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ROBERTO BISCEGLIA: ESERCITAZIONI DI LABORATORIO CHIMICO REV.16/01/2000

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Roberto Bisceglia

ESERCITAZIONI di

LABORATORIO CHIMICO

67 esercitazioni commentate

GENOVA - gennaio 2000

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ROBERTO BISCEGLIA: ESERCITAZIONI DI LABORATORIO CHIMICO REV.16/01/2000

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Introduzione

La motivazione di questo lavoro è stata di poter disporre di uno strumento agile per le attività di esercitazioni dimostrative laboratorio chimico; per questo, ho ritenuto di dover raccogliere un numero sufficiente di schede di lavoro concernenti esperienze dimostrative, eseguite. cioè dal docente, tale da coprire tutto il programma didattico. Le esperienze proposte coprono, infatti, molti degli argomenti di chimica generale, di chimica-fisica, di chimica inorganica e di chimica organica, sono di semplice esecuzione, non richiedono particolare abilità o strumentazioni complicate e sono, in ultimo, prive di elementi di particolare pericolosità. Le schede non sono state rilegate né numerate sequenzialmente in modo da poterle disporre a piacere, a seconda del programma didattico scelto e sono, per la quasi totalità, indipendenti l'una dall'altra. In ogni scheda sono riportati i materiali occorrenti, un breve richiamo teorico quando ritenuto necessario, e le procedure di esecuzione. Vediamo nei particolari l'impianto del lavoro: Materiali occorrenti: sono elencati reagenti, materiali e strumenti necessari all'esperienza. I reagenti utilizzati sono del tipo per analisi ( p.a. ), anche se è possibile utilizzarne anche di meno puri. La quantità di essi è, quando necessario, stechiometricamente corretta. Gli strumenti sono di normale dotazione dei laboratori chimici e fisici e possono, ovviamente, essere sostituiti da equivalenti. Richiami teorici: quando lo ho ritenuto necessario ho inserito alcuni richiami teorici riguardo la materia trattata; questi non vogliono certo sostituirsi ai libri di testo, ma sono da considerarsi solo brevi note introduttive. Esecuzione delle esperienze: le procedure sono indicate passo a passo, eventuali " trucchi " atti ad una migliore riuscita dell'esperimento sono descritti chiaramente, così come eventuali problemi di sicurezza. Per quanto riguarda quest'ultima si rimanda alle normative esistenti e alle consuetudini di laboratorio. Le esperienze proposte sono tra quelle che mostrano significative modificazioni visive dei reagenti con formazione di evidenti prodotti di reazione (es. sviluppo di gas, precipitazione, etc.) o con modifiche cromatiche, variazioni stato fisico o di pH. Grafici e tabelle: quando necessario, a compendio di alcune schede, sono state riportate tabelle illustrative o riepilogative o grafici riportanti i risultati di esperienze-tipo. Tali grafici sono stati tutti effettuati al computer utilizzando dei fogli elettronici. Questo lavoro arriva alla quarta revisione, migliorata sotto il profilo grafico, rivista in molte parti e con l'aggiunta di nuove esperienze. In attesa di una più completa revisione ed aggiornamento con nueve esperienze, ho ritenuto utile tradurre il lavoro in HTML al fine di poterlo pubblicare nel Web. Questo straordinario medium ha fatto sì che migliaia di interessati hanno potuto consultare ed utilizzare queste pagine. Tutte le esperienze sono state ulteriormente testate durante gli anni scolastici 1994/1995 e seguenti nel corso di chimica del biennio geometri dell'Istituto tecnico statale commerciale e per geometri “In memoria dei morti per la patria” di Chiavari, oltre che da Colleghi in altre scuole. Ritengo, tuttavia, che questo lavoro abbia ancora lacune e sarò grato a coloro che vorranno segnalarmele: provvederò alle necessarie correzioni nelle prossime stesure. Desidero esprimere un particolare ringraziamento al prof. Augusto Biasotti, titolare di chimica nel nostro Istituto, per gli autorevoli ed amichevoli consigli, per le idee che mi hanno permesso di formulare molte esperienze e per la segnalazione di alcune imprecisioni presenti nelle prime stesure; identico ringraziamento va alla prof. Maria Grazia Revelli, docente di chimica al liceo Delpino, con la quale ho potuto scambiare innumerevoli opinioni durante i nostri quotidiani viaggi in auto tra Genova e Chiavari. Soddisfazione per questo lavoro mi è giunta dai discenti che hanno apprezzato, con il loro interesse, la possibilità di verificare sperimentalmente molte delle cose apprese nel corso teorico. Genova, dicembre 1999 Roberto Bisceglia

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Sommario

1 - Le misure fisiche 1 - Gli stati di aggregazione della materia ed i passaggi di stato 1 - La materia: metodi di separazione delle fasi 1 - Studio della fusione e della solidificazione di una sostanza 1 - Determinazione della massa molecolare di un gas in base alla velocità di diffusione 1 - I miscugli ed i composti 1 - Verifica sperimentale della legge di Lavoisier 1 - L'esperienza di Crookes 1 - La spettroscopia 1 - I saggi alla fiamma 1 - La nomenclatura chimica: gli elementi 1 - La nomenclatura chimica: i composti 1 - Misura della pressione atmosferica: il barometro di Torricelli 1 - La legge isoterma dei gas ( legge di Boyle ) 1 - La legge isobara dei gas ( legge di Gay-Lussac ) 1 - La legge isocora dei gas ( legge di Charles ) 1 - Classificazione di alcuni minerali secondo i sette sistemi cristallini 1 - Il legame chimico 1 - Legame ionico e covalente negli alogenuri d'argento 1 - Le soluzioni titolate 1 - Determinazione dell'entalpia in una reazione 1 - Studio della velocità di reazione 1 - Modifiche dell'equilibrio chimico 1 - Verifica dell'equilibrio chimico in una reazione 1 - L'idrolisi salina 1 - La titolazione acido-base 1 - Determinazione della curva di titolazione nella reazione NaOH + HCl 1 - Titolazione di una soluzione di aceto 1 - Determinazione dell'acidità nel succo di limone 1 - Le reazioni chimiche 1 - Le reazioni di complessazione 1 - Reazioni di ossidoriduzione in becker 1 - Le reazioni di ossidoriduzione 1 - Ossidazione e riduzione dell'oro 1 - Il processo alluminotermico 1 - La pila di Daniell 1 - La pila di Leclanchè 1 - L'accumulatore al piombo 1 - L'elettrolisi dell'acqua 1 - L'elettrolisi di una soluzione di ioduro di potassio 1 - L'elettrolisi di un sale fuso 1 - La galvanostegia 1 - La conducibilità elettrica 1 - Influenza della concentrazione di alcuni ioni nella conducibilità di soluzioni 1 - Preparazione dell'ossigeno 1 - Preparazione dell'idrogeno da alluminio in ambiente acido e basico 1 - Preparazione dell'ammoniaca 1 - Preparazione dell'acido cloridrico 1 - Preparazione dell'acido nitrico 1 - Preparazione del carbonato di potassio dalla cenere di legno 1 - Preparazione dell'anidride solforosa e dell'acido solforoso 1 - Preparazione dell'anidride solforica 1 - Preparazione del cloro 1 - Preparazione dell'idrossido di sodio per " caustificazione del carbonato " 1 - Saggi alla perla 1 - Gli alcani 1 - Gli alcheni 1 - Gli alchini 1 - Gli idrocarburi aromatici 1 - Gli alcooli 1 - Gli acidi carbossilici 1 - Le aldeidi ed i chetoni 1 - Gli esteri 1 - Determinazione dell'acidità dell'olio di oliva 1 - I carboidrati 1 - Le proteine

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Le misure fisiche

Materiali occorrenti:

Riga millimetrata - Calibro a nonio - Calibro di Palmer - Bilancia analitica - Bilancia tecnica - Pesiera -Burette da 50 mL - Palloni tarati - Cilindri graduati - Sferetta in acciaio Ø 0.5 cm circa - Cilindretti di zinco o di altro metallo - Sale da cucina. Richiami teorici:

1 - Le misure: Misurare una grandezza significa attribuire ad essa un valore numerico. Le misurazioni sono di due tipi: 1.1 - Misurazioni dirette: Quelle nelle quali si confronta la grandezza di un oggetto con una appropriata unità di misura. Sono di questo tipo, ad esempio, le misure di lunghezza effettuate con un metro e le misure di massa effettuate su una bilancia tecnica a due piatti e bracci eguali, utilizzando delle masse campioni. La precisione dipende dalla rappresentatività del campione e dall'accuratezza delle esecuzioni. 1.2 - Misurazioni indirette: Quelle nelle quali la misura di una grandezza si ricava da misure di altre grandezze. E' di questo tipo, ad esempio, la misura della densità che si ricava dal rapporto tra la misura della massa e la misura del volume ( d = m / V ). 2 - Gli strumenti: Le misurazioni possono essere effettuate utilizzando due tipi di strumenti: gli strumenti tarati e gli strumenti graduati. 2.1 - Strumenti tarati: Sono, per lo più, vasi in vetro per misure di capacità dei liquidi ; riportano una o due tacche rappresentanti i limiti di riempimento del liquido per avere ad una data temperatura, di solito 20 °C, una quantità precisa dello stesso, pari a quella riportata sullo strumento stesso. A causa della dilatazione del vetro questi strumenti, come tutti gli altri dello stesso materiale ( vedere oltre ) garantiscono precisione elevata solo alla temperatura indicata. Sono strumenti tarati le pipette e i palloni tarati. 2.2 - Strumenti graduati: Vasi, per lo più in vetro o materiale plastico, a forma regolare riportanti una scala graduata suddivisa in sottomultipli dell'unità di misura. Questa scala permette letture intermedie molto precise. Si utilizzano per le misure dei volumi dei liquidi pipette, cilindri o bicchieri graduati, nei quali sono riportati come unità di misura il cm3 ( o il mL ) ed i suoi sottomultipli ( o multipli ). Anche il termometro, utilizzato per misurare la temperatura di un corpo, o le aste graduate ed i metri per le misure di lunghezza sono strumenti graduati. 3 - Gli errori: Effettuando misurazioni fisiche è praticamente impossibile non commettere errori. Questi debbono essere considerati da chi esegue la misura. Gli errori sono di due tipi: 3.1 - Errori accidentali: Errori variabili, attribuibili all'esecutore, quali le errate letture di uno strumento. Si tratta di errori eliminabili con una maggiore attenzione. 3.2 - Errori sistematici: Errori non eliminabili anche dal più attento esecutore, in quanto sono dovuti alla imprecisione delle scale degli strumenti o al modo di usarli. Questi errori devono essere, tuttavia, considerati e valutati. Per questo è necessario ripetere più volte la misura, annotando i valori trovati e considerando come misura attendibile la media dei valori trovati.

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Si debba, ad esempio, trovare la massa ( m ) di un campione utilizzando una bilancia tecnica a due piatti e masse campione. Si effettuano n pesate trovando n valori chiamati m1 , m2 , m3, .... , mn . Si ha:

m = m m m .... m

n1 2 3 n+ + + +

Per errore assoluto ( ea ) si indica la semi differenza tra il valore massimo ( M ) ed il valore minimo ( m ) ottenuti:

eM n

2a =−

Per errore relativo si intende il rapporto percentuale esistente tra l'errore assoluto e la grandezza misurata. Nel caso di misurazioni indirette bisogna tener conto degli errori di ogni singola misurazione. 4 - L'approssimazione: Nei calcoli delle misure è necessario avere un corretto criterio di approssimazione specie se si utilizza una calcolatrice. Tale criterio può essere, ad esempio, quello che impone la riduzione del numero delle cifre a quelle dette " cifre significative ". Ad esempio, dovendo misurare la densità di un corpo avente m = 6.6 g. e v = 0.9 cm3 si ottiene un valore di 7.3333333 . E' evidente che il quoziente non può essere più preciso di dividendo e divisore, per cui è sufficiente indicare la prima cifra decimale con le regole di approssimazione. Il risultato sarà pertanto =7.3 e sarà detto " a 2 cifre significative ". Con il Sistema Internazionale ( S.I. ) sono stati introdotti dei prefissi corrispondenti a multipli e sottomultipli, applicabili a tutte le unità di misura. Per ogni più precisa trattazione si rimanda ad un qualsiasi testo di fisica. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: le misure di lunghezza: La lunghezza è una grandezza fisica fondamentale del Sistema Internazionale ( S.I. ), la cui unità di misura è il metro ( m ). E' una proprietà estensiva della materia, dipendente, cioè, dalla quantità di quest'ultima e, correntemente, è intesa come la dimensione orizzontale più estesa di un corpo. Si procede alla misura della lunghezza di alcuni oggetti d'uso comune, utilizzando prima la riga millimetrata ed annotando i risultati; con tale metodo l'accuratezza delle misure è di circa ± 1 mm. Disponendo di calibri è possibile effettuare letture più accurate di oggetti piccoli. Il calibro a nonio o ventesimale è costituito da un'asta graduata con un'estremità piegata a becco e da un corsoio, recante anch'esso un becco. Il corsoio può essere bloccato nella sua corsa da un sistema a pressione. L'asta presenta una scala millimetrata lunga, di solito 20 cm; il corsoio porta un nonio ventesimale, ovvero con 20 divisioni per un totale di 19 mm . L'oggetto da misurare si pone tra i due becchi che vengono stretti senza sforzo; la dimensione si legge sulla scala millimetrata dell'asta, in corrispondenza del riferimento posto sulla parte superiore del corsoio. Se la divisione dell'asta non corrisponde perfettamente al riferimento, si osserva sul nonio quale divisione ventesimale sia perfettamente collimata con una divisione dell'asta e tale valore, in ventesimi di mm, si aggiunge alla misura principale. Supponiamo, ad esempio, di voler misurare il diametro di una sferetta di acciaio e di leggere sull'asta una dimensione di 22 mm; tale valore non è, però, perfettamente coincidente con il riferimento. Sul nonio si osserva perfetta coincidenza tra la quarta divisione ed uno dei valori segnati sull'asta: per questo si aggiungono ai 22 mm 4/20 di mm ( ovvero 0.2 mm ). La dimensione esatta dell'oggetto è, quindi di 22.2 mm. Il micrometro di Palmer ( detto anche palmer ) può effettuare misure di lunghezza con precisione del centesimo di millimetro. Lo strumento è formato da una parte fissa a forma di U, detta arco e da una mobile cilindrica con una filettatura che si avvita all'arco. La parte mobile presenta una vite micrometrica ed un tamburo graduato ad essa solidale. La vite micrometrica riporta incisa una scala di 50 divisioni; sulla

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parte mobile è riportata la scala principale di riferimento con suddivisioni di 0.5 mm ed una linea detta " linea di fede ". Si misura, ad esempio, il diametro della sferetta in acciaio ponendola all'interno dell'arco e la si comprende con la parte mobile, senza schiacciarla, agendo sull'apposita frizione; si rileva la misura in millimetri sulla scala di riferimento, 22 mm; si procede, quindi, alla lettura micrometrica osservando quale divisione della vite micrometrica collima con la linea di fede. Se, ad esempio, il valore è di 24, questo va addizionato al valore di 22, per un totale di 37.24 mm. Parte seconda: Misure di volumi: Il volume è una grandezza fisica derivata ed indica lo spazio occupato da un corpo. E' anch'essa una proprietà estensiva e la sua unità di misura nel S.I. è il metro cubo ( m3 ). Per i fluidi è possibile utilizzare una unità non S.I., il litro ( L ) che corrisponde ad 1 decimetro cubo ( 1 L = 1 dm3 ) ed i suoi sottomultipli, il centilitro ( cL , 1 cL = 10 cm3 ) e, soprattutto, il millilitro ( mL, 1 mL = 1 cm3 ). Per oggetti rappresentanti dei solidi geometricamente regolari è possibile la misura del volume utilizzando le relative formule, partendo dalla misurazione di uno dei parametri ( es. lato, diametro, etc. ). Per i liquidi si utilizzano recipienti tarati ( cilindri, palloni, pipette, burette, etc. ) tenendo conto delle norme per un corretto rilevamento dei valori ( collimazione, temperatura d'uso, tolleranza ). Per solidi geometricamente irregolari si può procedere all'immersione degli stessi, se la loro costituzione lo permette, in idonei cilindri graduati, nei quali sia stata versata acqua fino ad un livello intermedio, di solito una tacca indicante una decina di mL osservando l'incremento del livello del liquido e sottraendo a questo la quantità iniziale dell'acqua. Si prende un cilindro graduato da 100 mL e lo si riempie di acqua fino alla tacca di 50 mL; si immerge con cura l'oggetto da misurare, una piccola pietra, e si osserva che il livello è salito fino a 75 mL: questo significa che il volume della pietra è di 25 cm3 ( 75 - 50 = 25 ; 1 mL di acqua = 1 cm3 !! ). Parte terza: Misure di masse: Giova ricordare i concetti di massa e peso. Per massa si intende la quantità di materia; è per questo da considerarsi una proprietà estensiva della materia. L'unità di misura SI è il kilogrammo ( kg ). La massa è misurata con bilance attraverso il riferimento a masse campioni. Per peso si intende la forza con la quale un corpo è attratto dalla terra; l'unità di misura del sistema SI è il newton ( N ), ovvero la forza che imprime ad un corpo avente la massa di 1kg l'accelerazione di 1m/s2 . La forza peso ha la direzione dell'accelerazione di caduta ( o di gravità g ) ed è diretta verso il centro della terra. Essa è direttamente proporzionale alla massa del corpo e la costante di proporzionalità è l'accelerazione di gravità ( g ) che, in un dato luogo, è la stessa per tutti i corpi. L'espressione della forza peso è, pertanto, F = m ⋅⋅ g ed il valore dell'accelerazione è g = 9.8 m/s2. La misura delle masse può essere effettuata con un dinamometro. Gli allungamenti della molla, considerando costante g, risultano proporzionali alle masse. La massa si ottiene, per via analitica, con l'espressione m = F / g . La massatura di un oggetto può essere più semplicemente effettuata utilizzando bilance tecniche a due piatti, ponendolo in un piatto, solitamente il sinistro, e ponendo nell'altro masse campioni fino al raggiungimento dell'equilibrio. La sensibilità di tali misure può arrivare ad 1 mg. Attualmente nella pratica di laboratorio chimico si utilizzano bilance analitiche monopiatto con metodo a sostituzione ed indicatore ottico o digitale. La sensibilità di tali bilance arriva a 0.01 mg. Si procede alla massatura, utilizzando la bilancia tecnica o la bilancia analitica della pietra di cui sopra di cui sopra, si riportano sul quaderno di esercitazione i valori ottenuti nelle due modalità confrontandoli in modo da evidenziare le diverse sensibilità degli strumenti. Parte quarta: Misure di densità: Per densità ( ρρ ) si intende il rapporto tra la massa ( m ) ed il volume ( V ) ; si tratta di una proprietà intensiva, non dipendente cioè dalla quantità di materia, ed è caratteristica di ogni sostanza.

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La misurazione della densità di un corpo solido può essere facilmente effettuata, come già accennato, per via indiretta; si misura il volume per via geometrica o per immersione in un recipiente graduato contenente un liquido e la massa con una adeguata bilancia. Unità di misura della densità nel S.I. è il kg / m3. 4.1 - Misura della densità di campioni di un metallo: Si vuole misurare la densità di tre cilindretti di metallo. Si riempie di acqua una buretta da 50 mL fino ad una tacca intermedia ( ad es. 30 mL ) e si immerge, con cautela, il cilindretto di metallo più piccolo; si annota l'incremento del livello del liquido, incremento che, espresso in cm3 e decimi , corrisponde al volume del cilindretto. Si procede allo stesso modo per gli altri due cilindretti annotando i rispettivi valori. Si asciugano i tre cilindretti e si passa alla loro massatura su bilancia analitica o tecnica, mantenendo l'accuratezza non inferiore al milligrammo. Con i valori rilevati si ricavano le densità dei singoli cilindretti metallici, secondo la formula d = m / V . I valori trovati devono essere quasi identici, nei limiti dell'errore sperimentale, a dimostrazione che si trattava di un unico metallo, lo zinco, e che la densità è una proprietà costante per ogni tipo di materia. 4.2 - Misura della densità di un liquido: La densità dei liquidi può essere misurata con i densimetri o areometri , apparecchi in vetro formati da un galleggiante zavorrato da pallini di piombo, da un asta graduata per la densità e da un termometro. I densimetri si basano sul principio di Archimede, poiché immersi in un liquido ricevono una spinta dal basso all'alto proporzionale al volume della parte immersa e alla densità del liquido, ovvero alla massa del liquido spostato. Questi apparecchi sono tarati per operare a temperature che devono essere rispettate, a meno di non operare le relative correzioni. La scala delle densità può essere espressa in g / cm3 oppure in altre unità come, ad esempio, i gradi Baumè ( Bè ). La scala Baumè parte dal valore = 0 corrispondente alla densità dell'acqua distillata. Si riempie un cilindro di vetro da 1000 mL fino a 5 cm dal bordo con dell'acqua distillata; si immerge il densimetro e si osserva a che valore della sua scala graduata corrisponde il livello dell'acqua; Si ritira lo strumento e si versano nell'acqua 200 g circa di sale da cucina ( cloruro di sodio ) agitando con una bacchetta fino a completa soluzione. Si immerge il densimetro e si osserva la variazione di densità del liquido. Misure più accurate di densità possono essere effettuate con strumenti specifici molto precisi, ma di uso senza dubbio più complicato. Sono di questo tipo, ad esempio, i picnometri e la bilancia idrostatica di Mohr-Westphal.

Bilancia analitica monopiatto Calibro ventesimale

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Gli stati di aggregazione della materia ed i passaggi di stato

Materiali occorrenti:

Iodio bisublimato - Sodio - Alcool etilico - Ghiaccio - Pompa per vuoto ad acqua - Beuta da vuoto - Tubo in gomma da vuoto - Vetreria. Richiami teorici:

Ogni elemento chimico può esistere allo stato gassoso, allo stato liquido e in quello solido. Il passaggio da uno all'altro di questi stati è detto passaggio di stato. La maggior parte degli elementi, in condizioni ambientali, si trova allo stato solido. Fanno eccezione mercurio e bromo che sono allo stato liquido e neon, elio, argon, kripton, xenon, radon, idrogeno, azoto, ossigeno, fluoro, cloro che sono allo stato gassoso. Variando la temperatura oppure la pressione ( o entrambe ) , ogni elemento può mutare il suo stato fondamentale. Aumentando la temperatura e diminuendo la pressione si ottiene, di regola, un passaggio solido →→ liquido →→ gassoso. Ovviamente il percorso inverso lo si ottiene diminuendo la temperatura ed aumentando la pressione. Stato solido: le particelle costituenti la materia sono strettamente unite una all'altra in modo più o meno geometricamente ordinato. Dette particelle sono dotate di energia propria ed oscillano intorno al proprio punto di applicazione; da questo non possono, però, muoversi in quanto sono circondate da altre particelle. Stato liquido: le particelle hanno una energia cinetica maggiore di quella dello stato solido, possono muoversi disordinatamente ed urtarsi tra loro. Minori rispetto allo stato solido sono le forze coesive, tanto che nell'interfaccia un certo numero di particelle, può sottrarsi del tutto all'attrazione delle altre, passando allo stato gassoso. I liquidi, infatti, esistono sempre in presenza del loro gas. Stato gassoso: le particelle si muovono in maniera caotica e le forze di coesione sono del tutto trascurabili. Esiste un quarto stato di aggregazione, il plasma, che si ha portando un gas a temperature superiori a 5000 °C. In tale situazione uno o più elettroni esterni si staccano formando uno ione; il plasma è, quindi, formato da cationi e da elettroni in equilibrio tra loro. Le stelle sono, ad esempio, allo stato di plasma così come lo è la materia presente nei " tubi al neon ". Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: fusione del ghiaccio: Si pone in un becker un cubetto di ghiaccio e si osserva il passaggio ad acqua liquida che avviene a temperatura ambiente ( fusione ). Si sottopone poi il becker a moderato riscaldamento coprendolo con un vetro da orologio; si nota la vaporizzazione dell'acqua. Il vapore d'acqua subito condensa sul fondo del vetro da orologio a causa della temperatura più bassa di questo trasformandosi, nuovamente in acqua allo stato liquido. La solidificazione a ghiaccio implica una ulteriore sottrazione di calore che può essere effettuata solo in un freezer. Parte seconda: sublimazione dello iodio: In un becker perfettamente asciutto si pongono alcuni cristalli di iodio, si copre con un vetro da orologio su cui è posto, come refrigerante, un cubetto di ghiaccio; si sottopone il becker a moderato riscaldamento sul bunsen e si osserva uno svolgimento di vapori rossastri, senza la formazione di liquido ( sublimazione ). Sul fondo del vetro da orologio, a causa della sua temperatura più bassa, si può osservare, dopo pochi secondi, il riformarsi di cristalli grigiastri di iodio, senza passaggio all'intermedio liquido ( brinamento ). Lo iodio brinato sul fondo del vetro da orologio può essere eventualmente riconosciuto con trattamento con un solvente apolare, ad esempio tetracloruro di carbonio che lo scioglierà facilmente con il tipico colore rosso-viola.

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Parte terza: fusione del sodio: In una provetta si pone un pezzettino di sodio, circa 2-3 grammi, avendo cura di asciugarlo perfettamente dal petrolio della conserva. Si porta la provetta al bunsen fino a completa fusione del metallo, fusione che avviene a circa 98 °C. La vaporizzazione del metallo è molto più difficile da ottenere in quanto richiede un riscaldamento a circa 890 °C. Parte quarta: influenza della pressione sulla temperatura di ebollizione: Modificando la pressione in cui si opera cambia il punto di ebollizione di un liquido. Nel caso dell'alcool etilico a pressione ambiente, circa 760 mm di Hg, la temperatura di ebollizione, ovvero di passaggio allo stato gassoso, è di circa 78 °C; se si abbassa drasticamente la pressione, utilizzando una beuta da vuoto collegata ad una pompa ad acqua, è possibile causare il passaggio allo stato gassoso col solo calore della mano posta sul fondo della beuta. Si versano nella beuta da vuoto 100 mL circa di alcool etilico commerciale, la si tappa e la si collega tramite un tubo da vuoto alla pompa ad acqua. La pompa deve essere collegata ad un rubinetto di portata adeguata. Facendo defluire l'acqua la pompa inizia a creare una depressione all'interno della beuta; quando la pressione diviene almeno 1/10 di quella ambientale, il solo calore della mano posta sul fondo della beuta risulta sufficiente a portare l'alcool etilico all'ebollizione.

Tav. 1 - I passaggi di stato

Solido

Liquido Gassoso Fusione

Solidificazione

Evaporazione

Condensazione

Sublimazione

Brinamento

Temperatura ed energia crescenti

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La materia: metodi di separazione delle fasi

Materiali occorrenti:

Iodio bisublimato - Solfato di rame pentaidrato - Idrossido di bario sol. 0.1 M - Bicromato di potassio - Acido solforico diluito - Tetracloruro di carbonio - Pallone codato - Refrigerante - Termometro con scala 0-200 °C - Imbuto separatore - Filtri - Tubi in gomma rossa - Bunsen - Vetreria e sostegni. Richiami teorici:

La materia è tutto ciò che possiede una massa ( quantità di materia ). un volume ( spazio occupato ) ed una energia ( resistenza al cambiamento dello stato di quiete o di moto ). Particolari porzioni di materia uniforme, che sia possibile isolare dall'ambiente circostante sono detti sistemi; dal punto di vista tecnico i sistemi possono essere definiti materiali. Una porzione del sistema che sia possibile limitare e che mantenga in ogni suo punto identiche proprietà fisiche è della fase. Dal punto di vista fisico un sistema costituito da una sola fase è detto sistema omogeneo; se costituito da due o più fasi è definito sistema eterogeneo. Le fasi possono essere, allo stesso tempo, chimicamente uguali e fisicamente diverse, come nel caso del miscuglio acqua-ghiaccio; al contrario un sistema può essere fisicamente omogeneo e chimicamente eterogeneo ( es. le soluzioni ). Porzioni di materia che abbiano composizione chimica costante sono dette sostanze pure; sono sostanze pure gli elementi chimici ed i composti. Mescolanze di sostanze pure diverse formano i miscugli ( miscele ); le sostanze formanti i miscugli possono trovarsi nello stesso stato di aggregazione o in stati di aggregazione diversi. Si distinguono miscugli eterogenei e miscugli omogenei. I miscugli eterogenei presentano i componenti distinguibili in due o più fasi, in rapporti massali altamente variabili e che mantengono le caratteristiche originarie. I miscugli eterogenei formati da solidi e da liquidi sono detti sospensioni ( es. latte, acqua-fango ); quelli costituiti da liquidi non miscibili si chiamano emulsioni ( es. acqua-olio, acqua-benzina ). I miscugli omogenei, comunemente detti soluzioni, hanno i componenti non più distinguibili, in quanto mescolati anche su scala atomica, che pur mantengono inalterate molte delle proprietà originarie. La separazione dei componenti è molto più semplice nel caso dei miscugli eterogenei, per i quali sono sufficienti metodi semplici quali la decantazione, la filtrazione o la centrifugazione basati sulla diversa dimensione, stato fisico e densità dei componenti. Nel caso dei miscugli omogenei è necessario utilizzare metodiche più impegnative quali l'evaporazione del solvente, la distillazione, entrambe basate sulla differente volatilità dei componenti, l'estrazione con solvente, basata sulla maggiore affinità di quest'ultimo con un componente della miscela, o la cromatografia, basata sulla differente velocità con cui un solvente trasporta, per azione capillare attraverso un strato di materiale inerte, i vari componenti della miscela. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: cristallizzazione di un sale: In un becker da 250 mL si versano 100 mL circa di acqua distillata; in essa si mettono 60 g di solfato di rame pentaidrato commerciale, CuSO4 ⋅ 5H2O, ridotto in minuti cristalli in un mortaio. Si agita con una bacchetta di vetro per favorire la solubilizzazione e si pone il becker su un treppiede con reticella ceramica sotto il quale si accende un bunsen. Si riscalda blandamente fino a circa 60 °C con continua agitazione e fino a totale solubilizzazione del sale; si continua, quindi, il riscaldamento, a temperatura non superiore ad 80 °C, fino a riduzione del volume ad 1/3. Si toglie il becker dal fuoco e lo si ripone in luogo tranquillo; dopo circa 15 minuti di raffreddamento si nota il depositarsi di cristalli azzurri sul fondo. Si toglie, quindi, con cautela la soluzione eccedente e si lascia essiccare per 24 ore. Dopo l'essiccazione si potrà osservare la perfetta struttura dei cristalli. In alternativa, o a complemento, è possibile coltivare nella soluzione soprasatura preparata un germe cristallino; all'uopo si lega un cristallo regolare di circa 1.5 cm di dimensioni con un filo sottile e lo si sospende ad una bacchetta di vetro, posta trasversalmente alla bocca del becker, in modo che sia immerso

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nella soluzione senza toccare né fondo né pareti. In poche ore il germe si accrescerà secondo la sua struttura cristallina. Parte seconda: separazione meccanica di un solido da un liquido: La separazione meccanica di un solido da un liquido, ad esempio di un precipitato in acqua, può essere effettuata in vari modi. I più consueti sono la decantazione, la filtrazione e la centrifugazione. In tutte le metodiche si può usare un precipitato preparato, ad es. con la reazione: Ba(OH)2 + H2SO4 →→ BaSO4 ↓↓ + 2H2O . Si versano in 2 provette ed in una provetta da centrifuga 5 mL circa di idrossido di bario sol. 0.1M ed a ciascuna si aggiungono 5 o 6 gocce di acido solforico diluito; immediatamente si forma il precipitato biancastro di solfato di bario. Decantazione: si pone una delle due provetta in un portaprovette e dopo pochi minuti può osservarsi il deposito per gravità del precipitato sul fondo e lo schiarimento dell'acqua. Il sopranatante può essere rimosso aspirandolo con una pipetta. Filtrazione: si prepara un filtro rotondo piegandolo i quattro e lo si dispone in un imbutino; si bagna la carta facendola aderire perfettamente alle pareti dell'imbuto e si mette quest'ultimo su idoneo sostegno, sotto il quale è posto un beckerino. Si agita la seconda delle provette per rimescolare il precipitato e l'acqua e si versa il tutto nell'imbuto; in pochi minuti la filtrazione ha termine, per cui si rimuove il filtro, lo si apre e lo si pone ad essiccare in stufa o in luogo riparato ed asciutto. Al termine di questa operazione si recupera il precipitato di solfato di bario perfettamente asciutto. E' possibile, eventualmente, effettuare l'operazione utilizzando un filtro a pieghe che ha il vantaggio di una maggior rapidità di filtrazione. Centrifugazione: si prende la provetta da centrifuga, la si agita per mescolare il precipitato alla fase acquosa e la si pone in uno dei fori della centrifuga; nel foro opposto si pone una provetta con acqua per bilanciare il cestello. Si accende l'apparecchio e lo si fa girare per circa 20 secondi; lo si spegne, si attende che il cestello si fermi e si estrae la provetta. Si osserva il precipitato ben depositato sul fondo. Parte terza: estrazione con solvente: In 50 mL di acqua distillata, versati in un becker, si fanno sciogliere pochi cristalli di iodio, fino a formazione di una soluzione debolmente gialla. Si versa la soluzione, trattenendo eventuali cristalli non sciolti, in un imbuto separatore da 250 mL, col rubinetto chiuso, e si aggiungono 30/40 mL di tetracloruro di carbonio . Si tappa l'imbuto, si agita con vigore per alcuni secondi e si pone l'apparecchio su idoneo sostegno. Subito si nota che il tetracloruro di carbonio si colora di viola, mentre l'acqua tende a schiarirsi. Il CCl4 è, infatti, un solvente selettivo per lo iodio per cui lo sequestra all'acqua. A causa della immiscibilità dei due liquidi e della maggior densità del tetracloruro ( d=1.59 ), le due fasi risulteranno ben distinte, lo strato inferiore il tetracloruro e quello superiore l'acqua. Si lascia riposare per alcuni minuti e si procede, quindi, al gocciolamento del tetracloruro di carbonio attraverso il rubinetto inferiore. L'estrazione dovrebbe essere ripetuta più volte con solvente fresco. Nota operativa: in mancanza di tetracloruro di carbonio si può utilizzare del benzene o, al limite, della benzina, con l'avvertenza che per la loro minore densità le fasi risulteranno invertite. Parte quarta: distillazione: Si monta il sistema di distillazione collegando il pallone codato al refrigerante in modo opportuno. Si fissa il tutto a due supporti con pinze e si pone il pallone sul treppiede del bunsen, avendo cura di interporre una reticella amiantata. Si collega al beccuccio inferiore del refrigerante il tubo di carico dell'acqua ed a quello superiore il tubo di scarico; si connettono detti tubi al sistema idrico del laboratorio facendo scorrere un piccolo flusso d'acqua fredda. Si verifica la stabilità dell'impianto. Si pongono nel pallone, utilizzando un imbuto adeguato, circa 200 mL di acqua nella quale è stata precedentemente sciolta una punta di spatola di bicromato di potassio. Si aggiungono alla soluzione una decina di palline di vetro per favorire il rimescolamento durante l'ebollizione.

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Dopo questa operazione si tappa il foro del pallone con un tappo in gomma nel quale è stato inserito il termometro, avendo cura di far giungere il bulbo dello stesso all'altezza della codatura. Si pone una beuta all'uscita del refrigerante per raccogliere il distillato e si colloca il bunsen sotto il treppiede, accendendo la fiamma. Dopo alcuni minuti la soluzione giunge al punto di ebollizione; è possibile leggere sul termometro un valore di temperatura di 100 °C ( ±1 °C ). Il vapor d'acqua inizia a condensarsi sul refrigerante e, quindi a cadere nella beuta, sotto forma di acqua distillata del tutto incolore. La distillazione ha provocato la separazione del soluto K2Cr2O7 dal solvente acqua. Continuando nella distillazione si osserva un progressivo inscurimento della soluzione ancora da distillare per l'ovvio aumento di concentrazione del soluto. Portando ad estreme conseguenze l'operazione con la distillazione di tutto il solvente acqua, nel pallone non resteranno che cristalli di bicromato di potassio.

Nota operativa: in luogo del bicromato di potassio può essere utilizzato un qualsiasi sale che dia soluzione colorata ( es. sali di rame, sali di ferro II ). Si sconsiglia l'uso del permanganato di potassio in quanto i suoi residui possono incrostare il pallone e sono difficili da eliminare.

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Studio della fusione e della solidificazione di una sostanza

Materiali occorrenti:

Tiosolfato di sodio - Termometro 0-100 °C, div. 0.1 °C - Cronometro - Bunsen - Sostegni - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Scopo dell'esperienza è lo studio analitico della fusione e della solidificazione di una sostanza e la graficazione dei risultati ottenuti. Si utilizza il tiosolfato di sodio ( Na2S2O3 ⋅ 5H2O ) per il suo basso punto di fusione, 47.5 °C. Parte prima: fusione: Si riempe a metà un provettone con il tiosolfato di sodio e nel sale si immerge completamente il bulbo del termometro; si fissa il termometro con un sostegno, in modo che il bulbo non possa toccare le pareti del provettone, si immerge questo in un becker da 800 mL pieno di acqua, sospendendolo con altro idoneo sostegno. Si pone il tutto su un treppiede con reticella amiantata posto sopra un bunsen, si accende questo con fiamma bassa, portando il sale alla temperatura di 40 °C. Giunti a questo valore si fa partire il cronometro, si agita costantemente l'acqua con una bacchetta e si rileva la temperatura ad intervalli di 30 secondi, annotandola sul foglio di esercitazione. Arrivati ad una temperatura di 60 °C si spegne il bunsen e si procede alla seconda parte dell'esperienza. Parte seconda: solidificazione: Si procede esattamente come nella prima parte, facendo partire il cronometro quando il termometro indica che il tiosolfato fuso ha una temperatura di 60 °C, ed effettuando rilevazioni ogni 30 secondi, fino a che la massa del sale non avrà raggiunto una temperatura di circa 30-35 °C. Si annotano anche questi valori sul foglio di esercitazione. Parte terza: graficazione dei risultati: Si prendono i risultati dell'esperienza di fusione e si riportano nelle ascisse di un grafico cartesiano i valori del tempo trascorso e nelle ordinate i valori delle temperature raggiunte dal sale. Si osserva che nel grafico la temperatura sale rapidamente, ma presenta una sosta, con appiattimento del grafico, in corrispondenza del valore di 47.5 °C ; in questo punto, infatti, pur continuando a somministrare calore, la temperatura resta costante. Infatti coesistono ancora gli stati solido e liquido e l'energia fornita serve a rompere le forze che formano il reticolo cristallino del sale; questa parte del grafico corrisponde alla sosta termica. Non appena tutto il tiosolfato di sodio si è liquefatto, la temperatura riprende a salire e con essa la curva del grafico. Si prendono, infine, i valori dell'esperienza di solidificazione e si trattano in modo eguale; il grafico risultante è esattamemte il contrario del precedente, o, meglio, ne è l'immagine speculare; anche questo grafico presenta, al valore di 47.5 °C la sosta termica durante la quale l'energia termica ceduta dal sale fuso serve per riorganizzare il reticolo cristallino. Nota operativa: per una buona riuscita dell'esperienza è necessario che termometro, provettone e becker siano assicurati in modo tale da non venire direttamente a contatto, che il riscaldamento sia lento e costante e che le letture siano tempestive e precise. Al posto del bunsen si può utilizzare una piastra riscaldante elettrica.

