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1 1 1 ECONOMIA AZIENDALE CORSO AVANZATO Prof. MAURO PAOLONI Modulo II Prof. MASSIMILIANO CELLI

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ECONOMIA AZIENDALE

CORSO AVANZATO

Prof. MAURO PAOLONI

Modulo II

Prof. MASSIMILIANO CELLI

2 2 2

Indice

1) Le crisi aziendali

2) Cause e tipologie di crisi aziendali

3) La crisi nelle piccole imprese

4) Strumenti di prevenzione delle crisi

5) Il governo delle crisi aziendali

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Le crisi aziendali

La crisi è un fenomeno tipico (in quanto ricorrente) della vita aziendale, ed

ha profondi effetti sul funzionamento dell’intero sistema economico, sia in

termini monetari (impatto sulla ricchezza locale e nazionale) che sociali.

Dato che l’impresa è un’attività economica organizzata svolta in condizioni

di rischio, alla prospettiva di creare valore per tutti gli stakeholders può

accompagnarsi, inevitabilmente, la possibilità di un percorso involutivo,

che si riversa, dapprima, sulle attese dei soci (remunerazione del capitale

inferiore al rendimento congruo) per poi estendersi anche agli altri

stakeholders (in particolare fornitori e finanziatori).

La crisi è dunque un fenomeno al contempo “aziendale” e “istituzionale”

(concernendo gli aspetti regolamentari dell’attività economica in generale),

e pertanto le modalità di governo di tale fenomeno sono fondamentali sia

per i riflessi sul potenziale economico e sociale della singola azienda sia

per l’impatto sulla struttura del settore in cui l’azienda si colloca.

4 4 4

1) Il declino (crisi potenziale)

La nozione di declino è associata all’ottenimento di una performance

negativa in termini di creazione di valore (cioè alla sua distruzione) su un

orizzonte temporale significativo.

Il senso stesso dell’esistenza di un’azienda è infatti dato unicamente

dall’accrescimento del valore del capitale economico (fine ontologico).

Le crisi aziendali

è palesato dalla sistematica e duratura perdita di flussi economici e

finanziari (qualora non si elabori un processo di risanamento), e non dal

semplice realizzo di perdite reddituali;

è provocato dalla perdita di capacità reddituale sul piano prospettico (a

condizione che il fenomeno superi una certa soglia di intensità) e non

dalla mera diminuzione del livello di redditività su base storica.

Classificazione delle crisi aziendali

Il declino pertanto:

5 5 5

È uno stato di grave instabilità originato da rilevanti perdite economiche e

di valore capitale, da conseguenti forti squilibri finanziari, dalla diminuzione

della capacità di credito (per perdita di fiducia conseguente alla

riconoscibilità esterna della condizione di crisi), dall’insolvenza e, in ultimo,

dal dissesto, ossia da uno squilibrio patrimoniale definitivo.

Le crisi aziendali

2) La crisi vera e propria (riconoscibilità all’esterno)

- insolvenza* è misurata in termini di flussi e palesa una situazione di

tensione finanziaria (i flussi di cassa generati nell’unità di

tempo non sono sufficienti per far fronte ai pagamenti in

scadenza) c.d. asfissia finanziaria;

- dissesto è misurato in termini di stock ed identifica una situazione

patologica in cui il valore delle attività aziendali è

insufficiente per coprire l’ammontare dei debiti.

(crisi acuta)

6 6 6

Le crisi aziendali

(*)

Secondo la Legge Fallimentare attualmente in vigore, lo stato di

insolvenza viene palesato dal verificarsi di “…inadempimenti che

dimostrano l’incapacità del debitore di soddisfare regolarmente (alle

scadenze prefissate e con mezzi normali di pagamento) le proprie

obbligazioni”.

Posto che la questione risiede nel capire come (e conseguentemente

quando) lo stato di insolvenza si manifesta, la giurisprudenza ha nel corso

degli anni individuato alcuni fatti indiziari, sintomatici di tale stato:

• la pubblicazione di protesti;

• l’esistenza di procedure esecutive (specie se immobiliari);

• l’iscrizione di ipoteche;

• la pubblicazione di bilanci in perdita (o comunque “squilibrati”);

• la notizia di scioperi o di cassa-integrazione;

7 7 7

Le crisi aziendali Normalmente, la manifestazione di uno stato di tensione finanziaria è

considerato il sintomo primigenio di un futuro dissesto.

Infatti una condizione di temporanea insolvenza, se non tempestivamente

sanata, può provocare un disequilibrio economico/patrimoniale (specie se

per ottemperare ai debiti in scadenza, di natura commerciale ovvero

finanziaria, si ricorre ad ulteriore indebitamento di natura esclusivamente

finanziaria) prodromico al dissesto vero e proprio.

Potrebbe trattarsi, però, di un segnale alle volte fallace posto che:

- l’insufficienza dei flussi finanziari originati dalla gestione corrente potrebbe

essere soltanto temporanea (ad es. a causa di alcuni ritardati rimborsi);

- l’impresa, pur in difficoltà, potrebbe comunque far fronte ai propri debiti

attingendo a riserve di liquidità oppure dismettendo cespiti non strategici;

- a tal riguardo, sin quando il merito creditizio si mantiene positivo (cioè

l’impresa è in grado di rimborsare i debiti precedentemente contratti), essa

troverà soggetti disposti a finanziarla.

8 8 8

Le crisi aziendali Non è sempre agevole distinguere il declino dalla crisi vera e propria.

Specie nelle fasi iniziali, infatti, vere situazioni di crisi possono apparire

semplici forme di reversibile declino o, addirittura, di normale gestione.

Ciò può accadere, ad esempio, quando i flussi di cassa in entrata e in uscita, a

causa di scarsi investimenti o della contrazione dei volumi di attività,

consentono di procrastinare l’esplosione delle difficoltà finanziarie; oppure

quando gli imprenditori sono “abili” nel mascherare il progredente declino (o

addirittura forniscono informazioni artefatte dati contabili falsificati).

In ogni caso, è concettualmente arbitrario fissare un limite all’erosione

prodotta dalle perdite gestionali (in termini di reddito e di valore

patrimoniale) per stabilire quando la crisi è «riconoscibile» all’esterno.

Peraltro, se il valore di liquidazione delle attività (singoli assets) è inferiore

all’ammontare del debito, i creditori sono coinvolti (spesso a loro insaputa)

nel rischio d’impresa.

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Dalle caratteristiche del debito deriva poi il grado di flessibilità a

disposizione dell’imprenditore per il governo della crisi possibilità di

agire liberamente per il recupero delle condizioni di efficienza gestionale

senza interferenze da parte dei creditori.

Tanto più il debito è a lunga scadenza e a rimborso periodico piuttosto che

in un’unica soluzione, tanto maggiore è il grado di flessibilità operativa a

disposizione del management.

Peraltro, tale flessibilità potrebbe indurre l’imprenditore a dilazionare

l’intervento sulla crisi (superando quindi il citato punto critico) oppure a

porre in essere azioni inefficienti con conseguente erosione del valore del

capitale, o ancora a compiere atti volti a traslare gli effetti della crisi in

capo ai creditori.

Le crisi aziendali

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Le crisi aziendali

In ogni caso, per definire quando un’azienda possa dirsi in crisi è

necessario stabilire preliminarmente le caratteristiche di un suo sano e

corretto funzionamento:

Economicità equilibrio economico (o autosufficienza economica) ed

equilibrio finanziario (o adeguata potenza finanziaria).

Equilibrio patrimoniale capacità di coprire efficacemente (in termini

di costi, tempi e modalità) e durevolmente nel tempo i vari tipi di

fabbisogno (a breve, media e lunga scadenza; elastico o rigido; ecc.),

con il più corretto mix tra fonti di finanziamento interne (mezzi propri, da

apporto o da autofinanziamento) e fonti esterne.

Efficienza economico-tecnica nell’impiego dei diversi fattori della

produzione.

Continuo accrescimento del valore del capitale economico.

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In linea di massima, uno stato di crisi risulta difficilmente imputabile ad

un’unica causa piuttosto, i fattori che lo generano sono molteplici (si

parla anzi, spesso, di microcause) e si alimentano reciprocamente, ed

unitariamente contribuiscono alla genesi nonché al progredire della crisi

medesima.

In ogni caso, risulta di fondamentale importanza:

1) Individuare gli strumenti più adatti a prevenire/predire uno stato di crisi

(prima cioè che esso divenga riconoscibile all’esterno - manifesto).

2) identificarne le possibili cause.

3) definire le linee di intervento strategico per governare lo stato di crisi e

quindi consentirne il superamento.

Le crisi aziendali: cause e tipologie

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

1) L’individuazione e l’analisi delle cause di una crisi aziendale possono

effettuarsi alla luce di due differenti (ma contigui) approcci:

a) soggettivo

b) oggettivo

a) Approccio soggettivo

Secondo tale criterio, il sistema umano dell’impresa (area della proprietà e

del management, assai raramente della tecnostruttura) è il principale

responsabile del successo e, quindi, dell’eventuale insuccesso aziendale

Sono cioè le persone, protagoniste ai vari livelli della vita aziendale, con le

loro inefficienze, i loro errati comportamenti, le loro incapacità, la causa

prevalente degli stati di crisi.

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Le crisi aziendali: cause e tipologie Le crisi in tale ottica sono da collegarsi all’instabilità dell’ambiente interno

ed esterno all’impresa, con la conseguenza che il loro sorgere e protrarsi

deve imputarsi all’incapacità dell’azienda di adattare i propri assetti

economico-finanziari e patrimoniali agli assidui e repentini mutamenti

dell’ambiente in cui vive.

Pertanto, in situazioni di crisi:

il primo ad essere messo sotto accusa è il management per i suoi

comportamenti colposi (o anche, talvolta, dolosi) dettati da incapacità,

strategie di breve termine, ecc.;

in secondo luogo, le critiche si appuntano sulle scelte della proprietà:

eccessive distribuzioni di utili; indisponibilità a fornire garanzie ai

creditori e/o nuovi apporti capitale all’azienda; errata scelta del

management; eccessivo accentramento (tipico di PMI); ecc.

in subordine (e in misura minore), ulteriori motivi di crisi possono

rinvenirsi nei comportamenti della tecnostruttura.

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

Peraltro l’approccio in esame, incentrato prevalentemente sulla

correlazione tra gli stati di crisi e i comportamenti colposi/dolosi tenuti

dall’area manageriale e da quella della proprietà, nel corso del tempo non

si è rivelato sufficientemente adeguato a descrivere ed interpretare la

complessa realtà delle crisi aziendali.

L’approccio oggettivo, invece, di ormai consolidata prevalenza presso la

maggioritaria dottrina, suggerisce che una situazione di crisi può dipendere

anche da eventi e forze che sfuggono (almeno in parte) al dominio degli

uomini d’azienda.

Si pensi, al riguardo, a quei fenomeni esterni all’azienda incontrollabili ed

indipendenti dai comportamenti individuali (che pure possono concorrere a

provocare le crisi) diminuzione della domanda, aumento dei prezzi dei

fattori produttivi, effetti concorrenziali, ecc.

15 15 15

Le crisi aziendali: cause e tipologie 2) Approccio oggettivo/ambientale

Le crisi sono quindi un fenomeno sostanzialmente collegato al dinamismo

e all’instabilità dell’ambiente interno ed esterno al sistema.

Secondo tale approccio, è possibile distinguere 5 cause di crisi aziendali:

a) Le crisi da inefficienza;

b) La crisi da sovracapacità/rigidità;

c) La crisi da decadimento dei prodotti e da carenze gestionali;

d) La crisi da carenza di programmazione/innovazione;

e) La crisi da squilibrio finanziario / patrimoniale.

Non si devono però trascurare le componenti soggettive delle crisi, che anzi

possono esserne la causa primigenia e/o motivo di amplificazione (se non

vengono adeguatamente contrastate)

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

a) Crisi da inefficienza

Si individuano cause di inefficienza quando uno o più comparti

dell’organizzazione aziendale (in specie quelli produttivo-commerciali, ma

anche l’area amministrativa, finanziaria, organizzativa, ecc.) attuano i

propri processi operativi con rendimenti inferiori, o con costi superiori,

rispetto a quelli ottenuti dai concorrenti diretti o indiretti assunti come

benchmark.

Con particolare riguardo all’area tecnico-produttiva, le ragioni di uno stato

di inefficienza operativa superiore alla media del settore, o comunque alle

migliori aziende concorrenti, possono essere disponibilità di fattori

produttivi in tutto o in parte obsoleti; scarsa capacità o impegno della

manodopera; utilizzo di routine e processi non aggiornati e/o non adatti;

ecc.

