ecbs role in the european monetary union
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI
“PARTHENOPE”
DIPARTIMENTO DI STUDI ECONOMICI E GIURIDICI
Corso di Laurea di I Livello in
Economia e commercio
Tesi di Laurea in
Economia Monetaria
IL RUOLO DELLA BCE NELL’UNIONE
MONETARIA EUROPEA
TUTOR CANDIDATO
Chiar. Mo Prof. Davide Vioto
Riccardo Marselli MATR. 0250000803
ANNO ACCADEMICO 2012 - 2013
Il ruolo della BCE nell’Unione Monetaria Europea
INDICE
Abstract
I. La zona Euro: vecchi problemi di un’unione
monetaria
1. Introduzione
2. Proprietà del debito sovrano in un’unione monetaria
2.1 Il caso di un paese “indipendente”
2.2 Il caso di un paese membro di un’unione monetaria
2.3 Un possibile legame tra crisi di liquidità e crisi di solvibilità
3. La natura auto-avverante delle aspettative di mercato: buoni e cattivi
equilibri
Approfondimento - Un modello di buoni e cattivi equilibri
3.1 Le caratteristiche di un cattivo equilibrio
4. Conclusioni
II. Una simmetria ancora lontana nella zona Euro
1. Debito sovrano e problemi di competitività
2. La situazione attuale: la crisi dei paesi PIIGS
2.1 Un possibile aiuto dai paesi centrali della zona Euro
3. Fragilità del meccanismo di aggiustamento nell’Unione Monetaria
Europea
4. Conclusioni
III. L’unione politica: strumento per garantire
l’unione monetaria nella zona Euro
1. Problemi di un’unione monetaria che richiedono l’intervento di
governo: l’azione collettiva e l’internalizzazione
2. Una strategia dei piccoli passi
2.1 L’istituzione di un Fondo Monetario Europeo
2.2 L’emissione di Eurobond Comuni
2.3 Il coordinamento delle politiche economiche
3. Conclusioni
IV. La BCE come prestatore di ultima istanza
1. Introduzione
2. L’esistenza di un prestatore di ultima istanza come garanzia
3. Le critiche al ruolo della BCE come prestatore di ultima istanza
3.1 Il rischio di inflazione
3.2 Le conseguenze fiscali
4. Il problema dell’azzardo morale
Approfondimento - La dottrina di Bagehot può essere utilizzata dalla
BCE?
5. L’operato della BCE: una possibile violazione del suo statuto
6. Nuove istituzioni di governance: il FESF e il futuro MES
6.1 FESF e MES come possibili soluzioni al ruolo di prestatore di
ultima istanza
7. Conclusioni
3
Abstract
Quest’elaborato si propone di illustrare un tema di forte interesse attuale: il
ruolo che la BCE dovrebbe ricoprire odiernamente nell’Eurozona; specificamente,
facendo riferimento al ruolo di prestatore di ultima istanza, formalmente assente
nella zona Euro.
L’elaborato si compone di quattro capitoli.
Nel primo capitolo vengono affrontati i problemi sistemici di un’unione
monetaria. In particolare, viene illustrato come mediante l’istituzione di un’unione
monetaria, i paesi membri, perdono la capacità di emettere debito in una valuta
sulla quale hanno il pieno controllo, cosa che non avviene nei paesi indipendenti.
Ciò implica, necessariamente, una maggiore vulnerabilità e labilità, dovuta ai
cambiamenti di “umore” del mercato, i quali potrebbero spingere il paese membro
in un cattivo equilibrio, del quale se ne osservano le caratteristiche.
Il secondo capitolo illustra la divergenza acquisita tra le posizioni competitive dei
paesi membri dell’Eurozona, partendo dall’anno 1999/2000, con particolare
riferimento ai paesi PIIGS. Viene analizzata la svalutazione interna avviata in tali
paesi, necessaria per poter correggere gli squilibri competitivi. Il capitolo si
conclude con un’analisi del meccanismo di aggiustamento degli squilibri interni
dell’Unione Monetaria Europea, il quale presenta le stesse asimmetrie proprie dei
regimi di cambio fisso, imponendo così molta pressione sui paesi in deficit, i quali
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supportano quasi interamente il processo di aggiustamento degli squilibri, ma
poca su quelli in surplus.
Nel terzo capitolo viene affrontato un possibile percorso, proposto da De Grauwe,
necessario per poter ottenere una maggiore unione politica nell’Eurozona. La
definizione di una maggiore unione politica è considerata un elemento
fondamentale per garantire l’unione monetaria di lungo periodo. La strategia
analizzata è composta da tre “passi”, i quali, non sembra siano stati intrapresi nel
modo idoneo a garantire la sopravvivenza dell’Eurozona.
Il quarto capitolo, ultimo dell’elaborato, illustra la possibilità di poter definire per
la BCE, un ruolo effettivo come prestatore di ultima istanza sui mercati dei titoli
di Stato. Vengono analizzati gli argomenti favorevoli all’assegnazione di tale
ruolo, e le due principali critiche: il rischio d’inflazione e le conseguenze fiscali.
Inoltre, è osservato che la scelta di trasferire tale ruolo al FESF, e al futuro MES,
non risulta adeguata; poiché, tali istituzioni non sembrano poter stabilizzare il
sistema finanziario in tempo di crisi, ciò dovuto alla mancanza della possibilità di
creare liquidità illimitata.
L’elaborato si conclude affermando che sia giunto il momento in cui la BCE
riconosca il ruolo di prestatore di ultima istanza, invece di fuggire dalle sue
responsabilità.
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I. La zona Euro: vecchi problemi di un’unione
monetaria
1. Introduzione
Quando si definisce un’unione monetaria, i paesi membri cambiano la natura
del loro debito sovrano in modo fondamentale. Essi cessano di avere il controllo
della moneta in cui emettono il loro debito. L’esito di tale condizione potrebbe
comportare, per questi paesi sovrani, situazioni d’insolvenza, dovute ai mercati
finanziari. Ciò rende, l’unione monetaria fragile e vulnerabile ai cambiamenti dei
sentimenti del mercato; e, aumenta la possibilità che si auto-avveri l’insorgere di
equilibri multipli.
Al fine di progettare le istituzioni di governance adatte alla zona Euro, è
necessario analizzare la natura delle crisi di debito nell’Eurozona. In caso
d’inadempienza, la struttura di governance prevista, potrebbe essere inappropriata
ad affrontare i problemi della zona Euro. In particolare, la nuova struttura di
governance emersa - il Meccanismo europeo di stabilità (MES), destinato ad
essere, dal 2013, il successore del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) -
fallisce nell’affrontare alcuni problemi fondamentali di un’unione monetaria.
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2. Proprietà del debito sovrano in un’unione monetaria
Iniziamo la nostra analisi da un paradosso, visibile confrontando le figure 1 e
2. La figura n. 1, mostra il rapporto tra debito e PIL nel Regno Unito e in Spagna.
E’ facile costatare che fin dall’inizio della crisi finanziaria il rapporto debito
pubblico-PIL nel Regno Unito è aumentato maggiormente rispetto a quello
registrato in Spagna. Come risultato, nel 2011, il debito pubblico britannico (89%)
era superiore del 17% al debito pubblico spagnolo (72%).
Figura n. 1 – Debito pubblico lordo (% del PIL)
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
Dalla figura n. 2, appare però, che i mercati finanziari hanno individuato la
Spagna e non il Regno Unito come paese che potrebbe essere coinvolto in una
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crisi del debito pubblico. Ciò è dovuto al fatto che dall’inizio del 2010 il
rendimento dei titoli di Stato spagnoli è aumentato fortemente rispetto al
rendimento di quelli britannici; suggerendo che il prezzo di mercato riflette un
rischio d’insolvenza più alto per i titoli di Stato spagnoli, che per quelli britannici.
I mercati finanziari attribuiscono un rischio d’insolvenza maggiore ai titoli di
Stato spagnoli, anche se risulta che il Regno Unito si trova difronte risultati meno
favorevoli; ciò non perché il settore bancario britannico sia meglio di quello
spagnolo, ma molto probabilmente, perché la Spagna fa parte di un’unione
monetaria, mentre il Regno Unito è un paese “indipendente” e quindi ha il
controllo diretto sulla valuta in cui emette il suo debito.
Figura n. 2 – Tassi a 10 anni dei titoli di Stato spagnoli e britannici
Fonte: Datastream
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Vi è quindi una differenza fondamentale nella natura del debito sovrano tra
membri e non di un’unione monetaria. I membri di un’unione monetaria emettono
debito in una valuta su cui non hanno alcun controllo diretto, quindi, i mercati
finanziari, hanno il potere di forzare il default in questi paesi. Caso opposto è
quello dei paesi che non appartengono ad un’unione monetaria, poiché essi
mantengono il controllo sulla valuta in cui è stato emesso il debito. Questi paesi
difficilmente saranno trascinati in default dai mercati finanziari. Possiamo
analizzare meglio tale problema, considerando cosa accade quando gli investitori
iniziano ad avere dubbi sulla solvibilità di questi due tipi di paesi.
2.1 Il caso di un paese “indipendente”
Analizziamo prima il caso in cui gli investitori dovessero temere che il
governo di un paese “indipendente”, p.e. il Regno Unito, possa essere
inadempiente sul suo debito. In questo caso, gli investitori venderebbero le loro
obbligazioni britanniche, facendo salire il tasso d’interesse. La vendita delle
obbligazioni porta valuta locale, quindi sterline, nelle mani degli investitori; i
quali tenderebbero a venderla sul mercato dei cambi. Ciò porterebbe il prezzo
della sterlina a scendere, sino al punto in cui nessuno sia più disposto a comprare
sterline. La conseguenza di tale meccanismo è che le sterline rimarrebbero nel
mercato monetario inglese, per essere investite, nuovamente, in attività
britanniche. Lo stock di moneta del paese “indipendente” resterebbe, quindi,
invariato. Parte di tale stock di moneta sarebbe reinvestita in titoli di Stato interni.
Ma, anche se così non fosse, nel caso in cui il governo non riuscisse a trovare
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fondi per rinnovare il suo debito a tassi d’interesse ragionevoli, potrebbe forzare
la Banca d’Inghilterra ad acquistare titoli di Stato. Ciò comporta che gli investitori
non potrebbero far precipitare il paese “indipendente” in una crisi di liquidità,
poiché c’è una forza di ultima istanza: la Banca d’Inghilterra.
2.2 Il caso di un paese membro di un’unione monetaria
Nel caso di un paese membro di un’unione monetaria, p.e. la Spagna, le cose
cambiano drammaticamente. Supponiamo, ora, che gli investitori temano
un’inadempienza del governo spagnolo sul suo debito. Ciò li porterebbe a vendere
le loro obbligazioni, elevando il tasso d’interesse. Finora, vediamo gli stessi
risultati come nel caso del paese “indipendente”. Il resto, però, è molto diverso.