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Determinazione della massa molecolare di un gas in base alla velocità di diffusione

Materiali occorrenti:

Tubo in vetro Ø 10 mm. lungh. 50 cm. ca. - Acido cloridrico sol. 37 % - Idrossido di ammonio sol. 25 % - Cotone - Tappi in gomma - Riga millimetrata - Cronometro. Richiami teorici:

Intorno al 1850 Thomas Graham enunciò la seguente legge " Le velocità di diffusione di due gas, ad identiche condizioni di temperatura e pressione, sono inversamente proporzionali alle radici quadrate delle loro densità ": v : v = : 1 2 ρρ ρρ22 11 ove v1 = velocità gas n.1, v2 = velocità gas n.2

ρ1 = densità gas n.1 , ρ2 = densità gas n.2 Dalla legge di Avogadro si deduce, poi, che le densità dei gas sono in rapporti identici a quelli delle masse molecolari relative ( m.m.r. ), per cui si ha: v : v = m.m.r : m.m.r1 2 2 1 (1) Poichè v = d/t ( d = distanza, t = tempo ), conoscendo le distanze percorse dai gas ed il tempo impiegato si può facilmente ricavare detta velocità di diffusione. Conoscendo, poi, la m.m.r. di uno dei gas impiegati si può ricavare la m.m.r. del secondo. Nel caso in esperimento si vuole determinare la m.m.r. dell'ammoniaca, data come incognita, misurando la sua velocità di diffusione e ponendola in rapporto con quella dell'acido cloridrico data per nota ( m.m.r.HCl = 36.46 ). Esecuzione dell'esperienza:

Si monta in orrizzontale, su idoneo supporto, il tubo di vetro, aperto alle due estremità; si imbevono completamente due batuffoli di ovatta di cotone, uno con acido cloridrico sol. 37 %, l'altro con idrossido di ammonio sol. 25 % . Con l'aiuto di due pinzette si inseriscono contemporaneamente i batuffoli uno per estremità, tappando velocemente; allo stesso tempo un'altra persona fa partire il cronometro. I gas dalle soluzioni diffondono verso il centro del tubo e quando giungono a contatto reagiscono formando un anello biancastro, ben visibile sulla parete, di cloruro di ammonio, secondo la reazione: NH3⋅⋅H2O + HCl →→ NH4Cl + H2O ; a questo punto si ferma il cronometro, si annota il tempo in secondi trascorso e si misurano le distanze in centimetri tra l'anello e le due estremità del tubo. Siano, ad esempio, trascorsi 180 secondi per la formazione dell'anello, la distanza percorsa dall'acido cloridrico sia di 19.1 cm e quella percorsa dall'ammoniaca sia di 27.5 cm. Ricaviamo le velocità ( v = d/t ): vHCl = 0.106 cm/s vNH3 = 0.155 cm/s . Applichiamo la (1): 0.106 : 0.155 = x : 36.46 ovvero, estraendo le radici : 0.106 : 0.155 = x : 6.03 x = 4.123, da cui : x2 = 16.99 m.m.r. di NH3 Nei limiti dell'errore sperimentale il valore rilevato può considerarsi corretto, la m.m.r. dell'ammoniaca è infatti = 17.03.

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I miscugli ed i composti

Materiali occorrenti:

Zolfo in polvere - Ferro limatura - Acido cloridrico sol. 1:3 - Solfuro di carbonio - Calamita - Mortaio - Vetreria. Richiami teorici:

Per miscuglio si intende un insieme di sostanze che mantengono inalterate le loro caratteristiche originarie e che sono separabili con mezzi fisici semplici. Per composto si intende una sostanza con caratteristiche proprie che differiscono da quelle delle sostanze che lo hanno originato. Le sostanze originarie, elementi, sono sempre in rapporto costante. E' possibile ricavare gli elementi da un composto solo utilizzando dei sistemi chimico-fisici complessi ( es. elettrolisi ). Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: analisi dei comportamenti chimico-fisici dei reagenti: Si dispone su un vetro da orologio una piccola quantità di limatura di ferro. Su un secondo vetro da orologio se ne dispone una di polvere di zolfo. Si osservano i diversi colori delle sostanze. Avvicinando una calamita alle due sostanze si osserva che il ferro risente del campo magnetico essendo attratto dalla calamita. Diversamente lo zolfo non è attratto e, quindi, non risente della vicinanza di un campo magnetico. Si recupera il ferro che aderisce alla calamita ponendolo in una provetta. In una seconda provetta si mette una piccola spatolata di polvere di zolfo. Si aggiungono ad entrambe 2 mL circa di acido cloridrico sol. 1:3. Si osserva che il ferro si consuma rapidamente con formazione di una soluzione di colore grigiastro, e sviluppo imponente di gas, secondo la reazione: Fe + 2HCl →→ FeCl2 + H2 ↑↑ Nella seconda provetta si nota, invece, che lo zolfo non si è sciolto e che una parte galleggia alla superficie: non è avvenuta, infatti, alcuna reazione. In altre due provette si pongono un paio di mL di solfuro di carbonio; si pone una punta di spatola di polvere di ferro in una delle due provette e nella seconda una simile quantità di zolfo ; si osserva che il ferro non dà alcuna reazione con il solfuro di carbonio, mentre lo zolfo rapidamente si solubilizza, dando una soluzione debolmente gialla. Parte seconda : formazione del miscuglio ed analisi del suo comportamento: Si pesano 5.6 g. di limatura di ferro e 3.2 g. di polvere di zolfo; si pongono i due elementi in un piccolo mortaio o in un crogiolo mescolando e pestando la massa, fino ad ottenere una polvere uniforme di colore grigio chiaro; si suddivide il tutto in tre parti. Si osserva il colore assunto dal miscuglio comparandolo a quello degli elementi. Si prende la prima ponendola su un vetro da orologio avvicinando ad essa una calamita. Si osserva la separazione della polvere di ferro che aderisce alla calamita risentendo del campo magnetico; nel vetro resta solo la polvere di zolfo. Si prende la seconda parte di polvere e la si pone in una provetta aggiungendo 2 mL circa di acido cloridrico sol. 1:3. Si nota che il ferro reagisce colorando la soluzione di giallo-bruno, mentre lo zolfo resta inalterato, tendendo a disporsi alla superficie.

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La reazione che avviene può essere così descritta: (Fe + S) + 2HCl →→ FeCl2 + H2 ↑↑ + S Infine, si pone la terza aliquota in una provetta contenente 1 o 2 mL di solfuro di carbonio. Si nota che lo zolfo si scioglie completamente, ingiallendo la soluzione, mentre il ferro non dà alcuna reazione, depositandosi sul fondo. Le prove sopra effettuate indicano chiaramente che ci troviamo di fronte ad un miscuglio. Parte terza: formazione del composto ed analisi del suo comportamento: Si prepara un miscuglio come nella fase precedente, avendo l'accortezza di aggiungere un eccesso di zolfo, circa 1 o 2 g ( vedere nota operativa ) e lo si pone in un tubo da saggio asciutto. Si avvicina il tubo alla fiamma di un bunsen, tenendolo con una pinza, e lo si arroventa gradualmente; dopo di ciò si lascia raffreddare il tutto per alcuni istanti e si rompe il vetro recuperando la massa di colore scuro che si è formata. Si osserva l’aspetto ed il colore, comparandoli a quelli degli elementi originari. Si raccoglie la stessa nel mortaio, la si riduce in polvere e la si suddivide in tre parti. Si pone la prima parte su un vetro da orologio, avvicinando la calamita; non si nota alcuna influenza del campo magnetico. Si pone la seconda parte in una provetta e la si fa reagire con l'acido cloridrico; si verifica una reazione chimica con produzione di un gas dall'odore di uova marce, l'acido solfidrico ed il progressivo inscurimento della soluzione, secondo la reazione: FeS + 2HCl →→ FeCl2 + H2S ↑↑ Si pone, per ultimo, la restante parte in una provetta contenente 1 o 2 mL di solfuro di carbonio, osservando che nessun fenomeno chimico-fisico ha luogo. Questi fatti indicano chiaramente un comportamento chimico diverso da quello degli elementi di origine e, quindi, l'avvenuta formazione di un composto, il solfuro di ferro II, secondo la reazione: T Fe + S →→ FeS Nota operativa: la formazione del solfuro di ferro, affinché esso abbia le descritte caratteristiche, deve avvenire con un completo arroventamento. Poiché lo zolfo tende a fondere e ad evaporare è necessario operare con eccesso dello stesso. In caso contrario parte del ferro non reagisce conferendo al composto una relativa capacità a risentire del magnetismo. Prestare molta attenzione nell'uso del solfuro di carbonio, evitando di avvicinarlo a fiamme; se possibile operare sotto cappa.

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Verifica sperimentale della legge di Lavoisier

Materiali occorrenti:

Cloruro di bario - Solfato di sodio – Carbonato di calcio in polvere - Acido cloridrico sol. 37 % - Bilancia analitica - Tappi in gomma - Vetreria. Richiami teorici:

Nel 1775 Antoine Lavoisier con i suoi esperimenti osservò che " in una reazione chimica che avvenga in un sistema chiuso la massa delle sostanze reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione ". Quanto enunciato è detta, appunto, legge di Lavoisier o legge della conservazione della massa. Per verificare sperimentalmente quanto sopra sono proposte due semplici reazioni chimiche, una con formazione di un precipitato ed una con sviluppo di un gas; per ottenere risultati confortanti è necessario procedere a massature su bilancia analitica avente accuratezza di almeno 0.01 g . Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: reazione di formazione di un precipitato: Si preparano due provette ben pulite ed asciutte; in una si pone una punta di spatola di cloruro di bario ( BaCl2 ) e nell'altra altrettanto solfato di sodio ( Na2SO4 ). A ciascuna, con l'aiuto di una pipetta, si aggiungono 5 mL di acqua distillata; si agitano le provette fino a completa solubilizzazione e le si dispongono in un becker da 400 mL perfettamente pulito ed asciutto. Si porta il sistema sul piatto della bilancia e si procede a massatura, con accuratezza di almeno 0.01 g, annotando il valore ottenuto. Si ritira il tutto dalla bilancia e con cura, evitando ogni possibile fuoriuscita di liquidi, si versa il contenuto di una provetta nell'altra; subito si forma un precipitato bianco, secondo la reazione: BaCl2 + Na2SO4 →→ 2NaCl + BaSO4 ↓↓ ; a questo punto si dispone nuovamente il becker con le due provette sul piatto della bilancia e si procede a nuova massatura. Se si è agito correttamente la massa dei prodotti di reazione risulta, nei limiti dell'errore sperimentale, eguale a quella dei reagenti, in accordo con la legge di Lavoisier. Parte seconda: reazione con sviluppo di un gas in ambiente aperto: In un becker da 250 mL si pone una spatolata di carbonato di calcio in polvere fine; si aggiungono 10 o 20 mL di acque distillata. In una provetta asciutta si pongono 5 o 6 mL di HCl sol. 37% e si sistema la provetta nel becker. Si porta il sistema sul piatto della bilancia e si procede ad accurata massatura, annotando il valore ottenuto. Si ritira, quindi, il becker dalla bilancia con cura si versa al suo interno il contenuto della provetta; l’acido a contatto con il CaCO3 darà la reazione: CaCO3 + 2HCl →→ CaCl2 + CO2 ↑↑+ H2O . L'anidride carbonica che si sviluppa si disperderà nell’ambiente, per cui, sottoponendo il tutto a nuova massatura, si ottiene un valore minore a quello iniziale. In questo caso la Legge di Lavoisier non è rispettata, trattandosi di reazione con prodotto gassoso in ambiente aperto.

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Parte terza: reazione con sviluppo di un gas in ambiente chiuso: In una beuta da 400 mL si pone 1 g di carbonato di calcio in polvere; si prende una provetta che possa essere completamente contenuta nella beuta, ad es. una provetta da centrifuga, e si versa in essa acido cloridrico sol. 37 % fino ad un cm dal bordo. Con l'aiuto di una pinzetta si dispone la provetta in piedi all'interno della beuta e si tappa quest'ultima con idoneo tappo in gomma munito di rubinetto di sicurezza; se disponibile si sigilla con un pezzetto di " parafilm " per garantire la totale ermeticità. Si porta il sistema sul piatto della bilancia e si procede ad accurata massatura, annotando il valore ottenuto. Si ritira, quindi, la beuta dalla bilancia e la si inclina in modo da far uscire l'acido dalla provetta ed entrare in contatto con il CaCO3; la reazione che avviene è, ovviamente, quella descritta nella parte seconda. In questo caso, però, l'anidride carbonica che si sviluppa resta nel sistema chiuso, per cui, sottoponendo il tutto a nuova massatura, si ottiene un valore eguale, nei limiti dell'errore sperimentale, a quello iniziale. In questo caso la massa dei reagenti è uguale a quella dei prodotti di reazione. Nota operativa: le reazioni scelte sono indicative e possono essere sostituite da analoghe. Nella parte terza non superare la quantità indicata di carbonato di calcio, ricordando che 1 g nella reazione indicata produce 0.24 L circa di anidride carbonica; superando tali quantità il tappo della beuta può fuoriuscire per la pressione del gas e ciò può risultare pericoloso.

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L'esperienza di Crookes

Materiali occorrenti:

Tubo di Crookes con croce di Malta - Tubo di Crookes a mulinello - Tubo di Crookes con fenditura e schermo - Rocchetto di Ruhmkorff con alimentatore c.c. - Cavi di collegamento - Magnete. Richiami teorici:

Il tubo di Crookes è formato da un tubo di vetro contenente un gas rarefatto (pressione 10-5 atmosfere); alle sue pareti interne sono saldati due elettrodi metallici collegati ad un elevatore di tensione ( ≅ 15000 v ). Le esperienze hanno dimostrato che i raggi che partono dal catodo ( polo negativo ) e vanno verso l'anodo ( polo positivo ) detti raggi catodici sono costituiti da: 1)- piccolissime particelle viaggianti in linea retta ( i corpi interposti danno ombra ). 2)- possiedono una certa massa ( sono capaci di muovere un mulinello a pale ). 3)- hanno carica elettrica negativa ( sono attratte dal polo positivo di un campo elettrico ). 4)- non dipendono né dal tipo di metallo costituente il catodo, né dal tipo di gas contenuto nel tubo ( variando questo le particelle esistono, comunque ). Nel 1897 Thompson riuscì a determinare il rapporto carica/massa di dette particelle, che risulta essere r = c/m = 1.759⋅⋅108 coulomb/grammi. Considerando che queste particelle: 1)- possono provenire o dagli atomi costituenti il catodo o dalle molecole del gas contenuto nel tubo; 2)- non dipendono dal particolare tipo di catodo o di gas impiegati; 3)- possiedono tutte lo stesso rapporto carica / massa; si può concludere che esse sono tutte uguali tra loro e sono presenti in tutti gli atomi. A queste particelle è stato dato il nome di elettroni. La carica, determinata in seguito nel 1906 da Millikan, risulta uguale a 1.602⋅⋅10-19 coulomb. Conoscendo r ed il valore della carica si può ricavare la massa che risulta uguale a 9.11⋅⋅10-28 grammi. Esecuzione dell'esperienza:

Si monta il rocchetto ad induzione; si collegano le punte dello spinterometro, tramite due cavi, al tubo con croce di Malta, con il polo negativo all'elettrodo posteriore ed il polo positivo all'elettrodo anteriore. Si chiude l'interruttore dell'alimentatore e si osserva il comparire di una luminescenza verdastra con la croce che forma un'ombra sul fondo del tubo. Quanto osservato depone per un andamento rettilineo, dal catodo all'anodo, della radiazione. Si collega, quindi, il tubo con mulinello; si chiude l'interruttore e si osserva che le pale iniziano a ruotare secondo il verso della radiazione. Questo indica, chiaramente, una natura corpuscolare della radiazione le cui particelle, per poter muovere le pale del mulinello, devono essere dotate di una certa massa. Si collega, infine, il tubo con schermo e fenditura; attraverso questa può passare la radiazione catodica che è evidente come un sottile fascio luminoso sullo schermo. Avvicinando ad esso il polo positivo di un magnete si nota una deflessione della radiazione, che viene attirata. Avvicinando il polo negativo si nota anche in questo caso una deflessione ma con repulsione. L'esperienza indica che le particelle della radiazione catodica hanno carica elettrica e che questa è di segno negativo.

Tubi catodici di Crookes

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La spettroscopia

Materiali occorrenti:

Spettroscopio a reticolo - Spettroscopio tascabile a prisma - Spettroscopio di Kirchoff-Bunsen - Tubi di Plucher - Lampade spettrali di alcuni elementi (es. Na, H2, Hg, He, Ar, CO2, Ne) - Alimentatore AT per tubi di Plucher (rocchetto ad induzione) - Alimentatore per lampade spettrali - Sostegni portalampada - Cavi. Richiami teorici:

Si ritiene necessario una breve trattazione sulla natura della luce: Le onde: Sono perturbazioni che si propagano in modo periodico nello spazio vuoto od occupato da materia. A seconda del vettore di spostamento si distinguono onde longitudinali ed onde trasversali. Le onde periodiche sono caratterizzate dalle seguenti grandezze: Periodo ( T ): più piccolo intervallo di tempo nel quale un'onda compie un'oscillazione completa ( ciclo ). Frequenza ( νν ): numero di cicli per secondo. L'unità SI è l'hertz ( Hz ) = 1 ciclo/secondo. La sua espressione è νν = 1/T . Lunghezza d'onda ( λλ ): distanza percorsa da un'onda in un periodo, ovvero la distanza tra due picchi d'onda. La sua espressione è λλ = ννT. L'unità di misura SI è il metro ( m ) con i suoi sottomultipli. Ampiezza: massimo spostamento che rispetto alla posizione di riposo subisce un punto qualsiasi dell'onda. Onde elettromagnetiche: Onde trasversali che si propagano in un campo elettromagnetico; il campo elettrico ed il campo magnetico sono ortogonali tra di loro e perpendicolari alla direzione di propagazione dell'onda. La luce come fenomeno ondulatorio: La luce è una radiazione elettromagnetica di natura ondulatoria; può essere considerata anche come energia elettromagnetica, trasferita attraverso lo spazio o la materia per mezzo di onde. La velocità della radiazione elettromagnetica è una costante detta velocità della luce, C = 3.00 ⋅⋅ 108 m/s, data dal prodotto della lunghezza d'onda per la frequenza: c = λ λ ⋅⋅ ν ν , da cui deriva anche λλ = c / νν. Tutte le radiazioni elettromagnetiche viaggiano nel vuoto a velocità = c. Spettro elettromagnetico: La radiazione elettromagnetica comprende una vasta gamma di frequenze che costituiscono lo spettro elettromagnetico che è costituto da diversi tipi di radiazioni, certe a frequenza molto bassa come le onde radio ( ν = 104 ÷ 1011 Hz ) e le microonde ( ν = 108 ÷ 1012 Hz ), altre a frequenza molto alta come i raggi X o i raggi gamma ( ν < 1017 Hz ). Solo una piccola parte dello spettro, compresa tra 4.3 ⋅ 1014 e 7 ⋅ 1014 Hz può essere percepita dall'occhio umano; questa radiazione è detta spettro visibile ed è costituita dalla serie dei colori che, dalla frequenza più bassa, sono il rosso, l' arancio, il giallo, il verde, il blu ed il violetto. L'insieme dei colori forma la luce bianca. Le frequenze prima del rosso, con ν = 3 ⋅ 1014 Hz costituiscono l'infrarosso; quelle oltre il violetto, con ν = 10 ⋅1014 Hz sono dette ultravioletto. Considerata la relazione λ = c / ν è facile comprendere che le lunghezze d'onda diminuiscono all'aumentare delle frequenze. Le lunghezze d'onda dello spettro visibile sono: rosso = 700 nm, arancio = 620 nm, giallo = 580 nm, verde = 530 nm, blu = 470 nm, violetto = 420 nm ( 1 nm = 1 ⋅10-9 m ). La luce come fenomeno corpuscolare: Max Planck con la meccanica quantistica aggiunge al concetto ondulatorio quello di radiazione elettromagnetica intesa come un flusso di particelle dette fotoni. I fotoni sono dei quanti di energia che viaggiano alla velocità della luce e possiedono una frequenza ν. L'energia di una radiazione è proporzionale alla frequenza: E = h ⋅⋅ νν , ove h è una costante ( costante di Planck ) = 6.63 ⋅ 10-34 Js. Spettri atomici:

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Sono l'insieme delle radiazioni elettromagnetiche emesse da una sostanza; si dividono in: Spettri di emissione continui o discreti: sono emessi da una sorgente luminosa; presentano tutti i colori dal rosso al violetto sfumati l'uno nell'altro. Sono emessi da corpi incandescenti, solidi, liquidi o gassosi, fortemente compressi; sono esempi lo spettro solare e quello emesso da una lampada ad incandescenza. Spettri di emissione a righe: presentano righe colorate su sfondo nero; sono emessi da sostanze gassose o rese gassose a bassa pressione. Ogni spettro è caratteristico di ogni sostanza. Spettri di assorbimento: se un gas o una sostanza resa gassosa che si trova a temperatura inferiore a quella di una sorgente di luce bianca, è interposto tra detta sorgente ed uno spettroscopio si ottiene uno spettro di assorbimento; esso è caratterizzato da uno sfondo colorato continuo e dalle righe di assorbimento. Per una stessa sostanza le righe di assorbimento sono sovrapponibili, ovvero hanno la stessa lunghezza d'onda delle righe colorate dello spettro di emissione. Le frequenze della radiazione che può emettere un'atomo di un elemento quando viene eccitato sono uniche per cui ogni elemento possiede uno spettro caratteristico formato da ben definite righe; in altre parole per ogni atomo sono possibili solo caratteristiche variazioni di energia. La spettroscopia: Applicando una tensione elevata ad un tubo di scarica contenente un gas rarefatto oppure vapori di metalli, si ha una emissione di energia radiante percepita dall'occhio umano sotto forma di una luce con colore caratteristico. All'esame spettroscopico si può scomporre tale luce nel corrispondente spettro di emissione. Ad esempio, sottoponendo alla scarica un tubo o una lampada contenente idrogeno rarefatto, un gran numero di atomi viene eccitato. L'elettrone di ogni atomo prima dell'eccitazione si trovava allo stato fondamentale ( o livello energetico ) n=1, ovvero in posizione più vicina al nucleo; in seguito alla somministrazione di energia l'elettrone passa a un livello energetico superiore. La lettera n indica il numero quantico principale che definisce, appunto, il livello energetico ove si trova l'elettrone. In non tutti i casi, però, l'elettrone passa allo stesso livello energetico superiore: in molti salta a n=2, in altri salta a n=3 e così via. Al termine dell'eccitazione l'elettrone ritorna allo stato fondamentale n=1 restituendo l'energia che gli era stata fornita sotto forma di radiazione luminosa. Poiché i percorsi di ritorno dagli stati eccitati ( n=2, n=3, etc.) hanno percorsi diversi, si ha una contemporanea emissione di diverse frequenze. L'insieme di queste frequenze formano lo spettro di emissione caratteristico dell'atomo di idrogeno ( atomo di Bohr ). Il modello di Bohr riusciva a spiegare abbastanza bene lo spettro di emissione dell'idrogeno; per atomi con più di un elettrone si osservavano delle righe formate da " multipletti " ovvero righe secondarie molto vicine tra loro. La differenza di frequenza tra le righe secondarie è molto piccola per cui è possibile che, ad esempio, tra lo stato fondamentale e lo stato eccitato n = 2 siano possibili diverse transizioni rilevabili dalle righe secondarie dello spettro. Sommerfeld propose allora una teoria in cui sostituiva le orbite circolari di Bohr, definite solo dal parametro raggio, con orbite ellittiche definite da due parametri, ad es. gli assi, di cui il nucleo occupa uno dei fuochi. Anche questo sistema, al pari di quello di Bohr, è quantizzato, per cui Sommerfeld definì un secondo numero quantico, il numero quantico angolare ( l ) che determina la " quantizzazione dell'eccentricità dell'ellisse " che l'elettrone può percorrere nei suoi stati stazionari. In altre parole il numero quantico angolare definisce la forma dell'orbitale ; esso può assumere, per ogni valore di n i valori interi compresi tra 0 e n-1. Di conseguenza ogni livello energetico è formato da più sottolivelli che differiscono per piccole quantità di energia. In questo modo aumentano i salti energetici possibili per gli elettroni. Ad es. per un elettrone in cui n=2 l può assumere i valori di 0 e 1 e a questi valori corrispondono due orbite: n=2 e l=0 e n=2 e l=1. Queste orbite sono lievemente differenti per forma e valori di energia.

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In questo modo è possibile interpretare i raggruppamenti di linee vicine negli spettri:

n = 2 E

n = 1 E1

2 l = 1 E

E

E

2,1

l = 0n = 2

2,0

1n = 1 Per certi gruppi di righe quanto sopra esposto è, però, insufficiente, come ad es. per spettri di atomi eccitati e sottoposti a campi magnetici esterni ( effetto Zeeman ). Per questo motivo si ipotizzò che un elettrone percorrendo la sua orbita generasse un campo magnetico, per cui fu introdotto il numero quantico magnetico ( m ) che può assumere i valori di 0, 1, 2, 3, ...., ± l. In ultimo, altri particolari sdoppiamenti delle righe spettrali fecero pensare che l'elettrone nella sua orbita ruotasse anche sul proprio asse, in senso orario ed antiorario, generando un altro campo magnetico. Perciò fu introdotto il numero quantico magnetico di spin ( ms ), che può assumere valori di +½ e -½ . In assenza di campo magnetico esterno solo i valori di n e l determinano i valori energetici degli elettroni dell'atomo. In presenza di un campo magnetico esterno anche i numeri quantici m e ms influenzano relativamente i valori delle energie, causando gli sdoppiamenti delle righe. Il modello di Bohr - Sommerfeld non riesce però a spiegare molti fenomeni fisici, tra i quali gli spettri a righe di elementi con più elettroni per cui lo stesso è superato dal modello ad orbitali introdotto dalla meccanica quantistica. Per una trattazione di questo si rimanda ai vari testi di chimica e chimica-fisica. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: osservazione di tubi di Plucher con spettroscopio a reticolo: Si pone un tubo di Plucher con sodio nell'apposito sostegno, si collegano i due poli con l'alimentatore AT e si dispone il tubo davanti alla fenditura dello spettroscopio. Si oscura l'aula e si accende l'alimentatore; dopo pochi secondi di riscaldamento si procede all'osservazione dello spettro attraverso il reticolo di rifrazione. Detto reticolo è montato su un cursore scorrevole lungo il banco ottico. Si dovrebbero osservare due righe gialle sullo schermo ai due lati della fenditura; queste righe servono per la taratura dello strumento: infatti, spostando in avanti o indietro il reticolo è possibile posizionare le righe sui valori relativi indicati sulla scala e corrispondenti al simbolo Na ( λ ca.5800 Å ) Dopo la taratura si procede all'osservazione delle radiazioni emesse da altri tubi e all'analisi degli spettri delle sostanze in essi contenuti. Parte seconda: osservazione di lampade spettrali con spettroscopio di Kirchoff-Bunsen: Si monta lo spettroscopio davanti al supporto per le lampade spettrali, ovviamente collegando lo stesso al relativo alimentatore. Si pone un proiettore diottrico di fronte al tubo per la scala graduata. Anche in questo caso preferibile, al fine di operare una buona taratura dello strumento, procedere all'osservazione della lampada al sodio. Si oscura l'aula, si accendono gli alimentatori, si lascia riscaldare la lampada per alcuni secondi. Si pone, a questo punto, l'occhio sull'oculare muovendolo fino a che non sia visibile uno spettro. A questo punto si adatta il cannocchiale al proprio visus e si regola la fenditura posta sul collimatore fino a che non siano evidenti due righe gialle molto ravvicinate ( doppietto ). Si chiude il prisma mobile per la scala graduata e si muove l'oculare fino a posizionare le righe gialle su una lunghezza d'onda pari a ca. 5800 Å. Lo strumento è tarato ed è possibile procedere all'osservazione degli spettri emessi dalle lampade disponibili.

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Parte terza: osservazione dello spettro continuo della luce solare: Si utilizza lo spettroscopio tascabile a prisma. Si apre convenientemente la fenditura dello spettroscopio, si adatta l'oculare al proprio visus e si punta verso la luce solare. Quando la luce solare passa attraverso il prisma si scompone nello spettro continuo formato dalle radiazioni colorate che vanno dal viola ( λ ca.4000 Å ) al rosso ( λ ca.7500 Å ) evidenziando i colori principali. Questo spettro è detto continuo in quanto non presenta zone d'ombra. Uno spettro continuo può essere anche osservato da una lampada ad incandescenza. Nota: data la presenza di alimentatori ad alta tensione, si richiede la massima cautela nel montare le apparecchiature e nell'esecuzione delle esperienze. Gli spettri evidenti risultano quelli emessi da lampade contenenti gas nobili.

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I saggi alla fiamma

Materiali occorrenti:

Sali, possibilmente cloruri, di litio, potassio, sodio, calcio, stronzio, bario, rame - Fili al nickel-cromo montati - Acido cloridrico sol. 1:3 - Vetri blu al cobalto - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si prelevano con una spatola piccole quantità dei sali in analisi, disponendole su un foglio di carta. Si versano in un vetro da orologio alcuni mL di acido cloridrico sol. 1:3. Si prende un filo al Ni-Cr e si provvede alla sua pulizia inumidendolo con l'acido e portandolo nella fiamma ossidante ( zona di fusione ) di un bunsen. Tale operazione è completata quando la fiamma appare incolore. Si inumidisce nuovamente il filo al Ni-Cr con l'acido, si raccolgono sulla punta alcuni cristalli del primo sale in analisi e si osservano il colore ed i caratteri della fiamma. L'acido cloridrico ha la funzione di permettere l'adesione al filo dei cristalli del sale e di trasformare lo stesso, qualora già non lo fosse, in un cloruro, sale particolarmente volatile. I sali così trattati, ricevendo energia termica dalla fiamma, emettono una radiazione, caratteristica per ogni catione, che viene percepita dall'occhio umano come luce colorata. La radiazione emessa può essere, ovviamente, scomposta da uno spettroscopio nelle righe spettrali in modo da permettere un sicuro riconoscimento del catione. Si ripete l'esperienza con tutti i sali disponibili, avendo cura di sostituire il filo al Ni-Cr ogni volta, o di pulirlo accuratamente. E' opportuno annotare, per ogni catione, la colorazione ed i caratteri della fiamma. I colori dei principali cationi sono: Litio: rosso cardinale Calcio: rosso mattone Sodio: giallo intenso Potassio: violetto Stronzio: rosso a sprazzi Bario: verde pisello Rame: verde-azzurro elettrico Piombo: grigio-azzurro pallido Il sodio è molto persistente e facilmente maschera la presenza di altri cationi, quali, ad esempio, il potassio. La sua radiazione gialla è, però, assorbita dai vetri al cobalto blu per cui, osservando la fiamma attraverso uno o due di questi, è possibile riconoscere perfettamente il catione mascherato.

Nota operativa: i fili al nickel-cromo sostituiscono ottimamente quelli classici, e molto più costosi, in platino. La loro resistenza alle ossidazioni è, però, molto limitata; si consiglia, per questo, di cambiare il filo dopo due o tre analisi. Per facilitare le operazioni si consiglia di usare piccoli pezzi di filo trattenuti da un’astina portafili o una pinzetta, in luogo di quelli montati su bacchette in vetro.

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La nomenclatura chimica: gli elementi

Materiali occorrenti:

Campioni di: Zinco, Piombo, Rame, Sodio, Alluminio, Mercurio, Fosforo rosso, Grafite, Iodio, Zolfo - Alimentatore c.c. 6/12 volts - Lampadina con collegamenti - Vetreria . Esecuzione dell'esperienza:

Lo scopo è quello si evidenziare alcuni caratteri fisici di una serie di elementi, al fine di operare una differenziazione tra metalli e nonmetalli. I caratteri presi in esame sono: aspetto, lucentezza, conducibilità elettrica, conducibilità termica, lavorabilità. Gli elementi disponibili dovranno essere sottoposti ai seguenti esami: Aspetto e lucentezza: si osservano i campioni nel loro aspetto, descrivendone i colori e la presenza di eventuale lucentezza metallica. I campioni, specie quelli di sodio e calcio, dovranno essere ben puliti al fine di rimuovere ogni patina superficiale. Conducibilità elettrica: si predispone un circuito elettrico con l'alimentatore c.c. a 6/12 volts ed una lampadina adeguata; si interpone al circuito, interrompendo uno dei fili, il campione in osservazione, annotando se esso conduce o no la corrente, in base all'accensione, o meno, della lampadina. Conducibilità termica: si riscaldano brevemente alcuni campioni alla fiamma di un bunsen, rilevando con la mano l'eventuale conducibilità termica. Da questo esame sono da escludersi i campioni di sodio, calcio, mercurio, iodio e fosforo. Lavorabilità: disponendo di lamine o fili di alcuni degli elementi si evidenziano i caratteri di duttilità ( lavorabilità in fili ) e di malleabilità ( lavorabilità in lamine ) propri dei metalli ed assenti nei nonmetalli. Dalle prove effettuate è possibile ricavare questa tavola sinottica:

RAME metallico lucente rosso elevata elevata duttile / malleabile

ZINCO metallico lucente grigio chiaro buona elevata duttile / malleabile

ALLUMINIO metallico lucente grigio chiarissimo buona elevata duttile / malleabile

SODIO metallico ossidato grigio buona elevata morbido / pastoso

PIOMBO metallico opaco grigio scuro buona elevata duttile / malleabile

MERCURIO metallico liquido grigio chiarissimo elevata elevata liquido

IODIO cristallino grigio scuro assente scarsa nessuna

FOSFORO pulverulento rosso scuro assente scarsa nessuna

ZOLFO cristallino giallo assente scarsa nessuna

GRAFITE opaco nero elevata discreta buona

ELEMENTO ASPETTO COLORE CONDUCIBILITA' ELETTRICA

CONDUCIBILITA'TERMICA

LAVORABILITA'

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La nomenclatura chimica: i composti

Materiali occorrenti:

Magnesio - Calcio - Sodio - Zolfo - Zinco - Anidride fosforica - Ossido di calcio - Ossido di mercurio - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Idrossido di bario soluzione 1 % - Acido solforico sol. 1:5 - Acido cloridrico sol. 1:3 e 0.1 M - Acido nitrico sol. 1:3 - Acido ortofosforico sol. 1:2 - Cartine all'indicatore universale - Fenolftaleina sol. 1 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Le procedure di esecuzione sono descritte per ogni reazione. Ove non indicato si devono utilizzare quantità minime di reagenti. Parte prima: ossidi, idrossidi ed acidi: 1.1 - Formazione di ossido e di idrossido di magnesio a partire dal metallo Porre del magnesio in lastrina o in polvere su una fiamma di bunsen fino a che non bruci con la caratteristica fiamma luminosa. La polvere bianca che si forma è ossido di magnesio, secondo la reazione: calore 2Mg + O2 →→ 2MgO Si raccoglie l'ossido così prodotto e lo si pone in una provetta con alcuni mL di acqua. Lentamente, in quanto il composto è poco solubile, si forma l' idrossido di magnesio, secondo la reazione: MgO + H2O →→ Mg(OH)2 L' idrossido così formato è riconoscibile per aggiunta di alcune gocce di fenolftaleina, che vireranno al viola per l'ambiente basico. 1.2 - Formazione di idrossido di calcio a partire dal metallo Porre in una provetta alcuni granuli di calcio ed aggiungere alcuni mL di acqua distillata. Si forma l' idrossido di calcio e si sviluppa idrogeno con la reazione: Ca + 2H2O →→ Ca(OH)2 + H2 ↑↑ L' idrossido è riconoscibile per aggiunta di alcune gocce di fenolftaleina, mentre l'idrogeno sviluppatosi può essere riconosciuto per combustione, accendendolo con un fiammifero. 1.3 - Formazione di idrossido di calcio a partire dall'ossido Porre una punta di spatola di ossido di calcio in un becker ed agitare fino alla formazione di una soluzione lattiginosa. La reazione che avviene è la seguente: CaO + 2H2O →→ Ca(OH)2 L'idrossido è riconoscibile aggiungendo alcune gocce di fenolftaleina. 1.4- Formazione dell'idrossido di sodio a partire dal metallo Porre un pezzo molto piccolo di sodio in un becker da 250 mL colmo di acqua e ricoprire rapidamente con una reticella. La reazione che avviene è molto esotermica e può portare all'esplosione dell'idrogeno formatosi: 2Na + 2H2O →→ 2NaOH + H2 ↑↑ Come noto, l'idrossido è riconoscibile per aggiunta di alcune gocce di fenolftaleina.

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1.5- Formazione dell'anidride solforosa e dell'acido solforoso Si bruciano alcuni grammi di zolfo in polvere posti in un crogiolo o su una spatola metallica. Il gas biancastro con odore pungente che si forma è l' anidride solforosa ( biossido di zolfo ): S + O2 →→ SO2 ↑↑ Se si pone sopra lo sviluppo di SO2 un vetro da orologio, nel cui incavo è attaccata una cartina all'indicatore universale inumidita, si vedrà la stessa colorarsi in rosso, ad indicare la formazione dell' acido solforoso, secondo la reazione: SO2 + H2O →→ H2SO3 1.6 - Formazione dell'acido ortofosforico a partire dall'anidride In una provetta si pone una punta di spatola di anidride fosforica aggiungendo alcuni mL di acqua. La reazione è esotermica ed abbastanza violenta: P2O5 + 3H2O →→ 2H3PO4 L'acido ortofosforico formatosi è riconoscibile per mezzo di una cartina all'indicatore universale che, ovviamente, si colorerà in rosso. 1.7 - Dissociazione dell'ossido di mercurio II Si pone una piccola quantità di ossido di mercurio II in un tubicino da saggio; si riscalda intensamente al bunsen. Si notano, dopo pochi secondi, un cambiamento di colore dell' ossido dal rosso al nero e la formazione, sulle pareti superiori del tubicino, di un anello di goccioline di mercurio, secondo la reazione: calore 2HgO →→ 2Hg + O2 ↑↑ Il mercurio, dopo essersi vaporizzato, si condensa sulle pareti del tubo che sono a temperatura più bassa, mentre non è evidenziabile lo scarso sviluppo di ossigeno. Parte seconda: i sali: 2.1 - Reazione di salificazione tra zinco ed acido cloridrico Zn + 2HCl →→ ZnCl2 + H2 ↑↑ Si pone un po' di zinco in una provetta e ad esso si aggiungono 2 o 3 mL di acido cloridrico sol. 1:3. Si sviluppa subito idrogeno, riconoscibile nel modo già descritto, mentre il cloruro di zinco resta in soluzione. 2.2 - Reazione di salificazione tra magnesio ed acido ortofosforico 3Mg + 2H3PO4 →→ Mg3(PO4)2 ↓↓ + 3H2 ↑↑ Si pone un pezzettino di nastro di magnesio in una provetta e si aggiungono 1 o 2 mL di acido ortofosforico sol. 1:2. Si sviluppa idrogeno e si osserva il contemporaneo formarsi dell' ortofosfato di magnesio insolubile che dà un precipitato bianco. 2.3 - Reazione di salificazione tra calcio ed acido solforico Ca + H2SO4 →→ CaSO4 ↓↓ + H2 ↑↑ Si pongono alcuni granuli di calcio in una provetta facendoli reagire con 1 o 2 mL di acido solforico sol. 1:5 circa. Si ha sviluppo di idrogeno e formazione del solfato di calcio, sale poco solubile che dà un precipitato bianco.

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2.4 - Reazione di salificazione tra un acido ed un ossido basico 2HNO3 + CaO →→ Ca(NO3)2 + H2O In una provetta si pone una mezza spatolata di ossido di calcio e ad esso si aggiungono 3 o 4 mL di acido nitrico sol. 1:3. L' ossido di calcio si dissolve rapidamente formando il nitrato di calcio che resta dissociato in una soluzione incolore. 2.5 - Reazione di salificazione tra l'idrossido di bario e l'acido solforico Ba(OH)2 + H2SO4 →→ BaSO4 ↓↓ + 2H2O In una provetta si fanno reagire 1 mL di idrossido di bario sol. 1 % ed 1 mL di acido solforico sol. 1:5. Si forma immediatamente un precipitato bianco caseoso di solfato di bario, sale pochissimo solubile. 2.6 - Reazione di salificazione tra l'idrossido di sodio e l'acido cloridrico NaOH + HCl →→ NaCl + H2O In una provetta si fanno reagire 1 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M e 1 mL di acido cloridrico sol. 0.1 M. Al completamento della reazione si ha come prodotto il cloruro di sodio, sale completamente dissociato in acqua. 2.7 - Reazione di salificazione tra un idrossido e un ossido acido Ba(OH)2 + CO2 →→BaCO3 ↓↓ + H2O In un becker si versano circa 5 mL di idrossido di bario sol. 1 %, aggiungendo 30 o 40 mL di acqua distillata. Con una pipetta si soffia lentamente nella soluzione. L'anidride carbonica ( biossido di carbonio ) emessa con l'espirazione reagisce con l' idrossido formando il carbonato di bario, sale insolubile che precipita con colore bianco.

