e' di scena la vita

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Entertainment & Humor


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GiveMeAChance Editoria Online

É di scena la vita

Palma Maggi

www.givemeachance.it

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Tutti i diritti riservati. La riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Settembre 2014

www.givemeachance.it

A mia madre che mi ha dato la possibilità

di sperimentare questa vita e alle mie so-

relle, rami fioriti dell'albero vitale della

madre terra.

Ai miei amati figli, preziosa essenza della

mia vita.

A tutte le donne che ho incontrato a quelle

che mi sono vicine e a quelle che incon-

trerò un grazie di cuore.

Ringrazio la mia amica sorella Chiara per

Il suo amorevole sostegno.

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11 LUGLIO 2010

… È sera, anzi notte, cinque minuti dopo l’una.

Finalmente sono riuscita a pulire balconi e pavimenti, era

un pensiero fisso ultimamente…voglia di pulito, di ordi-

ne...s’inizia sempre dall’esterno per poi arrivare all’interno,

sì all’interno dell’anima e della mente.

Non si ferma mai la mente, non ti dà tregua, non ti lascia

respirare, si fissa sempre sulle stesse cose…problemi,

fantasie assurde, scene di vita vissuta, sembra di essere

al cinema o a teatro.

È di scena la vita!

È trascorsa veloce: il regista ha voluto girare in fretta,

senza provare mai più di una volta, sempre buona la “pri-

ma”.

Io alcune scene le avrei volute tanto rifare, le avrei fatte

meglio, con più passione, più furbizia, alcune con più con-

sapevolezza, tante le avrei assaporate piano piano, attimo

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per attimo, intensamente, tante mi sono rimaste impresse

nel cuore, soprattutto quelle dolorose, alcune le ho perse

o nascoste in qualche angolo della mente, forse per non

poterle trovare. Questa non è la prova generale, no, è

proprio la “Prima” in assoluto o forse no?! Cose già vissute

nelle vite precedenti, ma la pellicola si è sbiadita e non si

può rivedere, allora ne giriamo un’altra, con nuovi perso-

naggi, in luoghi diversi.

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ANNO 1962. CIAK SI GIRA:

palcoscenico di una scuola materna: sono alla mia prima

recita.

Siamo dieci bambine che, disposte in cerchio, cantiamo la

canzone “La campagnola bella”. Indossiamo un costume

di raso verde con applicate margherite bianche. Eseguia-

mo dei piccoli passi di danza tipo la Zorba ed alziamo le

mani in alto, ci impegniamo molto, la suora ci fa segno e

noi teniamo il tempo.

Siamo emozionate e cerchiamo con gli occhi, in platea, un

viso conosciuto, i nostri genitori o perlomeno un fratello

maggiore, una sorella che ci sorrida e ci faccia capire che

siamo brave e che tutto sta andando bene, io mi sento im-

portante, un uomo anziano, appoggiato alla porta d’uscita,

mi guarda e sorride: è mio padre.

Tutto finisce bene, applausi e caramelle.

É stata una piccola apparizione, ma tanto intensa ed entu-

siasmante...inconsapevolmente l’inizio di quello che sa-

rebbe stata la mia vita.

Chissà se mi chiameranno ancora, attendo una parte da

protagonista. Arrivano sempre ruoli da comparsa, la scola-

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ra, la figlia ammalata o contesa dai genitori e, quando va

bene, quello della bambina prodigio.

Si farà un lungo viaggio dice il regista, ci saranno luoghi

più belli, non che la nostra amata Puglia non lo sia, al nord

il paesaggio è completamente diverso, ma vi assicuro è

spettacolare con i suoi monti maestosi ed i laghi. Le

grandi città come Milano sono in crescita e danno lavoro a

tutti anche a noi attori di teatro. Per questo ho deciso per il

bene di tutti noi di spostarci al nord. Preparatevi! Ci stiamo

preparando per il lungo viaggio, che come dice il regista

cambierà le nostre vite.

Sono poche le cose da mettere in valigia, anche perché

non ne abbiamo una a testa, ma una per tre persone, per-

ciò solo i vestiti della festa ed il cambio della settimana.