Gli investitori che hanno acquisito Euro, è probabile, che li investano altrove, p.e.
in titoli di Stato tedeschi. Di conseguenza, gli euro lasciano il sistema bancario
spagnolo, poiché non vi è un mercato dei cambi ad impedirlo. Pertanto, lo stock di
moneta spagnolo si restringe. Lo Stato spagnolo vive, quindi, una crisi di
liquidità; egli non ha fondi per rinnovare il suo debito a tassi d’interesse
ragionevoli. Inoltre, lo Stato spagnolo, non può forzare la BCE a comprare debito
pubblico, poiché non controlla tale istituzione. La crisi di liquidità, se abbastanza
forte, mediante i mercati finanziari, può portare lo Stato spagnolo al default. In
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un’unione monetaria, i mercati finanziari acquisiscono un potere enorme e posso
costringere al default un paese membro.
C’è un’ulteriore differenza nelle dinamiche del debito imposte dai mercati
finanziari ai paesi membri, e non, di un’unione monetaria. Nel caso del paese
“indipendente”, la vendita della valuta, derivata dalle vendite dei titoli di Stato,
nel mercato dei cambi, comporta un deprezzamento della moneta nazionale;
quindi, si registra un aumento dell’inflazione nel paese “indipendente”. Questo
meccanismo è assente nel caso dei paesi membri di un’unione monetaria. Le
figure 3 e 4 mostrano come questa differenza ha probabilmente influenzato la
crescita del PIL e dell’inflazione nel Regno Unito e in Spagna, sin dall’inizio della
crisi di debito sovrano nella zona Euro. Nel 2010, l’inflazione è quasi due volte
più elevata nel Regno Unito (2,9%) che in Spagna (1,6%). Inoltre, la crescita
annuale del PIL del Regno Unito è in media del 2% dal 2010, contro solo lo 0,2%
della Spagna. A ciò, non è certamente estraneo il fatto che la sterlina, dall’inizio
della crisi finanziaria, si sia deprezzata del 25%.
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Figura n. 3 – Inflazione in Gran Bretagna e in Spagna
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
Figura n. 4 – Crescita del PIL in Gran Bretagna e in Spagna
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
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Questa differenza nell’inflazione e nella crescita del PIL, può avere forti
conseguenze su come la solvibilità sia percepita in questi due paesi.
Bisogna ricordare che una condizione necessaria per la solvibilità è che l’avanzo
primario di bilancio (S) dovrebbe essere almeno pari alla differenza tra tassi
d’interesse nominale (r) e il valore nominale del tasso di crescita (g), moltiplicato
per il rapporto debito-PIL (D), cioè:
S ≥ (r – g) D (1)
Applichiamo tale formula, ipotizzando che: i tassi d’interesse che Spagna e Regno
Unito continueranno a sostenere, siano quelli imposti dai mercati negli ultimi 6
mesi (rispettivamente, in media, 5% e 3,5%); il valore nominale medio dei tassi di
crescita dal 2010 sia del 4,9% nel Regno Unito e del 1,8% in Spagna; e che, nel
Regno Unito non ci sia bisogno di generare un avanzo primario al fine di
stabilizzare il rapporto tra debito pubblico e PIL, mentre l’avanzo primario
spagnolo dovrà essere più del 2% per stabilizzare tale rapporto. Così, la Spagna è
costretta ad applicare austerità, molto più che nel Regno Unito, per soddisfare le
condizioni di solvibilità.
Gran Bretagna -1,21
Spagna 2,30
Tabella n. 1 – Avanzo primario necessario per stabilizzare il debito al livello del 2011 (% del
PIL)
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2.3 Un possibile legame tra crisi di liquidità e crisi di solvibilità
L’analisi precedente mostra importanti dinamiche, potenzialmente dannose,
in un’unione monetaria. I membri di un’unione monetaria sono molto sensibili ai
movimenti di liquidità. Quando gli investitori temono insolvenza da parte dello
Stato, ritirano liquidità dal mercato nazionale, causando un c.d. “Stop
improvviso”. Quest’ultimo può avviare un’interazione tra liquidità e crisi di
solvibilità. In particolare, una volta avviata la crisi di liquidità in un paese
membro, i tassi d’interesse saranno spinti verso l’alto, trasformando la crisi di
liquidità in crisi di solvibilità. Si tratta di un meccanismo auto-avverante: il paese
è diventato insolvente perché gli investitori temevano la sua insolvenza.
Questa interazione tra liquidità e solvibilità è evitata nel paese “indipendente”,
poiché non può causarsi uno “Stop improvviso”, dal momento che la liquidità è
imbottigliata nei mercati monetari nazionali, e nel caso in cui vi fossero tentativi
di esportarla in altri mercati, si avvia un meccanismo equilibrante, prodotto dal
deprezzamento della moneta.
Dall’analisi svolta in questo paragrafo, è facile comprendere che i mercati
finanziari acquisiscono grande potere in un’unione monetaria. Molti affermano
che tale potere è salutare, in quanto fungerebbe da forza disciplinante per i
governi “cattivi”. La realtà è però differente. La crisi finanziaria ha reso evidente
che i mercati finanziari sono spesso spinti da emozioni estreme, di euforia o di
panico. Durante i periodi di euforia, gli investitori, non riescono collettivamente a
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vedere i rischi e ne assumono troppi. Dopi il crollo, nei mercati finanziari domina
la paura, che spinge gli investitori a scorgere rischi in tutto il mondo, innescando
vendite da panico per la maggior parte del tempo.
3. La natura auto-avverante delle aspettative di mercato:
buoni e cattivi equilibri
La volatilità intrinseca dei mercati finanziari, può dare origine ad equilibri
multipli, alcuni dei quali buoni, altri cattivi. Ciò è strettamente legato alla c.d.
natura auto-avverante delle aspettative di mercato. Esaminiamo tale problema,
facendo sempre riferimento, ad un paese “indipendente” ed uno membro di
un’unione monetaria.
Supponiamo che i mercati abbiano fiducia nello Stato A (paese “indipendente”).
Gli investitori saranno allora disposti ad acquistare titoli di Stato a un basso tasso
d’interesse. Un basso tasso d’interesse ha l’effetto di produrre un basso rischio di
default. Ciò è molto chiaro nei calcoli fatti nella Tabella n. 1. I mercati confidano
che il governo del paese indipendente (p.e. il governo britannico) non andrà in
default; come risultato, il governo del Ragno Unito gode di un basso tasso
d’interesse. La Tabella n. 1 mostra che il governo britannico è molto solvibile. I
mercati finanziari lo guideranno, quindi, verso un buon equilibrio.
Supponiamo, invece, che i mercati non si fidino dello Stato B (paese membro di
un’unione monetaria). Gli investitori, in questo caso, vendono titoli di Stato; ciò
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comporta un aumento del tasso d’interesse e quindi aumenta la convinzione che vi
sia un rischio di default. Allo stesso tempo, un alto tasso d’interesse rende
probabile la realtà di un default. La Tabella n. 1, mostra che il mercato non
avendo fiducia nel governo del paese membro (p.e. il governo spagnolo), in un
modo auto-avverante, ha reso più probabile il default. I mercati finanziari
spingono la Spagna verso un cattivo equilibrio.
Il verificarsi di cattivi equilibri è più probabile con i membri di un’unione
monetaria, poiché non hanno controllo diretto della moneta in cui emettono
debito, che con paesi “indipendenti”, i quali emettono il debito in una valuta sulla
quale hanno il pieno controllo.
In un’unione monetaria, va considerato anche un altro problema: i mercati
finanziari di un’unione monetaria diventano altamente integrati. Ciò comporta che
i titoli di Stato dei paesi membri siano detenuti in tutta l’unione monetaria. Così,
quando un cattivo equilibrio si instaura in alcuni paesi membri, mercati finanziari
e settori bancari degli altri paesi membri, che godono di un buon equilibrio,
verranno ugualmente coinvolti.
Approfondimento – Un modello di buoni e cattivi equilibri
Analizziamo un modello che ci permette di capire come possono sorgere
equilibri multipli. Il punto di partenza è che esista sia un costo, sia un beneficio
d’inadempienza sul debito, e che gli investitori tengano conto di tale aspetto.
Assumiamo che un paese sia soggetto ad uno shock, che si manifesta sotto la
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forma di un calo delle entrate pubbliche. Tale shock può essere causato da una
recessione, o da una perdita di competitività. Chiamiamo questo, uno shock di
solvibilità. Analizziamo prima il beneficio, rappresentato nella figura n. 5.
Sull’asse orizzontale rappresentiamo lo shock di solvibilità; sull’asse verticale, il
beneficio dell’inadempienza. Ci sono molti modi e gradi di inadempienza. Per
semplificare, assumiamo che ciò derivi da un taglio di una percentuale fissa. Il
beneficio dell’inadempienza, in questo caso è che il governo può ridurre l’onere
degli interessi sul debito residuo. Come risultato, dopo il default dovrà applicare
meno austerità. Dato che l’austerità è politicamente costosa, il governo benefica
del default.
Un’importante implicazione del modello è che il beneficio di un default dipende
dal caso in cui sia previsto o meno. Nella figura n. 5, vengono illustrate due curve:
BU è il beneficio del default che gli investitori non prevedono, mentre BE è il
beneficio del default previsto dagli investitori.
La curva BU è inclinata verso l’alto, perché quando lo shock di solvibilità
aumenta, il beneficio di un default per il debito sovrano sale. Il motivo è dato dal
fatto che quando lo shock di solvibilità è grande, cioè il calo dell’imposta sul
reddito è grande, il costo dell’austerità è notevole, quindi, diventa attraente un
default per il debito sovrano.
Tre fattori incidono sulla posizione e la ripidezza della curva BU:
- Il livello del debito iniziale. Maggiore sarà questo livello, maggiore sarà il
beneficio di un default. Con un maggiore livello del debito iniziale, la
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curva BU flette verso l’alto.
- L’efficienza del sistema fiscale. In un paese con un inefficiente sistema
fiscale, il governo non può aumentare la tassazione; in tale paese la scelta
di inadempienza diventa attrattiva e la curva BU flette verso l’alto.
- Le dimensioni del debito estero. Quando il debito estero rappresenta buona
parte del debito totale, ci sarà meno resistenza politica interna contro il
default; e la curva BU flette verso l’alto.
La curva BE mostra, invece, il vantaggio del default quando gli investitori lo
prevedono. E’ collocata sopra la curva BU perché quando gli investitori aspettano
un default, venderanno i titoli di Stato. Come risultato, il tasso d’interesse sui titoli
di Stato aumenta. Ciò comporta un programma di austerità più intenso di tagli alla
spesa e di aumenti fiscali. Così il default diventa più attrattivo. Per ogni shock di
solvibilità, il beneficio del default sarà più alto di quando non è previsto.
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Figura n. 5
Analizziamo ora i costi del default. Il costo di un default è dovuto al fatto che se
un governo risulta inadempiente, subirà una perdita di reputazione. La perdita di
reputazione comporterà difficolta per il governo di contrarre prestito in futuro.
Per semplificazione, supponiamo che il costo del default sia fisso, pari a C.
Analizziamo ora la figura n. 6. Possiamo distinguere tre tipi di shock di
solvibilità: uno piccolo, uno intermedio, e uno grande. Consideriamo inizialmente
uno shock di solvibilità piccolo, S < S1. Per questo tipo di shock, il costo del
default è sempre più grande del beneficio (sia se il default sia previsto o sia
inaspettato). Così il governo non vorrà il default; e l’equilibrio di non default può
essere sostenuto.