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Misura della pressione atmosferica: il barometro di Torricelli

Materiali occorrenti:

Tubo di Torricelli in vetro - Sostegno con pinza a ragno - Bacinella per mercurio - Mercurio (1000 g ca.) - Metro a nastro - Vetreria. Richiami teorici:

Nel 1643 Evangelista Torricelli ideò un sistema per la misurazione della pressione atmosferica: il barometro a mercurio. Questo è formato da un tubo in vetro alto circa 850 mm, chiuso ad una estremità e che deve essere accuratamente riempito di mercurio. L'apparecchio deve essere rovesciato in posizione verticale con l'estremità aperta immersa in una bacinella contenente anch'essa mercurio, badando a non far entrare aria. Nello spazio che si forma sopra la colonna di mercurio sono, perciò, presenti solo vapori di Hg, la cui pressione può essere, a condizioni standard di temperatura, considerata insignificante. Applicando la legge di Stevino ( variazione di pressione di un fluido in quiete ) la cui equazione è: p = p0 + ρρ ⋅⋅ g ⋅⋅ h si ha: p0 = ρρHg · g · h ove p0 = pressione atmosferica ρρHg = densità mercurio = 13.595 g/cm3 ( a 0 °C ) g = accelerazione di gravità = 980.66 cm/s2 h = altezza colonna di Hg = 76 cm per cui: p0 = 13.595 ⋅⋅ 980.66 ⋅⋅ 76 = 1.013 ⋅⋅ 105 N/m2 ( o pa pascal ) Tale valore si chiama atmosfera ( 1 atm ). Ne deriva che, a 0 °C, 1 cm Hg corrisponde a 1333 N/m2 o pa ( 1.013 ⋅ 105 / 76 = 1333 ). Esecuzione dell'esperienza:

Preliminarmente si versa nella bacinella del mercurio fino a raggiungere un'altezza di circa 3 cm. Si procede, quindi, al riempimento del tubo di Torricelli utilizzando un idoneo imbuto, fino a che il menisco del mercurio non raggiunga l'estremità aperta. Si chiude fermamente l'apertura con un dito e si rovescia l'apparecchio immergendone l'estremità nel mercurio posto nella bacinella. E' necessario operare con la massima cautela al fine di evitare ingresso di bolle d'aria o, peggio, la rottura del tubo. Si toglie il dito dall'apertura, si fissa l'apparecchio ad un supporto con pinza a ragno e si osserva ciò che accade.

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Si nota che all'estremità chiusa del tubo si è formato uno spazio vuoto ( vuoto torricelliano ), privo d'aria e con p ≈≈ 0. Utilizzando un metro a nastro si rileva l'altezza della colonna del mercurio, partendo dalla superficie del mercurio della bacinella, fino al menisco che esso forma nel tubo. Per quanto sopra esposto, a livello del mare, la colonna ha una lunghezza di circa 76 cm. Dall'esatto valore rilevato, utilizzando l'equazione si ricava la pressione atmosferica p0 esistente al momento dell'esperienza. Tale valore è, come detto, espresso in N/m2 ( pascal ). Al termine dell'esercitazione si svuota accuratamente il tubo nella bacinella e si ripone il mercurio nel suo contenitore. Nota operativa: al fine di evitare formazione di amalgama è opportuno operare privi di oggetti d'oro, quali anelli, orologi, bracciali, etc.

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La legge isoterma dei gas ( legge di Boyle )

Materiali occorrenti:

Apparecchio per la legge di Boyle - Mercurio ( ca. 1 kg ) - Barometro. Richiami teorici:

Nel 1662 con i suoi esperimenti Robert Boyle determinò che " per ogni quantità di gas, a temperatura costante, il prodotto dei valori della pressione e del volume è una costante ( p ⋅⋅ v = k ) ". In base a questa legge, ogni variazione della pressione provoca una variazione del volume, e viceversa. Esecuzione dell'esperienza:

Si dispone sul banco l'apparecchio e si regolano i due tubi in plexiglas alla stessa altezza, il più in basso possibile; si apre il rubinetto posto nel tubo di sinistra. Con l'aiuto di un imbutino si versa il mercurio nel tubo di destra fino a che i livelli nei due tubi siano visibili. Agendo sui cursori dei due tubi si portano detti livelli a corrispondere allo zero della scala centrale; si chiude la valvola del tubo di sinistra in modo da imprigionare un volume d'aria, che potrà essere misurato ( v = πr2 ⋅ h ). Si rileva la pressione atmosferica in mm di Hg utilizzando un barometro e si annota tale valore considerandolo costante per tutta la durata dell'esperienza. Si trascrive il valore in ml. del volume del cilindro d'aria sulla tabella di lavoro come prima lettura, facendo corrispondere ad esso il dislivello corrispondente tra i due menischi di mercurio che è, come detto, = 0. La pressione che insiste sulla massa d'aria imprigionata è, pertanto, solo quella atmosferica. Si procede alle letture successive, almeno 5 o 6, alzando a diversi livelli il tubo di destra e registrando, ogni volta, il dislivello tra i due menischi, in mm, che dovrà essere sommato alla pressione atmosferica, e il volume dell'aria imprigionata. Al termine delle letture sarà possibile verificare che i prodotti p ⋅ v, nei limiti dell'errore sperimentale, sono costanti. In matematica due grandezze x e y si dicono inversamente proporzionali quando il loro prodotto è una costante ( x⋅⋅y = k ). L'equazione y=k/x rappresenta una iperbole equilatera. Per quanto sopra espresso, sarà, ad esempio, possibile riportare in un piano cartesiano i valori di volume nel ramo delle ascisse e quelli di pressione nelle ordinate, tracciando il grafico risultante che sarà, appunto, un ramo di iperbole equilatera. Nota operativa: il volume della massa d'aria imprigionata può essere determinato indirettamente misurando il volume del tubo cilindrico che la contiene, attraverso la formula geometrica: area della base x altezza.

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Grafico sperimentale della legge isoterma dei gas

Volumi del gas in mL

Pre

ssio

ni d

el g

as in

mm

Hg

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

0 0,5 1 1,5 2

1 1,638 0 750 750 1228,52 1,446 93 750 843 1218,93 1,283 187 750 937 1202,14 1,173 283 750 1033 1211,75 1,064 379 750 1129 1201,36 0,982 476 750 1226 1203,97 0,928 574 750 1324 1228,68 0,873 660 750 1410 1230,9

Tavola dei valori sperimentaliLetture Volume dell'aria

in mLDislivelloin mm Hg

Press.atmosferica in mm Hg

Pressione del gasin mm Hg

Prodottop x v

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La legge isobara dei gas ( legge di Gay-Lussac )

Materiali occorrenti:

Apparecchio per la legge di Gay-Lussac - Glicerina - Becker da 800 mL - Termometro - Piastra riscaldante elettrica - Vetreria. Richiami teorici:

Alla fine del XVIII secolo Joseph Gay-Lussac, sulla base dei suoi esperimenti, enunciò una legge che dice " riscaldando un gas a pressione costante si provoca un aumento del suo volume e tale aumento, per ogni °C, è di 1/273 del volume occupato dal gas a 0 °C ", ovvero: Vo =Vt (1+ αα t) ove Vo = volume a 0 °C, Vt = volume a t °C, αα =1/273. Esecuzione dell'esperienza:

Si pone l'apparecchio nel becker da 800 mL versando nello stesso acqua fredda, possibilmente con alcuni cubetti di ghiaccio, controllando che il palloncino sia completamente immerso. Si lascia riposare per 1 o 2 minuti. Di detto palloncino deve essere noto il volume, espresso in mL. La pressione, per la struttura dell'apparecchio, risulta costante in ogni fase. Lasciando aperto il rubinetto centrale, utilizzando uno dei tubi laterali ed un imbutino, si versa nell'apparecchio della glicerina, o altro liquido denso, fino a livello dello zero della scala in mL segnata sul tubo centrale. Si chiude il rubinetto, si immerge il termometro, con il bulbo all'altezza del palloncino, e si registra la temperatura. Il valore rilevato deve essere riportato sulla tabella di esercitazione come prima lettura, alla quale è da attribuirsi, ovviamente, un incremento del volume = 0 , per cui il volume del gas è dato dal solo valore del volume del palloncino. Si provvede, a questo punto, al riscaldamento della massa d'acqua e, di conseguenza, anche dell'aria contenuta nel palloncino, agitando in modo da avere omogeneità in tutti i punti. Ad intervalli regolari di temperatura, ad esempio ogni 5 °C, si rilevano gli incrementi di volume sul tubo centrale, riportando detti valori sulla tabella di esercitazione. Per ogni valore di temperatura detto incremento di volume deve essere sommato al volume del palloncino. Al fine di limitare possibili errori sperimentali conviene effettuare almeno 8/10 letture. Al termine della rilevazione dei dati, dopo aver spento l'elemento riscaldante, si procederà alla graficazione cartesiana di tali valori. In un piano cartesiano, scelto di adeguate dimensioni, si pongono le temperature in °C nell'asse delle ascisse ed i valori in mL dei volumi nell'asse delle ordinate. Il risultato sarà il grafico di una funzione del tipo y=a+bx , ovvero una retta che interseca l'asse delle ordinate in un punto a . Con i valori rilevati nell'esperienza è anche possibile estrapolare lo zero assoluto ( -273.16 °C ), punto limite ove il volume teoricamente si annulla.

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Grafico sperimentale della legge isobara dei gas

Tempera ture in °C

Vo

lum

i del

gas

in m

L

0

5

1 0

1 5

2 0

2 5

3 0

3 5

4 0

4 5

5 0

0 5 1 0 1 5 2 0 2 5 3 0 3 5 4 0 4 5 5 0 5 5 6 0 6 5 7 0

1 5 0 31,4 31,42 10 0,6 31,4 323 15 1,2 31,4 32,64 20 1,9 31,4 33,35 25 2,5 31,4 33,96 30 3,1 31,4 34,57 35 3,8 31,4 35,28 40 4,4 31,4 35,89 45 5,1 31,4 36,510 50 5,8 31,4 37,2

Tavola dei valori sperimentali

Temperaturein °C

Incremento volume in mL

Volume pallone in mL

Volume totale del gas in mL

Letture

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La legge isocora dei gas ( legge di Charles )

Materiali occorrenti:

Apparecchio per la legge di Charles - Mercurio 500 g. - Becker da 800 mL - Termometro - Piastra riscaldante elettrica - Barometro - Vetreria. Richiami teorici:

Jacques Charles nel 1787, dopo aver effettuato numerosi esperimenti, dichiarò che " riscaldando un gas a volume costante si provoca un aumento della pressione; per ogni grado centigrado di temperatura la pressione aumenta di 1/273 della pressione che il gas esercitava a 0 °C " ovvero: P0 = Pt (1+ αα t ) ove P0 = pressione a 0 °C, Pt = pressione a t °C, αα =1/273. Esecuzione dell'esperienza:

Si rileva preliminarmente la pressione atmosferica, utilizzando il barometro, e se ne trascrive il valore nella tavola di esercitazione, considerandola costante per tutte le letture. Si versa nel becker acqua fredda, possibilmente con alcuni cubetti di ghiaccio, fino a 3-4 cm dal bordo e si immerge l'apparecchio, fissandolo con il sostegno a pinza e controllando che tutto il pallone in vetro risulti immerso. Il volume dell'aria imprigionata nel pallone viene considerata costante in ogni fase. Si pone l'apparecchio sull'elemento riscaldante ancora spento e si versa il mercurio, con l'aiuto di un imbutino, nel ramo di destra del tubo ad U, fino a che il livello non raggiunga, perfettamente, lo zero della scala. A questo punto si chiude il ramo di sinistra con un tappino, si immergono il termometro e l'agitatore attraverso i due fori posti sulla base e si inizia a rilevare i valori di temperatura. Il primo valore rilevato serve per la prima lettura, alla quale si assegna un dislivello = 0 e, quindi, una pressione sull'aria contenuta nel palloncino, pari alla sola pressione atmosferica. Si trascrive il valore sulla tabella dei dati. Si inizia il riscaldamento della massa d'acqua e, di conseguenza, anche dell'aria contenuta nel palloncino, agitando in modo da avere omogeneità in tutti i punti. Ad intervalli regolari di temperatura, ad esempio ogni 5 °C, si rilevano i dislivelli esistenti tra i menischi dei due rami del tubo ad U, indicanti l'aumento della pressione, riportando tali valori sulla tabella di esercitazione. Al fine di limitare possibili errori sperimentali si effettuano, in totale, 8/10 letture. Al termine della rilevazione dei dati, dopo aver spento l'elemento riscaldante, si procederà alla graficazione cartesiana di tali valori. In un piano cartesiano, di dimensioni adeguate, si pongono le temperature in °C nell'asse delle ascisse e i valori delle pressioni in mm di Hg nell'asse delle ordinate. Il risultato sarà il grafico di una funzione del tipo y=a+bx , ovvero una retta che interseca l'asse delle ordinate in un punto a . Con i valori rilevati nell'esperienza è anche possibile estrapolare lo zero assoluto ( -273.16 °C ), punto limite ove la pressione teoricamente si annulla.

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Grafico sperimentale della legge isocora dei gas

Temperature in °C

Pre

ssio

ni d

el g

as in

mm

Hg

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

500

550

600

650

700

750

800

850

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70

1 5 0 748 7482 10 11 748 7593 15 23 748 7714 20 33 748 7815 25 44 748 7926 30 55 748 8037 35 65 748 8138 40 75 748 8239 45 87 748 83510 50 97 748 845

Tavola dei valori sperimentaliTemperature

in °CDislivello (dv)

in mm HgPress.amosferica

(pa) in mm HgPressione aria

in mm Hg (dv+pa)Letture

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Classificazione di alcuni minerali secondo i sette sistemi cristallini

Materiali occorrenti:

Campioni di minerali - Lente. Esecuzione dell'esperienza:

Si osservano attentamente i caratteri morfologici dei minerali, classificandoli secondo i sette sistemi cristallini. Di seguito sono descritti detti sistemi cristallini ed alcuni campioni di minerali tra i più comuni e significativi. Sistema cubico: Tutti e 3 gli assi della croce assiale hanno uguale lunghezza e si incrociano tra loro ad angolo retto. Si considera cubico un cristallo che abbia almeno 2 assi di simmetria ternari. a = b = c α = β = γα = β = γ = 90° Pirite: FeS2, cubo e piritroedo, più raramente ottaedro,a facce striate; lucente, colore bruno o nero, poco sfaldabile, frattura concoide, durezza 6÷6.5, densità 4.9÷5.1. E' il solfuro più diffuso. Si altera abbastanza facilmente per l'azione di agenti atmosferici in ossidi ed idrossidi di ferro ( es. in limonite FeO(OH) ). Galena: PbS, cubo od ottaedro, a volte geminato; lucente, colore grigio piombo, sfaldatura perfetta, frattura subconcoide, durezza 2.5÷2.75, densità 7.4÷7.6. E' il più importante minerale di piombo. Salgemma ( Alite ): NaCl, cubo, raramente ottaedro, lucentezza vitrea, incolore, sfaldatura facile secondo le facce del cubo, durezza 2, densità 2.17. Fluorite: CaF2, cubo, raramente ottaedro o altre forme più complesse, lucentezza vitrea, incolore o colorata per impurezze (es. azzurro-viola), sfaldatura facile, frattura concoide, durezza 4, densità 3.18. Sistema tetragonale: 2 assi della croce assiale hanno uguale lunghezza, il terzo è più lungo o più corto. Tutti e 3 gli angoli che formano sono retti. Un cristallo si considera tetragonale se ha un solo asse di simmetria quaternario. a = b ≠≠ c α = β = γα = β = γ = 90° Calcopirite: CuFeS2, tetraedro a volte geminato e con facce striate, lucente, colore giallo ottone, sfaldatura imperfetta, frattura concoide, durezza 3.5÷4, densità 4.1÷4.3. E' il più diffuso minerale del rame ( ne contiene fino al 35 % ). Cassiterite: SnO2, prisma, spesso geminato o fibroso, lucente, di colore bruno scuro o nero, sfaldatura perfetta, frattura subconcoide, durezza 6÷7, densità 7. E' praticamente l'unico minerale di stagno sfruttato industrialmente. Pirolusite: MnO2, di solito compatto, a volte raggiato o fibroso, lucente, di colore grigio-nero, durezza 2÷6, densità 4÷5. E' il minerale più comune del manganese. Sistema esagonale: Impiega una croce assiale a 4 assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono sul piano orizzontale facendo un angolo di 120° l'uno con l'altro. Il quarto asse è più lungo o più corto ed è disposto perpendicolarmente al piano degli altri tre. E' considerato esagonale un cristallo avente un asse senario. a = b = c ≠≠ d α = β = α = β = γγ = 120° ; δδ = 90°

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Grafite: C, cristalli appiattiti e deformati, spesso a scaglie; lucente, di colore grigio-nero, sfaldatura perfetta, frattura assente, durezza 1, densità 2.2. Appare untuosa al tatto. Conduce la corrente elettrica. Apatite: nome generico dato a fosfati di calcio contenenti fluoro ( fluoroapatite, Ca5[(F)(PO4)3], idrossiapatite Ca5[(OH)(PO4)3] , cloroapatite Ca5[(Cl)(PO4)3] ). Prisma o bipiramide, spesso compatti o complessi, lucentezza vitrea, colore variabile (bianco latteo, grigio, blu, giallo-verde etc.), sfaldatura scarsa, frattura concoide, durezza 5, densità 2.9÷3.2 . Sistema trigonale o romboedrico: Croce assiale a quattro assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono su un piano orizzontale facendo un angolo di 120° l'uno con l'altro. Il quarto asse è più lungo o più corto degli altri ed è perpendicolare al loro piano orizzontale. Un cristallo è trigonale se ha un asse ternario. a = b = c ≠≠ d α = β = γ α = β = γ = 120° ; δδ = 90° Calcite: CaCO3, romboedro, scalenoedro, spesso geminato o fibroso, lucentezza vitrea, incolore o di colore bianco, sfaldatura perfetta, frattura concoide, durezza 3, densità 2.72. E' uno dei minerali più diffusi nella superficie terrestre. La varietà spato d'Irlanda è limpida ed incolore e presenta il fenomeno ottico della birifrangenza. Dolomite: CaMg(CO3)2, romboedro con facce a volte ricurve ( d. selliforme ), sfaldatura perfetta, incolore o grigia-biacastra o scura, lucentezza vitreo-madreperlacea, durezza 3.5÷4, densità 2.8÷2.9. Insolubile in HCl diluito a freddo. In massa compatta microcristallina è il costituente principale della dolomia. Quarzo: SiO2, trapezoedro (simula una bipiramide esagonale), spesso geminato o irregolare, lucentezza vitrea, incolore o colorato per impurezze, sfaldatura assente, frattura concoide, durezza 7, densità 2.65. E' uno dei più comuni minerali della litosfera. Moltissime varietà: quarzo ialino ( cristallo di rocca ), ametista, q.affumicato, q.rosa, q.giallo, q.occhio di gatto. Ematite: Fe2O3, romboedro lamellare, a volte granulare, fibroso e reniforme, lucente. Il colore delle masse compatte a cristalli spessi è nero metallico; nei cristalli e frammenti sottili e nelle varietà terrose è rosso ocra ( rose di ferro ). Sfaldatura assente, frattura subconcoide, durezza 5÷6, densità 5.3. E' uno dei minerali di ferro più comuni e diffuso in moltissime rocce. Magnesite: MgCO3, scalenoedro compatto, a volte fibroso o granulare, lucentezza vitrea, colore solitamente biancastro, sfaldatura facile, frattura concoide, durezza 4÷4.5, densità 2.9÷3.1. E' il più importante minerale del magnesio ed è molto utilizzato dall'industria. Sistema ortorombico: I 3 assi della croce assiale hanno lunghezza differente e formano tra loro 3 angoli retti. Si considera ortorombico un cristallo che presenta solo assi binari e/o 2 piani di riflessione insieme. a ≠≠ b ≠≠ c α = β = γα = β = γ = 90° Zolfo (fase α ): S, bipiramide rombica, spesso regolare e compatto, lucentezza resinosa, colore giallo, sfaldatura scarsa, frattura concoide, durezza 2, densità 2.07. Barite ( baritina ): BaSO4, bipiramide rombica, spesso a tabulato, lamelle o granuli, lucentezza vitrea, colore vario ( incolore, bianco, giallo, etc. ), sfaldatura perfetta, frattura ruvida, durezza 3÷3.5, densità 4.5. Celestina: SrSO4, bipiramide rombica, cristalli grandi, a volte fibrosi, lucentezza vitrea, incolore o azzurra, sfaldatura buona, frattura concoide non perfetta, durezza 3÷3.5, densità 3.95. Da essa si estrae lo stronzio.

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Sistema monoclino: I 3 assi della croce assiale sono di diversa lunghezza. 2 assi formano tra loro angoli di 90°; il terzo forma con il loro piano un angolo >90°. Si definisce monoclino un cristallo avente un solo asse binario ed un solo piano di simmetria. a ≠≠ b ≠≠ c α = γα = γ = 90° ; ββ > 90° Muscovite ( mica bianca ): KAl2[(OH,F)2|AlSi3O10] fillosilicato, lamine flessibili e squamose, lucentezza madreperlacea, incolore o biancastra, sfaldatura ottima, durezza 2÷2.5, densità 2.76÷3. E' una delle miche più diffuse. Biotite ( mica nera ): K(Mg,Fe)3[(OH,F)2|AlSi3O10] fillosilicato, lamine elastiche irregolari o in scaglie, lucentezza vitrea, colore nero o verde scuro, sfaldatura ottima, durezza 2.5÷3, densità 2.8÷3.2. Diffusa in moltissime rocce. Ortoclasio: K[AlSi3O8], prismi allungati, spesso geminati e granulati, lucentezza vitrea, incolore o biancastro, sfaldatura perfetta, frattura concoide o ruvida, durezza 6÷6.5, densità 2.55÷2.63. Componente di molte rocce, appartiene alla famiglia dei feldspati. Talco: Mg3[(OH)2|Si4O10], fillosilicato, lamine pseudoesagonali a rosetta, lucentezza perlacea, colore bianco-grigio, sfaldatura perfetta, durezza 1, densità 2.58÷2.83. Sistema triclino: I 3 assi della croce assiale sono di differente lunghezza e formano tra loro angoli diversi da 90°. Il cristallo triclino non deve presentare né assi di simmetria né piani di riflessione. a ≠≠ b ≠≠ c α α ≠≠ β β ≠≠ γ γ ≠≠ 90° Microclino: K[AlSi3O8], prismi compatti, spesso geminati, lucentezza vitrea, colore biancastro o grigio, sfaldatura perfetta, frattura concoide o ruvida, durezza 6, densità 2.56. Cianite: Al2[O|SiO4], subnesosilicato di alluminio, prismi colonnari allungati, spesso geminati o a lamine, lucentezza vitrea, colore azzurro-grigio, sfaldatura buona, durezza 4.5 (7 perpendicolarmente), densità 3.56÷3.68. Utilizzata nell'industria delle porcellane.

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Il legame chimico

Materiali occorrenti:

Benzene - Tetracloruro di carbonio - Alcool etilico - Acetone - Paraffina - Glucosio Cloruro di sodio - Iodio - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: polarità dei liquidi: Si pone in una buretta del benzene; in una seconda buretta si pone dell'acqua distillata. Si montano entrambe le burette su un apposito sostegno. Si prende una bacchetta di plastica e la si strofina con uno straccio di lana per elettrizzarla, caricandola negativamente. Si apre il rubinetto della buretta contenente l'acqua avvicinando al sottile getto la bacchetta; si nota una deflessione del getto molto evidente. Si compie la stessa operazione con la buretta contente il benzene: non si nota alcuna deflessione. In base a tali osservazioni è possibile classificare l'acqua come un solvente polare e il benzene come solvente apolare. La molecola dell'acqua è, infatti, un dipolo con una zona ad addensamento di carica positiva dalla parte dei due atomi di idrogeno, ed una ad addensamento di carica negativa dalla parte dell'atomo di ossigeno; a causa di questa configurazione essa risente della presenza di un campo magnetico ( vedere fig. 1 ). La molecola del benzene non è dipolare. Infatti, pur essendo il legame CH del tipo covalente polare, la struttura regolare della molecola fa sì che il baricentro delle cariche si trovi al centro geometrico della struttura, annullando l'effetto di tali cariche ( vedere fig. 2 ). Parte seconda: prove comparative di miscibilità: Si effettuano prove comparative della miscibilità dei liquidi di cui si dispone, traendone le dovute conclusioni. Acqua + Benzene: si prelevano 2 mL circa di benzene versandoli in una provetta contenente alcuni mL di acqua; si agita e si osserva, in breve, lo stratificarsi del benzene ( d=0.88 ) sull'acqua ad indicare una assenza evidente di miscibilità. Acqua + Tetracloruro di carbonio: si opera come nell'esempio precedente; si osserva il depositarsi del tetracloruro di carbonio ( d=1.59 ) sul fondo della provetta, ad indicare una evidente non miscibilità con l'acqua. Il tetracloruro di carbonio pur presentando legami di tipo covalente polare, ha una struttura molecolare regolare a forma di tetraedro, per cui il baricentro delle cariche si trova nel centro geometrico della struttura, annullando, come nel caso del benzene, l'effetto dei dipoli ( vedere fig. 3 ). Benzene + Tetracloruro di carbonio: si prelevano 2 mL di benzene ponendoli in una provetta contenente altrettanto tetracloruro di carbonio ; si agita e si osserva una completa miscibilità tra i due solventi. Ciò conferma quanto emerso nelle prove della prima parte che avevano evidenziato un comune carattere non-polare. Acqua + Alcool etilico: si aggiungono 2 o 3 mL di alcool etilico ad una provetta contenente alcuni mL di acqua; si osserva, in breve, una completa miscibilità. Ciò evidenzia un comportamento polare dell'alcool etilico. Benzene + Alcool etilico: ad una provetta contenente 2 o 3 mL di alcool etilico si aggiungono 2 mL di benzene. Si agita e si osserva una quasi completa miscibilità. Questo, al contrario della prova precedente, evidenzia un comportamento non-polare dell'alcool etilico. Esso presenta, infatti, nella sua molecola un gruppo -OH che consente una attività di solvente polare ed una parte idrocarburica CH3-CH2- che ne conferisce attività anche di solvente non-polare ( vedere fig. 4 ). Acqua + Acetone: si versano in una provetta contente alcuni mL di acqua simile quantità di acetone; si agita e si osserva una completa miscibilità. L'acetone appare, quindi, un solvente polare.

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Benzene + Acetone: si pongono in una provetta 2 mL di benzene e ad essi si aggiunge altrettanto acetone; si agita e si vede una completa miscibilità. Da questa prova si evince che l'acetone presenta anche un comportamento non-polare. Esso presenta, infatti, un legame covalente polare C=O , responsabile dell'aspetto di solvente polare ed una parte di molecola di origine idrocarburica CH3-C-CH3 ,dalla quale deriva l'attività di solvente non-polare ( vedere fig. 5 ). Nota operativa: nelle prove descritte il benzene può essere sostituito da altro solvente non-polare, quale la benzina per smacchiare che è costituita per la maggior parte da esano. Parte terza: solubilità di solidi nei liquidi polari e non-polari: Si preparano quattro provette contenenti, ciascuna, 2 o 3 mL di benzene; analoga operazione per quattro provette contenenti acqua e per quattro contenenti alcool etilico. 3.1 - Solubilità nel benzene: Si prendono le provette contenenti il benzene e si aggiunge in una un pezzettino di paraffina, in una seconda alcuni cristalli di glucosio, nella terza alcuni cristalli di iodio ed, infine, nella quarta una punta di spatola di cloruro di sodio. Nella prima provetta si osserva la completa solubilizzazione della paraffina; infatti la stessa è un idrocarburo saturo e, pertanto, a molecola del tutto apolare; infatti le molecole del benzene, più piccole, possono inserirsi tra quelle della paraffina solvatandole. I legami che si formano tra solvente e soluto sono molto deboli ed il processo di solubilizzazione è molto più lento di quello che avviene tra solventi e soluti polari. Nella seconda si non si osserva una apprezzabile solubilizzazione del glucosio; esso presenta una polarità abbastanza accentuata dovuta ad addensamenti di cariche sui gruppi -O-H , mentre parte della molecola ha caratteristiche apolari di grado decisamente minore ( vedere fig. 6 ). Nella terza provetta si evidenzia un'ottima solubilizzazione dello iodio tale da conferire al solvente un colore viola intenso. Lo iodio è infatti una sostanza covalente molecolare, per cui è preminente il carattere apolare. Le forze di Van der Waals del solvente e del soluto sono dello stesso tipo, per cui si ha completa solubilità. Nella quarta provetta si nota una quasi totale non solubilità del cloruro di sodio; questo è, come noto, un composto ionico e, quindi, fortemente polare. 3.2 - Solubilità in acqua: Si passa all'osservazione della serie di provette contenenti acqua. Si osserva una completa solubilizzazione del cloruro di sodio, solido ionico; si ha che ogni catione ( + ) attira e lega a sé, con legame ione-dipolo, l'atomo di ossigeno ( a parziale carica negativa ) di alcune molecole d'acqua. Allo stesso modo l'anione ( - ) attira e lega a sé gli atomi di idrogeno ( a parziale carica positiva ) di altre molecole di acqua. Questo processo è detto solvatazione. L'energia dei legami che si formano è maggiore di quella dei legami rotti; l'energia totale, perciò, diminuisce. Anche nel caso del glucosio si verifica una completa solubilizzazione, ma con meccanismi diversi. Nello zucchero, infatti, le molecole sono tra di loro legate da legami ad idrogeno. L'acqua presenta, come è noto, uguali legami per cui molecole di essa possono legarsi a molecole superficiali dei cristalli, rompendo i legami del solido. Le molecole di quest'ultimo vanno progressivamente in soluzione. Questo processo avviene solo quando le molecole del solvente e quelle del soluto sono abbastanza piccole e dotate di elevata energia cinetica. Questa è, tuttavia, una forma di solubilità meccanica. Per quanto riguarda lo iodio, la solubilizzazione è limitata in quanto esso è un solido covalente apolare; pertanto le molecole dell'acqua determinano la formazione nel solido di un dipolo indotto con conseguente parziale solvatazione. Infine, nel caso della paraffina non si verifica una evidente solubilizzazione in quanto le particelle di questa sono fortemente apolari per cui l'acqua non è in grado di indurre, se non in minima parte, la formazione di dipoli.

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In generale i composti organici per essere solubili in acqua devono contenere nella loro molecola gruppi ionici ( ad es. -COO-, -NH3

− , -S- ) o gruppi in grado di formare legami ad idrogeno ( ad es. -OH-, − −N2 , =NH, =CO ); questi gruppi sono detti idrofili. I gruppi non idrofili sono detti idrofobi o lipofili ( ad es. -CH3, -(CH2)nCH3, -C6H5 ). Per quanto visto un composto organico che non contiene gruppi idrofili risulta insolubile in acqua; se contiene gruppi idrofili e gruppi idrofobi insieme il grado di solubilità dipende dal prevalere del carattere idrofilo. La serie delle provette con l'alcool etilico presenta un comportamento intermedio, dovuto alla già considerata struttura della sua molecola. La paraffina sarà sciolta solo in piccola parte, il glucosio in modo quasi completo, lo iodio in modo evidente ed il cloruro di sodio in quantità minore. Anche in questo caso valgono le considerazioni precedenti. Per sciogliere un solido in un solvente è necessario rompere i legami esistenti tra le particelle che formano il solido stesso ed i legami delle molecole del solvente, per potervi "inserire" dette particelle. Per fare questo occorre energia. Se le particelle del solido da sciogliere formano con le molecole del solvente legami più forti di quelli che devono rompere, il bilancio energetico è positivo: nel processo il sistema consuma energia per rompere i legami esistenti, ma ne libera una quantità maggiore formando legami più forti e/o più numerosi. Per questo la soluzione ha energia minore rispetto al sistema soluto + solvente.

Tav.1 - Formule di struttura

H H

OCl Cl

ClCl

C

δ−δ−

δ+δ+

δ+δ+

δ+δ+

δ+δ+

δ+δ+

δ+δ+

δ−δ−

δ−δ− δ−δ−

δ−δ−H

C

C C

C C

C

H H

H

H

H δ+δ+

δ+δ+

δ+δ+

δ+δ+

δ−δ−

δ−δ−

δ−δ−

δ−δ−

δ−δ−

δ−δ−

δ−δ−ACQUA

TETRACLORURODI CARBONIO

BENZENE

H C C O H

H H

H H

δ−δ−

ALCOOL ETILICO

H C C C

H

H H

HO

δ+δ+

ACETONE

O

H

O

O

O

O

O

C

C

C

C

C

C

H

H

HH

HH

H H

H

H

H

- +

- +

- +

- +

- +

+ -

D - GLUCOSIO

Fig.1-

Fig. 2-

Fig.4-

Fig.3 -

Fig.5-

Fig.6-

H

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Legame ionico e covalente negli alogenuri d'argento

Materiali occorrenti:

Nitrato d'argento sol. 0.1 M - Cloruro di sodio crist. - Ioduro di potassio crist. - Bromuro di potassio crist. - Fluoruro di calcio crist. - Vetreria. Richiami teorici:

Il carattere covalente di un legame aumenta, come è noto, con il diminuire della differenza di elettronegatività. Aumentando il carattere covalente l'anione alogenuro diviene più polarizzabile. Polarizzazione: se consideriamo un anione monoatomico vicino ad un catione possiamo osservare che l'attrazione operata dalla carica positiva del catione produce una deformazione della nube elettronica dell'anione, dovuta alla tendenza di un doppietto elettronico a portarsi verso il catione ( zona tra i due nuclei ). Maggiore è la deformazione, maggiore sarà il carattere covalente del legame.

Catione Anione Questa capacità da parte dei cationi di produrre le deformazioni degli anioni è detta potere polarizzante. I cationi con maggior potere polarizzante sono quelli più piccoli e dotati di carica elevata ( es. Al3+ ). Gli anioni che facilmente subiscono la deformazione sono detti " polarizzabili "; tra gli anioni più polarizzabili vi sono quelli a grande dimensione ( es. I- ) in quanto il nucleo esercita una minore influenza sugli elettroni più esterni. Per questo i composti formati da cationi piccoli ad elevata carica ed anioni grandi presentano legami ad elevato carattere covalente. Prendiamo in esame gli alogenuri dell'argento, osservando la loro elettronegatività ( χχ ), il loro raggio ionico ( r.i. ) ed il loro comportamento. Fluoruro di argento ( AgF ) : Ag+ : r.i. = 1.26 Å , χ = 1.4 . F- : r.i. = 1.36 Å , χ = 4.1 . Come si nota il catione Ag+ non è molto piccolo e non è dotato di carica molto elevata ( +1 ); l'anione F- non è molto grande e, quindi, risulta difficilmente polarizzabile. Ne consegue la formazione di un composto a prevalente carattere ionico. Anche l'esame della differenza di elettronegatività ( ∆χ = 4.1 -1.4 = 2.7 ) conferma quanto sopra; il carattere del legame è ionico per circa il 84 % e covalente per il 16 %. Cloruro di argento ( AgCl ) : Ag+ : r.i. = 1.26 Å , χ = 1.4 . Cl- : r.i. = 1.81 Å , χ = 2.9 . In questo caso l'anione Cl- è di dimensioni maggiori e quindi più facilmente polarizzabile. Anche l'esame della differenza di elettronegatività ( ∆χ = 2.9 -1.4 = 1.5 ) ci porta a concludere che il legame ha un carattere ionico del 48 % ed uno covalente del 52 %. Bromuro di argento ( AgBr ): Ag+ : r.i. = 1.26 Å , χ = 1.4 . Br- : r.i. = 1.95 Å , χ = 2.8 . Aumentano le dimensioni dell'anione che diviene ancor più polarizzabile; anche la differenza di elettronegatività ( ∆χ = 2.8 -1.4 = 1.4 ) ci dimostra una percentuale di legame ionico del 40 % circa ed uno covalente del 60 % circa. Ioduro di argento ( AgI ) : Ag+ : r.i. = 1.26 Å , χ = 1.4 . I- : r.i. = 2.16 Å , χ = 2.2 . Le dimensioni dell'anione aumentano ancora, per cui lo stesso risulta ancor più polarizzabile; anche la differenza di elettronegatività ( ∆χ = 2.2 -1.4 = 0.8 ) diminuisce e ciò indica una percentuale di legame ionico di circa il 15 % ed una di legame covalente del 85 % ca. . Conseguenza dell'aumento di polarizzazione e, quindi, del carattere covalente del legame negli alogenuri di argento, partendo da AgF, poi ad AgCl, ad AgI e fino ad AgBr, è la diminuzione della solubilità in acqua dei composti stessi. L'esperienza pone in evidenza detta differente solubilità.

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Esecuzione dell'esperienza:

Si preparano 8 provette contenenti 4 o 5 mL di acqua distillata. Si pongono le stesse in un portaprovette; si aggiunge a 4 provette 1 mL circa di nitrato di argento sol. 0.1M ciascuna, si fa sciogliere restanti provette una punta di spatola dei quattro alogenuri, ovviamente uno per provetta. Si agita con una bacchetta fino a completa soluzione e, quindi, si versano le soluzioni degli alogenuri nelle 4 provette contenenti il nitrato di argento. Avvengono le seguenti reazioni di doppio scambio: Provetta n.1 : 2AgNO3 + CaF2 →→ Ca(NO3)2 + 2AgF ( nessun precipitato ) Provetta n.2 : AgNO3 + NaCl →→ NaNO3 + AgCl ↓↓ ( precipitato bianco fioccoso ) Provetta n.3 : AgNO3 + KBr →→ KNO3 + AgBr ↓↓ ( precipitato giallo pallido ) Provetta n.4 : AgNO3 + KI →→ KNO3 + AgI ↓↓ ( precipitato giallo intenso ) Come si può osservare il composto AgF risulta molto solubile, mentre nei tre casi successivi si osserva la formazione di precipitati gradualmente più intensi e colorati, in relazione all'aumento del carattere covalente del legame.

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Le soluzioni titolate

Materiali occorrenti:

Acido cloridrico sol. 37 % - Acido solforico sol. 96 % - Acido acetico glaciale - Acido nitrico sol. 65 % - Idrossido di sodio sol. 32 % - Idrossido di ammonio sol. 25 % - Acido ossalico cristallino - Permanganato di potassio cristallino - Vetreria tarata. Richiami teorici:

Nell'attività di laboratorio chimico sono molto spesso usate soluzioni concentrazioni ben definite. La concentrazione o titolo definisce la quantità di soluto in un certo solvente. Il solvente usato è, quasi sempre, l'acqua. Esistono molti modi per definire le concentrazioni delle soluzioni; e più usati sono: Molarità ( M ): indica il numero di moli di soluto presenti in 1 litro ( 1 L ) di soluzione. M = nmoli / VL nmoli = M ⋅⋅ VL e, quindi, nmoli = m / PM Molalità ( m ): indica il numero di moli di soluto presenti in 1 kilogrammo ( 1 Kg ) di solvente. Normalità ( N ): indica il numero di equivalenti di soluto in 1 litro ( 1 L ) di soluzione. N = neq / VL neq = N ⋅⋅ V e, quindi, neq = g / PE Il peso equivalente ( PE ) si calcola in modo diverso a seconda del composto e del tipo di reazione nel quale esso è impegnato; si rimanda ai testi di chimica teorica per una più approfondita trattazione. Percento in massa ( %m ): indica il numero di grammi di soluto presenti in 100 g di soluzione. Percento in volume ( %V ): indica il numero di grammi di soluto presenti in 100 mL di soluzione. Grammi per litro ( g/L ): indica il numero di grammi di soluto presenti in 1 litro ( 1 L ) di soluzione. E' uguale ad 1/10 di quella in percento in volume. In pratica le concentrazioni più usate sono quelle in molarità e in percento in massa. E' possibile passare da un sistema ad un altro utilizzando delle formule di trasformazione; le più importanti sono: %V = %m ⋅⋅ d ; %m = %V / d ; g/L = 10 ⋅⋅ %V ; %V = g/L / 10 ; M = g/L / PM ; g/L = M ⋅⋅ PM . Utilizzando vari passaggi è possibile trasformare un sistema in un altro; si voglia, ad esempio, calcolare la molarità di una soluzione 32 %m di NaOH ( d = 1.35, PM = 40 ). 1)- Si trasforma il valore in %V ( %V = %m ⋅ d ): 32 · 1.35 = 43.2 %V 2)- Si passa alla concentrazione g/L ( g/L = 10 ⋅ %V ): 10 · 43.2 = 432 g/L 3)- Si ricava la molarità ( M = g/L / PM ): 432 / 40 = 10.8 M Le soluzioni commerciali, se non titolate in molarità o normalità sono sempre in percento in massa ( rif. catalogo reagenti Merck o Carlo Erba ).

