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Anno XVI n. 3 - Dicembre 2000- Sped. a. p. - art. 2 - comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Torino - Organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. +39.0161.839.335 - Fax +39.0161.839.334 - IN CASO DI MANCATA CONSEGNA SI PREGA DI RINVIARE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA PRESSO CMP Torino Nord Tassa Riscossa - Taxe Perçue. TORINO CMP N. 52 Dicembre 2000 “È vero che le nostre sentenze rimpiazzano le sentenze della Rota romana” Monsignor Tissier de Mallerais DOSSIER SULLA “COMMIS- SIONE CANONICA” DELLA FRATERNITÀ SAN PIO X NUMERO SPECIALE

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“È vero che le nostresentenze rimpiazzano le sentenzedella Rota romana”Monsignor Tissier de Mallerais

DOSSIER SULLA “COMMIS-SIONE CANONICA” DELLAFRATERNITÀ SAN PIO X

NNUUMMEERROO SSPPEECCIIAALLEE

EditorialeEditoriale

Nell’ultimo numero di Sodalitium annunciavamo ai lettori la prepa-razione di un voluminoso dossier sui Tribunali canonici della Frater-nità San Pio X. La promessa è stata mantenuta. Il presente dossier è

composto di due parti. Nella prima, pubblichiamo alcuni documenti internidella Fraternità San Pio X (che pertanto non sono a disposizione del pubblicoe neppure dei fedeli della Fraternità) riguardanti la creazione, dal 1991, diuna Commissione canonica San Carlo Borromeo investita di ampi poteri digiurisdizione. Supplendo all’autorità del Papa e della Santa Sede, la Frater-nità ha istituito – come leggerete – dei veri e propri tribunali ecclesiastici au-torizzati – dalle autorità della Fraternità stessa – a concedere dispense, annul-lare matrimoni ecc. La pubblicazione di questi documenti può essere conside-rata un’inaccettabile indiscrezione; ci siamo creduti autorizzati a farlo sia per-ché i fedeli hanno il diritto di conoscere l’esistenza di questi tribunali ai qualidevono ricorrere e che possono giudicarli, sia perché così potranno valutarnele ragioni in tutta obbiettività.

Sono quindi le autorità stesse della Fraternità San Pio X alle quali diamola parola, pubblicando ad esempio quanto Mons. Tissier de Mallerais ha scrit-to per difendere e giustificare l’esistenza di questi tribunali.

La seconda parte di questo dossier consiste in uno studio critico dei sud-detti documenti. Alcuni lettori vicini alla Fraternità San Pio X ci hanno legit-timamente manifestato il proprio disappunto per il tono ritenuto irridente oaggressivo del nostro scorso editoriale nei confronti della Fraternità e deisuoi tribunali. Di questo ci scusiamo, ed invitiamo i nostri contraddittori aleggere con attenzione e senza pregiudizi questo nostro scritto. Ogni precisa-zione, ogni critica della critica, ogni obiezione, sarà presa da parte nostra inseria considerazione. In questa parte critica non mancano certo delle accusegravi nei confronti della Fraternità san Pio X, ma sempre, così ci pare, nei li-miti della correttezza e con l’appoggio di prove inconfutabili. Nella conclusio-ne ci rivolgiamo con sincerità ai superiori e anche ai semplici membri dellaFraternità San Pio X, invitandoli ad aprire una discussione (o solo interna oanche aperta agli altri) su questo o altri punti di dottrina della loro congrega-

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“Sodalitium” Periodico - n° 52 , Anno XVI n. 3, Dicembre 2000

Editore Centro Librario Sodalitium

Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA TOTel.: 0161.839335 Fax: 0161.839334

INTERNET: www.plion.it/sodaliemail: [email protected]

C/CP 24681108

Direttore Responsabile don Francesco RicossaAutorizz. Tribunale di Ivrea n. 116 del 24-2-84

Stampa: AGES - Torino

Ai sensi della Legge 675/96 sulla tutela dei dati personali, i datiforniti dai sottoscrittori degli abbonamenti verranno trattati informa cartacea ed automatizzata e saranno utilizzati esclusiva-mento per invio del giornale oggetto di abbonamento o di altrenostre testate come copie saggio e non verranno comunicate asoggetti terzi. Il conferimento dei dati è facoltativo ed è possibileesercitare i diritti di cui all’articolo 13 facendone richiesta al re-sponsabile trattamento dati: Centro Librario Sodalitium.

In copertina: Mons Tissier de Mallerais, presidentedella Commissione Canonica della F.S.P.X. Il Sigillodella Sacra Rota Romana

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zione che pongono – a nostro parere – serie difficoltà. Da questo sincero rie-same la Fraternità uscirà rafforzata, se avrà il coraggio di accantonare un’isti-tuzione come la Commissione canonica.

Questo numero essendo interamente consacrato ad una tematica interna almondo “tradizionalista”, è privo dei consueti articoli. Potrà pertanto interessa-re di meno una parte dei nostri lettori, e di questo ci scusiamo: un nuovo nu-mero di Sodalitium, con le rubriche abituali, è già in preparazione.

Ci auguriamo che questo dossier non sia visto come una provocazione ouna sterile polemica, ma come un contributo alla verità e all’unione di tutti icattolici che si oppongono all’eresia modernista.

✍ Sommario

Editoriale pag. 2Introduzione pag. 4PRIMA PARTE: DUE DOCUMENTI INTERNI DELLA FRATERNITÀ SAN PIO X pag. 4

I. “ORDONNANCES” concernenti i poteri e le facoltà di cui dispongono i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X pag. 5

II. Estratto da “Cor unum”, bollettino interno della Fraternità Sacerdotale San Pio X, n. 61, ottobre 1998. pag. 12

Lettera di S. Ecc. Mons. Lefebvre del 15 gennaio 1991. Sulla costituzione di commissionicanoniche pag. 13

Legittimità e statuto dei nostri tribunali matrimoniali (Mons. Tissier de Mallerais) pag. 14III. Moduli per le dispense (don Pivert) pag. 20

SECONDA PARTE: COMMENTO DI SODALITIUM pag. 24Note pag. 45

APPENDICE pag. 51Editoriale di “Roma Felix” (Don Simoulin) pag. 51Risposta all’editoriale di Don Simoulin pag. 52

San Carlo Borromeo. Può questo santo proteggerela commissione che porta il suo nome?

Nota di Redazione:Per una migliore comprensione i testi della Fraternità S. Pio X sono stati stampati incarattere HelveticaI nostri testi ed i commenti di Sodalitium sono stati stampati con l’abituale carattere Times

Introduzione

Da tempo riceviamo un foglietto peruvia-no intitolato Resistencia catolica, diret-

to da un fedele della Fraternità San Pio X,di nome Julio Vargas Prada.

Con stupore (1), vi abbiamo letto (n. 187,nov.-dic. 1999) una denuncia della creazio-ne, da parte della Fraternità San Pio X, diveri e propri tribunali canonici. Vargas Pra-da, peruviano, e Orlando Fedeli, brasiliano,pur avendo sostenuto Mons. Lefebvre nelladecisione di consacrare dei vescovi, vedonoora in questi tribunali, dei quali sono venutia conoscenza da un accenno che ne ha fattola rivista argentina della Fraternità JesusChristus (n. 43, gennaio-febbraio 1996, p.17), un concreto pericolo di scisma.

Era necessario appurare la verità. Siamogiunti pertanto in possesso di due documentidi eccezionale gravità: le Ordonnances con-cernant les pouvoirs et facultés dont jouissentles membres de la Fraternité SacerdotaleSaint-Pie X (Disposizioni concernenti i po-teri e le facoltà dei membri della FraternitàSacerdotale san Pio X), del 1997, ed alcunidocumenti della Fraternità che pretendonogiustificare queste novità, pubblicati su Corunum, n. 61, ottobre 1998, pp. 33-46. Corunum è il bollettino interno della FraternitàSacerdotale San Pio X, riservato esclusiva-mente ai suoi membri, e la pubblicazione diquesti documenti avviene senza alcuna auto-rizzazione da parte della rivista. Ci sembraperò doveroso procedere a questa pubblica-zione. Secondo i testi in questione, i fedelidella Fraternità San Pio X, i religiosi e i sa-cerdoti vicini a questa società, infine, poten-zialmente, tutti i cattolici, sono “sudditi” esoggetti di questi tribunali a loro sconosciu-ti, e dei loro giudici. Questi “sudditi” ignaridi esserlo hanno il diritto di conoscere l’esi-stenza di un tribunale di questo genere, deisuoi giudici, delle sue giustificazioni dottri-nali: un tribunale semi-segreto è incompati-bile, a nostro avviso, con la morale cattolicae persino con quella naturale.

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PRIMA PARTE: DUE DO-CUMENTI INTERNI DEL-

LA FRATERNITÀ SANPIO X

Il primo documento in questione è un vo-lumetto di 79 pagine intitolato “Ordon-nances concernant les pouvoirs et facultés

dont jouissent les membres de la FraternitéSacerdotale Saint Pie X”, promulgato nel1997 dal Superiore generale della Fraternità,Mons. Bernard Fellay, per sostituire un’ana-loga raccolta di “Ordonnances” (termine chepotremmo tradurre con “disposizioni”) pub-blicata sotto l’autorità di Mons. Lefebvre nel1980. Le “Ordonnances” constano di “preli-minari”, seguiti da otto capitoli: sul digiuno el’astinenza (cap. I), sugli obblighi dei chierici(cap. II), su alcuni obblighi particolari (cap.III), deleghe di poteri e indulgenze (cap. IV),gli impedimenti al matrimonio (cap. V e VI),dei delitti e delle pene (cap. VII). In questodossier pubblichiamo solamente quanto con-cerne strettamente il nostro soggetto, ovvero ipreliminari (che danno i princìpi generali se-guiti dalla Fraternità) ed i capitoli V e VI ri-guardanti gli impedimenti al matrimonio,nonché un breve estratto del capitolo VII. Gliinterventi redazionali sono inseriti nelle pa-rentesi quadre: brevi commenti, omissione diuna parte del testo segnalata dai puntini disospensione, o ancora la pagina delle “Or-donnances” dalla quale il testo è estratto. Perl’intelligenza del testo, ricordiamo al lettoreche la Chiesa elenca una serie di ostacoli(detti “impedimenti”) che possono rendere il-lecito (“impedimenti proibenti”) o invalido(“impedimenti dirimenti”) il matrimonio.Laddove l’impedimento non è di diritto divi-no positivo o naturale, la Chiesa (ovvero ilPapa, tramite le Congregazioni romane) ha ilpotere di dispensare da detti impedimenti.Nelle “Ordonnances” la Fraternità precisaper i suoi membri quali impedimenti conside-rare in vigore (se quelli del vecchio o delnuovo codice) ed attribuisce alle autorità del-

DOSSIER SULLA “COMMISSIONE CANONI-CA” DELLA FRATERNITÀ SAN PIO X

DOTTRINA

la Fraternità il potere di dispensare, potereche appartiene in proprio alla Santa Sede.L’importanza della questione convincerà illettore a proseguire una lettura non semprefacile, data l’utilizzazione di termini canonicie teologici che possono risultare ostici a chinon è esperto in materie ecclesiastiche.

I. PRIMO DOCUMENTO:

“ORDONNANCES” concernenti ipoteri e le facoltà di cui dispongono i

membri della FRATERNITÀSACERDOTALE SAN PIO X

[p. 3] Cari confratelli,Mons. Lefebvre, considerando le ne-

cessità del nostro apostolato, così simili aquelle delle missioni africane, ci diede, nel1980, una raccolta di facoltà quali erano inuso da svariati decenni nei paesi di mis-sione.

Da 15 anni, alcune circostanze sonomutate, come la possibilità di avere una vi-sita episcopale più frequente o, al contra-rio, la quasi impossibilità di ricorrere a Ro-ma per ottenere dispense o una sentenzaequa sui matrimoni. Tutto ciò giustificaquesta edizione rivista delle Ordonnances.

(...)Queste nuove disposizioni entrano in

vigore il 18 maggio 1997, nella festa diPentecoste.

(...)Nella festa della Presentazione di Gesù

al tempio, 2 febbraio 1997.† Bernard Fellay, Superiore generale.

[pag. 4] PRELIMINARI

Oggetto della legge- Il fine e l’oggetto delle leggi ecclesia-

stiche, e per il fatto stesso dei poteri e del-le facoltà, non è altro che ciò che concerneil culto di Dio e la salvezza delle anime (cfLeone XIII, enciclica Immortale Dei, cfPrümmer, T. I, n. 181).

- Il nuovo codice di diritto canonico,promulgato il 25 gennaio 1983, impregnatodi ecumenismo e personalismo, pecca gra-vemente contro la finalità stessa della leg-

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ge. Perciò, ci atteniamo in linea di principioal codice del 1917 (con le modifiche intro-dotte posteriormente).

Tuttavia, nella pratica e su dei punti pre-cisi, possiamo accettare, del nuovo codice,ciò che corrisponde a uno sviluppo omoge-neo, a un migliore adattamento alle circo-stanze, a una utile semplificazione; accet-tiamo anche in genere ciò che non possia-mo rifiutare senza metterci in difficoltà conla legislazione ufficialmente accettata,quando è in questione la validità degli atti.In questo caso, rafforziamo la nostra disci-plina per avvicinarla a quella del codice del1917 (cf Cor unum, n. 41, pp. 11-13).

[pag. 5] La giurisdizione supplita

- Il diritto prevede certi casi nei quali laChiesa supplisce alla mancanza di giurisdi-zione del sacerdote: “la ragione per la qua-le la Chiesa supplisce la giurisdizione nonè un bene privato, ma il ‘bonum animarumcommune’” (Cappello, I, n. 252). La Chiesasupplisce espressamente alla giurisdizionein tre casi: il pericolo di morte (can. 882),l’errore comune (can. 209) e il dubbio posi-tivo e probabile di diritto o di fatto (can.209) (cf Noldin, III, n. 346-347; Cappello, I,n. 254-258).

Il frontespizio delle “Ordonnances” del 1980

- A causa del fatto che la gerarchia (cfcan. 108 § 3) si allontana in gran parte dallafede cattolica, i fedeli non possono in gene-re ricevere da essa i soccorsi spirituali sen-za pericolo per la fede; non si può dubitareallora che la Chiesa estenda largamente inloro favore ciò che accorda in pericolo dimorte e in altri casi urgenti, per cui, in ragio-ne dell’analogia iuris (can. 20) e dell’æquitascanonica, essa supplisca alla mancanza digiurisdizione dei sacerdoti fedeli (cf can.209, 2261...) mentre costoro sono ingiusta-mente privati della giurisdizione della qualegodrebbero in tempi normali sia dal diritto(p. es. n. can. 967 § 2), sia per delega.[p. 6]

- Caratteristiche di questa giurisdizionesupplita

Essa è: 1° di tipo personale piuttostoche territoriale; 2° non è abituale ma siesercita ‘per modum actus’ (cf Cappello, I,n. 252); 3° dipende dal bisogno dei fedeli,visto lo stato di necessità (cf Conferenza aicircoli della Tradizione, Parigi, 10 marzo1991), ma 4° essa esiste anche nel caso incui, di fatto, non c’è necessità: in effetti vi èuna presunzione di pericolo comune equindi una analogia con il can. 21, permes-sa dal can. 20, e poiché si realizza in gene-re il caso del dubbio probabile di fatto, cisarà supplenza secondo il can. 209.

- Chi possiede il potere di supplenzaTutti i vescovi e i sacerdoti fedeli alla

tradizione (anche se scomunicati, cf can.2261, lo diciamo come argomento ‘ad ho-minem’), per l’esercizio lecito o valido degliatti del ministero episcopale o sacerdotale.

- Gerarchia nella giurisdizione supplitaDi per sé, per quel che riguarda i fedeli,

i semplici sacerdoti hanno lo stesso potere[p. 7]

di supplenza di un priore o di un superio-re di distretto. Ma per disposizione pratica,con lo scopo di conservare il senso gerarchi-co proprio allo spirito della Chiesa, e di ri-mettere i casi più gravi ad una istanza piùelevata, certi poteri sono riservati all’autoritàsuperiore, secondo una analogia con la ge-rarchia normale, secondo le seguenti regole:

* I priori e sacerdoti responsabili di cap-pelle sono equiparati a dei parroci perso-nali, come i cappellani militari.

* I superiori dei distretti, dei seminari edelle case autonome, come pure il superio-re generale e i suoi Assistenti, benché in

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principio abbiano giurisdizione solo suipropri sudditi (sacerdoti, seminaristi, fratel-li, oblati, famigliari), sono equiparati a degliOrdinarî personali, come gli Ordinarî milita-ri, nei confronti dei fedeli e dei sacerdotidei quali hanno cura d’anime.

* I vescovi della Fraternità, sprovvisti diogni giurisdizione territoriale, godono tutta-via di una giurisdizione suppletoria neces-saria all’esercizio dell’ordine episcopale edi certi atti della giurisdizione episcopaleordinaria.[pag. 8]Commissione canonica - vescovo inca-ricato dei religiosi

Questi due organismi sono stati creatinel 1991 per continuare dopo la sua mortel’ufficio che Mons. Lefebvre ha svolto inmaniera suppletoria, in queste materie, dal1970 al 1991. È Monsignore che ha ideatoe precisato il ruolo di questi organismi, conla sua lettera al superiore generale del 15gennaio 1991:

[omettiamo il testo di questa lettera cheriportiamo nel documento seguente][p. 9]Poteri e facoltà delegate

- Delegazioni accordate anteriormentedalla Santa Sede:

Da molto tempo, e ultimamente nel1950 e nel 1960, la S.C. della Propagandaha concesso agli Ordinari del luogo neipaesi di missione larghe facoltà denomina-te ‘facoltà decennali’, in particolare la fa-coltà di delegare svariati loro poteri ai sa-cerdoti del loro territorio.

Mons. Lefebvre, allora arcivescovo diDakar, ne promosse l’applicazione nel 1961con un libretto che portava già allora il titolodi “Ordonnances, etc.”. Il testo delle facoltàdecennali del 1950 e la loro applicazione si

Mons Fellay (a sinistra), attuale superiore dellaF.S.S.P.X assieme a Mons. Lefebvre e don Laroche, uno

dei membri della commissione canonica

trovano nel libro Vingt-cinq ans de pastoralemissionaire, di padre Greco (1958), con pre-fazione di Monsignore in persona, libro cheraccomandava in modo del tutto particolare.

Papa Paolo VI, il 30 novembre 1963,con la lettera apostolica Pastorale munus,ha concesso delle facoltà simili a tutti i ve-scovi residenziali.

[p. 10]- Mons. Lefebvre, come vescovo e su-

periore generale della Fraternità Sacerdota-le san Pio X, pur non essendo più Ordinariodel luogo come lo era a Dakar, pensò di di-sporre di una supplenza che gli permetteva,in favore dei fedeli, di concedere ai suoi sa-cerdoti delle facoltà analoghe. Le promulgòcon le sue “Ordonnances” ad uso della Fra-ternità, il 1 maggio 1980, seguendo la for-mula facultatum decennalium del 1960.

- La presente edizione delle “ordonnan-ces” riprende il testo anteriore ma con del-le suddivisioni più sviluppate e tenendoconto dell’esistenza di vescovi ausiliari del-la Fraternità.

- Abbiamo aggiunto inoltre i poteri e lefacoltà che concernono i casi del matrimo-nio (cf Cor Unum, n. 42, pp. 44-56), la di-spensa dai voti e l’assoluzione dalle censu-re, con le precisazioni utili concernenti ilcaso di pericolo di morte e il caso urgente.

- Le facoltà concesse ai sacerdoti, losono non solo ai sacerdoti della Fraternitàma anche a tutti i sacerdoti che risiedonoin modo prolungato nelle nostre case. [...]

CAPITOLO IV - DELEGAZIONI DI POTE-RI E INDULGENZE

[pp. 23-33. Per brevità omettiamo questocapitolo come i tre precedenti. Segnaliamoperò che tra le “facoltà” concesse dalle Ordi-nanze ai sacerdoti della Fraternità è ancoraconcessa quella di conferire il sacramentodella Cresima (I, 3, p. 23; I, 4 e 5, p. 24; III,36, p. 31) il che è particolarmente grave poi-ché, come dimostrato dall’abbé Hervé Bel-mont, in queste circostanze il sacramento èamministrato invalidamente (2)]

CAPITOLO V - IMPEDIMENTI DI MATRI-MONIO. Poteri di dispensa nei casi ordi-nari [pp. 34-60]

I - Princìpi [p. 34]I - Del nuovo codice non possiamo ac-

cettare le norme che si oppongono più o

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meno al diritto naturale o al diritto divinosovrannaturale.

II - Quanto alle altre norme, per tuttoquel che comporta la validità del matrimo-nio, seguiamo il nuovo codice, per non do-vere dichiarare nullo un matrimonio ricono-sciuto come valido dal nuovo codice, e in-versamente. Ma per quello che riguarda laliceità, adottiamo una disciplina propria;rafforziamo le esigenze del nuovo codicericonducendole a quelle del vecchio, col fi-ne di assicurare il più possibile i tre benidel matrimonio.

III - Grosso modo, la commissione ca-nonica è competente per la maggior partedi quei casi che il diritto riserva alla SantaSede, e i superiori di distretto per quel cheè di competenza dell’Ordinario del luogo.

II - LISTA DEGLI IMPEDIMENTI, POTERIDI DISPENSA, COMPETENZE RISPETTI-VE, IN PARTICOLARE. [p. 35]

1. Aetas [p. 35. Si tratta dell’età al disotto della quale è proibito sposarsi]

- Ad validitatem (can. 1067 § 1, n. can.1083 § 1): 16/14 anni, dispensa molto rara:commissione canonica. Ad liceitatem (n.can. 1083 § 2): ci atteniamo all’età minimaprevista dalle conferenze episcopali o, inmancanza, ai 18/18 anni. Dispensa: com-missione canonica.

- Can. 1034 (n. can. 1071, 6°): non assi-stere al matrimonio dei minorenni che nonhanno il permesso dei loro genitori, senza ilpermesso dell’Ordinario: permesso del su-periore di distretto. Per “minorenni” inten-diamo in questo caso i minori di 21 anni, enon di 18 (maggiore età fissata dal nuovocodice). Ma ciò non significa che in altri casirifiutiamo la maggiore età [fissata] ai 18 anni.

[p. 36]2. Impotentia (dirimente) [nel caso

dell’impotenza non è possibile dispensare.Omettiamo quanto scrivono le “Ordonnan-ces” al proposito]

3. Ligamen (dirimente) [è il caso di unapersona già sposata]

Età:Commissione canonica (dispensa -

meno di 18/18 anni)Superiore di distretto (permesso -

meno di 21 anni, quando manca l’ac-cordo dei genitori)

Can. 1069 (n. can. 1085).- Nel caso di matrimoni evidentemente

invalidi (per esempio il matrimonio mera-mente civile di due cattolici) o di matrimonievidentemente validi, non c’è bisogno di ri-correre alla commissione canonica, ma ènecessario il nihil obstat del superiore didistretto. [...][p. 37]

- Tutti i casi di primo matrimonio dub-biosamente valido, o di dichiarazione dinullità del matrimonio, inclusi i matrimonidichiarati nulli dai tribunali ufficiali, sono dicompetenza della commissione canonica.Si osserverà la seguente procedura: ci si ri-volgerà al superiore di distretto, che racco-glierà tutta la documentazione possibile,con la facoltà di decidere in favore dellavalidità del matrimonio precedente (con lapossibilità di appello presso la commissio-ne canonica); se pensa che le ragioni in fa-vore della nullità del matrimonio siano se-rie, trasmetterà il dossier alla commissionecanonica per un giudizio, a meno che di-sponga di un tribunale di distretto per laprima istanza.

- PRIVILEGIO PAOLINOCan. 1122 § 1 (n. can. 1145 § 1): inter-

pellanze del congiunto rimasto infedele:fatte dall’Ordinario; per noi, dal superioredi distretto: - se bisogna concedere una di-spensa delle interpellanze, il can. 1121 § 2la riserva alla Santa Sede, il n. can. 1144 §2 all’Ordinario del luogo; per noi ci si rivol-gerà alla commissione canonica.[p. 38]

- Altri casi di dispensa da un vincolomatrimoniale:

* Privilegio Petrino* Dispensa dal “ratum non comsummatum”I poteri codificati (can. 1125, n. can.

1148-1149) restano, ma la loro applicazio-ne sarà sottoposta per controllo alla com-missione canonica, poiché si tratta di casigravi dai quali dipende la validità.

Se è il caso, spetterà alla commissionecanonica dispensare dalle interpellanze.

La dispensa dagli altri matrimoni tra pa-gani come pure dal matrimonio “ratum nonconsummatum” possono essere accordatesolo dal Papa in persona. Bisognerà allorapassare dalla via ufficiale, ma non senzal’autorizzazione del superiore di distrettoche controllerà preventivamente la legitti-mità della dispensa che si deve richiedere.

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- Matrimonio non canonico degli apostatiFino a nuovo esame, seguiamo la nor-

ma del nuovo codice, che considera validoil matrimonio non canonico (ad esempio,quello civile) dei cattolici che “hanno la-sciato la Chiesa con un atto formale”: essinon sono tenuti alla forma canonica (n.can. 1117). [Si noti come detti matrimoni sa-rebbero invece invalidi se si seguisse il codicedel 1917, che per la Fraternità è ancora – inlinea di principio – la legge alla quale riferir-si. Come potranno i fedeli non avere dei dub-bi sulla validità della loro unione?][p. 39]

[p. 40]4. Disparitas cultus (matrimonio tra un bat-

tezzato cattolico e un non battezzato).- Si tratta di un impedimento dirimente

di diritto ecclesiastico (c. 1060), e proiben-te di diritto divino se c’è pericolo di perver-sione della fede del congiunto cattolico odei figli (can. 1060 in fine, n. can.: nulla!).

La dispensa spetta alla commissione ca-nonica, a causa della gravità di questi casi.

- Si noti che il nuovo codice (n. can.1086 § 1), contrariamente al vecchio (can.1070 § 1) non sottomette più all’impedi-mento quanti hanno abbandonato la Chie-sa cattolica “con un atto formale”. Abbia-mo già detto cosa bisogna pensarne a pro-posito del difetto di forma canonica delmatrimonio (n° 3). Notiamo semplicementequi che, se si tratta di un matrimonio da fa-re tra un non battezzato catecumeno e unapostata dalla Chiesa cattolica, ci si rivol-gerà alla commissione canonica.

Privilegio PaolinoSuperiore di distretto (interpellanze

del congiunto non cattolico)Commissione canonica (dispensa

dalle interpellazioni)Privilegio petrino e dispensa su-

per ratum non consummatum:Santa Sede (con permesso del su-

periore di distretto e controllo dellacommissione canonica).

Matrimonio non canonico degli apo-stati: valido (nuova disciplina).

Legame:Semplice sacerdote (casi evidenti)Commissione canonica (primo matri-

monio dubbio o annullato. Tramite il su-periore di distretto).

- Le esigenze del nuovo diritto (n. can.1086 § 2; 1125-1126) sono, per la loro de-bolezza, più o meno contrarie al diritto divi-no (protezione della fede, bonum prolis);conseguentemente, ci atteniamo a quelledel vecchio diritto (can. 1071; 1060-1064).[p. 41]

- Data la particolare gravità dei casi didisparità di culto che mettono in pericolo lafede, la Chiesa è sempre stata molto seve-ra. I confratelli faranno quindi specialmenteattenzione a non chiedere mai la dispensasenza prima verificare seriamente la realtàdelle cause allegate e delle garanzie date(can. 1061). Un errore o una mancanza disincerità in questa materia possono invali-dare la dispensa e quindi il matrimonio(can. 1061, n. can. 90). Un sacerdote pru-dente ed esperto non dovrebbe mai accet-tare l’unione né chiedere la dispensa quan-do si tratta di un musulmano o di un ebreo;era il parere di Mons. Lefebvre, e Naz diceche la Chiesa accordava raramente tali di-spense.

[p. 42] 5. Ordo sacer (can. 1072, n. can. 1987)

(dirimente)Il diritto ne ha sempre riservato la di-

spensa alla Santa Sede [...] anche in peri-colo di morte, se riguarda il sacerdozio [...].La dispensa propriamente detta è accor-data difficilmente e solo ai suddiaconi ediaconi [...]. Ma c’è la possibilità di ottenereun indulto di riduzione allo stato laicale.

- Per noi, la dispensa sarà competenzadella commissione canonica, che tuttaviaseguirà la prassi della Santa Sede, di sortache l’impedimento derivato dal sacerdoziodovrà essere considerato come non suscet-tibile di dispensa, anche in pericolo di mor-te. Quanto al suddiaconato e al diaconato,la dispensa sarà difficilmente accordata,tranne nel caso di pericolo di morte [...]

[p. 43]

Ordine sacro:Commissione canonica (dispensa da

accordare ai suddiaconi e diaconi).