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

b) Crisi da sovracapacità/rigidità

Tale tipologia di crisi può originarsi da:

• durevole contrazione del volume della domanda (con conseguente

decremento dei ricavi) originata da una situazione di sovracapacità

produttiva a livello di settore;

• durevole contrazione del volume della domanda associata alla perdita di

quote di mercato più o meno rilevanti l’eccesso di capacità interessa

quindi unicamente l’impresa e non il settore le difficoltà sono quindi

connesse a debolezze particolari dell’azienda (sussiste però, quasi

sempre, la concomitanza di inefficienze – ad es. decadimento prodotti);

• dinamica dimensionale dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di

investimenti (in capitale fisso e/o circolante) di entità precostituita e non

più recuperabile.

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

Tale tipologia di crisi trae origine da una contrazione incisiva e durevole del

margine di contribuzione (RTu – CVu) con riguardo a una o più linee di

prodotto (differenza tra il prezzo unitario di vendita e il costo unitario

variabile di produzione) c.d. redditività del prodotto.

Al diminuire infatti del margine di contribuzione, diminuisce la capacità

dell’impresa di coprire con il prezzo di vendita di ciascun prodotto non

soltanto la quota dei costi fissi di produzione attribuibili (in modo

comunque soggettivo) al prodotto medesimo, ma anche un margine

congruo di guadagno.

Appare chiaro come l’assenza di utili di prodotto, nonché la mancata

copertura (anche parziale) dei costi fissi di produzione, non possa che

trascinare l’azienda in situazioni di endemico squilibrio.

c) Crisi da decadimento dei prodotti

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

d) Crisi da carenze di programmazione / innovazione

Riguardo alla funzione di programmazione, eventuali carenze si intendono

come incapacità dell’impresa di prevedere i futuri contesti di mercato; di

adattare tempestivamente ed adeguatamente le condizioni di svolgimento

della gestione ai mutamenti dell’ambiente esterno; ecc.

Tali aziende si caratterizzano per una visione orientata esclusivamente al

breve termine (in termini di investimenti, distribuzione di utili, ecc.) e

trascurano la preparazione per le sfide future.

Al riguardo, l’impresa può mantenere nel tempo produttività ed efficienza

solo se investe in innovazione nuovi prodotti, nuovi processi produttivi,

nuove tecnologie, nuovi mercati, nuove strategie, ecc.

Un’attività di ricerca qualitativamente efficace è necessaria per

l’innovazione (in alcuni settori produttivi costituisce condizione

indispensabile per la sopravvivenza aeronautico, farmaceutico, ecc.)

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Le crisi aziendali: cause e tipologie e) Crisi da squilibrio finanziario / patrimoniale causa tipica e

primigenia di fallimento

Lo squilibrio patrimoniale concerne l’inadeguatezza del rapporto

qualitativo, quantitativo e temporale tra le attività, le passività e i mezzi

propri, ed è riconducibile alle seguenti situazioni di contesto:

• carenza di mezzi propri (con vincolo di capitale proprio) e corrispondente

prevalenza di mezzi di terzi (a titolo di debito);

• prevalenza dell’indebitamento a breve termine rispetto alle altre forme di

capitale di credito;

• evidente squilibrio tra fonti ed impieghi in termini di uniformità temporale;

• inadeguato rapporto quali-quantitativo tra mezzi propri, passività ed

impieghi;

• insufficienti riserve di liquidità.

Conseguente condizione di dissesto più o meno latente

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Le crisi aziendali: cause e tipologie La situazione finanziaria deve invece essere definita in via prospettica.

È necessario verificare che:

• i flussi finanziari in entrata e in uscita, attuali e prospettici, siano, per

ammontari e scadenze, adeguatamente correlati;

• uniformità dei tempi di incasso e pagamento / allineamento scadenze tra

crediti e debiti.

In particolare, occorre valutare se l’impresa, attraverso lo svolgimento dei

processi produttivi, è nella condizione di generare risorse finanziarie atte a

fronteggiare le connesse uscite, finalizzate all’estinzione sia dei debiti

esistenti che di quelli generati dalla gestione in svolgimento.

Conseguentemente, le aziende finanziariamente squilibrate possono

rapidamente passare, nell’evolversi dello stato di crisi, dallo stadio della

perdita a quello dell’insolvenza e del dissesto.

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Le crisi aziendali: cause e tipologie

Lo squilibrio finanziario/patrimoniale è considerato la causa tipica della

crisi aziendale, ed è propedeutico al dissesto economico l’incremento

degli oneri finanziari conseguente al crescente indebitamento (nonché al

suo elevato costo) è infatti il primo indizio del peggioramento delle

condizioni economiche della gestione.

Peraltro, non può escludersi a priori che uno squilibrio

finanziario/patrimoniale possa a sua volta derivare dai precedenti fattori di

crisi inefficienze, rigidità, decadimento dei prodotti, carenze di

programmazione e di innovazione, ecc.

Queste, infatti, potrebbero incidere in modo più o meno rilevante sulle

generali condizioni operative dell’azienda, con l’effetto ultimo di indebolirle

sul piano patrimoniale/finanziario.

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Le ragioni del successo o dell’insuccesso delle piccole imprese sono

influenzate da:

1) Variabili soggettive (Aspetti comportamentali dell’imprenditore)

- stile gestionale dell’imprenditore (autoritario/accentratore o delegante)

- competenze, esperienze, informazione e professionalità dell’imprenditore;

- le sue peculiarità motivazionali, che prescindono dal livello di

professionalità e possono indurlo a perseguire interessi personali;

2) Variabili ambientali (oggettive)

Variabili ambientali e variabili soggettive

Le cause principali della crisi devono attribuirsi alle variabili soggettive

dell’imprenditore (mentre le variabili ambientali ne sono causa indiretta)

La crisi nelle piccole imprese

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Il peso delle variabili soggettive è tale da dominare l’influsso esercitato

dalle variabili ambientali, tanto con riguardo ad eventi esterni negativi,

potenzialmente capaci di alterare gli equilibri aziendali, sia con riguardo ad

eventi positivi, atti a generare un incremento della performance.

Ad esclusione di eventi straordinari, più difficilmente prevedibili e

controllabili (conflitti bellici, ecc.), negli altri casi l’impatto esercitato

sull’azienda dalle variabili esterne è sempre condizionato dall’operare

dell’imprenditore.

Solo in questo modo, infatti, è possibile spiegare il motivo per cui, a parità

di condizioni esterne, le performance delle piccole aziende che operano nel

medesimo settore presentino andamenti tendenzialmente contrapposti.

La crisi nelle piccole imprese

In tale ottica, molte delle cause di crisi in precedenza analizzate

dovrebbero più correttamente essere considerate una conseguenza dei

comportamenti tenuti dall’imprenditore e dal management.

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Dopo aver individuato nelle variabili soggettive le cause originarie (il più

delle volte…) delle crisi, si analizzeranno di seguito i principali problemi cui

l’azienda può andare incontro per effetto del loro agire (naturalmente

ferme restando le cause di carattere generale analizzate in precedenza).

Tali problemi sono infatti cause secondarie di crisi in quanto il loro

manifestarsi, se da un lato potrebbe financo determinare la dissoluzione

dell’azienda, dall’altro trova origine nei citati fattori causali di tipo originario,

quali appunto le competenze e le attitudini possedute dall’imprenditore,

che condizionano anche l’efficacia di eventuali strategie di risanamento.

La crisi nelle piccole imprese

Infatti, il motivo per cui una crisi assume caratteri di irreversibilità è

riconducibile non tanto ai caratteri intrinseci dei fattori ambientali (esterni),

ma piuttosto ai vincoli posti da quelle stesse variabili soggettive che

dopo aver contribuito ad innescare la situazione di crisi agiscono anche

nel senso di impedirne la risoluzione.

26 26 26

La crisi nelle piccole imprese

In ogni caso, ai fini della predetta analisi è necessario passare da una

impostazione di tipo generale, che considera indistintamente l’intero ceto

imprenditoriale di piccola dimensione, ad un’impostazione tipologica,

volta ad individuare soggetti differenziati in quanto a competenze

possedute, comportamenti adottati ed obiettivi perseguiti.

Le ipotesi di crisi oggetto di analisi nelle successive slide, infatti, non

necessariamente coinvolgono in modo indifferenziato tutte le categorie di

piccoli imprenditori, ma soltanto quella parte di essi in cui è più forte ed

incisiva la presenza delle cause originarie di crisi.

Ciò implica anche che, relativamente alle due tipologie imprenditoriali

delineate (microimpresa e piccola impresa evoluta), diversa è la natura

delle crisi a cui essi verosimilmente rischiano di andare incontro, proprio

perché diverse sono le variabili che concorrono a creare le condizioni

necessarie affinché le crisi medesime si manifestino.

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Microimpresa (imprenditore artigiano)

• Diventa imprenditore soprattutto per soddisfare un proprio bisogno personale

(tipicamente autonomia e autorealizzazione);

• persegue un obiettivo di stabilità, accontentandosi di conseguire un livello di

reddito soddisfacente senza impegnarsi in progetti di investimento;

• le sue competenze sono prevalentemente di tipo tecnico-produttivo (spesso

risultato di un’attività produttiva precedente svolta alle dipendenze di un’azienda

operante nel medesimo settore) e quasi mai di tipo amministrativo-manageriale;

• i processi decisionali attuati sono effettuati sulla base di un approccio di tipo

intuitivo (scarso ricorso a fonti informative interne ed esterne all’azienda);

• l’imprenditore rifiuta l’affiancamento di soggetti dotati di competenze più

specialistiche e complementari con quelle da lui possedute;

• identificazione totale tra l’imprenditore e l’azienda da lui creata e gestita.

La crisi nelle piccole imprese

28 28 28

Piccola impresa evoluta (imprenditore professionista)

• L’assunzione dello status di imprenditore è il risultato di un processo più

razionale e “manageriale”, che comunque soddisfa (anche in questo caso) un

bisogno di autonomia e autorealizzazione;

• l’imprenditore gestisce l’azienda con uno spiccato orientamento alla crescita;

• possiede competenze di tipo amministrativo-manageriale decisamente più

elevate rispetto all’imprenditore-artigiano;

• lo stile gestionale è meno accentratore ed autoritario;

• i processi decisionali sono più razionali ed analitici; le scelte sono effettuate sulla

base di un’attenta valutazione delle alternative esistenti e delle loro implicazioni

future; la complessiva gestione aziendale è più “scientifica” e meno impulsiva;

• il rapporto tra imprenditore e azienda è meno simbiotico (benché ancora forte).

La crisi nelle piccole imprese

29 29 29

In linea di massima, i principali problemi che normalmente trovano

manifestazione nelle piccole imprese per effetto dell’influenza esercitata

dalle variabili soggettive dell’imprenditore, sono:

1) problemi afferenti la sfera patrimoniale-finanziaria;

2) problemi concernenti l’attività amministrativa;

3) problemi concernenti l’attività di marketing;

4) problemi di natura organizzativo-gestionale.

La crisi nelle piccole imprese

30 30 30

1) Sfera patrimoniale-finanziaria

I problemi di natura finanziaria sono quelli più diffusi nel comparto delle

piccole imprese, soprattutto a motivo delle scarse competenze in materia

possedute dall’imprenditore (tipicamente più dotato di competenze di tipo

tecnico-commerciale).

Naturalmente, sulla base della distinzione tra le piccole imprese in

precedenza riportata è possibile individuare una crescente presenza di

competenze finanziarie man mano che si passa dalla figura

dell’imprenditore artigiano a quella dell’imprenditore professionista.

Conseguentemente, i problemi di natura finanziaria avranno una più

elevata probabilità di manifestazione nelle microimprese.

Considerazioni simili, ovviamente, possono farsi con riguardo all’influenza

esercitata sui comportamenti finanziari dai fattori di natura motivazionale e

comportamentale.

La crisi nelle piccole imprese

31 31 31

Difficoltà a realizzare una equilibrata composizione delle fonti di

finanziamento, coordinandole rispetto alla composizione degli impieghi.

La struttura finanziaria delle piccole imprese si differenzia nettamente da

quella delle imprese maggiori, in quanto diverse nelle due categorie sono le

variabili che intervengono nelle decisioni relative alla raccolta di capitale.

I fattori che influenzano la scelta sono:

• le limitate competenze finanziarie a disposizione del piccolo imprenditore;

• fattori di tipo personale, motivazionale o comportamentale che

condizionano le scelte dell’imprenditore riguardo al finanziamento

dell’impresa, orientandolo verso quelle forme che meglio si conciliano con

le proprie preferenze;

• problemi oggettivi riscontrati nella raccolta di capitale, proprio o di credito.

La crisi nelle piccole imprese

32 32 32

Tra le specificità delle piccole imprese che più ne influenzano il

comportamento finanziario si individuano:

• coincidenza (spesso totale) tra il patrimonio personale dell’imprenditore e

quello aziendale;

• limitate competenze manageriali;

• maggiore propensione al rischio riconosciuta alla classe imprenditoriale

in esame, che influisce sulla disponibilità ad accettare un grado di

leverage più elevato rispetto a quello considerato ottimale;

• timore del piccolo imprenditore di veder limitato o compromesso il proprio

potere di gestione sull’azienda di famiglia l’elevato spirito di

indipendenza della classe imprenditoriale, infatti, influenza tutti i

comportamenti aziendali (tra cui quello finanziario);

• prevalenza attribuita agli interessi personali e familiari.