I vestiti giravano come la giostra, dai più grandi ai più pic-

coli. Io avevo quelli smessi dalle ragazze più grandi ed

anche per le grandi occasioni, come la prima comunione,

erano già stati usati da ben due bambine e per fortuna in-

dossati un solo giorno! Uno in particolare mi piaceva mol-

to, era bellissimo ed io mi sentivo una principessa, a parte

i capelli che una “comare” mi aveva tagliato con una fran-

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getta storta. Diceva che io avevo una rosa proprio lì sotto

la frangia…non era vero!

Tutto mi sembra molto strano mai avrei pensato di partire,

di viaggiare.

Cosa mi aspetto dalla vita e da questo cambiamento, non

lo so neppure io per ora. Non so se mi dispiace lasciare la

scuola, quando la maestra ha detto alla scolaresca di sa-

lutarmi perché partivo per un lungo viaggio per raggiunge-

re un paese al nord e lo fece vedere sulla grande cartina

geografica attaccata al muro dietro la sua scrivania, io mi

sono sentita importante, tutte le attenzioni erano rivolte a

me, tutti mi guardavano con occhi increduli e non sapeva-

no se dirmi: beata te o ci dispiace per te.

Ultima notte nel mio letto che divido con un'altra bambina.

Non riesco a dormire, vorrei già che fosse mattina, mi ec-

cita l’idea di salire sul treno. Piano piano gli occhi si chiu-

dono ed in un batter d’occhio arriva il mattino. Devono in-

sistere per svegliarmi….ma che ore sono? Ancora è buio

e ho sonno, stavo sognando di giocare al mare con il ven-

to che mi scompigliava i capelli, niente da fare, bisogna

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sbrigarsi altrimenti perdiamo la corriera che ci porterà alla

stazione e di conseguenza rischiamo di perdere il treno.

Inizia l’avventura, realizzo che è proprio vero… stiamo

partendo!

Siamo andati a piedi alla grande piazza dove ci sono due

corriere, una grande ed una piccola, noi dobbiamo salire

su quella grande che porta più lontano. Vedere quella

immensa scatola blu con tante finestrelle un po' mi fa pau-

ra, non vi ero mai salita. Qualcuno mi prende in braccio e

in un attimo mi trovo seduta su una poltrona vicino al fine-

strino. “Tutti seduti” grida l’autista. Il motore chiassoso

parte ed inizia il viaggio verso la stazione.

Il treno lo avevo visto solo sui libri di scuola con la locomo-

tiva che soffiava fumo e le carrozze tutte colorate, non era

proprio così. Le carrozze sono grigie e le poltrone marrone

scuro alcune anche di legno, tutto era tranne che colorato,

ma era riscaldato e questo mi piaceva, a Novembre anche

al sud fa freddo.

La prima volta sul treno, la prima volta sulla “corriera”, tan-

te ore, siamo in tanti e tutti abbiamo un piccolo bagaglio,

che contiene del cibo per il viaggio.

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Ci aspettano, dice il regista, stanno preparando gli alloggi.

Immagino che ognuno di noi abbia il suo camerino, soprat-

tutto con la stufa…dicono che lì ci sia la neve! Io non ho

mai visto la neve. Sono entusiasta.

Si sta in silenzio per ore sul treno, tutti immersi nei propri

pensieri, paure, curiosità, sogni, speranze. Qualcuno rom-

pe il silenzio raccontando qualcosa, nessuno lo ascolta,

tace.

Ogni tanto viene la moglie del regista per vedere se stia-

mo bene e se abbiamo bisogno di andare in bagno, è mol-

to premurosa e pare anche preoccupata.

Per passare il tempo giochiamo con un nastro, facendo in-

trecci con le mani e cantiamo le canzoncine della scuola.

Le ore non passano mai ed io guardo dal finestrino i pae-

saggi che mi paiono corrano con il treno, immagino gli al-

beri che con le loro radici corrono per raggiungere il “mo-

stro di ferro” che ha tagliato in due il loro territorio calpe-

stando alberelli e piante. Nulla da fare il mostro corre più

veloce e quando gli alberi incontrano i paesi si devono

fermare.

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Sempre con gli occhi al finestrino sogno la mia vita, im-

magino di arrivare in una bellissima città, andare in una

scuola moderna ed avere tante amiche con la quali, nei

pomeriggi, giocare e fare deliziose merende.

Poi penso a quando diventerò grande e sarò un’attrice

famosa, ammirata da tutti e guadagnerò tanto da potermi

comprare una splendida casa per me e tutta la mia fami-

glia e gli amici della compagnia.