Disparità di culto:Commissione canonica (dispensa; ma-

trimonio dei catecumeni e degli apostati)Superiore di distretto (ad cautelam,

quando il battesimo è dubbiosamentevalido)

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6. Professio religiosa - Vota[…] [La Fraternità segue il nuovo codice

per i voti pubblici perpetui - tutti dirimenti -ed il vecchio per il voto privato di castità e ivoti pubblici temporanei]. [Disciplina per icasi ordinari:] [p. 44]

[…]* Voti pubblici perpetui (dirimenti): La lo-

ro dispensa è inclusa ipso jure nell’indultodi secolarizzazione [...] che spetta alla San-ta Sede per gli istituti di diritto pontificio e alvescovo della diocesi della casa per gli isti-tuti di diritto diocesano (n. can. 691 § 2).Sembra più pratico per noi di non applicarequesta distinzione e di affidare tutti questicasi al vescovo incaricato dei Religiosi.[p. 45]

* Voti pubblici temporanei (che per noisono proibenti)

[...] Per noi, a parte la Fraternità San PioX che consideriamo equiparata a un istitutodi diritto pontificio, sarà il vescovo incarica-to dei Religiosi che accorderà l’indulto (checontiene ipso jure la dispensa dal voto).

* Voti privati riservati alla Santa Sede dalcodice del 1917

Il nuovo codice ha soppresso la riservafatta dal vecchio (can. 1309) alla Santa Se-de dei due voti privati speciali di castitàperfetta e perpetua e di entrare in un istitu-to con voti solenni; tuttavia noi manteniamoquesta riserva, che spetterà alla commisio-ne canonica. Tuttavia, i superiori di distrettoo di case autonome hanno la facoltà dele-gata di dare la dispensa o di fare una com-mutazione (cf nostre facoltà n. 35 e 41).

* Tutti gli altri voti privati contrari (o no) almatrimonio sono, secondo il nuovo codice [p. 46]

(n. can. 1196) di competenza dell’Ordina-rio del luogo o del parroco. A loro noi equi-pariamo il superiore di distretto ed il priore,come pure il semplice prete responsabile diuna cappella (cf nostra facoltà n. 35).

Professione religiosa:Voti pubblici perpetui: vescovo inca-

ricato dei religiosi (secolarizzazione)Voti pubblici temporanei:- FSSPX: Superiore generale,- altri: vescovo incaricato dei religiosiVoti privati contrari al matrimonio:

fac. n° 35 e 41.

7. Raptus (can. 1074, n. can. 1089, di-rimente)

- La dispensa non è abitualmente ac-cordata.

- È di competenza della commissionecanonica.

8. Crimen (dirimente)- Il n. can. 1090 sopprime le due prime

forme dell’impedimento di crimine (can. 1075§ 1): adulterio con promessa di matrimonio eadulterio con matrimonio, anche solo

[p. 47] civile, attentato. Mons. Lefebvrediceva che questa soppressione si giustifi-ca con l’evoluzione dei costumi [...]

- Le altre due forme di crimine [...] sonosemplificate [...]. Queste due forme d’impe-dimento sono riservate alla Santa Sede[...]. per noi, si tratterà della Commissionecanonica.

[p. 48]9. Consanguineitas (can. 1076, n.

can. 1091) (dirimente)[...] Il nuovo codice ha mutato il modo

di computare e, nel nuovo modo, riducel’impedimento in linea collaterale al quartogrado di parentela. [...] Secondo il parere diMons. Lefebvre, la riduzione dell’impedi-mento nel nuovo codice è giustificato. [...][p. 50]

Tutte le dispense sono di competenzadella commissione canonica. [...]

[p. 51]10. Affinitas (con consanguinei del

congiunto deceduto) […] [La Fraternità procede a una “armoniz-zazione” delle due legislazioni, l’antica e lanuova, secondo l’esperienza di Mons. Lefeb-vre. Diamo solo il quadro riassuntivo:][p. 52]

[p. 53]

Affinità:- Nessuna dispensa in linea diretta- Superiore di distretto (permesso

per controllo, al 1° e 2° grado collaterale- Computo canonico vecchio).

Crimen:Superiore di distretto (controllo degli

obblighi verso i figli del matrimonio pre-cedente).

Commissione canonica (dispensa, seconiugicidio).

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11. Honestas publica (dirimente)[…] [Anche in questo caso la Fraternità

procede a una “armonizzazione delle legisla-zioni”. Diamo solo il quadro riassuntivo, a p.54:]

[p. 55]12. Cognatio spiritualis[…] [Il nuovo codice sopprime l’impedi-

mento di parentela spirituale; la Fraternitàscrive però: “manterremo la necessità delpermesso del superiore di distretto”][p. 56]

13. Cognatio adoptiva[…] [La Fraternità segue, per la parente-

la adottiva, il nuovo codice]Dispensa dall’impedimento: superiore

di distretto (n. can. 1078 § 1: Ordinario delluogo) [...].[p. 57]

14. Religio mixta (tra un battezzatocattolico e un battezzato non cattolico)

- La disciplina del nuovo codice è, perla sua debolezza, più o meno contraria aldiritto divino (protezione della fede cattoli-ca), pertanto la rigettiamo e ci atteniamoalla disciplina anteriore.

- Can. 1060: proibizione molto severa, edi diritto divino, se c’è pericolo di perver-sione nella fede. Nei confronti degli apo-stati notori o dei membri di sette, la Chiesafa “detestare” il matrimonio con costoro(can. 1065) e il parroco non deve assistervi,salvo permesso dell’Ordinario.

Per noi: estenderemo l’impedimentoproibente propriamente detto al matrimo-nio con degli apostati, anche semplici econ i membri di sette, cristiane o no; per ilmatrimonio con i cattolici conciliari, preten-diamo il permesso del superiore di distret-to. In tutti questi casi, in effetti, vi è la pre-sunzione di pericolo comune per la fededel congiunto cattolico e dei nascituri.

- Condizioni della dispensa: can. 1061: ca-uzioni (richieste per la validità della dispensa) ecertezza che gli impegni saranno osservati.[p. 58]

Se dopo aver ottenuto la dispensa, ipromessi sposi vogliono presentarsi al mi-nistro non cattolico, il che è gravemente

Onestà pubblica:Commissione canonica (dispensa al

primo grado)Superiore di distretto (permesso al

secondo grado)

proibito, bisogna consultare l’Ordinario(can. 1063), per noi, il superiore di distretto.

- Autorità di dispensare: la gravità delcaso suggerirebbe la commissione canoni-ca, ma la loro frequenza, ad esempio neipaesi anglo-sassoni, richiede che il supe-riore di distretto possa accordare la di-spensa. Essa sarà quindi riservata a que-st’ultimo.

- Dispensa ad cautelam dall’impedi-mento di disparità di culto: non solo è per-messo ma è anche consigliato al superioredi distretto di allegarla alla dispensadall’impedimento di mista religione. Se nonè aggiunta expressis verbis, è consideratainesistente.

[p. 59]15. Disaccordo con le leggi civili [...] Tutti questi casi saranno sottomessi

all’autorizzazione del superiore di distretto,più al corrente della commissione canonicadella legislazione civile locale. [...] [pp. 60-61]

III - Convalidazione del matrimonio e sa-natio in radice (casi ordinari) [...][p. 62]

c) Poteri- Per la semplice convalidazione: Supe-

riore di distretto per controllo. Ma se c’èdisparità di culto o altri impedimenti ad es-sa spettanti, commissione canonica.

- Sanatio in radice. È una grazia chepuò accordare solo la Santa Sede, secon-do il codice del 1917 (can. 1141). Ma poi-ché il nuovo codice comunica questo pote-re ai vescovi diocesani (n. can. 1165 § 2),pensiamo che i nostri superori di distrettoe case autonome godono suppletoriamen-te di questo potere, tenuto conto anchedelle fac. 30 e 31 della Form. facultatumdecennalium.

[p. 63]

Convalidazione e sanatio in radiceConvalidazione semplice: Superiore

di distretto (controllo)Sanatio in radice: Superiore di

distretto (grazia)

Religione mista:superiore di distretto per dispensa o

per permesso per matrimonio con cat-tolici conciliari

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CAPITOLO VIIMPEDIMENTI MATRIMONIALI. Poteri didispensa nel PERICOLO DI MORTE ENEL CASO URGENTE

Preliminari

1. Il nuovo codice, oltre ad alcuni detta-gli che possono essere vantaggiosi, com-plica le cose e omette le condizioni neces-sarie alla dispensa secondo il diritto divino.In conseguenza, ci atteniamo al codice del1917, con le seguenti adattazioni:

- I superiori di distretto e di case auto-nome, ma non i superiori dei seminari, so-no equiparati agli ordinari del luogo. Essipossono delegare.

- I poteri concessi dal codice ai parrocie ai sacerdoti che assistono al matrimoniosono concessi, per noi, a tutti i sacerdotibeneficiari delle presenti “Ordonnances”.

[omettiamo le pagine 64-67 che applica-no i “principi” suddetti][p. 68]

CAPITOLO VII DEI DELITTI E DELLE PENE

I - PRINCIPINorma generaleSeguiamo i saggi princìpi del codice del

1917 esposti nei cann. 2195-2313, ma perle ragioni indicate a p. 3, ci atteniamo allepene latæ sententiæ riportate dal nuovocodice.

[...][nel capitolo II le “Ordonnances” espon-

gono le “censure latæ sententiæ in vigore” – ap. 69 – e cioè le scomuniche latæ sententiæ –pp. 69 e 70 – gli interdetti latæ sententiæ – ap. 70 – e le sospensioni latæ sententiæ – a p.71, secondo il nuovo codice][p. 71]

III – REMISSIONE DELLE PENE

1. Prænotamina[...]

[p. 72] - […]3) dati i gravi inconvenienti che pos-

sono risultare dal fatto di inviare i peni-tenti agli organismi previsti dal codice(Sacra Penitenzeria, vescovo, canonicopenitenziere), si consiglia di far uso dellefacoltà seguenti (n. 2) previste per i casiordinari.

2. Casi ordinari.1) Le pene RISERVATE alla Santa Sede

possono essere sottoposte al superioregenerale della Fraternità o al presidentedella commissione canonica.

2) Una pena INFLITTA da un superioreè sottoposta a quest’ultimo, ma se si trattadi un superiore “novus ordo” essa può es-sere sottoposta al superiore di rango equi-valente nella Fraternità, che avrà il compi-to, se lo riterrà utile, di consultare il suoconfratello “novus ordo”.

3) Tutte le ALTRE PENE possono esse-re sottomesse al superiore di distretto, checonsulterà, se ne è il caso, il superiore deldistretto dove è stato commesso il delitto.

4) Quanto alla censura incorsa per A-BORTO occulto, ogni sacerdote ha la facoltà di [p. 73]

assolverne, senza obbligo di ricorso,imponendo una penitenza proporzionata euna eventuale riparazione.

[Le “Ordonnances” parlano infinedell’assoluzione dalle pene nei casi straordi-nari, ovverossia di pericolo di morte (punto3, p. 73), di caso urgente (punto 4, pp. 73-74,e di ricorso impossibile (punto 5, pp. 74-75).Con questa enumerazione, si concludono le“Ordonnances” ].

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II. SECONDO DOCUMENTO:

Estratto da “Cor unum”, bollettinointerno della Fraternità Sacerdotale

San Pio X, n. 61, ottobre 1998.

Il secondo documento è un estratto delbollettino ‘Cor unum’, dell’ottobre 1998.L’istituzione della “Commissione canoni-

ca” da parte della Fraternità San Pio X nonpoteva non causare – all’interno comeall’esterno della Fraternità – dei dubbi, delleperplessità e delle critiche, almeno nella mi-sura in cui l’attività di questa Commissioneveniva conosciuta. Le autorità della Frater-nità ritennero pertanto opportuno giustificarel’istituzione della “Commissione canonica”ed in particolare gli annullamenti di matri-monio pronunciati dai suoi Tribunali. A que-sto scopo, ‘Cor unum’ pubblicò due docu-menti, qui riprodotti integralmente: la lettera

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di Mons. Lefebvre del 5 gennaio 1991 all’al-lora superiore generale Franz Schmidberger,sulla costituzione di una Commissione cano-nica, e il testo di un intervento tenuto a Ecôneil 24 agosto 1998 dal presidente della Com-missione canonica, Mons. Bernard Tissier deMallerais, sulla legittimità e lo statuto dei tri-bunali matrimoniali della Fraternità. Ricor-diamo che questi documenti (lettera di Mons.Lefebvre e intervento di Mons. Tissier) sonodocumenti interni alla Fraternità e che, a no-stra conoscenza, non sono stati finora pub-blicati su alcuna rivista della Fraternità rivol-ta al pubblico. Infine, per una migliore intel-ligenza del testo, segnaliamo che la sigla “FS-SPX” indica la Fraternità Sacerdotale SanPio X, “n. can.” significa “nuovo canone” e“n.o.” sostituisce “novus ordo” (ovvero, tuttociò che ha riferimento a Giovanni Paolo II).

-[p. 33]

COMMISSIONE CANONICA

Lettera di S. Ecc. Mons. Lefebvre del 15gennaio 1991. Sulla costituzione di com-missioni canoniche.

Ecco un estratto di una delle ultime let-tere di S. Ecc. Mons. Lefebvre al superiore

Frontespizio di un numero di “Cor Unum”

generale dell’epoca, l’abbé Schmidberger,nella quale il nostro venerato fondatoreconcepisce chiaramente l’istituzione e ilfunzionamento della nostra attuale ‘Com-missione Canonica san Carlo Borromeo’,avente come presidente, “per quanto pos-sibile, un vescovo”, poiché questa istanzasuppletoria esercita dei poteri che appar-tengono normalmente al vescovo, e chesarebbe incaricata in particolare di:

1. concedere le dispense dagli impedi-menti matrimoniali,

2. giudicare sulle nullità dei matrimonî,3. assolvere dalle censure.Le nostre “ordonnances” del 1997 han-

no precisato le autorità suppletive dellaCommissione, dei diversi superiori e deisemplici sacerdoti, come pure la disciplinache abbiamo adottato, di fronte al nuovocodice di diritto canonico, concernente ipunti (1) e (3).

Quanto al punto (2), la Commissione ca-nonica, mediante diversi tribunali istituiti adcasum, ha già giudicato fino ad ora numero-se cause che hanno avuto il seguente esito:

In prima istanza: non constat de nullita-te: numerose cause

constat (procedura sommaria):qualche causa

In seconda istanza: non constat: 0constat: qualche causa

In terza istanza: non constat: 0constat: qualche causa

[p. 34]

La nostra giurisprudenza, che si ispiradalla giurisprudenza tradizionale della Rotaromana e raccoglie quanto di buono ci puòessere nella recente giurisprudenza, si ela-bora poco a poco secondo l’esercizio delnostro potere suppletorio, secondo pru-denza.

Gli altri casi previsti da Mons. Lefebvresi dividono nel modo seguente:

* dispensa dai voti religiosi: il vescovoincaricato dei religiosi, attualmente Mons.de Galarreta (dopo Mons. Fellay) (“ordon-nances” del 1997, p. 46).

* Autorizzazioni a praticare gli esorcismi: Isuperiori di distretto, seminari e case autonome(“ordonnances” del 1997, p. 33, facoltà 46).

* Consultazioni: Il presidente o i membridella Commissione canonica (attualmenteMons. Tissier de Mallerais, presidente,l’abbé Laroche e l’abbé Pivert, membri).

I confratelli potranno constatare la no-stra fedeltà alla linea che tracciava Mons.Lefebvre nella lettera della quale pubbli-chiamo l’estratto prescelto.

Ec ne,15 gennaio 1991

Caro abb Schmidberger,mille grazie per i vostri au-

guri in occasione della festa disan Marcello.

[...]Quanto al problema delle Com-

missioni, supplendo in un certosenso alla defezione delle Congre-gazioni romane dirette da prelatiimpregnati dai princ p rivoluzio-nari del Concilio, mi sembra chebisognerebbe cominciare molto mo-destamente, secondo le necessitche si presentano, e offrire que-sta istituzione come un servizioper aiutare i sacerdoti nel loroministero e le religiose nei casidifficili da risolvere o per quel-le autorizzazioni che richiedonoun potere episcopale di supplenza.

Non solo Roma venuta a man-care, ma giudica secondo falsiprinc p , come nel caso dei ma-trimon misti, delle nullit dimatrimonio!...

Mons. Lefebvre con il suo primo successore l’abbéFranz Schmidberger

[p. 35]Per il momento, consiglierei

una prima Commissione special-mente canonica costituita da unpresidente, che sia, per quantopossibile, un vescovo, da dueconsiglieri e un segretario, al-la quale si potrebbe dare il no-me di un santo canonista: Com-missione San Pio V, o san Bel-larmino o san Carlo Borromeo, ealla quale saranno inviate leconsultazioni, le domande.

Il segretario fa la cernita,espone il caso e sottomette algiudizio o almeno allo studiodei tre giudici, che si riuni-scono ogni tre mesi o pi su do-manda del presidente e studianoe rispondono ai casi.

Questa Commissione nominatadal Consiglio generale, ma pufare appello a un domenicano o aun esperto rinomato sia in ma-niera permanente come consiglie-re, sia occasionalmente.

Questo sarebbe un primo passo,e l esperienza mostrerebbe ci chesar opportuno fare in futuro.

La Commissione render contodei suoi lavori al Consiglio ge-nerale una o due volte l anno.

Questa Commissione dovrebbeessere annunciata con una letteracomunicata a tutti i sacerdotidella Tradizione che sono rimasticattolici e a ogni societ dellaTradizione, uomini e donne.

Non ci sono inconvenienti alfatto che i fedeli conoscano l e-sistenza di questa Commissione.

Finch le autorit romane at-tuali sono impregnate di ecumeni-smo e modernismo e che l insiemedelle loro decisioni e del nuovodiritto sono influenzate da que-sti falsi princ p , bisogneristituire delle autorit di sup-plenza, che conservino fedelmentei princ p cattolici della Tradi-zione cattolica e del dirittocattolico. Ø il solo mezzo perrestare fedeli a Nostro SignoreGes Cristo, agli Apostoli e aldeposito della fede trasmesso ai

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loro successori rimasti fedelifino al Vaticano II .

Qulche esempio di casi dasottomettere:

- matrimoni misti/dispense- nullit di matrimonio- assoluzione della scomunica

in foro esterno * per tutti coloro che

partecipano all aborto sia fisi-camente, sia legalmente

* o per altri motivi.[p. 36]- dispensa dai voti religiosi- autorizzazione agli esorcismi- consultazioni.La scelta del segretario per-

manente residente nella Casa ge-neralizia importante, benchnon abbia potere decisionale.

Sperando esservi utile conqueste risposte, vi prego dicredere alla mia totale disponi-bilit in Ges e Maria.

Marcel Lefebvre

[p. 37]

LEGITTIMITÀ E STATUTO DEI NOSTRITRIBUNALI MATRIMONIALI

Quello che potete leggere è il testodell’intervento di Monsignor Tissier de Mal-lerais, presidente della Commissione cano-nica, durante la sessione di procedura ca-nonica di Ecône del 24 agosto 1998, da luirivisto e corretto.

Questo studio potrà aiutare i confratelli ameglio comprendere le ragioni dei tribunalimatrimoniali, che sono una delle “autorità disupplenza” concepite da Mons. Lefebvre.

Status questionis [sic]

Le dichiarazioni di nullità dei tribunaliecclesiastici “Novus Ordo” sono spessodubbie. Abbiamo il diritto di supplirvi condei tribunali funzionanti in seno alla Frater-nità Sacerdotale San Pio X?

Mons. Lefebvre (cf documento prece-dente e le “ordonnances”, ed. 1997, p. 8-9)ha previsto la creazione della Commissionecanonica, in particolare per risolvere lecause matrimoniali dopo un primo giudizio

portato dal superiore di distretto. L’autoritàdel nostro fondatore è sufficiente affinchénoi accettiamo questi organismi, esatta-mente come abbiamo accettato le consa-crazioni episcopali del 1988.

Ma ciò non ci dispensa dal tentare digiustificare dottrinalmente l’esistenza e ilfunzionamento dei nostri tribunali matrimo-niali.

Vedremo come l’argomento centralesarà, come per le consacrazioni, lo stato dinecessità dei fedeli di tradizione.

I - La nuova legislazione matrimoniale

1. Nuova definizione del matrimonio.a) oggetto del consenso matrimoniale:

non è più strettamente definito come “jusin corpus, perpetuum et exclusivum in or-dine ad actus per se aptos ad prolis gene-rationem” (can. 1081 § 2), ma vagamentedescritto come “mutua traditio et accepta-tio viri et mulieris ad constituendum matri-monium” (cf n. can. 1057 § 2). L’oggettodel consenso si trova così indebitamenteesteso agli elementi secondari, benché in-tegranti, del matrimonio, ovvero il “totiusvitæ consortium” (n. can. 1055).

b) inversione dei due fini del matrimo-nio: Codice del 1917: “finis primarius, pro-creatio et educatio prolis; secundarius:mutuum adjutorium et

[p. 38]remedium concupiscentiæ” (can. 1013,

§ 1). Nuovo codice: “...ad bonum conju-gum atque prolis generationem et educa-tionem” (n. can. 1055, § 1).

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Ne segue che la vita comune, secondo lanuova legislazione, entra a far parte, e comeparte principale, dell’oggetto del consensomatrimoniale, e con essa la relazione inter-personale tra gli sposi, vale a dire la loro coa-bitazione, buona intesa, mutua realizzazione.

Ora, tutto ciò si trova, secondo il con-cetto tradizionale, fuori dall’oggetto delpatto matrimoniale, come lo riafferma PioXII nel 1944 contro i novatori, facendo in-serire negli Acta Apostolicæ Sedis unasentenza della Sacra Romana Rota [AAS36 (1944), 172-200], che riguarda la gerar-chia dei due fini del matrimonio e ricordache “la comunità di abitazione, di camera edi tavola non fa parte della sostanza delmatrimonio” anche se appartiene all’inte-grità della vita coniugale (Cf InsegnamentiPontifici, Il matrimonio, Solesmes, Desclée,1960, appendice n. 24-29).

2. Dei nuovi difetti di consenso rendononullo il matrimonio:

È chiaro che se il “bonum conjugum” eil “totius vitæ consortium” rientranonell’oggetto del patto matrimoniale, [anche]i difetti che ab initio rendono impossibile lavita comune tra gli sposi - e non più sola-mente il darsi il jus ad corpus - rendononullo il patto matrimoniale. Da qui, nellanuova legislazione, l’introduzione di nuoveincapacità a contrarre matrimonio.

Evidentemente, la Chiesa può sempreaggiungere, con disposizioni positive, nuo-vi impedimenti al matrimonio, ma si tratta1) di disposizioni positive, e non di un cam-biamento della natura delle cose, e conse-guentemente della sostanza del matrimo-nio 2) di disposizioni che determinano inmaniera molto precisa le inabilità, in modotale che sia facile giudicare della presenzadi questi impedimenti, senza timore di abu-si. Ora, per l’appunto, non è questo il no-stro caso; si tratta, come vedremo, di uncambiamento della sostanza del matrimo-nio che apre la porta a tutti gli abusi.

* n. can. 1095, n. 2: “Sunt incapacesmatrimonium contrahendi: (...) 2° qui labo-rant gravi defectu discretionis judicii circajura et officia matrimonialia essentialia mu-tuo tradenda et acceptanda”.

Tradizionalmente, rendono nullo il ma-trimonio da parte dell’intelletto, solo:

- L’ignoranza del fatto che il matrimonioè “una società permanente tra un uomo e

Mons. A. deGalarreta at-tuale vescovoper i religiosi,dopo Mons.Fellay. È luiche dispensa

dai voti di reli-gione

una donna per procreare dei figli” (can.1082 § 1); e questa ignoranza non è pre-sunta dopo la pubertà.[p. 39]

- L’errore sull’“unità o l’indissolubilità ola dignità sacramentale del matrimonio”, seesso determina la volontà (n. can. 1099, checodifica una giurisprudenza tradizionale).

È tutto, ed è chiaro, mentre il “defectusdiscretionis judicii”, vale a dire l’immaturitànel giudizio, riguarda necessariamente larealizzazione personale, anzi inter-perso-nale, degli obblighi essenziali del matrimo-nio, che è fuori dell’oggetto tradizionale delpatto matrimoniale, e concerne l’aspettosoggettivo del consenso matrimoniale.Certo, la crescente immaturità dei giovanirende spesso i matrimoni poco suscettibilidi sviluppo e la loro conclusione impruden-te, ma stabilire un’inabilità per causa d’im-maturità vuol dire fare appello a una con-cezione personalista, soggettivista del pat-to matrimoniale, ed aprire le porte agli abu-si. Solo un più severo impedimento di etàcostituirebbe un rimedio oggettivo...

* n. can. 1095, n. 3: “sunt incapaces (...)3° qui ob causas naturæ psychicæ obliga-tiones matrimonii essentiales assumerenon valent”.

Tradizionalmente, la Chiesa ammettesolo l’incapacità fisica: impotentia (can.1068, § 1), che rende impossibile lo scam-bio del “jus in corpus in ordine ad actusper se aptos...” (can. 1081, § 2). La sola in-capacità mentale è amentia vel dementia,che rende il soggetto radicalmente inabilea un contratto (cf can. 1081 § 1 “inter per-sonas jure habiles”).

Certo, i casi di squilibrio, dovuti alla di-struzione della famiglia, sono frequenti og-gigiorno, e rendono aleatoria la permanen-za dell’unione, ma chi determinerà qualegrado di squilibrio la rende radicalmenteimpossibile? Giovanni Paolo II stesso hadovuto ricordare ai canonisti che tali disor-dini psichici devono essere “a serious formof anomaly wich (...) must substantially un-dermine the capacity of understandingand/or willing of the contracting party” (allaRota Romana, 5 febbraio 1987, AAS 79(1987), 1457).

Il can. 1095, n. 3 è pertanto, nella suaformulazione, una porta aperta agli abusi.

* n. can. 1098: “Qui matrimonium initdeceptus dolo, ad obtinendum consensum

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patrato, circa aliquam alterius partis quali-tatem, quæ suapte natura consortium vitæconiugalis graviter perturbare potest, invali-de contrahit”.

Fino al nuovo codice, il dolo non è maistato ammesso come causa di nullità dimatrimonio; e ciò con lo scopo di proteg-gere quel bene che è la permanenza delvincolo coniugale. [p. 40]

Ma gli autori ammettono che la Chiesapotrebbe introdurlo (con una disposizione deldiritto positivo). Sarebbe meno illegittimoquando l’errore doloso mette in gioco il fineprimario del matrimonio, per esempio il dolosulla sterilità di uno dei congiunti; ed è ciòche fa il nuovo codice: sterilitas non dirimit,sed dolus circa sterilitatem (cf n. can. 1084 §3). Ma il n. can. 1098 è ben troppo largo: uninganno per nascondere l’ubriachezza, latossicodipendenza, persino il carattere irasci-bile, sarebbe causa di nullità! Si noti in que-sto caso l’ispirazione personalista conciliaredi questo nuovo canone. E non spetta a noiriformularlo in un senso cattolico.

3. Conseguenze pratiche

a) L’80% delle nullità dichiarate dai tri-bunali novus ordo si fondano sul nuovo ca-none 1095! sono quindi delle sentenze nul-le poiché si fondano su di una regola inca-pace di regolare. È talmente facile otteneresentenze di questo genere che alcuni com-mentatori parlano di “divorzio cattolico”.

b) Nel caso in cui vi è un motivo di nul-lità serio ma difficile da dimostrare, il tribu-nale sceglie il n. can. 1095 come soluzionepiù facile.

Si obietta allora: sì, ma proprio in que-sto caso, il matrimonio è realmente nullo,allora perché non approfittare della senten-za di nullità anche se non è corretta? Biso-gna rispondere: per constatare lo stato li-bero di una persona (affinché possa rispo-sarsi) è necessaria una sentenza valida, enon un giudizio privato sommato a unasentenza invalida!

II - Situazione dei fedeli

1. Essi non hanno il diritto di ricorrere aitribunali novus ordo, perché vuol dire cor-rere un grande rischio di ricevere una di-chiarazione di nullità nulla e di risposarsi a

buon mercato vivendo così nel peccato, inconcubinaggio canonico!

2. Essi non possono, per potersi rispo-sare, giudicare da sé stessi della nullità delloro matrimonio, o accontentarsi del giudi-zio privato di un sacerdote amico: sarebbela porta aperta al soggettivismo e al disor-dine, esponendo al disprezzo il vincolo ma-trimoniale e aumentando il male.[p. 41]

3. Essi hanno il diritto a essere sicuridella validità del sacramento ricevuto unaseconda volta e quindi della validità dellasentenza di nullità, e a essere protetti con-tro gli errori personalisti che invalidanoquelle sentenze. Ma chi assicurerà questoloro diritto?

4. I sacerdoti e i vescovi fedeli hanno ildovere di difendere e proteggere il vincolomatrimoniale messo in pericolo dalla nuovalegislazione. Ma come metteranno in prati-ca questo dovere?

