economia aziendale corso avanzato -...
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Indice
1) Le crisi aziendali
2) Cause e tipologie di crisi aziendali
3) La crisi nelle piccole imprese
4) Strumenti di prevenzione delle crisi
5) Il governo delle crisi aziendali
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Le crisi aziendali
La crisi è un fenomeno tipico (in quanto ricorrente) della vita aziendale, ed
ha profondi effetti sul funzionamento dell’intero sistema economico, sia in
termini monetari (impatto sulla ricchezza locale e nazionale) che sociali.
Dato che l’impresa è un’attività economica organizzata svolta in condizioni
di rischio, alla prospettiva di creare valore per tutti gli stakeholders può
accompagnarsi, inevitabilmente, la possibilità di un percorso involutivo,
che si riversa, dapprima, sulle attese dei soci (remunerazione del capitale
inferiore al rendimento congruo) per poi estendersi anche agli altri
stakeholders (in particolare fornitori e finanziatori).
La crisi è dunque un fenomeno al contempo “aziendale” e “istituzionale”
(concernendo gli aspetti regolamentari dell’attività economica in generale),
e pertanto le modalità di governo di tale fenomeno sono fondamentali sia
per i riflessi sul potenziale economico e sociale della singola azienda sia
per l’impatto sulla struttura del settore in cui l’azienda si colloca.
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1) Il declino (crisi potenziale)
La nozione di declino è associata all’ottenimento di una performance
negativa in termini di creazione di valore (cioè alla sua distruzione) su un
orizzonte temporale significativo.
Il senso stesso dell’esistenza di un’azienda è infatti dato unicamente
dall’accrescimento del valore del capitale economico (fine ontologico).
Le crisi aziendali
è palesato dalla sistematica e duratura perdita di flussi economici e
finanziari (qualora non si elabori un processo di risanamento), e non dal
semplice realizzo di perdite reddituali;
è provocato dalla perdita di capacità reddituale sul piano prospettico (a
condizione che il fenomeno superi una certa soglia di intensità) e non
dalla mera diminuzione del livello di redditività su base storica.
Classificazione delle crisi aziendali
Il declino pertanto:
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È uno stato di grave instabilità originato da rilevanti perdite economiche e
di valore capitale, da conseguenti forti squilibri finanziari, dalla diminuzione
della capacità di credito (per perdita di fiducia conseguente alla
riconoscibilità esterna della condizione di crisi), dall’insolvenza e, in ultimo,
dal dissesto, ossia da uno squilibrio patrimoniale definitivo.
Le crisi aziendali
2) La crisi vera e propria (riconoscibilità all’esterno)
- insolvenza* è misurata in termini di flussi e palesa una situazione di
tensione finanziaria (i flussi di cassa generati nell’unità di
tempo non sono sufficienti per far fronte ai pagamenti in
scadenza) c.d. asfissia finanziaria;
- dissesto è misurato in termini di stock ed identifica una situazione
patologica in cui il valore delle attività aziendali è
insufficiente per coprire l’ammontare dei debiti.
(crisi acuta)
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Le crisi aziendali
(*)
Secondo la Legge Fallimentare attualmente in vigore, lo stato di
insolvenza viene palesato dal verificarsi di “…inadempimenti che
dimostrano l’incapacità del debitore di soddisfare regolarmente (alle
scadenze prefissate e con mezzi normali di pagamento) le proprie
obbligazioni”.
Posto che la questione risiede nel capire come (e conseguentemente
quando) lo stato di insolvenza si manifesta, la giurisprudenza ha nel corso
degli anni individuato alcuni fatti indiziari, sintomatici di tale stato:
• la pubblicazione di protesti;
• l’esistenza di procedure esecutive (specie se immobiliari);
• l’iscrizione di ipoteche;
• la pubblicazione di bilanci in perdita (o comunque “squilibrati”);
• la notizia di scioperi o di cassa-integrazione;
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Le crisi aziendali Normalmente, la manifestazione di uno stato di tensione finanziaria è
considerato il sintomo primigenio di un futuro dissesto.
