compiuto i 18 anni. La decisone, cheha provocato un acceso dibattito in Belgionegli ultimi due anni, consentirà ai consu-matori di fumare piccole quantità di ma-rijuana in privato, purché non disturbinol’ordine pubblico. Il possesso di cannabisper uso personale sarà consentito fino a 5grammi, ma la vendita resterà illegale. IlBelgio è governato da una coalizione di li-berali, socialisti e verdi.

DANIMARCAPer protestare contro il progetto di abbatte-re il celebre quartiere di Christiania a Co-penhagen, in cui le droghe leggere circolanoalla luce del sole, gli spacciatori hanno deci-so di scendere in sciopero. Essi hanno spie-gato di voler dimostrare al governo i van-taggi di un mercato aperto per le drogheleggere. Il quartiere, abitato da un migliaiodi persone, è stato dichiarato “città libera”nel 1971, quando cominciarono le occupa-zioni delle case da parte degli “squatters”.

MAPPAMONDO

6 Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003FUORILUOGOCANNABIS

avevano visto isole pericolose e inaccessibili, io intravedevoterre che apparivano sempre più interessanti via via che miavvicinavo. Più chiara si faceva la visione, più cresceva latentazione di toccare terra per compiere una esplorazionediretta; ma poi ricordavo a me stesso che l’obiettivo del mioviaggio era di disegnare una carta nautica delle scogliere edelle secche, non di esplorare terre proibite alla ricerca di te-sori.

Dopo la pubblicazione del li-bro, Marijuana reconsidered, mi fuspesso chiesto se avevo esperienzapersonale della canapa, e alcuni sidimostravano scettici quando ri-spondevo di no: «Come, hai scrittoun libro sulla marijuana senza aver-la provata?» «Ho anche scritto un li-bro sulla schizofrenia, eppure nonl’ho mai provata» rispondevo in ma-niera difensiva. Solo alcuni anni do-po capii che c’era del vero in questecritiche. Specialmente a uno stadiopiù avanzato della ricerca, avevo ac-carezzato l’idea di provare la ma-rijuana, poiché sembrava un’espe-rienza davvero interessante. Ma poi avevo optato per il no,temendo di compromettere il mio obiettivo, di produrreuna conoscenza il più oggettiva possibile.

C’era anche un’altra ragione. Se il libro avesse avu-to successo, pensavo che sarei stato chiamato a testimonia-re come esperto davanti alle commissioni legislative e aitribunali. Mi aspettavo, giustamente, che chi mi interroga-va potesse chiedermi se avevo mai usato canapa, e volevoavere la possibilità di negarlo, in modo da mantenere al-meno l’apparenza dell’oggettività. Ma presto capii che nonera questo lo spirito con cui veniva posta la domanda. Ap-pariva sempre più chiaro che la domanda non mirava a sa-perne di più sul contesto delle mie conoscenze circa la so-

stanza, ma era avanzata nella speranzache io rispondessi affermativamente,in modo da screditare la mia testimo-nianza.

Circa un anno dopo la pubbli-cazione del mio libro, durante un’au-

dizione in una commissione legislativa, un senatore, chegià si era dimostrato chiaramente ostile, mi chiese: «Dotto-re, ha mai usato la marijuana?» Forse perché irritato dallasua manifesta ostilità e dal tono di scherno, risposi: «Sena-tore, sarò felice di rispondere a questa domanda se primarisponderà alla mia: se io rispondo di sì, lei considererà lamia testimonianza più credibile o meno credibile?». Il se-

natore, chiaramente spiazzato dalla mia re-plica, dichiarò rabbiosamente che non erapertinente e uscì dall’aula. Fu allora che deci-si che il momento era arrivato.

La mia prima volta a 44 anniQualche giorno dopo io e mia moglie

Betsy andammo a una festa a Cambridge,dove sapevamo che alcuni ospiti avrebberofumato la marijuana, e decidemmo di farloanche noi. Facemmo quei primi tiri con pru-denza, così come dovrebbero fare tutti i prin-cipianti. Poco dopo cominciò la mia primaesperienza con la canapa (e l’unica poco pia-cevole). Lo spinello passava di mano in ma-no in circolo, e dopo un po’ le persone, unadopo l’altra, dichiaravano di essere a posto,la canapa faceva il suo effetto. Chiesi a Betsy:

«Senti qualcosa?». «Assolutamente no!». «Neppure io».Eravamo delusi. Pensavamo da diversi anni a que-

sta iniziazione, e io mi aspettavo così tanto da questa espe-rienza, dalle magiche possibilità di questa sottile alterazio-ne della coscienza – e invece niente!

Poco dopo, la delusione cedette il passo a una pal-pabile sensazione di ansia. Era mai possibile che avessi im-piegato tutto questo tempo a studiare una sostanza che peralcuni doveva rivelarsi solo un placebo enormemente per-suasivo? Cercai di calmarmi, pensando che ero stato pro-prio io a spiegare ai miei lettori che molte persone, forse lamaggior parte, la prima volta che usano la canapa non spe-rimentano alcuna euforia. Allora pensai che l’ansietà diquella notte fosse dovuta a una brusca caduta di fiducianelle mie conoscenze sulla canapa: temevo di essermi sba-gliato e di aver messo sulla strada sbagliata molte persone,nonostante oltre tre anni di duro lavoro. Solo molto tempodopo cominciai a dubitare di questa spiegazione. Quel-l’ansia aveva una vita sua propria, senza alcun legame con

L e s t e r G r i n s p o o n

Ogni età ha la sua particolare follia ese Charles Mackay, l’autore delclassico di metà ‘800 Le straordina-rie allucinazioni popolari e la pazziadella folla, fosse ancora vivo, di si-curo riconoscerebbe nella “cana-pafobia” un’allucinazione popola-re, alla pari della caccia alle stre-ghe di un tempo. Ormai siamo al-l’apice di questa particolare alluci-

nazione, che a oggi è responsabile dell’arresto di oltre 12milioni di cittadini americani. Io incoraggio i consumatoria scrivere sulla loro esperienza con la canapa, così ho pen-sato che fosse coerente che anch’io comunicassi qualcosadella mia personale”illuminazione”con questa sostanza.

Nella vita di ognuno ci sono degli eventi germina-li, che modificano la traiettoria apparentemente già fissatadella propria storia personale. Per me questi eventi sonostati, in ordine cronologico, la decisione di iscrivermi allafacoltà di medicina, la straordinaria fortuna di incontrare ladonna che poi ho sposato, e il dono dei miei figli. Il quartoevento è stato l’incontro con la canapa, che ha diviso la miavita in due ere: quella prima della canapa e quella dopo la“droga” (la fase BC e AD, come le chiama mio figlio Da-vid). La mia era della canapa è cominciata nel 1967, quan-do decisi di dedicare del tempo alla revisione della lettera-tura medica su questa sostanza. I tanti giovani consumato-ri non ascoltano i moniti del governo – pensavo allora -,però magari potrebbero prendere più sul serio uno scrittosulla dannosità della canapa su base scientifica.

Cominciai perciò questa sistematica revisione ma,con mio stupore, presto mi accorsi che ciò che pensavo eralargamente basato su miti, vecchi e nuovi, e che la mia for-mazione medica e scientifica ben poco mi aveva tutelatodalle informazioni distorte. Non solo ero una vittima del-la disinformazione, ma, in quanto medico, la praticavo amia volta.

Scrissi perciò due articoli, mettendo in discussione lafondatezza scientifica, in base ai dati della letteratura medi-ca, della credenza imperante circa l’eccezionale dannositàdella marijuana. Da qui nacque il progetto di scrivere un li-bro sulla marijuana, e di pubblicarlo presso la prestigiosa,conservatrice, casa editrice dell’università di Harvard.

Il progetto risultò essere molto più grande di quantonon avessi pensato. Ero affascinato dal fatto di capire sem-pre meglio quanto poco sapessi di questa droga, ancora dipiù in ragione delle molte false credenze che avevo nutrito.Presto si fece strada in me l’idea che anch’io, come la mag-gioranza degli altri americani, avevo subito il lavaggio delcervello, e facevo parte della “pazza folla”. E più imparavosulla canapa, più sembrava che questa sostanza fosse in gra-do di procurare esperienze che in futuro poteva valer la pe-na di provare personalmente. Nel frattem-po mi sentivo come un esploratore che na-viga seguendo mappe dell’oceano inade-guate e imprecise. Laddove i precedenti car-tografi avevano trovato molte secche, io alcontrario ne trovavo poche; dove gli altri

In genere si ritieneche ci siano solo duetipi di consumo per la canapa, quello medico e quello ricreazionale, ma ne esiste un terzoche “potenzia” l’insighte il fluire delle idee

La scoperta di una pianta dalle infinite proprietà attraverso l’esperienzapersonale di un grande studioso che ha sfatato tanti miti pseudo-scientifici

ODISSEA NELLA CANAPA

FL Testimonianze sui tanti usi della canapa su:www.marijuana-uses.com

7Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003 FUORILUOGO

una vera minaccia, ed era simile a un disturbo generale diansia. Ma, a differenza di questo disturbo, non c’era piùtraccia di ansia al mio risveglio il giorno dopo.