Riassumendo, i fedeli, non avendo a chiricorrere, si trovano in uno stato di neces-sità, e d’altra parte i sacerdoti e i vescovifedeli hanno il dovere di soccorrerli.

In questa situazione, i vescovi fedeli(Dom Licinio a Campos) e la nostra Com-missione canonica, appoggiandosi suiprincìpî generali del diritto che reggono lavita della Chiesa, hanno i poteri di supplen-za per emanare una sentenza sulle causematrimoniali.

III - Base dottrinale dei nostri poteri disupplenza

1. Can. 20 (n. can. 19): Se manca unadeterminazione del diritto bisogna risolvereil caso prendendo la norma “a legibus latisin similibus; generalibus iuris principiis cumæquitate canonica servatis; jurisprudentia etpraxi Curiæ Romanæ; communi constanti-que doctorum sententia”. (Wernz-Vidal: “jusergo suppletorium est jus applicandum inparticularibus casibus, cum circa illud nonhabeatur in codice prescriptum [sic] quodpeculiari illi casui sit applicandum” n. 180).

2. Applicazione - tre cose entrano ingioco:

a) I luoghi paralleli, vale a dire la praticadell’analogia legalis (Wernz-Vidal, n. 181):

“per quam juris dispositio pro aliis casi-bus applicatur in casu simili de quo lex nondisponit”.

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Qui, il luogo parallelo è il caso del ricor-so impossibile al vescovo per dispensareda un impedimento dirimente di diritto ec-clesiastico: in “pericolo di morte” o “quan-do omnia parata sunt ad nuptias”, il parro-co o il confessore possono dispensare(can. 1044-1045). Il che significa che laChiesa dà loro, per via di supplenza, giuri-sdizione ad casum.

b) stile (giurisprudenza) della Curia ro-mana: Una risposta della Commissione perl’interpretazione del codice del 29 luglio1942 (AAS, 34, 241)[p. 42]

permette di estendere quanto dispostodal can. 1045 al caso di urgente necessitàladdove vi sia “periculum in mora” (cf can.81).

c) epicheia e opinione dei dottori a pro-posito dei can. 1043 seg., ma che vale an-che in altri casi:

Cappello, Tractatus, De Sacramentis,III, n. 199: “Si finis legis cesset contrariepro communitate, i.e. si damnum commu-ne inde sequatur, lex non urget, quia meri-to censetur suspendi ex benigna mentis le-gislatoris interpretatione”. Ora, è questo ilcaso dell’obbligo di ricorrere a dei tribunalimodernisti. Ma se questo obbligo cessa,non cessa l’obbligo di ricorrere a qualchetribunale!

3. Dall’unione di questi elementi, inferia-mo che la nostra Commissione canonica,nel caso attuale di ricorso impossibile ai tri-bunali ufficiali, ha il potere di emanare unasentenza sulle cause matrimoniali (si puòdire che se la Santa Sede non fosse mo-dernista quanto i tribunali, ci darebbe que-sto potere per equità canonica).

È anzi più grave dispensare da un im-pedimento dirimente (il che muta la condi-zione della persona, la quale da inabile di-venta abile a contrarre) che dichiarare nulloun matrimonio (il che non cambia lo statodella persona, ma constata uno stato giàesistente ab initio): è un potere di giurisdi-zione solo dichiarativo. Se quindi la sup-plenza ci dà un potere di dispensare, essaci dà a fortiori, potere di giudicare.

4. L’istituzione dei tribunali matrimonialinell’orbe della tradizione è specificamentegiustificata dal fatto:

a) che la loro autorità sarà più facilmen-te accettata che quella di una parereprivato,

b) che così non sarà necessario dirime-re opinioni private dubbie o divergenti,

c) che è necessario avere più giudici epiù istanze per procedere prudentementesecondo lo spirito e la lettera del diritto,

d) che nell’attuale situazione di neces-sità, il singolo sacerdote riceve una sup-plenza per quello che normalmente può fa-re da sé e non per quello che normalmentenon può fare. Ora, giudicare queste causematrimoniali non è normalmente affare diun solo sacerdote, ma del vescovo o delleautorità da lui delegate.

In tutto ciò vale la regola “tanto quanto,e non di più”: la Chiesa supplisce in favoredei fedeli la giurisdizione che manca agliorganismi suppletorî, nella misura in cui ciòè necessario e non oltre.

[p. 43]

IV - Esercizio del diritto di giudicare del-le cause matrimoniali (da parte della no-stra Commissione canonica e dei sacerdotida essa designati)

La nostra giurisdizione, in questi casi, è,l’abbiamo detto, una giurisdizione di sup-plenza. Eccone le proprietà:

1. Essa non è abituale, ma si esercita adcasum, per modum actus. Conseguente-mente i nostri tribunali non si riunisconoabitualmente, i loro membri non sono no-minati ad universas causas, ma al contrarioogni volta ad hoc, dalla Commissione ca-nonica; anche se, per delle ragioni di co-modità, coloro che intervengono sonosempre i medesimi giudici e gli stessi di-fensori del vincolo; poiché sono necessariepersone competenti.

2. Essa non è territoriale, ma personale.3. Essa dipende dalla necessità dei fe-

deli, vale a dire che essa persiste finché du-ra lo stato di necessità comune e anche, semai fosse possibile, si potesse trovare untribunale ufficiale che giudichi delle causematrimoniali secondo le norme tradizionali.

4. Si tratta di una vera giurisdizione, enon di una esenzione dal diritto e dall’ob-bligo che hanno i fedeli di accettare unasentenza. Pertanto abbiamo il potere e ildovere di emanare vere sentenze, con po-testatem ligandi vel solvendi. Esse hannopertano valore obbligatorio. La ragione

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prossima di ciò si trova nel fatto che dob-biamo poter dire ai fedeli ciò che devonofare, “quod debent servare”.

Le nostre sentenze non sono delle sem-plici opinioni private, poiché una opinionedi questo genere non è sufficiente quandoè in gioco il bene comune. Ora, il bene co-mune è in gioco in ogni causa nella quale èin dubbio il vincolo matrimoniale. Per deci-dere del dubbio, occorre un potere in foroesterno pubblico.

5. Questa giurisdizione non usurpa al-cun potere di diritto divino del papa.

È vero che le nostre sentenze in terzaistanza rimpiazzano le sentenze della Rotaromana, che giudica in nome del papa co-me un tribunale di terza istanza. Ma non sitratta di una usurpazione di un potere di di-ritto divino del papa, poiché il fatto chequesta terza istanza sia stata riservata alpapa dipende solo dal diritto ecclesiastico!

6. Infine, le nostre sentenze, come ogniatto di giurisdizione di supplenza, e comele stesse consacrazioni episcopali del1988, 1991, ecc., dovranno essere confer-mate ulteriormente dalla Santa Sede.

[p. 44]

REGOLE PRATICHE CONCERNENTI LEDICHIARAZIONI DI NULLITÀ DELMATRIMONIO

La carità pastorale ha per scopo la san-tificazione delle anime: prima lex salus ani-marum; ma la prudenza pastorale evita diimporre alle anime dei fardelli insopportabili(cf Mt 23, 4).

Conseguentemente, il pastore cerca diporre le anime nella verità riguardo alla leggedi Dio e alla validità del matrimonio, ma pre-ferisce talvolta lasciare le anime in buona fe-de se in buona fede si ingannano sulla lorosituazione matrimoniale, quando c’è da te-mere che non accetterebbero di mettersi inregola e vivrebbero in seguito in cattiva fede.

D’altra parte le sentenze di nullità di ma-trimonio emanate dai tribunali ufficiali (chepossiamo chiamare sentenze “novus ordo”)non possono essere considerate nulle ipsofacto ma neppure valide senza ulterioreesame. Da quanto detto, ne deduciamo leseguenti regole.

1. Una sentenza novus ordo non puòessere ammessa o respinta a priori. La sua

validità dipende dai criteri utilizzati. Essadeve quindi essere esaminata in jure.

2. Il sacerdote non consiglia mai a qual-cuno di rivolgersi ad un tribunale n.o., pertimore che la sentenza sia nulla fondandosiin jure sui criteri erronei o dubbi del nuovocodice.

3. Se la persona non è risposata, madubita o denuncia la validità di un primomatrimonio, o annuncia che la causa dinullità è introdotta innanzi a un tribunalen.o., o che quest’ultimo ha già emanatouna sentenza esecutoria di nullità, il sacer-dote la avverte che una sentenza n.o. nonè una prova sufficiente della nullità del ma-trimonio e che essa non può risposarsisenza aver sottoposto la sua causa all’esa-me della nostra Commissione canonica.

4. Se la persona, dopo una sentenza dinullità n.o., si è gia risposata, il sacerdotela lascia in buona fede, se vi si trova. Aquesto fine:

1) non parla mai pubblicamente dellesentenze n.o.,

2) non interroga mai il fedele al proposito3) se interrogato da una persona che ha

solamente un dubbio negativo, la rassicura.5. Se la persona, risposata dopo una

sentenza di nullità n.o. ha un dubbio positi-vo, il sacerdote deve aiutarla a risolvere ilsuo dubbio. A questo fine:

1) avverte la persona della possibilitàdell’invalidità della sentenza n.o.;[p. 45]

2) spiega che per questa ragione e se-condo la nostra prassi la causa deve esse-re sottomessa alla Commissione canonica.

6. Per poter presentare ogni causaall’esame dell’ufficio canonico, il sacerdote

1) si fa spiegare sommariamente il caso;2) si fa comunicare, se è il caso, la sen-

tenza n.o. o almeno un documento del tri-bunale indicante il caput nullitatis;

3) comunica l’esposto del caso (el’eventuale sentenza n.o.) all’ufficio canoni-co, che invia al sacerdote il questionariodestinato a preparare il libello introduttivodella causa;

4) ma evita assolutamente di prendereparte, in un senso come nell’altro.

7. La causa non può essere introdottache se la parte in questione accetta di es-sere moralmente vincolata dalla decisione.

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Per questo, il sacerdote gli fa giurare e sot-toscrivere la seguente promessa:

8. Finché il tribunale designato dall’uffi-cio canonico non avrà portato una senten-za esecutoria di “constat de nullitate matri-monii”, il matrimonio contratto dopo unasentenza di nullità n.o. (se è il caso) è pre-sunta valida ed in conseguenza i congiuntinella seconda unione possono[p. 46]

chiedere e rendere il debito coniugale enon possono essergli rifiutati i sacramenti.

9. Ma se è stata iniziata una proceduradi nullità presso di noi e che, avvertita dinon risposarsi prima di averne avuto il per-messo da una nostra sentenza, una partesi risposa o stipula una semplice unione ci-vile, gli sono rifiutati i sacramenti e la pro-cedura può essere sospesa a giudizio delsuperiore che ha costituito il tribunale.

Io sottoscritto...... nel momento incui sottometto la causa del mio matri-monio con..... alla Commissione canoni-ca della FSSPX prometto:

1) (se è il caso) di non attentare al-cun matrimonio e neppure alcuna unio-ne civile prima della sentenza definitiva.

2) di conformarmi alla sentenza deltribunale e quindi, se fosse negativa, dinon risposarmi o, (se è il caso) di nonconsiderare più il mio secondo congiun-to come mio congiunto.

3) di non rivolgermi ad un tribunaleecclesiastico ufficiale per fargli esami-nare o giudicare la mia causa.

Tutto ciò, lo prometto e lo giuro suiSanti Vangeli che tocco con la mia ma-no.

Il.... a....firma

[cancellare le menzioni inutili]

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Modulo per ottenere l’autorizzazione a sposare un cattolico non credente, non praticante o “aderente al modernismo”

III. Moduli per le dispense (don Pivert)

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Modulo per ottenere la dispensa dall’impedimento di “religione mista”.La dispensa è concessa da don Pivert “considerando che non è possibile ricorrere all’Ordinario del luogo o a Roma”

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Modulo per ottenere la dispensa dall’impedimento di “crimine” (adulterio). Anche in questo caso è don Pivert che dispensa in nome del superiore di distretto

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Modulo per l’autorizzazione al matrimonio che deve essere sottoscritto da don Pivert.Le regole seguite sono le “prescrizioni proprie della Fraternità San Pio X”

SECONDA PARTE: COM-MENTO DI SODALITIUM

don Francesco Ricossa

Con i documenti fin qui riportati la Fra-ternità San Pio X cerca di dare una so-luzione a un problema reale, ma la so-

luzione proposta è peggiore della difficoltàalla quale si voleva portare rimedio.

Un problema reale: esercitare il ministerosenza la giurisdizioneBreve storia della difficoltà e delle soluzioniproposte

Il dramma che stiamo vivendo cominciacol Concilio Vaticano II, quando la dottrinadella Chiesa cattolica è stata - in più punti -abbandonata, in favore di una nuova dottri-na. Delle riforme disciplinari hanno applica-to in seguito i princìpi del Vaticano II: ricor-diamo in particolare la riforma liturgica, cul-minata nel 1969 con la promulgazione di unnuovo messale, e quella canonica, realizza-tasi col nuovo codice del 1983.

La questione dell’Autorità

Ben presto, gli oppositori al Vaticano II sisono trovati confrontati ad importanti pro-blemi teorici e pratici. Da un lato, il rifiuto diun Concilio e delle sue riforme, pone il pro-blema della legittimità dell’autorità che havoluto questo Concilio e queste riforme. È ilproblema dell’Autorità o - come si dice - delPapa. A questo problema è connesso comeconseguenza quello - più pratico - dell’obbe-dienza che ogni cattolico deve alla Gerarchiae particolarmente al Papa (3). La nostra posi-zione è che Paolo VI e Giovanni Paolo II nongodono dell’Autorità pontificia divinamenteassistita (non sono formalmente papi), percui - quanto all’obbedienza - il problema nonsi pone, in quanto si è tenuti a obbedire soloall’autorità legittima. Mons. Lefebvre e la suaFraternità, invece, riconoscono la legittimitàdi chi ha promulgato il Concilio e le successi-ve riforme (“cattivo Papa, ma Papa”), per cuifurono costretti ben presto a teorizzare la li-ceità della disobbedienza (abituale) al Papa,sia per quel che riguarda l’accoglienza del suoinsegnamento, sia per le questioni disciplina-ri. La regola pratica adottata allora fu: “accet-

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tiamo le novità intimamente conformi allaTradizione e alla Fede. Noi non ci sentiamovincolati dall’obbedienza a novità che vannocontro la Tradizione e minacciano la nostraFede” (4). Ricordo questo principio perchéverrà applicato dai successori di Mons. Le-febvre nel caso presente, particolarmente perquel che riguarda la ricezione del nuovo codi-ce di diritto canonico.

La questione della giurisdizione

L’altro problema - che ci interessa diretta-mente - è quello della giurisdizione necessarianell’esercizio del ministero sacerdotale. Perdiritto e istituzione divina vi sono nella Chiesadue poteri, quello di ordine e quello di giuri-sdizione. “La potestà ecclesiastica si divide inpotestà di ordine e di giurisdizione. Quella diordine è immediatamente diretta a santificarele anime attraverso l’offerta del sacrificio dellaMessa e l’amministrazione dei sacramenti. Lapotestà di giurisdizione invece è immediata-mente diretta a reggere i fedeli in ordine al con-seguimento della vita eterna. Si esplica sia conl’autorevole insegnamento delle verità rivelate(sacro magistero) sia con la promulgazionedelle leggi (potestà legifera), con l’autentica de-cisione delle cause sorte tra i sudditi (potestàgiudiziale), con l’applicazione di sanzioni pe-nali contro i trasgressori delle leggi (potestàcoattiva)” (5). I due poteri (e le relative gerar-chie) “sono realmente distinti” ma “stretti damutua relazione”: “si distinguono per l’origine:infatti l’ordine viene conferito con apposito sa-cramento mentre la giurisdizione viene dataper missione canonica; e per proprietà, perchéil valido uso dell’ordine, nella maggior partedei casi, non può essere tolto, mentre la giuri-sdizione può essere revocata. Sono però in mu-tuo rapporto, perché la giurisdizione supponel’ordine e viceversa l’esercizio dell’ordine vienemoderato dalla giurisdizione” (5).

Il varo del nuovo messale (1969) poseagli oppositori del Vaticano II la prima diffi-coltà pratica: continuare ed organizzareovunque - coi “vecchi” libri liturgici - l’eser-cizio del potere d’ordine (Messa, sacramen-ti...) anche senza partecipare al potere digiurisdizione, oppure astenersi dagli atti delministero se privi della missione canonica daparte della “gerarchia”? In pratica, il soloabbé de Nantes (non senza numerosi strappialla regola) scelse la seconda via, mentretutti gli altri imboccarono la prima.

La posizione della Fraternità dal 1975-76 al1980. Sua critica

Per Ecône, il problema non si pose tra il1970 ed il 1974, nel periodo cioè durante ilquale la Fraternità san Pio X fu canonica-mente approvata: ma la soppressione dellaFraternità (6 maggio 1975), il ritiro delle let-tere dimissoriali richieste per ordinare i se-minaristi (27 ottobre 1975), e la sospensionedal conferire gli ordini sacri per Mons. Le-febvre (12 giugno 1976) posero il problemain tutta la sua drammaticità: a partire dal1976, i sacerdoti ordinati nella Fraternità sa-rebbero stati sospesi a divinis (proibizione dicelebrare la Messa e amministrare i sacra-menti), esattamente come lo era stato il lorofondatore (22 luglio 1976). Presa la decisio-ne, con le ordinazioni del 29 giugno 1976, diamministrare i sacramenti senza la giurisdi-zione richiesta, ci si trovò di fronte ad unanuova difficoltà: in questo frangente, alcunisacramenti sono comunque amministrati va-lidamente, in virtù del potere di ordine, chenon può essere tolto; ma altri (Penitenza eMatrimonio) richiedono - sotto pena di esse-re amministrati invalidamente - proprioquella giurisdizione che faceva difetto. Seper il sacramento del matrimonio la soluzio-ne è relativamente facile (il canone 1098prevede, in certi casi, la dispensa dalla for-ma canonica), il sacramento di penitenzaponeva e pone maggiori difficoltà: la neces-sità della giurisdizione del confessore sul pe-nitente deriva infatti dalla natura stessa delsacramento quale Cristo l’ha istituito, e nonè quindi solo di diritto ecclesiastico (Conci-lio di Firenze, DS 1323; Concilio di Trento,DS 1686; Pio VI, Auctorem fidei, DS 2637;S. Tommaso, Suppl. q. 8, a. 4). Il diritto pre-vede, è vero, dei casi nei quali la Chiesa sup-plisce alla giurisdizione (‘Ecclesia supplet’)mancante del sacerdote: nel caso di pericolodi morte, ad esempio, ogni sacerdote può as-solvere validamente (can. 882), come purelo può fare, secondo la prescrizione del ca-none 209 (6), nel caso di dubbio positivo eprobabile (di avere o no la giurisdizione) odi errore comune (i penitenti pensano erro-neamente che il sacerdote ha la giurisdizio-ne) (7). Era tuttavia evidente che i canoni in-vocati non erano sufficienti a giustificare lapratica di confessare abitualmente e costan-temente senza giurisdizione, per cui Mons.Lefebvre estendeva il caso del pericolo di

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morte fisica del penitente - previsto dal co-dice - a quello di pericolo di morte spiritualenel quale si trovano tutti i cattolici data la si-tuazione attuale della Chiesa. Non era ra-gionare “come se” non si riconoscesse più,di fatto, la legittimità della gerarchia e la va-lidità dei nuovi sacramenti? In effetti Mons.Lefebvre esitò - durante l’estate ‘76 - sullalegittimità di Paolo VI; ma dopo essere statoricevuto in udienza (11 settembre) optò perla legittimità, decisione divenuta ufficialecon la famosa dichiarazione dell’8 novembre1979 intitolata: ‘Posizione di Mons. Lefebvresulla nuova messa e il Papa’ (Cor Unum, n.4, pp. 1-9), che prese forma anch’essa nel cli-ma seguìto all’udienza accordata da Giovan-ni Paolo II a Mons. Lefebvre il 18 novembre1978. Questa posizione (riconoscimento teo-rico della legittimità di Paolo VI e GiovanniPaolo II, ma azione pratica come se essi nonesistessero) divenne uno dei punti deboli delsuo movimento. Vediamo come esprimeva asuo tempo il problema il card. Seper, dele-gato da Paolo VI e Giovanni Paolo IIall’esame della causa tradizionalista: “la sua‘prassi’ - obiettava il card. Seper a Mons. Le-febvre nella lettera del 28 gennaio 1978 -non attenua la gravità delle cose. Ella, infatti,ordina sacerdoti contro la volontà formaledel Papa e senza le ‘litteræ dimissoriæ’ ri-chieste dal Diritto Canonico; Ella manda sa-cerdoti da Lei ordinati in priorati in cui eser-citano il ministero senza l’autorizzazionedell’Ordinario del luogo; Ella tiene discorsiatti a diffondere le sue idee in diocesi in cui ilVescovo rifiuta il consenso; con sacerdoti daLei ordinati, e che di fatto non dipendonoche da Lei, Ella comincia, volente o nolente,a formare un raggruppamento capace di di-ventare una comunità ecclesiale dissidente. Atale proposito occorre rilevare la sorprenden-te dichiarazione da Lei rilasciata (conferenzastampa del 15/IX/1976, in ‘Itinéraires, dic.1976, pp. 126-127) riguardo all’amministra-zione del Sacramento della Penitenza da par-te dei sacerdoti che Ella ha illecitamente ordi-nati e che non sono provvisti della facoltà diascoltare le confessioni. Ella stimava chequesti sacerdoti avessero la giurisdizione pre-vista dal Diritto Canonico per i casi di neces-sità: ‘Ritengo - Ella diceva - che noi ci trovia-mo in circostanze, non tanto fisiche quantomorali, straordinarie, tali che i nostri giovanisacerdoti hanno il diritto di far uso delle fa-coltà straordinarie’. Non è forse ragionare

come se la legittima Gerarchia avesse ces-sato di esistere nelle regioni in cui si trova-no questi sacerdoti?” (8). La risposta diMons. Lefebvre, assolutamente pertinentesulle questioni dottrinali, non lo fu invece suquelle che lo avrebbero condotto - se fossestato coerente fino in fondo - a negare di di-ritto (e non solo di fatto) la legittimità del“Papa” e dei “vescovi” (9). Nella sua rispo-sta del 26 febbraio 1978, Mons. Lefebvre re-plicò vagamente (10), per cui il quesito fu rei-terato dal card. Seper, in termini quasi iden-tici, il 16 marzo (11), e poi - in maniera piùdiffusa - nell’interrogatorio dell’11-12 gen-naio 1979 (12). Alla fine dell’interrogatorio,Seper ritornò sulla questione ancora unavolta: “Un vescovo - così egli riassume la po-sizione di Mons. Lefebvre - giudicando incoscienza che il Papa e l’Episcopato nonesercitano più in generale la loro autorità invista di assicurare la trasmissione fedele edesatta della Fede, può legittimamente, permantenere la Fede cattolica, ordinare dei sa-cerdoti senza essere Vescovo diocesano, sen-za avere ricevuto lettere dimissorie e controuna formale ed espressa proibizione del Pa-pa, e può attribuire a tali sacerdoti la caricadel ministero ecclesiale nelle varie diocesi.(...) È conforme, questa tesi, alla dottrina tra-dizionale della Chiesa cui Ella intende atte-nersi?”. La reazione di Mons. Lefebvre fuimmediata: “Mi state tendendo una trappo-la!”. La risposta più meditata non fu miglio-re. Innanzitutto il pragmatismo: “io non hoagito partendo da un principio come quello.Sono stati i fatti, le circostanze in cui mi sonotrovato, a costringermi ad assumere determi-nate posizioni (...)”. Poi un argomento chelo auto-condannava: “penso che la storiapossa fornire esempi di atti consimili che sipongono, in determinate circostanze, non già‘contra’, bensì ‘præter voluntatem Papæ’”[ma per l’appunto Mons. Lefebvre agiva‘contro’ e non ‘al di la’ della volontà del“papa”]. Infine, la resa logica definitiva:“Ma questo punto è troppo grave e troppoimportante perché io possa rispondere imme-diatamente. Preferirei quindi sospendere larisposta” (13). I colloqui con il “Sant’Uffizio”finirono qui, e non ci fu ulteriore risposta...

Fino a questo momento, la posizionedella Fraternità San Pio X era contradditto-ria - a causa della posizione sull’autorità delPapa - ma si limitava a postulare una “sup-plenza” della Chiesa per la sola amministra-

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zione dei sacramenti. Di fatto, anche noi in-vochiamo a questo scopo una supplenza(non tanto della Chiesa, quanto piuttosto diCristo, come vedremo meglio in seguito),per l’esercizio lecito e valido del potere d’or-dine (ed esclusivamente del potere d’ordi-ne). La posizione corretta sul problema, e lacritica a questa prima deviazione della Fra-ternità, è perfettamente espressa in questobrano dell’abbé Belmont pubblicato suiCahiers de Cassiciacum:

“Ammettiamo perfettamente che nella si-tuazione di anarchia (in senso proprio) (14)nella quale ci troviamo, vi sia supplenza divi-na in favore dei fedeli per quel che concerneil potere di Santificazione della Chiesa (15).Ma, a quanto pare, per l’esistenza di una talesupplenza (oltre i casi espressamente previstidal Diritto) sono necessari tre fattori:

- la necessità generale, e non un caso par-ticolare;

- l’impossibilità di ricorrere all’Autorità.È l’Autorità che giudica degli atti sacramen-tali che dobbiamo compiere; un venir menoaccidentale dell’Autorità non può dar luogoalla supplenza. Se il venir meno è invece es-senziale e abituale, è l’esistenza stessadell’Autorità che è messa in causa; (16)

Don François Pivert, membro e ispiratore dellacommissione canonica

- un fondamento reale in colui che deveagire in virtù di una supplenza. Un tale fon-damento non può essere che il Carattere im-presso dal sacramento dell’Ordine.

È perché il sacerdote cattolico possiedequesto Carattere sacerdotale che Nostro Si-gnore Gesù Cristo e la Chiesa supplisconoper mettere in opera questo Carattere il cuiesercizio normale è impedito con un dannoconsiderevole per le anime.

Pertanto, sono esclusi gli atti di pura giu-risdizione (dispensare da un impedimento diMatrimonio, accordare una indulgenza) chenon costituiscono la messa in opera del Ca-rattere sacramentale, e gli atti dei quali il sa-cerdote è solo ministro straordinario (cresi-mare, dare gli ordini minori).

Nel caso del Sacramento di Penitenza, lasupplenza non dà giurisdizione, ma Cristo ela Chiesa suppliscono al difetto di giurisdi-zione in ogni assoluzione, perché il sacerdoteè, grazie al suo Carattere sacerdotale, metafi-sicamente ordinato a dare tale assoluzione.La giurisdizione normalmente necessarianon dà al sacerdote il potere di confessare,ma gli dà un soggetto sul quale esercitare ilsuo potere” (17).

La posizione difesa dall’abbé Belmontnell’ultimo numero dei Cahiers de Cassicia-cum (1981) è anche la nostra, e si distinguesia da quanti negano assolutamente la liceitàdi un ministero privo di giurisdizione (abbéde Nantes, certi sedevacantisti...) sia daquanti ritengono lecito questo ministero an-che “contro” la volontà del “Papa”, quale fu- di fatto - la posizione della Fraternità SanPio X dal 1976 al 1980.

Le “Ordonnances” del 1980: prima usurpazio-ne dei poteri di giurisdizione riservati al Papa

Non a caso ho scritto: fino al 1980. Per-ché in questa data avvenne un fatto che ag-gravò considerevolmente la posizione dellaFraternità San Pio X, fatto contro il qualereagiva, per l’appunto, l’articolo già citatodell’abbé Belmont. “In un atto datato 1 mag-gio 1980, Mons. Lefebvre accorda ai suoi sa-cerdoti un certo numero di poteri e facilita-zioni canoniche o liturgiche. Egli giustificacosì questa delegazione:

‘In virtù delle facoltà accordate agli Ordi-nari con la Lettera Apostolica Pastorale Mu-nus del 30 novembre 1963, facoltà accordatea tutti i Vescovi dei paesi di missione, e ormai

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estese a tutta la Chiesa, deleghiamo i seguentipoteri...’” (18).

Si trattava della prima edizione delle“Disposizioni concernenti i poteri e facoltàdei membri della Fraternità Sacerdotale SanPio X” (19).