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Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: preparazione di soluzioni diluite da soluzioni concentrate: Disponendo di soluzioni concentrate il procedimento pratico può essere così descritto: si riempie a metà un pallone tarato da 1 litro, si preparano 1 pipetta tarata da 50 mL, una da 10 mL, una pipetta graduata da 10 mL ed una da 2 mL ( 1/100) ben pulite ed asciutte; si preleva con queste ,utilizzando un aspirapipette e con successive operazioni ( ad es. 50 + 10 + x mL ), la quantità richiesta e la si versa, con cura, nel pallone. Completata questa fase si riempie fino quasi alla tacca di riferimento, si chiude con il tappo e si agita con cautela. Si pone, poi, il pallone su un piano lasciando riposare la soluzione; dopo alcuni minuti , utilizzando una spruzzetta, si porta il livello della soluzione a coincidere perfettamente con la tacca. Nel versare la soluzione concentrata nell'acqua si osservi la massima cautela, in quanto l'operazione, con acidi e basi forti, provoca un forte sviluppo di calore. 1.1 - Preparazione di una soluzione 1 M di acido cloridrico: Si dispone di acido cloridrico ( HCl ) in sol. 37 %m ( d = 1.19, PM = 36.46 ): 1 litro = 1190 g ( m = V ⋅ d ); in 1190 g ( e in 1 L ) è presente il 37 % di HCl, ovvero ( 1190 ⋅ 37 / 100 ) 440.3 g. Il nmoli è ( m / PM ): 440.3 / 36.46 = 12.07. La soluzione è, perciò, 12.07 M. Si ricava la quantità di HCl 12.07 M che contiene 1 mole: 12.07 : 1000 = 1 : x x = 82.85 . Il valore può essere arrotondato a 82.8. Si devono prelevare, quindi, 82.8 mL di HCl concentrato e portare ad 1 litro. 1.2 - Preparazione di una soluzione 0.5 M di idrossido di sodio: Si dispone di idrossido di sodio ( NaOH ) in sol. 32 %m ( d = 1.35, PM = 40 ): 1 litro = 1350 g ( m = V ⋅ d ); in 1350 g ( e in 1 L ) è presente il 32 % di NaOH, ovvero ( 1350 ⋅ 32 / 100 ) 432 g. Il nmoli è ( m / PM ): 432 / 40 = 10.8. La soluzione è, perciò, 10.8 M. Si ricava la quantità di NaOH 10.8 M che contiene 0.5 moli: 10.8 : 1000 = 0.5 : x x = 46.29. Il valore può essere arrotondato a 46.3. Si devono prelevare, quindi, 46.3 mL di NaOH concentrato e portare ad 1 litro. 1.3 - Preparazione di una soluzione 0.2 M di acido solforico: Si dispone di acido solforico ( H2SO4 ) in sol. 96 %m ( d = 1.84, PM = 98.08 ): 1 litro = 1840 g ( m = V ⋅ d ); in 1840 g ( e in 1 L ) è presente il 96 % di H2SO4, ovvero ( 1840 ⋅ 96 / 100 ) 1766.4 g. Il nmoli è ( m / PM ): 1766.4 / 98.08 = 18. La soluzione è, perciò, 18 M. Si ricava la quantità di H2SO4 18 M che contiene 0.2 moli: 18 : 1000 = 0.2 : x x = 11.11. Il valore può essere arrotondato a 11.1. Si devono prelevare, quindi, 11.1 mL di H2SO4 concentrato e portare ad 1 litro.

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1.4 - Preparazione di una soluzione 0.1 M di acido nitrico: Si dispone di acido nitrico ( HNO3 ) in sol. 65 %m ( d = 1.40, PM = 63.01 ): 1 litro = 1400 g ( m = V ⋅ d ); in 1400 g. ( e in 1 L ) è presente il 65 % di HNO3, ovvero ( 1400 ⋅ 65 / 100 ) 910 g. Il nmoli è ( m / PM ): 910 / 63.01 = 14.44. La soluzione è, perciò, 14.44 M. Si ricava la quantità di HNO3 14.44 M che contiene 0.1 moli: 14.44 : 1000 = 0.1 : x x = 6.92. Il valore può essere arrotondato a 6.9. Si devono prelevare, quindi, 6.9 mL di HNO3 concentrato e portare a 1 litro. Parte seconda: preparazioni di soluzioni molari da soluti solidi: Disponendo di soluti solidi e puri è possibile ottenere facilmente soluzioni in varie molarità; si pesa la quantità necessaria del soluto, ricavandola dal PM, sciogliendola completamente in circa 500/600 mL di acqua posta nel pallone tarato. Si riempie con altra acqua fino quasi alla tacca di riferimento, si agita per mescolare completamente, si lascia riposare ed, infine, si porta il livello fino alla perfetta corrispondenza della tacca. E' necessario che il soluto sia perfettamente puro e che la pesata sia molto accurata. Nel caso di sostanze igroscopiche si deve provvedere a disidratazione in stufa. Nel caso di composti idratati è necessario tenere conto, nella formulazione del PM del numero di molecole d'acqua. 2.1 - Preparazione di una soluzione 0.1 M di permanganato di potassio: Si dispone di permanganato di potassio ( KMnO4 ) cristallino anidro ( PM = 158.04 ). 1 litro di soluzione 1 M deve contenere una mole, ovvero 158.04 g di sale; una soluzione 0.1 M deve contenere 0.1 M, ovvero 15.804 g. Si pesano su bilancia analitica, utilizzando un becker, 15.804 g di KMnO4; si aggiunge acqua fino a completa solubilizzazione e si versa il tutto nel pallone tarato, lavando il becker con una spruzzetta in modo da far defluire completamente la soluzione. Si aggiunge acqua fino quasi alla tacca, si agita e si lascia riposare; dopo alcuni minuti si perfeziona il riempimento. 2.2 - Preparazione di una soluzione 0.5 M di acido ossalico: Si dispone di acido ossalico diidrato cristallino [ (COOH)2 ⋅ 2H2O ] ( PM = 126.07 ). 1 litro di soluzione 1 M deve contenere una mole, ovvero 126.07 g di acido; una soluzione 0.5 M deve contenere 0.5 M, ovvero 63.05 g. Si pesano su bilancia analitica 63.05 g di (COOH)2 ⋅ H2O e si procede nel modo descritto. Legenda dei simboli: M = molarità; VL = volume in litri; nmoli = numero di moli; m = massa in grammi; PM = peso molecolare ( massa formula ); neq = numero equivalenti; % m = percento in massa; % V = percento in volume; g/L = grammi/litro; d = densità. Molarità delle principali soluzioni commerciali espresse in %m HCl 37 %m = 12.07 M; HCl 32 %m = 10.44 M; HCl 25 %m = 8.15 M; H2SO4 96 %m = 18 M; H2SO4 30 %m = 5.62 M; HNO3 65 %m = 14.44 M; H3PO4 85 %m = 14.83 M; HF 40 %m = 22.58 M; CH3COOH 100 %m = 17.48 M; NaOH 32 %m = 10.8 M; NH4OH 25 %m = 13.35 M.

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Determinazione dell'entalpia in una reazione

Materiali occorrenti:

Idrossido di sodio in gocce e sol. 1 M - Acido cloridrico sol. 1 M - Calorimetro - Termometro digitale 0 -100 °C, d = 0.1 °C - Vetreria. Richiami teorici:

Dal punto di vista termodinamico le reazioni chimiche possono essere classificate in esoergoniche quando viene liberata energia ed endoergoniche quando ne assorbono. L'energia è l'attitudine a compiere un lavoro o a fornire calore. L'energia può essere compresa in un sistema in due forme: energia cinetica ( Ec ) ed energia potenziale ( Ep ). L'energia cinetica ( Ec ) è legata alla velocità ed alla massa secondo l'equazione Ec = 1/2 mv2. Unità SI dell'energia è il joule ( J ); 1J = N · m e, essendo 1N = 1m · Kg · s2 , 1J = 1Kg · m2 · s2 . Una unità non-SI molto usata è la caloria ( cal ) che corrisponde alla quantità di energia necessaria ad aumentare di 1 °C 1 g di acqua; 1 cal = 4.184 J. In un sistema costituito da particelle l'Ec è data dalle somme delle energie dei moti di traslazione, vibrazione e rotazione delle molecole ed è legata alla temperatura assoluta del sistema ed il suo valor medio è anche detto energia termica. L'energia potenziale ( Ep ) è l'energia che può essere contenuta in un sistema. In una molecola è dovuta alle interazioni esistenti tra il nucleo e gli elettroni e tra elettrone ed elettrone; in un sistema costituito da più particelle oltre che dalla precedente è data dalle interazioni esistenti tra le molecole ( es. forze di Van Der Waals ) ed è anche detta energia chimica. Per energia interna si intende la somma di tutte le energie: E = ΣΣ(Ep + Ec ). Se in un sistema i parametri temperatura, composizione chimica, volume e pressione restano costanti, il sistema è in equilibrio; la modifica di uno dei parametri perturba questo equilibrio. In una reazione chimica la differenza tra le energie di legame dei prodotti di reazione e di quelle dei reagenti è detta ∆∆E : ∆∆E = Eprodotti - Ereagenti . Per sistema termodinamico si intende l'insieme dei corpi coinvolti nello scambio di calore di una reazione. Un vaso di Dewar ( calorimetro ) può essere considerato un sistema chiuso in quanto non permette, se non in quantità trascurabile, scambi di calore con l'ambiente. Questi scambi avvengono quindi tra i reagenti, l'acqua ( se c'è !! ), e le pareti del calorimetro. In una reazione chimica può essere prodotta od assorbita una quantità di calore di reazione ( Q ). Il segno del calore è positivo ( +Q ) se la reazione è esotermica, cioè se rilascia calore all'ambiente o negativo ( -Q ) se la reazione è endotermica, ovvero se riceve calore dall'esterno. Per calore specifico ( c ) di una sostanza si intende la quantità di calore necessaria a far aumentare di 1 K la temperatura di 1 Kg della sostanza stessa. Nel SI viene espresso in J/( Kg ⋅⋅ K ). Comunemente vengono utilizzate altre due unità non-SI, la Kcal/Kg °C e il KJ/Kg °C. Da queste deriva che la quantità di calore necessaria ad aumentare di 1 °C 1 g di sostanza è espressa in cal/g °C o in J/g °C. Per capacità termica di un corpo ( C ) si intende la quantità di calore necessaria ad aumentare la temperatura di quel corpo di 1 °C, ovvero C = c ⋅⋅ m ( m = massa ). Se la trasformazione avviene a pressione costante si può usare la funzione entalpia ( H ) che esprime il contenuto termico totale del sistema, ovvero il valore totale dell'energia, ovvero il calore di reazione. L'espressione dell'entalpia è H = E + PV e la sua variazione è ∆∆H = ∆∆E + ∆∆PV; se la trasformazione avviene a pressione costante si ha ∆∆H = ∆∆E + P∆∆V.

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La prima legge della termodinamica o della conservazione dell'energia dice: Q = ∆∆E + L ove Q = energia termica ( calore ), ∆E = Efinale - Einiziale e L = lavoro compiuto; se nel sistema è coinvolto un gas si ha L = PV, per cui Q = ∆∆E + PV e, a pressione costante, Q = ∆∆E + P∆∆V. Da questo deriva ∆∆H = Q ; perciò il calore Q scambiato in una reazione a pressione costante esprime la variazione di energia ∆H tra le entalpie dei prodotti e quelle dei reagenti: ∆∆H = Hprodotti - Hreagenti = Q . L'entalpia dei reagenti o quella dei prodotti non è misurabile né calcolabile: infatti l'entalpia totale dipende sia da Ec che da Ep, valori che non possono essere definiti. Si può però dire che in una reazione esotermica: Hprodotti < Hreagenti ∆∆H < 0 in una reazione endotermica: Hprodotti > Hreagenti ∆∆H > 0 Il ∆∆H è proporzionale alla quantità di sostanza che entra nella reazione e resta invariato sia che la reazione avvenga in un unico stadio sia che avvenga in più stadi ( legge di Hess ). Lo scopo dell'esperienza è quello di misurare la variazione dell'entalpia ( ∆∆H ) in un sistema aperto a pressione costante e senza apprezzabili variazioni di volume, la misurazione avviene in modo indiretto misurando il calore di reazione ( Q ) che, come detto, è uguale a ∆H. La formula applicabile è Q = m ⋅⋅ c ⋅⋅ ( T2 - T1 ) ove m = massa in g dei reagenti, c = calore specifico, T1 e T2 = temperature iniziale e finale dei reagenti. Si divide l'esperienza in tre fasi: nella prima si misura il calore di soluzione dell'idrossido di sodio in acqua, poi il calore di neutralizzazione della reazione tra idrossido di sodio ed acido cloridrico. Per ultimo si verifica la legge di Hess facendo sciogliere l'idrossido di sodio direttamente nell'acido cloridrico ( reazione in unico stadio ) e si verifica se esistono differenze tra il risultato ottenuto e la somma delle energie misurate nelle prime due fasi ( reazione in due stadi ). Il calore di reazione viene calcolato in KJ/mol o in Kcal/mol; la capacità termica del calorimetro trascurata. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: Calore di soluzione di NaOH in acqua: Si misurano con un cilindro o con un palloncino 100 mL esatti di acqua distillata e li si versano con cura nel calorimetro. Si inserisce nel calorimetro la sonda termometrica; quando il valore indicato dal display si è stabilizzato se ne prende nota, indicandolo come T1. Si pesano alla bilancia analitica 4 g esatti di idrossido di sodio in gocce e si trasferiscono nel calorimetro; si mescola utilizzando o la sonda termometrica o una bacchetta di vetro fino all'equilibrio termico. Si rileva tale valore e lo si indica con T2. Trattandosi di una soluzione viene considerato solo il calore specifico ( c ) dell'acqua, ovvero 4.18 J (K ⋅ g). Ad esempio siano T1 = 19.5 °C ( 292.6 K ) e T2 = 29.6 °C ( 302.7 K ), applicando la formula Q = m ⋅⋅ c ⋅⋅ ( T2 - T1 ) si ha Q = 102 ⋅⋅ 10.1 ⋅⋅ 4.18 = 4306.2 J , ovvero 4.306 KJ. Poiché 4 g di idrossido di sodio corrispondono a 0.1 mol, si registra una variazione di entalpia pari a 4.306 / 0.1 = 43.1 KJ/mol. Parte seconda: calore di neutralizzazione della reazione NaOH + HCl: Si misurano con un cilindro od un pallone 50 mL esatti di idrossido di sodio sol. 1 M e si versano nel calorimetro; si immerge la sonda termometrica, si muove la soluzione e si attende lo stabilizzarsi della temperatura. Si rileva il valore e lo si annota come T1. Si risciacqua il cilindro e si misurano esattamente 50 mL di acido cloridrico sol. 1 M; si versa l'acido nel calorimetro agitando la soluzione risultante con la sonda termometrica o con una bacchetta in vetro. Si attende lo stabilizzarsi della temperatura e si annota il valore ottenuto, indicandolo come T2 .

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Siano, ad esempio T1 = 19.5 °C ( 292.6 K ) e T2 = 26.1 °C ( 299.2 K ), applicando la formula Q = m ⋅⋅ c ⋅⋅ ( T2 - T1 ) si ha Q = 100 ⋅⋅ 7.5 ⋅⋅ 4.18 = 3135 J , ovvero 3.13 KJ. Poiché 50 mL di acido cloridrico 0.1 M e 50 mL di idrossido di sodio 0.1 M corrispondono a 0.05 mol ciascuno, si ha una variazione di entalpia di 3.13 / 0.05 = 62.6 KJ/mol. Parte terza: calore di soluzione e calore di neutralizzazione ( stadio unico ): Si tratta di una reazione in stadio unico che è somma delle reazioni delle parti precedenti. Si misurano, nel modo consueto, 100 mL di acido cloridrico sol. 1 M e si versano nel calorimetro; si immerge la sonda termometrica e si rileva la temperatura stabile T1. Si pesano, come già descritto, 4 g di idrossido di sodio in gocce e li si pongono nella soluzione acida agitando con la sonda termometrica o con una bacchetta in vetro. All'equilibrio termico si rileva il valore T2 . Siano, ad esempio T1 = 19.5 °C ( 292.6 K ) e T2 = 44.2 °C ( 317.3 K ), applicando la formula Q = m ⋅⋅ c ⋅⋅ ( T2 - T1 ) si ha Q = 102 ⋅⋅ 24.7 ⋅⋅ 4.18 = 10531 J , ovvero 10.53 KJ. Poiché 4 g di idrossido di sodio e 100 mL di acido cloridrico 1 M corrispondono ciascuno a 0.1 mol si ha una variazione di entalpia pari a 10.53 / 0.1 = 105.3 KJ/mol. Come si vede il valore della variazione dell'entalpia della reazione ad uno stadio ( ∆∆H = 105.3 KJ/mol ) è, nei limiti dell'errore sperimentale, uguale alla somma delle variazioni delle entalpie delle reazioni considerate come singoli stadi ( ∆∆H = 43.1 + 62.6 = 105.7 KJ/mol ). Per trasformare i valori espressi in J in calorie è sufficiente moltiplicare per 4.18 ( 1 cal = 4.184 J ).

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Studio della velocità di reazione

Materiali occorrenti:

Permanganato di potassio sol.0.02 M - Acido ossalico sol.0.1 M - Acido solforico 95 % - Cloruro di manganese cristallino - Carbonato di calcio in polvere - Marmo - Acido cloridrico sol.1:3 - Agitatore magnetico - Vetreria. Esecuzione delle esperienze:

In quattro beckers da 100 mL si pongono, utilizzando una pipetta, 10 mL di sol.0.02 M di permanganato di potassio ( KMnO4 ); in altri quattro beckers si versano, utilizzando altra pipetta, 10 mL di acido ossalico [ (COOH)2 ] sol.0.1 M. Nei beckers della seconda serie si aggiungono, con cautela, 2 mL di acido solforico 95 % . La reazione che avviene è: 2KMnO4 + 5(COOH)2 + 3H2SO4 →→ K2SO4 + 2MnSO4 + 10CO2 ↑↑ + 8H2O , ovvero, in termini di ossidoriduzione: 5(COOH)2 →→ 10CO2 + 10H+ + 10e 2MnO4

− + 10e + 16H+ →→ 2Mn2+ + 8H2O

5(COOH)2 + 2MnO4

− + 6H+ →→ 10CO2 +2Mn2+ + H2O Il carbonio si ossida passando da n.o. +3 a +4, mentre il manganese si riduce passando da n.o. +7 a +2. Nota operativa: Al fine di avere una omogenea agitazione nel corso delle varie fasi, se disponibile, si raccomanda l'uso di un agitatore magnetico. Pertanto si immergono nei 4 beckers contenenti la soluzione di permanganato di potassio 4 ancorette magnetiche in modo da averle pronte al momento della reazione; contemporaneamente si predispone l'agitatore magnetico sul tavolo di esercitazione. Qualora l'apparecchiatura non fosse disponibile è possibile procedere manualmente con l'uso di una bacchetta in vetro, anche se ciò risulterà abbastanza noioso. Parte prima: influenza della concentrazione: Si prende uno dei beckers contenente acido ossalico ed acido solforico e lo si versa in uno di quelli contenenti il permanganato di potassio e l'ancoretta magnetica e si pone il tutto sull'agitatore, facendo partire un cronometro. Alla completa decolorazione si annota il tempo di reazione impiegato, indicandolo con " T1". Si prendono altri due beckers delle due serie e ad essi si aggiungono, a ciascuno, 10 mL di acqua distillata. Le due soluzioni divengono, così, più diluite, esattamente a titolo 0.01 M il permanganato di potassio e a titolo 0.05 M l'acido ossalico. Si procede come nel primo esperimento versando l'acido ossalico e l'acido solforico nel becker con il permanganato di potassio e l'ancoretta magnetica, ponendo il sistema sull'agitatore e facendo partire il cronometro fino al compimento della reazione. Il tempo impiegato si indica con " T2". Si confrontano i tempi delle due reazioni e si osserva che T1 < T2 ; questo indica una influenza delle concentrazioni dei reagenti sulla velocità di reazione. Infatti le reazioni avvengono quando le particelle vengono a collisione; più grande è il numero di urti nell'unità di tempo, più alto sarà il numero di particelle che si trasformano; di conseguenza, la velocità di reazione sarà più elevata. In altre parole, si può dire che in una soluzione più concentrata maggiore è il numero delle particelle per unità di volume per cui maggiori sono anche le collisioni tra le stesse nell'unità di tempo e maggiore la velocità.

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Guldberg e Waage stabilirono che la velocità di reazione è proporzionale al prodotto delle concentrazioni, espresso in moli, delle sostanze che reagiscono. V = k [A] [B] ove V = velocità, k = costante di velocità, A e B i reagenti . La costante di velocità tiene conto dei fattori che possono influire, quali la natura dei legami, la temperatura, la presenza di catalizzatori; essa ha un valore caratteristico ed uguale per una certa reazione che si svolga in identiche condizioni. Parte seconda: influenza della temperatura: Si sottopongono a riscaldamento un becker della prima serie ed uno della seconda, fino ad una temperatura di circa 50 °C; si procede, quindi, nel modo consueto annotando il tempo di reazione, che sarà quasi istantaneo, tanto da non dover neppure porre il becker sull'agitatore. Il tempo rilevato si indica con " T3 "; confrontandolo con " T1 " (uguali concentrazioni dei reagenti) si osserva che T3 < T1 , ovvero una notevole influenza della temperatura sulla velocità di reazione. Ad ulteriore conferma di ciò può essere effettuata una prova con le soluzioni portate a temperatura di circa 5/10 °C; si osserva, in questo caso, un aumento del tempo di reazione, per cui risulta T3 > T1 . Parte terza: presenza di un catalizzatore: Si prende una coppia di beckers e in quello contenente l'acido ossalico si scioglie una punta di spatola di cloruro di manganese ( MnCl2 ); si versa poi il contenuto nel becker con il permanganato nel quale è immersa l'ancoretta magnetica, lo si pone sull'agitatore e si e si rileva il tempo di reazione; questo viene indicato con " T4 ". Rapportando questo valore con quello del primo esperimento (uguali concentrazioni dei reagenti ed uguale temperatura) si osserva che T4 < T1 a dimostrare l'attività di un catalizzatore positivo che ha favorito la reazione. I catalizzatori sono sostanze capaci di influire sulla velocità di reazione senza partecipare alla direttamente alla stessa. Possono essere classificati in: Catalizzatori omogenei: quando si trovano nello stesso stato fisico dei reagenti. Catalizzatori eterogenei: quando si trovano in uno stato fisico diverso da quello dei reagenti (es. spugne di platino in reazioni in soluzione) Parte quarta: area della superficie dei reagenti: Si prende un pezzo di marmo e sulla sua superficie ruvida si gocciola della soluzione 1:3 di acido cloridrico; si osserva una effervescenza dovuta allo sviluppo di biossido di carbonio, secondo la reazione: CaCO3 + 2HCl →→ CaCl2 + CO2 ↑↑ + H2O Si pone poi una spatolata di carbonato di calcio in polvere fine su un vetro da orologio aggiungendo alcune gocce di acido cloridrico; si nota lo sviluppo di biossido di carbonio ma la reazione appare decisamente più veloce. Questo significa che una maggiore area della superficie di reazione favorisce la velocità della stessa. Nella generalità sono lente le reazioni in cui i reagenti devono rompere legami covalenti e formarne degli altri. Sono veloci le reazioni tra ioni di cariche opposte, quando non vi sia luogo a redox. Sono medie le reazioni tra composti polari. Nota operativa: disponendo di soluzione 1 N di permanganato di potassio, corrispondente a 0.2 M , si può diluire in rapporto 1:9 per ottenere la soluzione richiesta. Disponendo di soluzione 1 N, corrispondente a 0.5 M, di acido ossalico si può diluire in rapporto 2:8 al fine di ottenere la soluzione indicata.

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Modifiche dell'equilibrio chimico

Materiali occorrenti:

Rame trucioli - Cromato di Potassio - Bicromato di Potassio - Acido cloridrico sol. 0.1 M - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Acido nitrico sol. 65 % - Metilarancio sol. 0.1 % - Cloruro di bario sol. 5 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: spostamenti d'equilibrio al variare della temperatura: Si pongono dei trucioli di rame in una provetta e si fanno reagire con 1 o 2 mL di acido nitrico sol. 65 % ; si chiude velocemente la provetta con un tappo munito di tubo di sviluppo e si raccoglie il gas prodotto, di colore bruno, in un palloncino, chiudendolo immediatamente con un tappo in gomma. Il gas che si è formato è il biossido di azoto ( NO2 ) derivante dalla reazione: 3Cu + 6HNO3 + 2HNO3 →→ 3Cu(NO3)2 + 4H2O + 2NO ↑↑ cui segue la: 2NO + O2 (dall'aria) →→ 2NO2 ↑↑ Si pone quindi il palloncino in un freezer e lo si lascia raffreddare per almeno 15 minuti. Dopo il raffreddamento lo si estrae e si osservano la scomparsa del gas di colore bruno e la formazione di cristalli azzurri di tetraossido di diazoto ( N2O4 ). Con il ritorno alla temperatura ambiente - è sufficiente tenere il palloncino tra le mani - detti cristalli evaporeranno dissociandosi nel gas biossido di azoto ( NO2 ). Quanto osservato dimostra che si è stabilito un equilibrio dinamico ed una reattività del sistema tendente a neutralizzare lo stimolo esterno. L'equilibrio dissociazione-sintesi può essere così descritto:

calore + N2O4 ( dissociazione )

( sintesi ) 2NO2 - calore ∆H = +13.7 Kcal/mol.

Parte seconda: spostamenti d'equilibrio al variare delle concentrazioni: Si sciolgono in due provette contenenti 4 o 5 mL di acqua distillata alcuni cristallini di cromato di potassio ( K2CrO4 ); in altre due provette si sciolgono alcuni cristallini di bicromato di potassio ( K2Cr2O7 ). La soluzione di ioni cromato assume colore giallo, mentre quella di ioni bicromato risulta di colore arancio. Si prende una delle provette contenente ioni cromato e ad essa si aggiungono poche gocce di acido cloridrico sol. 0.1 M osservando il viraggio del giallo all'arancio. Si aggiungono, quindi, alcune gocce di idrossido di sodio sol. 0.1 M verificando che il sistema regredisce al colore giallo di partenza. Si prende, a questo punto, una delle provette contenente ioni bicromato e ad essa si aggiungono alcune gocce di idrossido di sodio sol. 0.1 M osservando il viraggio dell'arancio al giallo paglierino. Aggiungendo alcune gocce di acido cloridrico sol. 0.1 M il sistema regredisce al colore arancio originario. Le altre due provette servono come confronto dei colori originali. Quanto accaduto dimostra che si sono stabiliti due equilibri analoghi dovuti uno all'attività degli ioni H+ e l'altro a quella degli ioni OH- . Nel primo caso si ha: 2CrO4

2− + 2H+ Cr O2 72− + H2O

giallo arancio Nel secondo caso si ha: Cr O2 7

2− + 2OH- 2CrO42− + H2O

arancio giallo

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Ulteriore conferma di quanto avvenuto la si può avere trattando le due soluzioni con alcune gocce di cloruro di bario sol. 5% ; si osserva la formazione di un precipitato giallo di cromato di bario ( BaCrO4 ) solo nella provetta contenente ioni cromato; nessun precipitato si forma nella provetta contenente gli ioni bicromato. Si può dedurre che, aumentando la concentrazione di uno dei fattori di equilibrio ( H+ e OH- ), il sistema opera per farla diminuire; al contrario, diminuendo la concentrazione di uno dei fattori predetti, il sistema agisce per ripristinarla ai valori originari. Analoga esperienza si può effettuare utilizzando l'indicatore metilarancio. Questo in condizioni d i pH <3 è rosso mentre a pH >3 diviene giallo, secondo la reazione di equilibrio: MetSO3H + H2O H3O+ + MetSO3

- rosso giallo

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Verifica dell'equilibrio chimico in una reazione

Materiali occorrenti:

Cloruro di stagno II - Cloruro di ferro III - Acido cloridrico sol. 1:3 e sol. 37 % - Idrossido di sodio sol. 1 M - Idrossido di ammonio sol. 25 % - Tiocianato di potassio - Ferricianuro di potassio - Solfuro di ferro - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

L'esperienza deve verificare la presenza, in una soluzione di tutte le specie chimiche coinvolte nella reazione ossidoriduttiva di equilibrio: HCl SnCl2 + 2FeCl3 SnCl4 + 2FeCl2 . In due beckers da 200 mL si pongono 50 mL di acqua distillata ed 2-3 mL di acido cloridrico sol. 1:3; in uno dei due becker si scioglie una punta di spatola di cloruro di stagno II ( SnCl2 ), nell'altro altrettanto cloruro di ferro III ( FeCl3 ); si versa quindi il contenuto di un becker nell'altro, agitando la soluzione risultante. Si prendono, infine, quattro provette ed in ciascuna si versano 5 o 10 ml della soluzione procedendo all'analisi qualitativa: Parte prima: ricerca dello ione Sn2+ : Si prende una delle provette ed alla soluzione si aggiungono alcune gocce di idrossido di sodio sol. 1 M. Si osserva il formarsi di un precipitato bianco gelatinoso di idrossido di stagno II ( Sn(OH)2 ), secondo la reazione: SnCl2 + 2NaOH →→ Sn(OH)2 ↓↓ + 2NaCl . Aggiungendo alcune gocce di idrossido di ammonio sol. 25 % si nota che il precipitato non si scioglie. Parte seconda: ricerca dello ione Sn4+: Si prepara dell'acido solfidrico ( H2S ): si pongono in una beuta 2 pezzetti di solfuro di ferro ( FeS ), si aggiungono 10 o 20 mL di acqua distillata e 20 / 30 mL di acido cloridrico sol. 37 %; si chiude con un tappino munito di tubo di sviluppo e si fa gorgogliare il gas così prodotto nella seconda provetta. In pochi secondi si osserva il formarsi di un precipitato giallo chiaro di solfuro di stagno ( SnS2 ), secondo la reazione: SnCl4 + 2H2S →→ SnS2 ↓↓ + 4 HCl . Nota operativa: Poiché l'ambiente è acido per HCl non può formarsi un precipitato bruno di solfuro stannoso ( SnS ); qualora ciò dovesse avvenire, aggiungere ancora qualche goccia di acido cloridrico sol. 1:3. Parte terza: ricerca dello ione Fe2+: Si prende la terza provetta contenente la soluzione in esame e ad essa si aggiunge una punta di spatolina di ferricianuro di potassio ( K3Fe(CN)6 ) ; si agita ed in breve si osserva la formazione di un precipitato blu-azzurro di ferricianuro di ferro II ( Fe3[Fe(CN)6]2 , detto azzurro di Turnbull ), secondo la reazione: 2K3Fe(CN)6 + 3FeCl2 →→ Fe3[Fe(CN)6]2 ↓↓ + 6 KCl . Aggiungendo alcune gocce di acido cloridrico sol. 1:3 si osserva che il precipitato non è solubile. Parte quarta: ricerca dello ione Fe3+: Si prende l'ultima provetta e alla soluzione si aggiunge una punta di spatolina di tiocianato di potassio ( KCNS ); si agita e si osserva il formarsi di un precipitato color rosso-sangue di tiocianato di ferro III ( Fe(CNS)3 ), secondo la reazione: 3KCNS + FeCl3 →→ Fe(CNS)3 ↓↓ + 3KCl . La contemporanea presenza degli ioni ricercati dimostra che la reazione è una reazione in equilibrio.

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Idrolisi salina

Materiali occorrenti:

Ammonio cloruro - Ammonio acetato -Sodio cloruro - Sodio acetato - Rame solfato - Sodio carbonato - Potassio nitrato - Cartine all'indicatore universale - Vetreria. Richiami teorici:

Per idrolisi salina si intende una riassociazione completa o parziale di ioni di un sale in molecole che avviene quando detto sale deriva da una base e da un acido di differente forza o da una base e da un acido entrambi deboli. Esecuzione dell'esperienza:

In tutte le quattro fasi si scioglie una spatolata del sale in 20/30 mL di acqua distillata posti in un becker; si immerge una cartina all'indicatore universale e si misura il pH. Parte prima: sale da acido forte e base debole: soluzione di NH4Cl: Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: NH4

+ , Cl-, H3O+, OH-.

Gli ioni H3O+ e Cl- non sono in grado di riassociarsi per dare una molecola di HCl in quanto trattasi di acido forte e, quindi, completamente dissociato ( Ka = 1⋅107 mol/L ). Tra gli ioni NH4

+ e OH- è possibile la reazione, in quanto NH4OH è una base debole e, quindi poco

dissociata ( Kb = 1.8 ⋅10 -5 mol/L ); per questo si ha l'equilibrio: NH4

+ + OH- NH3 ⋅⋅ H2O. Questa reazione consuma OH- e poiché [H3O+][OH -] = 1⋅10-14, delle molecole di H2O si dissociano in H3O+ e OH- fino a portare la Kw = 1· 10-14. Gli equilibri sono due: NH4

+ + OH- NH3 ⋅⋅ H2O e 2H2O H3O+ + OH- Si ha pH <7 per eccesso di ioni H3O+ rispetto agli ioni OH-. In alternativa o a complemento possibile effettuare un'idrolisi di questo tipo utilizzando del solfato di rame II. In questo caso, nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: Cu2+, SO4

2− , H3O+,

OH-. Tra gli ioni H3O+ e OH- non c'è possibilità di riassociazione in quanto H2SO4 è un acido forte ( Ka= 1· 103 moli/L ) e, quindi, completamente dissociato. Tra gli ioni Cu2+ e OH- è possibile la reazione, in quanto Cu(OH)2 è una base debole per cui si ha l'equilibrio: Cu2+ + 2OH- Cu(OH)2. Anche qui molecole di H2O si dissociano per portare la Kw = 1⋅10-14; esse non sono, tuttavia, sufficienti a ripristinare del tutto la neutralità, per cui si ha un pH <7.

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Parte seconda: sale da acido debole e base forte: soluzione di CH3COONa: Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: Na+, CH3COO-, H3O+, OH-. Tra gli ioni Na+ e OH- non c'è possibilità di riassociazione in quanto NaOH è una base forte ( Kb= 5 mol/L ) e quindi completamente dissociata. Tra CH3COO- e H3O+ si ha l'equilibrio: CH3COO- + H3O+ CH3COOH + H2O. Questa reazione fa diminuire il numero di H3O+ in soluzione, per cui si ha: 2H2O H3O+ + OH- Il pH è >7 per eccesso di OH- rispetto H3O+. In alternativa o a complemento possibile effettuare un'idrolisi di questo tipo utilizzando carbonato di sodio. Nella soluzione sono presenti molecole di H2O indissociate e gli ioni: Na+, CO3

2− , H3O+, OH-.

Tra gli ioni Na+ e OH- non è possibile una riassociazione in quanto NaOH una base forte ( Kb= 5 moli/L ) e quindi completamente dissociata. Tra CO3

2− e H3O+ si ha l'equilibrio:

CO32− + 2H3O+ H2CO3 + 2H2O.

Anche questa reazione fa diminuire il numero di H3O+ in soluzione, per cui si dissociano molecole di acqua per cercare di riportare la Kw= 1⋅10-14; questo non è, tuttavia, sufficiente, per cui si ha un pH <7. Parte terza: sale da acido forte e base forte: soluzione di NaCl: Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: Na+, Cl-, H3O+, OH-. Non è possibile alcuna riassociazione in quanto NaOH e HCl sono rispettivamente base ed acido forti e, quindi, completamente dissociati. Il pH resta quindi neutro ( =7 ). In alternativa o a complemento è possibile effettuare un'idrolisi di questo tipo utilizzando nitrato di potassio. Parte quarta: sale da acido debole e base debole: Soluzione di CH3COONH4: Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: CH3COO-, NH4

+ , H3O+, OH-. L'acetato di ammonio in soluzione reagisce con H2O e per retrocessione ionica dà un po' di CH3COOH e un po' di NH4OH indissociati. Questi sono elettroliti deboli. La reazione è: CH3COONH4 CH3COO- + NH4

+ + H+ + OH- CH3COOH NH4OH In generale si può dire che un sale proveniente da una base debole e da un acido debole in soluzione acquosa si idrolizza e la soluzione reagisce acida, neutra o basica a seconda che l'acido sia meno debole, ugualmente debole o più debole della base.

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Titolazione acido-base

Materiali occorrenti:

Buretta da 25 mL - Pipetta tarata da 10 mL - Idrossido di sodio sol. 0.1 M ( titolo esatto ) - Acido cloridrico sol. circa 0.05 M ( oppure ad altro titolo ) - Fenolftaleina sol. alcoolica 1 % . Richiami teorici:

Una titolazione acido-base ha lo scopo di determinare il titolo, ovvero la concentrazione di una soluzione di un acido (o di una base) misurando la quantità in volume di una base (o di un acido) a titolo noto che reagisce in modo completo con un volume noto della soluzione da titolare. In altre parole tale quantità di titolante si dice stechiometricamente equivalente. Il raggiungimento dell'equivalenza stechiometrica si evidenzia con il viraggio di un opportuno indicatore. Prendiamo ad esempio un acido ed una base entrambi monoprotici, considerando V1 il volume della soluzione di molarità nota M impiegato per titolare un volume V2 di soluzione a molarità incognita Mx, si ha: V1 ⋅⋅ M = V2 ⋅⋅ Mx da cui Mx = V1 ⋅⋅ M / V2 . Quanto sopra è ovviamente valido anche nel caso di acido e base entrambi diprotici o triprotici. In caso di discordanza tra acido e base è necessario operare la necessaria correzione. E' anche possibile riferirsi solo alle quantità di soluzioni utilizzate e, quindi, al numero di moli in esse presenti per mezzo della formula: nmoli = M ⋅⋅ VL ( VL = volume in litri ). Tale valore è, come detto, uguale in entrambe le quantità di soluzioni per cui si può risalire alla molarità del titolato con una semplice proporzione. Esecuzione dell'esperienza:

Per motivi didattici e per facilitare i calcoli, si ritiene opportuno operare con soluzioni aventi titoli non troppo diversi. Nell'esempio descritto, appunto, si utilizza un acido avente concentrazione circa la metà della base titolante. Questa deve essere, ovviamente, a titolo preciso e non deteriorata. Si prelevano 10 mL di acido cloridrico utilizzando la pipetta tarata versandoli in una beuta da 250 mL Alla soluzione si aggiungono circa 100 mL di acqua distillata e 3 o 4 gocce di soluzione di fenolftaleina. La soluzione appare del tutto incolore. Si riempie con cura la buretta con la soluzione di idrossido di sodio 0.1 M e si inizia a farla defluire, goccia a goccia, nella beuta. Si agita quest'ultima per favorire un corretto mescolamento; al viraggio dell'indicatore al rosa si arresta il deflusso, rilevando la quantità di soluzione utilizzata. La reazione è una neutralizzazione: NaOH + HCl →→ NaCl + H2O Al punto finale di titolazione il numero di moli deve essere numericamente uguale in entrambe le soluzioni, ovviamente in riferimento ai volumi.

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Se, ad es. sono stati consumati 5 mL di NaOH sol. 0.1 M per neutralizzare i 10 mL di HCl, il titolo di quest'ultimo è dato dalla uguaglianza: V1 · M = V2 · Mx ; nel caso in esame si ha, quindi: 5 ⋅⋅ 0.1 = 10 ⋅⋅ x da cui x = 5 ⋅⋅ 0.1 / 10 Mx = 0.05 La soluzione di acido cloridrico ha, pertanto, titolo 0.05 M. Per una migliore comprensione del numero di moli che è entrato in equilibrio, è possibile riferirsi alle quantità di soluzioni utilizzate, per mezzo della già citata formula: nmoli = M ⋅⋅ VL Con questa si ha: nmoli = 0.1 ⋅⋅ 0.005 nmoli = 0.0005 Questo valore corrisponde al numero di moli presenti nella quantità di soluzione di NaOH usata , uguale al numero di moli presente nei 10 mL di HCl. Perciò è possibile risalire alla sua concentrazione molare attraverso la proporzione: 0.0005 : 10 = x : 1000 x = 1000 ⋅⋅ 0.0005 / 10 x = 0.05 La concentrazione dell'acido cloridrico è quindi confermata come 0.05 M.