Infatti una condizione di temporanea insolvenza, se non tempestivamente
sanata, può provocare un disequilibrio economico/patrimoniale (specie se
per ottemperare ai debiti in scadenza, di natura commerciale ovvero
finanziaria, si ricorre ad ulteriore indebitamento di natura esclusivamente
finanziaria) prodromico al dissesto vero e proprio.
Potrebbe trattarsi, però, di un segnale alle volte fallace posto che:
- l’insufficienza dei flussi finanziari originati dalla gestione corrente potrebbe
essere soltanto temporanea (ad es. a causa di alcuni ritardati rimborsi);
- l’impresa, pur in difficoltà, potrebbe comunque far fronte ai propri debiti
attingendo a riserve di liquidità oppure dismettendo cespiti non strategici;
- a tal riguardo, sin quando il merito creditizio si mantiene positivo (cioè
l’impresa è in grado di rimborsare i debiti precedentemente contratti), essa
troverà soggetti disposti a finanziarla.
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Le crisi aziendali Non è sempre agevole distinguere il declino dalla crisi vera e propria.
Specie nelle fasi iniziali, infatti, vere situazioni di crisi possono apparire
semplici forme di reversibile declino o, addirittura, di normale gestione.
Ciò può accadere, ad esempio, quando i flussi di cassa in entrata e in uscita, a
causa di scarsi investimenti o della contrazione dei volumi di attività,
consentono di procrastinare l’esplosione delle difficoltà finanziarie; oppure
quando gli imprenditori sono “abili” nel mascherare il progredente declino (o
addirittura forniscono informazioni artefatte dati contabili falsificati).
In ogni caso, è concettualmente arbitrario fissare un limite all’erosione
prodotta dalle perdite gestionali (in termini di reddito e di valore
patrimoniale) per stabilire quando la crisi è «riconoscibile» all’esterno.
Peraltro, se il valore di liquidazione delle attività (singoli assets) è inferiore
all’ammontare del debito, i creditori sono coinvolti (spesso a loro insaputa)
nel rischio d’impresa.
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Dalle caratteristiche del debito deriva poi il grado di flessibilità a
disposizione dell’imprenditore per il governo della crisi possibilità di
agire liberamente per il recupero delle condizioni di efficienza gestionale
senza interferenze da parte dei creditori.
Tanto più il debito è a lunga scadenza e a rimborso periodico piuttosto che
in un’unica soluzione, tanto maggiore è il grado di flessibilità operativa a
disposizione del management.
Peraltro, tale flessibilità potrebbe indurre l’imprenditore a dilazionare
l’intervento sulla crisi (superando quindi il citato punto critico) oppure a
porre in essere azioni inefficienti con conseguente erosione del valore del
capitale, o ancora a compiere atti volti a traslare gli effetti della crisi in
capo ai creditori.
Le crisi aziendali
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Le crisi aziendali
In ogni caso, per definire quando un’azienda possa dirsi in crisi è
necessario stabilire preliminarmente le caratteristiche di un suo sano e
corretto funzionamento:
Economicità equilibrio economico (o autosufficienza economica) ed
equilibrio finanziario (o adeguata potenza finanziaria).
Equilibrio patrimoniale capacità di coprire efficacemente (in termini
di costi, tempi e modalità) e durevolmente nel tempo i vari tipi di
fabbisogno (a breve, media e lunga scadenza; elastico o rigido; ecc.),
con il più corretto mix tra fonti di finanziamento interne (mezzi propri, da
apporto o da autofinanziamento) e fonti esterne.
Efficienza economico-tecnica nell’impiego dei diversi fattori della
produzione.
Continuo accrescimento del valore del capitale economico.
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In linea di massima, uno stato di crisi risulta difficilmente imputabile ad
un’unica causa piuttosto, i fattori che lo generano sono molteplici (si
parla anzi, spesso, di microcause) e si alimentano reciprocamente, ed
unitariamente contribuiscono alla genesi nonché al progredire della crisi
medesima.