Anni dopo capii che effettivamente la sostanza miaveva fatto effetto già quella prima volta: avevo sperimen-tato uno stato di “high ansioso”, certamente non l’effettoche mi ero aspettato. Una piccola percentuale di personepuò provare un certo livello di ansia, la prima volta. Que-sto può accadere perché non capiscono l’importanza di ag-giustare la dose in relazione agli effetti, e in ogni modo nonè facile per loro, perché non sanno ancora riconoscere i se-gni sottili dell’intossicazione.

Dopo circa una settimana fumai di nuovo la cana-pa, insieme a Betsy, e ancora una volta non notammo alcu-na modificazione nel nostro stato di coscienza. Per fortunaallora non mi sentii affatto ansioso, ma solo deluso, ancorauna volta. Solo al terzo tentativo ci riuscì di raggiungerel’effetto promesso. La consapevolezza di avere finalmentevarcata la soglia arrivò gradualmente. Dopo aver fumatoper qualche minuto, la prima cosa che notai fu la musica, sitrattava di Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Conoscevoquesta canzone, poiché era la favorita dei miei figli, cheriempivano sempre la casa con la musica dei Beatles, dei

Grateful Dead e di altri gruppi musicali rock di quegli an-ni. Spesso mi sollecitavano a togliermi dalla mente la mu-sica classica e a provare ad ascoltare la musica rock. Era im-possibile non ascoltarla, mentre i miei figli crescevano, mami era possibile non sentirla, come del resto succedeva amolti genitori della mia generazione. Ma quella sera io lasentii. Fu come un’esplosione ritmica, un’affascinante nuo-va esperienza musicale. Fu l’apertura di nuovi panoramimusicali, che ho continuato a esplorare fino ad oggi, conl’aiuto dei miei figli.

La marijuana mi ha aiutato a capireAl tempo di questa prima esperienza di high con la

marijuana, nel 1972, avevo 44 anni. L’ho trovata utile, senzaprovare inconvenienti, perciò da allora l’ho sempre consu-mata. L’ho usata come droga ricreazionale, come farmaco, ecome sostanza di “potenziamento” di alcune capacità. Qua-si tutti sanno qualcosa circa la sua utilità come sostanza ri-creazionale, e sempre più persone stanno acquistando fami-liarità coi suoi usi terapeutici; ma solamente i consumatoriesperti sanno apprezzare altri modi in cui la sostanza puòessere utilizzata. La canapa mi è stata così utile, che non pos-so fare a meno di chiedermi come sarebbe stata diversa lamia vita se avessi cominciato a usarla quando ero più giova-ne. Mi ha aiutato a capire e a prendere importanti decisioni,e sono tentato di pensare che mi avrebbe potuto aiutare aevitare qualcuna delle mie cattive scelte dell’era “prima del-la canapa”. Infatti ora, quando devo risolvere qualche pro-blema importante, non mi lascio scappare l’opportunità dimeditare sulla questione, sia “fatto” che “normale”.

Si può usare la canapa anche come catalizzatore dinuove idee. I consumatori con una qualche esperienza san-no che le idee fluiscono più facilmente rispetto a quando siè “normali”. Capiscono anche che alcune sono buone e al-tre cattive, ma è meglio ordinarle quando si è normali.

Si stima che in America 76 milioni di persone ab-biano provato la canapa e che più di 10 milioni la usino re-golarmente; da quando ho cominciato a studiare la ma-rijuana, 12 milioni di cittadini sono stati arrestati perreati correlati, l’88% per detenzione. A meno che nonsi voglia credere che tutte queste persone siano travol-te da un incontrollabile follia da spinello, si deve pen-sare che esse trovino qualcosa di utile e attraente inquesta esperienza. Ciononostante i suoi usi sono pocostudiati, eccezione fatta per gli scopi medici, semprepiù valorizzati. Il governo si è sempre rifiutato di ricono-scere alcun valore alla canapa, neppure sul piano medico,ma ci sono milioni di cittadini che, attraverso la propriaesperienza, hanno scoperto che questa sostanza ha unagrande varietà di usi apprezzabili, con costi minimi per lasalute.

Questa vasta popolazione di consumatori rappre-senta una subcultura, presente nel paese fin dagli anni ‘60.Trent’anni fa era una cultura attiva, articolata, che si espri-meva apertamente; oggi invece è silenziosa e largamentenascosta, perché comprensibilmente la gran parte dei con-sumatori non vuole rivelarsi. I consumatori hanno da te-mere molto più della legge, perché ancora più pervasiva èla stigmatizzazione del consumo di canapa. I giovano la

continua a pagina 8

Il testo di Lester Grinspoon qui pubblicato è trat-to dalla relazione presentata al congresso annua-le del 2001 dell’Organizzazione nazionale per lariforma delle leggi sulla marijuana (Norml). In se-guito a questa sua presa di posizione pubblica,la Drug Free America Foundation, una delle piùestremiste e potenti organizzazioni proibizionistedel paese, chiedeva con una lettera al Board ofMedicine (l’equivalente del nostro Ordine dei me-dici) del Massachusetts che al dottor Grinspoonfosse ritirata la licenza per l’esercizio dell’attivitàmedica. «La nostra conoscenza degli effetti dellamarijuana ci porta a mettere in dubbio la saggez-za di un medico che svolge la sua professionepur ammettendo di usare una droga pericolosa

che altera la mente... l’utilizzo di una droga ille-gale da parte del dottor Grinspoon non mette for-se in pericolo i suoi pazienti?», scriveva la DrugFree America.La lettera era stata inviata il 31 luglio del 2001,ma solo il 7 settembre il Board of Medicine sidecideva ad accogliere il ricorso, e a chiedere aLester Grinspoon di rispondere entro trentagiorni alle accuse ivi esposte. A stretto giro diposta lo psichiatra replicava: «...il ricorso non èstato avanzato da un mio paziente, e intrent’anni di esercizio della professione ho sem-pre avuto riscontri quanto mai positivi dai mieipazienti... questo ricorso è di un’organizzazioneprivata, assolutamente di parte, che lotta a fa-

vore di una posizione politica opposta allamia... sembra perciò un cinico tentativo di stru-mentalizzare le competenze di controllo delBoard per screditarmi. Vi prego perciò di respin-gere il ricorso».Ma ciò non avveniva, e il ping pong continuava.Nel dicembre 2001, Grinspoon riceveva un nuo-vo invito a rispondere nel merito alle accuse, eancora una volta egli si rifiutava sostenendoche queste erano ad un tempo “vaghe e ridico-le” e che nessuna a suo avviso era pertinentecon le competenze del Board. L’8 marzo 2002,ben nove mesi dopo l’avvio della procedura, lalaconica comunicazione finale: il caso era chiu-so. A questo punto era Lester Grinspoon ad in-viare una ferma lettera di contestazione: «È unenigma per me il modo con cui avete chiuso il

caso, così come lo è il fatto che lo abbiateaperto. Per due volte mi avete invitato a rispon-dere a Drug Free America e per due volte ho de-clinato l’invito. Ora mi dite che il caso è chiu-so... devo dedurne che avete capito che quelleaccuse non avevano più rilevanza di quanto neavrebbero quelle di un’organizzazione della tem-peranza, che fosse venuta a conoscenza che iobevo whisky?». Il Board avrebbe dovuto subitorimandare al mittente la lettera, perché il suoscopo era chiaramente politico, e non avevaniente a che vedere con la correttezza profes-sionale: non facendolo, «avete aiutato la DrugFree America Foundation a perseguitare un me-dico che differisce dalle loro posizioni politi-che». Questa l’accusa di Grinspoon, che sta an-cora aspettando una risposta.

USA, UN CASO DI ORDINARIA PERSECUZIONE

LA MEDICINARITROVATAC l a u d i o C a p p u c c i n o

Lester Grinspoon non ha bisogno di presentazioniper i lettori di Fuoriluogo. Professore di psichiatriaall’Università di Harvard, si occupa di “droghe”da più di trent’anni ed è l’autore di libri che sonouna lettura obbligata per chiunque voglia vera-

mente conoscere le sostanze psicoattive, imparando soprat-tutto a distinguere i dati scientifici dai luoghi comuni. Dasolo o con il giurista James Bakalar, ha scritto sulla marijua-na, le amfetamine, la cocaina, gli allucinogeni, e sul “con-trollo delle droghe in una società libera”. Purtroppo di que-sti libri sono stati tradotti in italiano, e con enorme ritardo,solo il fondamentale Marihuana reconsidered del 1971, chemolti definirebbero una pietra miliare nella storia del “pen-siero critico” sulle droghe (L. Grinspoon, Marijuana, Mila-no, Urra 1996) e il presente Marijuana, medicina proibita, scrit-to con J. B. Bakalar (originariamente tradotto da FrancoMuzzio Editore nel 1997 e ora meritoriamente ripubblicatoda Editori Riuniti).