La crisi nelle piccole imprese

33 33 33

Studi empirici dimostrano che nelle piccole imprese la struttura dei

finanziamenti è prevalentemente influenzata dalle preferenze del

proprietario (fattori di origine interna), le cui scelte privilegiano le fonti

proprie (autofinanziamento ed internal equity) rispetto a quelle di terzi.

Nell’ambito di quest’ultime, si tende ad accordare la preferenza

all’indebitamento rispetto al capitale proprio di origine esterna.

Le piccole imprese, infatti, preferiscono finanziarsi con fondi interni per

evitare di sostenere i costi, spesso ingenti, legati alla raccolta esterna di

capitali, al contempo limitando il rischio di ingerenze esterne nella gestione

(si salvaguarda in tal modo sia il potere di controllo dell’imprenditore sia la

sua discrezionalità operativa).

Le fonti di finanziamento di terzi, inoltre, privilegiano l’indebitamento (e

segnatamente il ricorso al credito bancario) con una netta prevalenza delle

passività a breve termine

La crisi nelle piccole imprese

34 34 34

I fattori di origine esterna responsabili delle criticità finanziarie delle

piccole imprese derivano sostanzialmente dal loro minore «peso»

contrattuale (in ogni caso influenzato, anche, dagli attributi personali del

soggetto economico) e riguardano:

l’attribuzione alle piccole imprese di un livello di rischiosità più elevato

rispetto alle medio-grandi imprese, da imputarsi:

1) alla centralità della figura dell’imprenditore la forte identificazione tra

imprenditore-proprietario ed impresa fa sì che gli equilibri aziendali e la

stessa sopravvivenza dell’entità risultino connesse alle capacità e alle

competenze dell’imprenditore, spesso dimostratamente inadeguate a

gestire la complessità gestionale di un’azienda moderna (sia pur

piccola);

2) alla peculiarità dell’attività svolta da questo tipo di impresa,

generalmente monobusiness o comunque caratterizzata da un limitato

grado di diversificazione;

La crisi nelle piccole imprese

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più limitata gamma di opzioni nella scelta delle fonti di finanziamento

da imputarsi non soltanto ai comportamenti tenuti dalle istituzioni

finanziarie (banche in primis, che spesso impongono prestiti a breve pur

a fronte di fabbisogni finanziari di lungo termine), ma anche alla limitata

cultura finanziaria del piccolo imprenditore, che si traduce nella

mancanza di adeguate conoscenze del mercato dei capitali oppure nella

difficoltà di gestire la complessità delle procedure per accedervi;

maggiori costi degli affidamenti, non solo a causa del tasso di interesse

mediamente più elevato richiesto dalle banche a fronte del maggior

rischio attribuito alle piccole imprese, ma anche a causa della maggiore

incidenza dei costi relativi alla procedura di concessione degli

affidamenti stante il minor ammontare degli importi richiesti (inoltre, la

difficoltà nel reperire informazioni adeguate sull’impresa da parte delle

banche ne rende più lenta ed onerosa la procedura);

La crisi nelle piccole imprese

36 36 36

l’adozione da parte delle banche, ancora in conseguenza del maggior

rischio attribuito alle piccole imprese oltre che della loro minore forza

contrattuale, di un approccio fortemente garantistico, tale da

subordinare la concessione del prestito a garanzie patrimoniali

sproporzionate (la banca, inoltre, potrebbe essere indotta a finanziare

iniziative imprenditoriali poco attraenti solo perché coperte da

consistenti garanzie, rifiutando progetti d’investimento più redditizi ma

meno “garantiti”);

più ridotta possibilità di accesso al mercato finanziario per la raccolta del

capitale proprio tale difficoltà, oltre che trovare origine in alcuni dei

fattori in precedenza indicati (in particolare del maggior rischio attribuito

alle piccole imprese), è in gran parte giustificata dalla mancanza,

quantomeno in Italia, di un mercato dei capitali specificamente rivolto a

tale tipologia imprenditoriale.

La crisi nelle piccole imprese

37 37 37

La difficoltà delle piccole imprese di pervenire ad una adeguata

composizione delle fonti di finanziamento, pur permeando l’intera vita

dell’azienda, trova ancora più evidente manifestazione nel particolare ciclo

di vita dello start-up.

Con riguardo a tale fase, comprovate verifiche empiriche dimostrano che

nella composizione ideale del capitale iniziale dovrebbe essere

preponderante la quota di proprietà, e che la probabilità di successo della

nuova impresa è tanto più elevata quanto maggiore è il suo livello iniziale

di capitalizzazione.

Il capitale iniziale infatti garantisce un equilibrato avvio della gestione

operativa, consentendo l’acquisizione di tutti i fattori produttivi senza

generare immediati riflessi negativi sulla situazione economica,

patrimoniale e finanziaria

Composizione delle fonti di finanziamento nelle fasi di start-up

La crisi nelle piccole imprese

38 38 38

Gli investimenti che caratterizzano la fase di costituzione ed avvio dell’impresa

sono per la maggior parte di tipo strutturale, destinati quindi a generare un

fabbisogno finanziario di lungo termine che dovrebbe venire coperto con fonti

di finanziamento di tipo “paziente” (capitale proprio e debiti a lunga scadenza),

così da consentire all’impresa di svolgere le proprie ipotesi di produzione senza

il rischio che si manifestino insufficienze di liquidità.

La crisi nelle piccole imprese

Peraltro, si osservano difficoltà per le piccole imprese ad identificare concrete

alternative all’indebitamento, quando il capitale di rischio apportato dai soci

risulta insufficiente ed esistono motivazioni di natura personale ad impedire

l’allargamento della compagine sociale.

Il ricorso al mercato dei venture capitalist, infatti, pur costituendo uno strumento

particolarmente idoneo per finanziare nuove imprese (o imprese in fase di

turnaround), risulta poco praticato in Italia, sia perché foriero di possibili

ingerenze e di vincoli alla gestione, sia a causa della sua mancata conoscenza

da parte dei piccoli imprenditori.

39 39 39

Tra le diverse problematiche derivanti dall’influenza esercitata dalle

variabili soggettive dell’imprenditore sulle performance d’impresa, un

ruolo certamente importante è quello assunto dai problemi concernenti

l’area del marketing.

Si tratta infatti di problemi la cui causa originaria può essere individuata,

oltre che nella limitata dotazione di risorse finanziarie in capo alle piccole

imprese, soprattutto nelle scarse competenze possedute dall’imprenditore

in tema di management, in generale, e di marketing, in particolare.

A causa delle competenze prevalentemente tecnico-produttive dei piccoli

imprenditori, infatti, nelle piccole aziende si nota un’elevata attenzione alle

qualità dei processi e dei prodotti ma, per contro, uno scarso focus sulle

attività strategiche (marketing, amministrazione, controllo, ecc.).

b) Area del marketing

La crisi nelle piccole imprese

40 40 40

Peraltro, non si deve pensare che il piccolo imprenditore sia poco sensibile

al problema del soddisfacimento dei bisogni della clientela l’attenzione

al cliente costituisce anzi una delle sue principali preoccupazioni, ma a

fronte dell’impegno profuso nel curare personalmente i rapporti con la

clientela e ad adattarsi alle sue esigenze, manca la capacità di predisporre

un adeguato piano di marketing, che richiede la corretta percezione di tutte

le variabili di mercato nonché l’impiego oculato di tutte le leve del

marketing-mix.

Tale difficoltà delle piccole imprese a rapportarsi in modo scientifico con i

mercati di consumo finali costituisce peraltro uno dei motivi principali per

cui assai frequentemente si rileva l’esistenza di piccole imprese che non si

rivolgono direttamente al consumatore finale, ma piuttosto si collocano

nelle fasi intermedie della filiera produttiva, operando in veste di sub-

fornitrici di grandi imprese (con le quali spesso sviluppano rapporti di

esclusiva).

La crisi nelle piccole imprese

41 41 41

L’attività di marketing attuata dalle piccole imprese, nella maggior parte dei

casi, si limita allo svolgimento di iniziative promozionali e di comunicazione

pubblicitaria attuate allo scopo di sostenere ed alimentare le vendite dei

propri prodotti, ma spesso:

• investono risorse ingenti in attività promozionali e pubblicitarie che si

rivelano poco efficaci sul piano competitivo, in quanto non supportate da

un’efficace analisi del mercato e del rapporto tra bisogni da soddisfare e

caratteristiche dell’offerta;

• cercano di favorire la vendita dei propri prodotti/servizi attraverso azioni

promozionali agenti sul prezzo (ad esempio attraverso sconti) o sulle

modalità di pagamento (ad esempio tramite dilazioni di pagamento

concesse al cliente), senza che tali manovre siano adeguatamente

ponderate dal punto di vista economico-finanziario rischio di tensioni

finanziarie, squilibri patrimoniali ed economici

La crisi nelle piccole imprese

42 42 42

Le piccole imprese si caratterizzano in genere per la scarsa attenzione

che, nello svolgimento della gestione, viene rivolta alle informazioni, sia a

quelle provenienti da fonti esterne sia a quelle generate dal sistema

informativo interno.

Quest’ultimo in generale è meno esteso rispetto a quello in uso presso le

grandi imprese e meno evoluto dal punto di vista dell’accuratezza,

dell’analiticità nonché della precisione dei dati prodotti.

Il sistema informativo interno risulterà in particolare assai limitato nel caso

delle piccole e piccolissime imprese inferiori, caratterizzate da una

struttura organizzativa più semplice e gestite da imprenditori “artigiani”,

dotati di competenze manageriali assai ridotte e di uno stile di gestione

molto intuitivo.

c) Area amministrativa

La crisi nelle piccole imprese

43 43 43

In tali aziende il sistema informativo risulterà limitato alla produzione delle

informazioni richieste dalla normativa civilistica e, soprattutto, fiscale (rivolte

dunque a soggetti istituzionali esterni all’azienda)

Non si riscontra invece la produzione di flussi informativi con finalità

gestionale (contabilità industriale), stante la tendenza del piccolo

imprenditore ad attuare una gestione intuitiva “a vista” poco attenta alla

raccolta di dati e informazioni per il controllo dei processi gestionali in

particolare per conoscere i costi unitari di prodotto, con conseguenti

difficoltà nel definire i prezzi di vendita e le politiche promozionali.

Un sistema informativo più sviluppato è invece rintracciabile nelle piccole

imprese evolute, caratterizzate da una attività gestionale più complessa e

una struttura organizzativa più articolata (anche a causa dei maggiori

vincoli civilistici e fiscali cui esse sono sottoposte), guidate da imprenditori

“professionisti” dotati di maggiori competenze manageriali e maggiormente

inclini a delegare.

La crisi nelle piccole imprese

44 44 44

Anche con riguardo all’accesso a fonti informative esterne si individuano

situazioni piuttosto differenziate all’interno del comparto delle piccole

imprese, ma in linea generale c’è un atteggiamento di sostanziale chiusura

nei confronti delle informazioni provenienti dal mercato e dall’ambiente

economico-sociale in cui l’impresa si colloca.

Il piccolo imprenditore, in particolare se appartenente alla categoria

dell’artigiano, non è infatti interessato ad acquisire sistematicamente le

informazioni dall’ambiente esterno, ponendosi il problema di tale raccolta

soltanto con riferimento a situazioni specifiche ed estemporanee.

Del resto, il limitato accesso alle fonti informative non costituisce una

causa originaria di crisi ma piuttosto derivata.

Il problema informativo è dunque conseguenza

dell’inesperienza/incapacità del ceto imprenditoriale, che non ne

comprende l’importanza per l’efficace svolgimento dei processi gestionali.

La crisi nelle piccole imprese

45 45 45

d) Area organizzativo-gestionale

È ormai chiaro che l’aspetto maggiormente peculiare delle piccole imprese

risiede senz’altro nella centralità che la figura dell’imprenditore riveste

rispetto all’azienda e alla sua gestione.

Tale centralità trova manifestazione in ogni aspetto della vita aziendale,

poiché sono le aspirazioni dell’imprenditore, le sue motivazioni, i suoi valori

e le sue competenze (variabili soggettive) a guidare l’impresa e a definirne

la configurazione attuale nonché la sua futura evoluzione.

È quindi l’imprenditore il vero “motore” dell’azienda, e la sua personalità

esercita un’influenza vieppiù incisiva su tutti gli aspetti componenti

quest’ultima, sul suo modo di essere e di divenire in particolare, il ruolo

delle variabili soggettive dell’imprenditore è determinante per stabilire

l’orientamento della gestione imprenditoriale, verso un obiettivo di crescita

oppure di stabilità.