In ogni caso, risulta di fondamentale importanza:
1) Individuare gli strumenti più adatti a prevenire/predire uno stato di crisi
(prima cioè che esso divenga riconoscibile all’esterno - manifesto).
2) identificarne le possibili cause.
3) definire le linee di intervento strategico per governare lo stato di crisi e
quindi consentirne il superamento.
Le crisi aziendali: cause e tipologie
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
1) L’individuazione e l’analisi delle cause di una crisi aziendale possono
effettuarsi alla luce di due differenti (ma contigui) approcci:
a) soggettivo
b) oggettivo
a) Approccio soggettivo
Secondo tale criterio, il sistema umano dell’impresa (area della proprietà e
del management, assai raramente della tecnostruttura) è il principale
responsabile del successo e, quindi, dell’eventuale insuccesso aziendale
Sono cioè le persone, protagoniste ai vari livelli della vita aziendale, con le
loro inefficienze, i loro errati comportamenti, le loro incapacità, la causa
prevalente degli stati di crisi.
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Le crisi aziendali: cause e tipologie Le crisi in tale ottica sono da collegarsi all’instabilità dell’ambiente interno
ed esterno all’impresa, con la conseguenza che il loro sorgere e protrarsi
deve imputarsi all’incapacità dell’azienda di adattare i propri assetti
economico-finanziari e patrimoniali agli assidui e repentini mutamenti
dell’ambiente in cui vive.
Pertanto, in situazioni di crisi:
il primo ad essere messo sotto accusa è il management per i suoi
comportamenti colposi (o anche, talvolta, dolosi) dettati da incapacità,
strategie di breve termine, ecc.;
in secondo luogo, le critiche si appuntano sulle scelte della proprietà:
eccessive distribuzioni di utili; indisponibilità a fornire garanzie ai
creditori e/o nuovi apporti capitale all’azienda; errata scelta del
management; eccessivo accentramento (tipico di PMI); ecc.
in subordine (e in misura minore), ulteriori motivi di crisi possono
rinvenirsi nei comportamenti della tecnostruttura.
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
Peraltro l’approccio in esame, incentrato prevalentemente sulla
correlazione tra gli stati di crisi e i comportamenti colposi/dolosi tenuti
dall’area manageriale e da quella della proprietà, nel corso del tempo non
si è rivelato sufficientemente adeguato a descrivere ed interpretare la
complessa realtà delle crisi aziendali.
L’approccio oggettivo, invece, di ormai consolidata prevalenza presso la
maggioritaria dottrina, suggerisce che una situazione di crisi può dipendere
anche da eventi e forze che sfuggono (almeno in parte) al dominio degli
uomini d’azienda.
Si pensi, al riguardo, a quei fenomeni esterni all’azienda incontrollabili ed
indipendenti dai comportamenti individuali (che pure possono concorrere a
provocare le crisi) diminuzione della domanda, aumento dei prezzi dei
fattori produttivi, effetti concorrenziali, ecc.
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Le crisi aziendali: cause e tipologie 2) Approccio oggettivo/ambientale
Le crisi sono quindi un fenomeno sostanzialmente collegato al dinamismo
e all’instabilità dell’ambiente interno ed esterno al sistema.
Secondo tale approccio, è possibile distinguere 5 cause di crisi aziendali:
a) Le crisi da inefficienza;
b) La crisi da sovracapacità/rigidità;
c) La crisi da decadimento dei prodotti e da carenze gestionali;
d) La crisi da carenza di programmazione/innovazione;
e) La crisi da squilibrio finanziario / patrimoniale.
Non si devono però trascurare le componenti soggettive delle crisi, che anzi
possono esserne la causa primigenia e/o motivo di amplificazione (se non
vengono adeguatamente contrastate)
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
a) Crisi da inefficienza
Si individuano cause di inefficienza quando uno o più comparti
dell’organizzazione aziendale (in specie quelli produttivo-commerciali, ma
anche l’area amministrativa, finanziaria, organizzativa, ecc.) attuano i
propri processi operativi con rendimenti inferiori, o con costi superiori,
rispetto a quelli ottenuti dai concorrenti diretti o indiretti assunti come
benchmark.