Grinspoon, partito nel 1967 con l’intento di scri-vere un libro che documentasse scientificamente i “dan-ni” provocati dalla marijuana, con sua grande sorpresadovette cambiare idea in corso d’opera e si accorse chegran parte dei famosi danni era stato enormemente esa-gerato o addirittura inventato. Contemporaneamente, siaccorse che – se anche non si voleva tener conto degli usitradizionali della cannabis nelle antiche scuole medicheorientali, della Cina e dell’India in particolare – anche la

medicina occidentale avevaper almeno cent’anni soste-nuto l’utilità della cannabisindica per una miriade di di-sturbi e malattie, e che laproibizione del suo uso co-me “droga” nel 1937 aveva

non solo cancellato anche il suo uso come farmaco, maaveva di fatto impedito studi rigorosi sulle sue reali po-tenzialità terapeutiche.

Grinspoon e Bakalar affrontarono quindi in un se-condo libro sulla marijuana, soprattutto attraverso moltestorie vissute, questo tema ancora incredibilmente contro-verso e scottante. Anche se altri libri possono considerarsipiù aggiornati e meglio documentati, questo è un “classi-co” irrinunciabile, che costituisce una piacevole e interes-sante lettura, e i cui autori sono garanzia di serietà. Pecca-to soltanto che anche questa nuova edizione italiana siabasata sulla prima edizione americana del 1993 e non sul-la seconda, riveduta e ampliata, del 1997. ■

L. Grinspoon – J.B. Bakalar, Marijuana, la medicina proibita. Roma,Editori Riuniti 2002, 228 pp., 12 euro

FL È tornato il forum di Medicalcannabis a cura di Actsu: www.fuoriluogo.it

Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003FUORILUOGOCANNABIS8

Il rapporto della Grecia con la cannabis ha origini profonde ed è molto tormentato

UNA STORIA ANTICA

subiscono poco, almeno fra coetanei. Maquando diventano più grandi e guadagnanoposizioni di crescente responsabilità e visibi-lità, diventano molto più guardinghi. Molticredono, giustamente, che se i colleghi di la-voro sapessero che fumano la canapa, li con-sidererebbero devianti. Questa stigmatizza-zione è favorita dai media, che hanno creatolo stereotipo dei pothead: giovani edonisti ca-pelloni e sciattoni, irresponsabili e socialmen-te marginali, che usano la canapa solo per sta-re insieme e andare alle feste. Una delle ra-gioni della fiera resistenza alla canapa è lapaura della contaminazione della middle-class con la cultura pothead.

Non si può negare che molte perso-ne, specie fra i giovani, usino la marijuana,così come bevono birra, soprattutto “perstare insieme e andare alle feste”. E la granparte dei non consumatori pensa che “fu-mare” alle feste ne esaurisca i possibili usi,almeno fino a che non vengono a conoscen-za del suo valore terapeutico. Questo ste-reotipo è potente, e le persone che sosten-

gono la varietà degli usi corrono il rischiodi essere derisi come “vetero-hippy”. Per-ciò non c’è da sorprendersi che la maggio-ranza dei consumatori lo faccia di nascosto.

È tempo di venire allo scopertoÈ però una sfortuna che chi è consa-

pevole della sua utilità sia così riluttante amanifestarsi pubblicamente. Farebbe ungran bene al paese, se si sapesse che uomi-ni d’affari, professionisti e accademici sonoconsumatori di marijuana. La persecuzionedel governo si è potuta affermare soprat-tutto per la diffusa credenza che i consu-matori di canapa sono degli irresponsabilie degli emarginati; oppure che si tratta diadolescenti che “sperimentano”, imparanola lezione, e poi smettono. Questa bugia èdestinata a perpetuarsi se chi sa rimane insilenzio. È tempo che la verità venga a gal-la. Proprio come il movimento dei gay edelle lesbiche che si sono manifestati pub-blicamente come tali ha fatto così tanto perdiminuire l’omofobia, così sarà un grandecontributo alla diminuzione della “cana-

pafobia” il venire allo scoperto dei tanticonsumatori di qualità e di peso.

In genere si ritiene che ci siano solodue categorie di consumo di marijuana: quel-lo ricreazionale e quello medico. Ma molticonsumatori non vi rientrano, e trovano po-sto piuttosto in una terza, che è più diversifi-cata e perciò difficile da etichettare. Essa com-prende una serie di usi disparati, come il po-tenziamento del piacere in una gamma di at-tività che vanno dal cibo al sesso, una accre-sciuta capacità di sentire la musica, e vederele opere d’arte; anche i modi in cui catalizza lenuove idee, l’insight e la creatività. Si tratta diuna vasta e distinta terza categoria, che iochiamo di “potenziamento”.

La sola categoria studiata è l’utilizzoterapeutico. Al tempo non esisteva una lette-ratura clinica sistematica sull’uso medico, edè perciò che io e James B. Bakalar abbiamochiesto ai pazienti di raccontare le loro espe-rienze di quest’uso per il nostro libro, Marijuana, the Forbidden Medicine (Yale, 1993),al fine di raccogliere delle evidenze aneddoti-

che. È mia intenzione seguire all’incirca lastessa forma col Progetto sugli usi della ma-rijuana (www.marijuana-uses.com). Tenteròdi fare luce sugli svariati usi della canapa at-traverso la letteratura e facendo conoscere lemie esperienze, ma la fonte primaria di ciòche costituirà – spero – una conoscenza com-prensiva degli usi di questa droga così versa-tile, verrà dagli attuali consumatori. Alcuni sidichiareranno, altri preferiranno rimanereanonimi, in ogni modo spero di avere suffi-cienti informazioni per inquadrare i raccontiin un contesto significativo. Se questo meto-do etnografico avrà successo, dovremmo riu-scire a dare un quadro ragionevolmente fe-dele del valore degli svariati usi della canapanella società contemporanea. Attraverso ilracconto delle nostre storie, noi consumatoridi canapa possiamo dare un contributo signi-ficativo alla fine della “canapafobia”, una del-le più dannose allucinazioni popolari dellanostra età. ■

Dal Journal of Cognitive Liberties, vol.III n.2, 2002.

continua da pagina 7

E n r i c o F l e t z e r

La presidenza greca dell’Unione euro-pea ha scelto un atteggiamento diapertura nei confronti di una politicaumana ed efficace rispetto al temadelle sostanze. Il rapporto con la can-nabis della Grecia è molto antico etormentato, ed è in parte legato al de-cennale conflitto con la Turchia. Nel1922 l’Anatolia divenne un terrenoscottante per i numerosi abitanti di

lingua greca che abitavano da tempo immemorabile soprat-tutto la costa, ma anche alcuni quartieri di Istanbul.

Dopo la prima guerra mondiale, il governo grecoaveva occupato la vecchia Constantinopoli e Smirne, unacittà che contava un milione di abitanti di cultura e linguaellenica. Le truppe di Kemal Atatuerk, a sua volta nato ecresciuto in Grecia, misero in fuga l’esercito grecoassieme alla minoranza che dovette abbandonarein fretta e furia le proprie casa. Izmir (Smirne) ven-ne rasa al suolo e bruciata dalle truppe turche. Ol-tre un milione e mezzo di cittadini greci d’Orien-te e di nazionalità turca si stabilirono in poco tem-po in grossi centri della Grecia come Atene, Pireoe altri, dove sorsero dei ghetti urbani in cui vennecostretta a rifugiarsi una popolazione che in Ana-tolia aveva goduto di uno status relativamenteprivilegiato. Tra le curiosità di queste popolazioni soprag-giunte nelle città greche spiccava l’uso dell’hashish fumatonegli argilé e la frequentazione delle teké (fumerie) dove lepersone giocavano a carte, bevevano raki (grappa turca) ol-tre a suonare una musica di derivazione orientale i cui stru-menti stessi furono per molti decenni materiale da codicepenale.

Per le dittature che si successero in tutto il ‘900, il ri-tratto del greco d’oriente non corrispondeva probabilmenteper nulla alla propaganda nazionalista corrente. In seguito alTrattato di Losanna anche gli islamici di Grecia dovettero la-sciare il paese. In quello che qualcuno ha definito il più gran-de scambio di prigionieri della storia della umanità, 290.000musulmani “tornarono”, spesso senza conoscere la linguaturca, come a volte successe agli altri, musulmani per sceltama cittadini turchi per costrizione geopolitica.

La musica melancolica detta rebetika o mourmourikasi adattava molto bene allo stato di ozio involontario e alletristi periferie in cui i profughi si trovavano a vivere. No-nostante il patriottismo ufficiale e l’odio contro i turchi, inuovi cittadini corrispondevano all’ideale allo stereotipodel “guappo”. Fumare hashish, bere ouzo o raki, suonare ilbouzouki e altri strumenti di origine orientale erano le atti-vità preferite di gente che non voleva o non poteva trovaredelle occupazioni regolari.

La rebetika ha origine incerta e la parola forse deri-va dal turco ribat (bettola). Il rebetes comunque definiva unribelle, un outsider o un reietto dalla società. Le loro osterie(teké) erano il perenne obiettivo della polizia che quandotrovava i mangas (“artigli di gatto”, i fumatori di hashish)gli spaccava con i manganelli anche il buzuki, vietato quan-to l’ argilé (pipa ad acqua).