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Determinazione della curva di titolazione della reazione NaOH + HCl

Materiali occorrenti:

pHmetro digitale - Buretta da 25 mL - Acido cloridrico sol.0.1 M - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Vetreria. Richiami teorici:

L'esperienza riguarda una reazione di neutralizzazione di un acido forte con una base forte ed ha lo scopo di determinare la curva di titolazione, ovvero il grafico che rappresenta la variazione del pH della soluzione acida all'aggiunta di ioni OH-. Intorno al punto di equivalenza ( p.e. ) si verifica una notevole variazione del pH ( salto di pH ) in quanto, vicino alla neutralità, ove si ha [OH-] [H3O+] 10-7 M, anche un piccolo eccesso di base o di acido provoca notevoli variazioni della concentrazione degli stessi ioni e, di conseguenza, del pH. L'eccesso di base o di acido ha, ovviamente, effetti tanto meno evidenti sul pH quanto maggiore è il valore di [OH-] o di [H3O+] che si trovano in soluzione. Esecuzione dell'esperienza:

Si predispone il pHmetro, opportunamente tarato con le soluzioni tampone, con le sonde lavate con acqua distillata. Si prelevano, con pipetta tarata, 10 mL di acido cloridrico sol. 0.1 M, facendoli sgocciolare accuratamente in un becker da 250 mL; ad essi si aggiungono 90 mL di acqua distillata. Nei 100 mL di soluzione così preparata si trovano 0.001 moli di HCl. Si riempe con cura, fino alla tacca zero, una buretta da 25 mL con la soluzione di idrossido di sodio 0.1 M e la si pone sul suo sostegno. Si mette il becker con l'acido sotto la buretta, si immergono le sonde del pHmetro, si attende un minuto circa al fine di compensare la temperatura e si rileva il valore del pH. Poichè la soluzione preparata è una soluzione 0.01 M di acido cloridrico, il valore di pH dovrà essere, nei limiti degli errori sperimentali, = 2 . Si registra sul foglio di lavoro il valore reale di pH e si procede quindi allo sgocciolamento della soluzione basica, un mL alla volta, registrando ogni volta il valore di pH raggiunto. Per una ottimale misurazione, ad ogni intervallo, si agita per alcuni secondi la soluzione nel becker con un bacchetta ed attendere almeno 30 secondi per stabilizzare la lettura. Ovviamente le letture della buretta devono essere molto precise. Da 9 ad 11 mL di NaOH sgocciolati è consigliabile effettuare letture ogni 0.2 / 0.3 mL al fine di poter cogliere precisamente il punto di equivalenza ( pH = 7 ). Dopo si continua l'operazione, di mL in mL, fino alla quantità di 20 mL Se le soluzioni sono a titolo preciso il p.e. si ritrova, ovviamente, molto vicino al valore di 10 mL Al termine dell'operazione si risciacquano ed asciugano le sonde del pHmetro e si ripone l'apparecchio. Con i dati registrati è possibile ricavare il grafico dell'andamento della titolazione; in un foglio di carta millimetrata si disegnano i due assi cartesiani, ponendo nelle ascisse i mL di NaOH sol. 0.1 M sgocciolati e nelle ordinate i valori di pH rilevati. Si collegano i punti con la miglior retta possibile e, se tutto è andato correttamente, si può osservare un grafico simile a quello di seguito rappresentato. Disponendo di un computer, è possibile elaborare i dati attraverso l'uso di un foglio elettronico ( spreadsheet ), quale Lotus 123, Microsoft Excel 5. Nella colonna A si dispongono le quantità di idrossido di sodio in mL, da 0 a 20, e nella colonna B i corrispondenti valori di pH; si stampa il foglio su carta. Con gli opportuni comandi si sceglie il grafico di tipo XY e si dichiarano i valori della colonna A come valori di X e quelli della colonna B come valori di Y; si aggiungono eventuali legende, si visualizza e si stampa il grafico ottenuto. Nota operativa: la titolazione può essere, ovviamente effettuata, all'inverso, titolando l'idrossido di sodio 0.1 M con l'acido cloridrico 0.1 M. Qualora le soluzioni non fossero precise è necessario inserire i relativi fattori di correzione.

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Grafico della curva di titolazione della reazione NaOH + HCl

ml NaOH pH0 1,971 2,042 2,113 2,204 2,295 2,436 2,587 2,838 3,289 4,5510 6,9611 9,5712 10,8513 11,3014 11,5415 11,6816 11,8217 11,9118 11,9819 12,0320 12,10

0,00

2,00

4,00

6,00

8,00

10,00

12,00

14,00

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

ml di NaOH 0.1M aggiunti

valo

ri di

pH

punto di equivalenza

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Titolazione di una soluzione di aceto

Materiali occorrenti:

Buretta da 50 mL - Aceto commerciale - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Fenolftaleina sol. 1 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si preleva, mediante pipetta tarata, un campione di 3 mL di aceto da titolare, versandolo nella beuta e diluendolo con ca. 100 mL di acqua distillata. Si aggiungono 3 o 4 gocce di fenolftaleina sol. 1 % quale indicatore; la soluzione resta, come è noto, incolore. Si riempie la buretta con la soluzione 0.1 M di idrossido di sodio; si procede alla titolazione, facendo defluire la soluzione goccia a goccia, agitando la beuta con cura. Al punto di viraggio dell'indicatore si chiude il rubinetto della buretta e si annota la quantità di soluzione titolante consumata. Tutto l'acido acetico presente nell'aceto di vino è stato, a quel punto, neutralizzato dall'idrossido di sodio secondo la reazione: CH3COOH + NaOH →→ CH3COONa + H2O Secondo tale reazione una mole di CH3COOH viene neutralizzata da una mole di NaOH : al punto di equivalenza, segnalato dal viraggio dell'indicatore, il numero di moli presenti nella quantità di idrossido di sodio gocciolato è uguale al numero di moli di acido acetico presente nei 3 mL di aceto commerciale. Supponiamo di aver impiegato 30 mL di NaOH sol. 0.1 M per titolare il campione di 3 mL di soluzione di acido acetico ( aceto commerciale ). Calcoliamo le moli presenti: Con la formula nmoli = M ⋅⋅ VL , ove VL = volume in litri , si ha: nmoli = 0.1 ⋅⋅ 0.030 nmoli = 0.003 Ovvero, con la proporzione V1 : M1 = V2 : Mx si ha: 1000 : 0.1 = 30 : x x = 30 · 0.1 / 1000 x = 0.003 moli Tale valore corrisponde al numero di moli di NaOH nei 30 mL di soluzione 0.1 M ed al numero di moli di CH3COOH presenti nei 3 mL di aceto in analisi. Da questo valore si può risalire al titolo molare dell'acido acetico, con la proporzione: 3 : 0.003 = 1000 : x x = 1000 · 0.003 / 3 x = 1 M La soluzione di acido acetico ha titolo 1 M. E' possibile, poi, trasformare il valore molare in concentrazione in g/L moltiplicando il numero delle moli per la massa molecolare relativa dell'acido acetico ( ca. 60): 1 ⋅⋅ 60 = 60 g/l Nel caso specifico, essendo la densità di CH3COOH ca. = 1, la concentrazione in volume è del 60 ‰, ovvero del 6 % .

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Determinazione dell'acidità del succo di limone

Materiali occorrenti:

Limone - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Fenolftaleina sol. 1% - Buretta da 50 mL - Filtri in carta - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si spreme completamente un limone in un becker da 100 mL. Si filtra il succo utilizzando un filtro rapido in carta ( ad es. filtro a banda nera o filtro Wathman 113 o 91 ), se ne prelevano, con pipetta tarata o graduata, 2 mL versandoli in una beuta da 250 mL; si aggiungono 100 mL circa di acqua distillata e 3 o 4 gocce di fenolftaleina sol. 1% quale indicatore; la soluzione rimane, ovviamente, incolore. Si riempie la buretta con 50 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M, si pone la beuta sotto il rubinetto e si procede alla titolazione, gocciolando lentamente il titolante ed agitando la beuta. Al punto di viraggio al rosa-violetto dell'indicatore si chiude il rubinetto della buretta e si annota la quantità di idrossido di sodio sol. 0.1 M consumata. A questo punto tutto l'acido citrico presente nel succo di limone è stato neutralizzato dall' idrossido di sodio con la reazione: CH2 - COOH CH3 - COONa | | H - O - C - COOH + 3NaOH →→ H - O - C - COONa + 3H2O | | CH2 - COOH CH3 - COONa acido citrico citrato di sodio Come si vede per neutralizzare una mole di acido citrico, idrossiacido alifatico tricarbossilico, sono necessarie 3 moli di idrossido di sodio, per cui il numero di moli presenti nella quantità di idrossido di sodio gocciolata è 3 volte il numero di moli di acido citrico presenti nei 2 mL di succo di limone. Si sono utilizzati 20 mL di NaOH sol. 0.1 M per titolare 2 mL di succo di limone; calcoliamo le moli presenti: Con la formula: nmoli = M ⋅⋅ VL si ha nmoli = 0.1 ⋅⋅ 0.02 per cui, nmoli = 0.002 ovvero, con la proporzione V1 : M1 = V2 : Mx si ha: 1000 : 0.1 = 20 : x x = 20 ⋅⋅ 0.1 / 1000 x = 0.002 Il valore ricavato corrisponde al numero di moli presenti nei 20 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M, per cui il numero di moli di acido citrico presenti in 2 mL di succo di limone è 1/3 di tale valore, cioè nmoli = 0.00066. Da questo valore si può risalire al titolo molare dell'acido citrico del succo di limone con la proporzione: 0.00066 : 2 = x : 1000 x = 1000 ⋅⋅ 0.00066 / 2 x = 0.33 M Il succo di limone è, quindi, una soluzione 0.33 M di acido citrico. E' possibile, poi, trasformare il valore molare in concentrazione g/L moltiplicando il numero di moli per la massa molecolare relativa dell'acido citrico ( = 192.13 ): 0.33 ⋅⋅ 192.13 = 63.40 g/L ovvero circa il 6 %. Infatti il succo di limone contiene circa il 6 % di acido citrico e presenta una concentrazione idrogenionica circa 2 ⋅ 10 -3 M che determina un pH = 2.8.

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Le Reazioni chimiche

Materiali occorrenti:

Gli elementi ed i sali previsti nelle reazioni - Acido cloridrico sol. 1:3 - Acido solforico sol. 1:5 - Idrossido di sodio sol. 1 M e 8 M - Idrossido di ammonio sol. 25 % - Provetta con tubo di sviluppo (o microgeneratore di gas sec. Scarano) - Cartine indicatrici - Vetreria. Esecuzione dell' esperienza:

Tutte le soluzioni dei sali possono essere preparate al momento sciogliendo una punta di spatola in 2 o 3 mL di acqua distillata posta in una provetta. Si fanno reagire alcuni mL delle soluzioni dei sali specificati nelle reazioni con i reagenti indicati e si osserva ciò che avviene. Parte prima: reazioni di doppio scambio ( metatesi ) con precipitazione: 1.1) - AgNO3 + NaCl →→ AgCl ↓↓ + NaNO3 ( precipitato bianco ) 1.2) - AgNO3 + KI →→ AgI ↓↓ + KNO3 ( precipitato bianco ) 1.3) - BaCl2 + Na2SO4 →→ BaSO4 ↓↓ + 2NaCl ( precipitato bianco cristallino ) 1.4) - FeCl3 + 3NH4OH →→ Fe(OH)3 ↓↓ + 3NH4Cl ( precipitato rosso mattone ) 1.5) - FeSO4 + 2NaOH →→ Fe(OH)2 ↓↓ + Na2SO4 ( precipitato verde ) 1.6) - Fe2(SO4)3 + 6NaOH →→ 2Fe(OH)3 ↓↓ + 3Na2SO4 ( precipitato rosso mattone ) 1.7) - Al2(SO4)3 + 6NH4OH →→ 3(NH4)2SO4 + 2Al(OH)3 ↓↓ ( precipitato bianco gelatinoso ) 1.8) - 3CaCl2 + 2Na3PO4 →→ Ca3(PO4)2 ↓↓ + 6NaCl ( precipitato bianco ) 1.9) - Pb(NO3)2 + 2KI →→ PbI2 ↓↓ + 2KNO3 ( precipitato giallo ) 1.10) - Pb(NO3)2 + K2Cr2O7 →→ PbCr2O7 ↓↓ + 2KNO3 ( precipitato arancio ) 1.11) - Pb(NO3)2 + K2CrO4 →→ PbCrO4 ↓↓ + KNO3 ( precipitato giallo ) 1.12) - Cu(NO3)2 + Na2S →→ CuS ↓↓ + 2NaNO3 ( precipitato nero ) 1.13) - CdSO4 + Na2S →→ CdS ↓↓ + Na2SO4 ( precipitato giallo ) 1.14) - CuSO4 + Na2S ----> CuS ↓↓ + Na2SO4 ( precipitato nero ) 1.15) - Na2CO3 + CaCl2 →→ 2NaCl + CaCO3 ↓↓ ( precipitato bianco ) 1.16) - (CH3COO)2Pb + H2S →→ 2CH3COOH + PbS ↓↓ ( precipitato nero ) Nota operativa: in luogo del solfuro di sodio per precipitare i solfuri insolubili è possibile utilizzare l'acido solfidrico ( H2S ) prodotto, con la reazione 2.1 che segue, in una provetta o in un microgeneratore di gas di Scarano e fatto gorgogliare tramite un tubo di sviluppo nella soluzione che deve reagire.

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Parte seconda: reazioni di doppio scambio ( metatesi ) con sviluppo di gas: 2.1) - FeS + 2HCl →→ FeCl2 + H2S ↑↑ 2.2) - FeS + H2SO4 →→ FeSO4 + H2S ↓↓ L'acido solfidrico ( H2S ) si riconosce dal caratteristico odore d'uovo marcio ed in quanto annerisce la cartina all'acetato di piombo [ (CH3COO)2Pb ], secondo la reazione 1.16. 2.3) - NaCl + H2SO4 →→ NaHSO4 + HCl ↑↑ Parte terza: reazione di scambio semplice ( di spostamento ): 3.1) - Zn + 2HCl →→ ZnCl2 + H2 ↑↑ 3.2) - Ca + H2SO4 →→ CaSO4 ↓↓ + H2 ↑↑ ( precipitato bianco ) L' idrogeno si riconosce per combustione, infiammandolo con un fiammifero. 3.3) - Zn + FeSO4 →→ ZnSO4 + Fe ↓↓ Parte quarta: reazione di sintesi: 4.1) - CaO + H2O →→ Ca(OH)2 La formazione dell' idrossido di calcio si verifica osservando il suo comportamento basico con un qualsiasi indicatore (es. fenolftaleina, cartine, etc.) Parte quinta: reazioni di decomposizione: T 5.1) - CaCO3 →→ CaO + CO2 ↑↑ ( CaO colore bianco ) T 5.2) - CuCO3 →→ CuO + CO2 ↑↑ ( CuO colore nero ) Le reazioni avvengono a temperatura elevata, circa 900 °C. T 5.3) - 2HgO →→ 2Hg + O2 ↑↑ Operare con minima quantità di ossido in un tubicino da saggio; il mercurio condensa sulle pareti dello stesso. T 5.4) - NH4Cl →→ NH3 ↑↑ + HCl ↑↑ Porre una spatolata di cloruro di ammonio ( NH4Cl ) in una provetta, inumidire due pezzetti di cartina all'indicatore universale e farli aderire alla parete della provetta uno in basso e l'atro più in alto ed in posizione opposta. Riscaldare la provetta al bunsen tenedola orizzontale; si osserverà la cartina posta in alto e verso il fondo divenire rossa per lo sviluppo di acido cloridrico ( HCl ) e quella posta in basso e verso l'imbocco azzurra per lo sviluppo di ammoniaca ( NH3 ).

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Le Reazioni di complessazione

Materiali occorrenti:

Rame solfato II - Alluminio solfato - Argento nitrato sol. 0.1 M - Sodio cloruro - Ammoniaca sol. 1:3 - Idrossido di sodio sol. 4 M - Vetreria. Richiami teorici:

Per composti di coordinazione si intendono molecole (o ioni) in cui ad un atomo coordinatore sono legati dei gruppi atomici detti ligandi, in numero superiore al numero di ossidazione dell'atomo coordinatore. Tra l'atomo coordinatore e i ligandi si stabiliscono legami di tipo dativo detti legami di coordinazione. I coordinatori sono acidi di Lewis in quanto accettano " lone pairs " essendo, ad es. per i metalli di transizione, incompleti negli orbitali d e poiché tendono a raggiungere la configurazione più stabile. I più importanti sono, appunto, i metalli di transizione, ma anche elementi dei gruppi A (es. B, Al, Pb) I ligandi sono donatori dei " lone pairs " e quindi sono basi di Lewis; possono essere ioni o molecole in grado di donare uno o più doppietti: H2O, NH3, CO, Cl-, OH-, CN- . Per i più noti si utilizzano i nomi tradizionali: H2O = aquo- NH3 = ammino- OH- = idrossi- CN- = ciano- Per ioni complessi si intendono ioni nei quali un catione coordina ligandi neutri (es. H2O, NH3 ) od anionici ( es. Cl-, OH- ). Particolare è la nomenclatura dei complessi. In caso di complessi con ligandi neutri, ad ogni ligando si attribuisce un prefisso indicante il numero:

Es. Cu(NH )3 42+ : tetra-ammino-rame Ni(H O)2 6

2+ : esa-aquo-nichelio. In caso di complessi con ligandi anionici si attribuisce al coordinatore il suffisso -ato se poliatomico od -uro se monoatomico, e lo si fa precedere dal nome e dal numero dei ligandi: Es. [Ag(NH3)2]Cl di-ammino-argento cloruro K3[Fe(CN)6] potassio esa-ciano-ferrato III Na[Al(OH)4] sodio tetra-idrossi-alluminato. Esecuzione dell'esperienza:

1)- Cu2+ SO42- + 4NH3⋅⋅H2O →→ [Cu(NH3)4]2+ + SO4

2- ione cuprotetrammino azzurro blu Usare una soluzione diluita di CuSO4 ed una soluzione 1:3 di NH3⋅H2O. 2)- Ag+ Cl- + 2NH3⋅⋅H2O →→ [Ag(NH3)2] + Cl- ione diamminoargento insolubile solubile . La soluzione di NH3⋅H2O deve essere concentrata 1:3. 3)- Al(OH)3 + NaOH →→ [Al(OH)4]- + Na+ ione tetraidrossialluminato insolubile solubile L'idrossido di sodio deve essere in soluzione 4 o 8 M, il solfato di alluminio in soluzione diluita e l'ammoniaca in soluzione 1:3. Nota operativa: il cloruro di argento ( AgCl ) se non disponibile può essere preparato con la reazione: NaCl + AgNO3 → NaNO3 + AgCl ↓ . l'idrossido di alluminio [ Al(OH)3 ]se non disponibile può essere preparato con la reazione: Al2(SO4)3 + 6NH3· H2O → 2Al(OH)3 ↓ + 3(NH4)2SO4 .

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Reazioni di Ossidoriduzione in beckers

Materiali occorrenti:

N.16 beckers da 100 mL - 1 lastrina di argento - 4 lastrine di rame, 4 di piombo, 4 di zinco - Nitrati di argento, rame II, piombo, zinco - Acido cloridrico sol. 37 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: redox in beckers: Disporre i beckers in quattro file. Porre nei quattro beckers della prima fila alcuni mL di soluzione di nitrato d'argento sol. 0.1M ( oppure alcuni cristalli del sale ) e diluire con 40/50 mL di acqua distillata. Preparare, nel modo descritto, soluzioni degli altri sali, ponendo nella seconda fila il nitrato di rame II, nella terza il nitrato di piombo, e nella quarta fila il nitrato di zinco ( vedere fig. 1 ). 1.1 - Beckers con nitrato d'argento: Si prende una laminetta di ciascun metallo e la si immerge nei beckers contenenti la soluzione di AgNO3 e si osserva ciò che accade. La lamina di argento non dà segni di alcuna reazione. La lamina di rame, immersa nel secondo becker, si ricopre subito di una polvere nerastra, mentre lentamente si consuma. La soluzione, nel contempo, diviene azzurrina. Questo indica chiaramente che il rame si è ossidato a Cu2+ mentre Ag+ si è ridotto ad argento metallico, secondo la reazione: 2AgNO3 + Cu →→ Cu(NO3)2 + 2Ag In forma ionica: ossidazione Cu →→ Cu2+ + 2e riduzione 2Ag+ +2e →→ 2Ag Cu + 2Ag+ →→ Cu2+ + 2Ag La lamina di piombo, immersa nel terzo becker si ricopre anch'essa di polvere nerastra, consumandosi lentamente. Il piombo si è ossidato a Pb2+ mentre l'Ag+ si è ridotto ad argento secondo la reazione: 2AgNO3 + Pb →→ Pb(NO3)2 + 2Ag In forma ionica: ossidazione Pb →→ Pb2+ + 2e riduzione 2Ag+ + 2e →→ 2Ag Pb + 2Ag+ →→ Pb2+ + 2Ag Nel quarto becker si immerge la lamina di zinco che ha un identico comportamento. Infatti lo zinco si è ossidato a Zn2+ mentre lo ione Ag+ si è ridotto ad argento elementare, secondo la reazione 2AgNO3 + Zn →→ Zn(NO3)2 + 2Ag In forma ionica: ossidazione Zn →→ Zn2+ + 2e riduzione 2Ag+ + 2e →→ 2Ag Zn + 2Ag+ →→ Zn2+ + 2Ag

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1.2 - Beckers con nitrato di rame: Si prende una laminetta per ciascun metallo e la si immerge nei beckers della seconda fila. Si nota subito che le lamine di argento e di rame non danno luogo ad alcuna reazione ossidoriduttiva. La lamina di piombo, immersa nel terzo becker si ricopre di una polvere scura, mentre la soluzione azzurra, lentamente, si scolora: il piombo si è ossidato a Pb2+ mentre Cu2+ si è ridotto a rame, secondo la reazione: Cu(NO3)2 + Pb →→ Pb(NO3)2 + Cu In forma ionica: ossidazione Pb →→ Pb2+ + 2e riduzione Cu2+ + 2e →→ Cu Pb + Cu2+ →→ Pb2+ + Cu La lamina di zinco immersa nel quarto becker, si ricopre velocemente di polvere scura, mentre la soluzione azzurra, lentamente, si scolora: lo zinco si è ossidato a Zn2+ mentre Cu2+ si è ridotto a rame metallico, secondo la reazione: Cu(NO3)2 + Zn →→ Zn(NO3)2 + Cu In forma ionica: ossidazione Zn →→ Zn2+ + 2e riduzione Cu2+ + 2e →→ Cu Zn + Cu2+ →→ Zn2+ + Cu 1.3 - Beckers con nitrato di piombo: Si prende una laminetta per ciascun metallo immergendola nei beckers della terza fila: Si può subito notare che le lamine di argento, rame e piombo non subiscono alcun processo ossidoriduttivo. La lamina di zinco, invece, si ricopre di una polvere nerastra, mentre lentamente si consuma: lo zinco si è ossidato a Zn2+ mentre Pb2+ si è ridotto a piombo metallico, secondo la reazione: Pb(NO3)2 + Zn →→ Zn(NO3)2 + Pb In forma ionica: ossidazione Zn →→ Zn2+ + 2e riduzione Pb2+ + 2e →→ Pb Zn + Pb2+ →→ Zn2+ + Pb 1.4 - Beckers con nitrato di zinco: Si prende una laminetta per ciascun metallo e la si immerge nei beckers della quarta fila: Si nota che tutte le lamine non mostrano alcuna reattività con la soluzione, a significare che alcun processo ossidoriduttivo è in atto. Dalle esperienze è possibile costruire una scala della tendenza di un elemento ad ossidarsi:

←← Zn > Pb > Cu > Ag

e, ovviamente, una scala della tendenza di un elemento a ridursi:

→→ Zn2+ < Pb2+ < Cu2+ < Ag+ .

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Parte seconda: reattività dell'idrogeno: E' possibile determinare il livello di reattività dell' idrogeno nei confronti dei metalli precedenti. A tale scopo si prendono 4 lastrine dei metalli e le si immergono, in successione, in una soluzione di acido cloridrico 37 %, osservando ciò che avviene ( figura n.2 ). Le lastrine di argento e di rame restano inalterate, a significare che nessun processo ossidoriduttivo è avvenuto. La lastrina di piombo, opportunamente pulita con cartavetro, reagisce lentamente consumandosi e sviluppando sulla superficie bollicine di gas; il piombo si ossida a Pb2+ mentre H+ si è ridotto ad idrogeno elementare, con formazione immediata di una molecola di H2, con la reazione: Pb + 2HCl →→ PbCl2 + H2 ↑↑ In forma ionica: ossidazione Pb →→ Pb2+ + 2e riduzione 2H+ + 2e →→ H2 Pb + 2H+ →→ Pb2+ + H2 La lastrina di zinco subisce un processo analogo, ma più veloce, con evidente sviluppo di gas e rapido consumarsi del metallo; in questo caso lo zinco si è ossidato a Zn2+ mentre H+ si è ridotto ad idrogeno elementare, con formazione subitanea di una molecola di H2, secondo la reazione: Zn + 2HCl →→ ZnCl2 + H2 ↑↑ In forma ionica: ossidazione Zn →→ Zn2+ + 2e riduzione 2H+ + 2e →→ H2 Zn + 2H+ →→ Zn2+ + H2 Dai dati sperimentali ottenuti è possibile inserire l'idrogeno nella scala della tendenza ad ossidarsi: ←← Zn > Pb > H2 > Cu > Ag ed in quella della tendenza a ridursi: →→ Zn2+ < Pb2+ < H+ < Cu2+ < Ag+ . Per conferma è possibile far gorgogliare dell' idrogeno prodotto dalla reazione dello zinco con HCl in una provetta con tubo di sviluppo, nei beckers contenenti le quattro soluzioni degli ioni argento, rame, piombo e zinco ( figura n.3 ); si osserva che Ag+ e Cu2+ si riducono precipitando sotto forma di polvere metallica di argento e rame, con contemporanea ossidazione di H+ ad idrogeno elementare, secondo la reazione già vista, mentre Zn e Pb non si riducono affatto.

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Figura 1

Ag Cu Pb Zn

Zn2+

Ag+

Cu2+

2+Pb

Figura 2

Figura 3

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Le reazioni di ossidoriduzione

Materiali occorrenti:

Elementi e composti previsti dalle esperienze - Acido nitrico sol. 65 % e 1:3 - Acido cloridrico sol. 1:3 - Idrossido di sodio sol. 4 M - Acqua ossigenata sol. 20/30 % - Salda d'amido - Fenolftaleina sol. 1 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Le soluzioni dei sali utilizzati sono, quando indicato, a titolo indicativo e possono anche essere preparate al momento, sciogliendo una punta di spatola di sale in una provetta con acqua distillata. 1) - Reazione tra l'acido nitrico diluito ed il rame: 3Cu + 6HNO3 + 2HNO3 →→ 3Cu(NO3)2 + 2NO ↑↑ + 4H2O ovvero, in forma ionica: 3Cu →→ 3Cu2+ + 6e 2NO3

− + 8H+ +6e →→ 2NO + 4H2O 3Cu + 8H+ →→ 3Cu2+ + 2NO + 4H2O Si tratta una piccola quantità di rame ( Cu ) con alcuni mL di acido nitrico ( HNO3 ) sol. 1:3. Si osserva lo sviluppo di un gas di colore bruno, il biossido di azoto ( NO2 ),dovuto alla immediata reazione dell'ossido di azoto ( NO ) con l'O2 dell'aria ( 2NO + O2 →→ 2NO2 ↑↑ ); contemporaneamente si forma una soluzione azzurra di nitrato di rame II [ Cu(NO3)2 ] . 2) - Reazione tra l'acido nitrico concentrato ed il rame: Cu + 2HNO3 + 2HNO3 →→ Cu(NO3)2 +2NO2 ↑↑ + 2H2O ovvero, in forma ionica: Cu →→ Cu2+ + 2e 2NO3

− + 4H+ +6e →→ 2NO2 + 2H2O

Cu + 2NO3

− + 4H+ →→ Cu2+ + 2NO2 ↑↑ + 2H2O Si opera come nell'esperienza precedente, utilizzando acido nitrico ( HNO3 ) sol. 65 %. Si ha sviluppo di biossido di azoto ( NO2 ) e formazione di una soluzione azzurra di nitrato di rame II [ Cu(NO3)2 ] . 3) - Ossidazione del Ferro II a Ferro III da parte dell'acido nitrico: 3FeSO4 + 3HNO3 + HNO3 →→ Fe2(SO4)3 + Fe(NO3)3 +NO ↑↑ + 2H2O ovvero, in forma ionica: 3Fe2+ →→ 3Fe3+ + 3e HNO3 + 3H+ + 3e →→ NO +2H2O 3Fe2+ + NO3

− + 4H+ →→ NO ↑↑+ 2H2O

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Si preparano due provette contenenti ciascuna una punta di spatola di solfato di ferro II ( FeSO4 ) e 2 o 3 mL di acqua distillata; si prepara anche una provetta contenente una punta di spatola di solfato di ferro III [ Fe2(SO4)3 ] e 2 o 3 mL di acqua distillata. Una delle provette con la soluzione di ioni Fe2+ e quella con gli ioni Fe3+ servono da " bianco " e si riconoscono precipitando i rispettivi idrossidi con NaOH sol. 4 M; l'idrossido di ferro II [ Fe(OH)2 ] presenta il caratteristico color verde mela mentre l'idrossido di ferro III [ Fe(OH)3 ] un color rosso mattone. Si procede alla reazione di ossidoriduzione ponendo nella restante provetta con la soluzione di solfato di ferro II 1 o 2 mL di acido nitrico sol. 1:2 e si riscalda con attenzione. A reazione avvenuta si evidenzia l'avvenuta ossidazione di Fe2+ a Fe3+ precipitando con NaOH 4 M l'idrossido di ferro III che presenta, come visto nel " bianco " un colore rosso mattone. Per le reazioni di precipitazione descritte vedere la scheda " Le reazioni chimiche ". 4) - Ossidazione dello zinco ad opera dell'acido cloridrico: Zn + 2HCl →→ ZnCl2 + H2 ↑↑ ovvero, in forma ionica: Zn →→ Zn2+ + 2e 2H+ + 2e →→ H2 Zn + 2H+ →→ Zn2+ + H2 Si pone poco zinco ( Zn ) in una provetta e lo si fa reagire con alcuni mL di acido cloridrico ( HCl ) sol. 1:2 . Si evidenzia un imponente sviluppo di idrogeno ( H2 ), che è possibile riconoscere per la sua elevata infiammabilità, avvicinando, con cautela, un fiammifero alla bocca della provetta. Al termine della reazione resterà una soluzione acquosa di cloruro di zinco ( ZnCl2 ). 5) - Riduzione del manganese VII a manganese II ad opera dell'acido cloridrico: 2KMnO4 + 6HCl + 10HCl →→ 2MnCl2 + 2KCl + 5Cl2 ↑↑ + 8H2O ovvero, in forma ionica: 10Cl- →→ 5Cl2 + 10e 2MnO4

− + 10e + 16H+ →→ 2Mn2+ + 8H2O

10Cl- + 2MnO4

− + 16H+ →→ 5Cl2 ↑↑ + 2Mn2+ + 8H2O Si pongono 2 o 3 mL di soluzione diluita, ad es. 0.01 M, di permanganato di potassio ( KMnO4 ) in una provetta; a questi si aggiunge 1 mL circa di acido cloridrico ( HCl ) sol. 1:2 e si agita con cautela. Dopo pochi secondi la soluzione viola , caratteristica del manganese VII scolorirà fino a divenire quasi incolore o debolmente rosa, indicando la riduzione a manganese II. La contemporanea ossidazione di Cl - a cloro ( Cl2 ) elementare sarà, per contro, difficilmente evidenziabile se non per l'odore tipico del gas. 6) - Reazione tra il solfato di rame e lo ioduro di potassio: 2CuSO4 + 2KI +2KI →→ 2CuI ↓↓ + 2K2SO4 + I2 ovvero, in forma ionica: 2I- →→ I2 + 2e 2Cu2+ +2e →→ 2Cu+ 2I- + 2Cu2+ →→ I2 + 2Cu+

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Si fanno reagire alcuni mL delle due soluzioni, ad esempio a titolo 0.1 M, in una provetta. Si nota subito il formarsi di un precipitato bruno di CuI, ioduro di rame II per riduzione del Cu2+ a Cu+. Lo iodio elementare che si forma nella contemporanea ossidazione da I - resta in soluzione. La presenza dello stesso sarà facilmente evidenziabile aggiungendo alcune gocce di salda d'amido ed agitando energicamente la provetta: in breve apparirà la tipica colorazione bluastra, indicante la presenza di iodio . 7) - Reazione tra ioduro di potassio e bromo in soluzione: 2KI + Br2 →→ 2KBr + I2 ovvero, in forma ionica: 2I- →→ I2 + 2e Br2 + 2e →→ 2Br - 2I- + Br2 →→ I2 + 2Br - Si fanno reagire, in una provetta, 1 o 2 mL di ioduro di potassio ( KI ), ad es. a titolo 0.1 M, con altrettanta soluzione acquosa satura di bromo ( Br, acqua di bromo ) che presenta un caratteristico colore bruno. Il cambiamento di colore dell'acqua di bromo indicherà l'avvenuta riduzione a Br-. L'ossidazione di I - ad iodio ( I2 ) elementare sarà evidenziabile aggiungendo alcune gocce di salda d'amido. 8) - Ossidazione del sodio ad opera dell' acqua: 2Na + 2H2O →→ 2NaOH + H2 ↑↑ ovvero, in forma ionica: 2Na →→ 2Na+ + 2e 2H2O + 2e →→ H2 + 2OH- 2Na + 2H2O →→ 2Na+ + H2 ↑↑ + 2OH- Si riempie un becker da 250 mL di acqua e si pone nello stesso un pezzettino di sodio, coprendo con una reticella amiantata. La reazione sarà molto veloce e, a causa del calore che si sviluppa, non è da escludersi che l'idrogeno ( H2 ) possa incendiarsi. La formazione di idrossido di sodio ( NaOH )in soluzione può essere messa in risalto con un indicatore, ad esempio, con alcune gocce di fenolftaleina, che virerà al colore viola. 9) - Riduzione del cromo VI a cromo III ad opera dell'acido solfidrico: K2Cr2O7 + 3H2S + 4H2SO4 →→ 2Cr2(SO4)3 + 2K2SO4 + 3S + 7H2O ovvero, in forma ionica: 3S2- →→ 3S + 6e Cr O2 7

2− + 6e + 14H+ →→ 2Cr3+ + 7H2O

Cr O2 7

2− + 3S2- + 14H+ →→ 3S + 2Cr3+ + 7H2O Si pongono alcuni cristalli di bicromato di potassio ( K2Cr2O7 ) in una provetta con 3 o 4 mL di acqua distillata; si aggiunge 1 mL circa di acido solforico sol. 95 % . Si prepara, come di consueto, l'acido solfidrico ( H2S ) trattando, in una provetta con tubo di sviluppo o in un microgeneratore di gas, solfuro di ferro con acido cloridrico in sol. 1:2. Si immerge il tubo di sviluppo nella soluzione di bicromato facendo gorgogliare il gas; dopo alcuni secondi, si osserva il cambiamento del colore della soluzione dall'arancio, colore dato dallo ione Cr6+ al verde chiaro, colore tipico dello ione Cr3+. La soluzione risulta intorbidita per la formazione dello zolfo ( S ) elementare ottenuto dall'ossidazione dello ione S2-.

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10) - Riduzione del cromo VI a cromo III ad opera dell'acido cloridrico: K2Cr2O7 + 8HCl + 6HCl →→ 2KCl + 2CrCl3 +3Cl2 ↑↑ + 7H2O ovvero, in forma ionica: 6Cl- →→ 3Cl2 + 6e Cr O2 7

2− + 6e + 14H+ →→ 2Cr3+ + 7H2O

6Cl- + Cr O2 7

2− + 14H+ →→ 3Cl2 + 2Cr3+ + 7H2O Si pongono alcuni cristalli di bicromato di potassio ( K2Cr2O7 ) in una provetta con 3 o 4 mL di acqua distillata; si aggiunge 1 mL circa di acido cloridrico ( HCl ) sol. 1:3. Si agita con cura e dopo alcuni secondi si osserva il cambiamento del colore della soluzione dall'arancio, colore dato dallo ione Cr6+ al verde chiaro, colore tipico dello ione Cr3+. La contemporanea ossidazione di Cl - a cloro ( Cl2 ) elementare sarà, per contro, difficilmente evidenziabile se non per l'odore tipico del gas. 11) - Riduzione del manganese VII a manganese II ad opera dell'acqua ossigenata: 2KMnO4 + 5H2O2 + 3H2SO4 →→ 2MnSO4 + K2SO4 + 5O2 ↑↑ + 8H2O ovvero, in forma ionica: 5H2O2 →→ 5O2 + 10H+ + 10e 2MnO4

− + 16H+ + 10e →→ 2Mn2+ + 8H2O

5H2O2 + 2MnO4

− + 6H+ →→ 5O2 ↑↑ + 2Mn2+ + 8H2O Si pongono in una provetta 3 o 4 mL di permanganato di potassio ( KMnO4 ) sol. 0.01 M; si aggiunge 1 mL circa di acido solforico ( H2SO4 ) sol. 95 % . Si lascia raffreddare per alcuni secondi e si aggiunge 1 mL circa di acqua ossigenata ( H2O2 ) sol. 20/30 % . Si agita ed in breve si osserva il viraggio del colore della soluzione dal viola, dato dal Mn7+ al bruno molto chiaro, quasi incolore, tipico dello ione Mn2+. Nel contempo si osserva lo sviluppo di ossigeno ( O2 ) dovuto all'ossidazione di H2O2 . 12) - Riduzione del manganese VII a manganese II ad opera del cloruro di stagno II: 2KMnO4 + 5SnCl2 + 16HCl →→ 2KCl + 2MnCl 2 + 5SnCl4 + 8H2O ovvero, in forma ionica: 5Sn2+ →→ 5Sn4+ + 10e 2MnO4

− + 10e + 16H+ →→ 2Mn2+ + 8H2O

5Sn2+ + 2MnO4

− + 16H+ →→ 5Sn4+ 2Mn2+ + 8H2O Si pongono in una provetta 3 o 4 mL di permanganato di potassio ( KMnO4 ) sol. 0.01 M; si aggiunge 1 mL circa di acido cloridrico ( HCl ) sol. 1:3 . Si lascia raffreddare per alcuni secondi e si aggiunge una punta di spatola di cloruro di stagno II ( SnCl2 ). Si agita ed in breve si osserva il viraggio del colore della soluzione dal viola, dato dal Mn7+ al bruno molto chiaro, quasi incolore, tipico dello ione Mn2+. L'ossidazione dello ione Sn2+ a Sn4+ può essere evidenziata con l'analisi proposta nell' esperienza " Verifica dell'equilibrio chimico in una reazione ".

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Ossidazione e riduzione dell'oro

Materiali occorrenti:

Oro - Acido nitrico sol. 65 % - Acido cloridrico sol. 37 % - Cloruro di stagno II cristallino - Vetreria. Richiami teorici:

L'oro è un metallo prezioso estremamente stabile; esso infatti non può essere ossidato dai normali acidi, quali l'acido cloridrico o l'acido nitrico, a causa del suo elevato potenziale elettrochimico. Per l'oro sono possibili due stati di ossidazione Au3+ ,il più comune ed Au+; in entrambi i casi i potenziali sono superiori a quelli propri dell'acido nitrico e dell'acido cloridrico: Infatti, Au+ + e → Aus E0 = +1.69 v Au3+ + 3e → Aus E0 = +1.40 v 2H+ + 2e → H2 (g) E0 = +0.00 v NO3

− + 4H+ +3e → NO ↑ +2H2O E0 = +0.96 v L'ossidazione dell'oro può, però, avvenire per azione di una miscela, in proporzioni di 1:3 tra gli stessi acido nitrico ed acido cloridrico concentrati; la miscela è detta acqua regia. In questa miscela l'acido nitrico funge da ossidante mentre gli ioni Cl - dell'acido cloridrico formano con gli ioni Au3+ dei complessi cloroaurici [AuCl4]-. Il complesso toglie gli ioni Au3+ dalla soluzione e contemporaneamente l'acido nitrico ne ossida degli altri dal metallo; questo, nonostante la Keq della reazione sia sfavorevole, porta tuttavia alla completa solubilizzazione dell'oro. La reazione ionica che avviene è: Au + 4Cl- →→ [AuCl4]- + 3e 3NO3

− + 6H+ + 3e →→ 3NO2 + 3H2O

Au + 4Cl- + 3NO3

− + 6H+ →→ [AuCl4]- + 3NO2 ↑↑ + 3H2O La riduzione dello ione Au3+ è possibile ad opera del cloruro di stagno II. Infatti alcune gocce di soluzione di SnCl2 in una soluzione di cloruro aurico danno un precipitato di oro colloidale dicroico, bruno al riflesso ed azzurro-verdognolo per trasparenza, detto porpora di Cassius. La reazione ossidoriduttiva è: 3Sn2+ →→ 3Sn4+ + 6e 2Au3+ + 6e →→ 2Au 3Sn2+ + 2Au3+ →→ 3Sn4+ + 2 Au

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Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: ossidazione dell'oro con acqua regia: Si prepara una quantità minima di acqua regia versando in un becker da 100 mL 30 mL di acido cloridrico sol. 37 %; a questi si aggiungono, utilizzando una pipetta, lentamente e con attenzione, 10 mL di acido nitrico sol. 65 %. Si mescola con una bacchetta in vetro e si lascia riposare per alcuni minuti. Si pone in una provetta il campione di oro, eventualmente anche oro commerciale 750 ‰ , ed in essa si versa una quantità sufficiente di acqua regia; si attende fino a completa solubilizzazione dell'oro. La soluzione risultante, di colore debolmente giallo, è una soluzione fortemente acida di [AuCl4]- ; questa soluzione potrà essere utilizzata per la fase successiva. Parte seconda: riduzione di Au3+ ad Au per opera del cloruro di stagno II: Si prepara una provetta contenente 4 o 5 mL di acqua distillata; in essa si versano con una pipetta 1 mL circa della soluzione acida di [AuCl4] - ed una punta di spatolina di cloruro di stagno II ( SnCl2 ); si agita ed in breve si osserva il formarsi dell' oro colloidale ( porpora di Cassius ) dall'aspetto dicroico, bruno al riflesso ed azzurro-verdognolo per trasparenza. Nel caso si sia esagerato con la quantità di ione cloroaurico si osserverà una colorazione nerastra, per cui sarà necessario ripetere l'esperienza con una quantità minore di reagente. Nota operativa: l' acqua regia è abbastanza instabile, per cui è necessario prepararla al momento dell'esperienza in piccole quantità. La quantità di oro necessaria è assai modesta; l'autore ha utilizzato una maglia rotta di catenina, per di più non massiccia, per produrre 10 mL circa di soluzione cloroaurica.