Con particolare riguardo all’area tecnico-produttiva, le ragioni di uno stato
di inefficienza operativa superiore alla media del settore, o comunque alle
migliori aziende concorrenti, possono essere disponibilità di fattori
produttivi in tutto o in parte obsoleti; scarsa capacità o impegno della
manodopera; utilizzo di routine e processi non aggiornati e/o non adatti;
ecc.
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
b) Crisi da sovracapacità/rigidità
Tale tipologia di crisi può originarsi da:
• durevole contrazione del volume della domanda (con conseguente
decremento dei ricavi) originata da una situazione di sovracapacità
produttiva a livello di settore;
• durevole contrazione del volume della domanda associata alla perdita di
quote di mercato più o meno rilevanti l’eccesso di capacità interessa
quindi unicamente l’impresa e non il settore le difficoltà sono quindi
connesse a debolezze particolari dell’azienda (sussiste però, quasi
sempre, la concomitanza di inefficienze – ad es. decadimento prodotti);
• dinamica dimensionale dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di
investimenti (in capitale fisso e/o circolante) di entità precostituita e non
più recuperabile.
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
Tale tipologia di crisi trae origine da una contrazione incisiva e durevole del
margine di contribuzione (RTu – CVu) con riguardo a una o più linee di
prodotto (differenza tra il prezzo unitario di vendita e il costo unitario
variabile di produzione) c.d. redditività del prodotto.
Al diminuire infatti del margine di contribuzione, diminuisce la capacità
dell’impresa di coprire con il prezzo di vendita di ciascun prodotto non
soltanto la quota dei costi fissi di produzione attribuibili (in modo
comunque soggettivo) al prodotto medesimo, ma anche un margine
congruo di guadagno.
Appare chiaro come l’assenza di utili di prodotto, nonché la mancata
copertura (anche parziale) dei costi fissi di produzione, non possa che
trascinare l’azienda in situazioni di endemico squilibrio.
c) Crisi da decadimento dei prodotti
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
d) Crisi da carenze di programmazione / innovazione
Riguardo alla funzione di programmazione, eventuali carenze si intendono
come incapacità dell’impresa di prevedere i futuri contesti di mercato; di
adattare tempestivamente ed adeguatamente le condizioni di svolgimento
della gestione ai mutamenti dell’ambiente esterno; ecc.
Tali aziende si caratterizzano per una visione orientata esclusivamente al
breve termine (in termini di investimenti, distribuzione di utili, ecc.) e
trascurano la preparazione per le sfide future.
Al riguardo, l’impresa può mantenere nel tempo produttività ed efficienza
solo se investe in innovazione nuovi prodotti, nuovi processi produttivi,
nuove tecnologie, nuovi mercati, nuove strategie, ecc.
Un’attività di ricerca qualitativamente efficace è necessaria per
l’innovazione (in alcuni settori produttivi costituisce condizione
indispensabile per la sopravvivenza aeronautico, farmaceutico, ecc.)
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Le crisi aziendali: cause e tipologie e) Crisi da squilibrio finanziario / patrimoniale causa tipica e
primigenia di fallimento
Lo squilibrio patrimoniale concerne l’inadeguatezza del rapporto
qualitativo, quantitativo e temporale tra le attività, le passività e i mezzi
propri, ed è riconducibile alle seguenti situazioni di contesto:
• carenza di mezzi propri (con vincolo di capitale proprio) e corrispondente
prevalenza di mezzi di terzi (a titolo di debito);
• prevalenza dell’indebitamento a breve termine rispetto alle altre forme di
capitale di credito;
• evidente squilibrio tra fonti ed impieghi in termini di uniformità temporale;
• inadeguato rapporto quali-quantitativo tra mezzi propri, passività ed
impieghi;
• insufficienti riserve di liquidità.
