early intervention nelle psicosi
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IL PROBLEMA DELL’INTERVENTO PRECOCE NELLE PSICOSI. UN SONDAGGIO AI MEMBRI DELL’INTERNATIONAL EARLY PSYCHOSIS ASSOCIATIONTRANSCRIPT
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA
E REGGIO EMILIAE REGGIO EMILIA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIAFACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea in Medicina e ChirurgiaCorso di Laurea in Medicina e Chirurgia
Dipartimento di Neuroscienze, Testa e Collo, Riabilitazione
IL PROBLEMA DELL’INTERVENTOIL PROBLEMA DELL’INTERVENTO
PRECOCE NELLE PSICOSI.PRECOCE NELLE PSICOSI.
UN SONDAGGIO AI MEMBRIUN SONDAGGIO AI MEMBRI
DELL’INTERNATIONAL EARLYDELL’INTERNATIONAL EARLY
PSYCHOSIS ASSOCIATIONPSYCHOSIS ASSOCIATION
Tesi di Laurea di: Igino Mauro AnnarummaTesi di Laurea di: Igino Mauro Annarumma
Relatore: Prof. Marco RigatelliRelatore: Prof. Marco Rigatelli
Correlatore: Dott. Gian Maria GaleazziCorrelatore: Dott. Gian Maria Galeazzi
Anno Accademico: 2004-2005Anno Accademico: 2004-2005
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INDICE
1. INTRODUZIONE...................................................................2
2. LA PREVENZIONE IN PSICHIATRIA....................................6
3. CONCETTO DI STATO MENTALE A RISCHIO....................12
4. ASPETTI CONTROVERSI DELL'INTERVENTO PRECOCE IN FASE PREPSICOTICA.............................................................18
5. GLI STRUMENTI DI SCREENING.......................................31
5.1. La rassegna della letteratura scientifica.............................34
5.2. CAARMS..............................................................................................38
5.3. BSABS...................................................................................................42
5.4. SIPS-SOPS..........................................................................................45
5.5. Tabella 1: Performance dei test di screening per stati mentali a rischio di psicosi..................................................................51
5.6. Tabella 2: Studi di intervento pubblicati in soggetti a rischio di psicosi.......................................................................................52
6. L’OPINIONE DEGLI ESPERTI NELLA MEDICINA DELLE EVIDENZE:.............................................................................53
7. UN SONDAGGIO SULLE OPINIONI DEGLI ESPERTI NEL CAMPO DELL’INTERVENTO IN FASE PREPSICOTICA...........57
7.1. Materiali e metodi...........................................................................58
7.2. Risultati................................................................................................60
7.3. Tabella 3: Interventi considerati appropriati da 325 soci della IEPA per il protagonista dell’ipotetico caso descritto in fase prepsicotica....................................................................................................63
7.4.Conclusioni..........................................................................................66
8. BIBLIOGRAFIA..................................................................70
9. APPENDICE.......................................................................90
10. Ringraziamenti..............................................................95
2
1. INTRODUZIONE
Negli ultimi anni il numero di ricerche e contributi sugli
interventi preventivi nelle fasi prepsicotiche, ovvero sulla
possibilità di trattare soggetti non-psicotici al fine di impedire
o ritardare un ipotizzato futuro conclamato scompenso è
aumentato sensibilmente, a dimostrazione del diffuso
interesse per tale argomento (noto come early intervention in
frase prepsicotica).
I sostenitori di tale approccio riportano con enfasi alcuni
risultati che farebbero pensare ad un'efficacia reale del
trattamento preventivo in popolazione di soggetti help-
seeking: attraverso strumenti di screening costruiti ad hoc e
integranti diversi tipi di criteri (familiarità, tratti schizotipici,
sintomi psicotici sottosoglia, declino funzionale), sarebbe
possibile individuare gruppi di soggetti ad alto rischio di
futuro sviluppo di psicosi su cui effettuare interventi di
prevenzione efficaci ad impedire tale esito.
D’altra parte si sostiene:
a) che gli strumenti attualmente disponibili non
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posseggano caratteristiche psicometriche di specificità e
potere predittivo positivo tali da consentire interventi
senza incorrere in rilevanti problemi etici, oltre che di
applicabilità (per l’elevato numero di falsi positivi);
b) che sia ancora insufficiente il livello di evidenza
scientifica circa la reale efficacia degli interventi
proposti, sia in termini di effetti vs. il non intervento, sia
in termini di permanenza del vantaggio ottenuto nel
tempo.
Per esaminare lo stato dell’arte di questa attuale controversia
si procederà in primo luogo con una revisione della letteratura
circa gli strumenti di rilevamento dei cosiddetti “stati mentali
a rischio di psicosi” (“at risk mental state” secondo Yung,
Yung e McGorry 1996) oggi disponibili. Si esamineranno poi
i dati già pubblicati circa studi di intervento in queste
popolazioni. Per ultimo, saranno presentati i dati relativi alla
questione dell’intervento precoce in fase prepsicotica ricavati
da un sondaggio ad hoc somministrato a psichiatri, psicologi,
infermieri e altri operatori della salute mentale, membri
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dell’International Early Psychosis Association (IEPA), ai
quali è stato chiesto di rispondere a domande generali sulla
psicosi e sugli interventi preventivi. Il questionario
comprendeva, inoltre, tre vignette cliniche, che presentavano
la situazione dello stesso individuo a rischio di psicosi, con
gradi crescenti a) di richiesta di aiuto, b) di gravità
sintomatologica e declino funzionale.
Il sondaggio aveva due obiettivi.
In primo luogo, quello di esplorare l’opinione di un gruppo di
“esperti” sulla questione degli interventi preventivi. Infatti,
proprio perché, come si vedrà, sono ancora scarsi i dati
empirici ad elevato livello di evidenza su questo tema, le
opinioni degli esperti, seppure ad un livello molto più basso
nella scala delle evidenze rispetto agli studi clinici
randomizzati e controllati, è probabile assumano un peso
significativo nel dirigere le scelte operative. In tal senso,
esplorare l’opinione degli esperti rappresenta in sé un modo
di raccogliere evidenza.
In secondo luogo, il questionario si è prefisso di verificare
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l’ipotesi che, proprio per la scarsità di apporti evidence based,
in questo ambito abbiano un peso importante fattori extra-
scientifici, quali il background professionale e il tipo di
concezione sulla psicosi in genere.
Ciò, se verificato, può generare ipotesi circa eventuali aree
controverse, che possono avere riflessi anche per la
formazione e l’approfondimento critico del problema.
2. LA PREVENZIONE IN PSICHIATRIA
Uno degli obiettivi più ambiziosi della medicina attuale è
quello di espandere sempre più il suo campo d’azione alla
prevenzione.
La prevenzione è classicamente distinta in:
1)prevenzione primaria, diretta ad evitare un potenziale
problema di salute;
2)prevenzione secondaria, diretta al rilevamento precoce
del problema e all'intervento opportuno per impedire
l'inizio della malattia o a ridurre il problema di salute;
3) prevenzione terziaria, finalizzata a contenere le
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invalidità, i postumi della malattia e a impedire
eventuali ricadute.
Tale classificazione è traslata in ambito psichiatrico dagli
altri contesti medici ed è legata al concetto di malattia,
definita come processo morboso evolutivo, caratterizzato da
un esordio, un decorso e, qualora non vada incontro a
risoluzione, da una cronicità.
Da ciò derivano anche i limiti di tale classificazione, più utile
quando le cause delle malattie sono chiaramente identificate e
circoscritte ad un unico fattore determinante, la latenza tra
momento eziologico e insorgenza della sintomatologia è
breve e le metodiche di screening sono relativamente
semplici, efficaci e attendibili.
Le metodiche di prevenzione assumono tre forme generali
nella pratica clinica (Bowling et al. 2004):
1) strategie di prevenzione che sono solitamente impiegate
sulla base di un rapporto uno ad uno entro il contesto di
un tradizionale servizio di assistenza medica;
2) strategie di prevenzione dei disturbi del
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comportamento, a volte intese come promozione della
salute, che si fondano sull'adozione di stili di vita più
salutari;
3) strategie di prevenzione dello sviluppo delle patologie,
impiegate nell'ambito di una comunità per
salvaguardare il benessere di tutti i cittadini, come le
vaccinazioni obbligatorie.
Nel 1994 Mrazek e Haggerty, dell’Institute of Medicine
(IOM) di Washington, hanno proposto una serie più articolata
di definizioni legate al campo della prevenzione in salute
mentale, correlate con i livelli di rischio nella popolazione
bersaglio. Esse definiscono la prevenzione dei disturbi
mentali come “lo spettro degli interventi di salute mentale per
i disturbi psichici, finalizzati a migliorare la salute mentale
della popolazione” (Mrazek e Haggerty 1994).
Tali interventi vanno intesi, quindi, come un continuum e
consisterebbero in interventi di:
– prevenzione;
– trattamento;
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– mantenimento.
Secondo Mrazek e Haggerty la prevenzione consta di tre
differenti strategie:
- “universale”: rivolta a tutta la popolazione;
- “selettiva”: rivolta ai gruppi a rischio che non presentano
ancora segni oggettivi di disagio;
- “indicata”: rivolta ad individui che palesano già segni
predittivi del disturbo, pur non essendo stato ancora
diagnosticato.
Gli interventi universali sono rivolti alla popolazione sana
con l'intento di promuovere la salute e non di prevenire un
disturbo in particolare. Debbono essere esenti da rischi e
risultano essere usualmente ben accetti. Inoltre, hanno un
basso costo individuale, purchè circoscrivano con certezza il
bersaglio su cui agire e siano efficaci. Un esempio di questo
tipo di interventi potrebbe essere quello della prevenzione del
fumo.