Senza considerare le questioni della le-gittimità di Paolo VI (che promulgò la Let-tera Apostolica Pastorale Munus) e dell’esi-stenza canonica della Fraternità san Pio X(pp. 2 e 3), l’abbé Belmont notava innanzi-tutto due cose:

1) Mons. Lefebvre non era, nel 1980, unOrdinario, e tanto meno un Ordinario di luo-go: non era pertanto destinatario delle “fa-coltà” eventualmente concesse da Paolo VIagli Ordinari del luogo. La cosa era evidente,ma ora anche Mons. Felley - nella nuova edi-zione delle “Ordonnances”, quella del 1997,da noi parzialmente pubblicata - lo ammettecandidamente: “Mons. Lefebvre, come ve-scovo e superiore generale della FraternitàSacerdotale San Pio X, pur non essendo piùOrdinario del luogo come lo era a Dakar,pensò di godere di una supplenza che gli per-metteva, in favore dei fedeli, di concedere aisuoi sacerdoti delle facoltà analoghe. Le pro-mulgò con le sue “Ordonnances” ad uso dellaFraternità, il 1 maggio 1980, seguendo la for-mula facultatum decennalium del 1960” (p.10). Pertanto, la Fraternità cambia i propriargomenti: Mons. Lefebvre, nel 1980, pensa-va poter “delegare” dei poteri che gli spetta-vano in quanto Ordinario, in base ad un attodi Paolo VI. Nel 1997 Mons. Felley affermache questi poteri non spettavano a Mons. Le-febvre, che non era più Ordinario, ma cheegli aveva ricevuti “per supplenza”.

2) Dei 51 poteri “delegati” da Mons. Le-febvre, 36 non si trovano in Pastorale Mu-nus, 4 sono stati estesi rispetto alla conces-sione di Paolo VI, e 3 non erano delegabili(cf Belmont, p. 4).

L’abbé Belmont ne concludeva che “chec-ché ne sia dell’Autorità di Paolo VI, questadelegazione di poteri ai sacerdoti della Frater-nità san Pio X è nulla e senza valore proprio.Su questo non c’è nessun dubbio possibile.Non si può allegare il fatto che Mons. Lefeb-vre utilizza i poteri molto estesi dei quali gode-va come Vescovo missionario, poiché (...)Mons. Lefebvre non è più Ordinario del Luo-go in paesi di Missione; e se anche lo fosse,potrebbe delegare solo nei limiti geograficidella sua giurisdizione” (p. 5). Un sacerdote

della Fraternità che aveva letto, prima dellapubblicazione, le osservazioni dell’abbé Bel-mont, ammise che Mons. Lefebvre non pote-va delegare questi poteri in quanto Ordinario(“sarebbe davvero grossa, in effetti”, scrive-va), ma in base alla supplenza della Chiesa(p. 8). L’abbé Belmont rispondeva con il te-sto da noi già citato, ricordando cioè che unasupplenza della “Chiesa” (in questo caso, diCristo), al di fuori dei casi previsti dal Diritto,è concepibile solamente in favore del poteredi Santificazione, e non per esercitare il pote-re di governo delle anime.

In base a questo principio, l’abbé Bel-mont denunciava in particolare due facoltàche Mons. Lefebvre accordava invalidamen-te alla Fraternità e ai suoi sacerdoti: quelladi Cresimare e quella di dispensare dagli im-pedimenti matrimoniali. Queste facoltà so-no state mantenute nelle “Ordonnances”del 1997 e, per quanto riguarda le dispensematrimoniali, sono divenute un “fondamen-to” per l’ulteriore sviluppo dei “poteri” del-la Fraternità: quello dei Tribunali canoniciper gli annullamenti matrimoniali (Cf il do-cumento di Mons. Tissier da noi riportato,estratto da Cor Unum, n. 61, p. 42, III, 3)(20). Torneremo su queste “facoltà”; ci bastinotare tuttavia che già dal 1980, la Frater-nità San Pio X si era arrogata dei poteri pu-ramente giurisdizionali che sono il privilegiodel Papa e dei suoi delegati...

Questa fu la situazione nella Fraternità -per quel che riguarda il nostro argomento -dal 1980 al 1988, quando Mons. Lefebvre -dopo il fallimento delle trattative con il Va-ticano - consacrò 4 Vescovi “ausiliari” assie-me a Mons. de Castro Mayer.

Le consacrazioni del 1988. Vescovi senzagiurisdizione?

Previste almeno dal 1983, preannunciatenel 1987, vennero infine le consacrazioni epi-scopali del 1988, prima concordate con Rat-zinger, poi fatte senza mandato romano (du-rante la cerimonia fu però letto un grottesco“mandato apostolico” scritto dalla Fraternitàinvece che dal Papa, nel quale si pretendevaaver ricevuto per le consacrazioni un manda-to dalla “Chiesa Romana” contrapposta alle“autorità della Chiesa Romana”) (21).

Con il Motu proprio Ecclesia Deiadflicta, Giovanni Paolo II dichiarò scomu-nicato Mons. Lefebvre, e scismatico il suo

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movimento. Mons. Lefebvre, invece, conti-nuò a riconoscere l’autorità di GiovanniPaolo II, il che - a nostro parere - rende ille-gittime le consacrazioni episcopali del 1988,poiché - per riprendere l’espressione diMons. Lefebvre stesso già citata - si compi-rono non “præter” ma “contra” la volontàdel “Papa” (non al di la, ma contro la vo-lontà del “papa”).

Ma, per seguire il tema che ci siamo fissa-ti, occorre vedere se le consacrazioni del1988 furono compiute secondo la logica - purerronea sull’autorità di Giovanni Paolo II -del primo periodo della Fraternità (1975-1980) o del secondo (dal 1980 in poi), ovverose Mons. Lefebvre attribuiva ai suoi “vesco-vi” esclusivamente una supplenza per eserci-tare il potere d’ordine in favore della santifi-cazione delle anime, oppure anche una veragiurisdizione - anche se supplita - per il go-verno delle anime. Bisogna distinguere infat-ti nell’episcopato il potere di ordine (che dàal vescovo, ad esempio, il potere di ordinaredei sacerdoti e di cresimare) dal potere digiurisdizione: il primo viene dal rito dellaconsacrazione episcopale, il secondo invecedal Papa (normalmente tramite il mandatopontificio). I vescovi consacrati senza appro-vazione pontificia hanno pertanto il poteredi ordine ma non il potere di giurisdizione.Consacrare dei vescovi - nella situazione at-tuale - è lecito, a condizione di non attribuirea questi vescovi un potere di giurisdizioneche possono ricevere solo dal Papa, ma soloil potere di ordine. È questa, in breve, la li-nea seguita da Mons. M.L. Guérard des Lau-riers e da noi stessi, al suo seguito (22).

Sembrò - in un primo tempo - che ancheMons. Lefebvre avesse adottato questa posi-zione: non solo egli diede come scopo dellaconsacrazione l’esercizio del potere d’ordine[“lo scopo principale di questa trasmissione èdi conferire la grazia dell’ordine sacerdotaleper la continuazione del vero Sacrificio dellasanta Messa, e per conferire la grazia del sa-cramento di cresima ai bambini e ai fedeliche ve lo chiedono”] (23) ma escluse esplicita-mente per i suoi vescovi un potere di giuri-sdizione: “se un giorno fosse necessario con-sacrare dei vescovi - scriveva il 27 aprile 1987- costoro avrebbero come unica funzione epi-scopale quella di esercitare il loro potered’ordine, e non avrebbero il potere di giuri-sdizione, essendo sprovvisti di missione ca-nonica” (24).

Prima ancora delle consacrazioni episco-pali, tuttavia, si cominciò ad applicare anchea questo caso la teoria della “giurisdizionesupplita” invocata precedentemente soloper l’amministrazione dei sacramenti. I ve-scovi eventualmente consacrati da Mons.Lefebvre avrebbero goduto di una vera epropria giurisdizione, ricevuta non dal Papama dalla Chiesa, la quale potrebbe agiresenza (e persino contro) il Papa, che dellaChiesa è il Capo visibile (25). In un librettosulle future consacrazioni, approvato daMons. Lefebvre, uno degli attuali membridella Commissione canonica, l’abbé Pivert,invocava di già, senza nessun fondamento, ilcan. 20 per giustificare le consacrazioni epi-scopali e l’esercizio di una vera giurisdizione(supplita) da parte di questi vescovi (26).

Dal testo del Pivert (che è senza dubbiouno dei “teologi” ispiratori delle Commissio-ni canoniche) non si capisce se questa “giuri-sdizione” che egli attribuisce ai vescovi lefeb-vriani sussiste solo per amministrare lecita-mente i sacramenti di Ordine e Cresima, op-pure se egli teorizzava di già, nel gennaio1988, una autorità di questi vescovi sui fedeli.È questa seconda ipotesi che è divenuta, manmano, la posizione della Fraternità e dellostesso Mons. Lefebvre, come denunciammodi già in almeno tre articoli di Sodalitium (27).Due lettere di Mons. Lefebvre (4 dicembre1990 e 20 febbraio 1991) in vista della consa-crazione episcopale di Mons. Rangel attribui-vano al futuro vescovo il carattere di succes-sore di Mons. de Castro Mayer quale vescovodi Campos in quanto designato dai sacerdotifedeli e dal popolo, dal quale egli riceverebbepure una vera giurisdizione. Da parte sua,l’abbé Laguerie non esitava a definirsi parro-co di Saint Nicolas du Chardonnet... In pub-blico, Mons. Tissier de Mallerais espresse -credo per la prima volta - l’opinione dellaFraternità San Pio X sulla questione con il di-scorso su Giurisdizione di supplenza e sensogerarchico che egli tenne a Parigi il 10 marzo1991 (Mons. Lefebvre era ancora vivo) aiCercles de la Tradition catholique (28). La tesidifesa dal vescovo lefebvriano è da lui cosìriassunta: “I vostri sacerdoti - si tratta dei vo-stri sacerdoti - i vostri vescovi, le vostre par-rocchie di tradizione, non hanno una autoritàordinaria, ma una autorità straordinaria, unaautorità di supplenza” (p. 94) che costituisceuna gerarchia, anch’essa di supplenza, da luidefinita “la gerarchia della Tradizione” (p.

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106). La giurisdizione - di supplenza - cheMons. Tissier attribuisce alla gerarchia dellaFraternità - la gerarchia della Tradizione -non si limita a rendere leciti e validi gli attisacramentali: essa si estende al potere di inse-gnare con autorità il gregge dei fedeli che lorichiedono (pp. 96-98). Da qui alla creazionedi veri e propri Tribunali “di Tradizione” ilpasso è breve, anzi - all’insaputa di tutti - eragià stato fatto: e proprio da Mons. Lefebvre...I documenti autentici della Fraternità che ab-biamo pubblicato e che qui commentiamo di-mostrano senza possibilità di discussionequanto abbiamo appena scritto.

I Tribunali canonici della Fraternità si attri-buiscono un vero e proprio potere di giuri-sdizione per governare i fedeli

Non è certo difficile dimostrare questaasserzione, poiché il fatto è ammesso spon-taneamente dallo stesso Mons. Tissier deMallerais: “si tratta di una vera giurisdizione,e non di una esenzione dal diritto e dall’ob-bligo che hanno i fedeli di accettare una sen-tenza. Pertanto, noi abbiamo il potere e il do-vere di emanare delle vere sentenze, con po-testatem ligandi vel solvendi [potere di legareo sciogliere]. Esse hanno pertanto valore ob-bligatorio. (…) Le nostre sentenze non sonosemplici opinioni private (…)” poiché “oc-corre un potere in foro esterno pubblico”(Cor unum, n. 61, IV, 4 pag. 43).

La Fraternità si attribuisce pertanto -seppur per supplenza - il potere di giurisdi-zione, e più esattamente il potere di giurisdi-zione in foro esterno, che ha “effetti giuridicipubblici” (29). Ricordiamo che questa giuri-sdizione “è immediatamente diretta a reggerei fedeli in ordine al conseguimento della vitaeterna” e non “a santificare le anime attraver-so l’offerta del sacrificio della Messa edell’amministrazione dei sacramenti”, com’èproprio al potere d’ordine (29). La giurisdi-zione così definita “si esplica sia con l’auto-revole insegnamento delle verità rivelate (sa-cro magistero) sia con la promulgazione del-le leggi (potestà legifera), con l’autentica de-cisione delle cause sorte tra i sudditi (potestàgiudiziale), con l’applicazione di sanzionipenali contro i trasgressori della legge (pote-stà coattiva). Sono queste ultime tre funzionidello stesso sacro imperio giurisdizionale, dicui è insignita la Chiesa come società perfetta[al pari dello Stato]” (ibidem).

La Fraternità, attribuendosi questo pote-re di giurisdizione, si arroga di fatto il poteredi governare (potestas regiminis) i fedeli, po-tere che è proprio della Chiesa. Essa non hamancato di attribuirsi i vari poteri nei qualisi esplica la suddetta giurisdizione.

La Fraternità si attribuisce il potere di Magi-stero proprio dell’Autorità ecclesiastica

Nella conferenza tenuta a Parigi nel 1991,e da noi già citata, Mons. Tissier de Malleraisattribuiva ai sacerdoti e ai vescovi della Fra-ternità una giurisdizione supplita. Ora, eglistesso, parlando di potere di giurisdizione,intende soprattutto il potere di insegnare:“nella Chiesa si distingue, come certamentesapete, tra potere d’ordine e potere di giurisdi-zione; ‘andate nel mondo intero, a predicare ilvangelo’ docete omnes gentes ‘insegnate a tut-te le nazioni’: è questo il potere di giurisdizio-ne. ‘Insegnate’ o anche ‘insegnate loro a ri-spettare tutto ciò che vi ho ordinato’, a osser-vare i comandamenti di Dio; dirigere il greg-ge, è il potere di giurisdizione” (loc. cit., pp.96-97). Il senso ovvio di queste parole è chela Fraternità si attribuisce il potere di inse-gnare con autorità – seppur per supplenza –il che dipende dal potere di giurisdizione, enon solo la capacità di esortare al bene, chepuò derivare dal potere d’ordine. Questa in-terpretazione è assolutamente certa per quelche riguarda Mons. Lefebvre, considerato daMons. Bernard Tissier de Mallerais, in un ar-ticolo pubblicato sulla rivista Fideliter (n. 72,p. 10) nel 1989, non solo una voce del Magi-stero, ma il Magistero stesso, dimenticandoche, non essendo più vescovo residenziale,

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Mons. Lefebvre non era neppure più mem-bro della gerarchia di giurisdizione ed orga-no del magistero ecclesiastico. “Che cosa re-sta del magistero nella Chiesa? – scrisseMons. Tissier – È di fede che il Signore hadato alla Sua Chiesa un Magistero vivente eperpetuo, vale a dire delle voci pontificie edepiscopali che, a ogni epoca e nel presente,siano l’eco della divina rivelazione, il ripetito-re della tradizione. Ebbene, questo magistero,almeno per quel che riguarda le verità negatedai conciliari, è in Mons. Lefebvre che lo tro-viamo in maniera sicura. Il vero eco della tra-dizione, il testimone fedele, il buon pastoreche le pecore semplici hanno saputo discerne-re in mezzo ai lupi coperti da pelli di pecora èlui. Sì, la Chiesa ha un magistero vivente eperpetuo, e Mons. Lefebvre ne è il salvatore.L’indefettibilità della Chiesa è l’Arcivescovoinflessibile (…)”.

Se le cose stanno così, dove si trova allorail magistero vivente e perpetuo, dove l’inde-fettibilità della Chiesa, dopo la morte diMons. Lefebvre? Forse nei vescovi da lui con-sacrati? Lo scrisse sulla rivista Le Sel de la ter-re (n. 1, pp. 39-50 e n. 3, pp. 51-61) un teologodella Fraternità San Pio X, l’abbé ArnaudSélégny, allora professore al seminario Saint-Curé-d’Ars di Flavigny. Riportiamo quantogià pubblicammo a proposito su Sodalitium(n. 33, aprile 1993, pp. 29-30). A nostro pare-re, “alla Fraternità ed ai suoi vescovi [sono at-tribuiti] i caratteri propri alla sola Chiesa Cat-tolica ed ai vescovi dotati di autorità da partedel Papa. Secondo Sélégny, le consacrazionidel 30 giugno 1988 sono ‘una prova dell’inde-fettibilità della Chiesa’ (Sel de la terre, n. 1, p.38), e ancora: ‘ciò mostra la necessità delleconsacrazioni del 30 giugno 1988; poiché, perpoter parlare d’indefettibilità della Chiesa, oc-corre che a tutte le epoche ed in tutti i momentidella sua storia, ci sia un magistero che predi-chi infallibilmente e dei fedeli che aderiscanosimilmente a questo insegnamento, quale chesia il numero effettivo di questi vescovi e diquesti fedeli. Mons. Lefebvre (…) non potevanon dare alla Chiesa il mezzo di salvaguardarela sua indefettibilità. Tradidi quod et accepi:spetta a noi adesso, sotto la direzione del magi-stero, conservare questo deposito’ (Sel de laterre, n. 3, p. 66). L’insegnante dei giovani se-minaristi della Fraternità (!) don Sélégny affer-ma pertanto esplicitamente:

a) che solo i vescovi della Fraternità assi-curano l’indefettibilità della Chiesa;

Lo stemma di Mons.Tissier de Mallerais,

che è il presidentedella commissione

San CarloBorromeo

b) che essi soli esercitano il magistero in-fallibile.

Posizioni assurde, poiché il potere magiste-riale deriva ai vescovi esclusivamente tramite ilSommo Pontefice, il quale non ha mai accor-dato tale potere a quelli della Fraternità (…)”.

Mons. Lefebvre, lo abbiamo ricordato,non era più organo del magistero ecclesiasti-co, avendo rinunciato alle diocesi di Dakar edi Tulle; tuttavia per lunghi anni esercitò –con Pietro e sotto Pietro – questo compito. Ivescovi da lui consacrati invece (come purequelli consacrati da Mons. Thuc) non hannomai ricevuto dal Papa tale ufficio, e non pos-sono esercitare in alcun modo, né hanno maiesercitato, il potere di insegnare nella Chie-sa come dottori autentici (e, in ogni caso,non infallibili!).

Ci sembra di aver dimostrato la tesi diquesto capitolo: “la Fraternità si attribuisce ilpotere di Magistero proprio dell’autorità ec-clesiastica”. Ci sembra di aver dimostratoche questa pretesa è infondata. Resta il pro-blema dell’indefettibilità della Chiesa (equindi anche del suo potere di magistero): sitratta di una questione vitale, ma che esuladalla nostra trattazione (29 bis); in ogni caso, leconsacrazioni del 30 giugno 1988 non sonosufficienti – è il meno che si possa dire – perassicurare questa necessaria indefettibilità.

La Fraternità si attribuisce il potere legislati-vo proprio dell’Autorità ecclesiastica

Fare le leggi è il proprio dell’Autorità (cfSodalitium, n. 48, pp. 25-26). Ora, la Frater-nità si attribuisce la facoltà di legiferare inmateria ecclesiastica. Quindi, essa si attri-buisce l’Autorità ecclesiastica.

La minore del ragionamento non è diffi-cile da provare.

Innanzitutto, si tratta di una conseguenzaimplicita del potere di giurisdizione in foroesterno che si attribuisce la Fraternità, comeabbiamo già dimostrato. Ora, in questo pote-re è contenuto il potere legislativo. Ergo.

Nei fatti, poi, la Fraternità si attribuiscequesto potere, almeno in due casi: nel creareuna nuova legislazione canonica, e nell’attri-buirsi il potere di dispensare.

Esaminiamo il primo caso. Un tempo,forse ancora oggi, i candidati al sacerdoziodella Fraternità dovevano giurare – tra le al-tre cose – di accettare la posizione che sareb-be stata presa dai superiori a riguardo del

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nuovo codice di diritto canonico. Oggi que-ste decisioni sono state prese, come si evincedelle “Ordonnances...” del 1997, applicandoal diritto della Chiesa il principio lefebvrianodel “colino” o “setaccio” (30) che ho già evo-cato, e che era stato precedentemente appli-cato al magistero e alla disciplina: “accettia-mo le novità intimamente conformi alla Tra-dizione e alla Fede. Noi non ci sentiamo vin-colati dall’obbedienza a novità che vannocontro la Tradizione e minacciano la nostraFede” (31). Le autorità della Fraternità, cioè,si attribuiscono il potere di scegliere (“ere-sia”, in greco, significa per l’appunto “scel-ta”) nel magistero e nella legislazione di Gio-vanni Paolo II quello che viene giudicato“tradizionale”, per scartare il resto. Ecco co-me le “Ordonnances” del 1997 (a p. 4) appli-cano il principio suddetto al nuovo codice didiritto canonico promulgato da GiovanniPaolo II: “il nuovo codice di diritto canonico,promulgato il 25 gennaio 1983, impregnato diecumenismo e personalismo, pecca grave-mente contro la finalità stessa della legge (32).Perciò, ci atteniamo in linea di principio alcodice del 1917 (con le modifiche introdotteposteriormente). Tuttavia, nella pratica e sudei punti precisi, possiamo accettare del nuo-vo codice ciò che corrisponde a uno sviluppoomogeneo, a un migliore adattamento allecircostanze, a una utile semplificazione; accet-tiamo anche in genere ciò che non possiamorifiutare senza metterci in difficoltà con la le-gislazione ufficialmente accettata, quando è inquestione la validità degli atti. In questo casorafforziamo la nostra disciplina per avvici-narla a quella del codice del 1917 (cf Corunum, n. 41, pp. 11-13)”. A parte l’arbitrarioinevitabile adottando questo metodo, ci chie-diamo: poiché il codice del 1983 sostituiscequello del 1917, come possono sussistere,nella Chiesa, due legislazioni che si escludo-no? Se Giovanni Paolo II è Papa, è in vigoreesclusivamente la legislazione del 1983. Senon lo è, quella del 1983 non esiste, e sussistequella del 1917. Per la Fraternità San Pio Xinvece i due codici di leggi sono entrambi invigore. O meglio: in vigore è un terzo codice,il cui autore non è Benedetto XV (che pro-mulgò quello del 1917) o Giovanni Paolo II(autore di quello del 1983) ma Mons. Felley,superiore generale della Fraternità, ed i suoicollaboratori: un codice composto “in princi-pio” dalle leggi del 1917, “in pratica”, in certicasi, da quello del 1983, sempre, da un ibrido

di queste due legislazioni con l’aggiunta dinovità create ex novo dalla Fraternità (ad es.- a p. 57 delle “Ordonnances” - le estensionidegli impedimenti proibenti di matrimonioper religione mista, fino ad includere, alme-no nella pratica, i “cattolici conciliari”!). Misembra quindi accertato che la Fraternità, difatto se non di diritto, si attribuisce il poterelegislativo, creando una nuova legislazionecanonica, che non è né quella pre-conciliare,né quella post-conciliare.

Ma la Fraternità si attribuisce il poterelegislativo anche nel concedere le dispenseda impedimenti, irregolarità e voti, e questofin dal 1980.

Il potere di dispensare dalla legge, infat-ti, è di esclusiva competenza di chi può farela legge.

Ora, la Fraternità si attribuisce il poteredi dispensare dalla legge.

Quindi, la Fraternità si attribuisce il pote-re legislativo nella Chiesa, il che è in ultimaanalisi il proprio della Suprema Autorità.

La “maggiore” del nostro ragionamento èchiaramente espressa dal canone 80: “la di-spensa, ovvero l’esonero dall’osservanza diuna legge in un caso speciale, può essere con-cessa dal legislatore, dal suo successore o supe-riore, o da colui al quale i medesimi hannoconcesso la facoltà di dispensare” (32 bis). I cano-ni successivi (81-82-83) precisano che il potereordinario di dispensare è proprio del Papa perle leggi generali della Chiesa e dell’Ordinarioper quelle particolari, e non del Parroco.

In particolare, le dispense dagli impedi-menti matrimoniali sono di pertinenza delPapa (can. 1040) tramite le CongregazioniRomane; le dispense dalle irregolarità perricevere l’Ordine sacro all’ordinario del luo-go (can. 990), e le dispense dai voti riservati,spettano ancora al Papa (can. 1309). In ognicaso, sottolineo per il lettore il principio ge-nerale per quel che riguarda le dispense, ov-verosia che la dispensa è sempre un atto digiurisdizione - e pertanto di autorità - chespetta al legislatore (o a un suo delegato).

La “minore” del nostro ragionamento (laFraternità si attribuisce il potere di dispensaredalla legge) è incontestabile, ed è abbondan-temente dimostrata dai documenti che pub-blichiamo. In particolare, è attribuito alle “au-torità” della Fraternità il potere di dispensaredagli impedimenti matrimoniali (“Ordonnan-ces” del 1980, pp. 17 e 18, “Ordonnances” del1997, capp. V e VI, e p. 8: istituzione, dal

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1991, della Commissione canonica) e dai votidi religione (nella Fraternità è Mons. de Ga-larreta che è incaricato della bisogna, con giu-risdizione non solo sui membri della Frater-nità, ma anche sugli appartenenti alle altre so-cietà religiose: “Ordonnances”, pp. 43-46; CorUnum, n. 61, p. 34).

La Fraternità si attribuisce il potere giudi-ziale proprio dell’Autorità ecclesiastica

Oltre che il potere di fare le leggi, la Fra-ternità si attribuisce anche il potere di giudi-care in base a queste leggi? La risposta saràpositiva se constateremo l’esistenza nellaFraternità di veri e propri Tribunali, proces-si, giudici e sentenze. La prova sarà facilissi-ma, poiché, lo abbiamo visto, la Fraternità haistituito dei Tribunali per “giudicare sullenullità dei matrimoni” “mediante diversi tri-bunali istituiti ad casum” (Cor unum, p. 33):tutto lo studio che abbiamo pubblicato diMons. Tissier de Mallerais ha per scopo ladifesa della “legittimità… dei nostri tribunalimatrimoniali”. Qualcuno potrebbe obiettareche non di vere sentenze si tratta, ma solo diconsigli o di opinioni espresse dai teologidella Fraternità per tutelare la coscienza deipropri fedeli. Ma non è così. Mons. Tissier deMallerais precisa esplicitamente che “abbia-mo il potere e il dovere di emanare vere sen-tenze, con potestatem ligandi vel solvendi (…)Le nostre sentenze non sono delle sempliciopinioni private” (Cor unum, IV, 4, p. 43).Pertanto, è evidente ed innegabile che laFraternità si attribuisce il potere giudiziale.

La Fraternità si attribuisce il potere coerciti-vo proprio dell’Autorità ecclesiastica

Quest’ultima tesi è un corollario delleprecedenti; infatti il Codice di diritto canoni-co ricorda che “coloro che godono del poteredi fare delle leggi o di imporre dei precettipossono anche aggiungere delle pene alla leg-ge o al precetto…” (can. 2220 § 1). Poiché, loabbiamo visto, la Fraternità si attribuisce ilpotere legislativo, perché non dovrebbe go-dere anche di quello coercitivo? Il capitoloVII delle “Ordonnances” tratta, per l’ap-punto, “dei delitti e delle pene”, ove si dichia-ra seguire le pene stabilite dal nuovo codice.Le “Ordonnances” insistono soprattutto sul“potere”, attribuito ai sacerdoti della Frater-nità, di assolvere dalle pene e dalle censure

(pp. 71-75), presentando il caso veramenteparadossale di sacerdoti “scomunicati” cheassolvono dalle scomuniche! Invece di invia-re i colpevoli agli organi competenti quali laSacra Penitenzeria o il Vescovo diocesano(ricordiamo che la Fraternità riconosce l’au-torità di Giovanni Paolo II) le “Ordonnan-ces” (p. 72) stabiliscono come principio ge-nerale di rivolgersi alle autorità della Frater-nità, al superiore generale o al presidentedella commissione canonica, anche per i casiriservati alla Santa Sede!

La Fraternità tuttavia prevede non solola possibilità di assolvere in proprio dallecensure e dalle pene, anche quelle riservateal Papa, ma anche la possibilità di commina-re essa stessa delle pene! “Oltre le censurelatæ sententiæ, ci sono le censure ferendæsententiæ, le pene vendicative, i rimedi penalie le penitenze, delle quali si può far uso perpunire un delitto” (Ordonnances, p. 68).Questo “si può”, si riferisce alle autorità del-la Chiesa o a quelle della Fraternità? Certa-mente anche quelle della Fraternità, com’èprevisto in seguito per l’assoluzione dallapena (p. 72): “una pena inflitta da un supe-riore è sottoposta a quest’ultimo, ma se sitratta di un superiore ‘novus ordo’ essa puòessere sottoposta al superiore di rango equi-valente nella Fraternità, che avrà il compito,se lo riterrà utile, di consultare il suo confra-tello ‘novus ordo’ [quindi, è previsto anche ilcaso di una pena inflitta dal superiore ‘tradi-zionalista’, n.d.r.]. Tutte le altre pene posso-no essere sottomesse al superiore di distrettodove è stato commesso il delitto”.

Attribuendosi il potere legislativo, giudizialee coercitivo, indipendentemente da ogni po-tere superiore, la Fraternità si costituisce difatto come una Chiesa autonoma

Abbiamo visto prima come la Chiesapossieda i tre poteri – legislativo, giudiziarioe coercitivo – in quanto società perfetta, in-dipendente cioè nel conseguimento del suofine da qualsiasi altra società. Ora la Frater-nità si attribuisce di fatto questi tre poteri(per non parlare del magisteriale). Dunque,la Fraternità si costituisce come società per-fetta, come Chiesa autonoma (seppur permodo di supplenza). Quanto detto è tantopiù vero che la Fraternità, pur riconoscendoun potere superiore, quello di GiovanniPaolo II, lo svuota di fatto di qualsiasi effi-

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cacia e realtà, attribuendosi d’un lato dei po-teri papali, e vietando dall’altro ai propri fe-deli il ricorso al Papa.