Tanti sogni, tante speranze e fiducia nella vita.

“Stiamo per arrivare”, dice Donna Vita, la moglie del regi-

sta: “i più grandi aiutino le bambine a mettersi il cappotto,

la sciarpa e state tutti vicini tenendovi per mano”.

Arrivati finalmente! Accidenti che freddo, ma dove siamo

capitati? I camerini poi, non ci sono proprio, dobbiamo di-

viderci in due stanze. I disagi sono tanti, ma non importa,

dobbiamo provare, le riprese iniziano a breve. Tutti ci la-

mentiamo perché ci sono tanti disagi e le persone che in-

contriamo ci guardano incuriosite e bisbigliano tra di loro.

Persino Donna Vita è arrabbiatissima con suo marito, il

regista, non pensava di trovare gli alloggi così malandati e

per giunta il camion con il mobilio aveva preso l’acqua ed i

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materassi erano tutti bagnati, insomma minaccia di tornare

al paese.

Finalmente ci sistemiamo per la notte e per fortuna le co-

perte non si sono bagnate. I materassi sono stati asciugati

alla meglio con le stufette a gas e comunque si sente che

sono un pochino umidi. Pazienza siamo tutti molto stanchi

e va bene così.

Mi tiro su fino alla testa la mia coperta e, per questa notte,

Donna Vita ha detto che posso tenere i calzettoni di lana

che con il freddo che fa rischio di ammalarmi. Ha ragione

fa troppo freddo e ci metto un po' a sentire quel tepore che

il corpo raggiunge stando sotto le coperte, lentamente gli

occhi si chiudono ed arriva il sonno.

Mi sveglio da sola nessuno è venuto a chiamarmi per an-

dare a scuola, che sarà successo? C’è un silenzio strano.

Non sento auto o motorini passare. Vado in cucina se-

guendo il profumo del caffè latte, Donna Vita mi guarda e

poi mi mette una mano sulla fronte per sentire se ho la

febbre; è certa che noi piccoli prima o poi ci ammaleremo

e mi dice: “vieni alla finestra, guarda quella è la neve”.

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I miei occhi si spalancano, la bocca aperta. Le mani sono

incollate ai vetri... che spettacolo!!! Tutto, ma proprio tutto

è coperto da quella cosa strana bianchissima e a vederla

pare anche soffice e si chiama neve.

Poi il silenzio che c’è, non si sente alcun rumore neppure i

passi delle persone, tutto è ovattato. Voglio uscire a vede-

re. Finito di bere il latte con il caffè d’orzo e il pane avan-

zato la sera prima, Donna Vita mi veste molto pesante. Mi

lascia persino il pigiama sotto i pantaloni e con gli scar-

poncini, sciarpa e cappello e dei guanti grandi per le mie

dita, vado nella neve; sì, proprio dentro perché uscendo

scivolo subito e ci sprofondo dentro, senza farmi male tan-

to che è alta e soffice. Ovviamente tutti gli altri ridono e mi

tirano le palle di neve che, capito come si fanno, gli ritiro a

mia volta colpendoli in faccia.

Grande divertimento soprattutto perché, a causa

dell’abbondante nevicata, le scuole sono chiuse e tutti i

bambini sono felici.

I pochi giorni di vacanza trascorrono veloci e si deve tor-

nare a scuola ed i grandi devono iniziare a lavorare.

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Io inizio a studiare una piccola parte, qui sembra facciano

fatica a capirci e parlano in modo strano, il regista ci dà

dei consigli, ma neppure lui sa bene su cosa, noi

l’ascoltiamo e diciamo d’aver capito, cosa c’è poi da capi-

re, non siamo mica in America! Siamo in Lombardia che

sta in Italia o no?

Certo di cose strane ne vedo tante anche a scuola, per

esempio qui scrivono con il pennino intinto nell’inchiostro,

al mio paese usavamo già le penne biro. Che disastri ho

fatto con quel pennino, certi buchi nei fogli per cancellare,

macchie ed anche qualche errore e tutti che mi guardano

come se fossi un animale da circo. La cosa poi che mi fa

sentire molto “diversa“ è la merenda durante l’intervallo.

Tutte le mie compagne di classe tirano fuori dalla cartella

delle merendine che solo a vederle mi fan venire

l’acquolina in bocca e io cosa ho invece? due fette di pane

casaereccio con una melanzana sott’olio che ovviamente

non faccio vedere e di conseguenza non mangio.