Gli interventi selettivi sono rivolti a individui o gruppi di
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popolazione che presentano un rischio di sviluppare disturbi
psichici in misura significativamente maggiore rispetto alla
popolazione generale, ma che ancora non manifestano segni
psicopatologici. Hanno costi bassi e rischi contenuti, mirano a
individuare e ridurre i fattori di rischio, e promuovono i
fattori protettivi. Un esempio, nell’oncologia, è la
mammografia annuale per donne con una storia familiare
positiva per il cancro al seno. In questo caso sono le stesse
donne a richiedere lo screening, ma in ambito psichiatrico il
maggior ostacolo per realizzare tali interventi consiste proprio
nel fatto che i soggetti ad alto rischio spesso non si fanno
portatori di alcuna domanda di intervento, perciò insorgono
seri dubbi sulla legittimità etica di intervenire in casi che
hanno una pura probabilità, pur considerevole, di evolvere in
psicosi.
Gli interventi preventivi cosiddetti indicati o specifici sono
costosi e presentano dei rischi, tra cui quello di trattare falsi
positivi. Tali interventi sono finalizzati alla prevenzione dello
sviluppo di un disturbo mentale o alla riduzione della sua
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gravità e sono rivolti a coloro che presentano segni minimi,
sottosoglia, ma identificabili, di disagio o disturbo (“at risk
mental state”): l’esempio più calzante è proprio l’intervento
in fase prepsicotica.
Questo modello, sarebbe più adatto al campo della psichiatria
poiché legato ai livelli di rischio della popolazione bersaglio e
non si riferisce agli interventi preventivi successivi alla
diagnosi né alla promozione della salute mentale in generale
(il trattamento in questo caso include lo screening e la cura di
problemi già esistenti e la prevenzione delle ricadute dopo la
terapia e la riabilitazione).
La ricerca attuale è tesa a comprendere come i fattori di
rischio che sono alla base dei disturbi mentali possano essere
ridotti attraverso interventi preventivi (Mrazek & Haggerty,
1994), e come si possano identificare, preservare, e rafforzare
i fattori protettivi.
In una recente relazione Mrazek propone che i servizi di
prevenzione della salute mentale incorporino i seguenti
elementi e finalità (Bowling et al. 2004):
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– un sano sviluppo dell'individuo per l'intero corso della
vita;
– priorità ai bambini e alle loro famiglie;
– valutazione e accessibilità ai servizi basate sulla variabilità
del rischio e sulla presenza o assenza di fattori protettivi;
– eliminazione delle difficoltà di accesso alle cure;
– selezione dei candidati per l’identificazione precoce di
popolazioni a rischio;
– uso di profili di rischio per attuare interventi preventivi che
siano funzionali, chiari e basati sulle evidenze;
– messa a punto di interventi preventivi per il rischio di
abuso di sostanze;
– registrazione delle misure di performance (come indicatori
di completamento del programma terapeutico, riduzione
effettiva del rischio, potenziamento dei fattori protettivi,
diminuzione dei tassi di esordio, risorse investite in servizi
preventivi e risparmio ottenuto);
– coinvolgimento dell’utenza nel concordare i progetti
terapeutici, la politica sanitaria e i servizi;
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– partnership e collaborazione tra fornitori dei servizi di
cura e le risorse della società.
3. CONCETTO DI STATO MENTALE A RISCHIO
A dispetto della mancanza di un consenso circa l’esatta
patogenesi e patofisiologia della schizofrenia e della maggior
parte dei disturbi psicotici, numerosi sono i fattori di rischio
riconosciuti essere associati alla psicosi. Il modello
neuropsicoevolutivo identifica due periodi a rischio nello
sviluppo della schizofrenia: un periodo molto precoce
(vulnerabilità genetica e fattori di rischio perinatali) e un
periodo più tardivo in giovani adulti (fattori di stress
ambientali, abuso di sostanze) (Germain et al. 2004). Fattori
sociali ed economici, come l’assenza di una rete sociale di
sostegno, la disoccupazione, la separazione dai genitori nella
prima infanzia ma anche i mutati usi e costumi nel Paese
ospite (Harland et al. 2004), sarebbero poi alla base
dell’aumentato rischio in alcune minoranze etniche (Broom et
al. 2005). Tale rischio aumenterebbe a sua volta nei gruppi di
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emigranti della seconda generazione (Ruhrmann et al. 2005).
Generalmente i pazienti con schizofrenia registrano un lungo
periodo da 1 a 5 anni di sintomi prodromici pre-psicotici, cioè
prima dell’esordio della malattia (Larsen et al. 2001; Hafner
et al. 2004).
Tali sintomi erano specificati nel DSM III come sintomi
prodromici per la schizofrenia, ma sono stati esclusi dal DSM
IV perché pur essendo riscontrati comunemente nella
schizofrenia non ne sono patognomici (Jackson et al. 1995).
Essi possono essere causati, in effetti, anche da altri disturbi o
essere reazioni temporanee ad eventi stressanti.
I sintomi prodromici comprendono:
1) modificazioni emotive: sospettosità, depressione, ansia,
fluttuazioni del tono dell’umore, sensazione di tensione,
irritabilità, rabbia;
2) modificazioni cognitive: idee bizzarre, lieve
tangenzialità, difficoltà di concentrazione o di
rievocazione;
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3) modificazioni della percezione del sé e degli altri;
4) modificazioni fisiche e percettive: alterazione del
sonno, alterazione dell’appetito, sintomi somatici,
perdita di energia e di motivazione, alterazione
percettive, ritiro, deterioramento nel lavoro e nello
studio, mancanza di interesse alla socializzazione.
Questo periodo di cambiamento comportamentale e
funzionale precedente il manifestarsi di evidenti sintomi
psicotici si definisce prodromo pre-psicotico. Nella maggior
parte dei casi viene descritto retrospettivamente.
Può essere considerato in due modi (Addington 2003):
1) primissima forma di disturbo psicotico, cioè come stato
a cui segue sicuramente la psicosi pienamente
dispiegata;
2) fattori di rischio o sintomi che aumentano la
vulnerabilità alla psicosi, ma ai quali non
necessariamente segue la psicosi. E’ questo il
cosiddetto “stato mentale a rischio” (Yung e McGorry
1996).15
Nel 1996 Yung coniò in effetti l’espressione “at risk mental
state” o ARMS (Yung et al. 2003) e definì un set di criteri
per meglio descrivere, rispetto all'espressione “prodrome” o
prepsicosi, la condizione di pazienti che, pur manifestando
taluni segni predittivi di psicosi, non necessariamente
evolvono in una psicosi. Può verificarsi però anche il caso
contrario: nel 10-20% dei casi infatti la psicosi si sviluppa
senza fase prodromica (Addington 2003).
I criteri stabiliti da Yung individuano tre gruppi di individui
ad alto rischio di sviluppare psicosi, definiti come (Yung et
al. 2004):
– BLIPS (acronimo per Brief Limited Intermittent Psychotic
Simptoms) o sintomi psicotici brevi, autolimitantesi, nei tre
mesi precedenti;
– APS (Attenuated Psychotic Simptoms) sintomi attenuati,
per esempio esperienze percettive insolite che si
presentano uno o più volte alla settimana per almeno una
settimana nell’ultimo mese e per non più di 5 anni;
– sintomi di stato e tratto.
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I sintomi brevi limitati, cioè che si risolvono entro una
settimana senza farmacoterapia (remissione spontanea),
appaiono in modo intermittente ma sono troppo brevi (meno
di una settimana) per soddisfare i criteri del DSM-IV per un
disturbo psicotico conclamato. Possono comparire diversi
minuti, ma non più di 60 minuti al giorno, fino a 4 giorni per
settimana.
Il gruppo dei sintomi attenuati, o sub-clinici, come
pseudoallucinazioni o altre anomalie della percezione,
possono essere esperiti per lunghi periodi, spesso mesi, ma
non in modo così grave come accade nelle psicosi franche.
Le caratteristiche di tratto proposte dall’autrice sono:
- un recente deterioramento funzionale equivalente a una
perdita di 30 punti nella scala GAF (Global Assessment of
Functioning Scale) per almeno un mese nell’ultimo anno e
per non più di 5 anni;
– anamnesi familiare positiva in parenti di primo grado o
disturbo schizotipico di personalità nel probando secondo
il DSM IV.
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Nel campione dei ricercatori australiani,il tasso di transizione
a psicosi franca ad un anno dal reclutamento di questi tre
gruppi ha raggiunto il 40%. Questo è comunque un livello di
rischio molte volte più alto rispetto a quello della popolazione
generale, in cui l’incidenza di psicosi si aggira attorno all’1%
(Warner 2005; Drake et al. 2005).
4. ASPETTI CONTROVERSI DELL'INTERVENTO PRECOCE IN
FASE PREPSICOTICA
Distinguere le anormalità preesistenti alla manifestazione
conclamata del disturbo può risultare difficile, ciononostante
sono stati individuati due periodi rilevanti per il rilevamento
precoce (early detection) della psicosi:
1) la fase prepsicotica o fase prodromica “prodrome”, che nel
73,3% dei casi dura in media 5 anni: è il periodo compreso
tra il primo sintomo negativo (es: isolamento sociale,
appiattimento affettivo) o non specifico e il primo segno
positivo (es: allucinazioni, deliri);
2) il periodo iniziale di psicosi non ancora trattato, che dura
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in media un anno e tre mesi: è il periodo compreso tra il
primo sintomo positivo e l’entrata del paziente in un
programma di intervento (Germain et al. 2004).