20
Figura n. 6
Analizziamo ora un grande shock di solvibilità, cioè con S > S2. Per questo tipo di
shock, invece, il costo del default è sempre più piccolo del beneficio (sia se il
default sia previsto o inaspettato). Così il governo vorrà il default. In aspettative
razionali, saranno gli stessi investitori a prevederlo, come conseguenza, il default
è inevitabile.
Analizziamo, infine, il caso intermedio, cioè con S1 < S < S2. Per questi shock
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intermedi, due sono gli equilibri possibili. Quale prevarrà, dipende solo da cosa è
previsto dagli investitori. Per capire tale aspetto, supponiamo che lo shock di
solvibilità sia S’ (Figura n. 7). In questo caso ci sono due equilibri potenziali, D e
N. Consideriamo inizialmente il punto D. In questo caso gli investitori aspettano il
default, D è situato sulla curva BE. Ciò comporta che il beneficio del default è
maggiore del costo C. Così, il governo sarà inadempiente. D è un equilibrio
coerente con le aspettative.
Ma, anche il punto N può essere un punto di equilibrio. In N, gli investitori non
aspettano il default, N è situato sulla curva BU. Come risultato, il beneficio del
default è minore del costo. Così il governo non sarà inadempiente. Ne consegue
che anche N è un equilibrio coerente con le aspettative.
Otteniamo, quindi, due possibili equilibri. Il punto D, rappresenta un equilibrio
cattivo, poiché conduce al default; mentre N, un equilibrio buono, poiché non
conduce al default. Entrambi sono ugualmente possibili. La prevalenza di uno
sull’altro dipenderà solo dalle aspettative degli investitori. Se questi ultimi
aspettano un default, ci sarà D, in caso contrario N. Questo importante risultato è
dovuto alla natura auto-avverante delle aspettative. Le aspettative degli investitori,
verranno probabilmente guidate principalmente dai sentimenti di mercato di
ottimismo e pessimismo.
Se il paese preso in considerazione è un paese “indipendente”, sarà difficile che si
verifichino equilibri multipli, perché tale paese emette il debito nella valuta sulla
quale ha pieno controllo. Ciò comporta che il governo potrà decidere il default se
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lo shock di solvibilità è abbastanza grande; ma non potrà mai essere forzato in
default dalle aspettative degli investitori.
Figura n. 7
Fonte: PAUL DE GRAUWE (2011), The governance of a fragile Eurozone, CEPS Working
Document, No. 346, 22-25.
23
3.1 Le caratteristiche di un cattivo equilibrio
Ci sono due caratteristiche di un cattivo equilibrio che vale la pena analizzare.
In primo luogo, le banche nazionali risentono in modi diversi del cattivo
equilibrio. Quando gli investitori vendono titoli di Stato nazionali, il tasso
d’interesse di tali titoli aumenta. Poiché le banche nazionali sono, solitamente, i
principali investitori sul mercato interno dei titoli pubblici, un aumento del tasso
d’interesse causa rilevanti perdite nei loro bilanci. Inoltre, le banche nazionali
sono coinvolte in un problema di finanziamento, poiché diminuisce lo stock di
moneta. Ciò rende difficile per le banche nazionali trattenere i loro depositi, se
non pagando tassi d’interesse proibitivi. Così la crisi del debito sovrano, si
trasforma in crisi del sistema bancario interno, indipendentemente dalla salute
delle banche. Questa caratteristica è stata caratterizzante nel caso della Grecia e
del Portogallo, dove la crisi del debito sovrano ha portato ad una vera e propria
crisi bancaria.
In secondo luogo, una volta generato un equilibrio cattivo, i membri di un’unione
monetaria trovano difficile usare gli stabilizzatori automatici di bilancio; cosa che
invece non avviene nel caso in cui il paese sia “indipendente”.
Questa caratteristica rende l’unione monetaria, potenzialmente, molto costosa. Se
un’unione monetaria ha l’implicazione di distruggere questi stabilizzatori
automatici, non è chiaro se la base sociale e politica di una tale unione possa
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essere mantenuta. Risulta, quindi, molto importante, progettare una struttura di
governance che permetta di mantenere questi stabilizzatori automatici.
4. Conclusioni
L’unione monetaria è più di una moneta unica e una banca centrale. I paesi
che aderiscono ad un’unione monetaria, perdono più di uno strumento di politica
economica e, perdono, soprattutto, la capacità di emettere titoli di debito in una
valuta sulla quale hanno il pieno controllo. Di conseguenza, una perdita di fiducia
degli investitori può in un modo auto-realizzante trascinare il paese in default.
Cosa, invece, non possibile nei paesi “indipendenti”, i quali emettono debito in
una valuta sulla quale hanno pieno controllo. Perciò, i paesi membri di un’unione
monetaria risultano più vulnerabili. Un’ulteriore importante implicazione di
questa vulnerabilità, è che i paesi membri di un’unione monetaria rinunciano a
gran parte della loro capacità di applicare politiche di bilancio anticicliche.
Quando durante una recessione il deficit di bilancio aumenterà, questo rischierà di
creare una perdita di fiducia da parte degli investitori, nella capacità del paese di
far fronte al servizio del debito. Ciò ha l’effetto di innalzare il tasso d’interesse,
rendendo la recessione peggiore, e portando a deficit di bilancio ancora più
elevati, forzando il paese in un cattivo equilibrio.
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Queste caratteristiche sistemiche di un’unione monetaria dovrebbero essere prese
in considerazione nella progettazione delle nuove istituzioni di governance della
zona Euro.
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II. Una simmetria ancora lontana nella zona Euro
1. Debito sovrano e problemi di competitività
Come visto in precedenza, è possibile collegare la dinamica del debito
sovrano con problemi inerenti alla competitività dei paesi membri di un’unione
monetaria.
Uno dei principali problemi riscontrati nella zona Euro, ad oggi, è l’accresciuta
divergenza delle posizioni competitive dei membri dell’Eurozona, prendendo
come anno base il 2000. Ciò è visibile nella figura n. 1.
Figura n. 1 - Costi relativi unitari del lavoro nell’Eurozona
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
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Una possibile critica a tale figura, può essere la scelta dell’anno base. Si
presuppone che scegliendo il 2000 quale anno base, ciò comporti che in
quest’anno non vi siano stati squilibri nelle posizioni concorrenziali, in modo che
qualsiasi movimento di allontanamento dal livello del 2000 sia una deviazione
dell’equilibrio. Ma, ciò non rappresenta il nostro caso.
E’, invece, possibile che nel 2000 molti paesi membri siano stati lontani
dall’equilibrio; e quindi, i movimenti osservati dall’anno base, potrebbero
rappresentare movimenti verso l’equilibrio. Tenendo conto di tale critica,
possiamo, ora, osservare la figura n. 2, la quale presenta i costi unitari del lavoro
dei paesi membri come media del periodo 1970-2010.
Figura n. 2 – Costi relativi unitari del lavoro nell’Eurozona (media 1970-2010)
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
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E’ possibile osservare che: anche se il divario tra i paesi membri è meno
pronunciato (paragonato a quello riportato nella figura n. 1), resta, però, sempre
rilevante. Ciò è confermato dalla figura n. 3, la quale illustra un aumento
significativo della deviazione standard degli indici annuali dal 1999.
Figura n. 3 – Deviazione standard dei costi relativi unitari del lavoro nell’Eurozona
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
Dalle figure analizzate in precedenza, risulta che vi sono paesi che hanno perso
significativamente competitività nel periodo 1999-2008 (Grecia, Portogallo,
Spagna, Irlanda e Italia). Essi devono cominciare a migliorarla; impossibilitati,
però, ad attuare una svalutazione monetaria, potranno perseguire politiche
macroeconomiche di deflazione (principalmente politiche di bilancio); cioè
abbassare salari e prezzi rispetto a quelli delle concorrenti. Inevitabilmente, ciò
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porterà prima ad una recessione, e successivamente, attraverso il funzionamento
degli stabilizzatori automatici, ad aumenti del deficit di bilancio.
E’ possibile collegare tale processo alle dinamiche del debito sovrano osservate
nel capitolo precedente. Poiché i paesi, nel tentativo di migliorare la loro
posizione competitiva, sperimentano crescenti deficit di bilancio, e nei mercati
finanziari potrebbe istaurarsi una certa sfiducia. Se abbastanza forte, quest’ultima,
come descritto in precedenza, potrebbe causare una crisi di liquidità, la quale,
innesca inevitabilmente una crisi di solvibilità.
Così, il periodo durante il quale si cerca di migliorare la propria posizione
competitiva è probabile che sia doloroso e turbolento. Doloroso, a causa della
recessione ed il conseguente aumento della disoccupazione; turbolento, poiché nel
paese possono innescarsi crisi del debito sovrano e crisi bancaria. Se quest’ultima
accorre, la spirale deflazionistica è destinata ad intensificarsi. Il paese rischia di
bloccarsi in un cattivo equilibrio, caratterizzato da programmi di austerità che non
riescono a ridurre i disavanzi di bilancio, perché definiscono una spirale
economica al ribasso e deprimono i livelli dei tassi d’interesse.
La differenza, ancora una volta, con i paesi “indipendenti” è molto forte. In caso
di perdita di competitività, poiché questi paesi controllano direttamente la moneta
in cui emettono il debito, cercano di ripristinare la loro competitività svalutando la
moneta nei mercati di cambio. Ciò rende possibile evitare la deflazione, ma anche
una crisi del debito sovrano. In aggiunta, il processo di aggiustamento avviato con
30
il deprezzamento della moneta, è probabile che comporti: l’incremento della
produzione e dell’inflazione, migliorando, quindi, la solvibilità del debito
sovrano.
2. La situazione attuale: la crisi dei paesi PIIGS
Il deterioramento della posizione competitiva nella zona Euro, partendo
dall’anno 2000, ha principalmente riguardato, come visto nel paragrafo
precedente, i c.d. paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna).
Per correggere tali squilibri, sarà necessario per i paesi PIIGS pianificare una
“svalutazione interna”, cioè ridurre i prezzi e i salari rispetto agli altri paesi
centrali (principalmente la Germania, la quale ha migliorato fortemente la sua
posizione competitiva). I paesi costretti ad avviare una svalutazione interna
rischiano di essere spinti in un cattivo equilibrio, poiché, tale svalutazione, tende a
ridurre la domanda aggregata e il prodotto interno; quest’ultimo comporterà un
aumento del deficit di bilancio del governo e un deterioramento della posizione
fiscale di tali paesi. Tutto questo comporta molto pessimismo circa la capacità dei
paesi PIIGS di uscire da una situazione di cattivo equilibrio.
Analizziamo l’evoluzione delle posizioni competitive dei paesi PIIGS dal 1999
(Figura n. 4). Dall’analisi di tale figura emergono due caratteristiche. Primo, dal
1999 al 2008/09 si osserva una forte deteriorazione delle posizioni competitive di
tali paesi; secondo, dal 2008/09 una forte inversione di tendenza si è verificata in
Irlanda, Spagna e Grecia, e in misura minore in Portogallo e Italia.