Fame fino alle dodici e trenta quando, andando a casa,

mangiavo senza farmi vedere da nessuno il mio pane.

Questo è successo per più di due mesi e poi finalmente,

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dopo aver pianto quasi tutti i giorni, ho ottenuto le meren-

dine veneziane oppure il buondì ricoperto di cioccolato.

Era un passo avanti verso l’uguaglianza tra scolari.

Nel tempo libero, dopo la scuola mi è concesso andare in

teatro ad assistere alle prove e ne sono felicissima.

C’è sempre confusione in teatro, ognuno cerca il suo spa-

zio e noto che i grandi hanno la meglio su i più giovani

senza parlare poi di noi piccoli.

Ho tanto da imparare dagli attori più grandi. Cerco di ruba-

re il mestiere, osservo il loro modo di calarsi nel perso-

naggio, come trasmettere al pubblico le emozioni, come

conquistarlo, tenerlo col fiato sospeso, farlo star bene. ”Ci

vuole carisma, mia cara!”, mi dicono.

Vorrei già essere grande, decidere da sola quale perso-

naggio interpretare, ma ci vuole pazienza, devo acconten-

tarmi di piccoli ruoli, sono solo una comparsa, come

quando faccio la scolara che arriva dal meridione e nes-

suna vuole essere mia amica.

Si portano in scene queste storie perché è il periodo

dell’emigrazione, lo spettacolo va bene, la gente si diverte,

soprattutto quando si prendono in giro le persone per il lo-

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ro accento. A me sembra normale semmai è il loro ad es-

sere strano, che cosa stupida!

Il regista è contento, si replica ogni giorno.

Le giornate trascorrono tutte uguali, faticoso l’inserimento,

l’indifferenza e gli sguardi di disprezzo dei compagni di

scuola feriscono più di quelli degli adulti. Sono cattivi i

bambini o imitano bene i grandi.

Alla fine della quinta elementare, le più brave della classe

nonché le più ricche, mi chiedono di fare loro una dedica

sul diario personale, si usava scambiarselo, così tutte le

altre facevano la stessa cosa, ero stata accettata anche

perché i loro genitori venendo a teatro avevano saputo

che sono la figlia del Regista e, di conseguenza, andavo

bene come compagna di classe.

Quell’anno mi avevano invitata anche alla festa del loro

compleanno, ma io mi sentivo comunque diversa ed an-

che un po' inferiore a loro, età complicata!

Dopo tanti anni di gavetta sono passata a ruoli più interes-

santi: ora sono l’adolescente che si ribella alle rego-

le…sono gli anni ’70!

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Cerco di farmi voler bene da tutta la compagnia, seguo i

loro consigli, anche se dati più per loro che per me. Vorrei

sentirmi amata ed essere importante ai loro occhi, ma

quasi sempre mi sento fuori dalla scena, sola ed incom-

presa.

Fantastico su ciò che diventerò, adoro sognare ad occhi

aperti.

Il regista discute spesso con gli attori più grandi, qualcuno

ha deciso di andarsene, per mettersi alla prova dicono,

non mi piace sentirli litigare, me ne sto in disparte, non

emetto suoni, vorrei sparire….brutti pensieri. Vorrei che il

regista morisse, che stupida sono!

Non so cosa sia la morte veramente, una persona muore,

se ne va e non può più tornare, ma dove va? Mi dicono in

cielo, in paradiso o all’inferno. Sono ancora piccola e non

mi dicono la verità.

Non ho mai recitato scene in cui qualcuno muore, so che

si deve piangere ed essere molto tristi, la cosa positiva è

che tutti ti vogliono consolare e diventi la protagonista

principale, soprattutto perché sei la figlia piccola.

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Il regista a volte manca per tanti giorni, ho scoperto che va

in ospedale e Donna Vita, sua moglie, lo cura.

Mi sembra che quando non c’è sono tutti più tranquilli, ma

a volte i grandi discutono su chi prenderà il suo posto, in

caso morisse…attendiamo che qualcosa accada.