Conseguente condizione di dissesto più o meno latente
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Le crisi aziendali: cause e tipologie La situazione finanziaria deve invece essere definita in via prospettica.
È necessario verificare che:
• i flussi finanziari in entrata e in uscita, attuali e prospettici, siano, per
ammontari e scadenze, adeguatamente correlati;
• uniformità dei tempi di incasso e pagamento / allineamento scadenze tra
crediti e debiti.
In particolare, occorre valutare se l’impresa, attraverso lo svolgimento dei
processi produttivi, è nella condizione di generare risorse finanziarie atte a
fronteggiare le connesse uscite, finalizzate all’estinzione sia dei debiti
esistenti che di quelli generati dalla gestione in svolgimento.
Conseguentemente, le aziende finanziariamente squilibrate possono
rapidamente passare, nell’evolversi dello stato di crisi, dallo stadio della
perdita a quello dell’insolvenza e del dissesto.
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Le crisi aziendali: cause e tipologie
Lo squilibrio finanziario/patrimoniale è considerato la causa tipica della
crisi aziendale, ed è propedeutico al dissesto economico l’incremento
degli oneri finanziari conseguente al crescente indebitamento (nonché al
suo elevato costo) è infatti il primo indizio del peggioramento delle
condizioni economiche della gestione.
Peraltro, non può escludersi a priori che uno squilibrio
finanziario/patrimoniale possa a sua volta derivare dai precedenti fattori di
crisi inefficienze, rigidità, decadimento dei prodotti, carenze di
programmazione e di innovazione, ecc.
Queste, infatti, potrebbero incidere in modo più o meno rilevante sulle
generali condizioni operative dell’azienda, con l’effetto ultimo di indebolirle
sul piano patrimoniale/finanziario.
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Le ragioni del successo o dell’insuccesso delle piccole imprese sono
influenzate da:
1) Variabili soggettive (Aspetti comportamentali dell’imprenditore)
- stile gestionale dell’imprenditore (autoritario/accentratore o delegante)
- competenze, esperienze, informazione e professionalità dell’imprenditore;
- le sue peculiarità motivazionali, che prescindono dal livello di
professionalità e possono indurlo a perseguire interessi personali;
2) Variabili ambientali (oggettive)
Variabili ambientali e variabili soggettive
Le cause principali della crisi devono attribuirsi alle variabili soggettive
dell’imprenditore (mentre le variabili ambientali ne sono causa indiretta)
La crisi nelle piccole imprese
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Il peso delle variabili soggettive è tale da dominare l’influsso esercitato
dalle variabili ambientali, tanto con riguardo ad eventi esterni negativi,
potenzialmente capaci di alterare gli equilibri aziendali, sia con riguardo ad
eventi positivi, atti a generare un incremento della performance.
Ad esclusione di eventi straordinari, più difficilmente prevedibili e
controllabili (conflitti bellici, ecc.), negli altri casi l’impatto esercitato
sull’azienda dalle variabili esterne è sempre condizionato dall’operare
dell’imprenditore.
Solo in questo modo, infatti, è possibile spiegare il motivo per cui, a parità
di condizioni esterne, le performance delle piccole aziende che operano nel
medesimo settore presentino andamenti tendenzialmente contrapposti.
La crisi nelle piccole imprese
In tale ottica, molte delle cause di crisi in precedenza analizzate
dovrebbero più correttamente essere considerate una conseguenza dei
comportamenti tenuti dall’imprenditore e dal management.
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Dopo aver individuato nelle variabili soggettive le cause originarie (il più
delle volte…) delle crisi, si analizzeranno di seguito i principali problemi cui
l’azienda può andare incontro per effetto del loro agire (naturalmente
ferme restando le cause di carattere generale analizzate in precedenza).
Tali problemi sono infatti cause secondarie di crisi in quanto il loro
manifestarsi, se da un lato potrebbe financo determinare la dissoluzione
dell’azienda, dall’altro trova origine nei citati fattori causali di tipo originario,
quali appunto le competenze e le attitudini possedute dall’imprenditore,
che condizionano anche l’efficacia di eventuali strategie di risanamento.