La loro musica era anche definita la mourmourika (lamusica del lamento) da Mourmourides, (il lamentoso) che

significava anche in senso lato “uomo duro” poiché i mour-mourides del porto di Instabul, Costantinopoli, erano il noc-ciolo duro delle comunità rigorosamente maschili che do-minavano il mercato di pesce e verdura della città sul Bo-sforo. I rebetes erano dunque delle persone sostanzialmen-te litigiose che non rispettavano né ordine né disciplina.

I loro strumenti erano il bouzouki, le baglamàs,dzouràs, il kanoun o kanonaki, uno strumento a corde d’ori-gine asiatica, che visto il proibizionismo sugli strumentipotevano venire facilmente prodotti in prigione e nascostisotto le giacche. Spesso i rebetes giravano con una manicatagliata.

La loro musica si è salvata grazie alla comunità gre-co-americana, anche se è ancora molto popolare in Grecia,e divenne durante l’occupazione nazi-fascista un fattoreunificante di tutta la popolazione.

La musica triste, definita il blues urbano greco, ri-specchia i tempi duri contraddistinti da rivolte, dittature,guerra civile e ancora dittature militari accompagnate dauna forte repressione delle classi subalterne di cui cantavanel 1948 il famoso rebetes Tassos Eleftheridadhis: «e se il po-liziotto ci arresta, io rimango lo stesso un Mourmouraki».Siamo in Grecia in ogni caso al revival di questa grande tra-dizione collegata alla repressione e o al consumo della can-nabis. Tra le avanguardie della riscoperta della cultura edella musica rebetica, il figlio del grande Markos Vam-vakaris, Elios, ha addirittura fondato un museo.

Recentemente è apparso in molti paesi il libro diElias Petropoulos sulle canzoni rebetiche con versioni infrancese, tedesco e inglese. Petropoulos, autore di un mo-numentale saggio sulla storia del condom e sullo slangdei detenuti omosessuali nelle carceri greche, ricostrui-sce da vero iniziato il fenomeno della musica di una Gre-cia dalle leggi antidroga particolarmente draconiane

quanto folli tanto da scatenare un caso internazio-nale con la stessa Unione europea in occasione del-l’apertura dei primi kannabishop, i cui proprietarifurono arrestati per possesso di jeans e di altri tes-suti in canapa. L’Unione europea emise una con-danna alla Grecia per turbativa commerciale ma ilcaso fece scalpore.

Non sono molto lontani i tempi in cui il fa-moso cantante Vasilis Tsitsanis per la sua canzoneLa nave dalla Persia venne portato in giudizio quan-

do era già morto: «La nave dalla Persia venne fermata aCorinto/ Piena di undici tonnellate di hashish profuma-to/ Ora piangono tutti i fumatori perché sono a secco/Hey doganiere, chi paga il danno?/ La polizia portualesi é intromessa in questa storia/ Ora piangono tutti i fu-matori/ Perché sono a secco/ La cosa venne pianificata atavolino, tradita e venduta/ Due arabi, poverini, furonocoinvolti nella storia/ Ora piangono tutti i fumatori/Perché sono a secco».

Con la riscoperta della cannabis e della musicarembetica da parte del pubblico giovanile europeo, e del-la ragione da parte del governo di Atene, il vaso di Pan-dora su cui giace la Grecia potrebbe improvvisamente sal-tare assieme al coperchio. Molti vecchi rebetici almeno selo augurano di cuore, dopo decenni di oppressione e dit-tature. ■

Dopo la I guerra mondiale e le migrazionidalla Turchia sorsero ad Atene i ghetti urbani e le fumerie di hashish

9Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003 FUORILUOGOITALIA

MONDO

S u s a n n a R o n c o n i

AVenezia, nelle giornate seminariali in preparazione della mo-bilitazione intorno al summit di Vienna, abbiamo ri-comin-ciato a dirci (come rete informale, come rete “La libertà è te-rapeutica”, come Fuoriluogo, come tutti noi che eravamo lì) ciòche ci eravamo detti all’inizio dello scorso anno, quando lamodifica del decreto 444 sull’organizzazione dei servizi ave-va dato i primi segnali concreti – dopo quelli mass mediaticidall’arena di San Patrignano – sulle intenzioni del governo. Cisiamo detti che, come per la guerra, anche per la war on drugsnostrana tutto era già deciso e tutto era prevedibile nei suoi

esiti nefasti, qualora non fossimo riusciti a bloccare il processo di controriforma. C’èun’alleanza mortifera fra “l’incasso elettorale” e i processi di essiccamento del welfare.Per quanto concerne il primo aspetto, il mix include spazio e soddisfazione ideologi-ca e monetaria alle lobby elettorali, prima di tutto certo privato sociale, spazio e sod-disfazione alle politiche di contenimento e repressione delle diversità, con l’occupa-zione delle politiche sociali da parte delle politiche penali, spazio e soddisfazione al-l’enfasi su certo neofamilismo e su una variegata gamma di imprenditori morali af-faccendati a coniugare cosa sia normalità e compatibilità. Sul fronte welfare, ciò cheè in corso è un essiccamento drastico del settore pubblico, che non significa “solo”

meno servizi pubblici ma soprattutto meno siste-mi trasparenti di garanzie, meno esigibilità di di-ritti, meno equità nell’accesso alle risorse sui di-versi territori, meno pluralità dell’offerta; e, di con-tro, un allargamento del privato, che, vantato co-me base di nuova libertà del cittadino consumato-re di servizi, sta già dimostrando la sua tendenza“naturale” a concentrarsi verso le offerte per sé piùremunerative, abbandonando il territorio per pro-durre realtà di “neo concentrazione” (vedi le clini-che private in psichiatria o la concentrazione nelleResidenze Sanitarie Assistite per persone non au-tosufficienti).

Se caliamo questi processi – che sono gene-rali – nel campo delle droghe, otteniamo una com-binazione micidiale fra chiusura dell’offerta tera-peutica, sparizione del territorio come luogo e at-

tore di processi di “normalizzazione” e accettazione sociali dei consumatori, e la con-centrazione in poche mani private dell’offerta terapeutica “unica”, lo sviluppo di im-prenditoria morale ideologica e punitiva e il neofamilismo conservatore (si pensi aquanto era già stato deciso dal decreto 444 riformato in materia di potere di diagno-si e accesso diretto alle comunità). Ora, il governo ha deciso l’affondo, con l’annun-ciata revisione della legge sulla droga da parte di Fini a Vienna.

Ci sta lavorando una commissione, con il ruolo preponderante di An, e saràun regalo – pare – per la giornata mondiale sulle droghe del 26 giugno. Un regalo tut-to Onu. Stando alle dichiarazioni: più repressione, col reintegro della dose mediagiornaliera che basterà di per sé a riempire ancor di più le galere di semplici consu-matori, approccio reaganiano alle campagne di prevenzione,blocco delle politiche di riduzione del danno, enfasi (politica edeconomica) sullo strumento comunità terapeutica, svuotamen-to dei servizi pubblici attraverso la fine del loro ruolo di coor-dinamento e garanzia di diagnosi, limiti ideologici per legge al-le terapie farmacologiche, attivazione e potenziamento del cir-cuito carcerario a para carcerario dedicato ai consumatori. AVe-nezia ci siamo detti che: a) delle proposte governative bisognadiscutere adesso e subito, per essere preparati; b) è urgentebloccare questo processo di nuova repressione, rilanciandoquanto avviato con le manifestazioni dello scorso anno controil decreto 444, attivando tutte le nostre conoscenze, invocandole tante evidenze maturate in decenni di lavoro; c) non basta“tenere” su alcuni aspetti terapeutici, l’annunciata controrifor-ma legislativa rialza la posta. È in ballo il concetto stesso di li-bertà e diritto e diritti: un obiettivo fondamentale è perciò il ri-lancio di un processo di riforma, a cominciare dalla depenaliz-zazione totale del consumo, su cui si era lavorato con diverseipotesi normative in vista della conferenza di Napoli e poi diquella di Genova (comprese le bozze di proposta di legge pre-parate dal governo di centrosinistra e lasciate a marcire nel cas-setto); d) la legge va cambiata anche per codificare le “buonepratiche” che abbiamo maturato in questi anni e togliere i laccie lacciuoli normativi ai nuovi programmi di prevenzione, qua-

li l’analisi delle sostanze on site o le injecting rooms; e) va impedita la chiusura del ven-taglio di offerta terapeutica, sia attraverso la centralità e l’adeguato finanziamentodel servizio pubblico sia attraverso la differenziazione dei finanziamenti sulla basedei bisogni reali e non indotti dalle scelte governative (il mercato privato della salu-te vive di fondi pubblici, è bene ricordarlo a chi smania per la “libera concorrenza”;f) va costruita una rete di alleanza con i tanti che, nel sistema di welfare, stanno fron-teggiando le stesse dinamiche, con i consumatori, con gli operatori, con le associa-zioni del privato sociale che non sono a caccia di affari ma lavorano per un welfare diqualità; g) va stanato l’attuale schieramento di opposi-zione, perché ci dica, ci dicano, se hanno una politicasociale sulle droghe, se intendono farne terreno di pro-posta politica, se vogliono usare gli spazi autonomidella devolution laddove governano a livello localeper progettare e sperimentare “altro” dalla war ondrugs.