31
Quantifichiamo le svalutazioni interne che si sono verificate nei paesi PIIGS dal
2008/09, mediante la tabella n. 1. Tali svalutazioni interne, sono calcolate come
differenza tra l’indice di competitività al suo apice (in alcuni paesi registrato nel
2008, in altri nel 2009) e l’indice del 2012. Questa differenza è espressa come una
percentuale, la quale misura il calo dei costi relativi del lavoro che tali paesi hanno
sperimentato dall’anno picco al 2012. Dalla tabella n. 1, osserviamo che la
svalutazione interna irlandese è consistente (23,5%), meno lo sono quella greca
(11,4%) e quella spagnola (8,9%). Praticamente nulle, invece, le svalutazioni
interne di Portogallo (3,2%) e Italia (solo 0,6%).
Figura n. 4 – Costi relativi unitari del lavoro nei paesi PIIGS
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
32
Svalutazione interna nei paesi PIIGS (dal 2008/09)
Svalutazione % realizzata dal picco
Irlanda 23,5 75%
Grecia 11,4 78%
Spagna 8,9 51%
Portogallo 3,2 30%
Italia 0,6 4%
Tabella n. 1 – Svalutazione interna nei paesi PIIGS (dal 2008/09)
Nota: Computata usando i dati della Figura n. 4
Le percentuali indicate nella colonna di destra (% realizzata dal picco), assumono
che nel 1999 questi paesi avevano la giusta posizione competitiva. La realtà è,
però, un’altra. Alcuni dei paesi PIIGS, già prima del 1999, avevano perso
competitività. Ciò implica che le percentuali riportate nella tabella n. 1
sottovalutano lo sforzo ancora da compiere, da parte dei paesi PIIGS, per
correggere la propria posizione competitiva.
Ancora una volta, possiamo sostituire la scelta dell’anno base con la media
relativa del costo unitario del lavoro nel periodo 1970-2010. Il risultato è
rappresentato nella figura n. 5. E’ possibile osservare che i movimenti ampi sono
molto simili a quelli riportati nella figura n. 4. Come risultato, le svalutazioni
33
interne che si sono verificate dal 2008/09 sono ampiamente simili a quelle
riportate dalla figura n. 4. Ciò, può essere visto confrontando le tabelle n. 1 e 2.
Tuttavia, risulta fortemente differente la svalutazione interna aggiuntiva
necessaria per raggiungere l’equilibrio. Confrontando l’ultima colonna delle due
tabelle, vedremo che l’Irlanda nel 2012 è sopra-regolata (121%), mentre la Grecia
ha fatto solo metà della svalutazione interna per raggiungere l’equilibrio.
Differenze, anche se minori, possono essere trovate per Spagna, Portogallo e
Italia.
Figura n. 5 – Costi relativi unitari del lavoro nei paesi PIIGS (media 1970-2010)
Fonte: Commissione Europe, banca dati AMECO
34
Svalutazione interna nei paesi PIIGS (dal 2008/09)
Svalutazione % realizzata dal picco
Irlanda 21,1 121%
Grecia 12,6 48%
Spagna 9,0 48%
Portogallo 3,4 22%
Italia 0,6 7%
Tabella n. 2 – Svalutazione interna nei paesi PIIGS (dal 2008/09)
Nota: Computata usando i dati della Figura n. 5
I risultati analizzati, riportano che: qualunque sia l’anno base scelto, la
dimensione delle svalutazioni interne, dal 2008/09, nei paesi PIIGS è notevole.
Ciò, va in contrasto con l’opinione comune che tali paesi non siano in grado di
produrre svalutazioni interne.
Tuttavia, va ricordato, che queste svalutazioni interne rappresentano un grande
costo in termini di produzione e di occupazione; e, poiché non possono
considerarsi ancora concluse (salvo, forse, che in Irlanda), maggiori perdite in
termini di produzione e occupazione sono da aspettarsi.
35
2.1 Un possibile aiuto dai paesi centrali della zona Euro
Odiernamente, sta diventando sempre più accettato il pensiero, almeno al di
fuori della Germania, che le svalutazioni interne dei paesi PIIGS siano meno
costose quando i paesi in surplus siano disposti a consentire rivalutazioni interne.
Possiamo verificare se processi di rivalutazioni interne, sono stati avviati nei paesi
in surplus. Consideriamo la figura n. 6. In tale figura spicca la posizione della
Germania. Durante il periodo 1999-2007, la Germania ha progettato una
svalutazione interna consistente, necessaria per la ripresa della sua economia. Tale
svalutazione è stata fermata nel 2007/08. Da allora nessuna rivalutazione interna è
stata avviata in Germania. Dalla figura n. 6, si può osservare che anche negli altri
paesi non vi è stata alcuna modifica di rilievo dal 2008/09.
Dalla precedente analisi si può, quindi, affermare, che il peso degli aggiustamenti
agli squilibri nella zona Euro è sostenuto quasi esclusivamente dai paesi in deficit
(c.d. PIIGS). Sicuramente qualche simmetria nel meccanismo di aggiustamento
potrebbe alleviare il peso sostenuto dai paesi in deficit; tuttavia, sembra che i
paesi in surplus non siano disposti a rendere la vita facile per i paesi in deficit,
prendendo la loro parte nel correggere gli squilibri competitivi realizzati tra i paesi
dell’Eurozona.
36
Figura n. 6 – Costi relativi unitari del lavoro nei paesi centrali dell’Eurozona (media 1970-2010)
Fonte: Commissione Europea, banca dati AMECO
3. Fragilità del meccanismo di aggiustamento nell’Unione
Monetaria Europea
Dall’analisi svolta nei paragrafi precedenti, è possibile ricondurre
l’asimmetria presente nel meccanismo di aggiustamento della zona Euro alle
asimmetrie proprie del regime di cambio fisso di Bretton Woods e del Sistema
Monetario Europeo (SME). In questi regimi, così come nell’Eurozona, l’onere
dell’aggiustamento degli squilibri esterni, è stato sostenuto dai paesi in deficit.
L’asimmetria dei regimi di cambio fisso deriva dal fatto che: i paesi in deficit,
37
colpiti da crisi della bilancia dei pagamenti, che hanno impoverito il loro stock di
riserve internazionali, hanno dovuto rivolgersi ai paesi creditori, i quali hanno
imposto le loro condizioni per l’avviamento di un processo di aggiustamento volto
ad eliminare il deficit. Ciò implica che i paesi creditori influenzano fortemente tali
regimi di cambio.
L’Unione Monetaria Europea avrebbe potuto cambiare tutto questo. Tuttavia, il
processo di aggiustamento interno alla zona Euro sembra essere asimmetrico
come quello dei regimi di cambio fisso. Il motivo non è riconducibile alle crisi
della bilancia dei pagamenti, poiché inesistenti, data l’assenza, interna ad
un’unione monetaria, dei mercati di cambio. Il motivo, ancora una volta, è dovuto
alla fragilità intrinseca dell’Unione Monetaria, riconducibile al fatto che gli Stati
membri emettono debito in una valuta sulla quale non esercitano controllo diretto.
Quando in un’unione monetaria la posizione fiscale di un paese membro deteriora,
per esempio a causa degli effetti deflazionistici di una svalutazione, gli investitori
possono essere presi dalla paura, e avviare un movimento collettivo di sfiducia.
Come visto in precedenza, i governi individuali di un’unione monetaria possono
essere portati in default dal panico del mercato finanziario. Al fine di evitare il
default, la crisi che colpisce il governo, deve far fronte ai paesi in surplus, i quali,
come i loro predecessori, impongono condizioni restrittive per l’avvio di un
processo di aggiustamento.
38
4. Conclusioni:
La Commissione Europea è stata ora investita di un’importante
responsabilità: quella di monitorare e correggere gli squilibri macroeconomici
mediante la struttura del Macroeconomic Imbalance Procedure (MIP). L’idea
chiave del MIP è un approccio simmetrico. Gli squilibri tra paesi in deficit e paesi
in surplus devono essere trattati e corretti simmetricamente. L’analisi svolta in
questo capitolo, mostra che la Commissione Europea, ad oggi, non sembra essere
disposta (o abile) ad imporre simmetria nel processo di aggiustamento. Ciò
impone molta pressione sui paesi in deficit, ma fallisce nell’imporre una pressione
simile sui paesi in surplus. In assenza di un prestatore di ultima istanza nella zona
Euro, i paesi in deficit rimarranno in una situazione strutturalmente debole nei
confronti dei paesi in surplus, ogni volta che i sentimenti dei mercati si rivoltano
contro di loro.
39
III. L’unione politica: strumento per garantire
l’unione monetaria nella zona Euro
1. Problemi di un’unione monetaria che richiedono
l’intervento di governo: l’azione collettiva e
l’internalizzazione
E’ possibile individuare due problemi in un’unione monetaria che
richiedono l’intervento del governo. In primo luogo, c’è un fallimento nel
coordinamento. In particolare, i mercati finanziari possono portare i paesi membri
in un cattivo equilibrio, visto come risultato di un meccanismo che si auto-avvera.
Questo fallimento può essere risolto con un’azione collettiva volta a dirigere tali
paesi membri, verso un buon equilibrio. In secondo luogo, l’Eurozona crea
esternalità che, come tutte le esternalità, richiedono un’azione del governo volta
ad internalizzarle.
Sia l’azione collettiva, sia l’internalizzazione, possono essere portate a termine su
due livelli: il livello delle banche centrali e il livello dei bilanci pubblici.
Come già visto, nei paesi “indipendenti”, le crisi di liquidità sono evitate mediante
l’operato della banca centrale, la quale può fornire tutta la liquidità necessaria al
paese. Questo risultato può essere ottenuto anche in un’unione monetaria, se la
banca centrale comune è disposta a comprare il debito dei diversi paesi. Questo è
40
proprio ciò che è successo nella zona Euro durante la crisi di debito. In
particolare, la BCE ha comprato titoli dei Paesi membri in difficoltà, sia
direttamente, che indirettamente, accettando queste obbligazioni come garanzia
nel sostegno alle banche degli stessi paesi in difficoltà. In tal modo, la BCE ha
immesso liquidità nei paesi colpiti da crisi di liquidità, evitando la rottura
dell’Eurozona. L’intervento della BCE sembra essere stato adeguato alla sua
raison d’etre, cioè quella di preservare l’unione monetaria. Tuttavia, l’azione della
BCE è stata fortemente criticata (come vedremo nel capitolo IV), tanto da
convincerla che non dovrebbe essere coinvolta in tali operazioni di liquidità, e che
il supporto di liquidità debba essere fatto da altre istituzioni, in particolare il
Fondo Monetario Europeo.
L’azione collettiva e di internalizzazione possono essere svolte, anche, al livello di
bilancio. Consolidando (centralmente) i bilanci dei governi nazionali in un unico
bilancio centrale, può essere organizzato un meccanismo di trasferimenti
automatici. Tale meccanismo funziona in modo da assicurare il trasferimento di
risorse verso il paese colpito da uno shock economico negativo. Inoltre, un tale
consolidamento crea un’autorità fiscale comune, che può emettere titoli di debito
in una valuta sulla quale ha un controllo. In tal modo, contrasta la dipendenza
degli stati membri dagli umori del mercato finanziario.