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Il processo alluminotermico

Materiali occorrenti:

Ossido di ferro III - Alluminio in polvere fine - Magnesio in nastrino - Refrattario o mattone - Calamita - Vetreria. Richiami teorici:

Si tratta di una semplice reazione redox che, innescata dal calore, risulta, a compimento, fortemente esotermica. In essa si ha lo spostamento del ferro dal suo ossido ( riduzione ), con formazione di goccioline di metallo fuso, ed ossidazione dell'alluminio ad Al2O3, che ha l'aspetto di solido biancastro. La reazione che avviene è la seguente: 2Al + Fe2O3 →→ 2Fe + Al2O3 + calore ( 197 kcal. ) ovvero, in forma ionica: 2Al →→ 2Al3+ + 6e 2Fe3 + 6e →→ 2Fe 2Al + 2Fe3+ →→ 2Al3+ + 2Fe Questa reazione è alla base di una importante applicazione pratica, il processo alluminotermico; questo veniva, un tempo, utilizzato per la saldatura delle rotaie ferroviarie. La miscela, chiamata termite, era anche alla base di alcuni tipi di bombe incendiarie. Esecuzione dell'esperienza:

In una capsula di porcellana si mescolano con cura 1 g. di alluminio in polvere e 3 g. di ossido di ferro III. Quando la miscela è omogenea la si dispone su un mattone o su un refrattario, formando un piccolo mucchio nel quale si inserisce il nastrino di magnesio, che ha la funzione di innesco. Si incendia il nastrino di magnesio e, a distanza di sicurezza, si osserva la reazione che velocemente procede con un bagliore e con forte sviluppo di calore. Dopo aver lasciato raffreddare per alcuni secondi, si osservano i prodotti di reazione; questi, se tutto è proceduto correttamente, appaiono come masserelle grigiastre di ossido di alluminio e palline scure di ferro. Disponendo di una piccola calamita è possibile riconoscere il ferro in quanto verrà da questa attratto. Nota operativa: per un buon esito dell'esperienza è necessario utilizzare quantità stechiometriche dei reagenti, ricordando che il PM di Al è di 26.98 e quello di Fe2O3 è di 159.69. Il rapporto deve essere sempre di 1:3.

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La pila Daniell

Materiali occorrenti:

Lamine di rame, zinco, magnesio - Soluzioni 0.1 M di solfato di rame II, solfato di zinco, solfato di magnesio - Soluzione concentrata di cloruro di ammonio - Voltmetro - Tester - Cavi di collegamento - Vetreria. Richiami teorici:

Le ossidoriduzioni consistono in un flusso di elettroni dall'elemento meno elettronegativo a quello più elettronegativo; tale flusso altro non è che energia elettrica. Se teniamo separate le due semireazioni in modo tale che il flusso compi un percorso esterno al sistema di reazione, è possibile trasformare l'energia in lavoro. Il lavoro svolto dal flusso di elettroni si chiama f.e.m. ( forza elettromotrice ) o potenziale elettrico. I sistemi che trasformano una redox in un potenziale si dicono celle elettrochimiche o pile elettrochimiche. Una pila è formata da due elementi galvanici ( semicelle ) formati ognuno da una lamina metallica immersa in una soluzione salina dello stesso metallo. I due elementi sono collegati da un ponte salino ( tubo ad U contenente una soluzione concentrata, ad es., di NH4Cl, KNO3 ) che permette la migrazione degli ioni al fine di mantenere elettricamente neutre le soluzioni senza il completo mescolamento delle stesse; tale evenienza farebbe, infatti, sì che gli ioni possano scambiarsi direttamente per contatto gli elettroni senza generare alcuna f.e.m.. Il ponte salino può essere sostituito da un setto poroso con la stessa funzione. Le due lamine metalliche sono collegate con fili elettrici ad un circuito esterno comprendente un utilizzatore, in genere un voltmetro o un multimetro. Nel circuito passeranno gli elettroni partendo dall'elettrodo che ne possiede di più, ovvero quello della semicella ove si ha l'ossidazione ( anodo o polo negativo ), per giungere all'elettrodo della semicella ove si ha la riduzione ( catodo o polo positivo ). Attraverso il voltmetro o il multimetro è possibile misurare la f.e.m. generata. Quando il sistema raggiunge l'equilibrio, il processo ha termine. Potenziale standard ( E0 ): si intende il potenziale di una redox che si svolge a 25 °C e a 1 atm. tra un elettrodo di un qualsiasi metallo in una soluzione 1 M di un suo sale ed un elettrodo ad idrogeno. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: cella Zn // Cu : Si pongono in un becker ca. 100 mL di soluzione 0.1 M di solfato di rame immergendo la lamina di rame. In un secondo becker si pone una identica quantità di solfato di zinco sol. 0.1 M immergendo la laminetta di zinco. Si collegano con due fili di diverso colore la lamina di rame all'ingresso positivo del voltmetro e la lamina di zinco all'ingresso negativo. Si riempie completamente il tubo ad U di soluzione concentrata di cloruro di ammonio, tappando le due estremità con due batuffoli di cotone; il tubo serve, come detto, da ponte salino. Si rovescia il ponte salino, controllando che vi sia continuità e si immergono i tubi nei due beckers. Se tutto è stato fatto correttamente, sul voltmetro si può osservare una f.e.m. di 1.1 volts circa. Detta f.e.m. è data dalla differenza tra i potenziali dei due elettrodi: E = E0 (Cu2+/ Cu) - E0 (Zn2+/ Zn) = 0.34 - (- 0.76) = 1.1 volts

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La reazione di ossidoriduzione che si è verificata è la seguente: Zn →→ Zn2+ + 2e Cu2+ + 2e →→ Cu Zn + Cu2+ →→ Zn2+ + Cu Lo zinco funziona da anodo ( polo negativo ) e, quindi si ossida consumandosi, mentre il rame funziona da catodo ( polo positivo ) riducendosi e, quindi, aumentando di volume. Se si dispone di un amperometro o di un multimetro, collegandolo al posto del voltmetro, è possibile misurare l'intensità della corrente. Parte seconda: Cella Mg // Cu: Si opera come nella fase seguente, sostituendo il becker della semipila Zn con un becker contenente 100 mL circa di soluzione 0.1 M di solfato di magnesio ed immergendo una lamina di magnesio. Si osserverà una f.e.m. di circa 2.71 volts. Detta f.e.m. è data dalla differenza tra i potenziali dei due elettrodi: E = E0 (Cu2+/ Cu) - E0 (Mg2+/ Mg) = 0.34 - (- 2.37) = 2.71 volts La reazione di ossidoriduzione che si verifica è la seguente: Mg →→ Mg2+ + 2e Cu2+ + 2e →→ Cu Mg + Cu2+ →→ Mg2+ + Cu Il magnesio funziona da anodo ( polo negativo ) e, quindi si ossida consumandosi, mentre il rame funziona da catodo ( polo positivo ) riducendosi e, quindi, aumentando di volume. Anche in questo caso è possibile misurare l'intensità della corrente con l'ausilio di un amperometro.

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La pila di Leclanché

Materiali occorrenti:

Pila Leclanché (modello didattico) - Cloruro di ammonio sol. 10 % - Voltmetro - Amperometro - Lampadina 1.5 V, 0.3 A - Cavi. Richiami teorici:

Nella pila a secco di Leclanché le soluzioni ove sono immersi gli elettrodi sono sostituite da poltiglie gelatinose. Il rivestimento esterno è in zinco ed agisce da anodo ( - ). Una barretta di grafite, immersa nella poltiglia ha l'esclusiva funzione di conduttore per la stessa, costituita da MnO2, NH4Cl, ZnCl2,, nerofumo, amido ed H2O, che svolge le funzioni di catodo ( + ). Durante il funzionamento lo zinco si ossida mentre il biossido di manganese si riduce. Le semireazioni sono tuttora discusse, anche se le più probabili sembrano le seguenti: ossidazione anodica: Zn →→ Zn2+ + 2e E° = - 0.76 v riduzione catodica: 2MnO2 + 2NH4

+ + 2e →→ 2MnO(OH) + 2NH3 E° = + 0.75 v

Zn + 2MnO2 + 2NH4

+ →→ Zn2+ + 2MnO(OH) + 2NH3 E°= + 1.51 v La f.e.m. espressa dalla pila Leclanchè è, quindi, di circa 1.5 volts. La pila di Leclanchè si scarica quando le reazioni raggiungono l'equilibrio. Gli ioni Zn2+ prodotti dall'ossidazione anodica reagiscono con gli ioni NH4

+ della poltiglia con la reazione: Zn2+ + 2NH4

+ + 2OH- →→ [Zn(NH3)2]2+ + 2H2O . Questo permette di mantenere bassa la concentrazione di Zn2+ e, di conseguenza, costante la f.e.m.. Nella pila lasciata a riposo l'ossidazione di questo ione complesso genera un potenziale maggiore di quello dello zinco, per cui la pila può recuperare parte della carica. L'ammoniaca che si libera al catodo isola la barretta di grafite, interrompendo il flusso di elettroni. La f.e.m. decresce, quindi, progressivamente. Esecuzione dell'esperienza:

Si pone l' anodo cilindrico in zinco nel contenitore in plastica. All'interno del tutto si pone il complesso formato dal cilindro in grafite e dalla poltiglia. Si versa nello spazio rimasto la soluzione di cloruro di ammonio fino a coprire il tutto. Quest'insieme costituisce il catodo. Si collegano, utilizzando due fili di diverso colore, l'anodo ed il catodo con un voltmetro, rispettando la polarità, e si misura la f.e.m. Questa risulta pari a circa 1.5 volts. Dopo si collega la pila all' amperometro e ad un utilizzatore, ad esempio una lampadina da 1.5 v e 0.3 A, costituendo un idoneo circuito elettrico; si determina, così, l'intensità della corrente prodotta. Nel caso della pila didattica tale intensità è pari a circa 0.5 A; essa, quindi, è in grado di accendere la lampadina. Al termine dell'esperienza si lavano con cura gli elementi con acqua corrente e si fanno asciugare all'aria.

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L'accumulatore al piombo

Materiali occorrenti:

Cella elettrolitica - Lamine di piombo - Acido solforico sol. 10 % ca. - Alimentatore in c.c. da 6/12 volts - Voltmetro - Amperometro - Lampadina 1.5 V, 0.5 A - Cavi. Richiami teorici:

Gli accumulatori al piombo sono delle pile reversibili; possono, infatti, accumulare corrente ( processo di carica ) oppure generare corrente ( processo di scarica ),in quanto la reazione di ossidoriduzione che avviene può procedere nei due sensi. Gli accumulatori sono costituiti da un anodo (-) costituito da piastre in piombo e da un catodo (+) costituito da piastre in piombo rivestite da biossido di piombo ( PbO2 ); gli elettrodi sono immersi in un elettrolita, costituito da una soluzione circa al 20 - 30 % di acido solforico. L'accumulatore può essere così schematizzato: ( - ) Pb / H2SO4 / PbO2 ( + ) Nel processo di scarica l'accumulatore funziona da cella galvanica e fornisce energia elettrica trasformando l'energia chimica: all' anodo ( - ) avviene una reazione reversibile di ossidazione , mentre al catodo ( + ) si ha una reazione reversibile di riduzione.

ossidazione anodica: Pb (s) + SO42-

(aq) →→ PbSO4 (aq) + 2e ( Pb → Pb2+ )

riduzione catodica: PbO2 (s) + 4H+ + SO42-

(aq) + 2e →→ PbSO4 (s) + 2H2O ( Pb4+ → Pb2+ )

Pb (s) + PbO2 (s) + 4H+ + 2SO42-

(aq) →→ 2PbSO4 (s) + 2H2O La f.e.m. teorica di un elemento di accumulatore al piombo può essere facilmente calcolata osservando i potenziali standard di riduzione delle due semireazioni: PbO2 (s) + SO4

2- (aq) + 4H+ + 2e PbSO4 (s) + 2H2O E0 = +1.69

PbSO4 (s) + 2e Pb (s) + SO42-

(aq) E0 = -0.36

per cui, f.e.m. = +1.69 - (-0.36 ) = 2.04 v Questo valore è riferito ad una situazione standard ( 25 °C e concentrazione 1 M ); in pratica, un elemento

al piombo in cui la concentrazione di H2SO4 sia 4÷5 M ( 20÷30 % ) , la f.e.m. è di circa 2.2 v e tende a scendere, durante l’utilizzo, a circa 2 v. Nel processo di carica le reazioni che si verificano ai due poli sono uguali ma opposte a quelle descritte, in quanto sono provocate dall'energia elettrica fornita da un generatore; con essa si trasforma PbSO4 in Pb e PbO2. La tensione da fornire deve essere di circa 2.2 v, e non deve essere suparata; infatti quando la tensione applicata raggiunge i 2.4 v si ha elettrolisi dell’acqua con sviluppo di H2 ed O2 Ciò porta ad un inutile consumo di energia elettrica e a deterioramento delle placche dell’accumulatore, per azione dei gas.

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Nel processo di scarica è opportuno non far diminuire mai la f.e.m. sotto 1.8 v per elemento. Questa evenienza porterebbe al processo di solfatazione dell’elemento. Il PbSO4 che si forma normalmente è un sale poco solubile ed aderisce alle piastre sotto forma di granuli molto piccoli. Se la f.e.m. scende sotto 1.8 v si formano dei granuli molto grossi che non riescono più a ritrasformarsi nel processo di carica. In pratica la fine della vita di una batteria di accumulatori al piombo è dovuta al processo di solfatazione. La reazione complessiva dell’accumulatore al piombo è, in definitiva, la seguente:

PbO2(s) + Pb(s) + 2H2SO4(aq) ( scarica )( carica )

2PbSO4(s) + 2H2O(aq)

Esecuzione dell'esperienza:

Il modello didattico di accumulatore al piombo è formato da una cella elettrolitica in vetro, da due lamine in piombo e da un sostegno isolato per dette. Nella cella si pone la soluzione di acido solforico , fino a ca. 4 cm. dal bordo. Si immergono le lamine di piombo, montate sul supporto isolato, e, tramite due cavi, le si collegano ad un generatore di corrente continua da 6 v. . In breve sull' anodo si nota un annerimento per formazione di PbO2 dovuto all'elettrolisi. Trascorsi alcuni minuti per la carica, si disconnettono i cavi e si misura la f.e.m. espressa dall'accumulatore collegando il voltmetro alle lamine, nel rispetto della polarità. Tale f.e.m. espressa è di circa 2 v.. Il tipo di corrente è, ovviamente, continua. Dopo questa fase si collega l'accumulatore all'amperometro e ad un utilizzatore, quale, ad esempio, una lampadina da 1.5 V, 0.3 A, costituendo un idoneo circuito. Si determina l'intensità della corrente restituita. Nel caso dell'accumulatore didattico descritto essa è pari a circa 0.5 A. Se si lascia attivo il sistema, si nota che l'intensità e, quindi, la luce emessa dalla lampadina tendono rapidamente a decrescere, ovviamente in proporzione al tempo di carica. In base alle risultanze dell'esperienza è facile comprendere perchè gli accumulatori per veicoli hanno tensioni multiple della f.e.m. espressa da una singola cella, ad esempio, 6 o 12 volts: sono costituiti, infatti, da 3 o 6 celle elementari collegate in serie. Disponendo di almeno due celle elettrolitiche didattiche è possibile verificare quanto sopra; inoltre è possibile verificare che il collegamento in parallelo di due o più celle elementari non porta ad aumento della tensione ma, bensì, a quello dell'intensità. Al termine dell'esperienza si svuota la cella elettrolitica, si lava il tutto con acqua corrente, lasciando asciugare all'aria.

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L' elettrolisi dell' acqua

Materiali occorrenti:

Voltametro di Hoffmann con elettrodi in platino - Generatore c.c. 6/12 volts 0.5 A - Acido solforico sol. 5 % ca. - Solfato di sodio sol. 5 % ca. - Idrossido di sodio sol. 5 % ca. - Sostegno - Cavi. Richiami teorici:

L'elettrolisi dell'acqua avviene quando nel solvente sia presente un elettrolita. L'elettrolita può essere, come noto, un acido, una base, un sale dissociati. Si possono verificare quindi le tre situazioni di cui alle esperienze. Da ricordare che l'acqua è formata in massima parte da molecole indissociate di H2O e solo 1 molecola su 550 milioni è dissociata in H3O+ ed OH-. Gli ioni H3O+ ed OH- hanno, come noto, concentrazione molare eguale ed il prodotto ( Kw ) di tali concentrazioni, a 25 °C, è = 1.00 ⋅ 10-14, da cui deriva che [H3O+] = 1.00 ⋅⋅ 10 -7 mol/L e [OH-] = 1.00 ⋅⋅ 10 -7mol/L, mentre [H2O] = 1000 g / 18.016 g/mol = 55.5 mol/L. Per questi motivi gli ioni H3O+ ed OH- provenienti dall'autoionizzazione dell'acqua possono essere trascurati ai fini delle reazioni elettrolitiche. Esecuzione dell'esperienza:

Si monta il voltametro sul suo sostegno inserendo gli elettrodi, montati su tappi in gomma, nei fori dei due tubi laterali. Si riempe l'apparecchio versando la soluzione scelta dal foro superiore, lasciando i rubinetti laterali aperti; non appena il liquido giunge al loro livello, si chiudono accuratamente. Si collegano gli elettrodi, tramite due cavi, al generatore di c.c., indicando sul voltametro quale sia il catodo ( - ) e quale sia l'anodo ( + ). Si accende il generatore, si nota uno sviluppo di gas ai due elettrodi. Parte prima: elettrolisi di una soluzione acquosa diluita di Na2SO4: Si utilizza una soluzione di solfato di sodio 5 % ca.; prima dell'elettrolisi sono presenti nella soluzione molecole di H2O dipolari, ioni Na+ ed SO4

2- provenienti dalla dissociazione del sale. Innescando l'elettrolisi si ottiene una migrazione di ioni e molecole, e cioè: al catodo ( - ) migrano gli ioni a carica positiva Na+ e le molecole di H2O. all'anodo ( + ) migrano gli ioni a carica negativa , SO4

2- ,e le molecole di H2O. Avvengono le seguenti reazioni ossidoriduttive Al catodo si ha la riduzione di molecole di H2O in quanto il loro potenziale redox ( E( H O / H )

02 2

= - 0.83 v )

è maggiore di quello di Na+ ( E( Na / Na )0

+ = -2.71 ).

All'anodo si ha ossidazione di molecole di H2O in virtù del loro potenziale ( E( O / H O )0

2 2 = +1.23 v )

minore di quello di SO42− ( E

( SO S O )0

42-

2 82- /

= +2.05 v ) .

Le reazioni sono: Riduzione catodica: 4H2O + 4e →→ 2H2 + 4OH- Ossidazione anodica: 2H2O →→ O2 + 4H+ + 4e Reazione complessiva: 6H2O →→ 2H2 ↑↑ + O2 ↑↑ + 4H+ + 4OH- ( 4H+ + 4OH- = 4H2O ), per cui 2H2O →→ 2H2 ↑↑ + O2 ↑↑ Parte seconda: elettrolisi di una soluzione diluita di NaOH:

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In questa fase si utilizza una soluzione ca. 5 % di idrossido di sodio. Prima dell'innesco dell' elettrolisi sono presenti in soluzione molecole dipolari di H2O e gli ioni OH- e Na+ provenienti dalla dissociazione della base. Attivando la reazione elettrolitica si ottiene una migrazione di ioni e molecole, e cioè: al catodo ( - ) migrano gli ioni a carica positiva Na+ e le molecole di H2O. all'anodo ( + ) migrano gli ioni a carica negativa , OH-, e le molecole di H2O. Avvengono le seguenti reazioni ossidoriduttive Al catodo si ha la riduzione di molecole di H2O in quanto il loro potenziale redox ( E( H O / H )

02 2

= - 0.83 v )

è maggiore di quello di Na+ ( E( Na / Na )0

+ = -2.71 ).

All'anodo si ha ossidazione di OH- in quanto il loro potenziale ( E( O / OH )0

2- = +0.40 v ) è minore di quello

di H2O ( E( O / H O )0

2 2 = +1.23 v ) .

Le reazioni sono: Riduzione catodica: 4H2O + 4e →→ 2H2 + 4OH- Ossidazione anodica: 4OH- →→ O2 + 2H2O + 4e Reazione complessiva: 4H2O + 4OH- →→ 2H2 ↑↑ + O2 ↑↑ + 2H2O + 4OH- per cui, 2H2O →→ 2H2 ↑↑ + O2 ↑↑ Parte terza: elettrolisi di una soluzione diluita di H2SO4: Si utilizza una soluzione di acido solforico 5 % ca.; prima dell'elettrolisi sono presenti nella soluzione molecole dipolari di H2O, ioni H3O+ ed SO4

2- provenienti dalla dissociazione dell'acido. Innescando la reazione elettrolitica si ottiene una migrazione di ioni e molecole, e cioè: al catodo ( - ) migrano gli ioni a carica positiva, H3O+ e le molecole di H2O. all'anodo ( + ) migrano gli ioni a carica negativa SO4

2- e le molecole di H2O. Avvengono le seguenti reazioni ossidoriduttive Al catodo si ha la riduzione di ioni H3O+ in quanto il loro potenziale redox ( E

( H / H )0

+2

= 0.00 v ) è

maggiore di quello di H2O ( E( H O / H )0

2 2= - 0.83 v ) .

All'anodo si ha ossidazione di molecole di H2O in virtù del loro potenziale ( E( O / H O )0

2 2 = +1.23 v )

minore di quello di SO42− ( E

( SO S O )0

42-

2 82- /

= +2.05 v ).

Le reazioni sono: Riduzione catodica: 4H+ + 4e→→ 2H2 Ossidazione anodica: 2H2O →→ O2 + 4H+ + 4e Reazione complessiva: 2H2O →→ 2H2 ↑↑ + O2 ↑↑ Le reazioni elettrolitiche possono continuare fino a che nel voltametro sia presente acqua o fino a che le concentrazioni degli ioni dissociati dal sale, dall'acido o dalla base non aumentino troppo. Al termine di ciascuna fase si disinserisce l'alimentatore e si osserva che i gas nei due tubi sono in rapporto volumetrico idrogeno / ossigeno ≈ 2:1, in conformità alla legge di Avogadro che dice " ... volumi eguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di pressione e temperatura, contengono lo stesso numero di moli ... ".

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L'elettrolisi di una soluzione di ioduro di potassio

Materiali occorrenti:

Tubo ad U con tubicini laterali - Sostegno - Ioduro di potassio sol. 0.1 M - Fenolftaleina sol. 1 % - Salda d'amido - Generatore c.c. 6 volts - Elettrodi in grafite o in Ni-Cr montati su tappi in gomma - Cavi. Esecuzione dell'esperienza:

Si versa la soluzione di ioduro di potassio nel tubo ad U fino ad un livello sufficiente per l'immersione degli elettrodi. Si inseriscono gli stessi nei due fori del tubo collegandoli al generatore di c.c., indicando l'anodo ( + ) e il catodo ( - ). Nella soluzione, prima dell'elettrolisi, sono presenti molecole di H2O e gli ioni: K+ e I- provenienti dalla dissociazione del sale. Si trascura la presenza di ioni H3O+ ed OH- provenienti dall'autoionizzazione di H2O. Chiudendo il circuito l'anodo richiama a sè gli anioni I- e molecole di H2O, mentre il catodo richiama a sè i cationi K+ e molecole di H2O. Le molecole di acqua sono, come noto, dipoli per cui possono migrare ad entrambi gli elettrodi. Avvengono le seguenti reazioni di ossidoriduzione: Catodo: si sviluppano bollicine di gas idrogeno formatosi dalla reazione di riduzione dell'acqua: 2H2O + 2e →→ H2 ↑↑ + 2OH-. Non si ha la contemporanea riduzione di K+ a potassio elementare in quanto il potenziale standard di questo è: E

( K / K )0

+ = -2.91 v , valore che indica una tendenza ad acquistare elettroni, ovvero a ridursi, minore di

quella dell' acqua (E( H O / H )0

2 2 = -0.83 v ).

Si preleva una parte della soluzione catodica attraverso il tubicino ponendola in una provetta; aggiungendo alcune gocce di fenolftaleina si noterà un pH basico dovuto all'aumento della concentrazione di OH- prodottosi nella reazione di riduzione. Anodo: si osserva un lento depositarsi di iodio per la reazione di ossidazione : 2I- →→ I2 + 2e Solo lo ione I- subisce l'ossidazione; il suo potenziale standard ( E

( 2I / I )

0-

2

= +0.536 v ) è,infatti, minore di

quello di H2O ( E( O / H O )0

2 2 = +1.23 v ) ; questo significa che I- ha una maggiore tendenza a cedere

elettroni, ovvero ad ossidarsi, di quella di H2O. La reazione complessiva è: ossidazione anodica: 2I- →→ I2 + 2e riduzione catodica: 2H2O + 2e →→ H2 ↑↑ + 2OH- 2H2O + 2I- →→ H2 ↑↑ + I2 + 2OH- La presenza dello iodio può essere rilevata con alcune gocce di tetracloruro di carbonio o benzene che si coloreranno in violetto o con alcune gocce di salda d'amido che darà una colorazione blu.

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L'elettrolisi di un sale fuso

Materiali occorrenti:

Bromuro di potassio - Generatore in c.c. da 6 volts - Lampadina da 6 volts - Cavi - Elettrodi in grafite - Capsula in porcellana - Bunsen. Esecuzione dell'esperienza:

Si prepara un circuito elettrico tra il generatore in c.c. e la lampadina; il circuito risulta aperto in un punto ed i cavi connessi a due elettrodi in grafite. Connettendo direttamente gli elettrodi o interponendo tra gli stessi un conduttore la lampadina si accende. Si pongono nella capsula di porcellana 2 o 3 grammi di bromuro di piombo e si immergono nel sale le punte degli elettrodi montati su un supporto isolato e protetto da una lamina di mica o amianto. Come visto nell' esperienza " La conducibilità elettrica ", la lampadina non si accende, trattandosi di una sostanza ionica cristallina. Si posiziona la capsula con il sale e gli elettrodi su un treppiede con reticella amiantata; sotto a questo si accende il bunsen. Quando il sale raggiunge il suo punto di fusione ( 373 °C ) la lampadina si accende ad indicare la chiusura del circuito e l'inizio del processo elettrolitico. All'anodo ( + ) si osserva, dopo pochi secondi, lo sviluppo di vapori rossastri di bromo elementare, dato dalla reazione di ossidazione : 2Br- →→ Br2 + 2e Al catodo ( - ) si ha la riduzione del Pb2+ a piombo elementare, secondo la reazione: Pb2+ + 2e →→ Pb Questo sarà evidente, chiudendo il bunsen e lasciando raffreddare il sistema, sotto forma di una pallina metallica che si deposita sull'elettrodo. Nota operativa: Il bromuro di piombo non si trova facilmente in commercio. Per questo può essere prodotto per precipitazione facendo reagire il bromuro di potassio con il nitrato di piombo, secondo la reazione: 2KBr + Pb(NO3)2 → 2KNO3 + PbBr2 ↓ . Il precipitato così ottenuto deve essere filtrato, lavato ed essicato accuratamente. Il sale utilizzato può anche essere sostituito dallo ioduro di piombo, eventualmente preparato nel modo descritto.

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La galvanostegia

Materiali occorrenti:

Solfato di rame sol. 10/20 % - Rame in lamina - Oggetto in lega di ferro ( es. moneta da 50 o 100 lire ) - Idrossido di sodio sol. 4 M - Acido cloridrico sol. 1:3 - Acetone - Generatore c.c. 6 volts - Cavi - Vetreria. Richiami teorici:

La galvanostegia è un processo elettrochimico con il quale è possibile ricoprire stabilmente un oggetto metallico con un metallo più pregiato ( es. oro, argento, rame, nickel, etc. ). Si effettua in un bagno galvanico sfruttando il passaggio di una corrente continua a basso voltaggio. L'oggetto funge da catodo e su di esso si ha la riduzione del metallo pregiato, mentre per anodo si utilizza una lamina di quest'ultimo che, ovviamente, si ossida. Il bagno galvanico è una soluzione di un sale del metallo pregiato. Il processo, che fà parte della galvanotecnica, ha numerosissime applicazioni industriali. In alcuni casi è definita placcatura. Esecuzione dell'esperienza:

Preliminarmente si effettua il cosiddetto decapaggio, ovvero una sgrassatura e pulizia dell'oggetto da ricoprire. Questo deve essere strofinato con un batuffolo intriso di acetone e quindi immerso, di seguito, in una soluzione di acido cloridrico sol. 1:3 ed in una di idrossido di sodio 4 M. In ultimo si lava con acqua distillata e si asciuga. Si connette, quindi, la lamina di rame al terminale a coccodrillo del cavo proveniente dal polo positivo del generatore e l'oggetto in lega di ferro al terminale del cavo collegato al polo negativo. Si immergono anodo e catodo nella soluzione galvanica posta in un becker e si accende il generatore. In breve si osserva l'apposizione di rame elementare sull'oggetto ferroso, fenomeno che diventa più evidente e completo dopo pochi minuti. Al termine si scollega il generatore, si preleva l'oggetto e si nota che la ricopertura si è intimamente legata al metallo, tanto da non poter essere rimossa per strofinio. Le reazioni ossidoriduttive che sono avvenute sono le seguenti: Ossidazione anodica: Cu →→ Cu2+ + 2e Riduzione catodica: Cu2+ + 2e →→ Cu Nota operativa: evitare di tenere l'anodo ed il catodo a distanza troppo ravvicinate; questo porterebbe ad una ricopertura troppo veloce e massiva che potrebbe assumere un colore nerastro. L'oggetto da ricoprire deve essere ruotato più volte in modo che l'apposizione elettrolitica di rame sia il più possibile uniforme.

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La conducibilità elettrica

Materiali occorrenti:

Rame - Zinco - Grafite - Zolfo - Solfato di rame - Ioduro di potassio - Benzene - Alcool etilico - Paraffina - Acido acetico glaciale e sol. 0.5 M - Acido cloridrico sol. 0.5 e 0.01 M - Solfato di rame - Idrossido di sodio cristallino - Elettrodi in grafite - Alimentatore in c.c. da 6 v - Cavi - Multimetro - Lampadina da 6 v, 0.5 A - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Lo scopo dell'esercitazione è quello di effettuare prove comparative di conducibilità elettrica tra varie sostanze: metalli, nonmetalli, liquidi, sostanze ioniche cristalline, in soluzione e allo stato fuso. Preliminarmente si appronta un circuito elettrico formato da un alimentatore in c.c. da 6 volts connesso ad una lampadina adeguata. Il circuito è aperto in un punto con terminali dei cavi a coccodrillo. Si verifica la continuità dello stesso connettendo i due terminali ed osservando l'accensione della lampadina. Si deduce che interponendo nel circuito un conduttore si osserverà la stessa cosa, mentre, nel caso di un isolante la lampadina resterà spenta. Parte prima: prove di conducibilità di alcuni metalli e non metalli: Si eseguono, nel modo indicato, prove di conducibilità delle seguenti sostanze: zinco, rame, zolfo, paraffina e grafite. Nel caso di zinco e rame si osserva l'accensione della lampadina; i due elementi sono, infatti, dei metalli. Questi, come è noto, conducono corrente elettrica in quanto nei loro atomi gli elettroni sono " delocalizzati " e, per questo, in grado di spostarsi da un atomo all'altro. Con lo zolfo non si osserva l'accensione della lampadina. Questo elemento è infatti un nonmetallo ovvero un solido molecolare ( S8 ) i cui atomi sono legati da legami covalenti ; gli elettroni possono, tutt'al più, essere condivisi tra gli atomi e non possono muoversi liberamente. I solidi molecolari covalenti sono, perciò, in massima parte, degli isolanti. Identica situazione si ha ponendo tra i due terminali un pezzetto di paraffina ( formula generica: CH3-(CH2)n-CH3 con n compreso tra 15 e 25 ); anche questa sostanza ha struttura covalente, per cui si comporta da isolante. L'esperienza con il carbonio grafite rileva che questo solido è un ottimo conduttore, pur essendo anch'esso un solido covalente. In un atomo dei quattro elettroni di valenza, tre sono legati covalentemente con tre atomi vicini su un piano, formando una struttura stabile, mentre il quarto elettrone forma doppi legami -C=C-C=C- coniugati; esso è delocalizzato e quindi in grado di spostarsi da un atomo all'altro. Questa struttura determina l'ottima conducibilità di questa sostanza. Parte seconda: prove di conducibilità di alcuni liquidi: In tre beckers si versano, rispettivamente, acqua, alcool etilico e benzene. Si connettono ai terminali due elettrodi in grafite e si immergono successivamente nei liquidi. In nessun caso si ha accensione della lampadina; infatti le sostanze liquide pure, ad eccezione del mercurio che è un metallo, si comportano da isolanti. Le tre sostanze presentano anch'esse legami di tipo covalente e perciò agiscono da isolanti. Parte terza: prove di conducibilità di sostanze allo stato puro e sciolte in acqua: Si prendono quattro beckers e si pone, nel primo una spatolata di ioduro di potassio, nel secondo una di saccarosio, nel terzo 5 o 6 mL di acido acetico glaciale e nel quarto una di idrossido di sodio cristallino. Si immergono, in successione, gli elettrodi in grafite e si osserva che in nessun caso si ha l'accensione della lampadina. Terminata questa fase si aggiungono 20 o 30 mL di acqua distillata nei beckers di cui sopra; in un quarto becker si versano 20 mL di acido acetico in sol. 0.5 M e si ripete l'esperienza. Si osserva che la soluzione di ioduro di potassio conduce corrente, permettendo l'accensione della lampadina; allo stesso modo si

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comporta la soluzione di idrossido di sodio e, in modo molto meno evidente, quella di acido acetico 0.5 M.; al contrario quella di saccarosio agisce da isolante. Tutte queste sostanze allo stato puro si comportano, quindi, da isolanti ma la loro struttura è però diversa e, per questo, diverso è il loro comportamento in soluzione acquosa. Lo ioduro di potassio è un sale e quindi un composto tipicamente ionico; gli ioni sono, però, impacchettati nel reticolo cristallino e quindi non sono in grado di muoversi liberamente. L'acqua, per la sua caratteristica fortemente dipolare è in grado di interagire con gli ioni impacchettati nel reticolo cristallino, strappandoli lentamente a questo. Gli ioni K+ e I- vengono immediatamente circondati da molecole di H2O ( solvatazione ) e sono, perciò, in grado di chiudere il circuito dirigendosi verso gli elettrodi di segno opposto. Il processo è detto di dissociazione ionica. Lo stesso comportamento si manifesta, ovviamente, con soluzioni di altri sali, quali ad esempio: NaCl, Na2SO4, KNO3, etc. L'acido acetico non è formato da ioni, ma è un composto di tipo covalente; il legame è di tipo polare per cui la condivisione di elettroni non è equilibrata; l'acqua per la sua caratteristica dipolare fa sì che gli elettroni passino del tutto su uno dei due atomi. L'acido si dissocia negli ioni CH3COO- e H+ anch'essi solvatati; essi possono, migrando agli elettrodi di segno opposto, chiudere il circuito. L'idrossido di sodio è un composto ionico poliatomico, nel quale gli ioni Na+ e OH- sono imprigionati nel reticolo cristallino. Come avviene per lo ioduro di potassio, l'acqua è in grado di liberare gli ioni che possono, così, migrare ai poli di segno opposto, chiudendo il circuito elettrico. E' evidente che nei casi precedenti ha avuto luogo una elettrolisi. Acidi, basi e sali sono elettroliti. Il saccarosio disciolto in acqua non è in grado di formare ioni, anzi si disperde in molecole neutre. Per questo motivo anche in soluzione acquosa agisce da isolante. Parte quarta: conducibilità di sostanze allo stato fuso: Si dispongono su treppiedi con reticella amiantata due capsule in porcellana; in una si pongono due spatolate di ioduro di potassio, nell'altra altrettanta paraffina. Si accende il bunsen sotto la capsula con lo ioduro di potassio e si immergono nel sale gli elettrodi in grafite, protetti da una lastrina di amianto. Dopo alcuni secondi si ha la fusione del composto e contemporaneamente si osserva l'accensione della lampadina. L'energia termica fornita è, infatti, in grado di rompere il reticolo cristallino e liberare gli ioni K+ e I- che possono quindi migrare ai poli di segno opposto in un processo elettrolitico. Si puliscono o si sostituiscono gli elettrodi e li si immergono nella paraffina, accendendo il bunsen sotto la capsula; in pochi secondi l'alcano fonde ma non si osserva l'accensione della lampadina. In questo caso l'energia termica fornita produce una fusione: le molecole sono libere di muoversi, pur rimanendo a contatto le une alle altre ma, non formandosi ioni, il comportamento è quello di un isolante. Parte quinta: influenza della concentrazione nella conducibilità di una soluzione: 5.1 - Soluzione di un sale ( solfato di rame ) : In un becker da 250 mL si pone una spatolata di solfato di rame ( o di un qualsiasi altro sale ) aggiungendo 50 mL di acqua distillata; si agita fino a completa soluzione e si immergono gli elettrodi in grafite osservando l'accensione della lampadina. Valgono per questo le considerazioni fatte per lo ioduro di potassio nella parte terza. Si aggiungono, quindi, 150 mL di acqua, osservando che la luce emessa dalla lampadina diviene più fioca. La conducibilità della soluzione salina diminuisce, infatti, con il diminuire della concentrazione, in quanto gli ioni Cu2+ e SO4

2- che possono migrare agli elettrodi di segno opposto sono di meno nell'unità di volume. 5.2 - Soluzione di un acido forte ( acido cloridrico ) : In un becker si versano 20 mL di acido cloridrico sol. 0.5 M e in un secondo becker altrettanti di soluzione 0.01 M. Si immergono gli elettrodi in grafite nel primo becker e si osserva l'accensione della lampadina, secondo quanto già considerato nella parte terza. Si applica, di seguito, il circuito al secondo becker e si nota l'affievolimento della luce emessa dalla lampadina. Questo avviene in quanto HCl è un acido forte e completamente dissociato e, pertanto, la conducibilità è dipendente dalla quantità di ioni H+ e Cl- presenti nell'unità di volume.

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5.3 -Comparazione tra soluzioni 0.5 M di acido cloridrico ed acido acetico : Si preparano due beckers contenenti uno 20 mL di acido cloridrico sol. 0.5 M ed il secondo altrettanti di soluzione equimolare di acido acetico. Si applica il circuito al becker contenente HCl e si osserva l'accensione della lampadina con luce viva. Si puliscono gli elettrodi e si passa al secondo becker contenente CH3COOH: in questo caso si osserva una luminosità della lampadina ben più fioca, tale da rendere il filamento appena incandescente. Si deduce che, a parità di concentrazione, è maggiore la conducibilità di una soluzione di un acido forte, più dissociato, rispetto ad un acido debole meno dissociato. Disponendo di un multimetro ( tester ), collegandolo in serie al circuito, è possibile effettuare una verifica più precisa di quanto sopra descritto, misurando la resistenza che, come è noto, è l'inverso della conducibilità. Le soluzioni più conduttrici avranno, di conseguenza, resistenza minore. In alternativa o a complemento è anche possibile misurare l'intensità della corrente: ad una minore conducibilità corrisponde, infatti, un minor flusso di corrente e, di conseguenza, una minore intensità. Nota operativa: la distanza tra gli elettrodi in grafite deve rimanere costante durante tutte le esperienze.