L’appuntamento è per subito: fare rete attorno a una piattaforma, rilanciarecontenuti alternativi alla penalizzazione e per la difesa dei diritti di cittadinanza, es-sere pragmatici e usare delle evidenze scientifiche, delle esperienze accumulate, del-le conoscenze acquisite. E festeggiare in tanti un’altra giornata mondiale. ■

A VENEZIA UN INCONTRO DELLA RETE “LA LIBERTÀ È TERAPEUTICA”

RILANCIARE, DA SUBITO

Dopo l’annunciata revisione della leggeda parte del governoè urgente crearealleanze intornoad una piattaformaalternativa allapenalizzazione

G i u l i o M a n f r e d i *

La decisione della Corte Costituzionale, che ha annullato il decreto sull’orga-nizzazione dei Sert, fa giustizia del pressappochismo degli “esperti” dei mi-nistri Sirchia e Maroni. La Consulta si rifà giustamente al provvedimento delgoverno sulla “definizione dei livelli essenziali di assistenza/Lea” del29/11/01, che colloca la cura e prevenzione delle tossicodipendenze nel-

l’ambito dell’Accordo stato-regioni. Quattro mesi dopo la fissazione dei Lea, il ministrodella Salute, d’intesa con il ministro per le politiche sociali, emanava un decreto(14/06/02) sulla riorganizzazione dei Servizi tossicodipendenze (Sert) che si rifacevaformalmente a tale accordo ma praticamente lo annullava, invadendo pesantemente lecompetenze delle Regioni.

Per non parlare delle altre “perle” contenute nel decreto, sulle quali la Consultanon si è soffermata: l’Accordo stato-regioni prevede la “pronta accoglienza” dei tossi-codipendenti da parte del Sert; nel decreto la parola “pronta” era stata abolita. L’accor-do del 1999 prevede la “centralità” del Sert, che può prescrivere, secondo scienza e co-scienza, “terapie farmacologiche specifiche”; nel decreto l’intento persecutorio nei con-fronti dei trattamenti metadonici raggiungeva livelli ridicoli: gli operatori erano tenutia evitare la “cronicità iatrogena” (sic) ed erano tenuti a inserire nella cartella individua-

le del paziente «un dettagliato resoconto delle ragioni cliniche edei tentativi effettuati per ridurre la dose di metadone» (nessunoaveva informato il ministro Sirchia che i Sert possono sommini-strare come farmaco sostitutivo anche la buprenorfina).

E ancora: il decreto Sirchia effettuava in modo rozzo l’e-quiparazione del privato sociale al servizio pubblico. Un soloesempio: il decreto prevedeva che il prefetto potesse inviare ilconsumatore di sostanze psicotrope sia al Sert sia a un ente pri-vato accreditato; premessa l’inutilità di inviare un eventuale fu-matore di cannabis al Sert o in comunità, tale disposizione con-trastava con l’art. 75, comma 9, del Dpr 309/90, che dispone cheil soggetto debba essere inviato esclusivamente al Sert.

Nel decreto Sirchia mancava inoltre qualsiasi riferimento(né, tantomeno, coordinamento) alla riforma della medicina pe-nitenziaria, che assegna direttamente ai Sert l’assistenza ai tossi-codipendenti detenuti.

Stiamo parlando dell’unico provvedimento di un certo ri-lievo predisposto e varato dal governo Berlusconi dal suo inse-diamento nel maggio 2001. Per il resto abbiamo un sito del mini-stero (minwelfare.it/sociali/droghe e tossicodipendenze) che fapena per la sua inconsistenza e una Consulta degli operatori edesperti piena di “don” e associazioni amiche del governo. ■

*Comitato nazionale radicali italiani.

LA CONSULTABOCCIA SIRCHIA

FL Speciale Pratiche in rete e la sentenza della Consultasu: www.fuoriluogo.it

EMILIA ROMAGNA/SERT

LA REGIONE HA LA MEGLIO SUL GOVERNOIl 14 giugno 2002 veniva pubblicato un decreto sul-l’organizzazione e il funzionamento dei Sert che rifor-mava il decreto ministeriale del 1990, n° 440. Que-sto atto, che aveva suscitato le proteste e le preoccu-pazioni degli operatori più sensibili, era stato concepi-to come una prova di forza contro le Regioni che era-no in dissenso sul metodo e sul merito. Il conflittonon era solo giuridico ma si fondava sul rifiuto delle“norme di principio” che il Governo intendeva imporresu temi delicati quali il ruolo del privato, la determina-zione della diagnosi, la libertà di scelta e la cronicità.La Provincia di Trento e la Regione Emilia-Romagnahanno presentato due distinti ricorsi il 6 agosto 2002sollevando conflitto di attribuzione. La Corte Costitu-zionale ha esaminato la questione il 13 marzo 2003e ha deciso l’annullamento del decreto contestato, di-chiarando che non spetta allo Stato determinate ulte-riori limiti organizzativi e funzionali in materia di Sert.Una bella lezione ai neocentralisti che straparlano difederalismo e di “devoluscion”.

10 Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003FUORILUOGODOSSIER

VIENNA

RIFORMARE I TRATTATIUN FALSO OBIETTIVO

Si allarga il divario fra il dettato delle Convenzioni Onu e le risposte di molti paesi al problema droga

C i n d y F a z e y *

Sembra si stia determinando un divariocrescente tra le Convenzioni delle Na-zioni unite, la loro interpretazione daparte delle stesse agenzie dell’Onu, e larealtà delle risposte dei vari paesi al-l’uso crescente di droghe illegali perscopi ricreativi. La attuale giuridica si-tuazione è determinata dalle tre con-venzioni internazionali: Single Conven-tion on Narcotic Drugs (Convenzione

unica sugli stupefacenti), 1961; Convention on Psychotro-pic Substances (Convenzione sulle sostanze psicotrope),1971; Convention Against Illicit Traffic in Narcotic drugs andPsychotropic Substances (Convenzione contro il traffico il-lecito di stupefacenti e sostanze psicotrope), 1988. LaConvenzione del 1961 limita la produzione, la lavora-zione, l’esportazione, l’importazione, la distribuzione eil commercio finalizzati all’uso o al possesso delle so-stanze “controllate”. Inoltre essa consente l’uso delle so-stanze “controllate” per usi medici e scientifici. Ciò si-gnifica che la prescrizione di eroina, morfina o metado-ne agli eroinomani rientra nelle convenzioni. Comun-que, la Convenzione del 1988 prevede specificamenteche il possesso per uso personale delle sostanze in-serite nelle tabelle sia trattato come un reato dallelegislazioni nazionali. Sebbene all’inizio abbianoottemperato a questa previsione, molti paesi – par-ticolarmente in Europa – hanno introdotto sanzio-ni amministrative per il possesso di droghe illega-li oppure, semplicemente, hanno deciso di non farrispettare la legge da questo punto di vista.

Molte persone si aspettano che il prossimomeeting della Commissione sulle droghe Narcoti-che, e in particolare il suo segmento ad alto livello in cuiè attesa la partecipazione dei ministri, produrrà una di-samina approfondita dei progressi compiuti dalla co-munità internazionale nel raggiungimento degli obietti-vi stabiliti nel 1998 dalla Assemblea Generale, sessionespeciale sulle droghe. Temo che resteranno delusi. Nel1998 si era deciso di sottoporre a revisione i progressi fat-ti, in relazione a sei obiettivi stabiliti nella Dichiarazionepolitica, cinque e dieci anni dopo la Sessione speciale.Anche se i sei obbiettivi stabiliti nel 1998 verranno sotto-posti a revisione, ciò sarà fatto esaminando le azioni in-traprese, non il loro esito. Ad esempio, uno degli obietti-vi è contrastare il riciclaggio di denaro. Se i governi han-no approvato delle legislazioni a questo scopo, allora sigiudicherà che l’obiettivo sia stato raggiunto – siano lemisure efficaci oppure no. Un’altra ragione per cui nonci sarà un dibattito serio è che il meeting non è fatto aquesto scopo. Qualunque modifica alle convenzioni, semai avverrà, arriverà lentamente, dopo molti anni di di-scussioni preparatorie.

Teoricamente, le convenzioni possono essereriformate mediante una modifica (modification), come lospostamento di una sostanza da una tabella all’altra, osemplicemente rimuovendo questa dalle tabelle. Maquesto non può essere fatto con la cannabis, perché essaè inserita nel testo della Convenzione del 1961. Inoltre, lamodifica richiederebbe il voto favorevole della maggio-ranza dei 53 membri della Commissione. Per la stessa ra-gione l’emendamento (amendment) delle convenzioni,cioè cambiare un articolo o parte di un articolo, non ap-

pare una strada più percorribile. Anche se si ottenesse lamaggioranza, allora almeno uno stato dovrebbe chiede-re che la decisione vada al Consiglio economico e socia-le (Economic and Social Council) per essere ulteriormentepresa in considerazione e sottoposta a votazione. Per es-sere modificate, le Convenzioni del 1971 e del 1988 ne-cessitano di una maggioranza dei due terzi, non di unamaggioranza semplice. Ma niente di tutto questo po-trebbe accadere per la semplice ragione che in questiconsessi non viene fatta alcuna votazione. Tutte le riso-luzioni passano attraverso accordi informali. Inoltre, so-lo quei paesi che sono in regola con il pagamento delleloro quote di sottoscrizione all’Onu sono tecnicamenteammessi al voto. Questo è uno dei motivi per cui non sivota mai, dato che molti paesi raramente sono in regolacon il pagamento. Un’altra alternativa è la denuncia daparte dei singoli stati, ma anche così, nel caso della Con-venzione del 1961, le convenzioni resterebbero in vigorefino a che il numero dei firmatari non scendesse sotto ilnumero di 40. Inoltre, poiché la convenzione del 1988non ha una clausola di estinzione essa resterebbe in vi-gore anche se restasse un solo firmatario.