La crisi nelle piccole imprese

46 46 46

Premesso quindi il decisivo ruolo propulsivo che l’imprenditore esercita nei

confronti della propria azienda, occorre però rilevare come la sua centralità

non sempre eserciti su di essa un’influenza positiva.

Se infatti tale centralità si traduce, nella generalità dei casi, in uno stimolo

per lo sviluppo dell’azienda, non si possono escludere (anzi…) situazioni

in cui, all’opposto, la figura dell’imprenditore eserciti un influsso negativo,

frenando lo sviluppo e rendendone difficoltosa una gestione equilibrata (in

particolare per il fatto di accentrare su di sé la gestione – imprenditore

tuttologo – nonché impedendo l’allargamento della base proprietaria)

In tali situazioni, la figura dell’imprenditore si trasforma da impulso positivo

a fattore ostacolante, impedendo un’evoluzione qualitativa e quantitativa

dell’azienda e, spesso, riducendone il potenziale competitivo e di crescita,

al punto da porsi all’origine di stati di crisi.

La crisi nelle piccole imprese

47 47 47

La crisi nelle piccole imprese

Riassumendo, le caratteristiche salienti della piccola impresa (in

particolare, ma non esclusivamente, della microimpresa), che possono

facilmente risultare foriere di fenomeni di crisi o comunque contribuire al

loro manifestarsi, sono:

1) carenza più o meno marcata di progettualità (business plan, piani di

marketing, pianificazione finanziaria, ecc.): le decisioni vengono

assunte sulla base del c.d. “intuito imprenditoriale”;

2) l’imprenditore (ovvero i soci fondatori) concentra su di sé tutte le

funzioni aziendali, rifiutandosi di delegare a figure professionali

specificamente qualificate (ovvero delegando solo in parte) la gestione

dell’impresa;

3) la ricerca di nuovi clienti è spesso affidata al caso e alle circostanze di

contesto (conseguenza del punto 1);

4) le attività di marketing sono spesso scoordinate, limitandosi ad operare

sulla leva promozionale;

48 48 48

La crisi nelle piccole imprese

5) tutta l’attività aziendale ruota intorno alla funzione produttiva, e i

prodotti spesso non subiscono modifiche nell’arco di vita dell’azienda;

6) i servizi associati al prodotto (marketing, comunicazione, servizi al

cliente, ecc.) sono spesso poco considerati, e comunque non sono

oggetto di adeguati investimenti;

7) il concetto di mercato è assai generico: le informazioni non vengono

attentamente monitorate e studiate e le relative fonti sono spesso

soltanto i mass-media;

8) non vengono implementati adeguate procedure e strumenti di controllo

contabile, e tantomeno di controllo strategico e di gestione.

49 49 49

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Il più delle volte, gli imprenditori non sono in grado di cogliere per tempo i

segnali di allarme e, per tale ragione, non riescono a limitare

efficacemente gli effetti dannosi della crisi.

Gli strumenti di previsione sono stati quindi elaborati al fine di

individuare tempestivamente le diverse tipologie di crisi prima del loro

effettivo manifestarsi, consentendo così all’alta direzione e al management

di intervenire con rapidità ed in modo adeguato intervento ex-ante

piuttosto che ex-post.

Peraltro, una crisi tempestivamente diagnosticata (c.d. diagnosi precoce) ed

adeguatamente gestita porterà con sé non solo un miglioramento delle

competenze dell’organizzazione e l’introduzione di innovazioni gestionali, ma

anche l’accrescimento del livello di coesione interno e l’accumulo di un effetto

esperienza utile per la prevenzione di crisi future.

50 50 50

1) metodi basati sull’intuizione

2) metodi basati sulla stima periodica del capitale economico (rinvio ad

altri insegnamenti)

3) metodi basati sull’analisi di bilancio

4) metodi basati su modelli

5) metodi multidimensionali

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Tra gli strumenti correntemente utilizzabili (meglio se in combinazione tra

loro) per diagnosticare precocemente il rischio di default di un’azienda, si

individuano:

Value Chain Scoreboard

Balanced Scorecard

Z’-Score

BCS

Z-Score

Skandia Navigator

(natura solo quantitativa)

(natura quali-quantitativa)

51 51 51

1) Metodi basati sull’intuizione

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

I criteri in esame si basano sulla riconoscibilità esterna dei fattori di crisi

(elementi esterni che palesano uno stato di crisi effettivo o potenziale):

Appartenenza dell’azienda a settori ormai decaduti oppure in recessione

a seguito di una rilevante diminuzione del livello della domanda;

inefficienze produttive o commerciali;

perdita di quote di mercato;

bilanci in perdita.

(segnala che lo stato di crisi è ormai avanzato, tale da produrre i suoi effetti

anche nei confronti dei creditori e non soltanto della proprietà).

52 52 52

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

IndicatoriRiconoscibilità

esterna

Possibilità di

interventoAppartenenza a settori maturi o

decadentiElevata Minima

Appartenenza a settori in difficoltà

per caduta della domandaElevata Minima

Perdita di quote di mercato Media Media

Inefficienze produttive Minima Elevata

Inefficienze commerciali Media Elevata

Inefficienze amministrative Minima Elevata

Inefficienze organizzative Minima Elevata

Inefficienze finanziarie Media Media

Rigidità dei costi Media Media

Carenze di programmazione Minima Elevata

Scarsi costi di ricerca Media Elevata

Scarso rinnovo dei prodotti Media Media

Squilibri finanziari Elevata Media

Squilibri patrimoniali Elevata Media

Nella seguente tabella, sono indicati i principali fattori esterni rivelatori di uno

stato di crisi e, contiguamente, le possibilità di soluzione:

53 53 53

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

3) Metodi basati sull’analisi del bilancio

I metodi in esame approssimano il grado di rischiosità di un’azienda

monitorandone costantemente nel tempo i relativi indici di bilancio (analisi

di carattere storico) e/o confrontandoli con i valori medi del settore di

appartenenza, della migliore azienda del settore oppure di un paniere di

aziende di riferimento (c.d. benchmark).

L’analisi di bilancio, ed in particolare l’analisi degli eventuali scostamenti

emergenti dai citati confronti, consente di comprendere se ed in quale

misura l’azienda presenti fattori di criticità potenzialmente forieri di un

processo di declino.

L’analisi di bilancio si fonda sullo studio periodico della situazione

patrimoniale, finanziaria ed economica di un’azienda attraverso l’analisi

di alcune grandezze di riferimento.

54 54 54

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

I dati di bilancio, se necessario integrati con altri dati di natura extra-

contabile, vengono quindi rielaborati per effettuare:

• analisi dei margini;

• analisi dei quozienti-indici (ratios).

I quozienti e i margini forniscono indicazioni sintetiche circa le condizioni

economiche, finanziarie e patrimoniali dell’impresa livello di redditività,

liquidità, indebitamento, modalità di impiego del capitale, ecc.

Gli indicatori utilizzati non devono essere calcolati soltanto allo scopo di

individuare eventuali segnali di crisi (quindi nella fase di crisi latente in cui

si inizia ad avere “sentore” del dissesto), ma piuttosto rientrare tra i

normali strumenti per il controllo della gestione di ricorrente utilizzo

soltanto così, infatti, la strumentazione in esame può consentire di

affrontare per tempo l’eventualità di una crisi futura.

55 55 55

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Alcune nozioni preliminari:

Impieghi Aumento di attività; diminuzioni di passività;

dividendi distribuiti; perdite d’esercizio

Impieghi Fissi Immobilizzazioni Immateriali e Materiali

Fonti Utile d’esercizio; aumento di passività;

diminuzioni di attività

Reddito Operativo Ricavi – Costi (voce (a) – voce (b) del CE)

56 56 56

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Alcune nozioni preliminari:

Capitale Circolante Netto = Attività Correnti – Passività Correnti

Capitale Permanente = Capitale Netto + Passività Consolidate

Risultato Lordo = Reddito Operativo – Oneri Finanziari

Capitale Fisso Netto = Capitale Fisso – Passività Consolidate

Equilibrio

Capitale Permanente > Immobilizzazioni

Attivo Circolante > Debiti a Breve Termine

Capacità di far fronte agli impegni finanziari

di breve periodo con le risorse generate

dalla gestione corrente

57 57 57

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Gli indici di più comune utilizzo sono:

a) Indici di potenza finanziaria (solvibilità) – valori imprese industriali

Current

Ratio

Attivo Circolante

Passività Correnti

Se < 1 l’impresa ricorre ad

indebitamento di breve termine

per finanziare parte degli

investimenti di lungo periodo

= > 1,7

2

Quick Ratio

(acid test) =

Disponibilità Liquide

Passività Correnti > 0,7

1

Capacità di far fronte agli

impegni finanziari immediati.

Se > 1,5, squilibrio per

eccessiva liquidità

58 58 58

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Leveraged (indice di

autonomia finanziaria) =

Debiti B.T. + Debiti L.T.

Capitale Netto

Se < 1, l’azienda è

finanziariamente solida

Tale indice segnala la rischiosità dell’impresa sotto il profilo finanziario, e

può parimenti risultare utile per la scelta delle fonti di finanziamento.

Un valore basso evidenzia sia la possibilità dell’azienda di accedere a

fonti di finanziamento esterne a costi non elevati, sia una gestione

aziendale sostanzialmente “conservativa”; un valore alto, invece, indica

una traslazione del rischio imprenditoriale in capo ai creditori, riducendo la

possibilità di ottenere ulteriori affidamenti da parte di terzi e un aggravio

dei connessi costi.

59 59 59

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

b) Indici di struttura (patrimoniali) capacità dell’azienda di adeguarsi

ai mutamenti ambientali

Indice di

rigidità/elasticità

degli impieghi

= Immobilizzazioni

Capitale Investito

Se = 1, l’azienda è rigida

Se < 0,4, l’azienda è elastica

Peraltro, il grado di rigidità/elasticità dell’impresa deve valutarsi in

relazione al settore produttivo di appartenenza ad esempio, un’impresa

industriale, che in genere presenta il 50%-60% del capitale investito sotto

forma di immobilizzazioni, è ovviamente diversa da un’impresa di servizi…

Indice di

elasticità/rigidità

delle fonti

= Capitale Netto

Totale Passivo Se = 1, l’azienda è patrimonializzata

60 60 60

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Indice di copertura delle immobilizzazioni

(indice di struttura primario)

Capitale Netto =

Immobilizzazioni > 0,7

Indice di copertura delle

immobilizzazioni con fonti durevoli

(indice di struttura secondario) =

Capitale Permanente

Immobilizzazioni

(Capitale Netto + Passività Consolidate)

(Debiti a medio-lungo termine)

> 1

Evidenzia quanta parte del capitale immobilizzato è finanziata con il solo

capitale proprio deve essere prossimo all’unità ma non superarla, altrimenti

si finanzierebbe un valore di breve termine (il capitale circolante) con una fonte

a lungo termine (capitale netto).

È più realistico del precedente, in quanto giammai un’azienda copre tutte le

immobilizzazioni con il solo capitale proprio Nelle imprese industriali tale

indice dovrebbe essere superiore all’unità, così da finanziare tutte le attività a

medio-lungo termine (attivo fisso e magazzino).

61 61 61

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

c) Indici di andamento

Tasso di rotazione

dei crediti =

Crediti

Fatturato x 360 Velocità di incasso dei crediti

Tasso di rotazione

del magazzino = Magazzino

Fatturato x 360

Tasso di rotazione

dei debiti =

Debiti

Acquisti totali x 360

Tasso di rotazione del

Capitale Investito

(Capital Turnover)

= Capitale Investito

Fatturato

(n. di volte in cui il

CI si trasforma in

ricavi nel singolo

esercizio)

> 1,5

62 62 62

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

R.O.S.

(Return On Sale / Redditività delle Vendite)

= Reddito Operativo

Fatturato

Il ROS indica la redditività lorda delle vendite in termini di risultato operativo,

segnalando la capacità dell’impresa di ricavare reddito operativo dal fatturato

ad esempio, un valore dell’indice pari al 30% significa che su 100 euro di

fatturato 70 sono state assorbite da costi operativi.

Premesso che il valore dell’indice non è standardizzabile per aziende similari

(tuttavia si cercherà di evitare un risultato negativo), eventuali sue variazioni

possono dipendere sia da una oscillazione dei costi (che incidono sul reddito

operativo) che delle vendite.

d) Indici di redditività Non vi sono valori predefiniti ma è necessario

valutarne l’evoluzione storica e il benchmark

63 63 63

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

R.O.I.

(Redditività della gestione caratteristica)

= Reddito Operativo

Capitale Investito

Convenienza ad

investire a qualsiasi

titolo nell’azienda

(non è influenzato

dal grado di

indebitamento)

Reddito Operativo

Fatturato X

Fatturato

Capitale Investito

Capital turnover R.O.S.

64 64 64

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

R.O.E.