Lo svuotamento dei poteri papali a favo-re delle autorità della Fraternità è una co-stante nei documenti che stiamo esaminan-do (33). Mons. Tissier stesso ammette, a pro-posito dei Tribunali della Fraternità: “è veroche le nostre sentenze in terza istanza rim-piazzano le sentenze della Rota romana, chegiudica in nome del papa come un tribunaledi terza istanza” (Cor unum, IV, 5, p. 43).Mons. Lefebvre stesso attribuiva alle Com-missioni canoniche della Fraternità il compi-to di supplire “in un certo senso alla defezio-ne delle Congregazioni romane” (Cor unum,p. 34). Ora, le Congregazioni romane ed iTribunali costituiscono la Curia Romana(can. 242) e i loro atti sono atti della SantaSede (cann. 7 e 9) (34). La pretesa pertantodella Fraternità e di mons. Lefebvre di sup-plire alle congregazioni romane equivale al-la pretesa, da parte loro, di supplire niente-meno che alla Santa Sede.

Ma non solo la Fraternità soppianta cosìla Santa Sede; essa proibisce anche ai proprifedeli – sotto giuramento – di ricorrere ad es-sa, pur riconoscendone, lo ricordiamo, l’auto-rità! Chi desidera ricevere dalla Fraternitàl’annullamento del matrimonio, ad esempio,deve giurare “di non rivolgermi ad un tribu-nale ecclesiastico ufficiale per fargli esaminareo giudicare la mia causa” (Cor unum, p. 45),poiché il principio è che i fedeli “non hanno ildiritto di ricorrere ai tribunali novus ordo”(Cor unum, II, 1, p. 40) “anche se per impos-

Don Schmidberger, primo successore di Mons Lefebvre

sibile si potesse trovare un tribunale ufficialeche giudichi delle cause matrimoniali secondole norme tradizionali” (Cor unum, IV, 3, p.43) (35). Ora, il ricorso alla Santa Sede è un di-ritto di ogni fedele a causa del primato delRomano Pontefice (can. 1569): vietare que-sto ricorso è una pratica negazione del prima-to e una netta dichiarazione di scisma.

Una conferma a quanto ho appena di-mostrato ci viene dall’istituzione da partedella Fraternità di una gerarchia parallelache supplisce e soppianta la gerarchia “uffi-ciale” della Chiesa, che pur viene ricono-sciuta come tale da Ecône…

Conferma della tesi precedente: la Fraternitàha – di fatto – istituito una gerarchia parallela

L’occupazione della chiesa parrocchialedi Saint-Nicolas de Chardonnet a Parigi,diede l’occasione ai membri della Fraternitàdi attribuire al sacerdote che ufficia dettachiesa il titolo di “parroco”. L’abbé Lague-rie prese così sul serio questa pretesa dascrivere al Presidente della repubblica Mit-terrand qualificandolo come suo parrocchia-no! (36). È evidente a tutti che non basta oc-cupare una parrocchia per essere parroco,ma che per rivestire tale carica si deve esse-re nominati dal vescovo locale, come l’occu-pazione della basilica di san Pietro o del La-terano non darebbe all’occupante i poteridel Vicario di Cristo… Ma Mons. Lefebvrenon limitò al caso di Saint-Nicolas la pretesadi costituire delle “vere parrocchie”. Il 27ottobre 1985, a Ginevra, egli pronunciò que-ste parole durante l’omelia della Messa diCristo Re: “Io penso che oramai dobbiamoconsiderare i nostri luoghi di culto come del-le vere parrocchie. Sono le nostre parrocchie,dove facciamo battezzare i nostri figli, doveassistiamo al Santo Sacrificio della Messa,dove i bambini ricevono il vero sacramentodella Cresima, dove ci si può confessare (…).Nelle nostre cappelle dobbiamo ricevere puretutti i sacramenti, incluso il sacramento delmatrimonio” (Fideliter, n. 49, gennaio-feb-braio 1986, pp. 20-21). In seguito, dopo leconsacrazioni episcopali, si è fatta stradanella Fraternità l’idea di una “gerarchia del-la Tradizione” che dovrebbe supplire, e sup-plisce di fatto, la “gerarchia ufficiale”.

Il 10 marzo 1991, Mons. Tissier de Mal-lerais riassumeva così questa tesi: “i vostrisacerdoti – si tratta dei vostri sacerdoti, dei

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vostri vescovi, delle vostre parrocchie di tra-dizione – non hanno una autorità ordinaria,ma una autorità straordinaria, una autorità disupplenza” (op. cit., p. 94). Dopo aver defi-nito la giurisdizione come “un potere del su-periore sul suo gregge, del pastore sulle suepecorelle”(ibidem, p. 96), Mons. Tissier at-tribuisce ai sacerdoti della Fraternità ungregge che non gli verrebbe affidato dai ve-scovi o dal Papa, ma dalla “Chiesa”: “in si-tuazione di crisi – disse ai fedeli che lo ascol-tavano – è chiaro che i vostri sacerdoti nonpossono ricevere dai loro superiori nellaChiesa ufficiale, dai vescovi diocesani e nep-pure dal papa, un gregge, poiché viene lororifiutato. Quindi questa autorità su di ungregge sarà data loro in un altro modo: permodo di supplenza. È la Chiesa che darà aisacerdoti un potere, come il potere del pasto-re sul suo gregge” (p. 97).

Questo testo di Mons.Tissier racchiudegià alcune contraddizioni. Innanzitutto eglioppone i vescovi diocesani e il Papa (ovverola Chiesa gerarchica) alla Chiesa (in quantoCorpo mistico di Gesù Cristo, p. 99): laChiesa potrebbe concedere quello che il Pa-pa rifiuta. In seguito, sembra ignorare o ne-gare che chi dà la giurisdizione supplita èproprio il Papa: dato che Mons. Tissier am-mette che il Papa rifiuta la giurisdizione aisacerdoti della Fraternità, non si vede comelo stesso Papa la possa nello stesso tempoconcedere. Infine, egli attribuisce alla giuri-sdizione di supplenza la capacità di affidareal sacerdote un gregge da governare: questoimplica una pluralità di persone stabilmenteaffidata a un pastore. Ora, Mons. Tissierstesso spiega poco dopo come la giurisdizio-ne supplita si eserciti invece caso per caso susingoli individui (p. 99) (37). Come si puòparlare, in questo caso, di gregge?L’ambiguità della tesi di Mons. Tissier de

Mallerais – come l’espose nel 1991 - siriscontra anche quando parla – per laprima volta, a mia conoscenza – di una“gerarchia della Fraternità” o “gerarchiadella Tradizione” (p. 106). Essa non è lagerarchia della Chiesa (p. 104), anchese “gli assomiglia” (p. 105). La Frater-nità – lo sappiamo – non accetta il sede-vacantismo, si considera sempre in co-munione con quella che chiama la ge-rarchia della “Chiesa Conciliare” o del-la “Chiesa ufficiale”: Papa e vescovidiocesani (p. 104). A questa gerarchia

però essa affianca una gerarchia “disupplenza”: la “gerarchia della Tradi-zione”. Ma nei fatti il fedele non dovràrivolgersi alla gerarchia “ufficiale”, masempre e solo a quella della “Tradizio-ne”. Poiché “la gerarchia (cf can. 108§3)si allontana in gran parte dalla fede cat-tolica, i fedeli non possono in genere ri-cevere da essa i soccorsi spirituali senzapericolo per la fede” (Ordonnances, p.5). Per cui, “anche nel caso in cui nonc’è, di fatto, necessità” (ivi, p. 6), i fedelidovranno ricorrere alla “gerarchia dellaTradizione”, che poi nella pratica non ècostituita da tutti i sacerdoti fedeli adetta tradizione, ma da quelli della Fra-ternità. E poiché la Fraternità comportauna gerarchia (semplice sacerdote, prio-re, superiore di distretto, superiore ge-nerale) anche la gerarchia della Tradi-zione sarà strutturata allo stesso modo.“Di per sé, per quel che riguarda i fedeli,i semplici sacerdoti hanno lo stesso pote-re di supplenza di un priore o di un su-periore di distretto. Ma per disposizionepratica, con lo scopo di conservare ilsenso gerarchico proprio allo spirito del-la Chiesa, e di rimettere i casi più graviad una istanza più elevata, certi poterisono riservati all’autorità superiore, se-condo una analogia con la gerarchianormale, secondo le seguenti regole:

- I priori e sacerdoti responsabili di cappellesono equiparati a dei parroci personali,come i cappellani militari [non si trattaquindi di una vera giurisdizione di sup-plenza, caso per caso, ma una prelaturapersonale, che è una giurisdizione ordi-naria n.d.r.].

- I superiori dei distretti, dei seminari e dellecase autonome, come pure il superioregenerale e i suoi assistenti, benché inprincipio abbiano giurisdizione solo suipropri sudditi (sacerdoti, seminaristi, fra-telli, oblati, famigliari), sono equiparati adegli Ordinarî personali, come gli Ordi-narî militari, nei confronti dei fedeli e deisacerdoti dei quali hanno cura d’anime[stessa osservazione di quella preceden-te, n.d.r.].

- I vescovi della Fraternità, sprovvisti di ognigiurisdizione territoriale, godono tutta-via di una giurisdizione suppletoria ne-cessaria all’esercizio dell’ordine episco-pale e di certi atti della giurisdizione

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episcopale ordinaria [ne segue che essirivendicano la giurisdizione non soloper la santificazione delle anime me-diante il potere d’ordine, ma anche peril governo delle anime, n.d.r.]” (Ordon-nances, p. 7).

Oltre a queste strutture gerarchiche pa-rallele, la Fraternità ha creato anche nel1991 la “Commissione canonica” e un “ve-scovo incaricato dei religiosi” “per continua-re dopo la sua morte l’ufficio che Mons. Le-febvre ha svolto in maniera suppletoria, inqueste materie, dal 1970 al 1991” (Ordon-nances, p. 8), per supplire alla defezione del-le Congregazioni Romane (in particolare ledispense e le sentenze dei tribunali dellaFraternità rimpiazzano – e usurpano – le fa-coltà del Sant’Uffizio, della Sacra Penitenze-ria, della Propaganda Fide, delle Congrega-zioni per i Religiosi, dei Sacramenti e delleChiese Orientali).

Di fatto, quindi, anche se non di diritto ein principio, la Fraternità ha creato unastruttura gerarchica stabile che sostituisceper il fedele il parroco, il vescovo diocesanoe la Santa Sede (Congregazioni e Tribunali).Manca, alla gerarchia della Fraternità, il so-lo Papa, ma non per questo Giovanni PaoloII – riconosciuto a parole come tale – svolgequesta funzione, giacché è normalmenteproibito ricorrere a lui.

Notiamo infine che i poteri di questa ge-rarchia “della tradizione” si esercitano nonsolo sui membri della Fraternità e sui lorofedeli, ma anche sulle altre realtà “tradizio-nali” esistenti al di fuori della Fraternità. Seesistesse infatti una giurisdizione di supplen-za come è concepita dalla Fraternità, essadovrebbe logicamente spettare – in manieraeguale – a “tutti i vescovi e i sacerdoti fedelialla tradizione”, come riconoscono le Or-donnances (p. 6). Non si capisce allora cometutti debbano sottoporsi ai Tribunali dellaFraternità e non a quelli che – con la mede-sima “autorità” – potrebbero creare altriIstituti tradizionalisti (38), e che addiritturadei “religiosi” estranei alla Fraternità deb-bano sottostare – per la dispensa dai voti, adesempio - al “vescovo per i religiosi” istitui-to dalla Fraternità stessa, mentre i membridella Fraternità devono rivolgersi al supe-riore generale (Ordonnances, p. 45). Ci chie-diamo in virtù di che cosa il vescovo per i re-ligiosi, Mons. De Galarreta, abbia più poteridel superiore dei domenicani di Avrillé o

dei cappuccini di Morgon (per fare un esem-pio) per accordare un “indulto di secolariz-zazione” ai frati di questi conventi (in realtànessuno di essi ha alcun potere per accorda-re questo indulto). L’unica risposta possibileè che la Fraternità San Pio X, pur negandoloa parole ed in principio (39), considera di fat-to la sua propria gerarchia interna come lavera gerarchia della Chiesa.

La Fraternità cerca di giustificare la propriaposizione con l’autorità di Mons. Lefebvre,presupponendo falsamente la sua infallibilità

Abbiamo visto come l’istituzione di unagerarchia parallela e di veri e propri tribuna-li ecclesiastici da parte della Fraternità siacosa di estrema gravità: non pochi, a ragio-ne, hanno parlato di scisma. Ora, di fronte auna questione così grave, qual è il primo ar-gomento che Mons. Tissier de Malleraispropone su Cor unum per dimostrare la le-gittimità dei tribunali della Fraternità?“Monsignor Lefebvre (…) – scrive – ha pre-visto la creazione della Commissione canoni-ca, in particolare per risolvere le cause matri-moniali dopo un primo giudizio emanato dalsuperiore di distretto. L’autorità del nostrofondatore è sufficiente affinché noi accettia-mo questi organismi, esattamente come ab-biamo accettato le consacrazioni episcopalidel 1988” (Cor unum, p. 37, Status quæstio-nis). Mons. Tissier non è nuovo a dichiara-zioni di questo genere, e proprio a propositodelle consacrazioni episcopali. Abbiamo giàdetto su Sodalitium cosa si deve pensare ditali “candide ammissioni” (40) di Mons. Tis-sier o di altri esponenti della Fraternità (41).Essi limitano all’estremo l’infallibilità delPapa mentre non mettono limiti a quella diMons. Lefebvre. In questo modo – scrivem-mo – Mons. Tissier “sostituisce come criteriodi cattolicità un vescovo al Papa. (…) In que-sto modo Tissier rivoluziona totalmente lacostituzione divina della Chiesa opponendoil carisma di una (presunta) santità a quellodell’autorità papale”. Il testo di Mons. Tis-sier che stiamo commentando – coevo aquello che denunciammo a suo tempo: sonoentrambi del 1998 – conferma purtroppo laderiva “carismatica” della Fraternità, manon porta certo un argomento sufficiente al-la legittimità dei suoi tribunali, malgrado ilrispetto e la stima che si possono avere perMons. Lefebvre.

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La Fraternità cerca di giustificare la propriaposizione negando di usurpare il potere delPapa. In realtà essa si oppone al primato digiurisdizione del Papa

Nel suo articolo pubblicato su Cor unum,Mons. Tissier cerca di giustificare la “legitti-mità (…) dei nostri tribunali matrimoniali”.Stupisce allora che egli consacri solo pocherighe a quella che sembra essere la prima edinsormontabile difficoltà: così facendo, laFraternità non usurpa forse un potere chespetta al Papa per diritto divino? Mons. Tis-sier si limita a rispondere: “È vero che le no-stre sentenze in terza istanza rimpiazzano lesentenze della Rota romana, che giudica innome del papa come un tribunale di terzaistanza. Ma non si tratta di una usurpazionedi un potere di diritto divino del papa, poichéil fatto che questa terza istanza sia stata riser-vata al papa dipende solo dal diritto ecclesia-stico!” (Cor unum, IV, 5, p. 43).

L’entusiasmo del punto esclamativo nonpuò mascherare la debolezza della rispostadel presidente della Commissione canonicadella Fraternità. Può darsi che, storicamen-te, la Santa Sede abbia avocato a sé l’ultimogrado di giudizio dei processi matrimonialisolo tardivamente, e quindi per diritto eccle-siastico, esattamente come impose poco apoco l’obbligo del mandato romano per leconsacrazioni episcopali; transeamus. Il pun-to in questione è piuttosto il seguente: attri-buendosi dei poteri puramente giurisdizio-nali e di governo senza il Papa (e persinocontro di lui, supponendo la legittimità diGiovanni Paolo II) la Fraternità non víolaforse il primato di giurisdizione del Papa,che è di diritto divino? La risposta non puòessere che affermativa.

Ricordo innanzitutto quanto già detto aproposito del canone 1569 § 1, che è rimastotale e quale nel nuovo codice (canone1417 § 1). Esso recita:

“In forza del primato del Romano Pon-tefice, qualunque fedele ha il diritto di defe-rire al giudizio della Santa Sede la propriacausa, sia contenziosa sia penale, in qual-siasi grado di giudizio e in qualunque stadiodella lite, oppure di introdurla davanti allamedesima” (cf Concilio Vaticano I, Cost.dogmatica Pastor æternus, Denz. Sch. 3063).

Ora, il giudizio in terza istanza (42) nellecause matrimoniali presso la Sacra Rota(presso cioè il tribunale della Santa Sede)

rimpiazzato dalle sentenze del tribunale del-la Fraternità, impedisce ai fedeli di deferireal giudizio della Santa Sede la propria causa.

Quindi l’istituzione dei tribunali dellaCommissione canonica della Fraternità perrimpiazzare quelli della Santa Sede attenta-no al primato del Romano Pontefice.

Ora il primato di giurisdizione spetta alRomano Pontefice per diritto divino (Denz.Sch. 3059).

Quindi l’istituzione dei tribunali della Fra-ternità è contraria al diritto divino, e non soloal diritto ecclesiastico, per cui non può esseregiustificata neppure dallo stato di necessità.

Alla stessa conclusione possiamo giunge-re con un ragionamento ancora più radicale,a prescindere cioè dalle questione dell’appel-lo alla Santa Sede. La Fraternità potrebbeinfatti rinunciare a sostituire la Sacra Rota,limitandosi a sostituire i tribunali diocesani:sarebbe possibile senza negare di fatto il pri-mato di giurisdizione del Sommo Pontefice(che la sede sia vacante o a maggior ragionese essa è occupata)? Pensiamo di no.

Infatti, “il Romano Pontefice, Successo-re di San Pietro nel primato, ha non soloun primato di onore, ma anche un supremoe pieno potere di giurisdizione su tutta laChiesa sia nelle cose che concernono la fedee la morale, sia in quelle che riguardano ladisciplina e il governo della Chiesa disper-sa nel mondo intero. Questo potere è vera-mente episcopale, ordinario e immediatosia su tutte le chiese e ciascuna di esse, siasu tutti e singoli i pastori e fedeli, (potere)indipendente da qualunque autorità uma-na” (can. 218; cf Vaticano I, Cost. dogmati-ca Pastor æternus, Denz. S. 3059-3064). Con-seguentemente, egli è “giudice supremo intutto l’orbe cattolico” (can. 1597; cf Denz.Sch. 3063).

Ora, i giudici della Fraternità pretendo-no avere una giurisdizione – seppur di sup-plenza – senza e persino contro colui che de-tiene il pieno potere di giurisdizione su tuttala Chiesa, pretendendo di giudicare a pre-scindere dal giudice supremo e persino con-tro il suo giudizio.

Quindi i tribunali della Fraternità, i suoigiudici, le sue sentenze, vanificano e riduco-no a una vana parola il primato di giurisdi-zione del Papa.

Per meglio capire questo argomento, fac-ciamo notare che i vescovi diocesani o i me-tropoliti sono giudici nella Chiesa perché

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hanno ricevuto dal Papa una diocesi o arci-diocesi da governare. Istituire dei tribunaliche sostituiscano quelli diocesani indipen-dentemente da una autorizzazione del giudi-ce supremo, il Papa, equivale ad attribuirsil’autorità del vescovo diocesano: “nellaChiesa (è un dogma di fede) il Papa ha lapienezza della giurisdizione: fuori dalla sua,non esiste una giurisdizione; ogni atto giuri-sdizionale, a qualsiasi livello, è solo una par-te del tutto, che viene esercitata in suo nomee, in ultima analisi, in nome di Gesù Cristoche gliela diede (al Papa); deve esercitarsi inarmonia con essa e nel modo stabilito. L’au-torità viene da Dio al Papa e, tramite lui, aivescovi e, tramite essi, ai giudici, per cui inultima analisi ogni giurisdizione è papale”(O. Fedeli). Analogicamente, le sentenze ci-vili sono portate dal giudice in nome dellapubblica autorità. Un tribunale e delle sen-tenze portate da dei privati – presi indivi-dualmente o associati tra loro – sono incon-cepibili e inammissibili. Ora, è proprio quel-lo che fa la Fraternità nella Chiesa, comesottolinea Orlando Fedeli: “né la Scritturané il Magistero hanno insegnato che si puòstabilire una giustizia ad hoc, da parte di per-sone private…”.

Una istanza. La Fraternità cerca di giustifi-care la propria posizione affermando che lagiurisdizione non viene dal Papa (ma dallaconsacrazione episcopale). Pio XII confutaquesto errore

I teologi della Fraternità potrebbero ob-biettare al nostro ragionamento che, benchéil Papa goda del primato di giurisdizione,per cui tutti devono essere sottomessi al Pa-pa, tuttavia si può ricevere la giurisdizionesenza passare attraverso al Papa. È quantosostiene, ad esempio, l’ispiratore della Com-missione canonica, nonché uno dei suoi tremembri (con Mons. Tissier e l’abbé Laro-che): l’abbé François Pivert. Egli scrive in-fatti: “invece di dire che nella Chiesa ognipotere deriva dal papa, sarebbe più vero di-re che ogni potere deve essere sottomesso alpapa” (43). L’autore di questa affermazionenon sembra – almeno nel suo articolo – ren-dersi ben conto di quello che scrive, né sem-bra giustificare la sua posizione. Mi conten-terò di provare che essa è falsa.

I Padri del Concilio di Trento discusseroa lungo per decidere se il potere di giurisdi-

zione del vescovo veniva direttamente daDio (con la consacrazione episcopale) oppu-re mediante il Papa. Nel primo caso avrebberagione l’abbé Pivert (nella Chiesa ogni po-tere di giurisdizione non deriva dal Papa,anche se gli deve essere sottomesso), nel se-condo invece egli avrebbe torto. Ho già trat-tato ampiamente della questione nella miarisposta all’abbé Belmont, alla quale riman-do il lettore (44). Per chi si accontenta di que-sto studio, basteranno due citazioni, una infavore della tesi di Pivert, e una contro. Infavore, al seguito dei gallicani di ogni gene-re, vi è il Concilio Vaticano II (Lumen gen-tium, n. 21) che insegna: “la consacrazioneepiscopale conferisce pure con l’ufficio disantificare, gli uffici di insegnare e di gover-nare, che però, per loro natura, non possonoessere esercitati se non nella comunione ge-rarchica col capo e con le membra del colle-gio” (cf anche il can. 375 § 2 del nuovo codi-ce). Il potere di giurisdizione quindi, malgra-do il primato, non verrebbe dal Papa, pro-prio come sostiene l’abbé Pivert! Ma controla sua posizione (e quella del Vaticano II) visono numerosi testi del magistero ordinario.Ne cito solo uno, l’enciclica Ad apostolorumprincipis, di Papa Pio XII (29 giugno 1958):“la giurisdizione viene ai Vescovi unica-mente attraverso il Romano Pontefice, co-me già avemmo occasione di ricordare nellalettera enciclica ‘Mystici corporis’: ‘I Vesco-vi… in quanto riguarda la loro diocesi, sonoveri pastori che guidano e reggono in nomedi Cristo il gregge assegnato a ciascuno.Mentre fanno ciò, non sono del tutto indipen-denti, perché sono sottoposti alla debita auto-rità del Romano Pontefice, pur fruendodell’ordinaria potestà di giurisdizione che ècomunicata loro direttamente dallo stessoSommo Pontefice’. Dottrina che avemmoancora occasione di richiamare nella lettera‘Ad sinarum gentem’ a voi successivamentediretta: ‘La potestà di giurisdizione, che alSommo Pontefice viene conferita diretta-mente per diritto divino, proviene ai Vesco-vi dal medesimo diritto, ma solamente me-diante il successore di san Pietro’…”. Il Pa-pa, quindi, non ha soltanto il primato di giu-risdizione nel senso che nessuno può usaredella giurisdizione senza il suo consenso, maha il primato di giurisdizione anche nel sen-so che ogni potere di giurisdizione deriva dalui. Poiché il Papa (a prescindere dalla legit-timità di Giovanni Paolo II) non ha mai da-

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to giurisdizione ai Vescovi consacrati daMons. Lefebvre, e poiché la giurisdizionedel Vescovo passa solo attraverso il Papa, sene deduce che questi Vescovi non hannogiurisdizione. Ancor meno la può avere, al-lora, la Commissione canonica della Frater-nità San Pio X. Attribuirsi pertanto una giu-risdizione – come fa la Commissione in que-stione – equivale a negare nei fatti il Prima-to e a compiere un atto scismatico.

Un’altra istanza. La Fraternità cerca digiustificare la propria posizione affermandoche la giurisdizione non viene dal Papa, madalla Chiesa, per supplenza. Refutazione diquesta tesi

Abbiamo appena dimostrato che “il Ro-mano Pontefice è la fonte di ogni potere digiurisdizione nella Chiesa” (45). Ma non pos-siamo trovare nella dottrina della giurisdi-zione supplita un’eccezione a questo princi-pio? Ogni giurisdizione – ordinaria o delega-ta – viene dal Romano Pontefice, d’accordo;ma non la giurisdizione supplita che vienedalla Chiesa: Ecclesia supplet! E proprio allagiurisdizione supplita si rifà la Fraternità pergiustificare quel potere di giurisdizione cheessa si attribuisce.

Abbiamo già visto entro quali limiti ed inche senso si può fare appello alla giurisdizio-ne supplita nell’attuale situazione dellaChiesa, riprendendo un ottimo articolodell’abbé Belmont. Il codice di diritto cano-nico prevede esplicitamente i casi di sup-plenza di giurisdizione nel can. 209 (nuovocodice, can. 144) ovvero l’errore comune e ildubbio positivo e probabile, ai quali si puòaggiungere il pericolo di morte (can. 882;nuovo codice, can. 976). “Per cui – ammetteun sacerdote della Fraternità - in tutto il co-dice di diritto canonico solo due canoni trat-tano della giurisdizione di supplenza”; “lagiurisdizione di supplenza ci pone in una si-tuazione molto particolare; il sacerdote alquale si rivolge il fedele non gode della giuri-sdizione ordinaria [non c’è nel nostro casoneppure il dubbio positivo e probabile che cisia questa giurisdizione, n.d.r.]. L’atto sacra-mentale posto in questa situazione sarà lecitolo stesso sia perché il fedele non conosce lasituazione del ministro: è il caso dell’errorecomune; sia perché sussiste un bisogno ur-gente ed impellente del sacramento; ed è il ca-so del pericolo di morte”. Ammesso che l’er-

rore comune non sussiste normalmente nelnostro caso (“le persone che si rivolgono anoi sanno che i vescovi ci rifiutano ogni pote-re”) non resta allora che il caso del pericolodi morte (46). Ma nessun sacerdote “tradizio-nalista” limita il proprio ministero alle saledi rianimazione! Mons. Lefebvre invocavaquindi, lo abbiamo visto, il pericolo di mortespirituale nel quale si trovano tutti i fedeli acausa del modernismo. Che la situazione at-tuale giustifichi il ministero sacerdotale sen-za giurisdizione, siamo perfettamente d’ac-cordo; ma che ci si possa fondare sul dirittocanonico per legittimare questo ministero,sia estrapolando totalmente il can. 882 (peri-colo di morte… spirituale) sia invocando ilcan. 20 (47), ci sembra assolutamente infon-dato! Che dire poi quando la supplenza nonviene più invocata per rendere leciti (o per-sino validi) degli atti sacramentali, ma perrimpiazzare il potere legislativo e giudiziariodella Chiesa, ritenuto inaffidabile? Ragione-volmente obietta Fedeli (op. cit.): “se si ap-plica il criterio messo avanti per creare lecommissioni, non ci sarebbe in pratica nes-sun organismo di governo nella Chiesa chesia legittimo e che non debba essere supplito,anzi bisognerebbe supplire la Chiesa stessa.Dove si va a parare?”; “se questo [lo stato dinecessità in cui si trovano i fedeli] ci dà il di-ritto di costituirci come alternativa di un giu-dizio valido assumendo un’autorità suppleto-ria, non vedo come non potremmo egual-mente, e con maggior ragione, assumere tuttigli organi di governo, specialmente quelli li-turgici e dottrinali, in quanto in questo casola necessità ed il diritto in giustizia a essere si-curi include non solo quelle persone che han-

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no problemi matrimoniali, ma tutta la Chiesae l’umanità, che ha il diritto di conoscere lavera dottrina cattolica che non è professatada quella autorità che tuttavia riconosciamocome tale. Il problema delle nullità [di matri-monio] è solo un aspetto parziale del proble-ma. Ci sono molti diritti in giustizia e di mol-te persone a essere protetti dagli errori, nonsolo personalisti, ma in tutti i campi; però, daqui a sentirsi chiamati e investiti di poteregiudiziale per soddisfare e risolvere a questoreale vuoto” ce ne passa!