Sulla base di tale distinzione, l’espressione early intervention
può indicare due forme differenti di intervento preventivo
nelle psicosi (vedi Figura I):
-intervento prima dello sviluppo del disturbo psicotico con
soggetti a rischio (prevenzione primaria);
-intervento dopo lo sviluppo della psicosi, subito dopo il
primo episodio o successivamente, mirato alla prevenzione
delle ricadute (prevenzione secondaria).
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Figura I. Schema delle fasi temporali di intervento precoce.
Attualmente, il dibattito intorno alla efficacia dell’early
intervention si sviluppa essenzialmente su quattro punti:
1) neurotossicità della psicosi;
2) validità degli strumenti di screening nella popolazione;
3) eticità ed efficacia del trattamento antipsicotico in
soggetti a rischio;
4) correlazione tra durata della psicosi non trattata (DUP)
e prognosi.
Secondo i sostenitori, l’intervento precoce, al di là della
prevenzione primaria che appare ancora fuori dalla portata
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delle attuali conoscenze (McGorry e Killackey 2002),
permetterebbe di:
- riconoscere precocemente i nuovi casi di psicosi;
- diminuire l’impatto e il costo esistenziale dei disturbi
psicotici;
- diminuire il ritardo nel mettere in atto un trattamento
efficace;
- ricevere un trattamento ottimale e prolungato nel “
periodo critico” dei primi anni di malattia (contenimento
del danno). Per “periodo critico” si intende il periodo che
fa seguito alla remissione dopo il primo episodio psicotico
e si estende per 5 anni, configurandosi come una fase di
alta vulnerabilità (Birchwood et al. 1998).
Recenti studi avrebbero rilevato talune modifiche strutturali
encefaliche in corso di schizofrenia come la riduzione del
volume di amigdala e ippocampo (Keshavan et al. 2002) e
anormalità strutturali a livello dei lobi frontali e temporali
(Drake et al. 2005); altri (Hambrecht et al. 2002)
dimostrerebbero una riduzione delle capacità verbali, 21
mnemoniche e attentive già in fase prodromica. Ciò
suggerirebbe una possibile neurotossicità dello stato psicotico
(Warner 2005), il che spingerebbe a promuovere una politica
di strategie preventive e interventi precoci. Il problema di
questo tipo di studi è la ricorrente non conferma dei reperti in
studi successivi, per cui la nozione che la psicosi sia tossica
per il cervello rimane essenzialmente un’ipotesi (Cornblatt et
al. 2001). Un’altra obiezione che si muove all’early
intervention è che non sempre le psicosi che si sviluppano
costituiscono esperienze così gravi rispetto al rischio
connesso a un trattamento preventivo. D’altro canto, potrebbe
sussistere la condizione opposta, per cui i benefici
dell’intervento precoce sono maggiori dei benefici del non
intervento (Miller e McGlashan 2003). Altre ricerche
epidemiologiche suggeriscono, inoltre, che le esperienze
psicotiche si distribuiscono in un continuum con le esperienze
normali (Delespaul e VanOs 2003), così che apparirebbe
problematica ed arbitraria l'identificazione di soglie
psicopatologiche..
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Non da meno sono i problemi di natura etica, tra cui quello
più discusso è certamente quello dei “falsi positivi”.
Una delle critiche più forti all’early detection delle psicosi è
infatti la scarsa accuratezza degli strumenti di screening per
individuare i veri positivi ed evitare di intraprendere
trattamenti non necessari, o perfino iatrogeni, nei confronti di
soggetti falsi positivi (sensibilità, specificità, valore predittivo
positivo dello strumento di screening) nonché la discrepanza
fra efficacy (efficacia teorica) ed effectiveness (efficacia
pratica sul campo) degli interventi precoci nel migliorare la
prognosi e l’esito. Recenti rassegne sistematiche sui criteri di
screening per la detezione del rischio di psicosi e studi di
intervento (Cougnard et al. 2001; Marshall e Lockwood
2003) evidenzierebbero una forte carenza quantitativa di dati
che sostengano l’adozione in ambito clinico e non di ricerca
degli strumenti e degli interventi finora proposti.
Mancano, in effetti, studi che provino che l'intervento in fase
prepsicotica possa essere esente da un alto rischio di falsi
positivi (Larsen et al. 2001): nel già citato studio di Yung del
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1996 i falsi positivi erano per esempio il 60 % del totale.
E' quindi essenziale che i candidati vengano selezionati con
cautela, perché il potenziale intervento potrebbe avere
ripercussioni negative sulla vita dei pazienti in ogni loro
aspetto, essendo essi prevalentemente adolescenti e giovani,
scarsamente sintomatici o con sintomi poco definiti e, in una
considerevole frazione dei casi, transitori.
C'è inoltre un’importante differenza nel trattare pazienti help-
seeking o nel ricercare nella popolazione generale possibili
candidati rispondenti a criteri di screening piuttosto generici.
Uno dei principali problemi è la possibile stigmatizzazione
nell’essere definito come “a rischio”, che può portare ad
un’alterazione del senso del sé e delle relazioni con la
famiglia e gli amici. Infatti, il primo contatto con le strutture
psichiatriche può causare angoscia e turbamento al paziente e
alla famiglia, comportando in alcuni pazienti
demoralizzazione fino a sintomi di disturbo post-traumatico
da stress e influenzando scelte individuali: educazione, stile
di vita, attività lavorative. (Corcoran et al. 2005). Per tale
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motivo è stato proposto che i servizi di intervento precoce
dovrebbero essere separati dai servizi di salute mentale in
contesti non stigmatizzanti (Marshall e Lockwood 2004) e
che il personale di queste strutture dovrebbe essere formato
su come minimizzare il trauma e gli effetti dello stigma che il
paziente e la famiglia possono vivere, fornendo loro supporto
e consigli e rendendo questa esperienza il meno traumatica
possibile. Un ruolo fondamentale è infine svolto anche dagli
insegnanti e dai datori di lavoro i quali dovrebbero essere
opportunamente sensibilizzati.
Del resto, oggi si tende a ritenere che lo stress o i traumi che
colpiscono persone vulnerabili possano precipitare episodi
psicotici. In taluni casi, quindi, l’atteggiamento protettivo
verso il soggetto a rischio, indotto nella famiglia dalla
stigmatizzazione, potrebbe essere addirittura positivo
(Corcoran et al. 2005).
Le due forme di intervento in fase prepsicotica finora
esplorate sono (vedi Tabella 2):
1. trattamenti farmacologici con basse dosi di antipsicotici
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atipici;
2. terapia cognitiva-comportamentale (CBT).
Gli individui al primo episodio psicotico sarebbero molto più
sensibili rispetto ai casi con più episodi agli effetti terapeutici
della farmacoterapia [l’85% di essi entrano in remissione
sintomatologica entro tre mesi (Drake et al. 2005) ] ma anche
agli effetti indesiderati degli antipsicotici. L’introduzione di
antipsicotici atipici ha attenuato il problema degli effetti
collaterali, quali la discinesia tardiva e gli effetti di tipo
extrapiramidale (McGlashan et al. 2003), ma il loro possibile
effetto sullo sviluppo del cervello degli adolescenti è ancora
sconosciuto (Morrison et al. 2004) e permangono altri
problemi come l’aumento di peso, disfunzioni sessuali,
diabete e problemi cardiovascolari.
Ad esempio, sono stati resi noti alcuni dati del trial clinico
Nord Americano PRIME: a distanza di 8 settimane dall’inizio
del trattamento si evidenzia un aumento medio di 4 Kg nei
soggetti che assumono olanzapina, contro i soli 0,3 Kg del
gruppo trattato con placebo (Ruhrmann et al. 2005, Woods et
26
al. 2003). Altre esperienze (Meduri et al. 2002) condotte su
due gruppi di 6 persone trattate rispettivamente con 5 mg/di
olanzapina e 2 mg/die di risperidone per 8 settimane,
avrebbero però evidenziato un miglioramento dei sintomi di
base e dell’adattamento sociale già dopo 15 gg dall’inizio del
trattamento.
Una terapia cognitiva specifica (supporto familiare,
psicoeducazione, controllo dello stress, uso di problem list)
potrebbe essere una valida alternativa al trattamento
farmacologico in prima battuta: è generalmente accettato
senza difficoltà dai pazienti e la stigmatizzazione è ridotta,
inoltre non c’è il rischio di esporre i falsi positivi agli effetti
di un trattamento farmacologico (Bechdolf et al. 2005).
Rimane ancora da chiarire se la CBT prevenga realmente la
transizione alla psicosi o piuttosto ritardi l’inizio della
malattia (cioè se l’effetto della CBT riscontrato a breve
termine si mantenga dopo un lungo periodo di follow-up).
Non è dato sapere, inoltre, se gli effetti benefici della CBT
siano da attribuire ad effetti specifici della terapia stessa, o
27
piuttosto ad effetti non specifici legati alla relazione che si è
instaurata con un professionista della salute mentale in
seguito al contatto regolare in corso di terapia (Morrison et al.
2004). Secondo lo studio condotto a Manchester (EDIE) ad
un anno dal trattamento con CBT, l’indice di transizione alla
psicosi sarebbe diminuito dal 26% del gruppo di controllo al
6% nel gruppo trattato (Morrison et al. 2002), (vedi Tabella
2), mentre i primi dati ricavati dal trial tedesco dello GNRS
(German Research Network on Schizophrenia) nel 2003,
condotto su un gruppo di pazienti sottoposti a terapia
cognitiva, indicherebbero dopo 16,3 mesi una significativa
riduzione della transizione alla psicosi nel gruppo trattato
rispetto al gruppo di controllo: 5.3% vs. 14.8% (Hafner et al.
2004).