Questa soluzione del problema sistemico dell’Eurozona, richiede un ampio grado
di unione politica. Tale unione politica è necessaria per sostenere l’unione
monetaria nel lungo periodo. E’ chiaro, tuttavia, che oggi, l’Eurozona non dispone
41
di un’ampia unione politica; ciò comporta la necessità di definire una strategia dei
piccoli passi.
2. Una strategia dei piccoli passi
I passi descritti in questa sezione, comprendono le responsabilità alle quali i
governi nazionali, le istituzioni europee e l’Eurosistema, devono far fronte al fine
di incamminarsi verso un’unione politica. Essi sono cruciali per la stabilizzazione
dei mercati finanziari nella zona Euro.
2.1 L’istituzione di un Fondo Monetario Europeo
Il primo importante passo è stato compiuto con l’istituzione del Fondo
Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF), nel maggio 2010. Quest’ultimo sarà
trasformato in un fondo permanente, il Meccanismo europeo di stabilità (MES),
detto anche Fondo salva-Stati (attivo dal luglio 2012), il quale, finanziato dai
Paesi membri, fornirà prestiti ai paesi in difficoltà.
È indispensabile che il MES adotti un approccio più intelligente per i prestiti ai
paesi in difficoltà, di quello adottato dal FESF. Quest’ultimo, nel programma di
salvataggio irlandese, ha applicato un tasso di interesse elevato (quasi il 6%). Ciò
rende più difficile per il governo irlandese ridurre il suo deficit di bilancio e
rallentare l’accumulo del debito. In aggiunta, applicando un premio di rischio di
circa il 3% sopra il tasso privo di rischio di cui godono il governo tedesco,
olandese e austriaco, il FESF segnala al mercato l’esistenza di un significativo
42
rischio di default, e quindi, che il governo irlandese non potrebbe riuscire a
mettere il suo bilancio in ordine. Tutto questo, in modo auto-realizzante, aumenta
il rischio di default.
L’approccio previsto per il MES, consiste nell’utilizzo di “una politica del bastone
e della carota”. Il bastone rappresenta la condizionalità, ossia un pacchetto di
austerità definito in un periodo sufficientemente lungo, in modo che la crescita
economica abbia la possibilità di realizzarsi, permettendo quindi una diminuzione
degli oneri del debito. La carota è un tasso d’interesse agevolato, che renda più
facile per il paese fermare l’accumulo di debito. Un buon tasso d’interesse
esprime fiducia nel successo del pacchetto; fiducia di cui i mercati finanziari
hanno bisogno per essere indotti a comprare il debito pubblico ad un tasso di
interesse ragionevole. Tuttavia, il MES applica un tasso di interesse che si trova
200 punti base sopra il tasso di finanziamento; ciò comporta un segnale al mercato
di sfiducia nel successo del suo programma di prestiti.
Ci sono ulteriori caratteristiche del MES che insidiano la sua capacità di
stabilizzare il mercato del debito sovrano della zona Euro.
Dal 2013 in poi, tutti i membri della zona Euro saranno obbligati a introdurre
“clausole di azioni collettive” quando emettono titoli di Stato nuovi. Ciò ha una
forte implicazione pratica; in quanto, quando un governo della zona Euro si
rivolgerà al MES per ottenere finanziamenti, gli obbligazionisti possono essere
invitati a partecipare alla ristrutturazione del debito, ossia a prendere una parte
43
delle perdite. L’intenzione può essere buona, ma gli effetti saranno negativi.
Infatti, quando il governo tedesco ha fatto la prima proposta di introdurre le
“clausole di azione collettiva”, durante il Consiglio Europeo dell’ottobre 2010,
l’immediato effetto è stato quello di intensificare la crisi dei mercati delle
obbligazioni sovrane della zona Euro. Possiamo illustrare questi effetti nella
figura n. 1. È possibile vedere che, subito dopo l’annuncio dell’immissione delle
clausole di azione collettiva, nell’ottobre 2010, gli spread dei titoli di Stato di
Irlanda, Portogallo e Spagna sono cresciuti notevolmente. Tale effetto contrasta
con le precedenti riunioni del Consiglio Europeo, le quali, non sembrano aver
influenzato gli spread.
Figura n. 1 – Spread dei titoli di Stato e riunioni del Consiglio Europeo
Fonte: Datastream
44
Le clausole di azione collettiva renderanno i mercati dei titoli pubblici più fragili
e, soprattutto, più sensibili ai timori speculativi. Quando i possessori di titoli
pubblici sanno che in futuro i loro titoli potrebbero perdere automaticamente
valore, nel caso in cui il paese si rivolga al MES, vorranno essere compensati per
il rischio aggiuntivo, con un tasso d’interesse più alto. In aggiunta, ogni volta che
essi sospettano che un Paese possa rivolgersi al MES, venderanno
immediatamente i loro titoli, così da evitare una potenziale perdita. Quest’attività
di vendita farà aumentare il tasso d’interesse di quei titoli, e, in maniera auto-
avverante, renderà più probabile che il Paese si rivolga al MES per rifinanziarsi.
Le clausole di azione collettiva intensificano la dipendenza dei Paesi membri dalla
fiducia dei mercati finanziari, perché, ad ogni calo di fiducia, gli investitori
venderanno i loro titoli per evitare perdite, innescando così una crisi di liquidità.
C’è un’altra caratteristica del MES di cui tener conto. I Paesi che si rivolgono al
MES per finanziarsi, saranno sottomessi ad una dura austerità di bilancio come
condizione per ottenere il finanziamento. Perciò, ad ogni recessione, i Paesi della
zona Euro, obbligati a rivolgersi al MES, saranno vincolati a seguire politiche di
bilancio pro-cicliche; cioè, ridurre la spesa e aumentare le tasse. Un effetto sicuro
è quello di rendere la recessione peggiore.
In un modo abbastanza straordinario i leader europei hanno progettato una
“soluzione” al problema sistemico che rischia di rendere, paradossalmente, il
problema più grave. Introducendo tutti questi vincoli all’operato del MES, lo
45
hanno trasformato in un’istituzione che improbabilmente garantirà una maggiore
stabilità della zona Euro
2.2 L’emissione di Eurobond Comuni
Un secondo passo verso l’unione politica e quindi verso il rafforzamento
della zona Euro è costituito dall’emissione di Eurobond Comuni. L’emissione di
Eurobond Comuni è un meccanismo importante per internalizzare le esternalità
della zona Euro.
Con l’emissione di Eurobond, i Paesi membri diventano responsabili in solido per
il debito che hanno emesso insieme. Ciò comporta una difesa contro la
destabilizzazione delle crisi di liquidità che si materializzano dall’incapacità dei
Paesi membri di controllare la moneta in cui il debito è emesso.
La proposta di emettere Eurobond Comuni, ha incontrato una certa resistenza in
alcuni paesi; ciò dovuto al fatto che, essi creano un numero di seri problemi che
vanno affrontati.
Il primo problema è dato dall’azzardo morale (moral hazard). Poiché i paesi sono
collettivamente responsabili per il problema del debito comune, si crea per alcuni
paesi un incentivo a basarsi su quest’assicurazione implicita, e quindi, si crea la
possibilità di emettere anche molto debito. Questo crea forti restrizioni negli altri
paesi che si comportano responsabilmente. È improbabile che questi ultimi siano
46
disposti ad accettare l’emissione di Eurobond, salvo che il rischio di moral hazard
non sia risolto.
Il secondo problema deriva dal fatto che alcuni paesi come Germania, Finlandia e
Paesi Bassi, beneficiano, oggi, del rating tripla A, che consente a tali paesi di
ottenere le condizioni di prestito migliori. Aderendo ad un meccanismo di titoli
comuni, al quale partecipano anche paesi che godono di rating del credito meno
favorevoli, non è detto che tali paesi possano effettivamente pagare un tasso
d’interesse più elevato sul loro debito.
I due problemi sopra elencati dovranno essere presi in considerazione per
un’attenta progettazione del meccanismo degli Eurobond Comuni. In particolare,
il progetto degli Eurobond Comuni deve eliminare il rischio di moral hazard ed
essere sufficientemente attrattivo per i Paesi membri con rating favorevoli.
La proposta di De Grauwe per la progettazione di tale meccanismo è quella di
cercare una combinazione tra la proposta fatta da Bruegel e quella fatta da De
Grauwe & Moesen.
Secondo Bruegel, i paesi dovrebbero partecipare all’emissione di Eurobond
Comuni fino al 60% del loro PIL, creando dei c.d. titoli blu. L’eccedenza
dovrebbe essere emessa nei mercati obbligazionari nazionali, mediante i c.d. titoli
rossi. Questo creerebbe una senior tranche (titoli blu) che godrebbe della migliore
valutazione possibile; mentre, la junior tranche (titoli rossi) si troverebbe ad
47
affrontare un premio di rischio più elevato. Ciò dovrebbe aumentare l’incentivo a
limitare la componente rossa delle emissioni obbligazionarie dei Paesi membri.
La proposta di Bruegel può, però, essere criticata, perché, restando immutato il
rischio sottostante dei titoli di Stato, la divisione delle obbligazioni in diverse
tranche non influenza il rischio. Così, se al titolo blu è associato un tasso di
interesse più basso e al titolo rosso uno più elevato, il costo medio sarà
esattamente lo stesso di quando vi è un solo tipo di titolo. Ciò deriva da
un’applicazione del teorema di Modigliani-Miller, il quale afferma che il valore di
un’impresa non è influenzato dal modo in cui i debiti della società sono strutturati.
Tutto questo è vero finché il rischio di fondo resta immutato. Il punto, tuttavia, è
che l’emissione di titoli comuni è uno strumento per proteggere i paesi dall’essere
spinti in un cattivo equilibrio. Se tale meccanismo riesce a soddisfare tale
condizione, il rischio di fondo dei titoli, effettivamente diminuisce. In tal caso, i
Paesi membri possono godere di un abbassamento del costo medio del prestito,
ma, allo stesso tempo, il costo marginale del prestito è probabilmente superiore
alla media. Questo è esattamente ciò che si vuole avere: un calo medio dei costi
del debito e un aumento del costo marginale del debito. Il primo rende più facile
la manutenzione del debito, il secondo prevede forti incentivi per ridurre il livello
del debito, e quindi ridurre il rischio di moral hazard.
La proposta di De Grauwe & Moesen consiste, basandosi sulla struttura definita
da Bruegel, nell’uso di tariffe diverse per i paesi che partecipano all’emissione dei
48
titoli blu. La differenza è dovuta agli aspetti fiscali dei paesi partecipanti. In
particolare, i paesi con elevati livelli di debito pubblico si troverebbero ad
affrontare una tariffa elevata, i paesi con livello di debito inferiore, una tariffa
minore. Ciò significa che: paesi fiscalmente prudenti dovrebbero pagare un tasso
d’interesse, inerente alla tranche di titoli blu, più basso rispetto ai paesi
fiscalmente meno prudenti. Ciò garantirebbe che l’emissione di titoli blu risulti
interessante per i paesi con migliore valutazione del credito, conferendogli un
incentivo a partecipare al meccanismo di emissione degli Eurobond Comuni.