Ma questa critica alla possibilità di appli-care la giurisdizione supplita per legittimarela Commissione canonica della Fraternitàpuò essere sostenuta da un argomento più ra-dicale. Qual è infatti il vero significato deltermine Ecclesia supplet, la Chiesa supplisce?

Ecco come spiega questo adagio giuridi-co Mons. Tissier de Mallerais nella sua con-ferenza del 10 marzo 1991: “si tratta di sup-plire al difetto di giurisdizione del sacerdoteo del vescovo. Ecclesia supplet. Non sarannoil papa o la gerarchia diocesana che affide-ranno un gregge, ma sarà la Chiesa, NostroSignore Gesù Cristo come capo del suo cor-po mistico, che sanzionerà, che dichiarerà in-somma il caso di necessità dei fedeli” (op.cit., p. 100). E ancora: “in questo caso laChiesa conferirà direttamente la giurisdizio-ne al sacerdote, senza passare attraverso i va-ri gradi della gerarchia; sarà il corpo misticodi Nostro Signore, Nostro Signore stesso inquanto capo della sua Chiesa, che accorde-ranno la giurisdizione ai sacerdoti in alcunicasi particolari”: e dopo aver citato i tre casiprevisti dal codice (errore comune, dubbiopositivo e pericolo di morte) il vescovo dellaFraternità ripete: “in questo caso la Chiesaspalanca le porte della sua misericordia e dàgiurisdizione al sacerdote. Si tratta dellaChiesa stessa, senza passare attraverso la ge-rarchia” (op. cit., p. 95). Secondo il presiden-te della Commissione canonica la “Chiesa”che accorda la giurisdizione al prete che ne èsprovvisto in casi particolari è totalmente di-stinta dalla Gerarchia in quanto tale, e si de-ve identificare sia col Corpo mistico di Cri-sto (Nostro Signore unito a tutti i fedeli) siacon Cristo Capo della Chiesa. Questa inter-pretazione del termine “Chiesa” impiegatodal codice di diritto canonico è del tutto fal-sa (48).

Parlando della giurisdizione supplita, adesempio, il card. Staffa, sull’Enciclopedia

Mons Fellay, attuale superiore generale della Fraternità San Pio X

Cattolica, scrive: “il canone 209 infatti eliminaogni incertezza [sulla possibilità di una sup-plenza], dichiarando che la Chiesa (cioè ilLegislatore Supremo) supplisce la giurisdi-zione, tanto per il foro esterno quanto per ilforo interno: a) in caso di errore comune; b)nel dubbio positivo e probabile, tanto di dirit-to come di fatto” (49). Non altrimenti si espri-me il cardinal Palazzini: la giurisdizione sup-plita, scrive, “è quella giurisdizione che non sipossiede per il rivestimento di un ufficio, néviene conferita da delegazione del Superiore,ma viene data dal diritto stesso, cioè dallaChiesa e, per essa, dal Supremo Legislatoreecclesiastico nel momento in cui si esercita(ad modum actus) per il bene delle anime, chealtrimenti verrebbero, senza loro colpa, dan-neggiate” (50). Quando il codice attribuiscepertanto la giurisdizione in astratto alla Chie-sa, in concreto la attribuisce al Supremo legi-slatore ecclesiastico, ovverosia il Papa. E ciòè logico, giacché le disposizioni del codice (al-meno quelle di diritto ecclesiastico) hannovalore solo in quanto promulgate appuntodal Supremo Legislatore, il Papa! La giurisdi-zione supplita di cui parla il codice, pertanto,non ha nulla a che vedere con la “supplenza”immaginata e descritta da Mons. Tissier deMallerais, il quale pone come sua caratteristi-ca peculiare il fatto di operare “senza passaretramite la gerarchia”, e quindi neppure trami-te il Papa. Perchè Mons. Tissier insista nelvoler negare al Papa l’essere fonte della giuri-sdizione supplita rivendicata dalla Fraternitàè evidente: Giovanni Paolo II, infatti, ricono-sciuto come Papa da Ecône, rifiuta loro ognigiurisdizione, come Mons. Tissier stesso am-mette. Pertanto se è il Papa che concede, sep-pur mediante il diritto da lui stesso promulga-to, la giurisdizione supplita, non si può certopretendere che in realtà Giovanni Paolo IIconceda alla Fraternità San Pio X, da lui stes-so scomunicata, dei poteri così esorbitantiche invece egli nega loro esplicitamente (51).Anche questa istanza della Fraternità è quin-di refutata: i sacerdoti della Fraternità nongodono di quella giurisdizione supplita attri-buita loro da Mons. Tissier de Mallerais edall’abbé Pivert (52).

Un’ultima possibilità: la giurisdizione po-trebbe venire dai fedeli?

Se la giurisdizione che la Fraternità pre-tende possedere non viene dall’alto (Cristo,

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Chiesa, Papa), si potrebbe ipotizzare unasua origine dal basso, ovvero dai fedeli. Se laFraternità non lo afferma esplicitamente,non mancano le frasi infelici che lo lascianocredere, come lo riconosce onestamente unsacerdote stesso della Fraternità: “nella sualettera circolare del 30 giugno 1994 (53),l’abbé Berger sottolineava a ragione questaimpossibilità: ‘la tesi che fa autorità nellaFraternità San Pio X è quella di Mons. Tis-sier, espressa nella conferenza di Parigi nelmarzo 1991 (…) Giurisdizione supplita, percui in definitiva, è la domanda dei fedeli checi dà la giurisdizione caso per caso. (…) Perdefinizione, essa rende impossibile ogni apo-stolato all’esterno, se la gente non ricorre alnostro ministero. In più essa è molto imba-razzante per il suo lato democratico, vedodifficilmente come si possa conciliare con lastruttura gerarchica della Chiesa, nella qualel’apostolato è necessariamente fondato sullamissione che non può venire che dall’alto’.Questo richiamo non è inutile. (…) È chiaroche la giurisdizione di supplenza non ha lasua origine nel fedele. Nell’allocuzione men-zionata dal nostro ex-confratello [cioè l’abbéBerger, che ha lasciato la Fraternità San PioX accettando il Vaticano II, n.d.r.] Mons.Tissier de Mallerais quindi utilizzava espres-sioni improprie quando affermava: ‘essa èuna giurisdizione che dipende essenzialmentedai fedeli e non dal sacerdote’ e ‘si può direche voi – date – al sacerdote la giurisdizionenecessaria’” (54). Anche Sodalitium (n. 27,nov. 1991) aveva già denunciato queste“espressioni improprie”, in un articolo (giàda me segnalato) intitolato significativamen-te “l’autorità del vescovo: viene tramite il Pa-pa o i fedeli?”. Mi sembra opportuno ripor-tare, tal quale, una parte di quell’articoloche riferiva espressioni di Mons. Lefebvreancora più improprie di quelle di Mons. Tis-sier: “quando, nel giugno 1988, Mons. Lefeb-vre consacrò quattro vescovi senza mandatoromano (…) non attribuì ai suoi vescovi al-cuna giurisdizione ordinaria. Siamo rimastitutti stupiti (…) pertanto nel leggere tre docu-menti di Mons. Lefebvre pubblicati postumisu ‘Fideliter’ (n. 82, luglio-agosto 1991, pp.13-17). Si tratta di una lettera a Mons. de Ca-stro Mayer del 4 dicembre 1990 ed una a Pa-dre Rifan del 20 febbraio 1991, con una ‘No-ta a proposito del nuovo vescovo che devesuccedere a S.E. Mons. de Castro Mayer’. Inessi, Mons. Lefebvre precisa di quali poteri

godrà il futuro consacrato (Mons. LicinioRangel effettivamente consacrato a Camposil 28 luglio 1991). Ecco quanto scrive Mons.Lefebvre. Il caso di Campos è semplice: ‘sitratta della maggioranza dei sacerdoti dioce-sani e dei fedeli che, col consiglio del vescovoemerito, designano il successore e chiedono adei vescovi cattolici di consacrarlo. È ben inquesta maniera che la successione dei vescovisi è realizzata durante i primi secoli, in unio-ne con Roma, come pure noi siamo in comu-nione con la Roma cattolica e non la Romamodernista’ (pp. 13-14). Popolo e clero desi-gano il vescovo, e va bene. Ma gli danno an-che autorità e giurisdizione? Sorge il sospet-to: ‘sono il popolo ed il clero fedele di Cam-pos che si danno un Successore degli aposto-li, un vescovo cattolico e romano, poiché nonpossono averne più dalla Roma modernista’(p. 14). A Campos c’è già un ‘vescovo’ nomi-nato dal ‘papa’ e insediato, a suo tempo, daMons. de Castro Mayer. Il nuovo ‘successoredegli apostoli’ riceve solo il potere di ordine(per ordinare sacerdoti, cresimare, ecc.) o an-che di giurisdizione? Il potere d’ordine lodanno i vescovi. Cosa danno ‘clero e fedeli’di Campos? L’autorità? Sì, l’autorità. Mons.Lefebvre parla di ‘autorità episcopale’ (p.15). Il nuovo vescovo non è vescovo residen-ziale (p. 16), però ha giurisdizione che vie-ne… dal clero e dai fedeli; egli ‘non ha altrotitolo di giurisdizione [e quindi ne ha uno]che quello che gli viene dall’appello dei sa-cerdoti e dei fedeli… che gli hanno chiesto diaccettare l’episcopato’ (p. 16). Si tratta di unasemplice autorità di fatto, nel dare i sacra-menti e nel giudicare le anime, insita nel pote-re d’ordine? C’è da dubitarne, quando Mons.Lefebvre insiste (p. 17) nel parlare di ‘auto-rità giurisdizionale del vescovo che non gliviene da una nomina romana, ma dalla ne-cessità della salvezza delle anime’. Fedeli epreti devono a questo ‘successore degli apo-stoli’, ‘all’esercizio della sua autorità’ una‘generosa obbedienza’ (p. 17). Infine, l’affer-mazione più esplicita: ‘Poiché la giurisdizio-ne non è territoriale ma personale e ha comefonte il dovere per i fedeli di salvare le loroanime, se un gruppo di fedeli nelle diocesi vi-cine fa appello al vescovo per avere un sacer-dote, questo gruppo per il fatto stesso dà po-tere al vescovo per vegliare alla trasmissionedella fede e della grazia in questo gruppo,per mezzo del sacerdote che gli invia’ (p.17).Un gruppo di fedeli, pertanto, dà potere,

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autorità, giurisdizione al vescovo. Distingue-re tra giurisdizione territoriale e personalenon cambia la gravità dell’affermazione: unvescovo castrense, ad esempio, con giurisdi-zione sui militari, o un vescovo residenziale,con giurisdizione sui residenti in diocesi, sitrovano nello stesso rapporto, riguardo allagiurisdizione, nei confronti del papa che glie-la dà” (Sodalitium, n. 27, pp. 5-6). A questatesi (la giurisdizione viene dal popolo) nonpossiamo non rispondere con lo stesso argo-mento utilizzato nove anni fa: “nessuno dàciò che non ha: se il popolo (o la Chiesa di-stinta dal Papa) dà il potere è perché lo ha: èperché popolo o Chiesa sono l’autorità. È latesi giansenista del Conciliabolo di Pistoia,secondo la quale il potere vien dato da Dioalla Chiesa (cioè la comunità dei fedeli) e daessa ai pastori che sono ministri della Chiesaper la salvezza delle anime. Questa tesi è sta-ta condannata come eretica da Pio VI (DS2603)” (ibidem, p. 6).

La soluzione “giurisdizione dai fedeli” sirivela pertanto ancor peggiore di quelle pre-cedenti; non credo che essa sia realmentesostenuta dalla Fraternità; quanto scritto inquesto paragrafo basti per evitare la tenta-zione di seguire questa strada pericolosa.

Conseguenze pratiche: molti fedeli dellaFraternità vivranno nella continua incertez-za sullo stato della loro anima

Quanto scritto fin ora è già sufficienteper giustificare la tesi di questo paragrafo:molti fedeli della Fraternità vivranno nellacontinua incertezza sullo stato – e sulla sal-vezza – della loro anima. Abbiamo dimo-strato infatti come la Fraternità si sia giàstrutturata e vada sempre di più strutturan-dosi, di fatto, come una Chiesa indipendenteche deve supplire e soppiantare la Chiesa“ufficiale” (riconosciuta tuttavia come au-tentica Chiesa cattolica). Per dei fedeli che –a giusto titolo – si fanno vanto di difendereil dogma “fuori dalla Chiesa non c’è salvez-za”, il timore di aderire a una struttura sci-smatica non può che causare un continuoturbamento per la propria coscienza. E di-fatti non sono mancati quanti, scandalizzatidalla scoperta dell’esistenza di questi Tribu-nali se non segreti almeno riservati hanno ri-tirato la loro fiducia alla Fraternità per se-guire, purtroppo, le “autorità” fedeli al Vati-cano II. Il problema di coscienza che questo

sviluppo della posizione della Fraternità po-ne ai fedeli di Mons. Lefebvre è aggravatodal fatto che il turbamento non deriva solo etanto da una dottrina puramente astratta,magari al di là della capacità di comprensio-ne dei fedeli, ma priva di conseguenze prati-che, ma di una presa di posizione che coin-volge persino la validità dei sacramenti.

Se un semplice sacerdote della Fraternitàamministrasse la Cresima basandosi sui “po-teri” concessi dalle “Ordonnances”, ad esem-pio, il sacramento sarebbe valido? Il cresima-to e la sua famiglia se lo possono legittima-mente chiedere. Di più. Un religioso, una reli-giosa, un suddiacono, “secolarizzati” e dispen-sati dai propri voti da un “decreto” del vesco-vo per i religiosi della Fraternità, o da Mons.Felley, sono veramente liberati dai loro votidavanti a Dio? Un loro eventuale successivomatrimonio ad esempio sarebbe benedettodal Signore o si tratterebbe di un sacrilegoconcubinato? Ma il caso più grave e più cor-rente è certamente quello degli annullamentidi matrimonio “decretati” dalla Commissionecanonica della Fraternità san Pio X…

Si tratta, lo ammettiamo, di un grave pro-blema pastorale che non ci lascia indifferentie che è di difficile – se non impossibile – solu-zione. Le critiche che Mons. Tissier de Malle-rais rivolge ai nuovi princìpi teologici e cano-nici che sono stati recepiti in seguito al Vati-cano II, sono le nostre, e le condividiamo pie-

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namente. La nostra posizione teologica ag-grava semmai le conseguenze che Mons. Tis-sier deduce da questa sua analisi critica (cftutto il capitolo primo dello studio pubblicatosu Cor unum) della nuova dottrina matrimo-niale personalista condannata sotto Pio XII edivenuta dottrina “ufficiale” sotto GiovanniPaolo II (55). Secondo Mons. Tissier, che rico-nosce Giovanni Paolo II, le sentenze dei suoiTribunali “non possono essere consideratenulle ipso facto ma neppure valide senza ulte-riore esame” impedendo poi praticamente aifedeli “di rivolgersi a un tribunale novus ordoper timore che la sentenza sia nulla” (Corunum, cit., p. 44, regole pratiche 1 e 2). Pernoi, che non riconosciamo l’autorità di Gio-vanni Paolo II, l’impossibilità di ricorrere aisuoi tribunali non è solo pratica, ma è ancheuna questione di principio: non solo le lorosentenze sono certamente nulle, ma il ricorsoa questi tribunali comporterebbe un ricono-scimento di fatto dell’autorità in questione,riconoscimento che consideriamo, alla lucedella fede, inammissibile (56). Ci rendiamoconto di come questa nostra posizione impli-chi delle gravi difficoltà pastorali per quei fe-deli il cui matrimonio è effettivamente o al-meno dubbiosamente nullo, e non hanno imezzi per dimostrarlo legalmente (57), ma lasoluzione adottata a partire da un certo pe-riodo (58) dalla Fraternità san Pio X per ov-viare a questo grave inconveniente ci sembra– come abbiamo fin qui dimostrato – assolu-tamente infondata e illusoria.

Se quanto abbiamo appena affermatopuò sembrare duro al lettore, le citazioniche seguono non potranno che fargli accet-tare la triste realtà, poiché, senza renderseneconto, le autorità stesse della Fraternità con-fermano la nostra conclusione.

Mons. Tissier de Mallerais, infatti, pensadi dimostrare la liceità dei suoi tribunali par-tendo dal diritto che hanno i fedeli di saperecon certezza se il proprio matrimonio è, sì ono, validamente celebrato: i fedeli, scrive,“hanno il diritto in giustizia a essere sicuri del-la validità del sacramento ricevuto una secon-da volta e quindi della validità della sentenzadi nullità... (…) quindi (…) in questa situazio-ne i vescovi fedeli (Dom Licinio a Campos) ela nostra Commissione canonica (…) hanno ipoteri di supplenza per emanare una sentenzasulle cause matrimoniali” (Cor unum, cit., II,4, p. 41). Se queste parole hanno un senso, lesentenze dei tribunali “tradizionalisti” sono

Don Simoulin (primo da sinistra), attuale superiore deldistretto Italia della F.S.S.P.X., con don Laroche (primoda destra) membro della commissione canonica, insieme

ad alcuni professori ad Ecône

valide perchè solo così i fedeli possono averela certezza della nullità del loro primo matri-monio. Ora, Mons. Tissier smentisce sé stes-so, togliendo alle sentenze in questione ognicertezza, e facendo così ripiombare il fedeledubbioso nelle più grandi angosce e perples-sità sullo stato della propria anima: “infine –scrive il presidente della commissione canoni-ca – le nostre sentenze, come ogni atto di giuri-sdizione di supplenza, e come le stesse consa-crazioni episcopali del 1988, 1991, ecc. (59) do-vranno essere confermate ulteriormente dal-la Santa Sede” (Cor unum, IV, 6, p. 43). Se laSanta Sede, in futuro (60), non convaliderà lesentenze portate dalla Fraternità, cosa acca-drà? Accadrà che tutte queste sentenze sa-ranno da ritenersi come nulle e non avvenu-te, e ciò fin dal principio. E pertanto, essendosempre stato valido il primo matrimonio, lenozze successive eventualmente celebrateverranno dimostrate nulle e non avvenute findal principio! Ora, siccome questa ipotesinon può essere esclusa, poiché Mons. Tissierstesso la contempla e quindi la crede possibi-le, se ne deduce che fin da ora tutti i fedeliche hanno ricevuto l’annullamento dai Tribu-nali della Fraternità ignorano – per ammis-sione della Fraternità stessa – se questo an-nullamento è valido o no. Ignorano pertantose siano valide le prime o le seconde nozze, ese la persona con la quale vivono è il legitti-mo consorte o un amante, e se essi stessi sonoperciò in regola o meno davanti a Dio. Anzi.Poiché Mons. Tissier stesso sostiene che lagiurisdizione è accordata ai tribunali dellaFraternità perché solo essi darebbero al fede-le quella certezza alla quale il fedele ha dirit-to, e constatato che per ammissione di Mons.Tissier stesso non sussiste alcuna certezza fi-no a una dichiarazione ulteriore della SantaSede, se ne deve dedurre che i tribunali dellaFraternità non hanno, in ogni caso, alcunagiurisdizione, e le loro sentenze non solo so-no dubbie, ma nulle. I fedeli, pertanto, chehanno contratto un nuovo matrimonio fon-dandosi sulla validità di queste sentenze, sa-rebbero in realtà dei concubini, e non dei co-niugi legittimi.

Conseguenze pratiche: qual è il dovere deifedeli e dei membri della Fraternità? Un’ap-pello di Sodalitium all’unità nella verità

La grave conclusione del capitolo prece-dente, e di tutto questo nostro scritto, do-

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vrebbe porre al lettore fedele – o addiritturamembro - della Fraternità, un’ulteriore que-stione di coscienza. Posso ancora sostenerela Fraternità San Pio X se veramente essa siva costituendo di fatto come una Chiesa a séstante, e se essa può giungere al punto diamministrare ai propri fedeli dei sacramenti(come il matrimonio) che possono essere in-validi e quindi sacrileghi? Un fedele può se-guire ancora con fiducia delle guide che er-rano in maniera così grave? Dei sacerdoti –anche in disaccordo coi propri superiori –possono essere complici, anche solo col lorosilenzio, di una dottrina e di una prassi dalleconseguenze così importanti?

I membri dell’Istituto Mater Boni Consi-lii hanno lasciato la Fraternità San Pio X giàdal 1985, ritenendo che non si potesse, in co-scienza, sostenere ulteriormente l’opera diMons. Lefebvre. Questa decisione ci sembròe ci sembra ancor valida a prescindere dallaquestione che abbiamo trattato in questodossier. La creazione però della “Commis-sione Canonica San Carlo Borromeo” nel1991 è cosa così grave da porre questo pro-blema anche a chi non ritenne opportunoseguirci nel 1985. Ed in effetti, non sonomancati i sacerdoti che hanno abbandonatola Fraternità San Pio X anche solo per nonavallare lo scisma di fatto compiuto con lacreazione di questa Commissione, vero eproprio embrione di una nuova Chiesa. Sap-piamo – è vero – che molti fedeli ignoranototalmente l’istituzione o la natura di questitribunali; che molti sacerdoti e membri dellaFraternità dissentono da questa istituzione;che di fatto, in alcuni distretti, tra i qualiprobabilmente anche l’Italia, i “tribunali”vengono ignorati e sono inutilizzati. Restatuttavia che questi tribunali, e la dottrinache pretende giustificarli, non sono un’ini-ziativa personale e l’opinione privata diqualche membro della Fraternità, ma sonorispettivamente un organo (seppur ignoto opoco noto al pubblico) e un punto di dottri-na ufficiali della Fraternità. Ci sembra quin-di di poter concludere che il non sostenerepiù la Fraternità San Pio X sia oggettiva-mente un obbligo in coscienza per quanti al-meno sono al corrente di questa triste que-stione (fatta salva la buona fede dei singoli,a Dio solo nota).

Tuttavia, mi chiedo se non ci sarebbe unmodo per evitare una conclusione così ama-ra, e che sembra non tener conto del bene

innegabile che detta Fraternità – che racco-glie la quasi totalità dei cattolici rimasti fe-deli alla Tradizione – realizza un po’ ovun-que sulla terra. Dobbiamo proprio abbando-nare la Fraternità al suo destino?

Ci sembra che, per poter accordare an-cora il proprio sostegno alla Fraternità sanPio X a causa del bene che essa può ancoracompiere in futuro, sia necessario otteneredai responsabili della Fraternità un ripensa-mento della propria posizione dottrinale. LaFraternità San Pio X dovrebbe cioè, innan-zitutto, riesaminare e rivedere la propria po-sizione sulla giurisdizione supplita e – dopoun serio esame della questione – giungerealla soppressione della Commissione cano-nica San Carlo Borromeo, o almeno alla suatrasformazione da tribunale ecclesiastico asemplice organo consultivo su questioni mo-rali e canoniche, nonché alla revisione delle“Ordonnances” del 1997 (e del 1980). Sareb-be illusorio però correggere degli effetti er-ronei senza contestualmente rivedere la cau-sa di questi effetti. La lunga introduzionestorica che abbiamo fatto precedere all’esa-me della dottrina diffusa nella FraternitàSan Pio X dal 1991, esponendo l’evoluzionedella posizione della Fraternità San Pio Xsul problema della giurisdizione, aveva pro-prio lo scopo di far comprendere al lettorecome le deviazioni riscontrabili attualmentenella Fraternità abbiano la loro radice nellaposizione che Mons. Lefebvre ha pensato didover adottare nei confronti del “problemadell’autorità” (o “del Papa”) almeno fin dal1979. Solo una posizione chiara e teologica-mente corretta sull’autorità del Concilio, diPaolo VI e di Giovanni Paolo II può per-mettere in seguito tutte quelle applicazioniai casi particolari che la crisi attuale pone aifedeli cattolici.

Mons. Lefebvre, è vero, ha sempre rifiu-tato la soluzione sedevacantista, e non pos-siamo certo sostenere che, in questo rifiuto,non sia incluso anche il rifiuto della Tesi diCassiciacum elaborata da Padre M.-L. Gué-rard des Lauriers o.p., il teologo più presti-gioso che abbia preso – e fin dal principio –la difesa della Tradizione cattolica. L’emar-ginazione, poi la “demonizzazione”, infinela cancellazione persino della memoria diPadre Guérard des Lauriers, ossia dell’auto-re del Breve esame critico del novus ordoMissæ attribuito ai Cardinali Ottaviani eBacci che lo sottoscrissero, privò Mons. Le-

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febvre e la sua Fraternità di una guida sicurae autorevole per le scelte dottrinali e teolo-giche che si imponevano ineluttabilmente.

Purtroppo, la posizione di Padre Guérardfu rifiutata praticamente senza esame, ed as-similata al sedevacantismo completo dal qua-le invece Padre Guérard si è sempre distinto.Alcuni dei motivi per i quali la Fraternità eMons. Lefebvre hanno rifiutato il sedevacan-tismo, sono ampiamente condivisi dalla no-stra posizione: mancanza di una provasull’eresia formale di Giovanni Paolo II, im-praticabilità delle “vie” classiche dell’ipotesidel Papa eretico e della Bolla di Paolo IVper dimostrare la vacanza della Sede, neces-sità di una continuità della Chiesa, della ge-rarchia e di elettori di un conclave (i cardina-li), rifiuto di “conclavi” indetti da personeprivate… D’altro canto la Tesi di Cassicia-cum condivide col sedevacantismo le sue po-sizioni essenziali: Giovanni Paolo II non puògodere dell’autorità pontificia, non è divina-mente assistito, non si può essere in comu-nione con lui (tra l’altro al canone della Mes-sa), non si pone, nei suoi confronti, il proble-ma dell’obbedienza e dell’infallibilità del Pa-pa (verità di fede entrambe vigorosamentedifese nella Tesi e generalmente anche nelsedevacantismo, al contrario della Frater-nità). Noi non abbiamo abbracciato la Tesiperché sarebbe comoda o perché potrebbeessere il punto di unione di tutti gli anti-mo-dernisti, ma solamente perché essa è vera.Tuttavia, a nostro parere, essa è stata spessovista come un fattore di divisione (siamo ac-cusati di “sedevacantismo” dai sostenitori diMons. Lefebvre, e di “lefebvrismo” dai “se-devacantisti”!) mentre invece, come è statonotato da qualche raro osservatore (61) essapotrebbe divenire un potente fattore di unitàtra di noi, ponendo fine a interminabili edannose divisioni che vanno solo a profittodei nostri nemici ed indeboliscono le nostreforze, scandalizzando i fedeli.

Invitiamo pertanto le persone più prepa-rate e meglio intenzionate dei due campi(sedevacantisti e discepoli di Mons. Lefeb-vre) a prendere in seria considerazione laTesi detta di Cassiciacum: essa è, da un lato,l’unica tesi sedevacantista che regga alle cri-tiche degli avversari, e dall’altro essa nonelude le obiezioni poste da Mons. Lefebvree dai suoi al sedevacantismo, presentandouna soluzione sufficiente a calmare le loroperplessità ed i loro timori. Per i sostenitori

delle due posizioni a noi avverse, la Tesi sa-rebbe anche un potente antidoto alla tenta-zione di creare, esplicitamente o implicita-mente, una “piccola Chiesa” tradizionalista,poiché essa rifiuta allo stesso modo e per glistessi motivi sia i “conclavi” sedevacantistiche le “gerarchie della Tradizione” sostenu-te dalla Fraternità San Pio X. Una posizioneintransigente, quindi, ma equilibrata, che,sola, rende conto nello stesso tempo dell’in-credibile situazione che stiamo vivendo e deidogmi di fede (infallibilità, primato, indefet-tibilità, apostolicità ecc.) che dobbiamo cre-dere per restare cattolici. Si compia final-mente, almeno tra tutti coloro che sono ac-comunati dalla lotta contro l’eresia moder-nista, l’unità nella verità e nella carità!

Note

1) Uno stupore relativo. Da tempo correvano vocisull’esistenza e l’attività di una Commissione canonicadella Fraternità San Pio X. Nel 1995 pubblicammo suSodalitium una ‘Lettera circolare ai sacerdoti della Fra-ternità San Pio X’, nella quale l’abbé Berger, un sacer-dote che lasciava la Fraternità, denunciava “il fatto diaver costituito un ufficio parallelo per le questioni matri-moniali” giudicando “molto grave” questa istituzione:“la Fraternità san Pio X – scriveva – non si costituisceforse così in una Chiesa parallela? Autocefala?” (n. 40,p. 63). Ma né l’abbé Berger, né altri sacerdoti che ave-vano lasciato la Fraternità per motivi simili, avevanomai reso pubblica una documentazione al riguardo, do-cumentazione che dimostrasse la natura “legale”, e nonsolo consultiva, della Commissione.

2) ABBÉ H. BELMONT, Les confirmations donnéespar des prêtres de la Fraternité Saint Pie X sont-elles va-lides? in Cahiers de Cassiciacum, n. 6, 1981, pp. 1-11.