La riduzione della DUP (Duration of untreated psychosis) è
la strategia di prevenzione secondaria che oggi appare essere
più plausibile, ma i risultati non hanno ancora dimostrato
definitivamente se ci siano reali effetti positivi sulla prognosi
del paziente nel ridurre la DUP (Warner 2003; Malla e
28
Norman 2002). Alcune ricerche (Verdoux et al. 2001)
avrebbero individuato che la correlazione tra la DUP e la
prognosi sia dovuta in realtà a fattori quali la gravità della
malattia e il livello delle funzioni di base del soggetto prima
della psicosi. Secondo lo studio condotto a Melbourne nel
1996 nell’ambito del programma EPPIC (Early Psychosis
Prevention and Intervention Centre) a un anno dal
trattamento la durata della DUP non sarebbe diminuita
significativamente rispetto al gruppo di pazienti non inclusi
nel programma (Clarke e O’Callaghan 2003). D’altro canto, il
progetto norvegese TIPS (Early treatment and intervention in
Psychosis) che mira a sensibilizzare la popolazione al
riconoscimento precoce della psicosi e ridurne la
stigmatizzazione, riporta al 2001 una riduzione della DUP da
una media di 26 settimane a 5 settimane, rispettivamente nel
gruppo non sottoposto alla campagna di educazione e
informazione e nel gruppo assegnato al progetto TIPS
(Johannessen et al. 2001).
In definitiva, qualora gli interventi proposti fossero efficaci,
29
si potrebbero ottenere i seguenti vantaggi:
- la riduzione della morbilità;
- un più rapido processo di guarigione;
- prevenzione delle ricadute;
- preservazione delle abilità sociali;
- conservazione dei rapporti familiari e sociali;
- minore necessità di ospedalizzazione;
- controllo dei disturbi dell'umore (molto frequenti nella
fase prodromica);
- riduzione del periodo di psicosi non trattata (DUP), che
è in media di uno o due anni (Johannessen et al. 1999).
Alla luce di quanto è emerso finora, sarebbe pertanto
auspicabile:
- l’impiego di interventi con rischi minimi e scarsi effetti
collaterali;
- l’adozione di interventi utili anche per soggetti che non
diventeranno mai psicotici (quindi interventi mirati
prevalentemente a trattare sintomi attuali);
30
- la riduzione delle discriminazioni e della
stigmatizzazione attraverso l’educazione e la
sensibilizzazione delle famiglie e delle comunità locali;
- la semplificazione dell’accesso alle strutture predisposte
all’assistenza territoriale e ai trattamenti precoci delle
psicosi;
- la promozione del recupero e dell’integrazione del
giovane paziente nella società (Bertolote e McGorry
2005).
Infine, alcuni autori (McGorry e Killackey 2002; McGorry
2005, Phillips et al. 2005) denunciano un diffuso pessimismo
che sarebbe radicato negli operatori sanitari verso gli esiti
della terapia precoce e della psichiatria in genere. Essi
sostengono che, attraverso i programmi di early intervention,
si può contribuire a promuovere la psichiatria a un livello più
alto nella scala dei servizi della salute.
5. GLI STRUMENTI DI SCREENING
Attualmente nella maggior parte dei casi l'individuazione dei
sintomi prepsicotici è di tipo retrospettivo, a partire dal primo
31
episodio di psicosi. Può essere effettuata tramite un’intervista
strutturata e/o semistrutturata somministrata durante o dopo il
recupero dal primo episodio di psicosi, o tramite la
ricostruzione retrospettiva dei mutamenti accorsi nella
personalità del paziente, con gli inevitabili limiti legati alla
memoria o alla comprensione degli stessi sintomi da parte del
paziente e dei familiari (Corcoran et al. 2003). Persone
diverse possono, infatti, interpretare questi disturbi in
maniera differente: alcuni possono vederli come sintomi di
stress, soprattutto se i cambiamenti sono associati con
momenti difficili della vita; altri potrebbero associarli al
particolare carattere del soggetto.
Anche gli aspetti culturali della persona possono talvolta
influenzare il riconoscimento dei sintomi della psicosi da
parte di chi ne è colpito e del suo entourage: in taluni casi
vengono attribuiti a cause soprannaturali o divine. Perciò la
latenza con la quale tali persone si rivolgeranno ad un
servizio di medicina può estendersi fino a diversi anni.
Coloro che invece sospettano che questi disturbi possano
32
essere alterazioni del proprio stato mentale, possono
incontrare paure e disagio che li trattengono dal consultare
uno psichiatra. Il medico di medicina generale svolge
pertanto un ruolo fondamentale nel valutare le alterazioni del
comportamento e delle funzioni cognitive del paziente.
E’ evidente che sarebbe più vantaggioso osservare in maniera
accurata un ridotto numero di pazienti durante lo sviluppo
della psicosi. Una metodica impiegata per predire le psicosi è,
in effetti, quella di registrare prospetticamente i cambiamenti
nell’individuo così come essi avvengono. Tuttavia non è
possibile stabilire con accuratezza quali individui studiare in
modo prospettico tra quelli indicati ad “alto rischio” di
psicosi, perché solo una parte sviluppano effettivamente
disordini psicotici. Tali studi sono perciò pochi (ad esempio il
tedesco Cologne Early Recognition o CER, e l’americano
Recognition And Prevention o RAP). Anche la ricostruzione
della storia familiare, nel tentativo di individuare casi di
schizofrenia o disturbi psicotici, specialmente nei parenti di
primo grado, sarebbe poco attendibile: in alcuni casi si è
33
costatato che solo l'11% dei casi di schizofrenia ha un unico o
più parenti con la stessa diagnosi, mentre il 37% di tutti i casi
di schizofrenia non ha né un parente di primo né di secondo
grado con la stessa diagnosi (Gottesman e Erlenmeyer-
Kimling 2001). Il tasso di conversione alla psicosi lifetime
sarebbe del 10-20% in soggetti a rischio genetico, per la
presenza di parenti di primo grado affetti, a differenza del 40-
60% ad un anno per quelli individuati con i criteri PACE
(Addington 2003).
La caratteristica principale della psicosi è la minore aderenza
alla realtà, espressa in alcuni gradi di alterazione del giudizio,
disturbi della percezione, come allucinazioni o disturbi del
pensiero, pensiero sconnesso, deliri. Tra le tecniche predittive
si contemplava quindi, fino al DSM III, anche la categoria
della lista dei sintomi prodromici, che poi si è rilevata poco
attendibile, in quanto i sintomi risultano essere frequenti ma
aspecifici (Cornblatt et al. 2002). Tale categoria è stata infatti
rimossa dal DSM IV dalla American Psychiatric Association.
A sostegno di tale decisione anche lo studio condotto da
34
Jackson et al. (1995) su 331 pazienti con primo episodio di
psicosi, per valutare l’efficacia diagnostica dei sintomi
prodromici del DSM III. Questi sintomi, in particolare quelli
negativi, sono stati trovati anche in soggetti con disturbo
bipolare, depressione e disturbo schizoaffettivo, pur
comparendo in maggior proporzione nei pazienti con
schizofrenia.
Risulta pertanto necessario l'uso di scale validate, che
dovrebbe aumentare la validità dei test (la loro performance e
attendibilità).
5.1. La rassegna della letteratura scientifica
Per verificare i dati disponibili sugli strumenti di screening e
gli interventi finora proposti è stata effettuata una rassegna
della letteratura scientifica, consultando le banche dati
PubMed e PsychInfo. Si è effettuata una ricerca sugli interi
database fino all’aprile 2005 utilizzando e incrociando i
seguenti termini di ricerca:
L’interrogazione di PubMed è stata fatta utilizzando come
parametri any field contains:
35
- early detection prevention psychosis= 33 voci
bibliografiche ;
- early detection psychosis= 101 voci;
- early intervention psychosis= 238 voci;
- early treatment prevention psychosis=184 voci;
- prepsychosis= 6 voci;
- prodrome psychosis= 150 voci;
- pre-psychosis= 2 voci;
- prevention of schizophrenia= 57 voci;
per un totale di 771 voci.
Eliminando i duplicati si è costituita una prima libreria di 438
voci bibliografiche.
PsychInfo è stata invece consultata con le seguenti parole
chiave:
- prevention of schizophrenia= 105 voci;
- prevention of psychosis= 86 voci;
- pre-psychosis= 8 voci;
- prepsychosis= 13 voci;
- prodrome AND psychosis= 58 voci;
36
- psychosis AND (early intervention OR early treatment OR
early detection) =305 voci;
per un totale di 575 voci.
Eliminando i duplicati si è costituita una seconda libreria di
515 voci bibliografiche.
Le due librerie sono state poi messe a confronto al fine di
eliminare ulteriori duplicati, così che all’8 aprile 2005
risultavano 933 voci totali.
Di questi articoli molti sono stati scartati, perché considerati
non pertinenti al tema qui considerato trattando i seguenti
argomenti:
– primo episodio conclamato= 118;
– altri disturbi = 170;
– servizi di medicina= 29;
– impiego di operatori sanitari non medici= 2;
– fasi precoci delle psicosi nei bambini e fattori
predisponenti in età prenatale= 42;
– interventi e rilevamento del periodo critico (dopo il primo
episodio) = 37;
37
– contributi generici su psicosi e problemi correlati= 41;
– costo delle psicosi e della loro prevenzione= 4;
– DUP (Duration of untreated psychosis) = 47;
– prevenzione ricadute = 33;
– duplicati non eliminati automaticamente perché con
diversa indicizzazione= 148;
– terapia in periodo critico e in corso di psicosi = 92;
– ricerca neurologica in psicotici= 28;
– ricerca genetica in psicotici= 16.
Su un totale di 933 voci, 807 sono risultate essere non
pertinenti.