In caso di successo, un’emissione di Eurobond Comuni creerebbe un nuovo
mercato obbligazionario governativo, caratterizzato da molta liquidità. Questo
attrarrebbe investitori da fuori, rendendo l’Euro moneta di riserva.
2.3 Il coordinamento delle politiche economiche
Un terzo passo importante verso l’unione politica è quello di definire alcuni
vincoli sulle politiche economiche nazionali degli Stati membri dell’Eurozona.
Questi ultimi dovrebbero destinare la sovranità sull’uso degli strumenti di politica
economica alle istituzioni europee, garantendo una centralizzazione come avviene
per la politica monetaria. Tuttavia, la volontà di compiere questo drastico passo
verso una completa unione politica è, almeno finora, assente.
La Commissione Europea ha proposto un quadro di valutazione di particolari
variabili macroeconomiche (debito privato e pubblico, gli squilibri delle partite
correnti, le misure di competitività, i prezzi delle case), le quali richiedono attività
49
di monitoraggio. Tale quadro di valutazione dovrebbe essere usato per spingere i
diversi paesi verso l’utilizzo dei loro strumenti di politica economica in modo da
creare maggiore convergenza in queste variabili macroeconomiche. Il mancato
intervento per eliminare squilibri riguardanti le variabili sopra elencate, potrebbe
innescare un meccanismo sanzionatorio.
Anche se la proposta della Commissione Europea sembra essere un importante
passo verso una maggiore unione politica; essa, non sembra tener conto che i
governi nazionali hanno relativamente poco controllo su molte delle variabili
macroeconomiche indicate. La figura n. 2 illustra, proprio, che le dinamiche di
divergenza pre-crisi sono state caratterizzate principalmente da andamenti
monetari e finanziari su cui i governi nazionali avevano poco controllo; boom e
bolle locali (in particolare nei mercati immobiliari) sviluppatisi nella periferia
della zona Euro e propagatesi essenzialmente mediante l’espansione del credito
bancario. Ciò è stato reso molto chiaro dall’esperienza di Spagna e Irlanda.
50
Figura n. 2 – Prezzi reali delle case e tasso di crescita del credito nominale relativo al PIL
Fonte: Kannan et al. (2009)
Pertanto, qualsiasi politica volta a stabilizzare l’attività economica locale deve
anche essere in grado di controllare la creazione di credito locale, ma poiché gli
unici strumenti che possono affrontare efficacemente questa situazione sono gli
strumenti monetari affidati alle autorità monetarie europee, i paesi membri non
avranno gli strumenti giusti per affrontare ciò. Dobbiamo, quindi, capire se le
autorità monetarie europee, in particolare la BCE, possono aiutare i governi
nazionali. La BCE è responsabile per la stabilità dei prezzi, ma anche di quella
finanziaria. La crisi finanziaria scoppiata nella zona euro nel 2010 ha riguardato
un numero limitato di paesi. Ciò comporta che, anche se la BCE dovrebbe essere
interessata agli aggregati a livello di sistema, non può ignorare quel che accade
nei singoli paesi. L’eccessiva creazione di credito bancario in un certo numero di
51
Stati membri dovrebbe interessare anche la BCE, la quale ha la capacità tecnica di
limitare il credito bancario negli Stati interessati, richiedendo requisiti differenti
per le riserve obbligatorie, o imponendo percentuali di capitale anti cicliche.
Questi strumenti possono essere utilizzati come strumenti di stabilizzazione a
livello nazionale.
Le recenti riforme in ambito di vigilanza finanziaria della zona Euro, aumentano
la possibilità di intervento da parte dell’Eurosistema. Nel 2010 è stato istituito il
Comitato Europeo per il rischio sistemico (ESRB), preseduto dal presidente della
BCE, responsabile per la vigilanza macro-prudenziale del sistema finanziario
dell’Unione. L’istituzione dell’ESRB ha posto la BCE come centro di
monitoraggio dei rischi sistematici emergenti nella zona Euro.
3. Conclusioni
In questa sezione, abbiamo analizzato tre “passi”, ritenuti fondamentali al fine
di migliorare l’unione politica nella zona Euro, e quindi, volti a garantire la
stabilità dei mercati finanziari. Riguardo alla progettazione di assistenza
finanziaria, incarnata nel Meccanismo Europeo di Stabilità, è stato osservato che:
essa avrà l’effetto di rendere i paesi ancora più sensibili ai cambiamenti di umore
del mercato. In particolare, la “clausola di azione collettiva”, obbligatoria per le
future emissioni del debito pubblico della zona Euro, aumenterà il nervosismo dei
mercati finanziari. In ogni recessione, i possessori di titoli, temendo che il paese
52
possa rivolgersi al MES, venderanno immediatamente i loro titoli, rendendo in tal
modo una crisi per il default più probabile.
Riguardo all’emissione collettiva dei titoli di Stato, abbiamo osservato che tale
passo risulta fondamentale per definire un sistema collettivo di difesa contro i
capricci di euforia e paura che caratterizzano i mercati finanziari, da cui derivano
crisi di liquidità.
Infine, è stato osservato che un’unione monetaria può funzionare solo se vi è un
meccanismo collettivo di sostegno e controllo reciproco. Tale meccanismo esiste
in un’unione politica. In assenza di un’unione politica, i paesi membri della zona
Euro sono condannati a colmare con i necessari pezzi un tale meccanismo
collettivo. La crisi del debito ha reso possibile aggiungere pochi di questi pezzi
(p.e. l’istituzione dell’ESRB), ma, tuttavia, quanto è stato raggiunto, non è ancora
sufficiente per garantire la sopravvivenza dell’Eurozona.
53
IV. La BCE come prestatore di ultima istanza
1. Introduzione
La crisi del debito sovrano ha chiarito che la BCE non è unicamente
un’istituzione necessaria per tenere bassa l’inflazione. Le banche centrali sono
anche responsabili per la stabilità finanziaria. Uno strumento necessario per
garantire la stabilità finanziaria è fornito dalla capacità della banca centrale di
essere prestatore di ultima istanza nel sistema bancario. Questo è necessario per
impedire ai paesi di essere spinti in cattivi equilibri, dovuti ad aspettative auto-
avveranti.
Nell’ottobre del 2008 la BCE non ha esitato a ricoprire la funzione di prestatore di
ultima istanza, aumentando massicciamente la liquidità per salvare il sistema
bancario. Le cose sono state molto diverse, quando nel 2010 è esplosa la crisi del
debito sovrano. Stavolta la BCE è stata preda di esitazione. Essa ha attuato una
politica di stop-and-go, nella quale, si sono alternati momenti in cui ha fornito
liquidità nei mercati obbligazionari governativi e altri in cui l’ha ritirata. In questo
capitolo cercheremo di capire se per la BCE esiste un effettivo ruolo di prestatore
di ultima istanza.
54
2. L’esistenza di un prestatore di ultima istanza come
garanzia
Come già visto nei capitoli precedenti, i governi dell’Eurozona emettono
debito in una valuta di cui non controllano il corso legale. Ciò comporta che, essi,
non possono garantire ai sottoscrittori che avranno sempre la liquidità necessaria
per pagare l’obbligazione alla scadenza.
Tale impostazione contrasta con quella dei paesi “indipendenti”, i quali emettono
debito in una valuta sulla quale esercitano un controllo diretto. Questa
caratteristica permette a questi paesi di poter garantire che il denaro sarà sempre
disponibile per pagare i detentori di obbligazioni. Per questo motivo il paese
“indipendente” fornisce una garanzia implicita: la banca centrale è prestatore di
ultima istanza nel mercato dei titoli di Stato.
L’assenza di tale garanzia nei mercati delle obbligazioni sovrane in un’unione
monetaria li rende vulnerabili alle crisi di liquidità e contagio, molto similmente ai
sistemi bancari nei quali è assente un prestatore di ultima istanza. In questi
sistemi, i problemi di solvibilità di una banca possono condurre rapidamente i
titolari di depositi di altre banche a ritirare i loro depositi, causando un c.d. “corsa
agli sportelli”. Ciò mette in moto una crisi di liquidità, la quale contagia anche le
banche sane. Quando queste banche proveranno ad incassare le loro attività,
spingendo verso il basso i loro prezzi, la crisi di liquidità degenera in una crisi di
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solvibilità. Questa instabilità viene risolta autorizzando la banca centrale ad essere
un prestatore di ultima istanza. La cosa interessante di questa soluzione è che
quando i titolari di depositi sanno dell’esistenza di tale funzione, raramente deve
essere utilizzata. L’esistenza di un prestatore di ultima istanza previene la perdita
di fiducia a cascata.
I mercati di un’unione monetaria hanno la stessa struttura del sistema bancario.
Come visto in precedenza, quando sorgono problemi di solvibilità in un Paese
membro (p.e. la Grecia), gli obbligazionisti, temendo il peggio, vorranno liberarsi
delle loro obbligazioni. Questa perdita di fiducia può innescare una crisi di
liquidità nei mercati finanziari, la quale, dato l’aumento dei tassi d’interesse dei
titoli di Stato, si trasforma in crisi di solvibilità. Come già visto, la sfiducia nei
mercati finanziari può spingere un paese, in modo auto-avverante, in un cattivo
equilibrio, caratterizzato da alti tassi d’interesse, forze recessive, aumento dei
problemi di bilancio e un incremento della probabilità di insolvenza.
Risulta, quindi, importante, definire per la BCE un ruolo di prestatore di ultima
istanza sui mercati obbligazionari governativi, per prevenire che i paesi siano
spinti in un cattivo equilibrio.
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3. Le critiche al ruolo della BCE come prestatore di ultima
istanza
Se il pretesto per assegnare alla BCE il ruolo di prestatore di ultima istanza
sui mercati dei titoli di Stato è forte, l’opposizione a tale mandato è altrettanto
intensa. È possibile analizzare i due principali argomenti che sono stati formulati
contro l’assegnazione di questo ruolo alla BCE.
3.1 Il rischio di inflazione
La prima critica al ruolo di prestatore di ultima istanza della BCE è che: con
l’acquisto di titoli di Stato, la BCE aumenta la massa monetaria portando quindi
ad un rischio d’inflazione. Per capire se ciò può essere considerato esatto, vanno
analizzati due punti.
Primo, una distinzione fondamentale andrebbe introdotta tra base monetaria e
stock di moneta. Quando la banca centrale acquista titoli di Stato aumenta la base
monetaria: quella in circolazione e i depositi delle banche presso la banca centrale.
Questo non significa che lo stock di moneta aumenti. Infatti, durante i periodi di
crisi finanziarie, entrambi gli aggregati monetari tendono a diventare scollegati.
Nella figura n. 1 si osserva che prima della crisi bancaria del 2008 entrambi gli
aggregati erano molto legati, dopo l’ottobre 2008, però, la disconnessione è
divenuta molto accentuata. La BCE ha reagito alla crisi bancaria, accatastando
massicciamente attività sul suo bilancio. Ciò ha comportato un forte aumento
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della base monetaria, ma nessun effetto sullo stock di moneta (M3), che, anzi, è
diminuito fino alla fine del 2009. Questo è dovuto al fatto che le banche hanno
accumulato liquidità fornita dalla BCE, senza, però, utilizzarla per estendere il
credito al settore non bancario.