3) Sulla questione dell’autorità vedi, ad es.: B. LU-CIEN, La situation actuelle de l’autorité dans l’Eglise. LaThèse de Cassiciacum. Documents de catholicité, 1985.L’Autore sottolinea, contro il volontarismo, che la que-stione dell’obbedienza è una conseguenza della questio-ne dell’autorità, ma non ne costituisce l’essenza (p. 37).

4) MONS. LEFEBVRE, Lettera agli amici e benefatto-ri, n. 9, ottobre 1975.

5) P. PARENTE- A. PIOLANTI, Dizionario di teologiadommatica per i laici, Studium, Roma, 1943, p. 95, voce‘gerarchia’.

6) “In errore communi aut in dubio positivo et proba-bili sive iuris sive facti, iurisdictionem supplet Ecclesia proforo tum externo tum interno” (can. 209). Il nuovo codiceha mantenuto alla lettera il can. 209: “nell’errore comune difatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabilesia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foroesterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva”(can. 144 § 1) applicando il principio (§ 2) anche all’ammi-nistrazione dei sacramenti della cresima (can. 883), dellapenitenza (can. 966) e del matrimonio (can. 1111 § 1).

7) Per questa argomentazione, cf M. LEFEBVRE, Ilcolpo da maestro di Satana, Il Falco, Milano, 1978, pp.107-108 (si tratta di un testo del 24 febbraio 1977); e an-che: Le Ministère Sacerdotal en période extraordinaire

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de grave crise, par un groupe de prêtres du Diocèse deCampos, in Cor Unum, n. 16, ottobre 1983, pp. 9-26.

8) Mons. Lefebvre e il Sant’Uffizio, Volpe, Roma,1980, pp. 19-20. Testo francese: Mgr Lefebvre et leSaint-Office, Itinéraires, mai 1979, pp. 21-22.

9) Si veda ad esempio la domanda più che perti-nente del card. Seper (“un fedele può mettere in dubbiola conformità con la dottrina della fede di un rito sacra-mentale promulgato dal Supremo Pastore” ? - ivi, p. 95,testo francese p. 111) alla quale Mons. Lefebvre inizial-mente non rispose. Di fronte all’insistenza del Cardina-le (“sostiene Lei che un fedele cattolico può pensare e af-fermare che un rito sacramentale, in particolare quellodella Messa, approvato e promulgato dal Sommo Ponte-fice, possa essere non conforme alla fede cattolica o ‘fa-vens hæresim’?”; ivi, pp. 124-125, fr. p. 146) Mons. Le-febvre rispose in maniera elusiva: “questo rito in sé eper sé non professa la fede cattolica con la stessa chia-rezza dell’antico Ordo Missæ, quindi può favorire l’ere-sia. Ma io non so a chi attribuirlo, e non so nemmeno sene sia responsabile il Papa” (p. 125, fr. p. 146). Mons.Lefebvre, sapendo che per la fede cattolica un Papanon può promulgare un sacramento o un rito della mes-sa ‘cattivi’, e pensando proprio questo del nuovo messa-le, fu costretto ad affermare - sfidando il ridicolo - diignorare se Paolo VI fosse il responsabile del nuovomessale, e questo per non dover logicamente sostenereo che il nuovo messale è buono o che Paolo VI non eraPapa (tertium non datur)...

10) “Per quanto concerne la giurisdizione ci appel-liamo alle circostanze straordinarie previste dal Diritto ealle condizioni di estrema necessità in cui si trovano leanime dei fedeli” (ivi, p. 103, fr. p. 121).

11) Ivi, pp. 95-96, fr. p. 112. Per Seper la prassi diMons. Lefebvre “induce a domandarsi se non ci si trovidi fronte a un movimento scismatico”.

12) Ivi, pp. 127-13413) Ivi, pp. 136-137; fr. pp. 159-160.14) Ovvero, di privazione di un Capo nella Chiesa.15) E quindi per quel che riguarda il potere di Or-

dine, e non il potere di Giurisdizione in foro esterno,per il potere legislativo e giudiziario.

16) ...come il Card. Seper sosteneva! La prassi (aquei tempi) di Mons. Lefebvre e di tutti i “tradizionali-sti” presupponeva - per essere giustificata - il venirmeno dell’Autorità.

17) H. BELMONT, op. cit., p. 9.18) Ivi, p. 1.19) Poiché nel 1980 facevamo ancora parte della

Fraternità, ricevemmo, come tutti gli altri membri diquesta società, il volumetto delle “Ordonnances”...

20) Ricordo quanto scrive Mons. Tissier: “È anzi piùgrave dispensare da un impedimento dirimente (il chemuta la condizione della persona, la quale da inabile di-venta abile a contrarre) che dichiarare nullo un matrimo-nio (il che non cambia lo stato della persona, ma constatauno stato già esistente ab initio): è un potere di giurisdizio-ne solo dichiarativo. Se quindi la supplenza ci dà un pote-re di dispensare, essa ci dà a fortiori potere di giudicare”.L’argomento può essere facilmente ribaltato: se è evi-dente che gli annullamenti di matrimonio decisi dai “tri-bunali” della Fraternità sono invalidi, a maggior ragione(a fortiori) saranno invalide le ben più gravi dispense da-gli impedimenti dirimenti al matrimonio, dispense rite-nute legittime invece da Mons. Lefebvre fin dal 1980.

21) Per il testo del falso “mandato apostolico” lettoprima delle consacrazioni episcopali del 30 giugno, cf

La Tradizione cattolica, anno III, n. 1 e 3, 1° semestre1988, p. 23. Il canone 953 (1013 del nuovo codice) proi-bisce una consacrazione episcopale compiuta senza“mandato pontificio” o “apostolico”, ovvero, senzal’autorizzazione del Papa. Che il “mandato apostolico”- ovvero, del Papa - sia stato scritto da Mons. Lefebvrela dice lunga sulla identificazione di fatto che la Frater-nità compie tra Mons. Lefebvre ed il Papa... Qual’è poil’idea che la Fraternità si fa della “Chiesa Romana”(che avrebbe autorizzato le consacrazioni) opposta alle“autorità della Chiesa Romana” (che vietavano le stes-se consacrazioni sotto pena di scomunica)?

22) Cf Sodalitium, n. 16, e anche F. RICOSSA, Leconsacrazioni episcopali nella situazione attuale dellaChiesa, supplemento al n. 46 di Sodalitium.

23) “Le but principal de cette trasmission est deconférer la grâce de l’ordre sacerdotal pour la continua-tion du vrai Sacrifice de la Sainte Messe, et pour conférerla grâce du sacrement de confirmation aux enfants et auxfidèles qui vous la demandent”: lettera di Mons. Lefeb-vre “ai futuri vescovi” del 29 agosto 1987, in Fideliter, n.fuori serie del 29-30 giugno 1988.

24) “S’il fallait un jour consacrer des évêques ceux-ci n’auraient pour fonction épiscopale que d’exercer leurpouvoir d’ordre et n’auraient pas de pouvoir de juridic-tion, n’ayant pas de mission canonique”. Citato in F. PI-VERT, Des Sacres par Mgr. Lefebvre... Un schisme?, Fi-deliter, avril 1988, p. 59. Cf anche La Tradizione cattoli-ca, cit., p. 8.

25) “La Chiesa non è il papa, e viceversa” (F. PI-VERT, op. cit., p. 47). Senza dubbio, la Chiesa non è ilPapa, ma il Papa è il Capo visibile della Chiesa! In parti-colare, l’abbé Pivert, uno dei membri delle Commissionicanoniche della Fraternità, nell’applicare il principio ca-nonico “Ecclesia supplet”, dimentica che per “Ecclesia”si intende il Supremo legislatore ecclesiatico, ovvero ilPapa, che può accordare la giurisdizione “a jure”, cioècon una decisione iscritta nel diritto da lui promulgato.Pertanto il principio “Ecclesia supplet” non può essereinvocato se il Papa non c’è o quando il Papa rifiutaesplicitamente questa supplenza. Ne riparleremo.

26) F. PIVERT, op. cit., pp. 28-30, 37-42 (sul canone20), pp. 46-47 (sulla giurisdizione supplita che ne segue).

27) Sodalitium, n. 27, nov. 1991, pp. 4-6: L’autoritàdel vescovo: viene tramite il Papa o i fedeli?; n. 33, aprile1993, pp. 29-30: Postilla sulla Fraternità San Pio X; n.43, aprile-maggio 1996, pp. 55-56: Dibattito: Chi è il ve-scovo di Campos?

28) Gli Atti sono stati pubblicati alle Edizioni Fide-liter. L’allocuzione di Mons. Tissier è pubblicata allepagg. 93-114.

29) P. PARENTE, A. PIOLANTI, Dizionario di teolo-gia dommatica per i laici, Studium, Roma, 1943, p. 95,voce ‘Gerarchia’.

29 bis) Dopo il Concilio Vaticano II e le riformesuccessive, il problema dell’indefettibilità della Chiesa ècertamente il più terribile che si ponga alle anime fedeli.L’importanza della questione merita una trattazione aparte, che mi riservo di abbordare in un prossimo futu-ro. Per il momento, propongo al lettore quanto scrisse alproposito, ed opportunamente, l’abbé Lucien (op. cit.,pp. 102-103): “Anche nella crisi, Cristo rimane con la suaChiesa, e continua a farla sussistere conformemente allanatura che le ha dato istituendola; lo crediamo come ve-rità di fede per l’indefettibilità della Chiesa. Questa affer-mazione, per non essere puramente verbale, deve avereuna portata concreta: come, di fatto, Gesù è ancora at-

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tualmente con la sua Chiesa? Se si considera la Chiesacome Corpo Mistico, Gesù resta oggi con lei mantenendoviva la Testimonianza della Fede e la santificazione me-diante dei Sacramenti autentici e l’Oblazione del vero Sa-crificio. L’esistenza di quanti sono denominati ‘tradizio-nalisti’ è una prova di quanto detto. Ma come, concreta-mente, Gesù è ancora con la sua Chiesa considerata comesocietà umana? A questa domanda, che deve avere unarisposta, rispondiamo: mantenendo al suo posto la strut-tura gerarchica visibile, mentre nel contempo permettequella grande prova che è l’eclisse dell’Autorità e dellesue funzioni visibili. Questa permanenza della strutturagerarchica costituisce l’ammorsatura posta da Dio delrinnovamento dell’Autorità; ed essa assicura la continuitàmateriale della successione gerarchica, continuità assolu-tamente richiesta dalla nota di Apostolicità”

30) Cf l’articolo di don Sanborn in Sodalitium, n.39, p. 48.

31) Vedi la nota 4. Si tratta di un’idea ricorrente inMons. Lefebvre: “noi siamo con Paolo VI successore diPietro, che assolve al suo ruolo, ma rifiutiamo di seguirePaolo VI successore di Lutero, Rousseau, Lamennais,ecc”. (Mons. LEFEBVRE, Il colpo da maestro di Satana,Il Falco, Milano, 1978 - ma il testo, Risposta a diversedomande d’attualità, è del 24 febbraio 1977 - p. 103).

32) Sodalitium condivide pienamente il giudizio por-tato dalle Ordonnances sul nuovo codice. Ma questo giu-dizio dovrebbe avere – come logica e ineluttabile conse-guenza – la totale invalidità del nuovo codice e la consta-tazione assolutamente certa che Giovanni Paolo II nonha l’autorità divinamente assistita (non è Papaformaliter). Infatti, da un lato, un codice di leggi che“pecca gravemente contro la finalità stessa della legge”(che è il bene comune) non può essere valido e, d’altraparte, una “autorità” che non assicura il bene comunenon può essere legittima: lo stesso Mons. Tissier ricono-sce, con P. Guérard, che chi non vuole abitualmente ilbene della Chiesa non può essere Papa (Fideliter, n. 72,nov.-dic. 1989, p. 7). Ed infatti, è impossibile che un’au-tentica autorità promulghi un codice di diritto canonicoche “pecca gravemente contro la finalità stessa della leg-ge” (Mons. Tissier) (sull’infallibilità delle leggi universalidella Chiesa vedi ad es. DON FRANCESCO PALADINO, Pe-trus es tu?, Delacroix, 1999, pp. 143-148, un libro che ab-biamo ampiamente criticato – cf DON F. RICOSSA, DonPaladino e la ‘Tesi di Cassiciacum’. Risposta al libro: ‘Pe-trus es tu?’, Centro librario Sodalitium, Verrua, 1999 –ma che su questo punto specifico, appoggiandosi su cita-zioni pertinenti – è assolutamente irrefutabile. Ad essorinviamo il lettore).

32 bis) La dispensa “è un atto dell’autorità competen-te, che scioglie il suddito dall’obbligo di osservare la leggein casi particolari. L’autorità competente a dispensare èquella stessa che ha emanato la legge, oppure un’autoritàsuperiore” (F. ROBERTI e P. PALAZZINI, Dizionario diteologia morale, Studium, 1968, voce ‘dispensa’).

33) Sono riservati alla Santa Sede ad esempio gliimpedimenti matrimoniali (can. 1040), la sanatio in ra-dice (can. 1141, Ordonnances, pp. 60-62), varie dispense(Ordonnances, p. 37, p. 42: dispensa dagli Ordini Sacri,p. 44; l’indulto di secolarizzarione per i religiosi, riser-vato ad un vescovo della Fraternità, p. 45, p. 47, ecc.),l’assoluzione da molte censure, tutte cose che la Frater-nità attribuisce alle proprie autorità.

34) “Nomine Sedis Apostolicæ vel Sanctæ Sedis inhoc Codice veniunt non solum Romanus Pontifex, sedetiam (…) Congregationes, Tribunalia, Officia, per quæ

idem Romanus Pontifex negotia Ecclesiæ expedire so-let” canone 7 (vedi i canoni 360-361 del nuovo codice).

35) Questo principio (del non ricorrere a Roma)non vale solo per le cause matrimoniali, ma è applicatocostantemente dalla Fraternità. Al Papa è ancora con-cesso – è vero – il privilegio petrino e la dispensa sulmatrimonio rato ma non consumato, tuttavia non senzail permesso del superiore di distretto e il controllo dellacommissione canonica (Ordonnances, p. 38).

36) In contraddizione con quanto afferma Mons.Tissier: “L’abbé Laguérie, parroco – per supplenza – diSaint Nicolas du Chardonnet, non ha potere di giurisdi-zione sugli abitanti del quartiere, sugli abitanti del Quin-to ‘arrondissement’. Ha potere sulle persone, precisiamo:sulle famiglie e i fedeli, che frequentano la sua chiesa echiedono l’aiuto del suo ministero sacerdotale” (allocu-zione del 10 marzo 1991, op. cit., p. 101).

37) Questa contraddizione è stata segnalata ancheda alcuni membri della Fraternità: “la giurisdizione disupplenza – scrive ad esempio l’abbé Mercury – definitacome un potere accordato caso per caso, è stata qualifi-cata molto correttamente come ‘personale’. Mons. Tis-sier de Mallerais ha spiegato nella sua allocuzione che ‘sitratta di una giurisdizione personale e non territoriale.Capirlo è molto importante: i vostri sacerdoti hanno giu-risdizione sulle vostre persone e non su di un territorio. Isacerdoti di tradizione hanno giurisdizione su ciascunodei loro fedeli che frequentano la loro cappella, la lorochiesa di tradizione, il loro priorato o convento di tradi-zione, ma non su di un territorio determinato, come – adesempio – il territorio di una parrocchia’ [pp. 100-101].Ingannati probabilmente dai termini utilizzati, alcunihanno assimilato la gerarchia di supplenza a quella diuna prelatura personale, che è evidentemente [una giuri-sdizione] di tipo ordinario. (…) Questa restrizione im-posta dalla definizione stessa della giurisdizione di sup-plenza pone evidentemente una grave difficoltà sul pianosociale. Questo perché il potere dei sacerdoti della tradi-zione che concerne delle persone prese individualmente,non sembra estendersi alle persone morali, come, ad

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esempio, una comunità. Concretamente, ciò significa chela nostra giurisdizione non si esercita sulle nostre comu-nità, come su di un gregge. (…) Quando Mons. Lefebvredice: ‘le vostre chiese sono le nostre parrocchie’, bisognacapirlo in senso analogico e non in senso stretto, come sela giurisdizione di supplenza ci autorizzasse a costituiredelle entità canoniche in senso pieno. La creazione distrutture di diritto ecclesiastico (…) spetta in proprioall’esercizio del potere ordinario. Rivendicare un tal po-tere, significa esporsi all’accusa di scisma più o meno la-tente, perché equivale all’arrogarsi delle prerogative cheoltrepassano i limiti di un potere straordinario ammessoin un periodo di crisi” (H. MERCURY, L’œuvre de MgrLefebvre: une théologie de l’exception” Edition de la pe-tite croix, août 1999, p. 59-61). Facciamo notare che so-no le stesse Ordonnances che confondono giurisdizionesupplita e prelatura personale, equiparando la “gerar-chia della Fraternità” all’ordinariato militare (p. 7).

38) Questa obiezione è così esposta da Orlando Fe-deli:“una domanda: perché questo sacerdote, se è un sa-cerdote fedele, non potrebbe avere la stessa autorità disupplenza del sacerdote superiore di distretto? Le condi-zioni sarebbero le stesse, o potrebbe persino avere mag-gior merito se si trattasse di un esperto in diritto canoni-co o se si informasse meglio. Se si ammette l’argomenta-zione e se è conseguente, alcuni sacerdoti potrebberoegualmente proporsi per supplire l’autorità della Rotache dipende direttamente dal Papa. Quale autorità po-trebbe impedirglelo? Forse, senza rendersene conto, ègià stata aperta la porta al soggettivismo; quando, auto-nomamente, furono create le nuove autorità di supplen-za, fu aperta la via alla possibilità che ogni persona chesi consideri fedele possa organizzare il suo proprio tri-bunale suppletorio, seguendo questo esempio e utiliz-zando i medesimi argomenti”. E ancora: “Infine, perchésolo la Fraternità avrebbe adesso il diritto di istituire untribunale con i poteri della Rota? E chi può aver conces-so alla Fraternità San Pio X questo diritto e questo pote-re, perché non lo potrebbe conferire anche ad altri? Chiha nominato i membri della Commissione canonica SanCarlo Borromeo, dando loro un diritto e un potere chepuò dare solo il Papa? Poiché i giudici ecclesiastici sonovicarî papali che, come abbiamo visto, parlano in nomedel Papa e in suo nome emanano sentenze, in nome dichi i giudici della Commissione canonica San CarloBorromeo proferiscono le loro sentenze?”.

39) Bisogna dar atto a Mons. Tissier di rifiutare, inprincipio, questa tesi: “l’errore per eccesso – dissenell’allocuzione del 10 marzo 1991 – equivale a dire: tut-ti o quasi tutti i vescovi hanno apostatato dalla fede cat-tolica, o per lo meno non la predicano più, per cui nonesiste più una gerarchia legittima; non c’è più papa, o ve-scovi legittimi nella Chiesa. Pertanto, la vera e l’unica ge-rarchia della Chiesa sono Mons. Lefebvre, i suoi quattrovescovi, i superiori di distretto, i priori e i loro vicarî. Ec-co, questa è la gerarchia della Chiesa! Ovvero il clero ditradizione in questa organizzazione gerarchica apparen-te. Del resto, se uno dei vescovi fosse eletto papa, l’appa-renza gerarchica sarebbe completa! È quello che certesette non hanno esitato a fare, naufragando su questoscoglio. Evidentemente questa posizione è falsa, e noi ri-fiutiamo questa analisi e le sua conseguenze” (p. 104).Tuttavia, se la Fraternità San Pio X ha sempre rifiutatoil sedevacantismo (e a fortiori il conclavismo) in teoria,nella pratica si comporto non solo come se la gerarchiadella Chiesa non esistesse più, ma anche come se avesseil potere di sostituirla. In questo senso la Fraternità San

Mons Licinio Rangel: a Campos è lui che annulla i matrimonî

Pietro ha ragione di scrivere: “Questa attitudine presup-pone un sedevacantismo pratico. (…) Sarà pur necessa-rio che le autorità della Fraternità San Pio X ammettanoin pubblico quello che altri (e non dei meno importanti!)riconoscono in privato – solo tra intimi, naturalmente”(Du sacre épiscopal contre la volonté du Pape, avec ap-plication aux sacres conférés le 30 juin par Mgr. Lefeb-vre, essai théologique collectif de membres de la Frater-nité Saint Pierre sous la direction de M. l’abbé Bisig, tex-te polycopié p. 23. Citato da Mercury, p. 39). È quel chediceva Mons. Guérard des Lauriers quando definiva ilPapa qual è riconosciuto dalla Fraternità un “manichi-no di Papa” (Sodalitium, n. 13).

40) Sodalitium, n. 48, dicembre 1998, pp. 50-51.Ve-di anche quanto Mons. Tissier scrisse il 29 settembre1993 all’abbé Berger, in Sodalitium, n. 40, p. 62.

41) Sodalitium, n. 51, luglio 2000, pp. 8-9. 42) Il giudizio in prima istanza spetta all’ordinario

del luogo (normalmente il vescovo diocesano: can.1572, can. 1419 n.c.). Quello in seconda istanza spettanormalmente al metropolita (can. 1594; can. 1438 n.c.)del quale il vescovo è suffraganeo. Il giudizio in terza eultima istanza spetta al Papa (can. 1597; can. 1442 n.c.):“il Romano Pontefice è giudice supremo in tutto l’or-be cattolico, e giudica o personalmente o tramite i tri-bunali ordinari della Sede Apostolica oppure per mez-zo di giudici da lui delegati”.

43) F. PIVERT, Des évêques d’adoption in Fideliter,n. 123, maggio-giugno 1998, pp. 13-17; la frase citata sitrova alla pag. 16 di questo numero di Fideliter dedica-to al decimo anniversario delle consacrazioni episcopa-li fatte da Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer.”L’autore di questo articolo – scrive Fideliter - il rev.don François Pivert, giurista, è membro della Commis-sione canonica della Fraternità Internazionale (sic) SanPio X”. La posizione dell’abbé Pivert sembra esserequella della Fraternità San Pio X, anche se alcuni suoimembri non l’accettano (cf abbé MERCURY, op. cit., pp.32-32, 35-38).

44) F. RICOSSA, Le Consacrazioni Episcopali nellasituazione attuale della Chiesa. Risposta all’articolo didon H. Belmont, (supplemento al n. 46 di Sodalitium)Centro librario Sodalitium, Verrua Savoia. L’abbé Bel-mont sostenne inizialmente la stessa tesi dell’abbé Pi-vert deducendone una conclusione del tutto opposta: sela giurisdizione viene al vescovo dalla consacrazioneepiscopale, allora una consacrazione senza il consensodel Papa implica attribuzione di giurisdizione senza sot-tomissione al Papa, e quindi scisma. In seguito l’abbéBelmont ha abbandonato questa posizione, pur oppo-nendosi ancora dottrinalmente alle consacrazioni.

45) Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano,1953, vol. X, col. 18, voce Primato di San Pietro e delRomano Pontefice, a cura di Mons. ANTONIO PIOLANTI.

46) H. MERCURY, op. cit., pp. 41-42.47) L’abbé Pivert, seguito da Mons. Tissier de Mal-

lerais (punto III del suo articolo pubblicato da Corunum) invocano il can. 20 (nuovo codice, can. 19) come“base dottrinale dei nostri poteri suppletori”. Il can. 20servirebbe, difatti, ad estendere quasi all’infinito i casiben limitati di giurisdizione supplita previsti dal codice:“se su una determinata materia manca una espressa di-sposizione di legge sia universale sia particolare o unaconsuetudine, la causa, se non è penale, è da dirimersi te-nute presenti le leggi date per casi simili, i princìpi gene-rali del diritto applicati con equità canonica, la giuri-sprudenza e la prassi della Curia Romana, il modo di

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sentire comune e costante dei giuristi” (n. can. 19). Ci sipuò appoggiare su questo canone per istituire dei tribu-nali ecclesiastici non riconosciuti da Roma? È quelloche pretende Mons. Tissier (Cor unum, p. 41, punto III)appoggiandosi a) sui luoghi paralleli e l’analogia legale,b) sulla giurisprudenza della Curia Romana, c) sull’epi-cheia e l’opinione dei giuristi. Quanto ai “luoghi paral-leli” e all”analogia legale” Mons. Tissier invoca “il casodel ricorso impossibile al vescovo per dispensare da unimpedimento dirimente di diritto ecclesiastico: in ‘perico-lo di morte’ o ‘quando omnia parata sunt ad nuptias’ ilparroco o il confessore possono dispensare (can. 1044-1045). Il che significa che la Chiesa dà loro, per via disupplenza, giurisdizione ad casum” (Cor unum, p. 41,III, 2, a). Gli risponde Orlando Fedeli: “per poter appli-care l’analogia legale, e affinché i casi siano realmenteparalleli, occorre che ci sia somiglianza di materia (…)tra la norma che si suppone contenuta implicitamente nelCodice e quella alla quale si fa riferimento. Nei canoni1044-1045 la dispensa data dal vescovo è ordinata diret-tamente e immediatamente all’esercizio della ‘potestassacra’ (nel caso urgente per ricevere la grazia sacramen-tale e morire in grazia o contrarre validamente il sacra-mento, non potendo attendere senza grande inconve-niente il ritardo causato dal ricorso all’autorità: ‘ad ca-sum’, il legislatore, usando del suo potere, dà la facoltànecessaria per agire validamente). Nel caso dei tribunali,al contrario, si tratta di un atto giudiziario della ‘potestasregiminis’, del potere di governo, nel quale non è impli-cata direttamente e immediatamente la ricezione dellagrazia sacramentale o l’esercizio della ‘potestas sacra’.Le persone coinvolte in un giudizio canonico possonoessere e rimanere in peccato mortale, possono pure rima-nere scapoli o cambiare stato, e il giudice può essere unlaico. Il processo in un tribunale è un atto giuridico sen-za connessione necessaria con il ricevere la grazia urgen-temente per salvare un’anima, o con un sacramento; Ilcodice stabilisce una supplenza ordinata agli atti sacra-mentali; ‘potestas sacra’; supplenza che permette, in fa-vore di terzi, di attuare una potenza che il titolare posse-deva già almeno radicalmente. Gli atti propri della ‘pote-stas regiminis’, di governo, sono molto diversi: non sonovincolati direttamente all’esercizio sacramentale, né que-sto potere si aquisisce senza essere stati designati per es-sere capaci di agire in nome del Giudice Supremo; essereministro sacro non abilita all’esercizio del potere giudi-ziario. L’esercizio valido di questo potere non sacramen-tale, richiede, a norma del diritto, una designazione daparte del solo che lo possiede ipso jure in pienezza; difatto ci sono giudici laici ed il loro potere, per il fatto diessere stati nominati giudici, viene esercitato ipso iure nelnome di colui che li ha nominati e nei limiti stabiliti daldiritto (…). Agendo da giudice, non si attua una potenzache si possiede abitualmente, ma per designazione, e soloper designazione da parte di colui che è il solo a posse-dere la pienezza del potere nella Chiesa. (…) L’eserciziodel potere dei tribunali (di prima, seconda e terza istan-za) non rientra nelle facoltà abituali del ministro sacro(…). Un vero luogo parallelo che ci guida per sapere senegli atti di un tribunale canonico vi può essere analogiacon quella supplenza che la Chiesa esercita negli atti dicui parlano i canoni 1044-1045 è quanto viene stipulatonel canone 144 che regola la supplenza nell’esercizio del-la giurisdizione, e nel quale non vi è supplenza possibileper esercitare il potere legislativo o giudiziale. (…) Rias-sumendo: non vi è luogo parallelo, legalmente parlando,poiché non esiste somiglianza di materia (…); pertanto il

presunto luogo parallelo per poter agire come tribunalicanonici di supplenza è inapplicabile, passando da unasupplenza per l’esericzio di un potere (potestas sacra) inforo interno che si possiede radicalmente a una supplen-za per analogia dell’esercizio della potestas regiminis digoverno in foro esterno la quale, senza una designazio-ne, non si possiede in alcun modo (…)”. Lo stesso argo-mento viene opposto a quello avanzato dalla giurispru-denza della Curia Romana (tra l’altro Cor unum, nel ci-tare la Commissione di interpretazione del codice, sisbaglia di data). L’ultimo argomento è quello fondatosull’epikia e l’opinione dei giuristi. L’inconseguenza delragionamento di Mons. Tissier salta agli occhi di qua-lunque lettore: dopo aver dimostrato, citando PadreCappello, che nella situazione attuale non siamo tenutia ricorrere “a dei tribunali modernisti”, Mons. Tissierconclude abusivamente: “ma se questo obbligo cessa,non cessa l’obbligo di ricorrere a qualche tribunale!”(Cor unum, III, 2, c, p. 42). A condizione, aggiungiamonoi, che questo altro tribunale esista! Altrimenti, nonsiamo autorizzati a creare, senza averne l’autorità, deitribunali non legali….

48) Lo riconosce anche l’abbé Mercury, della Fra-ternità San Pio X (op. cit., p. 44).