Dall’analisi delle voci bibliografiche rimaste è risultato che
finora sono stati pubblicati dati sui seguenti strumenti, (vedi
Tabella 1) costruiti ad hoc per l’individuazione di stati
mentali a rischio di sviluppo di psicosi:
- Comprehensive Assessment of At Risk Mental States
(CAARMS);
- Structured Interview for Prodromal Symptoms (SIPS),
Scale of Prodromal Symptoms (SOPS);
38
- Bonn Scale for the Assessment of Basic Symptoms
(BSABS).
5.2. CAARMS
La CAARMS (Comprensive Assessment of the At Risk
Mental State) è una intervista semistrutturata ideata per
esplorare in modo prospettico i sintomi e i segni predittivi di
una psicosi e per identificare gli individui che in assenza di
trattamento adeguato corrono un alto rischio di sviluppare
una psicosi conclamata . E’ stata proposta dal gruppo
australiano fondato da Patrick McGorry, il quale nel 1994 ha
creato il PACE (Personal Assessment and Crisis Evaluation
service), un servizio clinico in Melbourne, Australia, che fa
parte del programma EPPIC (Early Psychosis Prevention and
Intervention Centre), per il trattamento dei primi episodi di
psicosi.
Lo studio di riferimento distingue tre gruppi di pazienti ad
alto rischio di insorgenza di psicosi a breve termine (Figura
II) (Yung et al. 2004):
- pazienti con sintomi psicotici, brevi e intermittenti
39
(BLIPS) come allucinazioni, idee deliranti, eloquio
disorganizzato, perduranti per meno di una settimana e a
remissione spontanea nell’ultimo anno;
- pazienti con sintomi attenuati, che dimostrano un recente
sviluppo in forma attenuata di almeno un sintomo psicotico
tra quelli elencati nel disturbo schizotipico di personalità
del DSM IV: idee di riferimento, pensiero magico, disturbi
della percezione, pensiero ed eloquio alterato, ideazione
paranoide, disturbi del comportamento;
- pazienti con sintomi di tratto e stato ad alto rischio per
psicosi: ad esempio, ansia aspecifica e/o sintomi
depressivi, una recente perdita di almeno 30 punti nel GAF
e un parente di primo grado schizofrenico secondo la
definizione del DSM IV.
40
Figura II. Gruppi di soggetti a rischio di sviluppo di psicosi
ottenuti applicando i criteri PACE (Yung et al. 2004). La regione
colorata indica i soggetti a più elevato rischio di psicosi.
Tali criteri definiscono i soggetti ad alto rischio di psicosi. Il
soggetto che risponde a più criteri, ad esempio appartengono
al gruppo di stato e tratto (rischio familiare e deterioramento
recente nel funzionamento) ma anche al gruppo BLIPS è
definito soggetto “ultra high-risk” o UHR, perché il rischio
di sviluppare la psicosi è maggiore. Combinando più criteri si
potrebbe aumentare così il potere predittivo del test di
screening (Yung et al. 2003, Yung et al. 2004).41
Sono stati individuati ad esempio questi criteri PACE UHR:
a) valore del GAF minore di 40;
b) punteggio all’item attenzione SANS (Scale for the
Assessment of Negative Symptoms) maggiore di 2,
cioè capacità attentive compromesse;
c) appartenenza sia al gruppo dei sintomi di stato e
tratto sia a quello dei sintomi attenuati;
d) durata dei sintomi maggiore di 5 anni;
e) elevato grado di depressione.
Secondo gli ultimi dati ricavati dall’applicazione dei criteri di
Melbourne in Australia (vedi Tabella 1), il potere predittivo
positivo dello strumento raggiunge, in effetti, un valore
dell’80%, mentre precedenti studi PACE registravano un
rischio di sviluppare la psicosi del 40% ad un anno (Yung et
al. 2003). Altri studiosi criticano però tali risultati per via
della selezione a posteriori dei criteri UHR condotta sul
campione di soggetti reclutati dal team australiano. In un
altro servizio, il PAS (Psychological Assistance Service) di
42
Newcastle, Australia, applicando gli stessi parametri di
screening del PACE, il valore predittivo positivo non supera
il 9%. (Warner 2005; Carr et al. 2000). Ciò dimostrerebbe
che il valore di questo parametro varia al variare del
campione adoperato (Warner 2003). Tenendo comunque
conto di un tasso di transizione del 40% ad un anno, se si
applica il teorema della probabilità di Bayes, risulta che nella
popolazione generale, dove l’incidenza della psicosi è
nell’ordine dell’1%, tale strumento sarebbe corretto solo il
7% delle volte. Ipotizzando un’incidenza della malattia del
5% si avrebbe comunque un numero troppo alto di falsi
positivi, ben il 70% dei casi riscontrati (Warner 2005).
5.3. BSABS
La Bonn Scale for the Assessment of Basic Symptoms è stata
proposta da Klosterkotter (Colonia, Germania) nello studio
prospettico Cologne Early Recognition, il cui obiettivo è
registrare l'indice di transizione alla psicosi e dimostrare che i
Basic Symptoms (BS) o sintomi precoci possono predire lo
sviluppo della psicosi. I Basic Symptoms sono stati descritti
43
per la prima volta da Huber (Klosterkotter et al. 2001) come
disturbi del pensiero, dei sentimenti e delle percezioni sfumati
e avvertiti soggettivamente che i pazienti schizofrenici
esperiscono prima di sviluppare la psicosi. Secondo l’autore, i
cosiddetti sintomi prodromici sarebbero i tentativi di
compensazione dei deficit legati ai sintomi di base (Meduri
et. 2002). Tali disturbi vengono esplorati attraverso
un’intervista strutturata o semistrutturata di 66 items,
corredati di domande guida. I sintomi di base così raccolti
vengono categorizzati in diversi gruppi (alterazione del
pensiero, linguaggio, percezione, cenestesie, suscettibilità
all’ansia, affettività, energia, concentrazione, memoria,
reattività motivazionale, contatti sociali ed espressione non
verbale). Sulla base della descrizione dei pazienti, gli
intervistatori decidono quando il sintomo in questione sia
“presente”, “probabilmente presente”, o “assente”.
Per lo studio di predizione della psicosi sono stati valutati i
seguenti sintomi di base:
1) disturbi del pensiero, del linguaggio, della percezione e
44
disturbi motori (35 items);
2) alterazione delle sensazioni corporee (13 items);
3) ridotta tolleranza a normali condizioni di stress (5 items);
4) disturbi affettivi e della sensibilità e ridotte capacità di
pensiero, concentrazione, memoria e forza (7 items);
5) aumentata reattività emotiva, ridotta abilità a mantenere o
instaurare rapporti sociali (6 items).
Il CER (Cologne Early Recognition), lo studio prospettico
condotto da Klosterkotter e colleghi in Germania è stato
effettuato su 160 individui selezionati tramite la BSABS
perché sospettati di essere prossimi al manifestarsi della
psicosi (110 con sintomi prodromici e 50 senza) e
dimostrerebbe che tale strumento ha valori di specificità pari
a 0.59 e sensibilità uguale a 0.98, tale da poter essere
applicato anche a popolazioni non cliniche (Klosterkotter et
al. 2001).
Dal CER è emerso che 79 pazienti hanno sviluppato la
schizofrenia al follow-up di 9,6 anni e tra questi risultavano
45
positivi per sintomi di base al tempo zero ben 77 (vedi
Tabella 1). Alcuni autori criticano le conclusioni cui è giunto
Klosterkotter (Warner et al. 2002; Peralta e Cuesta 2002), e
ritengono che l’utilità dello strumento di screening si limiti
solo a campioni clinici escludendone quindi una valenza
diagnostica per la popolazione generale. Secondo Bovet
(2002) inoltre, alcuni di questi sintomi descritti nella BSABS
in realtà sarebbero aspecifici e occorrerebbero in diverse
condizioni psicopatologiche anche in soggetti “normali”.
5.4. SIPS-SOPS
Nel 1997 McGlashan e colleghi, nell’ambito del PRIME
(Prevention trough Risk Identification, Management and
Education) all’università di Yale in New Haven (CT, USA),
hanno messo a punto la SIPS (Structured Interview for
Prodromal Sindromes), un’intervista semi-strutturata per la
diagnosi di sindromi prodromiche. Questa si avvale a sua
volta della SOPS (Scale of Prodromal Sindromes), una scala
dei sintomi prodromici, per valutare la gravità dei sintomi.
La SOPS contempla 5 sintomi psicotici positivi attenuati, 6
46
sintomi negativi, 4 sintomi generali e un’ulteriore classe di 4
sintomi di disorganizzazione del pensiero (Hawkins et al.
2004). Tutti i sintomi sono misurati in una scala da zero (non
presente) a 3 (moderato) a 5 (grave ma non psicotico) fino a 6
(grave e psicotico) (McGlashan et al. 2003).
Oltre ai 19 elementi della SOPS, il SIPS è caratterizzato da
altre quattro componenti: una versione della GAF (Global
Assessment of Functioning), la lista dei criteri del DSM IV
sul disturbo schizotipico di personalità, una scheda di raccolta
dell’anamnesi familiare per disturbi mentali, e una checklist
per determinare se siano rispettati i Criteri delle Sindromi
Prodromiche (COPS), ovvero i tre set di criteri per definire i
gruppi di soggetti in stato prodromico e uno per la psicosi
conclamata. (Miller et al. 2002).
I primi tre gruppi corrispondono ai criteri di Yung (Yung et
al. 2004):
1) presenza di sintomi positivi attenuati;
2) BLIPS;
3) familiarità e deterioramento delle funzioni sociali e/o 47
lavorative.
I pazienti che soddisfano i criteri per uno di questi gruppi ma
non a quelli per la psicosi sono quindi definiti in fase
prodromica.