La crisi nelle piccole imprese
Infatti, il motivo per cui una crisi assume caratteri di irreversibilità è
riconducibile non tanto ai caratteri intrinseci dei fattori ambientali (esterni),
ma piuttosto ai vincoli posti da quelle stesse variabili soggettive che
dopo aver contribuito ad innescare la situazione di crisi agiscono anche
nel senso di impedirne la risoluzione.
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La crisi nelle piccole imprese
In ogni caso, ai fini della predetta analisi è necessario passare da una
impostazione di tipo generale, che considera indistintamente l’intero ceto
imprenditoriale di piccola dimensione, ad un’impostazione tipologica,
volta ad individuare soggetti differenziati in quanto a competenze
possedute, comportamenti adottati ed obiettivi perseguiti.
Le ipotesi di crisi oggetto di analisi nelle successive slide, infatti, non
necessariamente coinvolgono in modo indifferenziato tutte le categorie di
piccoli imprenditori, ma soltanto quella parte di essi in cui è più forte ed
incisiva la presenza delle cause originarie di crisi.
Ciò implica anche che, relativamente alle due tipologie imprenditoriali
delineate (microimpresa e piccola impresa evoluta), diversa è la natura
delle crisi a cui essi verosimilmente rischiano di andare incontro, proprio
perché diverse sono le variabili che concorrono a creare le condizioni
necessarie affinché le crisi medesime si manifestino.
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Microimpresa (imprenditore artigiano)
• Diventa imprenditore soprattutto per soddisfare un proprio bisogno personale
(tipicamente autonomia e autorealizzazione);
• persegue un obiettivo di stabilità, accontentandosi di conseguire un livello di
reddito soddisfacente senza impegnarsi in progetti di investimento;
• le sue competenze sono prevalentemente di tipo tecnico-produttivo (spesso
risultato di un’attività produttiva precedente svolta alle dipendenze di un’azienda
operante nel medesimo settore) e quasi mai di tipo amministrativo-manageriale;
• i processi decisionali attuati sono effettuati sulla base di un approccio di tipo
intuitivo (scarso ricorso a fonti informative interne ed esterne all’azienda);
• l’imprenditore rifiuta l’affiancamento di soggetti dotati di competenze più
specialistiche e complementari con quelle da lui possedute;
• identificazione totale tra l’imprenditore e l’azienda da lui creata e gestita.
La crisi nelle piccole imprese
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Piccola impresa evoluta (imprenditore professionista)
• L’assunzione dello status di imprenditore è il risultato di un processo più
razionale e “manageriale”, che comunque soddisfa (anche in questo caso) un
bisogno di autonomia e autorealizzazione;
• l’imprenditore gestisce l’azienda con uno spiccato orientamento alla crescita;
• possiede competenze di tipo amministrativo-manageriale decisamente più
elevate rispetto all’imprenditore-artigiano;
• lo stile gestionale è meno accentratore ed autoritario;
• i processi decisionali sono più razionali ed analitici; le scelte sono effettuate sulla
base di un’attenta valutazione delle alternative esistenti e delle loro implicazioni
future; la complessiva gestione aziendale è più “scientifica” e meno impulsiva;
• il rapporto tra imprenditore e azienda è meno simbiotico (benché ancora forte).
La crisi nelle piccole imprese
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In linea di massima, i principali problemi che normalmente trovano
manifestazione nelle piccole imprese per effetto dell’influenza esercitata
dalle variabili soggettive dell’imprenditore, sono:
1) problemi afferenti la sfera patrimoniale-finanziaria;
2) problemi concernenti l’attività amministrativa;
3) problemi concernenti l’attività di marketing;
4) problemi di natura organizzativo-gestionale.