Figura n. 1 – Base monetaria e stock di moneta (M3) nella zona euro
Fonte: BCE, Statistical data Warehouse
Secondo, bisogna notare che quando scoppia una crisi finanziaria, gli agenti
vogliono detenere liquidità per motivi di sicurezza. Se la banca centrale decide di
non fornire liquidità, rischia di trasformare la crisi finanziaria in recessione
economica ed, eventualmente, in una depressione. Al contrario, quando la banca
centrale svolge il ruolo di prestatore di ultima istanza e amplia la base monetaria,
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il processo deflazionistico si arresta. Il che non necessariamente comporta che la
banca centrale rischi di creare inflazione.
Tutto questo è stato ben compreso da Friedman, che nel suo classico, scritto
insieme a Schwartz, “A monetary hisotry of the US”, sosteneva che la Grande
Depressione fu così intensa perché la FED non riuscì a svolgere il suo ruolo di
prestatore di ultima istanza, e non aumentò la base monetaria statunitense a
sufficienza.
Nonostante tutto, la paura infondata di conseguenze inflazionistiche al ruolo di un
prestatore di ultima istanza, continua a colpire l’ordinamento.
3.2 Le conseguenze fiscali
La seconda critica è che le operazioni di prestatore di ultima istanza sui
mercati obbligazionari possono avere conseguenze fiscali. La ragione è che se i
governi non riescono ad onorare i loro debiti, la BCE incorrerà in delle perdite, le
quali saranno a carico degli obbligazionisti.
Pur essendo tale implicazione fondata, non si tiene conto che tutte le operazioni di
mercato aperto, comprese quelle svolte sul mercato dei cambi, comportano il
rischio di perdite e quindi di avere conseguenze fiscali. Anche quando la banca
centrale acquista titoli privati, in una sua operazione di mercato aperto, c’è un
rischio, perché l’emittente delle obbligazioni può andare in default. Ciò
comporterebbe delle perdite per banca centrale identiche a quelle in cui, la stessa,
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può incorrere acquistando titoli di Stato. Quindi, la banca centrale dovrebbe
astenersi da qualsiasi operazione di mercato aperto, smettendo così di essere una
banca centrale. La verità è, però, un’altra. La banca centrale deve eseguire
operazioni di mercato aperto, senza essere scoraggiata dalle potenziali perdite in
cui potrebbe incorrere, poiché le perdite possono essere necessarie, se non
desiderabili, per garantire la stabilità finanziaria.
Vi è un successivo aspetto di cui tener conto. Come già visto, ormai più volte, in
quest’elaborato, i mercati finanziari possono condurre i paesi, in modo auto-
avverante, in un cattivo equilibrio, dove il default è inevitabile. Il ruolo della
banca centrale come prestatore di ultima istanza, può evitare che tali paesi siano
spinti in un cattivo equilibrio, e inoltre, se svolto correttamente può evitare
perdite, quindi nessuna conseguenza fiscale.
Infine, osservando la tabella n. 1, è possibile capire che la BCE è stata la più
riluttante all’acquisto dei titoli di Stato. I titoli di Stato detenuti dalla BCE
rappresentano solo il 22,9% del suo bilancio, contro il 56,3% della FED e,
addirittura, l’87,3% della BoE (Banca d’Inghilterra). Allo stesso modo, la
percentuale di debito pubblico della zona Euro detenuta dalla BCE è del 5,5%,
rispetto all’11,3% della FED e il 17,7% della BoE. Incredibilmente è la BCE ad
essere sottoposta alla maggiore critica circa il possesso di debito pubblico. Il fatto
che detenga meno titoli di Stato della FED e della BoE, non comporta che sia
esposta a meno rischi, e quindi che ci siano meno conseguenze fiscali al suo
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operato. Anzi, il contrario potrebbe essere ugualmente vero; ossia, la BCE
acquisendo troppi titoli privati, ha preso più rischi. Riguardo tale aspetto, però, la
BCE affronta, sorpendentemente, solo una piccolo critica.
BCE FED BoE
Titoli di stato come % delle attività delle banche centrali 22,9% 56,3% 87,3%
Percentuale del debito pubblico trattenuta dalle banche centrali 5,5% 11,3% 17,7%
Tabella n. 1
Fonte: Valiante (2011)
4. Il problema dell’azzardo morale
La BCE svolgendo il ruolo di prestatore di ultima istanza rischia di spingere i
governi ad emettere troppo debito. Ciò crea, dunque, un problema di azzardo
morale. Tale problema non deve, però, portare la BCE ad abbandonare il suo
ruolo di prestatore di ultima istanza nel mercato dei titoli di Stato. La BCE può
affrontare questo problema imponendo regole che vincolino i governi
nell’emissione del debito, in maniera molto simile all’approccio previsto nel
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settore bancario, attraverso l’imposizione di limiti all’assunzione di rischi da parte
delle banche.
In generale, è meglio separare la disposizione di liquidità dalle preoccupazioni
sull’azzardo morale; ossia, l’offerta di liquidità deve essere controllata dalla banca
centrale, mente, la governance sul moral hazard da parte di un’altra istituzione,
l’autorità di vigilanza. Il disegno di governance della zona Euro prevede che la
BCE si assuma la responsabilità del prestatore di ultima istanza, garantendo la
fornitura di liquidità in caso di crisi, indipendentemente da ciò che questo
comporta in termini di azzardo morale; l’autorità di vigilanza (ESRB) si prende,
invece, la responsabilità di regolazione e supervisione delle banche. Nel caso in
cui tali funzioni fossero svolte da un'unica istituzione, si rischierebbe di fallire in
entrambe.
Approfondimento – La dottrina di Bagehot può essere utilizzata dalla BCE?
La dottrina formulata da Bagehot nel 1873, afferma che: idealmente, la funzione
di prestatore di ultima istanza dovrebbe essere utilizzata solo quando le banche (o
i governi) hanno problemi di liquidità, non quando sono insolventi. Ciò implica,
necessariamente, che la banca centrale non dovrebbe attuare piani di salvataggio
delle banche e/o dei governi che risultano insolventi.
Il problema di questa dottrina è che, il più delle volte, non si riesce a distinguere
una crisi di liquidità da una di solvibilità.
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Molti economisti concordano sul fatto che la Grecia sia insolvente e quindi non
vada salvata dalla BCE, ma, controversi sono, invece, i casi di Spagna, Irlanda,
Portogallo, Italia e Belgio. Ciò dimostra come non sia facile, pur conoscendo le
dinamiche sia di una crisi di liquidità, sia di una crisi di solvibilità, attuare questa
dottrina. Anzi, analizzando meglio la dottrina è possibile verificare che essa
conduce ad un paradosso: se fosse facile separare i problemi di liquidità da quelli
di solvibilità, anche i mercati dovrebbero essere capaci a farlo. Così, se un
governo dovesse trovarsi in difficoltà, gli stessi mercati finanziari riuscirebbero a
capire se ciò è dovuto ad un problema di liquidità o di solvibilità. Se essi
determinassero un problema di liquidità, sarebbero disposti a fornire credito al
governo, senza che sia richiesto un intervento della BCE. Se, invece, dovessero
determinare un problema di solvibilità, essi non interverrebbero; ma, non
interverrebbe neanche la BCE, poiché secondo la dottrina il governo insolvente
non va salvato. La conclusione è che, se le crisi di liquidità e solvibilità possono
essere separate, non è richiesto il ruolo di prestatore di ultima istanza, perché
saranno gli stessi mercati finanziari ad intervenire in caso di problemi di liquidità.
La dottrina di Bagehot può, però, essere utilizzata dalla BCE. Bagehot avanzò,
anche, il principio secondo il quale, in tempi di crisi, la banca centrale dovrebbe
fornire liquidità illimitata ad un tasso penalizzante, quest’ultimo è visto come un
modo per affrontare il problema di azzardo morale. LA BCE, quindi, potrebbe
applicare questo principio, impegnandosi a fornire liquidità illimitata non appena
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il tasso dei titoli di Stato del paese A superi il tasso privo di rischio (p.e. il tasso
dei titoli di Stato tedeschi) con più di n punti. Questo rappresenterebbe un modo
per la BCE per far fronte alle preoccupazioni di azzardo morale.
Fonte: PAUL DE GRAUWE (2011), The European Central Bank: Lender of Last Resort in the
Government Bond Markets?, CESIFO Working Paper, No. 3569, 9-10.
5. L’operato della BCE: una possibile violazione del suo
statuto
Si è spesso criticata la scelta della BCE di comprare titoli di Stato, in quanto
viene vista come una violazione del suo Statuto. Un’attenta lettura di tale statuto,
però, smentisce tale critica. L’articolo 18 dello Statuto del SEBC e dalla BCE
afferma che: “la BCE e le banche centrali nazionali posso operare sui mercati
comprando e vendendo obbligazioni e strumenti negoziabili”. I titoli di Stato sono
strumenti negoziabili, e da nessuna parte si dice cha alla BCE è vietato comprare e
vendere questi titoli nei mercati finanziari.
L’articolo 21 spiega, invece, in maniera molto precisa, cosa è proibito. Secondo
quest’articolo: “alla BCE non è consentito fornire in conto corrente o qualsiasi
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altro tipo di agevolazioni creditizie agli enti pubblici, né può, la BCE, acquistare
direttamente titoli di debito da questi enti pubblici”.
Alla BCE è, quindi, permesso comprare titoli di Stato sul mercato secondario nel
contesto delle sue operazioni di mercato aperto. Così facendo, la BCE non
fornisce credito ai governi ma liquidità ai possessori di tali titoli di Stato. Questi
possessori sono tipicamente istituzioni finanziarie. In nessun modo questo può
essere interpretato come finanziamento monetario del disavanzo del bilancio
pubblico.
6. Nuove istituzioni di governance: il FESF e il futuro
MES
La crisi del debito ha costretto i leader europei a creare istituzioni necessarie
per garantire la stabilità nella zona Euro. Come già accennato nel capitolo III, nel
maggio 2010 è stato istituito il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF),
che da 2013 verrà sostituito da un Fondo europeo di salvataggio permanente, il
Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
L’opposizione verso tali istituzioni, principalmente rappresentata dalla
dichiarazione dei 189 economisti tedeschi, però, continua ad essere alta.
Quest’opposizione è basata su una diagnosi incompleta del debito sovrano
nell’Eurozona. La dichiarazione dei 189 economisti tedeschi, rappresenta una
critica all’operato dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi (Grecia, Irlanda,
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Portogallo e Spagna). Secondo tale documento, questi governi hanno speso
irresponsabilmente troppo, producendo livelli di debito insostenibili. Essi sono
insolventi per i loro errori. Non vi è alcuna necessità di assistenza finanziaria,
perché questo non li rende solventi, ma, concede solo degli incentivi a preservare
nel comportamento irresponsabile (azzardo morale). Secondo tale analisi, la crisi
di debito di un numero limitato di singoli paesi, può essere risolta solo da un
meccanismo ordinato di default del debito; quest’ultimo eviterebbe che i
contribuenti tedeschi debbano “pagare il conto”.
L’analisi svolta dai 189 economisti tedeschi è corretta solo nel caso della Grecia.