Uno studio sulla validità predittiva della SIPS è stato
condotto all’Università di Yale, CT, USA, su un campione di
29 persone che avevano ricevuto una valutazione con questo
strumento (vedi Tabella 1): 16 persone erano state
considerate SIPS – (non in fase prepsicotica) e 13 SIPS +
(prepsicotici sintomatici) non trattati. A un anno di follow-up,
solo 7 dei 13 soggetti SIPS + avevano manifestato la psicosi,
dando così un valore predittivo positivo pari al 54%, una
sensibilità (psicotico/non psicotico) pari a 1.0 e una
specificità dello 0.73 (Miller et al. 2002). Lo studio, sebbene i
dati appaiano incoraggianti, ha il limite di essere stato
eseguito su un campione molto ristretto di persone, la
maggior parte delle quali positive per i sintomi attenuati, per i
quali lo strumento è risultato essere molto più affidabile
rispetto agli altri criteri. Non sono ancora disponibili invece i
48
dati relativi alle proprietà psicometriche degli strumenti dello
studio a doppio cieco PRIME (Prevention through Risk
Identification, Management and Education), che fa uso della
SIPS e della SOPS, perché in attesa di pubblicazione,
(McGlashan TH, comunicazione personale del 29 luglio
2005).
In generale, si registrano molte critiche all’attendibilità degli
strumenti finora adoperati. Non viene mai indicato, ad
esempio, l’intervallo di tempo che deve scandire la
somministrazione dei test nei pazienti. Tra gli altri, un
recente studio epidemiologico di modellizzazione di
Cougnard (Cougnard et al. 2005), effettuato su un’ipotetica
coorte di 100.000 soggetti tra i 15 e i 34 anni di età,
monitorati per 5 anni, mostra che con gli attuali strumenti di
screening sarebbe necessario monitorare ben 20000 individui
per prevenire un solo decesso correlato alla psicosi.
Cougnard mette a confronto due strategie di rilevamento
clinico:
1) l’identificazione standard dei casi di primo episodio
49
psicotico attraverso i servizi di salute mentale esistenti;
2) il programma di rilevamento precoce a livello della
popolazione generale di tutti i casi di primo episodio di
psicosi che non sono ancora stati riconosciuti come casi
conclamati dalle strutture di salute mentale.
Secondo gli Autori il test adoperato dovrebbe avere una
specificità del 90% perché il rilevamento precoce delle
sindromi prodromiche sia efficace nel prevenire gli esiti
negativi di un ritardato o mancato trattamento (morte,
ospedalizzazione e disoccupazione) rispetto al rilevamento
clinico standard.
In conclusione, a tutt’oggi persistono su questo tema i
problemi fondamentali della non estensibilità dei risultati
ottenuti con tali strumenti alla popolazione generale, quello
delle piccole dimensioni dei campioni finora monitorati e il
limite di un alto numero di falsi positivi degli strumenti
proposti.
sono piantate qui così, vanno invece menzionate nel testo, corredate di didascalie che le
50
5.5. Tabella 1: Performance dei test di screening per stati mentali a rischio di psicosi.
STRUMENTO
STUDIO REGIONESOGGETT
IDISEGNO
CRITERI DI SELEZIONE
FOLLOW-UP
ESITO IN PSICOSI(DSM IV)
PERFORMANCE TEST
CAARMSYung et al. 2004
(PACE)Australia
104 (14-30aa)
Randomizzato controllato
PACE UHR 1 anno34,6 % (36)
VP+ = 80,8%VP- = 81,8%
Sens. =0.6Spec. = 0.93
FP= n.d.FN = n.d.
BSABSKlosterkotter et al.
2001(CER)
Germania160 (18-
50aa)Prospettico-longitudinale
BSABS + PSE9 (Present State Examination)
9,6 anni 49,4% (79)
VP+ = 70%VP- = 96%Sens.= 0.98Spec.=0.59 FP = 20,6%FN = 1,3%
SIPS-SOPSMiller et al. 2002(Validity Study)
Connecticut (USA)
29 (14-25aa) Randomizzato semplice
COPS 1 anno
1) 54% dei 13 SIPS+ (7)
2) 0% dei 16 SIPS- (0)
VP+ = 54%VP- = 100%
Sens. = 1Spec. = 0.73
FP= 27%FN= 0%
La tabella 1 mostra i dati finora pubblicati sulla validità degli strumenti di screening descritti. Sono indicati per ogni
strumento il valore predittivo positivo (VP+), il valore predittivo negativo (VP-), la sensibilità (Sens.), la specificità (Spec.), la
percentuale di falsi positivi (FP) e di falsi negativi (FN).
51
5.6. Tabella 2: Studi di intervento pubblicati in soggetti a rischio di psicosi.
STUDIO STATOSTRUMENT
O DI SCREENING
SOGGETTI
DISEGNO INTERVENTOFOLLOW-
UP
ESITO IN PSICOSI (DSM
IV)
PACE(Yung et al.
2004)
Australia CAARMS59 (14-28aa) Randomizzat
o semplice
1) N= 31:6 mesi di CBT + 1-2 mg/die di RISPERIDONE
2)N=28:solo monitoraggio
6 mesi1) 9,7 %2) 35,7 %
EDIE(Morrison et
al. 2004)
Regno Unito CAARMS
58 (16-36aa) Randomizzato controllato
1) N= 37: 6 mesi CBT
2) N=23solo monitoraggio
1 anno
1)6%dei 26 che completano CBT2) 26% dei 16 che
completano monitoraggio
PRIME(McGlashan et al. 2002,
Woods et al. 2003)
Connecticut (USA)
SIPS - SOPS 60 (12-45aa)Randomizzat
o a doppio cieco
1)N=29:Placebo + CBT
2)N=31 olanzapina (5-15 mg/die) + CBT per 1 anno
1 anno1)34,5%2)16,7%
La tabella 2 mostra i dati finora pubblicati sugli studi di intervento descritti. Uno studio di intervento in fase
prepsicotica, condotto selezionando i soggetti a rischio di psicosi tramite i criteri BSABS, è in fase iniziale di
svolgimento in Colonia, Germania (Hafner et al. 2004).
52
6. L’OPINIONE DEGLI ESPERTI NELLA MEDICINA DELLE
EVIDENZE:
Dalla rassegna della letteratura qui condotta, emerge che sono
ancora scarsi i dati empirici ad elevato livello di evidenza sul
tema dell’intervento preventivo in fase prepsicotica.
La medicina basata sulle evidenze o EBM, nel tentativo di
consentire al medico di valutare quantitativamente e
sistematizzare le informazioni scaturite dall'osservazione
clinica, ha stilato una scala delle evidenze e fornisce
strumenti idonei per valutare la performance di test
diagnostici.
In Italia è comunemente adottata la Scala delle evidenze del
Programma Nazionale Linee Guida (Iovine e Morosini 2005).
La classificazione delle prove
I: basata su metanalisi o revisioni sistematiche di studi
clinici randomizzati e controllati;
II: basata su un solo studio randomizzato con disegno
adeguato;
III: prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con
53
controlli concorrenti o storici o loro metanalisi;
IV: prove ottenute da studi retrospettivi tipo caso controllo o
loro metanalisi;
V: prove ottenute da studi di casistica ovvero serie di casi
senza gruppo di controllo;
VI: prove basate sull’opinione di esperti autorevoli o di
comitati di esperti come nel caso di conferenze di
consenso o basata su opinioni di membri del gruppo di
lavoro responsabile di una linea guida.
Si possono anche rilevare criteri generali per valutare il peso
delle evidenze ed il conseguente loro utilizzo nella
formulazione di una linea guida. E’ quindi possibile creare
una “graduazione” della validità di tali evidenze e delle
raccomandazioni di comportamento pratico che ne derivano
in rapporto alla precedente classificazione delle prove (Trenti
e Plebani 2004).
Per la forza delle raccomandazioni, dati i criteri che la
guidano si ha inevitabilmente un certo grado di soggettività
nella valutazione, che però è sempre soggettività di gruppi
54
multiprofessionali e multidisciplinari, non di singoli. Il
Programma Nazionale Linee Guida adotta la seguente
classificazione delle raccomandazioni:
A: L’esecuzione dell’intervento è fortemente raccomandata.
E’ rilevante per pazienti reali e le prove scientifiche a
sostegno sono di buona qualità o accettabili: basate su
informazioni scientifiche di livello I;
B: Comportamento od intervento raccomandato: vi sono
dubbi sul fatto che la raccomandazione debba essere
applicata sempre, ma si ritiene che la sua applicazione
debba essere considerata sempre con attenzione. Sono
basate su informazioni scientifiche di livello II o III;
C: Vi è una sostanziale incertezza a favore o contro (livello
IV);
D: L’esecuzione dell’intervento non è raccomandata;
E: L’esecuzione dell’intervento è fortemente sconsigliata.
(Iovine e Morosini 2005)
L’EBM si è sempre più affermata con la progressiva
affermazione degli studi clinici controllati (Randomized
55
Controlled Trials o RCTs) come standard di riferimento per
valutare l'efficacia di un trattamento.
Nella pratica della EBM il medico deve essere quindi capace,
in risposta ai quesiti originati dall'incontro con il paziente, di
ritrovare nella letteratura biomedica le migliori evidenze
disponibili.
Quando ciò non è possibile, come nel caso dell’intervento
precoce (in fase prodromica) nelle psicosi, può essere utile
fare riferimento alla opinione degli esperti o alle consensus
conferences.
Per “opinione degli esperti” solitamente si intende il punto di
vista di professionisti che hanno maturato esperienza e
conoscenza verso una particolare pratica medica o un
particolare campo di ricerca, come ad esempio la pratica
clinica o le metodologie di ricerca. Si può quindi far
riferimento al punto di vista di una singola persona
autorevole o all’opinione comune di un gruppo di esperti.