Molti articoli delle convenzioni sono introdottidalle parole “tenuto debitamente conto dei loro sistemicostituzionali, giuridici e amministrativi”. Questa formu-

la è stata usata dagli Usa per non dare attuazione a unaparte dell’articolo 3 della Convenzione del 1988, che vietadi incitare gli altri a usare droghe narcotiche o psicotrope,con la motivazione che contravverrebbe al loro emenda-mento costituzionale che garantisce la libertà di parola.

Allo stesso modo, l’Italia ha una situazione parti-colare da far valere per il suo referendum sul possesso didroghe ad uso personale. È difficile pensare che un refe-rendum dell’intero paese possa non essere visto comel’espressione della volontà di quel paese. Il fatto che unreferendum sia espressione del concetto fondamentaledel suo sistema giuridico, non potrebbe essere ritentoparte della costituzione di quel paese o del suo sistemagiuridico? Poiché in Italia c’è stato un referendum sulpossesso di droghe per uso personale, potrebbe questaessere una strada da seguire?

La prospettiva di cambiamento immediato attra-verso le Nazioni unite non è esaltante. L’unico cambia-mento che può sopraggiungere è attraverso gli stessiStati membri e la Commissione sulle droghe narcotiche.Il loro segretariato, che fa parte dell’Undcp (United Na-tions International Control Programme) non ha alcun pote-re, tranne quello di facilitare o bloccare momentanea-mente la volontà espressa dagli Statimembri.

La Commissione viene spessoconfusa con l’Incb (International Nar-cotics Control Board. Questo è l’organi-smo le cui origini risalgono alla Legadelle nazioni e comprende tredici per-

sone che sono intitolate a titolo personale a soprintende-re al funzionamento delle convenzioni in relazione al si-stema di regolamentazione della cessione lecita di dro-ghe, e dei precursori chimici che sono necessari per pro-durre droghe sia lecite che illecite. Sfortunatamente que-sti signori si considerano non solo guardiani delle con-venzioni, ma anche loro interpreti. Nel loro rapporto an-nuale hanno criticato molti governi, come il Canada peraver autorizzato l’uso medico della cannabis, l’Australiaper le injecting rooms e il Regno unito per aver propostodi declassare la cannabis, cosa che comporterebbe san-zioni meno gravi delle attuali. Queste critiche travalica-no il loro ambito di competenza, e per la verità è piutto-sto presuntuoso criticare la Corte suprema canadese.

Essi hanno chiaramente mancato di valutare chela Dichiarazione sui principi guida della riduzione delladomanda di droga, che è stata adottata alla Sessione spe-ciale Onu sul problema mondiale della droga nel 1998,era anche una espressione della volontà degli stati mem-bri. Le dichiarazioni non hanno l’autorità giuridica del-le convenzioni, ma nondimeno esse riflettono ciò che lamaggior parte dei governi del mondo pensano. È anchela più recente di queste espressioni in relazione alle dro-ghe illegali, e chiaramente afferma che «le politiche di ri-duzione della domanda tenderanno... a ridurre le conse-

guenze negative dell’abuso di droga... a promuoveree incoraggiare la partecipazione attiva e coordinata diindividui a livello della comunità, sia in generale chein situazioni di rischio particolare, in virtù, ad esem-pio, della loro posizione geopolitica, delle loro condi-zioni economiche o di quote relative ampie della po-polazione tossicodipendenti; e ad essere sensibili siaalla cultura che al genere, contribuendo a svilupparee sostenere contesti ambientali che siano di aiuto peri tossicodipendenti». Qui viene detto chiaramente

che uno degli obiettivi chiave, tra gli altri, è ridurre leconseguenze negative dell’abuso di droghe. Sia lo scam-bio di siringhe che le injecting rooms rientrano in questacategoria.

Ma a cosa ci porta questo? Molti paesi europeistanno seguendo la loro strada senza chiasso e non stan-no implementando le loro leggi riguardanti il possessodi droghe illecite, come nel caso dell’Olanda, oppurestanno chiaramente dicendo che devono essere impie-gati mezzi più appropriati, come nel caso del Portogallo.Una possibilità sarebbe ricorrere al principio dell’Unio-ne europea della sussidiarietà, secondo cui le decisionivengono prese al livello più vicino a quelli che sono in-teressati. Per le leggi sulle droghe molti europei sarebbe-ro favorevoli a tornare alla sfera di competenza naziona-le [repatriation of drug laws] così che, come con l’alcoolo il tabacco, ciascuno stato possa legiferare in modo ap-propriato rispetto alla propria popolazione, ai propriprincipi e alle proprie norme giuridiche.

Il ritorno alla sfera di competenza nazionale dellapolitica delle droghe potrebbe essere l’unico modo percambiare la politica proibizionista globale stabilita dalleconvenzioni. Ciascuno stato dovrebbe perciò poter stabi-

lire la politica delle droghe che ritiene op-portuna senza che gliene venga impostauna da precedenti accordi che possono nonriflettere più le opinioni internazionali. ■

*Docente di Politica internazionale delle dro-ghe, Università di Liverpool.

Restituire la politica delle droghe alla sfera nazionale potrebbe essere l’unica viaper contrastare il proibizionismo globale

FL Il testo originale nello speciale vienna 2003 su:www.fuoriluogo.it

11Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003 FUORILUOGODOSSIER

VIENNA

G r a z i a Z u f f a

«Scrivo a nome del governo britannico per testimoniare il disap-punto ai commenti espressi nel rapporto 2002 dell’Incb (Inter-national Narcotic Control Board) circa la decisione del mio gover-no di riclassificare la canapa...» Così l’attacco della lettera uffi-ciale di protesta che il sottosegretario agli Interni, Bob Ain-sworth, ha inviato all’organismo Onu Incb in seguito alla pub-blicazione del suo rapporto annuale. La lettera risale agli inizidi marzo, anche se è trapelata solo un mese dopo. I commenti dell’Incb citati si riferiscono alla svolta britannicasulla politica delle droghe, maturata sul finire degli anni ‘90. Si

afferma allora l’orientamento a coordinare maggiormente l’azione delle varie agenzie dicontrasto (quelle sociosanitarie e quelle addette alla repressione) concentrandosi al tem-po stesso su alcune priorità, ossia sulle “droghe che procurano maggior danno”. È un in-dirizzo fortemente sostenuto dalle forze di polizia, stanche di sprecare tempo e risorsenel reprimere il consumo di canapa. La riforma approda ad una prima tappa con “l’e-sperimento di Lambeth” del 2001: nel quartiere londinese la polizia locale decide di nonarrestare più i consumatori di canapa, ma semmai di impartire ammonizioni o diffide.Ma negli ultimi tempi si registra anche una diminuzione delle diffide, perché i poliziottisempre più spesso rimettono in libertà i consumatori senza neppure darsi la pena di dif-fidarli.

Nel 2002 arriva la decisione ufficiale del segretario agli Interni, David Blunkett: lacanapa viene “declassata”, passando dalla tabella B, a quella C. In tal modo il consumodi canapa diventa un reato non più passibile di arresto (anche se questo rimane ancorapossibile in particolari circostanze aggravanti) (cfr. Axel Klein in Fuoriluogo, dicembre2002).

È proprio contro i paesi e i gruppi che “sostengono la legalizzazione o la decri-minalizzazione dei reati di droga”, accusati di “favorire una crociata”, che si appuntail biasimo del presidente del Board, il nigeriano Emafo. Altrettanto dura la replica in-glese, che denuncia «il linguaggio allarmistico e l’assenza di ogni riferimento all’evi-denza scientifica». È questo il nodo su cui il governo britannico insiste, sottolineandoche la decisione di riclassificare la canapa è stata presa dietro suggerimento dell’orga-nismo di consulenza scientifico, l’Advisory Council on the Misuse of Drugs, dopo che que-sto aveva redatto una relazione dettagliata di rassegna su tutta la letteratura scientifi-ca e il materiale di ricerca disponibile. Sarcastico l’invito di Ainsworth all’Incb a «stu-diare con molta attenzione» la relazione del Council, «disponibile su Internet», precisaancora pungente.

E circostanziata è la contestazione delle sciocchezze scientifiche sostenute dalBoard alla presentazione del rapporto 2002. Il rappresentante dell’Incb aveva infatti af-fermato che, in seguito alla decisione del governo britannico, nel giro di venti o trent’an-ni gli ospedali psichiatrici inglesi si sarebbero riempiti di persone con problemi. Ma nelrapporto del Council, precisa puntigliosamente la lettera, «si conclude che, in base all’e-videnza disponibile, non è stato dimostrato alcun chiaronesso causale fra la canapa e l’insorgere della malattia men-tale».