Per gli altri paesi dell’Eurozona, la crisi del debito non può essere ricondotta ad
una serie di problemi individuali, ma, più opportunamente, ad un risultato di un
problema sistemico dell’Eurozona. In primo luogo, i debiti sovrani degli Stati
membri risultano vulnerabili perché facilmente condizionabili dagli umori del
mercato, che può portarli al default. Ciò ha l’effetto di spingere il paese in un
cattivo equilibrio, caratterizzato da tassi d’interesse proibitivi, deficit di bilancio
elevati, una bassa crescita e una crisi bancaria nazionale. In secondo luogo, dato il
grado d’integrazione finanziaria dell’Unione monetaria, il cattivo equilibrio
raggiunto da tali Paesi, investe anche gli altri Paesi membri. In altre parole,
quando in un paese si verifica un problema del debito, questo diventa un problema
dell’Eurozona.
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Per una corretta progettazione della struttura di governance adatta alla zona Euro,
si dovrebbe tener conto sufficientemente dei problemi analizzati nei primi due
capitoli di questo elaborato.
6.1 FESF e MES come possibili soluzioni al ruolo di prestatore di ultima
istanza nell’Eurozona
La BCE ha chiarito che non vuole perseguire il suo ruolo di prestatore di
ultima istanza nel mercato dei titoli di Stato. Questo ha obbligato i membri della
zona Euro a creare un istituto surrogato: il Fondo Europeo di stabilità finanziaria
(FESF), che, come già detto, verrà trasformato nel Meccanismo Europeo di
Stabilità (MES).
Il problema di queste istituzioni è che non avranno mai la credibilità necessaria
per fermare le forze di contagio nella zona Euro, e quindi, non saranno in grado di
garantire la disponibilità della liquidità indispensabile per pagare gli
obbligazionisti dei titoli di Stato. Solo una banca centrale che può creare una
quantità illimitata di denaro può fornire tale garanzia.
In aggiunta, il FESF, e il futuro MES, sono stati istituiti sia per fornire liquidità ai
governi che vivono carenze di liquidità, sia per risolvere i problemi di azzardo
morale creati dalla fornitura della liquidità. Abbiamo visto, in precedenza, che le
due funzioni di fornitore di liquidità e regolatore dell’azzardo morale dovrebbero
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essere sempre separate; in caso contrario si rischia un fallimento in entrami i ruoli.
Infatti, il FESF guidato da preoccupazioni di azzardo morale, tenderebbe a
limitare le sue disposizioni di liquidità, impedendo la piena risoluzione delle crisi
di liquidità e, come visto più volte, permettendo a queste di degenerare in crisi di
solvibilità.
Sia il FESF e che il futuro MES hanno una struttura di governance che li rende
poco adatti alla gestione delle crisi. Ciò comporta che non possono sostituire la
BCE nel ruolo di prestatore di ultima istanza.
Il fatto che la BCE abbia annunciato di voler trasferire tale ruolo a queste
istituzioni, rappresenta una strada sicura per crisi future.
7. Conclusioni
Nei paragrafi precedenti abbiamo compreso che l’inflazione non rappresenta
l’unica preoccupazione per la BCE, la quale, deve garantire anche la stabilità
finanziaria. La maggior parte delle banche centrali è stata creata per risolvere il
problema di instabilità endemica dei sistemi finanziari. Esse rappresentano,
mediante la possibilità di creare liquidità illimitata, le uniche istituzioni in grado
di stabilizzare il sistema finanziario in tempo di crisi. È giunto, quindi, il momento
in cui la BCE riconosca il ruolo di prestatore di ultima istanza, invece di fuggire
dalle sue responsabilità.
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BIBLIOGRAFIA
PAUL DE GRAUWE (2011), The European Central Bank: Lender of Last Resort
in the Government Bond Markets, CESifo Working Papers No. 3569
PAUL DE GRAUWE (2011), The Governance of a Fragile Eurozone, CEPS
Working Document No.346
PAUL DE GRAUWE (2012), In Search of Symmetry in the Eurozone, CEPS
Policy Brief No.268
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RINGRAZIAMENTI
Una fine non è mai facile. Me la immagino così tanto nella mia testa che non potrà mai
soddisfare le mie aspettative, e finirò sempre per rimanerne deluso. Non sono nemmeno
sicuro del perché m’importi di come finirà tutto. Immagino che sia perché tutti crediamo
che quello che facciamo sia molto importante, che le persone pendano dalle nostre
labbra, che diano importanza a quello che pensiamo, facciamo, viviamo. La verità è che
devi considerarti fortunato se anche solo di tanto in tanto fai sentire qualcuno, chiunque,
un po’ meglio. In fondo è qualcosa che riguarda tutte le persone entrate nella mia vita,
che in un modo o nell’altro hanno sempre influenzato ogni mio pensiero, azione, attimo
di vita.
Sono passati solo tre anni da una delle decisioni più importanti della mia vita, almeno
quella lavorativa. Decisione che sicuramente non soddisfa appieno alcune delle persone
più care per me, ma che soddisfa pienamente me. A molti sarà sembrata ovvia,
semplice, senza peso. Per me non lo è stata per niente. Ho combattuto le mie ansie, le
mie paure. Ho combattuto per riavere ciò che mi era mancato, a volte la terra sotto i
piedi. Ho combattuto per avere quella felicità che ho sempre nel cuore, il tassello
mancante per esserlo ancora di più. E poi ho combattuto me stesso per avere ciò che
oggi ho voluto. La vita è un costante combattimento, solo chi si arrende è perduto, io
mai!
I cambiamenti fanno paura, ma sono inevitabili. Esistono quasi per ricordarci che le
cose che contano non si ottengono con facilità. Esistono per darti la giusta motivazione
per andare avanti e prenderti la tua rivincita; che per molti non avrà alcun peso, ma che
per me significa molto. Una rivincita che ti permette di rialzarti da una delle tante
sconfitte che la vita ha in serbo per te. Una rivincita che ti ricorda che la sconfitta non è
il peggior fallimento. Non aver tentato è il peggior fallimento; e ad ogni modo, non
credo di aver fallito, ma di non aver funzionato nel modo giusto.
Dobbiamo avere sempre la forza di attraversare i ponti della vita, lasciando dietro di noi
tutto ciò che ci ha fatto male. La felicità ci sta aspettando dall'altra parte. Dall’altra parte
per ripartire.
I ringraziamenti per questo lavoro di tesi, che per me è molto più, vanno principalmente
a Mamma e Papà, i miei Genitori. Persone a cui devo tutto questo, a cui devo molto, e
molto probabilmente, a cui devo tutto! Persone che non si prendono mai meriti per
quello che fanno; ma sappiatelo, se oggi sono qui è merito vostro. Persone che ti fanno
stare bene al solo pensiero che ci sono, al solo pensiero che per qualsiasi cosa saranno
sempre lì per te. Persone che non chiedono, ma danno anche a costo di perdere qualcosa
di se pur di vederti sorridere.
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Ringrazio le mie sorelle, Serena e Gaia. Sarà pure che non dimostro mai tutto il bene
che vi voglio, ma credetemi, non penso si possa quantificare. Sono il tipo di fratello che
sembra non dar peso al nostro rapporto, che in qualsiasi caso preferirebbe un "ciao a
domani", piuttosto che un arrivederci troppo lungo. Sono il tipo di fratello che preferisce
sapere che voi per me ci siete e ci sarete sempre, anche correndo il rischio che mi
rompiate pure le scatole, ma ben venga. Sono il tipo di fratello che non sopporta sentirvi
lontane, perché quando vuoi bene veramente è cosi.
Ringrazio Melania, non potevo chiedere di meglio alla vita. E’ strano come in un
ingombro di anime solo due occhi riescano a catturare il tuo cuore; e i tuoi lo hanno
fatto con il mio. Voglio che ti ricorda che se dovessi scegliere tra spassarmela con
chiunque altro al mondo o rimanere a casa con te, mangiare una pizza e guardare una
schifezza in TV, sappi che sceglierei sempre te. Ti amo.
Ringrazio Tobia e Salvatore. Potrei scrivere di tutto su voi. Del bene che vi voglio. Di
quanto contate per me. Di quanto mi sentirei solo e perso al pensiero di perdervi. Di
come avete influenzato la mia vita, permettendomi di capire cosa significa voler bene
una persona, che il caso ti ha fatto conoscere, come un fratello. Ecco, mi limito a dire
che se mai avessi avuto dei fratelli, avrei voluto che fossero stati come voi, niente di
più, niente di meno. Tobia e Salvatore.
Ringrazio Arturo, Fabio e Giangi. Persone che anche se non vedo spesso, sono sempre
disposte a regalarti attimi di spensieratezza e felicità. In fondo i veri amici sono come i
lampioni lungo la strada. Non rendono breve la distanza, ma facilitano il cammino.
Ringrazio Antonio, Gennaro, Peppe, Nello e Daniele. Persone che mi hanno permesso
di passare tre anni bellissimi. Persone speciali con cui la quotidianità dell’università è
diventata un’avventura unica. Amici più che colleghi. Grazie di cuore.
Ringrazio Vincenzo. Quando vuoi, sono sempre disponibile per un caffè o un aperitivo.
Credo che tu sappia di essere una persona eccezionale.
Ringrazio Antonio Paudice, Antonio Ariano e tutti quelli della partita del giovedì, per
quei novanta minuti che scorrono sempre troppo velocemente; ma soprattutto per il
tempo passato insieme fuori dal campo.
Ringrazio Michele e Mattia. Amici che vedo una volta l’anno, se tutto va bene. Amici
fuori dall’ordinario, o forse no. Assolutamente no, perché un amico è sempre lì per te; e
per me ci siete sempre stati.
Ringrazio Zia Tina, Zia Maria, Zio Rosario, Zia Nora, Zio Pasquale, Zia Anna, Nonna
Pasqualina, Nonno Rinaldo, Zia Antonella, Zio Flavio, Nonna Caterina, Zio Rocco e
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Zia Cira. La mia famiglia allargata. Persone che sicuramente hanno avuto molta
importanza nella mia vita, e che ne avranno sempre.
Ringrazio i miei cugini Marco, Mauro, Mario, Paola, Giulia, Marco “il piccolo”,
Eleonora, Benedetta, Raffaele e Giuseppe.
Ringrazio il Sig. Ciro e il Sig. Leo, persone con cui condividere una passione e passare
del tempo grazie a ciò che ci accomuna.
Ringrazio Tonino, Fiorella, Pietro e Mariastella.
Ringrazio il Professore Riccardo Marselli. Relatore della mia tesi.
Ringrazio per ultimi, ma non per importanza, Niko Bellic, Luis Lopez e Johnny Klebitz.
Persone sicuramente fuori dal comune, ma comunque bravi ragazzi.
Io non chiedo a nessuno di restare, non ha senso farlo per me. Credo che chi vuole
restare nella mia vita ci resta perché lo sente, perché lo vuole, e soprattutto perché non si
farà facilmente trascinare altrove. Non devo lottare io per farlo restare sarà lui stesso a
farlo, anche nel caso in cui lo mandassi via. Non sono impeccabile, né perfetta come
persona; ecco perché, per il solo fatto che tutti voi siate ancora nella mia vita vi
ringrazio.
Grazie
Davide Vioto