Agli esordi della EBM l'opinione degli esperti veniva
identificata come la forma meno affidabile di evidenza
56
sull’efficacia degli interventi, e quindi era posizionata al
livello più basso nella gerarchia dei “livelli di evidenza”.
Ultimamente, però, si fa largo la convinzione che mettere
l'opinione di esperti nella stessa scala di priorità dei livelli di
evidenza non sia più utile né appropriato perché l'opinione di
esperti è qualitativamente diversa dalle forme di evidenza
derivate dalla ricerca; l'opinione può essere identificata come
un modo di giudicare la ricerca e di interpretarla piuttosto che
come una forma più debole di evidenza (Rychetnik et al.
2004).
7. UN SONDAGGIO SULLE OPINIONI DEGLI ESPERTI NEL
CAMPO DELL’INTERVENTO IN FASE PREPSICOTICA
Si è esplorato il parere degli esperti sull’ appropriatezza degli
interventi in fase prepsicotica attraverso la somministrazione
di un questionario a differenti categorie di professionisti
proponendo differenti vignette ipotetiche, per verificare:
- se esista un consenso diffuso su questo argomento o se i
pareri varino a seconda della preparazione professionale e
57
degli interessi di gruppo
-come i pareri dipendano dalle caratteristiche dei differenti
casi presentati
7.1. Materiali e metodi
Abbiamo inviato un’email ai 1265 membri dell’International
Psychosis Association (IEPA, http://www.iepa.org.au),
registrati con un indirizzo email nell’estate del 2004. L’email
conteneva un link e una password per accedere a un sito web
dedicato per permettere ai soci di completare un questionario
on-line (il questionario è consultabile in Appendice). Dopo
un mese è stato inviato un sollecito. Il Comitato Etico
Provinciale di Modena ha preso visione del protocollo della
ricerca e lo ha approvato. Il questionario raccoglieva anche
dati sociodemografici e professionali dei compilatori. Ai soci
è stato chiesto di rispondere a domande a risposta multipla e
di tipo Likert a proposito della loro opinione su questioni
generali sulla psicosi e interventi precoci. Veniva poi
presentato l’ipotetico caso di un ventiseienne preoccupato per
via dell’esito positivo a un test diagnostico “infallibile”,
58
capace di predire il futuro sviluppo di psicosi, ma non n
grado di predire quando essa sarebbe sopraggiunta. L’uomo,
sulla base della valutazione clinica, non soffre correntemente
di un disturbo psichiatrico diagnosticabile né di un
deterioramento funzionale, ma chiede consigli sul risultato
del test (COND 1). Ai soci dell’IEPA è stato chiesto se, in
una tale situazione, avrebbero suggerito al soggetto di ridurre
i fattori di stress, di monitorare regolarmente lo stato psichico
del soggetto, di attuare interventi psicologici o farmacologici.
In una successiva sezione del caso è stata aggiunta la
richiesta da parte del protagonista di fare qualcosa di attivo
nel tentativo di scongiurare l’incombente sopraggiungere
della psicosi (COND 2), e nell’ultima parte (COND 3), è
stata aggiunta l’informazione che il protaconista ha mostrato
un deterioramento funzionale e ansia nei precedenti 3 mesi,
seppur a livello subclinico.
I risultati sono stati analizzati usando il pacchetto statistico
SPSS per Windows versione 10.0. Sono state eseguite
statistiche descrittive, analisi delle correlazioni, analisi della
59
varianza (ANOVA) con post-hocs di Tukey, e analisi della
varianza con misure ripetute.
7.2. Risultati
E’ stato completato un totale di 325 questionari, con un
indice di risposta valido pari a 25.7 %. L’età media dei
partecipanti era di 43.1 anni (DS 10.38); il 50.2% (163) erano
maschi. Il 40.0% del totale (130) erano psichiatri, il 23.4%
(76) psicologi, 15.1% (49) infermieri, e il 21.5% (70)
apparteneva ad altri gruppi professionali (terapisti
dell’occupazione , educatori, medici generici).
Poco più della metà del campione (52.3%: n=170) ha
espresso l’opinione che le esperienze psicotiche facciano
parte di un continuum con le esperienze normali, piuttosto
che essere qualitativamente differenti da esse.
Gli psicologi erano molto più propensi che gli altri gruppi
professionali ad appoggiare quest’opinione (n=56 o 73.7% vs
n=52 o 40% degli psichiatri, n=25 o 51% degli infermieri, e
n=37 0 52.9% degli altri professionisti: Chi=22.92, df= 6,
p=0.001). Il 52.6% (171), degli intervistati riteneva che la
60
persistenza di un episodio psicotico conclamato non trattato
produca danni encefalici potenzialmente irreversibili, dando
un indice di circa 4 in una risposta tipo Likert alla domanda:
<Quanto sei convinto che la persistenza di un episodio
psicotico conclamato non trattato sia neurotossico, che cioè
produca un danno al cervello potenzialmente irreversibile?>
(1 per niente convinto – 7 completamente convinto). Il ruolo
professionale ha avuto un peso significativo nella
formulazione di questo giudizio. Gli psicologi erano meno
concordi rispetto agli altri nel considerare la psicosi come
neurotossica [F (3.321) = 11.332, p<0.000], con un indice
medio di 3.29 (DS 1.75), vs il 4.65 (DS 1.68) degli
psichiatri (Tukey post-hoc p<0.000), il 4.47 (DS 1.58), degli
infermieri (p=0.001), e il 4.16 (DS 1.57) degli altri
professionisti (p=0.009).
Il giudizio di una differenza qualitativa tra le esperienze
psicotiche e quelle normali correlava positivamente al
giudizio di neurotossicità, anche controllando per il ruolo
professionale (r=.144, df 322, p=0.009). Oltre un terzo dei
61
compilatori (120, 36.9%) credeva che gli strumenti di
screening attualmente disponibili per gli stati ad alto rischio
di sviluppo di psicosi necessitino di essere perfezionati
attraverso studi osservazionali prima che siano usati per studi
di intervento. Tra i professionisti che hanno risposto, 41
(12.6%) pensano che i test di screening oggi disponibili
permettano di proporre con sicurezza interventi diretti alla
popolazione generale, 129 (39.7%) ritengono che possano
essere utilmente adoperati in ambito clinico generale e 101
(31.1%) nel campo della ricerca. Solo 82 (25.7%) dei soci
dell’IEPA che hanno risposto ritengono che gli interventi
precoci per i primi episodi di psicosi ormai conclamate
debbano essere eseguiti in normali centri di salute mentale
per comunità; 201 (61.8%) ritengono che siano necessari dei
servizi specializzati indipendenti.
La seguente tabella (vedi Tabella 3) mostra i numeri assoluti
e le percentuali di coloro che hanno risposto, suddivisi per
categoria professionale, che considerano appropriati i
possibili interventi nella condizione pre-psicotica dipinta nel
62
caso-scenario nelle sue varie condizioni.
7.3. Tabella 3: Interventi considerati appropriati da 325 soci della IEPA per il protagonista dell’ipotetico caso descritto in fase prepsicotica.
63
CONSIGLIO DI RIDURRE I FATTORI DI STRESS
CONSIGLIO DI
MONITORARE LO STATO
PSICHICO
CONSIGLIO DI
INTERVENTI PSICOLOGICI
CONSIGLIO DI INTERVENTI
FARMACOLOGICI
COND 1: certa prognosi di futura psicosi, attualmente senza ansia e deterioramento funzionale
Totale
PsichiatriPsicologiInfermieri
Altri
196 (60.3%)
73 (56.2%)45 (59.2%)32 (65.3%)46 (60.3%)
270 (83.1%)
105 (80.8%)68 (89.5%)45 (91.8%)52 (74.3%)
127 (39.1%)
52 (40.0%)30 (39.5%)20 (40.8%)25 (35.7%)
31 (9.6%)
23 (17.7%)0
3 (6.1%)5 (7.1%)
COND 2: come prima, più spontanea richiesta del protagonista di fare qualcosa attivamente per prevenire l’insorgere della psicosi.
Totale
PsichiatriPsicologiInfermieri
Altri
241 (74.5%)
96 (73.8%)51 (67.1%)39(79.6%)56 (80.0%)
283 (87.1%)
113 (86.9%)69 (90.8%)46 (93.9%)55 (78.6%)
193 (59.4%)
71 (54.6%)47 (61.8%)32 (65.3%)43 (61.4%)
54 (16.6%)
31 (23.8%)8 (10.5%5 (10.2%)10 (14.3%)
COND 3: come nella ondizione due, più moderato deterioramento funzionale negli ultimi tre mesi, umore deflesso e irritabilità, ma non depressione clinicamente diagnosticabile o psicosi.
Totale
PsichiatriPsicologiInfermieri
Altri
266 (81.8%)
100(76.9%)62 (81.6%)44 (89.8%)60 (85.7%)
294 (90.5%)
116 (89.2%)72 (94.7%)47 (95.9%)59 (84.3%)
274 (84.3%)
103 (79.2%)67 (88.2%)46 (93.9%)58 (82.9%)
139 (42.8%)
78 (60.0%)22 (28.9%)17 (34.7%)22 (31.4%)
Ogni intervento è stato analizzato come variabile dipendente in analisi della varianza a misure ripetute avendo come fattore entro soggetti le tre condizioni e come fattore tra soggetti la categoria professionale. Tutte le analisi complessive sono significative per p<0.000, con il fattore entro soggetti che esercita un
effetto significativo (p<0.000) in tutte le analisi, e il fattore tra soggetti, che esercita un effetto significativo solo per il consiglio di un intervento farmacologico (p=0.031).