(Redditività del Capitale Proprio) =

Reddito Netto

Capitale Netto

Il ROE rappresenta il rendimento fornito dal capitale proprio in termini di utile

netto. Gli azionisti si avvalgono di tale indice per calcolare in quale misura il

proprio investimento di rischio si è trasformato in utile.

Di per sé, esso presenta una misura grossolana della redditività di un’impresa,

in quanto non considera adeguatamente le componenti di reddito che hanno

condotto alla determinazione del risultato di gestione può infatti accadere

che l’utile di esercizio scaturisca dalla somma algebrica di un risultato operativo

negativo e del saldo positivo scaturito dalle altre gestioni, o viceversa.

Il valore del ROE dipende sia dal risultato della gestione operativa, sia dal

risultato delle altre aree gestionali, con particolare riferimento a quella

finanziaria

65 65 65

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

f) Margini

Margine di Contribuzione = Ricavi Totali – Costi Variabili

Margine di Struttura Primario = Capitale Netto – Immobilizzazioni Nette

Margine di Struttura Secondario = (C.N. + Passività Cons.te) – Immob.ni

Margine del Circolante = Attivo Circolante – Passività a Breve (correnti)

Margine di Tesoreria = Disponibilità Liquide – Passività a Breve

Margine Operativo Lordo (M.O.L.)

= Fatturato – Costo del Venduto

Rim.ze iniziali + acquisti + costo del lavoro + amm.ti + altri costi di prod.ne – rim.ze finali

66 66 66

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

4) Score Analysis Z-score, Z’-score, BCS

L’obiettivo di tali modelli quantitativi è cercare di prevedere, con l’impiego

di tecniche statistiche, le probabilità di fallimento di un’impresa industriale

quotata, all’uopo distinguendo le aziende sane dalle aziende a rischio di

default tramite l’analisi di una serie di variabili quantitative definite

“discriminanti” (c.d. analisi statistica discriminante), la quasi totalità delle

quali è ricavabile dal bilancio d’esercizio (tranne il valore di mercato delle

azioni nel caso del solo Z-Score, il «capostipite» della specie).

Negli anni sono state elaborate diverse varianti d’Autore e/o adattamenti

altrui del modello originario (Z-score di Altman, 1968), in particolare volte a

stimare le probabilità di default di aziende manifatturiere non quotate (Z’-

Score, 1993), di aziende non manifatturiere non quotate e localizzate in

Paesi emergenti (Z’’-Score, 2001), ovvero di aziende non manifatturiere

non quotate localizzate in Italia (BCS, 2004; Alberici, 1975; Luerti, 1999).

67 67 67

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Il motivo del successo di tali modelli risiede nella loro assoluta oggettività

applicativa (le caratteristiche dell’utilizzatore sono del tutto irrilevanti), nella

facilità di utilizzo per qualsiasi soggetto (anche se non in possesso di

specifiche conoscenze sull’analisi del rischio di insolvenza delle aziende),

negli irrilevanti costi d’uso e nella elevata affidabilità nel misurare il rischio

default di aziende manifatturiere (con riguardo allo Z e allo Z’ testata nel

corso degli anni da numerosi studiosi in differenti Paesi).

L’analisi statistica discriminante consente di classificare, con un accettabile

margine di errore, un insieme di unità statistiche in due o più gruppi

predefiniti (tipicamente società sane oppure società a rischio fallimento),

sulla base di un insieme di caratteristiche note.

L’obiettivo è pertanto quello di assegnare un oggetto (nel caso specifico

un’impresa) ad uno dei due possibili gruppi sulla base di una serie di

variabili, definite appunto discriminanti, rilevate sull’oggetto stesso (nel caso

specifico, alcuni dati di bilancio).

68 68 68

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Il modello si basa su una relazione lineare, in cui alcune variabili

discriminanti sono sommate e ponderate al fine di assegnare un punteggio.

Le variabili sono (tutte desumibili dal bilancio tranne il valore di mercato):

- Ricavi

- Reddito operativo (EBIT)

- Utile netto

- Capitale Circolante Netto (CCN attività correnti – passività correnti)

- Totale attività (Capitale Investito)

- Totale passività con esclusione del Capitale Netto

- Dividendi distribuiti

- Capitalizzazione (valore di mercato delle azioni)

Z-Score (Altman 1968) – Grandi aziende industriali quotate

69 69 69

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Z-Score = (1,2 x A) + (1,4 x B) + (3,3 x C) + (0,6 x D) + (0,999 x E)

dove:

A =

Totale Attività

CCN Misura il valore degli assets liquidi rispetto

alla dimensione totale delle attività aziendali

B = Utile non distribuito

Totale Attività

Misura la capacità dell’azienda

di reinvestire gli utili periodici

C = EBIT

Totale Attività Misura la redditività aziendale

70 70 70

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

D = Capitalizzazione (valore di mercato delle azioni)

Totale Passività (escluso il PN)

E = Ricavi

Totale Attività

Misura la capacità di generare ricavi con un

determinato valore dell’attivo patrimoniale

Le imprese con un valore di Z inferiore a 1,8 sono da considerare ad alto

rischio di fallimento; quelle con punteggio superiore a 3 non presentano

alcuna criticità; mentre le aziende con un punteggio compreso tra 1,8 e 3

(c.d. grey area) possono presentare rischi di default ma non è possibile

esprimere un giudizio sicuro basato sulle sole risultanze di tale modello, e

pertanto necessitano di ulteriori analisi di tipo quali-quantitativo.

Tasso di rotazione delle vendite

71 71 71

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Il modello si basa su una relazione lineare, in cui alcune variabili

discriminanti sono sommate e ponderate al fine di assegnare un punteggio.

Le variabili sono (tutte desumibili dal bilancio d’esercizio):

- Ricavi

- Reddito operativo (EBIT)

- Utile netto

- Capitale Circolante

- Totale attività (Capitale Investito)

- Totale passività con esclusione del Capitale Netto

- Dividendi distribuiti

- Fatturato

Z’-Score (Altman 1993) – Aziende industriali medio-grandi non quotate

72 72 72

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Z’-Score = (0,717 x A) + (0,847 x B) + (3,107 x C) + (0,420 x D) + (0,998 x E)

dove:

A = Totale Attività

Capitale Circolante

Risultato netto

Totale Attività

EBIT

Totale Attività

B =

C =

73 73 73

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Patrimonio netto

Totale debiti

Fatturato

Totale Attività

Le imprese con un valore di Z inferiore a 1,23 sono da considerare ad alto

rischio di fallimento; quelle con punteggio superiore a 2,9 non presentano

alcuna criticità; mentre le aziende con un punteggio compreso entro tali confini

(c.d. grey area) possono presentare rischi di default ma non è possibile

esprimere un giudizio sicuro basato sulle sole risultanze di tale modello, e

pertanto necessitano di ulteriori analisi di tipo quali-quantitativo.

Capital turnover

E =

D =

74 74 74

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione L’affidabilità media dei modelli Z-Score e Z’-Score, su 3 anni consecutivi

di analisi, è stata più volte testata all’89%.

È però necessario considerare:

• la dinamica del valore di Z e Z’ nel tempo (lettura evoluzionistica e non

statica) infatti, un punteggio che varia da 1 a 2 è meno preoccupante

di un risultato che evolve da 3 a 2 nel medesimo arco temporale;

• il punteggio va interpretato unitamente ad altri indicatori, posto che

entrambi i modelli sono “sbilanciati” (peso elevato) sulla redditività

aziendale (in presenza di un duraturo equilibrio finanziario-patrimoniale,

una bassa redditività non è di per sé indicatrice di un prossimo default);

• i modelli sono stati specificamente sviluppati per le aziende industriali

(quotate per lo Z-score) localizzate in paesi anglosassoni;

• I modelli si basano in gran parte su dati di bilancio intrinsecamente

soggettivi e potenzialmente falsificabili.

75 75 75

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Al fine di rendere più aderente il modello Z’-score alla realtà italiana, gli

autori hanno parzialmente modificato la funzione discriminante elaborata

originariamente da Altman (soprattutto relativamente ai pesi attribuiti a

ciascuna variabile):

BCS = (1,981 x A)+(9,841 x B)+(1,951 x C)+(3,206 x D)+(4,037 x E)

dove:

C, E mantengono il consueto significato;

B = Riserva legale + Riserva straordinaria

Totale Passività

BCS (Bottani-Cipriani-Serao, 2004) – Aziende industriali non quotate

A = Capitale Circolante Netto

Totale Attività

D = Patrimonio Netto

Totale Passività

76 76 76

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Gli studi in esame hanno individuato i seguenti range di valore di BCS

relativamente alle aziende industriali italiane non quotate:

BCS > 8,105 l’azienda strutturalmente sana;

4,846 < BCS < 8,105 l’azienda necessita di cautele nella gestione;

BCS < 4,846 la società è destinata al default se non modifica la sua

struttura economico-finanziaria.

77 77 77

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione L’affidabilità media del modello BCS, su 3 anni consecutivi di analisi, è

stata testata dai medesimi autori al 92%.

È però necessario considerare:

• la dinamica del valore del BCS nel tempo (lettura evoluzionistica e non

statica) infatti, un punteggio che varia da 1 a 2 è meno preoccupante

di un risultato che evolve da 3 a 2 nel medesimo arco temporale;

• Il modello è stato derivato dall’originario Z’-Score per adattarlo alle

aziende industriali non quotate localizzate in Italia, quindi non è un

modello «universale» (utilizzabile cioè con certezza in qualunque

contesto socio-economico e in qualunque Paese industrializzato);

• Il modello è stato testato poche volte con risultati discordanti, a differenza

dello Z’-score che vanta numerosi test di validazione in una moltitudine di

Paesi, con risultati uniformi e confrontabili;

• Il modello si basa su dati di bilancio intrinsecamente soggettivi e

potenzialmente falsificabili.

78 78 78

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

5a) La Balanced Scorecard

La scheda di valutazione bilanciata, elaborata nel 1992 da Kaplan e

Norton dovrebbe costituire un approccio alla misurazione della

performance aziendale volto a superare (specularmente agli altri metodi

multidimensionali, che da questa traggono ispirazione) le carenze

manifestate dalle tradizionali misure economico-finanziarie di natura

esclusivamente quantitativa (analisi di bilancio, indicatori gestionali, ecc.)

A detta degli autori la BSC integra e bilancia i citati indicatori, definendo le

connessioni esistenti tra di essi in modo da conoscere in anticipo i riflessi

che una determinata azione avrà sull’intera gestione aziendale.

L’impiego bilanciato di differenti misure quantitative e qualitative

consentirebbe infatti una visione più organica ed esaustiva della

performance aziendale, rappresentando in modo corretto la capacità

attuale e (soprattutto) prospettica dell’impresa di creare valore (i metodi

solo quantitativi, invece, si limiterebbero a «fotografare» l’esistente)

79 79 79

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

La metodologia in esame segna il superamento di una visione

monodimensionale dell’azienda al fine di fornire una visione bilanciata

della complessiva performance in funzione delle diverse aree costituenti

l’organizzazione (o comunque di quelle maggiormente significative ai fini

della creazione di valore).

Da originario strumento composito di misurazione della performance

globale dell’impresa, tale metodo si è con il tempo evoluto in uno strumento

di controllo della complessiva gestione volto a superare i limiti delle

metodologie di monitoraggio tradizionali (escusivamente quantitative),

misurando la qualità delle strategie competitive con indicatori di

performance quali-quantitativi (scorecard), e dunque assicurando

l’equilibrio (balance) tra obiettivi quantitativi di breve termine (il cui grado di

raggiungimento è misurato ex-post tramite parametri di natura economico-

finanziaria) ed obiettivi di lungo periodo (misurati con strumenti qualitativi

non finanziari).

80 80 80

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Oltre che da aziende di medio-grandi dimensioni per finalità

prevalentemente interne, la metodologia in esame è correntemente

utilizzata nel settore bancario per la determinazione del rating esterno di

rischio finanziario (cioè con riguardo alle aziende richiedenti un prestito).

Affidarsi unicamente a misure di tipo economico-finanziario può infatti

indurre in errore, in quanto tali misure sono indicatori ex-post che

forniscono informazioni relative ad azioni già realizzate (e quindi non

rappresentano le reali condizioni di economicità dell’impresa e non

forniscono indicazioni sulle prospettive di sviluppo), e oltretutto incoraggia

comportamenti di breve termine che sacrificano la creazione di valore di

lungo periodo in favore di una performance immediata.

Il Balanced Scorecard conserva misure della performance finanziaria, cioè

gli indicatori ex-post, ma li integra con strumenti quali-quantitativi atti a

stimare il livello di performance futura strumento multidimensionale!