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Preparazione dell'ossigeno

Materiali occorrenti:

Nitrato di potassio - Permanganato di potassio - Biossido di manganese - Acqua ossigenata sol. 20-30 % - Acido solforico sol. 95 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: decomposizione di composti ossigenati: Si prendono 2 provette; in una si versa una punta di spatola di nitrato di potassio cristallino ( KNO3 ), nell'altra una di permanganato di potassio cristallino ( KMnO4 ). Si portano le provette al bunsen, regolato su fiamma sibilante, prima una e poi l'altra, osservando la decomposizione dei sali e lo sviluppo del gas. Questo può essere riconosciuto come ossigeno avvicinando alla bocca delle provette un fiammifero ignescente o un filo al Ni-Cr rovente: il fiammifero si riaccende e il filo al Ni-Cr si ravviva. Le reazioni che avvengono sono: calore calore 2KNO3 →→ 2KNO2 + O2 ↑↑ e 8KMnO4 →→ 4K2O + 8MnO2 + 6O2 ↑↑ Parte seconda: reazione del biossido di manganese con l'acido solforico: In una provetta si versa una punta di spatola di biossido di manganese ( MnO2 ); si fa poi gocciolare, con cautela, 1 mL circa di acido solforico sol. 95 % . Si nota subito uno sviluppo di gas, che può essere riconosciuto come ossigeno nel modo già descritto. La reazione che avviene è: 2MnO2 + 2H2SO4 →→ 2MnSO4 + 2H2O + O2 ↑↑ Parte terza: decomposizione dell'acqua ossigenata per mezzo del biossido di manganese: In una provetta si pone una punta di spatola di biossido di manganese ( MnO2 ); sopra questi si fanno gocciolare 1 o 2 mL di acqua ossigenata ( H2O2 ) al 20-30 % . Si nota un forte sviluppo di ossigeno che può essere riconosciuto con il metodo del fuscello. La reazione è la seguente: MnO

2

2H2O2 →→ 2H2O + O2 ↑↑ Il biossido di manganese, come evidente, funge da catalizzatore.

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Preparazione dell’Idrogeno

Materiali occorrenti:

Zinco in granuli o barrette - Acido cloridrico sol. 37% - Apparecchio di Kipp - Microgeneratore di gas sec. Scarano - Vetreria.

Esecuzione dell’esperienza:

Si basa sulla semplice reazione:

Zn + 2HCl → → ZnCl2 + H2 ↑↑

ovvero, in forma ionica:

ossidazione Zn →→ Zn2+ + 2e riduzione 2H+ + 2e → → H2

Zn + 2H+ → Zn2+ + H2 utilizzando l'apparecchio di Kipp. L'apparecchio di Kipp è formato da una boccia superiore terminante in un tubo che pesca nella boccia inferiore. L'attacco tra le due bocce è smerigliato e nella strozzatura è, di solito, presente un disco ceramico forato, atto ad impedire la caduta del metallo nella parte inferiore dell'apparecchio. La boccia inferiore presenta un foro con tappo smerigliato per lo svuotamento dell'acido consumato ed un foro al quale è collegato un rubinetto, montato su tappo in gomma, per il deflusso del gas. La boccia superiore è chiusa da una valvola di sicurezza. Si versa nella boccia inferiore HCl concentrato in soluzione 1:1, fino a che il livello non superi la strozzatura. Dal foro laterale, togliendo provvisoriamente il rubinetto di deflusso del gas, si fanno cadere dei granuli o cilindretti di zinco e si reinserisce il rubinetto chiuso. A contatto con l'acido si sviluppa idrogeno ed il gas spinge la soluzione nella boccia inferiore, facendola risalire nel tubo centrale. Di conseguenza lo sviluppo di gas cessa rapidamente. Per prelevare l'idrogeno è sufficiente aprire il rubinetto di deflusso, raccogliendolo in un contenitore adeguato. Con questa operazione, diminuendo la pressione interna, ricomincia la reazione ed altro idrogeno si forma. Con estrema cautela, una piccola quantità di idrogeno può essere utilizzata per un riconoscimento, incendiandola con un fuscello. Ovviamente si sconsiglia di provare ad incendiare direttamente il gas che fuoriesce dal rubinetto di deflusso. In mancanza dell’apparecchio di Kipp è possibile utilizzare un microgeneratore di gas sec. Scarano, oppure, più semplicemente, un provettone con un tappo, nel quale sia inserito un tubicino per la fuoriuscita del gas.

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Preparazione di Idrogeno da alluminio in ambiente acido e basico

Materiali occorrenti:

Alluminio in polvere - Idrossido di sodio sol. 4 o 8 M - Acido cloridrico sol. 37 % - Vetreria. Richiami teorici:

L'alluminio, elemento del III gruppo A, manifesta sia proprietà metalliche, dando composti ionici, che proprietà non metalliche, dando composti covalenti. Un elettrolita si considera anfotero quando si comporta da base debole in presenza di acidi e da acido debole in presenza di basi. L'alluminio, nel caso preso in esame, si comporta da base debole in presenza dell'acido cloridrico ( HCl ), dando il corrispondente cloruro ( AlCl3 ), e da acido debole in presenza dell'idrossido di sodio ( NaOH ), dando il corrispondente alluminato ( Na3AlO3 ). In entrambe le reazioni si ha forte sviluppo di idrogeno ( H2 ). Esecuzione dell'esperienza:

Si prendono 2 provette e in ognuna si versa una punta di spatola di alluminio in polvere . In una delle provette si versano 2 mL di acido cloridrico sol. 37 %, agitando per favorire la reazione. In breve si osserva uno sviluppo di gas che può essere riconosciuto come idrogeno per combustione, portando, con cautela, un fiammifero alla bocca della provetta. La reazione che avviene è: 2Al + 6HCl →→ 2AlCl3 + 3H2 ↑↑ Nella seconda provetta si versano 2 mL di idrossido di sodio sol. 4 o 8 M e, con l'aiuto di una pinza, si porta la stessa al bunsen per innescare la reazione. La reazione è molto esotermica e, una volta iniziata, procede velocemente dando un forte sviluppo di gas. Questo può essere riconosciuto come idrogeno nel modo già descritto. La reazione è: 2Al + 6NaOH →→ 2Na3AlO3 + 3H2 ↑↑ Nota: da ricordare che AlCl3 è un composto nel quale la percentuale di legame covalente è tanto alta che lo stesso sale fuso non conduce corrente elettrica. In soluzione acquosa, a causa dell'alto valore di energia di idratazione dello ione Al3+, si ha ionizzazione della molecola di AlCl3 con formazione di ioni Al3+ idratati e di ioni Cl -. Se si fa cristallizzare la soluzione non si ottiene più AlCl3, ma un sale formato da ioni alluminio idratati e da ioni cloro : Al(H2O)6

3+ (Cl -)3 . Lo ione Al(H2O)6

3+ è tanto stabile che, riscaldando il sale, esso si decompone ma non elimina molecole di H2O. Questo comportamento di AlCl3 è generale per tutti i sali di alluminio: essi sono covalenti se anidri e ionici se idratati.

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Preparazione dell'ammoniaca

Materiali occorrenti:

Cloruro di ammonio sol. 2 M e cristallino - Idrossido di sodio sol. 2 M - Idrossido di calcio cristallino - Fenolftaleina sol.1 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si basa sulla semplice reazione di doppio scambio tra il cloruro di ammonio e l'idrossido di sodio : NH4Cl + NaOH →→ NaCl + NH3 ↑↑ + H2O In una beuta da 200 mL si versano 50 mL circa di cloruro di ammonio sol. 2 M ed altrettanto idrossido di sodio sol. 2 M. In un becker si versano 100 mL circa di acqua distillata ed alcune gocce di fenolftaleina; non si osserva ovviamente, alcun cambiamento di colore. Si chiude la beuta con un tappo portante un tubicino da sviluppo e la si dispone su un treppiede con reticella amiantata posto sopra un bunsen, procedendo ad un lento riscaldamento. Non appena inizia l'ebollizione si immerge il tubicino di sviluppo nell'acqua del becker, facendo gorgogliare il gas prodotto dalla reazione. In pochi secondi si nota il viraggio al viola dell'acqua del becker, ad indicare uno stato di basicità dovuto al disciogliersi dell' ammoniaca. Facendo fuoriuscire il gas nell'aria, si avverte il tipico odore pungente. Una esperienza analoga, ma certamente più sbrigativa, può essere effettuata mescolando nel palmo della mano una spatolata di cloruro di ammonio ed una di idrossido di calcio e frizionando con un dito. In breve si avvertirà il tipico odore dell' ammoniaca che si è formata dalla reazione: 2NH4Cl + Ca(OH)2 →→ CaCl2 + 2NH3 ↑↑ + 2 H2O Nota operativa: le soluzioni di cui alla prima parte possono essere anche a titolo diverso pur, tuttavia, abbastanza concentrate od essere preparate al momento, sciogliendo in acqua una spatolata di entrambi i reagenti.

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Preparazione dell'acido cloridrico

Materiali occorrenti:

Cloruro di sodio crist. - Acido solforico sol. 95 % - Metilarancio sol. 0.02 % - Carbonato di calcio polvere - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si tratta di uno dei metodi classici di preparazione dell' acido cloridrico in laboratorio per reazione dell'acido solforico con il cloruro di sodio, secondo la reazione: NaCl + H2SO4 →→ NaHSO4 + HCl ↑↑ In un becker da 100 mL si versa dell'acqua distillata ed alcune gocce di soluzione di metilarancio; la colorazione, data la neutralità, risulta gialla-arancio. In una beuta da 200 mL si pongono 6 g. circa di cloruro di sodio sui quali si fanno gocciolare, utilizzando una pipetta, 5 mL circa di acido solforico sol. 95 %, chiudendo rapidamente la beuta con un tappo munito di tubo di sviluppo. Immediatamente si ha la reazione con forte sviluppo di un gas che, fatto gorgogliare nell'acqua del becker, fa virare il metilarancio al colore rosso, rivelandosi, quindi, un acido, l'acido cloridrico ( HCl ). Qualora lo si desideri, è possibile, utilizzando una maggior quantità di reagenti, preparare una soluzione più concentrata di acido cloridrico, il quale, come è noto, è molto solubile in acqua. Questa soluzione può essere saggiata, oltre che per il suo pH, anche per la sua capacità di reagire velocemente con un carbonato, ad es. con il carbonato di calcio, liberando anidride carbonica. Si prendono 5/10 mL della soluzione, preparata per gorgogliamento, di acido cloridrico versandoli in una provetta; ad essi si aggiunge una punta di spatola di carbonato di calcio in polvere fine. Si nota subito sviluppo di anidride carbonica, secondo la reazione: CaCO3 + 2HCl →→ CaCl2 + H2O + CO2 ↑↑

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Preparazione dell'acido nitrico

Materiali occorrenti:

Nitrato di sodio crist. - Acido solforico sol. 95 % - Metilarancio sol. 0.02 % - Rame in lamina - Carbonato di calcio - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si tratta di uno dei metodi classici di preparazione in laboratorio per reazione dell'acido solforico con il nitrato di sodio : 2NaNO3 + H2SO4 →→ Na2SO4 + 2HNO3 ↑↑ In un becker da 100 mL si versano dell'acqua distillata ed alcune gocce di soluzione di metilarancio; la colorazione, data la neutralità, appare gialla-arancio. In una beuta da 200 mL si pongono 5 g circa di nitrato di sodio sui quali si fanno gocciolare, utilizzando una pipetta, 10 mL circa di acido solforico sol. 95 %; si chiude rapidamente con un tappo munito di tubo di sviluppo. Si porta la beuta su un treppiede con reticella amiantata posto su un bunsen e si inizia a scaldare, con molta cautela, fino ad ebollizione. Dopo pochi secondi si ha la reazione con sviluppo di un gas che, gorgogliando nell'acqua del becker, fa virare il metilarancio al colore rosso, rivelandosi, quindi, un acido, l'acido nitrico ( HNO3 ). Qualora lo si desideri, è possibile, utilizzando una maggior quantità di reagenti, preparare una soluzione più concentrata di acido nitrico, il quale è molto solubile in acqua. La soluzione così preparata può essere saggiata, oltre che per il suo pH, anche per la sua capacità di reagire con il rame. Si prendono 5/10 mL della soluzione, preparata per gorgogliamento, di acido nitrico versandoli in una provetta; ad essi si aggiunge un pezzetto di lamina di rame, che reagisce secondo la nota reazione: 3Cu + 6HNO3 + 2HNO3 →→ 3Cu(NO3)2 + 2NO ↑↑ + 4H2O L'ossido di azoto reagisce con l'ossigeno presente nell'aria sviluppando il biossido di azoto, gas dal colore bruno e dall'odore pungente ( 2NO + O2 →→ 2NO2 ↑↑ ). La soluzione assume colore azzurro per la presenza di ioni Cu2+.

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Preparazione del carbonato di potassio dalla cenere di legno

Materiali occorrenti:

Cenere di legno - Filtri in carta - Cartine all'indicatore universale - Acido cloridrico sol. 1/3 - Filo al nickel-cromo - Vetro al cobalto - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

In un becker contenente 200 mL circa di acqua distillata si versano 2 o 3 g circa di cenere di legno, mescolando con cura fino a completa dispersione. Si aggiungono 4 o 5 palline in vetro per favorire una ebollizione uniforme. Si porta il contenitore su un bunsen con treppiede e reticella amiantata iniziando il riscaldamento; si agita con una bacchetta in vetro fino all'ebollizione, che deve essere mantenuta per circa 2 ore. Ogni tanto si controlla il sistema, aggiungendo acqua distillata calda per compensare l'evaporazione e mantenere il livello inalterato. Al termine si lascia riposare per circa 15 minuti; quindi si fanno decantare le particelle di cenere, si filtra con cura il sopranatante con un filtro in carta su imbutino, facendo gocciolare in un becker pulito. Terminata la filtrazione si prende il secondo becker, lo si porta sul bunsen facendo bollire il liquido fino a portarne il volume a circa 1/10 dell'iniziale (ca. 10 mL). Esaurita questa fase, si lascia evaporare il rimanente per almeno 24 ore, trascorse le quali si possono raccogliere dal fondo del becker dei cristalli di sale. Questi cristalli, che sono di carbonato di potassio ( K2CO3 ), possono essere sottoposti a saggio alla fiamma, alla quale impartiscono la colorazione violetta caratteristica degli ioni K+ . La presenza di ioni Na+ può mascherare la colorazione viola, per cui è necessario procedere all'osservazione tramite un vetro al cobalto ( vedere esercitazione: " Saggi alla fiamma " ). Successivamente si può procedere ad un saggio con una cartina all'indicatore universale che rileva un carattere spiccatamente basico del sale. Si evidenzia, infine, la presenza di carbonato trattando alcuni cristalli con acido cloridrico sol. 1/3, notando la classica effervescenza dovuta allo sviluppo di anidride carbonica. Nota: constatato che dalle ceneri di legno è stato ottenuto un composto potassico fortemente basico, si può capire perché per secoli la liscivia, prodotta dall'ebollizione delle ceneri di legno, è stata il migliore detergente da bucato. Più in generale si può comprendere perché la cenere di legno è stata sempre considerata un ottimo fertilizzante potassico. Il potassio, infatti, è uno dei 3 elementi necessari in relativamente forte quantità ( megaelementi ) a garantire la germinazione, la crescita e la fruttificazione delle piante. Gli altri megaelementi sono il fosforo e l'azoto ai quali si aggiunge, per certi terreni, il calcio. Gli oligoelementi ( rame, cobalto, boro, ferro, etc. ) sono invece essenziali ai vegetali in piccole quantità per costituire enzimi.

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Preparazione dell'anidride solforosa e dell'acido solforoso

Materiali occorrenti:

Solfito di sodio cristallino - Acido cloridrico sol. 37 % - Metilarancio sol. 0.2 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Questo metodo didattico di preparazione dell' anidride solforosa ( diossido di zolfo ) si basa sulla semplice reazione: Na2SO3 + 2HCl →→ 2NaCl + SO2 ↑↑ + H2O Per prima cosa si prepara un becker contenente circa 100 mL di acqua distillata e 4 o 5 gocce di soluzione di metilarancio; la colorazione impartita dall'indicatore, essendo l'ambiente neutro, sarà gialla-arancio. In una beuta si pongono, quindi, due spatolate di solfito di sodio sulle quali si fanno gocciolare 5 mL circa di acido cloridrico sol. 37 %, chiudendo rapidamente con un tappo dotato di tubo di sviluppo. Si nota subito uno sviluppo di gas anidride solforosa ( SO2 ) che, gorgogliato nell'acqua del becker, in pochi secondi fa virare l'indicatore al rosso; ciò indica una situazione di acidità. L' anidride solforosa infatti reagisce con l'acqua sintetizzando l' acido solforoso ( H2SO3 ) , con la reazione: SO2 + H2O H2SO3 L' acido solforoso è estremamente instabile, per cui riscaldando la soluzione acquosa del becker si ottiene la sua dissociazione con viraggio del metilarancio al colore giallo-arancio, per ripristino della situazione di neutralità. L'anidride solforosa riveste una grande importanza nell'inquinamento atmosferico essendo una delle sostanze responsabile delle piogge acide. L' anidride solforosa è emessa dalle centrali termoelettriche, dagli impianti di riscaldamento, dalle industrie e dalle combustioni dei motori a scoppio. Le altre sostanze maggiormente coinvolte nell'acidità delle piogge sono gli ossidi di azoto ( NxOy ). Nota operativa: la reazione di formazione dell' anidride solforosa è esotermica, per cui è opportuno operare con vetreria resistente al calore. In alternativa al solfito di sodio si può utilizzare il bisolfito di sodio o solfito acido di sodio ( NaHSO3 ), con reazione: NaHSO3 + HCl →→ NaCl + SO2 ↑ + H2O

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Preparazione dell'anidride solforica

Materiali occorrenti:

Anidride fosforica cristallina - Acido solforico sol. 1:2 - Pallone codato - Vetreria - Ghiaccio. Esecuzione dell'esperienza:

Si monta il pallone codato su un bunsen con treppiede e reticella amiantata. Alla codatura si collega, tramite un tappo forato, un tubicino in vetro lungo circa 50 cm; si pone l'estremità opposta del tubicino all'interno di una beuta posta in un contenitore con ghiaccio tritato od acqua molto fredda. Nel pallone codato si versano 2 o 3 spatolate di anidride fosforica e 50/60 mL di acido solforico sol. 1:2, chiudendo con un tappo. Si accende il bunsen e si procede ad un cauto riscaldamento. La reazione che avviene è la seguente: 3H2SO4 + P2O5 →→ 2H3PO4 + 3SO3 ↑↑ L'anidride solforica ( SO3 ) è un gas biancastro e, finendo nella beuta circondata dal ghiaccio, solidifica in cristalli aghiformi biancastri. Il suo punto di fusione è di +16.8 °C ed il punto di ebollizione di 44.9 °C, per cui è necessario conservarla in frigorifero. L'anidride solforica ha anche un forte potere disidratante per cui, al fine di evitare che assorba l'umidità atmosferica, è necessario che il contenitore sia ben chiuso. Con l' acqua reagisce con reazione fortemente esotermica dando acido solforico : SO3 + H2O →→ H2SO4 Questa reazione non ha, per le sue caratteristiche, alcuna utilizzazione né industriale né di laboratorio.

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Preparazione del cloro

Materiali occorrenti:

Permanganato di potassio - Bicromato di potassio - Acido cloridrico sol. 37 % - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si basa su due reazioni di ossidoriduzione molto simili, nelle quali si ha ossidazione dello ione Cl- ad opera di due energici ossidanti quali il permanganato di potassio ed il bicromato di potassio in soluzione acida. Si preparano due provette con 5 o 6 mL di acqua distillata; in una si aggiunge una punta di spatoletta di bicromato di potassio; nell'altra altrettanto permanganato di potassio. Nella prima provetta si fanno gocciolare con una pipetta 5 mL circa di acido cloridrico sol. 37 % . Si osserva il cambiamento del colore arancio, tipico delle soluzioni di Cr6+ al colore giallo-verde delle soluzioni di Cr3+; contemporaneamente si ha sviluppo di cloro, un gas dall'odore pungente che, a causa della densità circa 2.5 volte maggiore di quella dell'aria, non tende a fuoriuscire dalla provetta. La reazione redox che avviene è la seguente: K2Cr2O7 + 8HCl + 6HCl →→ 2KCl + 2CrCl3 + 3Cl2 ↑↑ + 7H2O ovvero, in forma ionica: 6Cl- →→ 3Cl2 + 6e Cr O2 7

2− + 6e + 14H+ →→ 2Cr3+ + 7H2O

6Cl- + Cr O2 7

2− + 14H+ →→ 3Cl2 + 2Cr3+ + 7H2O Allo stesso modo si fanno gocciolare 5 mL circa di acido cloridrico sol. 37 % nella seconda provetta; si osserva il cambiamento del colore viola intenso, tipico delle soluzioni dello ione Mn7+ al quasi incolore delle soluzioni di Mn2+. Analogamente alla reazione precedente si ha sviluppo di cloro, nei modi e con le caratteristiche già descritte. La reazione è la seguente: 2KMnO4 + 6HCl + 10HCl →→ 2MnCl2 + 2KCl + 5Cl2 ↑↑ + 8H2O ovvero, in forma ionica: 10Cl- →→ 5Cl2 + 10e 2MnO4

− + 10e + 16H+ →→ 2Mn2+ + 8H2O

10Cl- + 2MnO4

− + 16H+ →→ 5Cl2 ↑↑ + 2Mn2+ + 8H2O Nota operativa: per un buon risultato dell'esperienza è necessario che le soluzioni preparate non siano troppo concentrate. E' sufficiente, quindi, sciogliere pochissimo sale in acqua. Lo sviluppo di cloro non è, di norma, massivo.

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Preparazione dell'idrossido di sodio per " caustificazione del carbonato "

Materiali occorrenti:

Carbonato di sodio cristallino - Ossido di calcio - Cartine all'indicatore universale - Filo al nickel-cromo - Essiccatore - Vetreria. Esecuzione dell'esperienza:

Si basa su una reazione di doppio scambio, detta " caustificazione del carbonato ": Na2CO3 + Ca(OH)2 →→ 2NaOH + CaCO3 ↓↓ Si versano 10 g di ossido di calcio in polvere in una capsula di porcellana aggiungendo acqua distillata sufficiente a formare un " latte di calce " abbastanza denso ( Ca(OH)2 ). La reazione è: CaO + H2O →→ Ca(OH)2 + 19.5 KCal. Nota operativa: da notare che questa reazione è esotermica e sviluppa, quindi, calore che potrebbe rompere un contenitore inadeguato; per questo l'operazione si compie in una capsula di porcellana. Si prende un becker da 250 mL, vi si versano circa 100 mL di acqua distillata, lo si porta al bunsen, su apposito sostegno amiantato, riscaldando fino quasi all'ebollizione. Si versano nell'acqua calda 20 g di carbonato di sodio cristallino mescolando e scaldando fino a completa soluzione. Si versa allora il " latte di calce " nel becker continuando a scaldare ed agitare con una bacchetta in vetro, almeno per 10 minuti. Trascorso questo tempo si spegne il bunsen e si lascia raffreddare il becker con il suo contenuto. Il carbonato di calcio ( CaCO3 ) insolubile, formatosi con la reazione precipiterà, mentre il surnatante risulterà essere una soluzione di idrossido di sodio ( NaOH ). Si raccoglie tale frazione per decantazione o per filtrazione con imbuto filtrante o con lana di vetro ( non con filtri in carta !!! ) e, inumidendo una bacchetta in vetro, si tocca una cartina all' indicatore universale per constatare la situazione di elevata basicità. La soluzione può essere fatta evaporare, riscaldando ulteriormente e ponendola in un essiccatore per raccogliere l' idrossido di sodio cristallino che, in una ulteriore fase, potrà essere sottoposto a saggio alla fiamma al fine di evidenziare la presenza dello ione Na+ ( colorazione gialla ).

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Saggi alla perla

Materiali occorrenti:

Tetraborato di sodio decaidrato - Fosfato sodico-ammonico tetraidrato - Sali di cobalto, cromo, rame, manganese, nichelio, ferro - Acido cloridrico sol. 37 % - Filo al nickel-cromo - Bunsen - Vetreria. Richiami teorici:

Si tratta di un tipo di analisi per via secca alternativo o complementare ai saggi alla fiamma. Si basa sulla capacità che hanno alcuni sali, tra i quali il tetraborato di sodio decaidrato ( Na2B4O7 ⋅ 10H2O ), detto comunemente borace, ed il fosfato sodico-ammonico ( NaNH4HPO4 ⋅ 4H2O ), detto sal di fosforo, di fondere e formare una massa vetrosa incolore detta perla. Perla al borace: Il borace portato a fusione sulla fiamma del bunsen dapprima si rigonfia ed elimina l'acqua di cristallizzazione: calore Na2B4O7 ⋅⋅ 10H2O →→ Na2B4O7 + 10H2O ↑↑ quindi, sempre per riscaldamento, il tetraborato di sodio anidro libera anidride borica ( B2O3 ) e metaborato di sodio ( NaBO2 ) con la reazione: calore Na2B4O7 →→ NaBO2 + B2O3 Operando con fiamma ossidante, l'anidride borica è in grado di sciogliere degli ossidi metallici, eventualmente provenienti dalla trasformazione, per azione del calore, di altri composti, trasformandoli in metaborati che hanno colori caratteristici a seconda del metallo presente. La reazione è del tipo: calore B2O3 + CuO →→ Cu(BO2)2 metaborato rameico verde -azzurro Operando con fiamma riducente, meglio in presenza di poca polvere di carbone, il metaborato può ridursi dando una fiamma di diverso colore: calore 4NaBO2 + 2Cu(BO2)2 + C →→ CO + Na2B4O7 + 2NaBO2 + Cu2(BO2)2 metaborato rameoso verde tenue o incolore Continuando il riscaldamento in fiamma riducente si può avere una ulteriore riduzione a rame metallico che rende la perla rosso-bruna ed opaca: calore 4NaBO2 + 2Cu(BO2)2 + C →→ CO2 + 2Na2B4O7 + 2Cu rame rosso-bruno Perle al sal di fosforo: Il sal di fosforo portato in fusione al bunsen perde acqua ed ammoniaca trasformandosi in una perla di metafosfato sodico : calore NaNH4HPO4 ⋅⋅ 4H2O →→ NaPO3 + NH3 ↑↑ + 5H2O ↑↑ . Se il metafosfato sodico viene a contatto, alla fiamma ossidante, con ossidi metallici reagisce formando i corrispondenti ortofosfati doppi che impartiscono alla perla colori caratteristici per ogni metallo. La reazione è del tipo: calore CoO + NaPO3 →→ NaCoPO4 ortofosfato di sodio e cobalto blu scuro Anche nel caso del sal di fosforo la fusione alla fiamma riducente porta, in alcuni ossidi metallici, ad ulteriore riduzione, con colorazioni della perla differenti ( vedere tabella n.1 ) . Per alcuni metalli la perla può cambiare colore dopo il raffreddamento, per cui nella tabella sono riportati le colorazioni di alcuni metalli a fiamma ossidante e riducente e a caldo e a freddo.

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Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: saggio alla perla al borace: Si dispone il borace su un vetro da orologio ed piccoli campioni dei sali o degli ossidi di cui si dispone su una lastra di vetro. Si preparano i fili al nickel-cromo, lunghi 3 o 4 cm, montandoli su bacchette in vetro o trattenendoli con pinzette; si piegano le estremità distali del fili formando delle piccole anse, le si immergono in acido cloridrico concentrato e le si portano alla fiamma del bunsen per pulirle. Si immerge il filo pulito e rovente nel borace e lo si porta immediatamente alla fiamma ossidante ( mantello esterno ); si ripete più volte l'operazione fino ad avere una perla vetrosa e trasparente di 4 0 5 mm di diametro. A questo punto si prelevano con la perla pochi cristalli del primo ossido o del primo sale in esame e riportando alla fiamma; dopo pochi secondi di riscaldamento, avvenuta la fusione e la reazione tra l'anidride borica ed il composto, si ritira la perla e se ne osserva il colore a caldo. Si attende qualche secondo e si verifica se tale colore cambia con il raffreddamento. Si procede allo stesso modo per tutti i campioni in esame. Eventualmente si procede ad identica analisi ponendo la perla ed il campione alla fiamma riducente per osservare eventuali variazioni al colore. Nota operativa: è necessario cambiare il filo al nickel-cromo e produrre una perla nuova per ogni campione da analizzare, al fine di evitare contaminazioni. E' importante prelevare pochi cristalli del campione in quanto un eccesso porterebbe ad avere una perla molto scura e, quindi, non riconoscibile. Parte seconda: saggio alla perla al sal di fosforo: Si opera come nella fase precedente, semplicemente sostituendo al borace il sal di fosforo.

Tab.1 Colorazioni delle perle

Metallo a caldo a freddo a caldo a freddo

Cobalto azzurra azzurra azzurra azzurra

Cromo gialla-verdastra gialla-verdastra verde verde smeraldo

Ferro gialla-rossastra gialla verde verde

Manganese violetta violetta incolore rosa

Nichelio rossa-violetta rossa-violetta grigia grigia

Rame verde azzurra verde-incolore rossa-opaca

Metallo a caldo a freddo a caldo a freddo

Cobalto blu blu blu blu

Cromo verde verde verde verde

Ferro rossastra gialla verdastra verdastra

Manganese violetta violetta incolore incolore

Nichelio marrone marrone grigia grigia

Rame verde blu incolore rossa

Colorazioni impartite alla perla al boracefiamma ossidante fiamma riducente

Colorazioni impartite alla perla al sal di fosforo

fiamma riducentefiamma ossidante

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Gli alcani

Materiali occorrenti:

Metano - Esano - Benzina - Paraffina - Permanganato di potassio sol. 0.001 M - Idrossido di sodio in perle e sol. 4 M - Acetato di sodio - Acido solforico sol. 1:5 - Acqua di bromo satura - Benzene - Cloroformio - Tetracloruro di carbonio - Iodio - Saccarosio - Cloruro di sodio - Idrossido di bario sol. 1 % - Etanolo - Vetreria. Richiami teorici:

Gli alcani sono composti nei quali il carbonio è ibridato sp3, per cui formano legami σ forti. Le molecole di un alcano hanno disposizione tetraedrica con angoli di 109.5°. La formula generale è CnH2n+2 . Gli alcani sono gassosi da C1 a C4, liquidi da C5 a C16 e solidi quelli da C17 in poi. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: preparazione del metano da acetato di sodio e idrossido di sodio: In un piccolo mortaio si mescolano 1 g di acetato di sodio e 1 g di idrossido di sodio polverizzandoli accuratamente. Si raccoglie il miscuglio in una provetta e si riscalda al bunsen. A compimento della reazione si verifica la fuoriuscita del metano dalla provetta. Il gas può essere riconosciuto per combustione. La reazione è la seguente: CH3COONa + NaOH →→ Na2CO3 + CH4 ↑↑ Parte seconda: reazioni di combustione: 2.1 - Combustione del metano: Si accende un bunsen, alimentato a metano, a fiamma non sibilante e si pone sopra quest'ultima un becker da 250 ml. rovesciato, perfettamente pulito ed asciutto. In breve si osservano la condensazione sulle pareti di vetro del vapor acqueo ed il depositarsi di particelle di carbonio ( nerofumo ). In difetto di ossigeno possono, infatti, avvenire due reazioni. Nella prima: calore 2CH4 + 3O2 →→ 2 CO ↑↑ + 4H2O ↑↑ ∆H = -608.7 KJ / mole < 800 °C si ha solo l'ossidazione del carbonio dell'idrocarburo a monossido di carbonio. Nella seconda, calore CH4 + 2O2 →→ C + 2H2O ↑↑ < 800 °C lo stesso è ossidato solo a carbonio elementare. Aprendo i fori d'ingresso dell'aria del bunsen si ottiene una fiamma sibilante. Ponendo un altro becker asciutto sopra la fiamma si osserva solo la condensazione del vapor d'acqua. In questo caso è avvenuta la completa ossidazione del carbonio a biossido di carbonio, con la reazione: calore CH4 + 2O2 →→ CO2 ↑↑ + 2H2O ↑↑ ∆H = -890 KJ / mole. > 900 °C La formazione di biossido di carbonio è, con molta difficoltà, evidenziabile ponendo sopra la fiamma del bunsen una bacchetta di vetro bagnata di una soluzione di idrossido di bario. Questo si intorbidirà lievemente per formazione del carbonato di bario insolubile. La formazione del nerofumo può essere maggiormente evidenziata utilizzando, al posto del becker, una capsula di porcellana bianca Parte terza: verifica della scarsa reattività: 3.1) - Reattività del metano: In un becker si versano 10 mL circa di acqua di bromo e si diluisce con 50 mL di acqua distillata. Per mezzo di una cannula in vetro si fa gorgogliare lentamente del metano nella soluzione. Poiché non si osserva alcun cambiamento del colore della soluzione, si deduce che il bromo non ha subito alcuna riduzione e il metano, di conseguenza, non si è ossidato.

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3.2)- Reattività dell'esano: In tre provette si pongono 1 o 2 mL di permanganato di potassio sol. 0.001 M. In una provetta si aggiungono alcune gocce di idrossido di sodio sol. 4 M; in un'altra alcune gocce di acido solforico sol. 1:5. A tutte e tre le provette si aggiunge 1 mL circa di esano, si agita e si osserva che in nessun caso si verifica la decolorazione del permanganato di potassio; ciò indica che non è avvenuta, né in condizioni di neutralità né di basicità né di acidità, riduzione del Mn7+ con conseguente ossidazione dell'alcano. Parte quarta: prove comparative di miscibilità e solubilità: Disponendo di più alcani o di loro derivati ( es. tetracloruro di carbonio, cloroformio ) è possibile effettuare prove per verificare la miscibilità di tali composti. Tali prove si possono eseguire anche con altri solventi apolari ( es. benzene ) o polari ( es. acqua, etanolo ). Prove di solubilità si possono effettuare sciogliendo un alcano solido ( paraffina ) in uno liquido e provando a sciogliere nello stesso sostanze di tipo molecolare ( es. iodio, saccarosio ) o ionico ( es. cloruro di sodio ). I risultati delle prove di cui sopra possono essere raccolti in una tavola sinottica appositamente preparata. Nota: In mancanza di esano le esperienze di cui sopra possono essere effettuate con della benzina che, come è noto, è una miscela di idrocarburi a 6-7-8 atomi di carbonio. La quantità di calore o tonalità termica ( Q ) prodotta dalle reazioni di combustione può essere calcolata con la semplice formula Q = - ∆∆H . Le variazioni di entalpia delle reazioni ( ∆∆H ) sono state calcolate in modo teorico, secondo la legge di Hess ; l'entalpia di reazione è data dalla differenza della somma algebrica delle entalpie di formazione ( ∆∆Hf

0 ) dei prodotti di reazione con la somma algebrica delle entalpie di formazione dei reagenti , a condizioni standard, secondo la formula ∆∆H = ∆∆Hf

0 prodotti - ∆∆Hf0 reagenti .

In dettaglio, per la reazione di combustione completa del metano si ha: CH4 → C + H2 + 74.9 KJ C + O2 → CO2 - 394 KJ ∆H = ∆Hf

0 prodotti - ∆Hf0 reagenti = -966 - 74.9 = -891.1 KJ / mole

2H + O2 → 2H2O - 572 KJ Per la combustione incompleta del metano si ha invece: CH4 → C + H2 + 74.9 KJ C + ½O2 → CO - 111.6 KJ ∆H = ∆Hf

0 prodotti - ∆Hf0 reagenti = -683.6 - 74.9 = -608.7 KJ / mole

2H + O2 → 2H2O - 572 KJ

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Gli alcheni

Materiali occorrenti:

1-ottene - Esano - Tetracloruro di carbonio - Permanganato di potassio sol. 0.001 M - Idrossido di sodio sol. 1 M - Acqua di bromo satura - Paraffina - Cloruro di sodio - Etanolo - Iodio bisublimato - Vetreria. Richiami teorici:

Gli alcheni ( oleofine ) sono composti nei quali il carbonio è ibridato sp2. Ogni orbitale forma con quelli vicini angoli di 120°. Tra due atomi di carbonio è presente un doppio legame formato da un legame di tipo σ e da una nube elettronica ad esso perpendicolare che corrisponde al legame π ; questo è, perciò, formato dall'orbitale p non ibridato che si sovrappone ad un altro orbitale p non ibridato dell'atomo di carbonio vicino. La formula generale è CnH2n. Hanno comportamento apolare. Gli alcheni da C2 a C4 sono gassosi; quelli da C5 a C16 liquidi e solidi i termini superiori. Le reazioni degli alcheni comportano, in genere, la rottura del legame, addizionando ioni o radicali. Sono possibili reazioni di ossidazione con ossidanti forti. In queste note sono trattate, in generale, le reazioni facilmente eseguibili in laboratorio, ovvero le reazioni di ossidazione a glicoli e di addizione di alogeni. Ossidazione a glicoli: alcuni ossidanti energici, ad es. permanganato di potassio, in ambiente alcalino e a freddo, trasformano gli alcheni in glicoli ( o dioli ), alcooli con due gruppi -OH. La reazione, riferita all'etilene è la seguente: -OH CH2-OH glicol etilenico CH2=CH2 + KMnO4 →→ + KOH + MnO2 ↓↓ o a freddo CH2-OH 1,2-etandiolo Addizione di alogeni: gli alcheni reagiscono con facilità con bromo e cloro venendo trasformati in composti saturi contenenti 2 atomi di alogeno legati ad atomi adiacenti di carbonio. Questi composti sono detti alogenuri alchilici. La reazione avviene miscelando alchene e alogeno in soluzione di tetracloruro di carbonio. La reazione, riferita all'etilene è la seguente: CCl4 CH2-Br CH2=CH2 + Br2 →→ 1,2-dibromoetano o dibromuro di etile CH2-Br Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: ossidazione a glicol dell' 1-ottene: In una provetta porre 3 o 4 mL di permanganato di potassio sol. 0.001 M ed alcalinizzare con 2 o 3 gocce di idrossido di sodio sol, 1 M; si aggiunge, infine, 1 mL di 1-ottene ed agitare. In breve si osserva la scomparsa della colorazione viola, con comparsa di un colore bruno tenue; ciò indica l'avvenuta riduzione del Mn7+ a Mn4+ con contemporanea ossidazione dell'1-ottene a glicol ottilenico ( 1,2-ottandiolo ) con la reazione: -OH CH2=CH-(CH2)5-CH3 + KMnO4 →→ CH2-CH-(CH2)5-CH3 + MnO2 ↓↓ + KOH a freddo OH OH glicol ottilenico ( 1,2-ottandiolo ) Nota: la comparsa di una colorazione verdastra indica che non è avvenuta una completa riduzione del Mn7+ a Mn4+ ma, bensì, una parziale riduzione a Mn6+. Questo può essere dovuto o ad una concentrazione molare di KMnO4 troppo elevata o ad una basicità troppo accentuata. Quest'ultima situazione provoca, infatti, uno stabilizzarsi del Mn6+. Per ovviare a quanto sopra conviene ripetere l'esperienza con soluzione di permanganato più diluita ed alcalinizzando meno. Al limite, può favorire la reazione un blando riscaldamento al bunsen.

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Parte seconda: addizione di bromo all'1-ottene: Si pongono in una provetta 4 o 5 mL di acqua di bromo satura e si aggiunge 1 mL circa di 1-ottene, agitando la miscela. In breve si osserva lo scolorimento dell'acqua di bromo ad indicare che il bromo stesso si è legato all'alchene, rompendo il doppio legame e formando un alogenuro alchilico: CH2=CH-(CH2)5-CH3 + Br2 →→ CH2-CH-(CH2)5-CH3 1,2 dibromoottano o Br Br dibromuro di ottile Parte terza: prove comparative di miscibilità e solubilità: Gli alcheni hanno comportamento apolare. E' possibile verificare tale comportamento con prove di miscibilità da effettuarsi con altri idrocarburi o derivati ( es. esano, benzene, tetracloruro di carbonio, cloroformio ) e con solventi polari (es. acqua o etanolo ). Prove di solubilità nell'alchene possono essere effettuate, ad esempio, con un alcano solido ( paraffina ) e con sostanze di tipo molecolare ( es. iodio, saccarosio ) o ionico ( es. cloruro di sodio ). I risultati delle prove di cui sopra possono essere raccolti in una tavola sinottica appositamente preparata.