Tra poco sarà Natale, ma non è come gli altri anni, non c’è

“atmosfera": quando ci si preparava alla recita natalizia, si

addobbava il grande albero “vero” con la stella luminosa

sulla punta, toccava quasi il soffitto e c’erano tante luci co-

lorate ed io m’imbambolavo guardandole accendersi e

spegnersi, il regista ci appendeva le “rossana” e i boeri al

liquore avvolti nella carta rossa, noi piccoli li si rubava la-

sciando solo la carta vuota. Lui faceva finta di non accor-

gersene! C’erano anche i mandarini che avremmo man-

giato a Natale, le caramelle il giorno dell’Epifania, quando

si disfava l’albero.

Il giorno della vigilia il più grande degli attori si vestiva da

prete, con l’acqua benediceva le persone e tutti si stava lì

ad aspettare di far nascere Gesù Bambino, cantando “Tu

scendi dalle stelle”…che bello, che gioia!

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Ricordo un Natale che eravamo al paese, prima di iniziare

la tournée, mi regalarono una carrozzina per la mia bam-

bola, l'unica! Era bellissima, blu e bianca modello “Inglesi-

na” con le ruote grandi.

In verità non era Natale, ma la mattina dell’Epifania, per-

ché al sud i regali li porta la Befana e solo se sei stata

brava ed io dovevo essere stata molto molto brava (o

semplicemente c’erano più soldi).

É accaduto, mi hanno detto che il regista non c’è più, è

morto!

Non so come mi sento, è una sensazione strana, non sen-

to dolore, non mi viene da piangere, eppure il regista era

mio padre!

E’ l’inizio di Gennaio, fa freddo anche se c’è il sole, an-

diamo a piedi al cimitero, non so quanta gente ci sia.

Donna Vita, la moglie del regista piange, è un pianto di do-

lore, di liberazione o di smarrimento, solo il suo animo lo

sa.

Il sole mi scalda il viso ma mi fa strizzare gli occhi, riesco

lo stesso a vedere che mettono la bara nella terra…non

riesco a piangere!

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La compagnia si è fermata per un po’ di tempo; si riuni-

scono spesso i grandi, parlano, parlano, discutono, pren-

dono decisioni per tutti, non ti chiedono nulla, ovvio sei

piccola! Tutti vogliono prendere il posto del regista.

Alcune attrici, le più grandi, si sono sposate e hanno la-

sciato la compagnia per dedicarsi alla famiglia.

Ci sono momenti che mi sembra di non appartenere a

questa “famiglia”, ho memoria di altri luoghi e di altre si-

tuazioni.

Trascorro molto tempo senza parlare, a volte ho paura a

farlo, qualcuno potrebbe arrabbiarsi o sentirsi infastidito…i

grandi intendo.

Vorrei crescere per poter decidere cosa fare, essere “libe-

ra” e, come tutte le ragazzine, sogno d’incontrare un uomo

meraviglioso che s’innamori di me perdutamente! Vorrei

anche diventare una persona importante, ammirata da tut-

ti, amata…questi pensieri rimangono però custoditi nel

profondo della mia anima.

Finalmente la compagnia si riunisce per comunicare chi

prenderà il posto del “regista”, siamo tutti agitati e curiosi,

nella stanza ci siamo tutti anche Donna Vita moglie del re-

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gista; la vedo bene, mi sembra anche più forte e decisa, ci

comunica che sarà lei a portare avanti la compagnia e

chiede la nostra collaborazione affinché si possa riprende-

re a lavorare.

Per il momento si farà solo teatro e solo in questa città

perché non ci sono mezzi per fare tournée o girare film,

come qualcuno ha proposto.

Dovremo cercarci un altro lavoro e se necessario smettere

di studiare, ai grandi non fa piacere mantenerci.

Io proprio non li capisco, fino a ieri eravamo piccoli e face-

vamo solo qualche piccola comparsa ed ora invece pos-

siamo anche lavorare.

Dicono che per noi recitare è solo un gioco! Non è vero,

per me recitare è importante, mi piace interpretare tanti

personaggi diversi, portare in scena la vita mi fa sentire vi-

va.

La regista, Donna Vita, è un po’ smarrita, tutti le danno

consigli su come amministrare la compagnia…mi fa tene-

rezza…non mi piace quando si comportano così!

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Ho trovato un lavoro da fare dopo la scuola, vado da una

parrucchiera a lavare le teste, mi piace ed imparo in fretta,

anche qui “rubo il mestiere”.