81 81 81

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

L’azienda è quindi considerata secondo quattro macroaree, per ciascuna delle

quali vengono definiti i parametri di misurazione delle specifiche performance:

a) la prospettiva dei clienti (customer perspective) misura la

soddisfazione e la fidelizzazione della clientela;

b) la prospettiva dei processi interni di gestione (internal process

perspective) misura la performance nell’ambito dei processi gestionali

(c.d. produttività), da cui dipendono i risultati della prospettiva economico-

finanziaria e di quella dei clienti;

c) la prospettiva dei processi di apprendimento e crescita (learning and

innovation perspective);

d) la prospettiva economico-finanziaria (financial perspective) descrive e

sintetizza le dinamiche reddituali e finanziarie.

L’approccio BSC integra diversi strumenti di controllo, bilanciando le tradizionali

misurazioni di tipo finanziario con misure qualitative collegate ai fattori tipici di

successo dell’azienda, così da offrire ai manager una rappresentazione più

completa del complessivo livello di performance.

82 82 82

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Nella (a) prospettiva dei clienti, l’attenzione è focalizzata sulle

performance dell’azienda così come sono percepite dai clienti, considerato

che se quest’ultimi non sono soddisfatti troveranno prima o poi altri fornitori

capaci di soddisfare le loro esigenze.

In tale ambito, pertanto, prestazioni scadenti sono indice di un probabile,

futuro declino dell’impresa, anche in presenza di risultati economico-

finanziari complessivamente buoni al momento attuale.

Gli indicatori chiave da utilizzare per misurare il livello di performance in

tale campo, atti a valutare la capacità dell’azienda di soddisfare il target di

mercato (e quindi la durata, qualità, volume e frequenza delle relazioni con

i clienti nonché l’evoluzione dei canali di distribuzione), devono far

riferimento ai fattori critici (customer driver) per l’acquisizione e la

fidelizzazione della clientela in cascun segmento di mercato servito

dall’impresa.

83 83 83

In tale prospettiva, le misure di performance più rappresentative sono (in

via peraltro non esaustiva):

• il grado di soddisfazione della clientela e il connesso tasso di fedeltà;

• il livello di redditività per cliente;

• la quota di mercato detenuta dall’azienda;

• la capacità di acquisizione di nuovi clienti;

• l’immagine e la reputazione;

• il numero di resi;

• l’efficacia nell’assistenza post-vendita e il numero di interventi di

manutenzione.

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

84 84 84

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Nella (b) prospettiva dei processi interni di gestione, vengono analizzati

e monitorati quei processi considerati “critici” per l’azienda in quanto

esercitano un’elevata influenza sulla capacità di creare valore nonché sul

consolidamento delle relazioni di mercato (ad esempio, il processo di

innovazione dei prodotti, il processo produttivo e quello distributivo, ecc.).

Si tratta, in altre parole, di tutti quei processi ad elevato valore aggiunto nei

quali l’azienda deve eccellere al fine di soddisfare le aspettative della

clientela (customer based) e quindi di conseguire gli obiettivi economico-

finanziari di medio-lungo periodo.

Gli obiettivi propri di tale prospettiva concernono l’efficacia e l’efficienza del

processo produttivo, e quindi il livello qualitativo dei processi operativi, il

livello di innovazione aziendale, il livello di produttività, i costi unitari di

produzione, ecc.

85 85 85

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Le metriche da utilizzare sono volte a misurare l’efficacia e l’efficienza di

tali processi, nonché il grado di innovazione aziendale:

• numero di nuovi prodotti/servizi sviluppati dall’azienda in un certo arco

temporale;

• tempo di introduzione sul mercato di nuovi prodotti (time to market)

rispetto a quello della concorrenza;

• investimenti in ricerca e sviluppo;

• % di processi con sistemi di controllo avanzati;

• % di difetti riscontrati nei processi operativi;

• tempo di produzione (lead time) e/o di gestione degli ordini;

• costi di produzione dei beni e/o servizi (tramite le tecniche del Direct

Costing, del Full Costing e dell’Activity Based Costing)

86 86 86

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione La (c) prospettiva dei processi di apprendimento e crescita

(prospettiva di sviluppo futuro) considera l’attitudine dell’azienda, e dei

singoli individui che compongono l’organizzazione, al miglioramento delle

proprie prestazioni nello svolgimento di quei processi che creano valore

per gli azionisti e per i clienti. attraverso l’apprendimento continuo.

Le componenti di tale prospettiva sono:

1) aspetto del mercato individua i segmenti di mercato in cui l’azienda

può competere (la conoscenza dell’ambiente competitivo è infatti

indispensabile per poter fronteggiare efficacemente le minacce e

sfruttare opportunamente le opportunità che si presentano).

Gli indicatori più appropriati a misurare tali performance sono:

• quota di mercato posseduta dall’azienda;

• tasso di crescita del mercato.

87 87 87

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Gli indicatori più appropriati a misurare la performance sotto tale aspetto

sono:

• time to developement dei nuovi processi/prodotti; time to market

• indici per la misurazione del miglioramento continuo.

La crescente competitività dei mercati richiede da parte delle imprese un

aumento delle loro capacità in termini di valore per i clienti e gli azionisti,

oltre che un impegno continuo nell’innovare strumenti e tecnologie in

un’ottica di lungo periodo.

L’analisi della competitività fa riferimento al posizionamento dell’impresa

nel settore, in relazione alla qualità delle risorse a disposizione intese

come livello di prestazione e come potenziali capacità di sviluppo.

2) Aspetto dell’innovazione e del vantaggio competitivo evidenzia

l’infrastruttura necessaria all’impresa per competere nel lungo periodo.

88 88 88

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

3) Aspetto della cultura e dell’apprendimento la cultura aziendale è

costituita da procedure e routines nonché dalla formazione e

dall’apprendimento continuo, al fine di orientare e migliorare i

comportamenti degli individui nello svolgimento delle loro attività.

L’ambiente in cui operano le imprese moderne, infatti, impone un continuo

aggiornamento delle conoscenze e delle competenze in modo da

indirizzare il livello di competitività verso i livelli di eccellenza richiesti dal

mercato.

Gli indicatori più appropriati a misurare la performance sotto tale aspetto

sono:

• il valore delle competenze possedute;

• le giornate/annue dedicate alla formazione del personale;

• Il grado di soddisfazione e motivazione dei dipendenti, nonché il relativo

tasso di fedeltà (cioè il tasso di turn over);

89 89 89

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

La (d) prospettiva economico-finanziaria considera il punto di vista e le

aspettative degli azionisti, in termini di: redditività d’impresa, tasso di

crescita, valore creato.

A tal riguardo, la BSC rende esplicito l’impatto delle strategie aziendali sul

processo di creazione di valore per gli azionisti attraverso l’esame dei

risultati economico-finanziari di periodo (aspetto esclusivamente

quantitativo)

Il modello di Kaplan e Norton, infatti, non trascura la necessità di

monitorare anche i tradizionali parametri quantitativi economico-finanziari

(ai quali peraltro si ricollegano, in ultima analisi, tutte le altre misure della

scheda), ma richiede di “bilanciare” i risultati di tale tipo di indicatori

quantitativi misurati ex-post con quelli relativi alle altre tre prospettive (di

natura quali-quantitativa in ottica prospettica)

90 90 90

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione La scheda trae beneficio dalla considerazione delle misure economico-

finanziarie come risultati finali di lungo termine, senza le distorsioni

derivanti dalla focalizzazione esclusiva sul miglioramento di tali parametri

nel breve periodo.

Gli indicatori atti a misurare le performance economico-finanziarie

considerati dal modello sono:

• il valore attuale e prospettico dei ricavi e del reddito operativo;

• il valore azionario (ossia il valore dell’azienda per gli azionisti), dato dalla

differenza tra il valore attuale dei flussi di cassa netti attesi in futuro

dall’azienda (discounted cash flow) e il valore delle passività aziendali

• il valore dell’EVA;

• il ROI, il ROE, il ROS;

• la riduzione dei costi operativi con riguardo a specifiche aree;

• la riduzione del tasso di indebitamento.

91 91 91

5b) Lo Skandia Navigator

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Il criterio in esame, elaborato da Edvisson e Malone nel 1993, costituisce

un’applicazione dei criteri di valutazione delle performance aziendali di

matrice scorecard (teorizzati per la prima volta con la BSC, di cui lo

Skandia costituisce una sorta di «variante/adattamento»).

Il modello esprime una visione integrata e coordinata della complessiva

performance e si basa sullo studio di cinque aree informative (focus)

economico-finanziaria, relazioni con i clienti, risorse umane,

dinamica dei processi, innovazione e sviluppo, che consentono di

misurare quali-quantitativamente l’azienda e il modo in cui crea valore.

L’obiettivo originario era accertare come la componente intellettuale di

un’impresa giocasse un ruolo fondamentale nel processo di creazione del

valore in seguito, ha trovato applicazione per misurare la performance

complessiva in termini quali-quantitativi.

92 92 92

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

In termini figurativi, il modello è proposto con la struttura di una casa:

• il “tetto” è costituito dall’area informativa di tipo economico-finanziario

(financial focus), e concerne i risultati di tipo quantitativo (ad es., il

tasso di redditività) che l’impresa ha ottenuto in passato e che sono stati

oggetto di rilevazione da parte dei tradizionali sistemi contabili;

• le “pareti”, rappresentate dal customer focus e dal process focus,

sono costituite dalle attuali performance dell’impresa, destinate a venire

evidenziate in appositi report economici:

il focus sul cliente, dà indicazioni circa l’abilità di un’organizzazione di

soddisfare i bisogni e le aspettative dei propri clienti per mezzo dei

beni e servizi prodotti;

il focus sul processo, studia le caratteristiche dei processi volti alla

creazione dei servizi e dei prodotti richiesti dai clienti.

93 93 93

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

• il “pavimento” è costituito dall’innovation & development focus, che

riflette le potenzialità future dell’impresa punta ad assicurare il

rinnovamento dell’organizzazione nel lungo periodo, oltre a garantirne la

sostenibilità (individuare le azioni necessarie per assicurare lo sviluppo e

la redditività nel lungo periodo)

• l’area delle risorse umane (human resources focus) viene posta al

centro del modello, posto che costituisce il collante della struttura e

conferisce stabilità e durevolezza all’intero edificio è il cuore

dell’organizzazione ed è essenziale ai fini della creazione della

conoscenza e, quindi, del valore finale.

94 94 94

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Il modello si caratterizza per l’elaborazione di un elevato numero di

indicatori di performance, aventi lo scopo di misurare l’andamento di

ciascuna delle cinque aree in esame:

• clienti numero nuovi clienti, contratti conclusi, quota di mercato, indici

di customer satisfaction, fatturato annuo per cliente, tasso di fedeltà;

• finanza indicatori finanziari;

• processi costi amministrativi per dipendente, numero di scarti, costi

infrastrutturali, livello di efficienza complessivo;

• risorse umane turnover del personale, numero di manager, indice di

soddisfazione dei dipendenti;

• sviluppo e innovazione investimenti in R&S, ore di formazione per

dipendente, numero di brevetti prodotti, nuovi prodotti realizzati.

95 95 95

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

5c) La Value Chain Scoreboard

Il criterio in esame, elaborato da Lev nel 2001, si basa su un approccio di

tipo analitico, individuando i fattori aziendali che concorrono al processo di

creazione del valore ed analizzando l’apporto di ciascuno.

Con il concetto di catena del valore si intende quel processo economico

che trae origine dall’ideazione di nuovi prodotti, servizi o processi (in termini

generali, dall’apprendimento), procede attraverso la loro implementazione e

si conclude con la commercializzazione dell’output.

Per il suo ideatore, la catena del valore costituisce infatti il circuito vitale

delle imprese innovative e di successo (volte cioè all’ottenimento di un

congruo vantaggio competitivo), e il rispetto dei suoi principi cardini risulta

necessario per la sopravvivenza nel tempo in condizioni di stabile equilibrio.

Nella dimensione applicativa, tuttavia, anche tale strumento costituisce

una «rimodulazione» dei principi di funzionamento della BSC

96 96 96

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

La Value Chain Scoreboard si articola in 3 aree di informazione e

valutazione, a loro volta scomponibili in sottoaree (a ciascuna va attribuito

un punteggio discrezionale).

(1) l’area della scoperta e apprendimento (discovery and learning)

costituisce l’inizio della catena del valore di un’azienda. Richiede

un’allocazione significativa e coerente di risorse produttive (in particolare

intangibili) ed è a sua volta suddivisibile in 3 sottoaree, che rappresentano

le fonti interne, esterne ed integrate di informazioni e idee:

• rinnovamento interno (ricerca e sviluppo, formazione del personale,

processi, ecc.);

• capacità acquisite (acquisto di tecnologia, know-how, ecc.);

• networking (joint-ventures nell’attività di ricerca e sviluppo, integrazioni a

monte e a valle);

97 97 97

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

(2) l’area dell’implementazione è quella in cui si verifica la fattibilità

tecnica ed economica dei prodotti, servizi e/o processi in via di sviluppo

segna la trasformazione delle idee in output funzionante.