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Gli alchini

Materiali occorrenti:

Carburo di calcio - Acqua di bromo sol. satura - Fenolftaleina sol. 1 % - Vetreria. Richiami teorici:

Gli alchini sono idrocarburi nei quali il carbonio è ibridato sp. Tra due atomi di carbonio è presente un doppio legame formato da un legame di tipo σ e da due legami π dovuti alla sovrapposizione degli orbitali p non ibridati dei due atomi di carbonio che intervengono nel legame. Gli alchini hanno formula generale CnH2n-2 . Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: preparazione dell'acetilene ( etino ) dal carburo di calcio: Riempire di acqua una capsula in porcellana ( o altro simile recipiente ) fino a 2 cm dal bordo e far cadere in essa un pezzetto, circa 2 o 3 g di carburo di calcio. Immediatamente si osserva un forte sviluppo di acetilene ( etino ) secondo la reazione: CaC2 + 2H2O →→ HC≡≡CH ↑↑ + Ca(OH)2 ↓↓ Il formarsi di un leggero precipitato biancastro nell'acqua della capsula ed il comportamento basico, verificabile con la fenolftaleina, della stessa, riconoscono, con certezza, la formazione dell' idrossido di calcio. Avvicinando una fiamma all'acetilene in formazione si ha l'immediata accensione dello stesso, con fiamma poco luminosa e che lascia residui fuligginosi. La reazione di combustione è quella tipica degli idrocarburi: 2C2H2 + 5O2 →→ 4CO2 ↑↑ + 2H2O ↑↑ Parte seconda: addizione di bromo all'acetilene (etino): Disporre in un sostegno due provette. In una mettere 2 o 3 mL di acqua di bromo satura e 10 mL circa di acqua distillata; nell'altra, al fine di sviluppare acetilene, si versano 10 mL circa di acqua e si lascia cadere 1 g circa di carburo di calcio e si chiude velocemente con il tappo del tubo di sviluppo. Lo stesso tubo di sviluppo si inserisce nella prima provetta, al fine di far gorgogliare il gas. In breve si nota una completa decolorazione dell'acqua di bromo ad indicare l'avvenuta reazione di alogenazione. Questa reazione procede in due stadi: Br H Br Br Br

2

HC≡≡CH + Br2 →→ C = C →→ HCCH H Br Br Br trans-1,2-dibromoetene 1,1,2,2-tetrabromoetano

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Gli idrocarburi aromatici

Materiali occorrenti:

Benzene - Toluene - Fenolo - Naftalene - Esano - Etanolo - Iodio - Cloruro di sodio - Paraffina - Acido nitrico sol. 65 % - Acido solforico sol 95 % - Idrossido di sodio sol. 4 M - Vetreria. Richiami teorici:

Gli idrocarburi aromatici ( areni ) sono caratterizzati dall'anello esagonale del benzene. Questo ha formula bruta C6H6 ; gli atomi di carbonio che lo compongono sono ibridati sp2 e si trovano ai vertici di un esagono regolare. La molecola è planare, ha angoli di legame di 120° e possiede 3 doppi legami ( legami π ) dovuti alla sovrapposizione degli orbitali p non ibridati. Gli elettroni sono delocalizzati, ovvero, distribuiti in modo uguale tra tutti gli atomi di carbonio. Alcuni areni sono policiclici presentando anelli aromatici fusi. Ad es.:

CH 3

OH

NO2

Benzene Toluene Fenolo Nitrobenzene Naftalene Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: reazione di nitrazione del benzene: In un pallone da 250 mL versare, utilizzando una pipetta tarata, 2 mL di acido nitrico sol. 65 % e a questi aggiungere, goccia a goccia e refrigerando, 3 mL di acido solforico sol. 95 % che agirà da catalizzatore. Alla soluzione acida, così preparata, si aggiungono 3 mL di benzene, agitando il pallone, con cautela, al fine di favorire la reazione. Dopo 1 minuto circa si notano un forte aumento della temperatura, tale da portare la soluzione acida all'ebollizione, lo sviluppo di un caratteristico odore di mandorle amare e la formazione, in superficie, di un composto denso dal colore paglierino: il nitrobenzene. La reazione è la seguente:

+ HNO3 H2SO4 →

NO2

+ H2O Con un imbuto separatore si può separare la fase acquosa dal nitrobenzene; lo si tratta con una soluzione alcalina ( es. idrossido di sodio sol. 4 M ) e poi con acqua, in modo da eliminare ogni traccia di acido, e quindi lo si fa essiccare. Parte seconda: prove comparative di miscibilità e solubilità di areni e altre sostanze: Disponendo di diversi areni liquidi, di esano ( o altro alcano liquido ), di alcool etilico e di acqua è possibile effettuare prove crociate di miscibilità. Analoghe prove crociate di solubilità possono essere effettuate tra areni solidi ( es. naftalene o fenolo ) e i solventi già citati. Prove di solubilità in areni liquidi possono essere eseguite con varie sostanze solide quali un alcano solido ( es. paraffina ), sostanze molecolari ( es. iodio ) o ionico ( es. cloruro di sodio ). I risultati che emergono possono essere raccolti in una tavola sinottica appositamente preparata.

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Gli alcooli

Materiali occorrenti:

Metanolo - Etanolo - 1-Butanolo - 2-Butanolo - t-Butanolo - 1,2,3-Propantriolo - Bicromato di potassio - Cromato di potassio - Cloruro di zinco - Acido cloridrico sol. 37 % - Sodio - Rame - Piridina - Acido solforico sol. 95 % - Vetreria. Richiami teorici:

Gli alcooli sono derivati degli idrocarburi per sostituzione di uno o più atomi di idrogeno con gruppi ossidrile ( -OH ). Quando l'ossidrile è legato ad un atomo di carbonio primario si ha un alcool primario, caratterizzato dalla formula: RCH2OH . Quando l'ossidrile è legato ad un atomo di carbonio secondario si ha un alcool secondario, caratterizzato dalla formula: R CHOH . R Quando l'ossidrile è legato ad un atomo di carbonio terziario si ha un alcool terziario, caratterizzato dalla formula: R R COH . R R indica, come è noto, un radicale alchilico. Il gruppo caratteristico -OH è idrofilo mentre il radicale -R è idrofobo. L'effetto idrofilo e la conseguente miscibilità in acqua prevale negli alcooli a pochi atomi di carbonio. Al contrario, con l'aumentare degli stessi atomi di carbonio rispetto i gruppi ossidrile, prevale il carattere idrofobo ed una decrescente miscibilità con acqua. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: prove di miscibilità con acqua: Si prelevano campioni di 2 mL circa di ciascun alcool disponibile e si pone, ognuno, in un una provetta. Ad ogni provetta aggiungere 2 mL di acqua distillata, agitare ed osservare se si ha completa, parziale o mancata miscibilità. I risultati sono riportati nella tabella n. 1. Parte seconda: ossidazione di un alcool ad opera del bicromato di potassio: In una provetta si introducono 3 mL di etanolo sol. 95 % e 1 mL circa di acqua distillata; a questi si aggiungono una punta di spatola di bicromato di potassio agitando fino a completa solubilizzazione del sale. La soluzione appare di colore arancio intenso. Si aggiungono, con cautela, 1 mL di piridina, al fine di evitare l'ulteriore ossidazione ad acido carbossilico e 2 o 3 gocce di acido solforico sol. 95 % . Si porta la provetta sul bunsen e si scalda lentamente; subito si nota il viraggio del colore arancio ( colore del Cr6+ ) ad un colore verde tenue ( colore del Cr3+ ) ad indicare la riduzione del cromo con contemporanea ossidazione dell' alcool etilico ad aldeide acetica ( etanale ), secondo la reazione :

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piridina

3CH3-CH2-OH + Cr72- + 8H+ →→ 3CH3-CHO + 2Cr3+ + 7H2O

Parte terza: ossidazione di un alcool in presenza di rame ad alta temperatura: In un piccolo becker si pongono 10-20 mL di metanolo. A parte si riscalda una lastrina di rame tenuta da pinze; quando la lastrina è arroventata con le dovute cautele, la si immerge rapidamente nel metanolo. Si osserva immediatamente l'ossidazione del metanolo ad aldeide formica ( metanale ) riconoscibile dal caratteristico odore. La reazione è : Cu 2CH3-OH + O2 →→ 2H-CHO + 2H2O metanolo 200/300 °C metanale Parte quarta: riconoscimento di un alcool con reattivo di Lucas: Il reattivo di Lucas si prepara al momento essendo molto deperibile: si sciolgono 13.6 g di cloruro di zinco in 10 mL di acido cloridrico sol. 37 % . Si tratta 1 mL di alcool con 3 mL di reattivo di Lucas, in una provetta, agitando per favorire la reazione: Alcool terziario ( es. alcool t-butilico ): la soluzione intorbida e si forma uno strato oleoso che subito viene a galla. Il composto formatosi è l'alogenuro alchilico. Alcool secondario ( es. alcool sec-butilico ): la formazione dell'alogenuro alchilico avviene dopo circa 5 minuti. Alcool primario ( es. alcool n-butilico, etilico ): non si verifica la stratificazione. Dalle osservazioni precedenti si deduce che gli alcooli terziari reagiscono molto velocemente con gli acidi alogenidrici, gli alcooli secondari sono più lenti e quelli primari reagiscono solo molto lentamente. La reazione generica è: ZnCl

2

ROH + HCl →→ RCl + H2O Parte quinta: formazione di un alcossido ( alcolato ): Gli alcooli sono acidi deboli, per cui possono reagire con metalli reattivi ( es. metalli del I° gruppo ) per dare alcossidi ( alcolati ). Ad es. l'etanolo può reagire con il sodio: 2CH3-CH2-OH + 2Na →→ 2CH3-CH2-O-Na + H2 ↑↑ etanolo etilato di sodio ( etilossido di sodio ) In una capsula di porcellana si pongono 10 mL circa di etanolo sol. 95° e ad essi si aggiungono piccoli pezzi di sodio ( in tutto 4 o 5 g ), facendo molta attenzione ad evitare che il calore di reazione possa incendiare l'idrogeno o l'etanolo. Alla fine si lascia evaporare l'alcool in eccesso; nella capsula si deposita una polvere biancastra, l'alcossido, che può essere raccolta ed analizzata.

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Tab.1 Miscibilità di alcuni alcooli in acqua

Alcool Miscibilità in acqua metanolo CH3-OH ( alcool metilico )

completa

1-butanolo CH3-CH2-CH2-CH2-OH ( alcool n-butilico )

scarsa

CH3 2-metil-2-propanolo H3C-C-OH ( alcool ter-butilico ) CH3

molto scarsa

etanolo CH3-CH2-OH ( alcool etilico )

completa

CH2-OH glicerolo CH-OH ( glicerina ) CH2-OH

completa

2-butanolo CH3-CH-CH2-CH3 ( alcool sec-butilico ) OH

scarsa

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Gli acidi carbossilici

Materiali occorrenti:

Acido acetico glaciale. - Acido ossalico - Acido oleico - Etanolo - Acido solforico sol. 95% - Bicromato di potassio cristallino - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Magnesio - Idrossido di bario sol. 1 % - Fenolftaleina sol. 1 % Cartine indicatrici - Vetreria . Richiami teorici:

O Gli acidi carbossilici sono composti organici caratterizzati dal gruppo carbossile C ( -COOH ). OH Il carbossile può essere legato ad un radicale alifatico -R ( acidi carbossilici alifatici ) o ad un anello benzenico ( acidi carbossilici aromatici ). Nel caso che la molecola presenti due gruppi -COOH l'acido è genericamente detto dicarbossilico o alcandioico. Es. COOH | acido etandioico o acido ossalico COOH Gli a.c. hanno carattere polare, formano legami ad idrogeno tra le loro molecole e con molecole di H2O. Aumentando di dimensione la catena alifatica diminuisce la funzione carbossilica e con essa la solubilità in acqua. Gli a.c. a catena semplice sono liquidi, quelli ad elevato P.M. sono solidi. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: esame delle caratteristiche fisiche di alcuni acidi carbossilici: Disponendo di più a.c. è possibile effettuare un esame delle caratteristiche, quali lo stato fisico (liquido o solido), la densità, l'odore, la miscibilità con acqua o con eventuali solventi apolari, il pH, la conducibilità elettrica di soluzioni a diverse concentrazioni. I dati raccolti sperimentalmente possono essere riportati in una tabella appositamente preparata. Parte seconda: preparazione di acido acetico per ossidazione di etanolo con bicromato di potassio: Si basa sulla reazione generica: ox ox R-OH →→ R-CHO →→ R-COOH In un pallone codato da 100 mL si pongono 20 mL di alcool etilico 95° e 20 mL di acqua distillata. Si agita per mescolare perfettamente e si aggiunge una punta di spatola di bicromato potassico; la soluzione assume il colore caratteristico arancio del Cr6+. Goccia a goccia, si versano 2 mL ca. di acido solforico sol. 95 % , si tappa e si porta sul bunsen con reticella amiantata per un cauto riscaldamento. In poco tempo si osserva il cambiamento del colore al verde ad indicare la riduzione del Cr6+ a Cr3+; contemporaneamente si ha l'ossidazione dell'alcool etilico ad acido acetico, che distilla dalla tubolatura del palloncino e che è riconoscibile per il caratteristico odore, ben diverso da quello dell'alcool e per il pH acido, verificabile con una cartina all'indicatore universale. La reazione è: O O

CH3-CH2-OH + K2Cr2O7 H SO2 4 → CH3-C H SO2 4 → CH3-C H K2Cr2O7 OH alcool etilico aldeide acetica acido acetico

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Parte terza: reazioni di salificazione: Gli a.c. possono dare reazioni di salificazione sia con idrossidi sia con metalli. Ad esempio una reazione di salificazione acido-base è quella tra l'acido acetico dell'aceto di vino e una soluzione di idrossido di sodio, già vista nella relativa esercitazione, alla quale si rimanda per le modalità di esecuzione. Una semplice reazione acido-metallo può essere quella tra il magnesio e l'acido acetico. In una provetta si versano 5 mL di acido acetico glaciale e 5 mL di acqua distillata e si immerge una lastrina di magnesio. Si nota lo sviluppo di gas idrogeno ed il formarsi, in soluzione, di acetato di magnesio, con la reazione: 2CH3-COOH + Mg →→ (CH3-COO)2Mg + H2 ↑↑ La descritta reazione può essere effettuata anche con altri metalli reattivi, quali il sodio o il calcio. Parte quarta: reazione di decarbossilazione dell'acido ossalico: In una provetta si versa una spatolata di acido ossalico cristallino; si chiude la provetta con un tappo con tubo di sviluppo che sarà immerso in una soluzione di idrossido di bario contenuta in una seconda provetta. Si porta la provetta con l'acido ossalico al bunsen e si riscalda fino a 160-180 °C e si nota lo sviluppo di gas, anidride carbonica, che intorbidirà, come noto, l'idrossido di bario. La reazione è: COOH 160-180 °C | →→ H-COOH + CO2 ↑↑ COOH acido ossalico acido formico

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Le aldeidi e i chetoni

Materiali occorrenti:

Aldeide acetica - Aldeide formica - 1-butanolo - 2-propanolo - Acetone - Bicromato di potassio cristallino - Acido solforico sol. 95 % - Nitrato di argento sol. 0.1 M - Idrossido di ammonio sol. 2 % - Idrossido di sodio sol. 1 M - Reattivi di Fehling - Piridina - Vetreria. Richiami teorici:

Le aldeidi ed i chetoni sono caratterizzati dal gruppo funzionale carbonile C=O . Il legame C=O è composto da un legame di tipo σ e da uno di tipo π ; il carbonio è ibridato sp2 e la molecola è planare. Nelle aldeidi un gruppo carbonilico è legato a uno o a due atomi di idrogeno e a non più di O un radicale alchilico, secondo la formula generale RC . Nei chetoni il gruppo carbonile H R è legato direttamente a due radicali alchilici , secondo la formula O C R In laboratorio è possibile preparare aldeidi per ossidazione di alcooli primari e chetoni per ossidazione di alcooli secondari. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: preparazione dell'aldeide n-butirrica per ossidazione dell' 1-butanolo con bicromato di potassio: In una provetta si introducono 3 mL di 1-butanolo e 1 mL circa di acqua distillata; a questa soluzione si aggiungono una punta di spatola di bicromato di potassio agitando fino a completa solubilizzazione del sale. La soluzione appare di colore arancio intenso. Si aggiungono, con cautela, 1 mL di piridina, al fine di evitare l'ulteriore ossidazione ad acido carbossilico e 2 o 3 gocce di acido solforico sol. 95 %. Si porta la provetta sul bunsen e si scalda lentamente; subito si nota il viraggio del colore arancio ( colore del Cr6+ ) ad un colore verde tenue ( colore del Cr3+ ) ad indicare la riduzione del cromo con contemporanea ossidazione dell' alcool n-butilico ad aldeide butirrica ( butanale ), secondo la reazione: piridina

3CH3-CH2-CH2-CH2-OH + Cr O2 72- + 8H+ →→ 3CH3-CH2-CH2-CHO + 2Cr3+ + 7H2O .

L'aldeide n-butirrica è riconoscibile dal caratteristico odore. Parte seconda: preparazione dell'acetone per ossidazione del 2-propanolo con bicromato di potassio: In una provetta si introducono 3 mL di 2-propanolo e 1 mL circa di acqua distillata; a questa soluzione si aggiungono una punta di spatola di bicromato di potassio agitando fino a completa solubilizzazione del sale. La soluzione appare di colore arancio intenso. Si aggiungono, con cautela, 2 o 3 gocce di acido solforico sol. 95 %. Si porta la provetta sul bunsen e si scalda lentamente; subito si nota il viraggio del colore arancio ( colore del Cr6+ ) ad un colore verde tenue ( colore del Cr3+ ) ad indicare la riduzione del cromo con contemporanea ossidazione del 2-propanolo ad acetone ( propanone ), secondo la reazione:

3CH3-CH-CH3 + Cr O2 72- + 8H+ →→ 3CH3-C-CH3 + 2Cr3+ + 7H2O

OH O Il chetone è molto più stabile dell'aldeide, per cui non può aver luogo una ulteriore ossidazione ad acido carbossilico. L'acetone è riconoscibile dal caratteristico odore.

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Parte terza: reazione di Tollens e formazione dello specchio d'argento: Con questa reazione è possibile verificare il potere riducente delle aldeidi. Il reattivo di Tollens è deperibile e si prepara al momento versando in una provetta 2 mL di nitrato di argento sol. 0.1 M, 1-2 gocce di idrossido di sodio sol. 1 M ed alcune gocce di idrossido di ammonio sol. 2 % , fino a completa soluzione. In una seconda provetta si versano 1-2 mL di aldeide ( formica o acetica ), si aggiungono 5 o 6 gocce del reattivo di Tollens e si porta al bunsen per un cauto riscaldamento. Dopo pochi secondi si nota sul fondo della provetta la comparsa dello specchio d'argento dovuto alla riduzione di Ag+ a argento elementare. La reazione generica che avviene è: O H O

2 O

3OH- + 2Ag(NH3)2+ + RC →→ 2Ag + RC + 4NH3 + 2H2O H O- Come si vede, l'aldeide si ossida al corrispondente acido carbossilico. Nota operativa: operare con guanti in gomma monouso al fine di evitare macchie di argento metallico sulle mani. Parte quarta: esame del differente potere riducente di aldeidi e chetoni con reattivo di Fehling: Questa esercitazione evidenzia il differente potere riducente di aldeidi e chetoni. Il reattivo di Fehling è costituito da due soluzioni, la soluzione A di solfato di rame II e la soluzione B alcalina di tartrato di sodio e potassio . Al momento dell'analisi si mescolano in una provetta 5 mL per ciascuna delle due soluzioni. In una provetta si versano 2 mL di aldeide ( formica o acetica ) e in una seconda provetta 2 mL di acetone. Si pongono le provette in un bagnomaria caldo ( o in un becker con acqua calda ) e si versano, in ciascuna, 3 o 4 mL di reattivo di Fehling completo. Nella provetta contenente l'aldeide si osserva il formarsi di un precipitato bruno di ossido di rame I ( riduzione del Cu2+ del solfato a Cu+ nell'ossido ) e contemporanea ossidazione dell'aldeide ad acido carbossilico, con la reazione: O ione complesso O RC + Cu2+ →→ RC + Cu2O H OH Nella provetta contenente il chetone non si ha alcuna reazione redox: questi composti carbonilici, infatti, reagiscono solo con energici ossidanti ( es. permanganato di potassio a caldo ).

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Gli esteri

Materiali occorrenti:

Acido acetico glac. - Etanolo 95 % - Olio di oliva ( o di semi ) - Idrossido di sodio sol. 8 M - Cloruro di sodio crist. - Acido solforico sol. 95 % - Sapone di Marsiglia - Vetreria . Richiami teorici:

Gli esteri sono composti derivati dalla reazione di un acido carbossilico ed un alcool con eliminazione di acqua, secondo la reazione generica: O H+ O R−−C + H-O-R' R-C + H2O O-H O-R' Nel gruppo caratteristico, detto alcossilico, O-R' il radicale può essere di tipo alifatico o aromatico. Gli esteri a basso P.M. sono molto volatili ed hanno odori caratteristici, spesso simili a quelli di vari frutti. Sono composti molecolari pochissimo solubili in acqua e solubili nei composti apolari. Se la reazione di formazione avviene tra un acido carbossilico con numero di atomo di carbonio da 12 a 22 e il glicerolo ( 1,2,3-propatriolo ) si ottiene un trigliceride : CH2-OH CH2-OCO-R | O | CH-OH + 3 R-C →→ CH-OCO-R' + H2O | O-H | CH2-OH CH2-OCO-R'' Se a reagire è un acido carbossilico saturo ( es. laurico, palmitico, stearico ) il trigliceride è solido e si dice grasso. Se a reagire è un acido carbossilico insaturo ( es. linoleico, linolenico, oleico ) il trigliceride è liquido e si dice olio. Di norma grassi e olii contengono diversi acidi carbossilici. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: sintesi dell'acetato di etile ( etanoato di etile ): La reazione di sintesi di un estere è abbastanza lenta e richiede alte temperature. E' perciò necessario utilizzare un sistema di riscaldamento formato da un pallone e da un " refrigerante a ricadere " al fine di evitare l'evaporazione dei reagenti. In un pallone in vetro pyrex da 250 ml. si versano 20 mL di acido acetico glaciale e 20 mL di alcool etilico 95°; si mescola e si aggiungono, goccia a goccia, 10 mL di acido solforico sol. 95 % . Si monta il refrigerante e si riscalda lentamente per circa 10 minuti. A reazione avvenuta si lascia raffreddare e dopo 10 minuti si aggiungono 100 mL circa di acqua distillata. L'estere formatosi, l'etanoato di etile, avendo densità minore ed essendo insolubile, galleggerà sull' acqua. L'eccesso di acido può essere eliminato con agitazione in una soluzione al 10 % di carbonato di sodio e l'estere essere separato attraverso un imbuto separatore. La reazione avvenuta è: O O CH3-C + CH3-CH2-OH →→ CH3-C +H2O O-H O-CH2-CH3 acido acetico etanolo acetato di etile Parte seconda: reazione di idrolisi di un trigliceride ( reazione di saponificazione ):

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La reazione di un trigliceride con una soluzione di idrossido di sodio ( o di potassio ) porta alla formazione di un sale sodico ( o potassico ) di un acido grasso. Tale prodotto è un sapone. I saponi sono duri quando si tratta di sali sodici e molli quando si tratta di sali potassici. In un becker da 100/200 ml. si versano 10 mL di olio di oliva ( o di semi ) e 5 mL di idrossido di sodio sol. 8 M. Si aggiungono 10 mL di acqua distillata e si porta il becker su una reticella amiantata posta su un bunsen, procedendo ad un lento e cauto riscaldamento. Si agita frequentemente, aggiungendo acqua se questa evapora, fino a che la saponificazione non si è completata. Quando si osserva la comparsa di schiuma e la completa assenza di gocce di olio, si aggiunge una spatolata di cloruro di sodio crist. al fine di favorire l'aggregarsi del sapone in micelle. Si lascia raffreddare e si recupera il sapone formatosi. Da notare che il prodotto è notevolmente alcalino. La reazione avvenuta è: CH2-OCO-R CH2-OH | | CH-OCO-R' + 3NaOH →→ 3R-COONa + CH-OH | | CH2-OCO-R'' CH2-OH trigliceride sapone glicerolo Parte terza: esame del potere detergente dei saponi: L'azione detergente del sapone è determinata dalla struttura molecolare dello stesso in cui esiste una parte lipofila apolare ( coda ) ed una parte idrofila polare ( testa ). Lo sporco grasso viene aggredito dalle code lipofile e ridotto in particelle ove le stesse code affondano; le particelle sono disperse nell'acqua per mezzo delle teste idrofili. L'azione meccanica porta al completo distacco dello sporco. Per verificare l'azione detergente del sapone, si preparano due provette contenenti ciascuna 5 mL di acqua distillata e 5/10 gocce di olio. In una delle due provette si aggiunge una piccola quantità di sapone di Marsiglia ( o del sapone precedentemente preparato ). Si agitano entrambe le provette e si nota che nella prima provetta, quella senza il sapone, si ha stratificazione dell'olio sull'acqua, mentre nella seconda provetta, quella contenente il sapone, si ha una omogenea dispersione delle particelle del grasso nell'acqua. Le proprietà detergenti dipendono, quindi, dalla capacità del sapone di formare emulsioni in cui le molecole del sapone stesso " racchiudono " le particelle di sporco in un involucro solubile in acqua che ne permette la dispersione.

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Reazioni di idrolisi di esteri o di saponificazione

O CH2-O-C-(CH2)7-CH=CH-(CH2)7-CH3 CH2-OH O CH-O-C-(CH2)7-CH=CH-(CH2)7-CH3 + 3Na+OH- →→ CH-OH + 3CH3-(CH2)7-CH=CH-(CH2)7-COO- Na+ O CH2-O-C-(CH2)7-CH=CH-(CH2)7-CH3 CH2-OH

Trioleina Glicerolo Oleato di sodio O CH2-O-C-(CH2)14-CH3 CH2-OH O CH-O-C-(CH2)14-CH3 + 3Na+OH- →→ CH-OH + 3CH3-(CH2)14-COO- Na+ O CH2-O-C-(CH2)14-CH3 CH2-OH Tripalmitina Glicerolo Palmitato di sodio O CH2-O-C-(CH2)16-CH3 CH2-OH O CH-O-C-(CH2)16-CH3 + 3Na+OH- →→ CH-OH + 3CH3-(CH2)16-COO- Na+ O CH2-O-C-(CH2)16-CH3 CH2-OH Tristearina Glicerolo Stearato di sodio

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Determinazione dell'acidità dell'olio d'oliva

Materiali occorrenti:

Olio extravergine d'oliva - Idrossido di potassio sol. 0.1 M - Etere etilico - Alcool etilico assoluto - Fenolftaleina sol. 0.1 % - Buretta da 25 mL - Vetreria. Richiami teorici:

I grassi e gli oli sono comuni sostanze alimentari. I grassi sono per lo più di origine animale ( burro, lardo ) mentre gli oli hanno origine vegetale ( olio d'oliva, olio di semi di mais, olio di semi di soia, etc. ). La struttura di base di grassi ed oli è la stessa; sono, infatti, triesteri del glicerolo ( triacil-gliceroli ), ovvero trigliceridi. La struttura base dei trigliceridi è la seguente

CH

O

R

CH

CH

2

O

OO

O

C

C

C

R

R2

O'

''

ove R, R' e R'' sono degli acidi grassi superiori. Gli acidi grassi possono essere saturi quando presentano legami semplici: acido laurico CH3(CH2)10COOH, acido palmitico CH3(CH2)14COOH, acido starico CH3(CH2)16COOH, od insaturi quando presentano uno o più doppi legami: acido oleico CH3(CH2)7CH=CH(CH2)7COOH, acido linoleico CH3(CH2)4CH=CHCH2CH=CH(CH2)7COOH, acido linolenico CH3CH2CH=CHCH2CH=CHCH2CH=CH(CH2)7COOH. In genere un grasso od un olio contiene più di un AG, anche se uno è, normalmente, in quantità preponderante. Ad esempio nell'idrolisi dell'olio d'oliva si ricava circa l' 83 % di acido oleico; dal burro è possibile ricavare per idrolisi anche più di 15 tipi di AG. Secondo la legislazione italiana ( DM 31 -10 -1987, n.509 ) l'olio d'oliva è classificato in base all'acidità espressa in acido oleico. Nell'olio extravergine d'oliva tale acidità in acido oleico deve essere £ 1 g x 100 g di olio. La determinazione dell'acidità di un olio si effettua con una titolazione con idrossido di potassio sol. 0.1 M; da questa si ricavano sia il numero di acidità, ovvero i mg di KOH necessari a neutralizzare gli acidi liberi presenti in 1 g di olio, sia l'acidità espressa in %M di acido oleico. Le formule da applicare sono:

numero di acidità = v M 56.1

P % acido oleico =

v M 28.2P

M

⋅ ⋅ ⋅ ⋅e

ove v = mL di soluzione di KOH usati, M = molarità della soluzione di KOH e P = massa in g dell'olio. La reazione di neutralizzazione che avviene, riferita all'acido oleico può essere così schematizzata: CH3(CH2)7CH=CH(CH2)7COOH + KOH →→ CH3(CH2)7CH=CH(CH2)7COOK + H2O . Esecuzione dell'esperienza:

Si pesano accuratamente su bilancia analitica, in una beuta da 250 mL, 10 grammi di olio in esame. In un cilindro graduato si prepara una miscela 1:3 di alcool etilico ed etere etilico e la si travasa in una seconda beuta da 250 mL. Si prepara la buretta sul suo sostegno versando in essa la soluzione di idrossido di potassio 0.1 M, fino alla tacca di zero.

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Si prende la beuta contenente la miscela alcool - etere e ad essa si aggiungono 1-2 mL di fenolftaleina sol. 1 %; poiché la miscela risulta debolmente acida è necessaria neutralizzarla con alcune gocce di soluzione di KOH, fatte defluire dalla buretta, fino a evidente colorazione violetta. Si aggiunge alla buretta soluzione di idrossido di potassio 0.1 M fino a ripristino del livello allo zero, si travasa la miscela prima preparata nella beuta contenente l'olio d'oliva, si agita per agita per alcuni secondi al fine di rendere omogeneo il tutto, che, per la presenza degli acidi grassi, ritorna incolore. Si dà inizio alla titolazione gocciolando lentamente il titolante; al viraggio della soluzione si chiude il rubinetto annotando la quantità utilizzata. Siano stati utilizzati 2 mL di idrossido di potassio sol. 0.1 M, applicando le formule citate si ha:

numero di acidità = v M 56.1

P =

2 0.1 56.110

= 1.122 ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

% acido oleico = v M 28. 2

P =

2 0.1 28.210

= 0.564 %M

⋅ ⋅ ⋅ ⋅

Dai valori ricavati, si evince che l'olio in esame rientra nei parametri di acidità stabiliti dalla legge. Nota operativa: la miscela alcool etilico - etere etilico deve essere preparata, se possibile, sotto cappa a causa della volatilità dell'etere. Accertarsi che non siano presenti nelle vicinanze fiamme libere o riscaldatori elettrici in funzione. Al posto dell'olio d'oliva può essere utilizzato anche un altro tipo di olio vegetale od un grasso solido, ad esempio il burro. In quest'ultimo caso il grasso deve essere preventivamente fuso in modo da permettere una completa soluzione nella miscela.

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I carboidrati

Materiali occorrenti:

Saccarosio - Glucosio - Fruttosio - Amido - Reattivo di Fehling - Acido solforico sol. 95 % - Acido cloridrico sol. 37 % - Iodio sol. 0.01 M - Vetreria. Richiami teorici:

I carboidrati o glucidi sono composti organici, in generale, con formula elementare Cn(H2O)n. Presentano dei gruppi -OH, per cui possono essere considerati alcooli polivalenti e un gruppo aldeidico ( aldosi ) o un gruppo chetonico ( chetosi ). I carboidrati più semplici sono i monosaccaridi . Ad es. ribosio, galattosio e glucosio sono monosaccaridi aldosi; il fruttosio è un monosaccaride chetoso. Più unità di monosaccaridi (da 2 a migliaia) possono legarsi con un legame glicosidico che si stabilisce tra un gruppo -OH di un monosaccaride ed uno in posizione 1 di un altro monosaccaride, con perdita di una molecola di H2O. Se i monosaccaridi sono due si hanno i disaccaridi, tra i quali: saccarosio ( glucosio + fruttosio ), lattosio ( glucosio + galattosio ) e maltosio ( glucosio + glucosio ). Se i monosaccaridi sono in numero superiore si hanno i polisaccaridi, tra i quali: glicogeno : catena ramificata di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. cellulosa : catena lineare di β-D-glucosio con legami β-1,4-diglicosidici. amilosio : catena lineare di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. amilopectina : catena ramificata di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. amido : costituito da amilosio e amilopectina. I carboidrati a basso peso molecolare sono anche detti zuccheri. Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: disidratazione del saccarosio: Il saccarosio, C12H22O11 può essere disidratato a carbonio con perdita di 11 molecole di H2O per azione dell'acido solforico concentrato. In un vetro da orologio si pongono 10 g circa di saccarosio commerciale e su questi si versano 2 o 3 mL di acido solforico 95 % . In pochi secondi si forma una massa scura. La reazione che è avvenuta è la seguente:

C12H22O11 H SO2 4 → 12C + 11H2O

Parte seconda: esame del potere riducente di alcuni zuccheri: Come noto gli zuccheri possono presentare un gruppo aldeidico o un gruppo chetonico. Il primo conferisce un potere riducente maggiore del secondo. Il saccarosio, disaccaride, è formato da una molecola di glucosio e da una di fruttosio legate con legame α -1,2-diglicosidico; per questo non vi sono più gruppi carbonilici liberi con capacità riducenti. La verifica sperimentale di quanto sopra si effettua con il reattivo di Fehling, già utilizzato per le aldeidi. In questo reattivo è presente del Cu2+ , ione dal tipico colore blu, che può essere ridotto a Cu+, precipitando sotto forma di Cu2O dal colore mattone, per azione di un agente riducente. Si preparano 10 mL di reattivo di Fehling completo ( 5 mL sol. A + 5 mL sol. B ) e tre provette contenenti 5 mL circa di acqua distillata. In una provetta si versa una piccola spatolata di glucosio, nella seconda una di fruttosio e nella terza una di saccarosio; si agitano le provette e a ciascuna si aggiungono 3 mL di reattivo di Fehling. Si porta la provetta con il glucosio al bunsen e si scalda; in pochi secondi si nota la formazione del precipitato color mattone di Cu2O. Il Cu2+ si è ridotto a Cu+ e il gruppo aldeidico del glucosio in posizione 1 si è ossidato a gruppo carbossilico, dando l'acido gluconico.

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Si pone sul bunsen la provetta con il fruttosio e si nota che il precipitato si forma un po' più lentamente ed appare lievemente meno intenso, ad indicare una minore reattività riduttiva del gruppo chetonico. Nel fruttosio è il gruppo chetonico in posizione 2 che si ossida a gruppo carbossilico. Riscaldando al bunsen la provetta contenente la soluzione di saccarosio non si forma alcun precipitato, in quanto il disaccaride non presenta siti carbonilici disponibili per la reazione ossidoriduttiva. Parte terza: inversione del saccarosio: Trattando il saccarosio con un acido forte si ottiene la rottura della molecola dei due esosi componenti, il fruttosio e il glucosio. Tale processo è detto inversione e, ovviamente, rende disponibili i siti carbonilici per una reazione ossidoriduttiva. Il saccarosio invertito può, quindi, ridurre il reattivo di Fehling. In due provette con 5 mL di acqua distillata ciascuna si sciolgono due piccole spatolate di saccarosio commerciale. Una provetta serve da " bianco ", mentre alla seconda si aggiungono 2 o 3 gocce di acido cloridrico 37 % ; si scaldano entrambe al bunsen ed ad esse si aggiungono, ciascuna, 3 mL di reattivo di Fehling completo. Solo la provetta ove ha avuto luogo l'inversione presenta il precipitato di Cu2O. Parte quarta: idrolisi dell'amido: L'amido è, come noto, un polisaccaride formato da una catena di monomeri di α-D-glucosio legati da legami α -1,4-diglicosidici. Lo iodio in soluzione se posto in una soluzione acquosa di amido dà una colorazione blu. L'azione di un acido forte, ad esempio acido cloridrico, a caldo porta all'idrolisi del legame glicosidico e quindi al rilascio dei monomeri; di conseguenza scompare la colorazione blu. In una provetta si scioglie una punta di spatola di amido solubile in 5 o 6 mL di acqua distillata; alla soluzione si aggiungono alcune gocce di soluzione 0.01 M di iodio che impartiscono il colore blu. A questo punto, si aggiungono 3 o 4 gocce di acido cloridrico sol. 37 % e si porta la provetta al bunsen per il riscaldamento; in pochi secondi il colore blu scompare, indicando la demolizione della molecola del polisaccaride. Nota: La reazione di Fehling, riferita ad un monosaccaride generico è: O O R - C + 2Cu2+ + 5OH- → R - C + Cu2O ↓ + 3H2O H O-H

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Le proteine

Materiali occorrenti:

Reattivo di Fehling sol. A - Idrossido di sodio sol. 2 M - Campioni di: carne, uova, formaggio, olio di oliva - Vetreria. Richiami teorici:

Le proteine o protidi sono composti con molecola formata da sequenze lineari dei 20 aminoacidi, legati uno all'altro attraverso i gruppi amminico -NH2 e carbossilico -COOH, con perdita di una molecola di acqua:

H

R

HH

N C

O

C

O

R'

H HH

H

HH

N C

O

C

O H

+ H

R

HH

N C

O

C

R'

N C

O

C

O H

+ H 2 O

Esecuzione dell'esperienza:

Le sostanze contenenti proteine reagiscono, in soluzione od emulsione fortemente basica ed a caldo, con il reattivo A di Fehling ( soluzione di ioni Cu2+ ) dando una colorazione che va dal rosso al viola. Come è noto la colorazione iniziale del reattivo di Fehling è azzurra. In una provetta si introduce una piccola quantità di albume di uovo fresco amalgamandola con cura con 5 mL circa di acqua distillata; si aggiungono poi 2 mL circa di idrossido di sodio sol. 2 M ed altrettanti di reattivo di Fehling sol. A, agitando e portando la provetta al bunsen per un cauto riscaldamento. In pochi secondi, se si è agito correttamente, si osserva il cambiamento del colore verso il rosso-viola; questo indica la formazione di complessi Cu2+ - organici dovuti alla presenza di legami peptidici. In una seconda provetta si pone un pezzetto di carne e in una terza uno di formaggio, aggiungendo 5 mL circa di acqua distillata, cercando di frantumare e disperdere il più possibile il materiale in analisi. Compiuta questa operazione si procede nel modo già descritto; anche in questi due casi si nota il cambiamento del colore, dall'azzurro al rosso-viola, ad indicare la presenza di proteine. Da notare che il colore diviene più cupo con l'aumentare del numero dei legami peptidici. Per confronto si effettua una prova " in bianco " prima solo con acqua distillata, idrossido di sodio e reattivo di Fehling sol. A e poi con un campione di olio di oliva, seguendo la procedura citata. In entrambi i casi non si verifica alcun cambiamento di colore del reattivo, indicando l'assenza di materiale proteico. Detta prova " in bianco " può essere effettuata anche con frutta fresca o con suoi derivati ( es. succo di frutta ).

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ROBERTO BISCEGLIA: ESERCITAZIONI DI LABORATORIO CHIMICO REV.16/01/2000

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Addenda

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Smooth, Price, Smith, Cacciatore: Corso di chimica moderna, ed. Le Monnier. Atkins: Fondamenti di chimica, ed. Zanichelli. Brady, Holum: Chimica, ed. Zanichelli. Camilli, Valeri: Chimica attiva, ed. Paravia. Bagatti, Corradi, Desco,Ropa: Chimica, ed. Zanichelli. Valitutti et al.: Fondamenti di chimica, ed. Masson Silvestroni: Fondamenti di chimica, ed. Veschi. Allinger et al.: Chimica organica, ed. Zanichelli. Post Baracchi, Tagliabue: Chimica, ed. Lattes AA.VV., La fisica di Berkeley,laboratorio, ed. Zanichelli. FPCT: Tecnologia di laboratorio chimico ( 5 voll. ), ed. Vallecchi ( fuori commercio ). Resnick, Halliday: Fisica, ed. CEA. Caforio, Ferrilli: Corso di fisica sperimentale, ed. Le Monnier. Tutte le risorse del Web. Strumenti:

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