Le clienti sono soprattutto signore anziane poi ci sono an-

che delle “signorine” pensavo recitassero in qualche com-

pagnia che io non conoscevo invece, scopro che lavorano

in un “night club”, in pratica intrattengono i clienti: che la-

voro è? Poi la mia datrice di lavoro mi ha spiega-

to…beh…contente loro!

La gente sparla, dice che sono delle “poco di buono”, a

me sembrano gentili più di quelle “signore borghesi" e mi

danno sempre la “mancia” così mi posso comprare i jeans

o le collant.

Arriva un copione da studiare, ho una piccola parte, si

racconta delle condizioni dei giovani, del loro futuro, della

classe operaia, della scuola serale, dove anche i poveri

possono studiare e diplomarsi e così sperare di migliorare

la propria condizione sociale.

Questo ruolo mi piace, riesco a entrare nel personaggio

senza alcuna fatica perché nella vita reale vivo la stessa

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condizione della giovane che deve rimboccarsi le maniche

e lavorare prima dei quindici anni.

Questa ragazza possiede un grande senso di giustizia e

cerca di ribellarsi a chi la costringe a far ciò che non vuole,

con tanta fatica cerca di farsi valere e prova molta soddi-

sfazione quando ci riesce.

ANNO 1985

Si va in scena.

ATTO PRIMO: interno cucina di una casa di campagna.

Sul lungo tavolo di legno, un solo piatto, una posata, un

bicchiere a testa, poco cibo per tutti, però genuino e sano,

procurato grazie a fatica e duro lavoro.

Una madre racconta alle figlie, una di loro, adolescente

sono io, che si mostrano curiose, anche se le storie sono

spesso state ripetute, sono memorie: servono per non di-

menticare, per insegnare…sì per insegnare la vita!

…e il racconto prende vita…

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Ero molto giovane e mi sono innamorata del primo uomo

che ho incontrato. Mi faceva tanti complimenti e per pa-

recchi mesi mi ha corteggiata in modo garbato e romanti-

co; ne ero molto lusingata, ma cercavo di non mostrarlo,

un giorno mi disse di avere “intenzioni serie”, mi voleva

sposare.

Accettai subito, non solo perché mi piaceva, ma soprattut-

to per uscire di casa, scappare da una brutta vita: un pa-

dre violento, una madre vittima, non volevo più sentire, né

vedere, desideravo pace e silenzio, sonni tranquilli, ma più

di tutto cercavo libertà e Amore!

Per un bel po’ di tempo mi sono sentita bene, libera e

amata con il controllo della mia vita. Con l’arrivo dei figli le

cose sono cambiate, tante cose da fare, responsabili-

tà…cercavo di tenere tutto sotto controllo per fare in modo

che nulla potesse riportarmi alla mia precedente famiglia.

Mio marito, in fabbrica faceva il doppio turno, per avere

più soldi, per una casa tutta nostra.

La sera tornava tardi e seduto a tavola gli occhi gli si chiu-

devano, a malapena si riusciva a parlare a raccontarsi la

giornata; poi andava a salutare i figli che già dormivano e

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si andava a letto anche noi…stanchi…una volta non si ve-

deva l’ora di rimanere soli per coccolarsi, ridere, far pro-

getti e sogni, fare l'amore con tanta passione…ora si sta

così, uno a fianco all’altra quasi non ci si sfiora, ognuno

con la propria stanchezza, quasi traditi dalla vita.

Un bel giorno dissi basta, voglio andare a lavorare anch’io,

aiutare, con il mio stipendio, a far quadrare il bilancio fami-

liare, mio marito non avrebbe dovuto fare più così tante

ore e si sarebbe concesso più tempo per la famiglia.

Glielo dissi una sera che era tornato più tardi del solito,

aveva proprio uno sguardo stanco e perso dietro ai suoi

pensieri, era molto “incazzato” con i sindacati che diceva-

no che turni così erano massacranti e la salute ne risenti-

va, ma gli operai avevano bisogno degli straordinari.

Presi coraggio e mentre lavavo i piatti, gli dissi di voler an-

dare a lavorare, i figli ormai erano grandicelli…non mi fece

finir di parlare, urlò che era lui l’uomo di casa e toccava a

lui provvedere alla famiglia.

Lo lasciai sfogare e poi risposi semplicemente che il gior-

no dopo sarei andata su in paese, a quel ricamificio dove

cercavano personale.

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E’ di scena la vita

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