È a sua volta scomponibile in 2 sottoaree:

• la proprietà intellettuale (brevetti, marchi, ecc.);

• il grado di fattibilità tecnologica ed economica.

(3) la terza area è quella della commercializzazione, a sua volta

ripartibile in 3 sottoaree:

• clienti;

• performance;

• prospettive di crescita.

98 98 98

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione

Con riguardo a ciascuna delle aree informative individuate è necessario

sviluppare degli indicatori di punteggio, con un diverso grado di

analiticità a seconda dell’utilizzo cui sono destinati (naturalmente, la scala

di punteggio dovrà essere specificamente elaborata a seconda del Paese

e del settore economico in cui l’azienda opera, nonché del momento

storico, delle peculiarità dell’azienda, ecc.).

Gli indicatori di punteggio devono essere:

• quantitativi;

• standardizzabili (per favorire il confronto tra imprese diverse);

• collegati empiricamente al valore dell’impresa.

La tabella di punteggi della catena del valore è quindi volta a fornire un

quadro esauriente delle capacità competitive dell’azienda nonché della

sua capacità di creare valore economico.

99 99 99

Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Sinteticamente, e in termini generali, con riguardo ai metodi multidimensionali

BSC, Skandia e Value Chain si evidenziano i seguenti:

Pregi:

• L’uso di misure quali-quantitative consente una visione più completa della

performance aziendale, rappresentando la capacità attuale e (soprattutto)

prospettica di creare valore (i metodi solo quantitativi, invece, si limitano a

«fotografare» l’esistente).

Difetti:

• Va osservata la dinamica del valore dei singoli punteggi nel tempo (lettura

evoluzionistica e non statica);

• Le informazioni quantitative si basano in ogni caso su dati di derivazione

contabile intrinsecamente soggettivi e potenzialmente falsificabili;

• La scelta di quali indicatori di performance usare per ciascuna delle citate

«aree informative», ma soprattutto la scelta del punteggio da attribuire a

ciascuna area e sotto-area, sono demandate al valutatore eccessiva

soggettività teorico/applicativa (con conseguente difficile confrontabilità

spazio-temporale dei risultati)

100 100 100

Il governo delle crisi aziendali Le strategie di risoluzione delle crisi d’impresa devono necessariamente

ispirarsi ad alcuni principi-guida:

1) efficienza;

2) tempestività;

3) equità.

1) L’efficienza nel governo delle crisi aziendali

Dal punto di vista dell’efficienza economica (intesa ovviamente in senso

lato), la soluzione ottimale della crisi è quella che prospetta la migliore

allocazione degli asset aziendali (cioè la massimizzazione del valore

economico netto, attuale e prospettico, da essi ritraibile), tenuto conto sia

del loro valore atomistico sia del loro valore di complesso in funzionamento.

Preliminarmente, si prospettano 3 forme di “allocazione” degli asset di

un’azienda in crisi: a) ristrutturazione; b) cessione; c) liquidazione.

101 101 101

In linea generale, il principio di efficienza dovrebbe condurre alla

massimizzazione del valore economico netto ritraibile dal processo di

risoluzione della crisi, fondandosi su:

• il valore attuale netto dei flussi monetari in entrata e in uscita attesi dal

funzionamento aziendale (realizzando il piano di ristrutturazione, con i

relativi costi per investimenti e i ricavi prospettici attesi);

• Il valore attuale netto dei flussi monetari attesi dalla cessione del

complesso in funzionamento (prezzo di cessione al netto dei costi di

vendita);

• Il valore attuale netto dei flussi monetari attesi dalla liquidazione del

complesso (prezzo di vendita dei singoli asset al netto dei costi di

cessione).

Il più delle volte, nelle concrete realtà aziendali si presentano combinazioni

di tali opzioni relativamente alle diverse aree d’affari dell’azienda in crisi.

Il governo delle crisi aziendali

102 102 102

a) Ristrutturazione (crisi governabile)

I processi di ristrutturazione sono volti a garantire e/o a ripristinare, anche

a livello di assetto proprietario, le migliori condizioni di utilizzo di tutti gli

asset aziendali nell’ottica del going concern, sfruttando le potenzialità

(temporaneamente inespresso) dell’impresa di generare valore

economico.

Il progetto di ristrutturazione può ovviamente qualificarsi per un diverso

grado di ampiezza ed incisività dall’azione su una o più aree funzionali

(produzione, commerciale, ecc.) ad un intervento esteso sulle diverse aree

d’affari (business unit) dell’impresa.

Tale processo potrebbe anche non comportare interventi drastici sulla

struttura finanziaria, se i flussi di cassa previsti dalla gestione operativa

post-ristrutturazione risultano tali da soddisfare le aspettative dei creditori

(in termini di rimborso e remunerazione del debito).

Il governo delle crisi aziendali

103 103 103

Se invece la dinamica economico-finanziaria prevista nel progetto è tale

da non consentire il rispetto dei tempi di rimborso del debito preesistente

alle condizioni stabilite, il piano di ristrutturazione richiede interventi sulla

struttura finanziaria variamente graduati:

• rescheduling del debito;

• alleanze industriali; ingresso di nuovi soci (risoluzione per vie esterne);

• rinegoziazione delle condizioni del prestito;

• stralcio di alcune poste (con conseguenti sacrifici per i creditori);

• domanda di nuova finanza per sostenere i costi di ristrutturazione.

Il più delle volte, i sacrifici richiesti ai creditori si accompagnano al

sacrificio richiesto ai soci di apportare nuovo capitale di rischio per

sostenere i costi della ristrutturazione se tale necessità non può o non

vuole essere soddisfatta dai soci attuali, si profila l’ipotesi della cessione.

Il governo delle crisi aziendali

104 104 104

b) Cessione (crisi governabile)

La cessione (anche di singoli rami aziendali) è qualificabile come il

trasferimento del controllo degli asset aziendali come complesso

funzionante dall’originario soggetto economico (che non vuole/può

sostenere i costi di ristrutturazione) ad altri soggetti imprenditoriali, che si

fanno carico dei costi e godono dei benefici del progetto di ristrutturazione.

Il nuovo soggetto di controllo può inserire l’azienda nell’ambito di

preesistenti combinazioni economiche (per la ricerca di eventuali effetti

“sinergici”), oppure limitarsi alla proposta di nuove modalità di gestione

atte a sfruttare il proprio patrimonio di conoscenze, competenze e

relazioni.

Sul piano strategico-operativo, gli interventi di ristrutturazione sono più o

meno identici a quelli analizzati con riferimento alla precedente ipotesi a).

Il governo delle crisi aziendali

105 105 105

c) Liquidazione (crisi irreversibile valore liquidazione > valore economico

di funzionamento)

La liquidazione conduce alla disaggregazione del complesso aziendale e al

collocamento sul mercato dei singoli asset (tangibili e in particolare intangibili

marchi di fabbrica, di prodotto, brevetti, ecc.) o di loro combinazioni parziali

(rami aziendali), facendo venire meno il presupposto del going concern.

Invece, finquando la crisi è governabile il valore attuale netto ricavabile dalla

liquidazione dei singoli asset è inferiore a quanto ricavabile dalla

ristrutturazione o dalla cessione a terzi del complesso in funzionamento.

Il valore netto di liquidazione costituisce un riferimento vincolante per la scelta

tra le alternative di governo della crisi, che per risultare praticabili devono

prospettare un valore economico netto superiore, o almeno uguale, a quello di

liquidazione (principio di efficienza).

È financo possibile che il valore netto di liquidazione sia negativo quando i

costi di dismissione superano il valore lordo di collocazione sul mercato.

Il governo delle crisi aziendali

106 106 106

Il governo delle crisi aziendali

Naturalmente, nell’area di “confine” tra il presente stadio di crisi e il

precedente (ristrutturazione) possono ipotizzarsi situazioni “ibride”, dove a

fronte di una crisi irreversibile dell’azienda nel suo complesso si

individuano sub-complessi di asset dotati (ancora) di un valore potenziale

di funzionamento superiore al valore di liquidazione – o viceversa.

In genere, si tratta di valori connessi a rami d’azienda o singole aree

d’affari (business unit), che se isolati da fattori negativi di contesto

(management incompetente, strutture obsolete, ecc.) potrebbero essere

dotati di un valore autonomo positivo, da non disperdere con una

procedura liquidatoria.

In tali casi, è quindi necessario optare per soluzioni di governo della crisi

anch’esse “ibride”, volte a scindere l’azienda in sub-complessi funzionanti

e potenzialmente efficienti.

107 107 107

2) La tempestività nel governo delle crisi aziendali

Se l’efficienza costituisce il primo principio-guida per la soluzione delle

crisi, la tempestività ne rappresenta la sua declinazione dinamica.

Infatti, tanto più la crisi da potenziale diventa effettiva, progressivamente

intensificandosi, tanto maggiori sono i rischi di depauperamento dei valori

aziendali (in particolare di quelli di funzionamento e di cessione) è

quindi necessario che l’analisi della crisi e il successivo intervento di

soluzione siano “tempestivi”.

Peraltro, per colpa o dolo il soggetto economico potrebbe non cogliere lo

stato di crisi (in essere o in divenire) e/o rinviare le azioni volte al recupero

del valore, a scapito degli altri interessi coinvolti nel funzionamento

aziendale (tra cui quelli dei creditori, degli azionisti di minoranza, ecc.).

Il governo delle crisi aziendali

108 108 108

3) L’equità nel governo delle crisi aziendali

Il governo dell’impresa coinvolge, come è noto, molteplici soggettività (c.d.

stakeholders), tra i quali un ruolo preminente è rivestito dai soci di controllo

o dall’imprenditore individuale.

In condizioni di normale funzionamento, si presume che il perseguimento

dell’efficienza economica (incremento o al limite mantenimento del valore

economico del capitale) sia il principio-guida del funzionamento aziendale,

valido sia per i soci di maggioranza (in primis) che per tutti i rimanenti

stakeholders.

In condizioni di crisi, però, il costo della medesima, e quello del processo

di risanamento, viene spesso sopportato (per la gran parte) dai creditori e

talvolta anche dai soci di minoranza e dai lavoratori, a causa del surrettizio

operare del soggetto economico.

Il governo delle crisi aziendali

109 109 109

Relazioni tra efficienza, tempestività ed equità

Analizzando i collegamenti tra equità ed efficienza, si osserva che

soluzioni ex ante inique (in quanto favorevoli solo per determinati

stakeholder) potrebbero consentire il recupero del valore di funzionamento

così da soddisfare ex post anche le istanze di altri soggetti, in modo

migliore rispetto a soluzioni ab origine più eque ma meno efficienti.

L’equità deve infatti analizzarsi anche alla luce delle prospettive di

recupero dell’efficienza collegate alla tempestività di intervento tale

connessione è tanto più rilevante quanto più elevato è il divario tra il valore

del complesso funzionante (anche in ipotesi di cessione) e il suo valore di

liquidazione.

Quanto più la crisi è affrontata a stadi anteriori a quello di crisi

irreversibile (valore di funzionamento < valore di liquidazione), tanto più

si dovrebbe puntare all’efficienza e alla tempestività anche a scapito

dell’equità, dato che il recupero del valore di funzionamento alfine

avvantaggia tutti gli attori (anche i creditori).

Il governo delle crisi aziendali

110 110 110

La crescente diffusione di stati di crisi coinvolgenti, indifferentemente,

imprese di piccole, medie e financo grandi dimensioni, ha stimolato la

ricerca di soluzioni giuridiche atte a fronteggiare tali situazioni

“patologiche” con strumenti innovativi, maggiormente efficaci ed efficienti

rispetto alle procedure concorsuali giudiziali.

Negli ultimi anni, infatti, una crescente attenzione è stata riservata ai c.d.

sistemi privatistici di gestione delle crisi aziendali, cioè a meccanismi

istituzionali (regolamentati dalla legge ma affidati alla libera iniziativa delle

parti) volti a risolvere gli stati d’insolvenza, manifesti oppure anche solo

previsti, nel rispetto delle regole di mercato, senza fare ricorso al sistema

giudiziario

I sistemi in esame devono soddisfare alcuni requisiti fondamentali:

a) Conservare ed incrementare il valore dell’impresa;

b) salvaguardare i diritti dei creditori

Il governo delle crisi aziendali

111 111 111

L’efficienza nella gestione della crisi richiede obbligatoriamente di evitare

distruzioni non necessarie di valore.

a) La salvaguardia del valore dell’impresa

È il presupposto-base che deve guidare la scelta tra la liquidazione

dell’azienda e la ristrutturazione/continuazione dell’attività operativa

(going concern).

Se i flussi economici netti (al netto cioè dei costi di ristrutturazione)

producibili in futuro dall’impresa risanata si prevedono superiori ai flussi

economici netti (al netto dei costi di vendita/dismissione) ottenibili tramite

la semplice liquidazione del complesso aziendale, risulta chiaro come il

valore d’impresa sia maggiore nel primo caso.