49) DINO STAFFA, voce Giurisdizione in Enciclope-dia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, col. 786.

50) F. ROBERTI E P. PALAZZINI, Dizionario di teo-logia morale, Ed. Studium, Roma, 1968, vol. 1, p. 740.

51) Secondo l’abbé Mercury il potere della giurisdi-zione supplita “è accordato tacitamente dall’autorità le-gittima della Chiesa” (p. 49), anche se nega che sia ac-cordata nel caso delle “commissioni canoniche”. Eglinon si nasconde l’obiezione che gli si potrebbe rivolge-re:“non mancheranno delle persone per obiettare chel’attuale possessore della Sede Apostolica potrebbe, diconseguenza, toglierci questa giurisdizione, dato che di-pende da lui”. L’abbé Mercury risponde a questa obie-zione – che è anche la nostra – in maniera opinabile: “loSpirito Santo assiste l’autorità per evitare ogni decisionetirannica opposta all’obbligo che c’è per ognuno di pren-dere i mezzi indispensabili per salvarsi” (op. cit., p. 46).Non è il principio qui affermato che è contestabile, mala sua applicazione a Giovanni Paolo II, il quale, di fat-to, non solo nega questa giurisdizione alla Fraternità,ma nega ai fedeli i mezzi per la salvezza (e questo se-condo il giudizio stesso della Fraternità che qui condivi-diamo; è proprio questo rifiuto oggettivo di realizzare ilbene/fine della Chiesa, la salvezza delle anime, il moti-vo per il quale Giovanni Paolo II non è e non hal’autorità).

52) Il lettore potrebbe chiedersi qual è la nostraposizione al riguardo. Infatti, non solo i sacerdoti dellaFraternità San Pio X, ma tutti quelli che si oppongonoal Vaticano II, sono privi di giurisdizione ordinaria edelegata. Se non possiamo invocare neppure la giurisdi-zione supplita – che viene dal Papa - come si può difen-dere la liceità del nostro ministero? Padre Guérard desLauriers ha più volte preso in esame questo problema,particolarmente in Consacrer des évêques? (supplemen-to a Sous la bannière, n. 3, gennaio-febbraio 1986, ripre-so da Sodalitium, n. 16, p. 16 ss). Possiamo riassumerequesta posizione nei seguenti punti:

a) nella Chiesa esistono i poteri di ordine e di giuri-sdizione

b) questi due poteri sono in mutua relazione e de-vono essere normalmente esercitati congiunta-mente; sono però realmente distinti, e possono

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eccezionalmente essere esercitati separatamentec) attualmente la Sede Apostolica è formalmente

(ma non materialmente) vacanted) dal fatto che la Sede è formalmente vacante, se

ne deduce che, mancando in atto il Papa, fontedella giurisdizione ecclesiastica (ed anche il restodella gerarchia dotata di giurisdizione ordinariao delegata) nessuno attualmente è depositario digiurisdizione, ordinaria, delegata o supplita daldiritto, non solo tra i seguaci del Vaticano II, maanche tra i suoi oppositori. La gerarchia secondola giurisdizione sussiste però ancora potenzial-mente e materialmente, il che assicura la conti-nuità della Chiesa

e) non può e non deve però venir meno il potere diordine (per la gloria di Dio, con l’offerta dei Sa-crificio, e la salvezza delle anime, con l’ammini-strazione dei sacramenti, l’evangelizzazione ecc.)che può quindi essere lecitamente esercitato an-che da sacerdoti privi del potere di giurisdizione,secondo il rito (tradizionale) della Chiesa. Nega-re questo punto conduce a negare la continuitàdella Chiesa così come è stata voluta da Cristo. Ivescovi consacrati a questo scopo non godonoperò del potere di giurisdizione, ma solo del po-tere d’ordine

f) si può ammettere che i vescovi ed i sacerdoti cheesercitano in questo modo il potere d’ordine ri-cevono da Cristo – per modum actus, cioè in ma-niera transitoria e per ogni singolo atto sacra-mentale esercitato - un potere di giurisdizione disupplenza. Questo vale soprattutto per il sacra-mento di penitenza, per il quale la giurisdizione ènecessaria non solo di diritto ecclesiastico, maanche di diritto divino, per la natura stessa delsacramento

g) ma questa giurisdizione supplita si può supporreaccordata solo per quegli atti già fondati nel po-tere di ordine (o per ciò che è assolutamente in-dispensabile alla continuità della Chiesa: cf Soda-litium, n. 48 pp. 345-36, n. 7, dove sono citati iteologi Billuart e Zapelena) e non per degli attidi pura giurisdizione in coloro che non hannod’altra parte alcun fondamento a ricevere talegiurisdizione.

Come constaterà il lettore, il nostro punto f) nondifferisce molto dalla posizione di Mons. Tissier: è cioèpossibile ammettere una supplenza da parte di Cristo.Neghiamo però che sia possibile ammettere tale sup-plenza se si riconosce in atto l’autorità di Giovanni Pao-lo II (Cristo allora agirebbe sempre mediante il suo Vi-cario, e mai senza di lui) e neghiamo, anche nell’ipotesidi vacanza della Sede Apostolica, la possibilità che Cri-sto possa dare autorità a organismi giurisdizionali com-posti da persone private spoglie di ogni autorità, anchemateriale (come le Commissioni canoniche della Fra-ternità o i conclavi dei sedevacantisti; in questo sedeva-cantisti e lefebvriani sono mossi dalla stessa logica e da-gli stessi argomenti).

53) Questo documento è stato pubblicato su Soda-litium, n. 40 pp.62-68, come Lettera circolare ai sacerdo-ti della Fraternità San Pio X.

54) H. MERCURY, op. cit., p. 43. 55) Vedi al proposito, F. RICOSSA, 1994: Anno della

famiglia o dell’Androgino primitivo, pubblicato in So-dalitium, n. 38, pp. 56-59; n. 39, pp. 36-44; n. 40, pp. 34-47.

56) Giovanni Paolo II, scrive l’abbé Belmont nel1990, “non avendo rotto con lo stato di scisma” instau-rato da Paolo VI “resta pertanto privo dell’autorità pon-tificia. Di conseguenza, la testimonianza della fede esigeche si eviti ogni atto che comporti in qualsiasi modo unriconoscimento della sua autorità: nominarlo nel Cano-ne della Messa o nelle preghiere liturgiche previste per ilSommo Pontefice, approfittare delle sue leggi o ricono-scergli un valore giuridico, ricorrere ai tribunali dellacuria, ecc.” (Abbé H. BELMONT, L’exercice quotidiende la foi, in Brimborions. Contribution à la vigilance dela foi, Grâce et vérité, Bordeaux, 1990, p. 68). Condivi-diamo pienamente questa posizione.

57) Non si tratta di casi puramente teorici, purtrop-po… A causa di questa difficoltà, non pochi sacerdoti efedeli, anche sedevacantisti, riconoscono la validità dellesentenze di nullità dei tribunali di Giovanni Paolo II (incontraddizione coi loro proprî princìpî) oppure ammet-tono la possibilità di concedere nuove nozze dopo chedei sacerdoti “tradizionalisti” hanno esaminato il dossiere concluso, con un consiglio in forma privata, che il pre-cedente matrimonio era effettivamente nullo. A questaseconda ipotesi, fondandosi sulla natura sociale del ma-trimonio, risponde correttamente Mons. Tissier scriven-do che “una tale opinione [privata] non è sufficientequando è in gioco il bene comune; ora il bene comune è ingioco in ogni causa nella quale è in dubbio il vincolo ma-trimoniale. Per decidere del dubbio, occorre un potere inforo esterno pubblico” (Cor unum, cit., IV, 4, p. 43; altro-ve ha scritto: anche in caso di “matrimonio realmentenullo” “per constatare lo stato libero di una persona – af-finché possa risposarsi – è necessaria una sentenza valida,e non un giudizio privato sommato a una sentenza invali-da!” (Cor unum, ibidem, I, 3, b, p. 40); questo modo diprocedere sarebbe forse ammissibile solo per i casi evi-denti (nullità del matrimonio per legame precedente,consanguineità di primo grado, ordine sacro, ecc.). Qual-cuno potrebbe invocare una supplenza non della Chiesama di Dio per rendere valide delle sentenze di nullità diper sé invalide emanate in nome dell’occupante materia-le della Sede apostolica. Ma tale supplenza è prevista daiteologi – per chi ha un qualche titolo a riceverla - soloper i casi nei quali l’esistenza stessa della Chiesa sarebbein gioco, il che non è il caso. Salvo meliori judicio, nonvediamo quindi una soluzione a questi casi di coscienzaspinosi e dolorosi che coinvolgono certi fedeli se nonnell’ eliminare le cause di nullità del primo matrimonio,rendendolo così valido o, se ciò fosse impossibile, nell’ac-cettare la dura ma non insostenibile situazione di coluiche vive separato senza risposarsi (quanto ai fedeli nonsposati, vige l’obbligo – per tutti quelli che sono coscientidi questo problema - di non unirsi in matrimonio conpersone che sono state precedentemente sposate e chehanno poi profittato di una dichiarazione di nullità).

58) In effetti, vi è stata una evoluzione nella posizio-ne della Fraternità a questo proposito. Nel 1983, nove sa-cerdoti appartenenti al distretto degli Stati Uniti dellaFraternità San Pio X abbandonarono questa società an-che perché essa riconosceva le sentenze di nullità matri-moniale emanante dalla Sacra Rota e persino dai tribu-nali diocesani statunitensi, notoriamente lassisti.

59) Mons. Tissier non si rende conto che i due casi– consacrazioni episcopali e sentenze di un tribunale –non possono essere messi sullo stesso piano. “Un attovalido in sé stesso come le consacrazioni – osserva Or-lando Fedeli – è cosa ben distinta dall’esercizio del pote-re di governo, che necessita della giurisdizione per avere

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un’esistenza legale, quali sono le sentenze di un giudice.Se un giorno le consacrazioni dovranno essere confer-mate dalla Santa Sede, ciò non sarà per renderle valide(validità che nessuno mette in dubbio); si trattò di un attodi trasmissione del potere d’ordine, il solo potere che po-tesse trasmettere Mons. Lefebvre, e non del potere di giu-risdizione, che solo il Papa possiede per diritto proprio epuò, pertanto, comunicare”. Per spiegarci ancor meglio:se in futuro – ritornata la normalità nella Chiesa - laSanta Sede dichiarasse illegittime le consacrazioni epi-scopali compiute da Mons. Lefebvre e dai suoi succes-sori, i vescovi consacrati, i sacerdoti ordinati, i fedelicresimati, sarebbero pur sempre validamente consacra-ti, ordinati e cresimati, seppur illecitamente. Al contra-rio, se la Santa Sede non confermasse le sentenze deitribunali della Fraternità (e non si vede proprio comepotrebbe confermarle) i matrimoni contratti basandosisu queste sentenze sarebbero stati, fin dall’inizio, total-mente invalidi, e i presunti sposi si scoprirebbero im-provvisamente essere dei concubini.

60) Si noti che per Mons. Tissier Giovanni Paolo IIè il Papa legittimo, per cui non si vede perché non spet-terebbe a lui giudicare della validità delle sentenze por-tate dalla Fraternità, e si debba invece aspettare il giu-dizio di un Papa futuro. Il fatto è che il riconoscimentodella legittimità di Giovanni Paolo II da parte della Fra-ternità è più verbale che reale.

61) Lo segnalarono prima di noi due sedevacantistipassati alla Tesi di Cassiciacum, Mons. McKenna, cioè,e Padre Barbara.

Mons. Tissier de Mallerais

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Appendice

Questo dossier sulla “Commissione ca-nonica San Carlo Borromeo” era giàchiuso in redazione, quando abbia-

mo ricevuto da un lettore una copia dell’edi-toriale che don Michel Simoulin, superioredel Distretto Italia della Fraternità Sacerdota-le San Pio X, ha pubblicato sul numero dinovembre 2000 di “Roma felix”.

Per la prima volta dal 1991, data in cui fuistituita la “Commissione canonica San CarloBorromeo”, la Fraternità San Pio X parla aifedeli italiani di questo organismo (pur senzasvelarne il nome); guarda caso solo dopo che“Sodalitium”, nel suo editoriale di luglio (n.51), aveva annunciato la pubblicazione di undossier “sui ‘tribunali canonici’ della Frater-

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tutti avrebbero apprezzato l’onestà intellet-tuale delle autorità della Fraternità in Italia.Il dossier di “Sodalitium”, poi, avrebbe per-duto gran parte del suo interesse.

Don Simoulin (o i suoi superiori) ha scelto in-vece un’altra strada; quella di negare la verità: lodimostra in maniera evidente il confronto tra ilsuo editoriale – che qui di seguito pubblichiamo –e i documenti autentici ma riservati della Frater-nità che avete appena letto. Un breve commentodi “Sodalitium” si accontenterà solo di sottolinea-re il contrasto tra l’editoriale di “Roma felix” el’articolo di Mons. Tissier estratto da “Corunum”.

A questo punto, alla Fraternità chiediamosolo – lo chiedono soprattutto i fedeli chehanno finora avuto fiducia in essa – di dire laverità, perché Dio è Verità.

Sodalitium

RISPOSTA ALL’EDITORIALEDELL’ABBÉ SIMOULIN

Un editoriale di Roma felix

Quello che potete leggere (alle pagg. 51-52) è l’editoriale del numero di novembre diRoma felix. Ne è autore l’abbé Michel Si-moulin, già rettore dell’Istituto universitarioSan Pio X a Parigi, già direttore del semina-rio di Ecône, e attualmente superiore del di-stretto italiano della Fraternità San Pio X. Diquesto distretto, Roma felix è la “lettera men-sile di informazioni”: una rivista ufficiale.

Motivo dell’editoriale, le domande che“parecchi amici della Fraternità” pongonoall’abbé Simoulin su dei “sedicenti ‘tribunali’costituiti dalla Fraternità per sciogliere matri-moni, voti religiosi, ecc.”. L’abbé Simoulin sirivolge direttamente agli amici della Frater-nità che sono dubbiosi, ma risponde ancheindirettamente a chi semina “i dubbi e lazizzania” diffondendo queste voci…

Un’accusa a Sodalitium?

È difficile non pensare che l’abbé Simou-lin non si riferisca all’editoriale del n. 51 diSodalitium (luglio 2000). Infatti, la Frater-nità, almeno in Italia, ha sempre taciutosull’esistenza della “Commissione canonicaSan Carlo Borromeo”, istituita nel 1991; èsingolare che se ne parli solo dopo la pubbli-

nità San Pio X”. “Dal 1991 – vivente Mons.Lefebvre – la Fraternità San Pio X si è arro-gata il ‘potere di legare e di sciogliere’ suisuoi fedeli (e potenzialmente su tutti i cattoli-ci) usurpando i poteri esclusivi della SantaSede. Un tribunale che siede nella casa gene-ralizia della Fraternità in Svizzera accorda ledispense dagli impedimenti matrimoniali(che renderebbero invalido il legame), annul-la i matrimoni, dispensa dai voti religiosi, to-glie le censure ecclesiastiche, incluse le sco-muniche…”. È quanto scrivevamo a p. 4dell’ultimo numero di Sodalitium. Pur senzacitare la nostra rivista, don Simoulin reagisce,con il suo editoriale di novembre, a quantoabbiamo scritto in proposito, o, piuttosto, ri-sponde alle reazioni dei suoi fedeli, perplessie preoccupati per quanto abbiamo rivelato.

Al posto di don Simoulin, avremmo gio-cato d’anticipo con Sodalitium: avremmopubblicato un dossier della Fraternità pubbli-cando tutti i documenti sulla “Commissionecanonica” giustificandone e difendendonecanonicamente l’esistenza; non tutti sarebbe-ro stati d’accordo con questa posizione, ma

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sordinata”. Ogni volta che l’abbé Simoulinparla dei tribunali della Fraternità per ne-garne l’esistenza, scrive “tribunale” tra vir-golette, e li definisce “sedicenti”, in quantofrutto della nostra fantasia.

Mons. Bernard Tissier de Mallerais, unodei 4 vescovi della Fraternità, Presidente dellaCommissione canonica, ha invece utilizzatoben 12 volte le parole tribunale e tribunali suCor unum (la rivista ufficiale della Frater-nità), senza alcun uso delle virgolette, in rife-rimento alla Commissione da lui presieduta, equesto in opposizione ai tribunali di GiovanniPaolo II, definiti via via tribunali “novus or-do”, tribunali “modernisti”, tribunali “ufficia-li”. Il titolo stesso dell’articolo di Mons. Tis-sier è “legittimità e statuto dei nostri tribu-nali matrimoniali”. Lo scopo dell’articolo è“giustificare dottrinalmente l’esistenza e ilfunzionamento dei nostri tribunali matrimo-niali”. Per Mons. Tissier “l’istituzione dei tri-bunali matrimoniali nell’orbe della tradizioneè specificamente giustificata” da quattro argo-menti, che cita al punto III, 4. Il fedele dellaFraternità che ricorre alla Commissione cano-nica sottoscrive una “promessa” giurata nellaquale si impegna a conformarsi “alla sentenzadel tribunale” della Fraternità.

Queste citazioni bastano a dimostrareche, quanto al primo punto, Roma felix nondice la verità.

Quanto al secondo punto, l’editoriale diRoma felix asserisce: “siccome spesso non cisi può fidare delle risposte date dai tribunalidiocesani, tutti possono sottoporre i loro que-siti ed i loro casi di coscienza a tali commis-sioni, i cui membri, esaminato il caso, dannouna risposta che non è niente di più di unavviso o un consiglio, e non è mai una sen-tenza declaratoria avente forza di legge! Aparte il fatto che una sentenza non è maiuna legge, ma l’applicazione di una legge,vediamo cosa scrive Mons. Tissier sempre suCor unum: “Si tratta di una vera giurisdi-zione, e non di una esenzione dal diritto edall’obbligo che hanno i fedeli di accettareuna sentenza. Pertanto abbiamo il potere eil dovere di emanare vere sentenze, con po-testatem ligandi vel solvendi. Esse hannopertanto valore obbligatorio. La ragioneprossima di ciò si trova nel fatto che dobbia-mo poter dire ai fedeli ciò che devono fare,quod debent servare. Le nostre sentenze nonsono delle semplici opinioni private…”(IV, 4). Infatti, lo abbiamo visto, il fedele

cazione di questo editoriale, nel quale si an-nunciava l’imminente pubblicazione del pre-sente dossier (non escludiamo naturalmenteche l’editoriale di Roma felix si rivolga an-che ad altre persone a noi sconosciute).

Le accuse dell’abbé Simoulin sono pe-santi: essere seminatori di dubbi e di zizza-nia, avere un’immaginazione abbastanza di-sordinata, mancare di onestà, fare, infine,l’opera del diavolo.

Il diavolo, come ognun sa, è il “padredella menzogna”. Scrivendo che dei “tribu-nali” sono stati “costituiti dalla Fraternità persciogliere [sic! Leggi: per annullare] matri-moni, voti religiosi ecc.” Sodalitium ha men-tito, o ha detto la verità? E se non abbiamomentito, chi mente?

Quello che Roma felix ammette dicendo laverità

L’editoriale in questione deve ammette-re che “Mons. Lefebvre aveva chiesto chefossero istituite delle commissioni (…) chenon sono affatto un organismo permanente,ma si riuniscono di volta in volta…”. In que-ste poche righe vi è tutto ciò che Roma felixammette (dopo 9 anni) a proposito delleCommissioni, affermando la verità.

Quello che Roma felix nega

Lo scopo dell’editoriale non è però am-mettere, quanto negare. Ora, in particolarmodo, Roma felix nega:

1) che la Fraternità abbia costituito dei“sedicenti ‘tribunali’”

2) che le commissioni istituite dalla Fra-ternità diano una risposta che sia “una sen-tenza declaratoria avente forza di legge”. Sitratta solo di organi consultivi, che danno“niente di più che un avviso o un consiglio”

3) che queste commissioni abbiano “cosìusurpato i poteri del Papa e della Curia ro-mana”.

Si tratta di tre bugie che Roma felix rac-conta ai propri lettori e la Fraternità italianaai propri fedeli.

Roma felix non dice la verità. Le prove.

Quanto al primo punto, Roma felix scri-ve: “quando si parla di ‘tribunali’ istituiti dal-la Fraternità, mi dispiace dire che essi sono ilfrutto di una immaginazione abbastanza di-

della Fraternità che ricorre alla Commissio-ne canonica sottoscrive una “promessa” giu-rata nella quale si impegna a conformarsi“alla sentenza del tribunale” della Frater-nità (Mons. Tissier usa 8 volte il terminesentenza riferendosi ai giudizi della suaCommissione, messi in opposizione alle sen-tenze “novus ordo”).

Queste citazioni bastano a dimostrareche, anche quanto al secondo punto, Romafelix non dice la verità.

Quanto al terzo punto, Roma felix scrive:“Sembra che ci sia chi semini i dubbi e la zizza-nia per far credere che la Fraternità abbia cosìusurpato i poteri del Papa e della Curia roma-na” mentre “si può dire tutto quello che si vuole,ma è fuor di dubbio che la Fraternità riconoscel’autorità di Roma, non vuole usurpare nulla del-la suprema giurisdizione di Roma e non usa chedi questa facoltà di supplenza prevista dal dirittocanonico per il bene delle anime, come fa d’altraparte per le confessioni e per i matrimoni”. Infi-ne, Roma felix ammette che “spesso non ci sipuò fidare delle risposte [anche i tribunali dioce-sani danno solo risposte, e non sentenze? N.d.r.]date dai tribunali diocesani”, come se la Frater-nità mettesse in dubbio l’autorità dei tribunalidiocesani unicamente, e non di quelli della San-ta Sede (Sacra Rota ad esempio).

Certo, la Fraternità riconosce (purtroppo)– almeno a parole – l’autorità di GiovanniPaolo II, né mai abbiamo detto il contrario.

Certo, la Fraternità non ammette diusurpare i poteri della Santa Sede, perché iltermine “usurpare” indica già abuso.

Ma la Fraternità pretende sostituire esupplire “i poteri del Papa e della Curia ro-mana” (e non solo quelli dei vescovi dioce-sani) nelle materie in questione.

Mons. Lefebvre stesso, nella sua letteradel 15 gennaio, scrisse che le Commissionidovevano supplire “in un certo senso alla de-

fezione delle Congregazioni romane” eMons. Tissier ammette: “è vero – scrive –che le nostre sentenze in terza istanza rim-piazzano le sentenze della Rota romana,che giudica in nome del papa come tribuna-le di terza istanza. Ma non si tratta di unausurpazione di un potere di diritto divino delpapa, perché il fatto che questa terza istanzasia stata riservata al papa dipende solo dal di-ritto ecclesiastico!” (IV, 5 pag. 43). Abbiamodimostrato che il divieto di ricorrere al Papa(il fedele della Fraternità s’impegna a nonrivolgersi “ad un tribunale ecclesiastico uffi-ciale per fargli esaminare o giudicare” la suacausa) implica la negazione del primato digiurisdizione del Papa, che gli spetta di dirit-to divino. In ogni caso, Mons. Tissier am-mette che la Fraternità, se non usurpa unpotere di diritto divino del Papa, usurpa al-meno un potere che gli spetta di diritto ec-clesiastico!

Queste citazioni bastano a dimostrareche perfino quanto al terzo punto Roma fe-lix non dice la verità.

Un’inutile scappatoia

Al termine del suo editoriale, l’abbé Si-moulin ammette che “come in ogni societàumana” anche nella Fraterrnità può capita-re che “uno dica una cosa sbagliata, l’altrofaccia un errore, un altro scriva una parolafuori luogo… Però non sarebbe onesto ap-poggiare su questi sbagli un discorso per pro-vare che la ‘Fraternità’ sta sbagliando grave-mente. È questo fare l’opera del diavolo”.

A parte il fatto che non si capisce perchéla Fraternità – come pure l’Istituto MaterBoni Consilii e qualunque istituzione nondirettamente fondata da Dio e da lui dotatadell’infallibilità, come la Chiesa – non possasbagliare gravemente, da queste righe tra-spare un estremo tentativo di difesa: even-tuali errori rilevati negli scritti di sacerdotidella Fraternità non coinvolgerebbero laFraternità stessa…

Questo argomento – nella fattispecie – èinane. I documenti da noi citati, infatti, sonodocumenti ufficiali della Fraternità: le Or-donnances, promulgate prima da Mons. Le-febvre e poi da Mons. Fellay, una esposizio-ne dottrinale sulle Commissioni canonichedella Fraternità redatta dal suo Presidente,Mons. Tissier, e pubblicata dal bollettino uf-ficiale Cor unum, una lettera infine del fon-

Don Simoulin

datore stesso della Fraternità, Mons. Lefeb-vre, al superiore generale dell’epoca, l’abbéSchmidberger.

Attribuire questi documenti ufficiali allaFraternità e non ai loro autori materiali, nonè fare l’opera del diavolo, ma opera di verità.

Perché questo atteggiamento?

Siamo molto addolorati di aver dovutodimostrare che le affermazioni di Roma felixnon sono veritiere, tanto più che l’estensoredi questo editoriale è un sacerdote zelanteche peraltro non poteva non sapere, tantopiù che in quanto superiore di distretto eglisarebbe giudice in seconda istanza di queitribunali dei quali nega l’esistenza!

Oltre che addolorati e increduli, siamoanche stupiti. Roma felix non ignorava cer-to – perché lo avevamo annunciato - che So-dalitium preparava un “voluminoso dossier”sulle Commissioni canoniche. Doveva per-tanto supporre come probabile che uno deitanti sacerdoti che hanno lasciato la Frater-nità ci avesse potuto trasmettere i documen-ti interni riservati che abbiamo pubblicato.Ora, Roma felix non poteva ignorare chequesti documenti avrebbero svelato in ma-niera inoppugnabile che l’editoriale in que-stione non era veritiero.

Non solo si è mentito, ma si è mentitoinutilmente; perché? Non spetta a noi giudi-care, anche se probabilmente l’amore per lapropria congregazione religiosa ha forzatola mano al redattore di Roma felix; se nobileè il sentimento, non si può però approvare ilmezzo utilizzato…

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I silenzi, le reticenze, le omissioni e pur-troppo anche le falsificazioni dimostranoperò almeno una cosa: che su questo punto,il superiore del distretto italiano della Fra-ternità San Pio X dubita della dottrina dellaFraternità. Se fosse così certo dello “statutoe legittimità” dei tribunali canonici, perchénegarne l’esistenza e la natura, quandoMons. Lefebvre scrisse invece che “non cisono inconvenienti a che i fedeli conoscanol’esistenza di questa Commissione”? Invitia-mo pertanto Roma felix a seguire questa di-rettiva del proprio fondatore, dicendo final-mente ai propri lettori tutta la verità. Errarehumanum est, perseverare diabolicum.

P. S.: a onor del vero Mons. Tissier, in una circo-stanza analoga, è stato invece più sincero. Quando Or-lando Fedeli, nel 1996, venne a conoscenza – da una no-ta della rivista della Fraternità argentina Jesus Christus– dell’esistenza della Commissione canonica, si rivolseper delucidazioni ai sacerdoti di Campos (Brasile) che,a suo dire, gli diedero risposte “evasive o contrad-dittorie”: “a volte ci dissero che i tribunali non esisteva-no, a volte che c’era solo un bureau per le cause matri-moniali (…). Più tardi ci dissero e garantirono che nonc’erano tribunali. In seguito ci confessarono che esisteva-no, ma che erano noti solo a quei sacerdoti che avesserofedeli con un problema giuridico matrimoniale. D. Lici-nio [il vescovo Licinio Rangel, consacrato da Mons.Tissier] ci scrisse che il Bureau di Campos dava soloopinioni di esperti (…) e non sentenze. (…) Stando cosìle cose scrissi a Mons. Fellay, attuale superiore della Fra-ternità San Pio X, a proposito dell’esistenza di questi tri-bunali. Ricevemmo da Mons. Tissier de Mallerais, presi-dente della Commissione canonica San Carlo Borro-meo, una risposta che, invece di calmare i nostri dubbi, liaggravò. In questa lettera, datata 9 ottobre 1996, Sua Ec-cellenza ci informava che, oltre i tribunali di prima e se-conda istanza, la Fraternità San Pio X aveva istituito untribunale coi poteri della Sacra Rota Romana: ‘per lesentenze che pronunciamo in terza istanza applichiamoper analogia alla nostra Commissione canonica i poteridella Sacra Rota Romana, per la stessa ragione della si-tuazione di necessità, poiché la Rota stessa è imbevuta difalsi princìpi personalisti. Anche in questo caso, vale ilprincipio: Ecclesia supplet!’”. Mons. Tissier non convin-se Orlando Fedeli, come non ha convinto noi. Però èstato sincero, e ha difeso la legittimità della Commissio-ne che presiede. Roma felix non si è comportata allostesso modo.

I quattro vescovi della Fraternità in S. Pietro a Roma, inoccasione del Giubileo 2000 (foto Fideliter)

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