La scelta del governo è difesa nel merito an-che per ragioni più politiche. «Si fa un gran danno al-la credibilità del messaggio rivolto ai giovani, se si fafinta di credere che la canapa è pericolosa al pari del-l’eroina o del crack – scrive ancora Ainsworth – e (...)se non facciamo in modo che le leggi riflettano il dan-no relativo delle singole droghe, i giovani non ascol-teranno i nostri messaggi circa le droghe che procu-rano i danni più gravi». Nel finale, il giudizio più ta-gliente: «I commenti che avete scritto nel rapporto,l’uso selettivo e impreciso delle statistiche che avetefatto, e il fatto di non aver citato i riferimenti scienti-fici alla base delle decisioni del governo inglese, tuttociò contribuisce a diffondere un messaggio di di-sinformazione e potenzialmente dannoso».

La protesta del governo britannico è un episo-dio di rilievo dal punto di vista politico, perché un con-flitto del genere fra l’Onu e uno stato membro non siera mai verificato. ■

P a o l o C r o c c h i o l o

E’possibile chiamare i governi a rispondere delle loro scelte dipolitiche proibizioniste? È questo il quesito su cui il movi-mento antiproibizionista sta cominciando a ragionare e su cuiin particolare si è soffermata la dott.ssa Manuela CarmenaCastrillo, giudice e portavoce del Consiglio Generale del Po-tere Giudiziario in Spagna, nell’audizione organizzata da Icna Bruxelles il mese scorso. Non c’è dubbio che la politica proi-bizionista ha prodotto drammatiche conseguenze nelle so-cietà industrializzate, da una parte contribuendo alla propa-gazione dell’epidemia di Aids e dall’altra facendo sì che la

produzione, lo smercio e le modalità di assunzione delle droghe illegali sfuggissero aqualunque controllo. Dei 32.000 decessi per Aids registrati in Spagna a partire dal 1995,il 55% (ovvero 17.000) può essere ascritto, secondo la dott.ssa Castrillo, non tanto al con-sumo di eroina in sé, quanto all’impossibilità per i consumatori di accedere alle sostanzein un contesto legale ed igienicamente scevro da rischi.

Anche i movimenti dei consumatori di droghe dunque, alla pari delle organizza-zioni dei consumatori di qualunque altra merce o prodotto, dovrebbero rivendicare il fat-to che i legislatori e i governi non possano ritenersi svincolati dalle responsabilità connes-se alle conseguenze negative per i cittadini di quanto da essi legiferato e posto in vigore.

Si sta insomma facendo strada l’idea che, analogamente a quanto avviene per iproduttori di droghe legali quali le sigarette o gli alcolici, anche i governi possano essereritenuti responsabili, almeno moralmente se non legalmente, degli eventuali, ma preve-dibili, danni prodotti dalle leggi di proibizione da essi emesse.

In realtà, infatti, non dovrebbero essere gli antiproibizionisti, come di solito accade,a dover rispondere delle conseguenze di politiche comunque non (ancora) realizzate; alcontrario il ragionamento andrebbe capovolto: sarebbero i proibizionisti a dover assumer-si per intero la responsabilità, anche legali, della situazione effettivamente esistente e da es-si creata. Ovviamente, il governo di qualunque paese può trincerarsi dietro la necessità diadeguare la propria legislazione alle convenzioni internazionali; nonché dietro la proibi-zione stessa, che in teoria dovrebbe eliminare le premesse del fenomeno, impedendo ipsofacto ed ipso jure che i danni legati all’assunzione di droghe illecite si verifichino.

Tali argomentazioni appaiono in realtà entrambe piuttosto pilatesche, in quantol’adeguamento alle convenzioni internazionali non può scagionare totalmente dalla re-sponsabilità di prevedere, ed anzi di evitare il più possibile, le conseguenze nocive delleproprie decisioni; né appare moralmente corretto fingere di non accorgersi che, nella pra-tica, il consumo di droghe illegali, invece di diminuire, è anzi enormemente aumentatoproprio in seguito alla proibizione.

Se dunque in questo caso, a differenza del fumo di tabacco, il ricorso in tribunaleforse non è attualmente praticabile, resta pur sempre valido il principio morale della re-sponsabilità individuale che compete al legislatore e all’uomo di governo, in misura cer-to non meno rilevante che al comune cittadino. ■

UN ROVESCIAMENTODI PROSPETTIVA

DIRITTOI governi possono e debbono essere chiamati a rispondere delle loro politiche. Il movimentoantiproibizionista lancia la sua sfida

RAPPORTO INCBIL REGNO UNITOCONTRATTACCA

DRUG EURONEWS A PICCOLI PASSIAlla fine di marzo è stato reso pubblico il rappor-to sulla conferenza europea sulle droghe che siè tenuta ad Atene il 6 e il 7 dello stesso mese. Ilrapporto è stato redatto dalla presidenza grecache aveva promosso l’iniziativa, non essendostato possibile stendere al momento una risolu-zione finale che potesse trovare l’accordo gene-rale. Scopo della presidenza greca era di porta-re una ventata di novità nel dibattito e negliorientamenti sulle droghe a livello europeo, allaricerca di politiche «pragmatiche ed efficaci, ba-sate sulle pratiche quotidiane e sulla conoscen-za scientifica», e per «contribuire alla definizionedi una posizione europea» in vista del summit diVienna di aprile. Alcune affermazioni del rapporto sono interes-santi, specie per ciò che riguarda la riduzione

del danno: «le serie conseguenze della dipen-denza (..) sono una realtà che deve essere af-frontata con misure complementari, cioè conmisure di riduzione del danno» - si legge nel do-cumento- ed «è stato riconosciuto che certi ap-procci di riduzione del danno, fino a poco tempofa considerati inaccettabili, fanno oggi parte del-la pratica quotidiana». Inoltre si fa esplicito riferi-mento all’opportunità che i paesi abbiano lapossibilità di sperimentare alla ricerca dell’ap-proccio che funzioni meglio. «La differenziazionedeve essere rispettata - sottolinea il rapporto-nel quadro generale dell’Unione Europea».Riguardo la valutazione delle convenzioni e dellepolitiche Onu, la presidenza greca registra la di-visione fra chi vorrebbe la completa applicazio-ne delle convenzioni, senza alcuna discussione,

e chi invece vorrebbe porre su nuove e più effi-caci basi le politiche internazionali. Cionono-stante, si tenta una convergenza, sottolineandoche «C’è un accordo quasi generale sull’utilitàdelle convenzioni (...) tuttavia le convenzioni po-trebbero essere migliorate (...) e potrebbero pre-vedere misure che sono pratica quotidiana inmolti stati d’Europa, come la riduzione del dan-no e la previsione di alternative al carcere e allapunizione per i semplici consumatori». Ma l’a-pertura più significativa si registra rispetto al-l’auspicata flessibilità delle convenzioni, per per-mettere la differenziazione delle politiche in ac-cordo «alla diversità culturale, religiosa e legalenelle differenti parti del mondo». Seppur cauta,la vecchia Europa procede sulla via della rifor-ma, parrebbe.

12 Supplemento mensilede il manifesto25 aprile 2003FUORILUOGODOSSIER

VIENNA

P a t r i z i o G o n n e l l a

Il problema delle droghe è un fenomeno comples-so e multidisciplinare che include aspetti legati al-la salute, ai diritti fondamentali delle persone, al-le libertà, alla sicurezza. Dal punto di vista dellepolitiche criminali richiede un approccio analiticoe multidimensionale. La questione droghe ripro-pone, infine, un problema di legame o rottura fradiritto positivo e diritto naturale, fra libertà indi-viduali e interessi diffusi. Chiunque se ne occupinon può prescindere da un approccio dinamico e

realistico. L’apparato di norme sopranazionali, adottate inseno alle Nazioni unite, riflette invece un punto di vista uni-dimensionale incapace di cogliere le complessità del feno-meno. La prospettiva adottata è principalmente di control-lo.

Sin dal 1966 – anno in cui vengono adottati i pattisui diritti civili e politici, e sui diritti sociali, economici eculturali – il principio dell’indivisibilità e dell’interdipen-denza dei diritti umani viene codificato, proprio in contra-sto alle tipiche tendenze semplificatorie statunitensi, in unambito contiguo: quello della tutela dei diritti umani. L’in-tera e stratificata machinery Onu sui diritti umani muoveda presupposti culturali opposti rispetto all’appara-to convenzionale sulle droghe. Nel primo caso l’ap-proccio è problematico, le libertà e i diritti divengo-no l’architrave delle politiche sociali, delle politichedi giustizia e delle politiche diplomatiche. Il dirittoalla pace è addirittura positivizzato quale diritto ap-partenente a ogni individuo e a tutti i popoli. Ulti-mo tassello, in ordine di tempo ma non di impor-tanza, è l’istituzione del tribunale penale interna-zionale, che giusto poche settimane fa ha visto il suoinsediamento formale. L’approccio, nel caso dell’apparatosui diritti dell’uomo, è umanocentrico. Viene superata laprospettiva statocentrica. E quindi ben si spiega che gliUsa non ratifichino il patto sui diritti sociali, culturali e eco-nomici, si sottraggano alla giurisdizione della corte del-l’Aja, remino contro il protocollo Onu, già alla firma degliStati, per l’istituzione di un nuovo organismo universaleispettivo contro la tortura e i maltrattamenti. Invece la lo-gica unipolare americana, che ben può essere sintetizzatanella opposizione dialettica friends-enemies, spinge perl’approccio antisistemico e statico. Laddove la staticitàcoincide con le verità univoche imperiali e repressive:quelle verità che hanno condizionato e permeato le normeconvenzionali delle Nazioni unite sulle droghe.