Il governo delle crisi aziendali

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In conclusione, un sistema di gestione delle crisi deve minimizzare il

rischio:

• di liquidazioni di complessi aziendali per i quali esistono fondate

prospettive di ripresa (quindi di miglioramento del valore producibile),

dunque meritevoli di essere preservati in funzionamento;

• di consentire la permanenza in vita di complessi aziendali che così

facendo distruggerebbero ulteriore ricchezza (e che varrebbero quindi di

più se tempestivamente liquidati);

• di non adottare, specie nel caso di continuazione dell’attività aziendale, il

piano che meglio massimizza il valore complessivo dell’impresa.

Il governo delle crisi aziendali

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b) La salvaguardia dei diritti dei creditori

Nell’ambito degli strumenti di risoluzione delle crisi aziendali gli interventi

attuabili debbono necessariamente tener conto dei principi della (1) par

conditio creditorum e della (2) absolute priority rule.

Il (1) indica che i creditori godono di pari priorità nel rimborso dei propri

crediti (a meno che non si tratti di categorie “privilegiate” pegno,

ipoteca), e pertanto devono subire, se del caso, uguali sacrifici in termini

percentuali.

Il (2) comporta, invece, che nella ripartizione del ricavato ottenuto dalla

liquidazione degli asset aziendali si possa attribuire un quantum ai

conferenti il capitale di rischio solo se (e dopo che) tutti i creditori sono

stati soddisfatti integralmente.

Il governo delle crisi aziendali

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Nonostante detti principi siano teoricamente presenti in qualunque sistema

di gestione della crisi, nella pratica sono possibili (e frequenti) violazioni a

livello di singole procedure è il caso, ad esempio, di quelle soluzioni

giudiziali e/o stragiudiziali che contemplano riduzioni del valore nominale dei

crediti senza che venga decurtato anche il valore del capitale sociale.

Le (a) procedure giudiziali (c.d. concorsuali) di gestione dell’insolvenza

previste dal Legislatore italiano sono fortemente orientate a garantire i

creditori, ponendo nettamente in secondo piano il principio del going

concern (conservazione dell’azienda) si tratta quindi di istituti

fortemente “sbilanciati” sul principio dell’equità (peraltro solo a livello

teorico, considerata la spropositata durata e gli elevati costi di tali

strumenti), a scapito dell’efficienza e della tempestività.

Più complesso è invece il caso delle (b) rinegoziazioni privatistiche

dell’indebitamento, le quali comportano un elevato rischio di conflitti di

interesse.

Il governo delle crisi aziendali

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La crisi aziendale, e cioè il dissesto patrimoniale del debitore, è un evento

coinvolgente una gran massa di creditori, che vengono a trovarsi

nell’impossibilità di realizzare, in tutto o in parte, il proprio diritto.

Come è noto in Italia, con riguardo al dissesto delle imprese commerciali

non piccole* è possibile ricorrere alle (a) cc.dd. procedure giudiziali

concorsuali, mediante le quali, alla presenza di un’autorità pubblica, viene

regolato il rapporto patrimoniale tra un determinato soggetto e il complesso

dei suoi creditori.

Successivamente alla riforma del Diritto Fallimentare del 2006, l’attuale

Legge Fallimentare, R.D. 16/03/1942, n. 267, disciplina 3 tipologie di

procedure concorsuali (fallimento, concordato, liquidazione coatta

amministrativa), mentre una quarta (l’amministrazione straordinaria delle

grandi imprese in crisi) è stata tipizzata con uno specifico intervento

normativo.

Il governo delle crisi aziendali

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Non sono soggette a procedure fallimentari le imprese commerciali che

diano prova di non aver superato, nei precedenti 3 esercizi, alcuno dei

seguenti parametri:

• attivo patrimoniale 300.000 €

• ricavi lordi 200.000 €

• debiti (anche non scaduti) 500.000 €

(*)

È sempre escluso dal fallimento l’imprenditore agricolo

Il governo delle crisi aziendali

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Pur mostrando specifiche peculiarità, le citate procedure concorsuali

presentano caratteristiche comuni:

• la generalità, con ciò intendendo il coinvolgimento nelle procedure

dell’intero patrimonio del debitore e non soltanto di singoli cespiti;

• la collettività, ovvero il coinvolgimento nelle procedure dell’intero ceto

creditorio dell’imprenditore esistente alla data in cui il dissesto è

accertato;

• l’obiettivo di assicurare, almeno in via di principio, la parità di trattamento

dei creditori (con esclusione, ovviamente, di coloro che vantano

specifiche cause di privilegio) c.d. par conditio creditorum e

absolute priority rule

Il governo delle crisi aziendali

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La citata riforma della Legge Fallimentare, nonché i successivi interventi

(2008 e 2012) sono stati ispirati dalla necessità di ridurre i tempi di

esplicazione delle singole procedure concorsuali, di far emergere in modo

più rapido e tempestivo lo stato di crisi, di ridurre i costi associati alle

procedure medesime, di rafforzare il grado di autonomia delle parti nel

governare lo stato di crisi e tentare, quando possibile, di garantire il going

concern (allo scopo anzi effettuando un vero e proprio “rilancio”

dell’azienda in crisi) e il contestuale mantenimento dei livelli occupazionali.

Parallelamente, si sono stabilite a livello normativo delle (b) soluzioni

alternative alle procedure concorsuali per fronteggiare le crisi d’impresa,

rafforzando le possibilità di accordi extra-giudiziali tra debitore e creditori

(c.d. “privatizzazione” della crisi) come modalità primaria di risoluzione

posticipando quindi l’attivazione delle procedure concorsuali e liquidatorie

alla mancata risoluzione pattizia.

Il governo delle crisi aziendali

119 119 119

Le procedure stragiudiziali di risoluzione delle crisi non hanno quindi più

un prevalente significato liquidatorio e sanzionatorio, ma piuttosto tendono

alla conservazione dell’impresa contestualmente alla rimozione dello stato

di dissesto volontà di coniugare equità, efficienza e tempestività.

Con il contemperamento dalla tutela della par conditio creditorum con

quella del going concern aziendale si è voluta evitare una generalizzata

disgregazione delle funzionalità tecnico-economiche d’impresa, con la

conseguente dispersione di valori tangibili ed intangibili (conoscenze

tecnologiche, organizzative, produttive, saperi manageriali, immagine di

marca, ecc.).

La finalità di conservazione deve poi interpretarsi come vera e propria

scelta di politica economica, volta a salvaguardare i livelli occupazionali e

a migliorare la competitività del Sistema-Paese.

Il governo delle crisi aziendali

120 120 120

Nelle procedure stragiudiziali, però, sono potenzialmente riscontrabili

violazioni più o meno sistematiche della par conditio creditorum che

dell’absolute priority rule, mentre si attribuisce preminente rilevanza al

principio del going concern (stante il convincimento che la dissoluzione

dell’impresa generi danni maggiori alle parti interessate nonché al

generale sistema economico-sociale rispetto a riduzioni o rinvii delle attese

satisfattorie).

Con riguardo al primo profilo, tale principio è spesso incrinato dal

trattamento favorevole riservato ai fornitori e ai creditori non bancari.

Per quanto invece concerne le violazioni del principio dell’absolute priority

rule in favore dell’originario soggetto economico, queste traggono origine

dal fatto che il gruppo di comando riesce sovente, soprattutto nelle

imprese di dimensioni minori, a conservare la propria posizione di

preminenza.

Il governo delle crisi aziendali

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In quest’ottica, il Legislatore ha riconosciuto e disciplinato i seguenti

accordi negoziali stragiudiziali (o parzialmente tali):

• Accordi di Ristrutturazione del Debito (art. 182-bis L.F.)

• Piani Attestati di Risanamento (art. 67 L.F.)

• Concordato preventivo in «continuità» (art. 186-bis L.F.)

• Concordato in «bianco» (con riserva o preconcordato - art. 161 L.F.)

che separatamente, o anche di concerto nel caso dei primi due (la

ristrutturazione del debito dovrebbe infatti essere contestuale al

risanamento), sostituiscono/affiancano le normali procedure concorsuali.

In altre parole si consente alle parti di concludere accordi negoziali extra-

giudiziali garantiti dalla supevisione di adeguate figure professionali

(talvolta richiedenti un semplice controllo di legittimità da parte del giudice).

Il governo delle crisi aziendali

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Le caratteristiche delle procedure stragiudiziali (sia di ristrutturazione del

debito sia di risanamento, che come anzidetto vanno spesso a “braccetto”)

possono di seguito riassumersi:

• il soggetto economico dell’impresa in crisi, oppure i maggiori creditori (di

norma le banche), verificano la praticabilità di un accordo di massima

nell’ambito del ceto creditorio, al fine di evitare la dichiarazione formale di

uno stato di insolvenza e la conseguente apertura di una procedura

concorsuale;

• l’impresa predispone, solitamente con l’ausilio di un advisor e di concerto

con i creditori, un piano di ristrutturazione del debito e/o di risanamento

che sfociano in una vera e propria convenzione, eventualmente

concedendo garanzie immediate ai creditori;

• la convenzione viene quindi sottoposta all’analisi del ceto creditorio.

Il governo delle crisi aziendali

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L’accordo con i creditori è un contratto atipico che persegue il fine, da un

lato, della conservazione dell’impresa mediante un’intesa, dall’altro, della

realizzazione dei diritti dei singoli creditori.

Il principale vantaggio di tale tipo di accordi consiste nell’assenza di

specifiche previsioni normative che ne limitino i contenuti, lasciando libere

le parti di accordarsi secondo le modalità ritenute più convenienti con

riguardo alle percentuali, alle modalità di espletamento dell’accordo, al

contenuto e agli obiettivi, ecc.

A differenza del fallimento, il presupposto per l’applicazione di tali istituti

non è più lo stato di insolvenza (impossibilità di far fronte ai debiti in

scadenza con normali mezzi di pagamento) ma il più ampio concetto di

crisi (quando il valore delle attività è inferiore al valore nominale del

debito), che soltanto sottende una situazione di insolvenza non ancora

manifesta.

Il governo delle crisi aziendali

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Le soluzioni stragiudiziali delle crisi aziendali sono dunque incentrate sulla

predisposizione di un adeguato piano di risanamento e/o sulle

rinegoziazioni privatistiche dell’indebitamento, che si concretizzano nella

sottoscrizione di apposite convenzioni con i creditori bancari e commerciali.

Si tratta quindi di un sistema flessibile, tale da consentire alle parti di

sviluppare soluzioni alternative alla formalizzazione dello stato di

insolvenza (si cerca infatti di “privatizzare” l’insolvenza), quando ciò sia il

desiderio del debitore e dei creditori e purché siano rinvenibili

caratteristiche desiderabili alla luce dei profili considerati (e specificamente

che il tribunale consideri tali procedure più vantaggiose per i creditori

rispetto a quelle giudiziali).

Come anticipato, del resto, un sistema ideale dovrebbe consentire di

rinegoziare il debito e, successivamente, di risanare l’impresa,

ogniqualvolta la continuazione dell’attività operativa risulti preferibile alla

liquidazione.

Il governo delle crisi aziendali

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In linea di massima gli accordi stragiudiziali, svincolati dai tempi e dalle

rigidità delle procedure giudiziali, risultano preferibili in quanto:

• dovrebbero evitare il rischio di liquidazioni inefficienti, ovvero di

estinzione di un’impresa il cui valore di funzionamento risulti superiore al

valore di realizzo in sede di liquidazione (preservando così il principio del

going concern);

• dovrebbero consentire percentuali di recupero dei crediti insoluti più

elevate rispetto a quelle ottenibili con le normali procedure concorsuali;

• sono meno costose e si caratterizzano per tempi di esecuzione inferiori;

• sono più flessibili in quanto non vincolate da rigide previsioni legali che

ne limitano l’utilizzo o i contenuti, potendosi quindi adattare alle

specificità dei singoli casi.

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Tra i fattori che potrebbero ostacolare l’emergere di una soluzione

stragiudiziale alle crisi d’impresa, quello operativamente più oneroso è

senz’altro la necessità di coordinare gli appartenenti al ceto creditorio, che

dispongono del potere di decidere in ordine alla prosecuzione o meno

dell’attività operativa da parte dell’impresa (in caso contrario, quest’ultima

potrebbe venire rimandata al competente tribunale per l’attivazione di una

procedura concorsuale).

Un’altra problematica è costituita dalla frequente necessità di erogare

nuovi mezzi finanziari all’impresa in via di ristrutturazione qualora la

vecchia proprietà non possa o non voglia fornire tali mezzi, e la ricerca di

un possibile partner industriale-finanziario risulti difficile, saranno ancora le

banche (presumibilmente già gravate da precedenti crediti insoluti verso

l’impresa) a dover fornire capitali “freschi”.

Il governo delle crisi aziendali