64
C’era una correlazione significativa tra ritenere che una
psicosi non trattata sia neurotossica e il giudizio che sia
appropriato proporre interventi farmacologici anche in una
fase pre-psicotica senza sintomi nè deterioramento funzionale
(COND 1); ciò rimaneva vero anche controllando le risposte
in base ai ruoli professionali (r= 147, df= 322, p=0.008).
Sono state eseguite analisi della varianza a misure ripetute sul
giudizio di appropriatezza dei singoli interventi, avendo come
fattore entro soggetti le tre condizioni della vignetta e come
fattore tra soggetti, il ruolo professionale. Tutte le analisi
complessive sono significative per p<0.000, con il fattore
entro soggetti che esercita un effetto significativo (p<0.000)
in tutte le analisi, indicando che, man mano la condizione
descritta peggiora dal punto di vista clinico o si aggiunge una
richiesta esplicita di intervento attivo, i soggetti considerino
appropriati interventi più intensi. Solo per interventi
farmacologici il fattore tra soggetti, cioè il ruolo
professionale di appartenenza, esercita un effetto significativo
sulle risposte, giacché gli psichiatri più degli altri gruppi
65
professionali considerano il trattamento farmacologico più
appropriato (p=0.031).
7.4.Conclusioni
Per quanto ci risulta, questo è il primo studio che esplora il
possibile impatto del ruolo professionale e di concezioni
generali sulla psicosi sulla valutazione dell’appropriatezza
degli interventi di prevenzione delle psicosi in fase pre-
psicotica.
Si è riscontrata un’ampia e significativa variabilità di punti di
vista su concezioni di fondo sulla psicosi e a proposito degli
interventi precoci. Questo è vero, per esempio, rispetto al
concepire le esperienze psicotiche differenti in modo
qualitativo dalle esperienze normali e sull’ipotizzata
neurotossicità degli stati psicotici. Questi aspetti possono
influenzare la valutazione dell’appropriatezza degli
interventi, soprattutto quelli di tipo farmacologico, come i
risultati da noi ottenuti suggeriscono.
Come previsto, gli psichiatri sono più inclini a adottare
opinioni coerenti con un approccio di tipo medico-biologico,
66
come considerare la psicosi uno stato discretamente
differente dalla normalità, che potenzialmente causa
alterazioni strutturali del cervello irreversibili, e per cui è
appropriato un trattamento farmacologico anche nella fase
pre-psicotica.
Nella nostra indagine abbiamo semplificato la complessità
etica delle strategie di prevenzione indicata proposte negli
stati prepsicotici, attraverso l’eliminazione “magica” dell’
imperfezione delle qualità psicometriche degli strumenti di
screening attualmente disponibili, che implica un inevitabile
trattamento di falsi positivi (Larsen et al.2001; Heinimaa &
Larsen 2002; Warner 2003).
Questo è stato ottenuto presentando vignette in cui il cliente
che chiede il consulto risulta positivo ad un immaginario test
di screening “perfetto“. Malgrado questa semplificazione, è
stato trovato un limitato consenso tra professionisti di varie
categorie circa quali interventi fossero più appropriati nelle
fasi prepsicotiche, e la raccomandazione di impiegare un
intervento farmacologico correla al ruolo professionale di
67
coloro che hanno risposto. Le opinioni degli esperti sono
eterogenee, specialmente per quanto concerne gli interventi
farmacologici, ma sembra siano influenzate da fattori
identificabili e dipendono dalle condizioni della vignetta
presentata.
Infatti, le risposte su quali interventi fossero appropriati nelle
vignette proposte hanno seguito una chiara gradazione,
essendo influenzate da una esplicita richiesta del cliente di un
intervento e, inoltre, dalla presenza di ansia e deterioramento
funzionale. Un’alta percentuale di approvazione (>80%) e
buon consenso tra i ruoli professionali sono stati trovati solo
per la raccomandazione di modificare lo stile di vita
riducendo i fattori stressanti nella vignetta più grave.
Siamo consapevoli dei limiti di questo studio esplorativo. Ci
si potrebbe domandare se essere soci dell’International Early
Psichosis Association rifletta la reale perizia sui temi
indagati: certamente è frutto di interesse e impegno specifico.
Il tasso di risposta ottenuto è limitato e probabilmente
influenzato da una selezione personale, ciò nonostante
68
abbiamo raccolto più di trecento opinioni di esperti.
Crediamo peraltro che un campione selezionato
differentemente o un tasso di risposta più elevato
difficilmente annullerebbe l’eterogeneità delle opinioni
riscontrate. Poiché il questionario faceva riferimento a casi
ipotetici, il comportamento degli esperti nella reale pratica
clinica potrebbe essere differente, ma in questo studio
eravamo interessati all’opinione degli esperti e non alla
pratica clinica reale, che potrebbe essere differente.
Finché la disponibilità di evidenze di maggiore qualità non
permetteranno la stesura di linee guida uniformemente
accettate, la pratica clinica avrà la necessità di considerare le
opinioni degli esperti. Se esse sono diverse, come mostra il
nostro studio, bisognerebbe capire quali sono i fattori che le
influenzano. Ulteriori studi come questo potrebbero aiutare a
capire i criteri di giudizio che formano le opinioni dei
professionisti coinvolti in argomenti così eticamente rilevanti
e potrebbero aiutare a mostrare come le evidenze esistenti si
traducano in opinioni degli esperti.
69
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psychosis in an ultra high-risk group: psychopatology and
clinical features. Schizophrenia Research 2004; 67: 131-
142.
89
9. APPENDICE
MODENA SURVEY ON EARLY INTERVENTION IN PSYCHOSIS (MOSEI)
Age in years: I_I_I
Gender (M,F) : I_I
Professional Role:- psychiatrist I_I- psychologist I_I- occupational therapist I_I- social worker I_I- nurse I_I- general practitioner I_I- other (specify) I_________________________________I
Years of experience of working with psychiatric patients: I_I_I
Member of the following group: - IEPA I_I- Psychiatrist Emilia Romagna I_I- General Practitioner province of Modena I_I
Approx numbers of papers about psychosis you have read in the last year:
- 0 I_I- 1-5 I_I- 6-20 I_I- 21-50 I_I- more than 50 I_I
Specify experience in clinical work or the research fieldin early intervention in psychosis
90
- None I_I- Yes, clinical I_I- Yes, research I_I- Shared research and clinical role I_I
QUESTION 1
In your opinion, psychotic experiences (choose that which you feel to be more appropriate):
- Belong to a continuum with no sharp qualitative step from normality to disorder, it is just a matter of degree and impact on functioning I_I
- Represent experiences qualitatively different from normality I_I
QUESTION 2
To what degree you are convinced that the persistence of an untreatedfull-blown psychotic episode is neurotoxic, i.e. produce potentiallyirreversible brain damage?(1 not at all convinced - 7 completely convinced)
- 1 I_I- 2 I_I- 3 I_I- 4 I_I- 5 I_I- 6 I_I- 7 I_I
91
QUESTION 3 In your opinion, current psychometric characteristics of screening instrumentsfor mental states at risk for developing psychosis allow us to safely (you can choose more than one that you think appropriate):
- propose interventions addressed to the general population I_I- propose interventions in general clinical settings I_I- propose interventions only in research settings I_I- need to be refined through observational studies without "active" interventions before using them for intervention studies I_I
QUESTION 4
Imagine that a psychometric instrument is available, allowing you to predictwith certainty and without possibility of mistake, the future development ofpsychosis, i.e. with a predictive value of 100%, no false positive, no falsenegative (we know that this is very very unlikely but for the questionimagine that such an instrument exist), but not able to predict when thisexactly will happen.An adult man, 26 y.o., consults you professionally. He has been foundpositive using the test. He is not in a distressed state and doesn't show,after clinical interview, signs of psychological disturbance apart fromworrying about the fact that he has been found positive to that instrument.He asks your professional advice on this matter. You suggest (you can choosemore than one if you think that appropriate):
- trying to reduce stressors I_I- psychological intervention I_I- pharmacological intervention I_I- regular monitoring of the mental state (regardless of the frequency you would suggest) I_I- to do nothing I_I- other (specify): I__________________________________I
92
QUESTION 5
If the young person adds that he wants to do something active trying topositively influence the impact of the impending illness, would yourrecommendation change?
- Yes I_I- No I_I
If your answer is "yes" tick what you would suggest(you may choose more than one)
- trying to reduce stressors I_I- psychological intervention I_I- pharmacological intervention I_I- regular monitoring of the mental state (regardless of the frequency you would suggest) I_I- to do nothing I_I- other (specify): I__________________________________I
QUESTION 6
If that person in addition to wanting to do something active in order toinfluence this negative outcome, shows non-specific signs of psychologicaldistress, low mood and irritability (but not clinically significantdepression) and a moderate decrease in functioning in the last three months,would you recommendation change?
- Yes I_I- No I_I
If your answer is "yes" tick what you would suggest(you may choose more than one)
- trying to reduce stressors I_I- psychological intervention I_I- pharmacological intervention I_I- regular monitoring of the mental state
93
(regardless of the frequency you would suggest) I_I- to do nothing I_I- other (specify): I__________________________________I
QUESTION 7
In your opinion, interventions in first psychotic episodes are best implemented:
- in normal community mental health centres I_I- in dedicated specialized centres I_I- other (specify): I__________________________________I
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94
10. RINGRAZIAMENTI
Ringrazio il Prof. Marco Rigatelli e il Dott. Gian Maria
Galeazzi per la professionalità e la disponibilità con le quali
mi hanno sostenuto nel laborioso cammino della stesura della
tesi di laurea.
95