La prima delle tre più importanti convenzioni Onusulle droghe risale al 1961 (Single convention on narcoticdrugs e successivo protocollo del 1972). Le successive sonorisalenti al 1971 (Convention on psychotropic substances) e al1988 (Convention against illicit traffic in narcotic drugs andpsychotropic substances). Nederiva un apparato Onu, co-stituito da norme e struttu-re, finalizzato esclusiva-mente a una funzione dicontrollo.

La Convenzione del1961 ha costruito un sistemadi controllo universale sullacoltivazione, produzione,esportazione, importazione,distribuzione, commercio epossesso di sostanze narco-tiche (oppio e derivati, cocae cannabis). L’InternationalNarcotics Control Board(Incb) è l’organismo respon-sabile dell’implementazio-

ne della convenzione, anche se è privo di effettivi poterisanzionatori rispetto agli Stati inadempienti. Esiste solo unobbligo di rapporto periodico da parte dei governi. Vi èuna rigida previsione delle attività consentite agli Stati euna altrettanto rigorosa catalogazione delle droghe in 4 ti-pologie, a seconda degli effetti di dipendenza prodotti. Eal primo posto, per pericolosità e strategie di repressione,vi sono eroina, cocaina e cannabis, tutte insieme. L’articolo36 della convenzione richiede agli Stati membri l’adozionedi sanzioni penali per la coltivazione, produzione, espor-tazione, importazione, distribuzione, per il commercio e,last but not least, per il possesso di sostanze narcotiche. Nonè prevista sanzione penale obbligatoria per il possesso fi-nalizzato al consumo.

Entrata in vigore nel 1964, è stata firmata e in se-guito ratificata da ben 177 paesi. Nessuna convenzioneOnu che si occupi di diritti umani ha mai raggiunto quotedi unanimismo così elevate. La retorica americana in que-sto casa ha creato consensi a destra e a sinistra.

Dieci anni dopo, in perfetta continuità ideologica econ le stesse caratteristiche, viene adottata la Convenzionesulle sostanza psicotrope. L’Incb è sempre posto a guardiadelle norme del trattato, tutto impostato nella doppia chia-ve di controllo e repressione.

Nel 1988 con il Trattato sui traffici illeciti interna-zionali viene spostato l’asse dell’intervento dallo Stato allacooperazione intergovernativa e multilaterale nel control-lo e nella repressione dei traffici di droghe. La sequenza deitre trattati evidenzia un trend punitivo. In modo specificol’articolo 3 prevede che il possesso di droghe illecite perconsumo personale sia reato.

Nel 1998, l’assemblea generale dell’Onu dedica unsessione speciale al problema delle droghe; nella Risolu-zione del 1° febbraio 1999 e nella successiva Dichiarazionesui principi guida nella domanda di riduzione delle dro-ghe, per la prima volta compare, senza demonizzazioniseppur con tante cautele, il termine strategia di riduzionedel danno connessa a nuove politiche sociali. A differenzadei trattati le risoluzioni o le dichiarazioni non hanno peròeffetti vincolanti per gli Stati.

L’Europa non ha avuto la forza e il coraggio di di-staccarsi da questo contesto repressivo-punitivo. Esistonoembrioni di una dimensione e di un approccio multidisci-

plinare ma l’obiettivo priori-tario resta la repressione deitraffici e, di conseguenza, deiconsumi.

A livello del Consigliod’Europa (quello dei 44 natonell’immediato secondo do-po-guerra) opera il cosiddettoPompidou group, che ha il com-pito di consolidare la coopera-zione nella lotta agli abusi e aitraffici illeciti di droghe. Nelprogramma di lavoro deltriennio 2000-2003 si fa peròriferimento espresso, nell’am-bito delle politiche di control-lo, allo sviluppo di alternativeal carcere e all’adozione di in-

IL CONTROLLO GLOBALEUn’analisi dell’approccio giuridico e culturale delle Convenzioni delle Nazioni Unite

novative politiche dirette alla riduzione del danno. L’Unione europea, nelle droghe così come nel-

l’immigrazione, si presenta come fortezza Europa: nel gi-ro di 7 anni, da Schengen nel 1990, passando per Maa-stricht nel 1992 e finendo ad Amsterdam nel 1997 essa siè strutturata quale fortezza senza avere la forza di porsiquale soggetto, alternativo agli Usa, per una nuova drugpolicy. L’articolo 71 della convenzione di Schengen sug-gerisce agli Stati misure preventive o punitive rispetto alpossesso finalizzato alla vendita o all’esportazione. Nonvi è però, e questa è comunque una novità interessante ri-spetto alle norme Onu, una obbligatoria perseguibilitàdel possesso finalizzato al consumo. L’articolo 152 delTrattato di Amsterdam pone le basi giuridiche per l’ado-zione di politiche sociali e sanitarie a livello nazionale perla riduzione del danno. Esiste infine uno European Actionplan to combact drugs 2000-2004. L’ottica è anche qui tuttarivolta al combattere i traffici illeciti.

In questo quadro complessivo convenzionale èpossibile rintracciare alcune parole chiave: controllo, cri-minalizzazione, repressione. Nonostante ciò, però, gli ec-cessi repressivi degli Stati non sono necessariamente da at-tribuire a obblighi prodotti dalle norme convenzionali, cheper la natura tipica delle norme internazionali, sono dota-

te di quelle classica genericità che consente e rendepossibili soluzioni differenziate.

La criminalizzazione del traffico ricorre in tut-te le norme a tutti i livelli, ma nessuna norma inter-nazionale - seppur recepita dall’ordinamento interno- in una sorta di gerarchia delle fonti, può essere incontrasto con i principi costituzionali nazionali. Il di-ritto alla salute viene sempre prima di un mai troppochiaro e definito diritto alla sicurezza.

Nelle convenzioni Onu ed europee, si parlaspesso di sanzioni, in taluni casi anche per il possesso fi-nalizzato al consumo. Ovviamente esiste un ampio spettrodi sanzioni possibili, amministrative o penali. Misure al-ternative a quelle penali per il consumo personale sonosuggerite sia nella convenzione del 1961 che in quella del1988: treatment, education, after-care, rehabilitation, social rein-tegration. Non è chiaro cosa si intende per trattamento:ospedalizzazione, istituzionalizzazione, riduzione deldanno o cos’altro?

Infine va verificato che spazio è concesso all’inter-no dei trattati alle politiche di riduzione del danno. Loscambio e la distribuzione delle siringhe sembrerebbero incontrasto con le norme convenzionali, anche se nei pream-boli delle stesse convenzioni si fa riferimento a politichesanitarie dirette a evitare diffusioni pericolose di malattie.Esistono vuoti normativi che consentono nuove politichesulle droghe. Non vi è obbligo codificato di confiscare le si-ringhe. Tutte e tre le Convenzioni Onu non escludono l’u-so terapeutico delle droghe, eroina compresa. Anche il me-tadone è ammesso per scopi medici o scientifici. Le stesseinjecting rooms possono essere ammesse come forma estre-ma di azione socio-sanitaria di riduzione del danno.

Le tre Convenzioni Onu, le norme europee, lettecongiuntamente costituiscono sicuramente l’architravegiuridico della war on drugs. La questione droghe è letta eaffrontata come questione criminale e non come questio-ne sociale. Vanno, quindi, adottate azioni e politiche che sioccupino di droghe dal versante dei diritti umani e dellelibertà fondamentali. Il Patto sui diritti sociali ed econo-mici del 1966 prevede ipotesi di ricorso individuale al Co-mitato istituito dalla Convenzione. La Corte europea suidiritti umani ammette ricorsi giurisdizionali individualinel caso di diritti violati. Va creata una giurisprudenza in-novativa che guardi alle droghe mettendo al centro i di-ritti dei consumatori, in primis il diritto alla salute. Sonoembrioni di giustizia internazionale che vanno opportu-namente coltivati. ■

L’apparato di norme sovranazionali sulladroga si ispira a principi opposti a quellidella “machinery” Onu sui diritti umani

Vien i avant i padano

Immunità vo’ cercando. Il ministro del-la Giustizia Roberto Castelli, dichia-randosi d’accordo sul ripristino del-l’immunità per i parlamentari, ha ac-cusato la sinistra di essere diventata«giustizialista, con alcune venatureforcaiole». Ricordate quel bue che da-va del cornuto all’asino?

( m a r a m a l d o )