La crisi nelle piccole imprese
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1) Sfera patrimoniale-finanziaria
I problemi di natura finanziaria sono quelli più diffusi nel comparto delle
piccole imprese, soprattutto a motivo delle scarse competenze in materia
possedute dall’imprenditore (tipicamente più dotato di competenze di tipo
tecnico-commerciale).
Naturalmente, sulla base della distinzione tra le piccole imprese in
precedenza riportata è possibile individuare una crescente presenza di
competenze finanziarie man mano che si passa dalla figura
dell’imprenditore artigiano a quella dell’imprenditore professionista.
Conseguentemente, i problemi di natura finanziaria avranno una più
elevata probabilità di manifestazione nelle microimprese.
Considerazioni simili, ovviamente, possono farsi con riguardo all’influenza
esercitata sui comportamenti finanziari dai fattori di natura motivazionale e
comportamentale.
La crisi nelle piccole imprese
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Difficoltà a realizzare una equilibrata composizione delle fonti di
finanziamento, coordinandole rispetto alla composizione degli impieghi.
La struttura finanziaria delle piccole imprese si differenzia nettamente da
quella delle imprese maggiori, in quanto diverse nelle due categorie sono le
variabili che intervengono nelle decisioni relative alla raccolta di capitale.
I fattori che influenzano la scelta sono:
• le limitate competenze finanziarie a disposizione del piccolo imprenditore;
• fattori di tipo personale, motivazionale o comportamentale che
condizionano le scelte dell’imprenditore riguardo al finanziamento
dell’impresa, orientandolo verso quelle forme che meglio si conciliano con
le proprie preferenze;
• problemi oggettivi riscontrati nella raccolta di capitale, proprio o di credito.
La crisi nelle piccole imprese
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Tra le specificità delle piccole imprese che più ne influenzano il
comportamento finanziario si individuano:
• coincidenza (spesso totale) tra il patrimonio personale dell’imprenditore e
quello aziendale;
• limitate competenze manageriali;
• maggiore propensione al rischio riconosciuta alla classe imprenditoriale
in esame, che influisce sulla disponibilità ad accettare un grado di
leverage più elevato rispetto a quello considerato ottimale;
• timore del piccolo imprenditore di veder limitato o compromesso il proprio
potere di gestione sull’azienda di famiglia l’elevato spirito di
indipendenza della classe imprenditoriale, infatti, influenza tutti i
comportamenti aziendali (tra cui quello finanziario);
• prevalenza attribuita agli interessi personali e familiari.
La crisi nelle piccole imprese
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Studi empirici dimostrano che nelle piccole imprese la struttura dei
finanziamenti è prevalentemente influenzata dalle preferenze del
proprietario (fattori di origine interna), le cui scelte privilegiano le fonti
proprie (autofinanziamento ed internal equity) rispetto a quelle di terzi.
Nell’ambito di quest’ultime, si tende ad accordare la preferenza
all’indebitamento rispetto al capitale proprio di origine esterna.
Le piccole imprese, infatti, preferiscono finanziarsi con fondi interni per
evitare di sostenere i costi, spesso ingenti, legati alla raccolta esterna di
capitali, al contempo limitando il rischio di ingerenze esterne nella gestione
(si salvaguarda in tal modo sia il potere di controllo dell’imprenditore sia la
sua discrezionalità operativa).
Le fonti di finanziamento di terzi, inoltre, privilegiano l’indebitamento (e
segnatamente il ricorso al credito bancario) con una netta prevalenza delle
passività a breve termine
La crisi nelle piccole imprese
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I fattori di origine esterna responsabili delle criticità finanziarie delle
piccole imprese derivano sostanzialmente dal loro minore «peso»
contrattuale (in ogni caso influenzato, anche, dagli attributi personali del
soggetto economico) e riguardano:
l’attribuzione alle piccole imprese di un livello di rischiosità più elevato
rispetto alle medio-grandi imprese, da imputarsi:
1) alla centralità della figura dell’imprenditore la forte identificazione tra
imprenditore-proprietario ed impresa fa sì che gli equilibri aziendali e la
stessa sopravvivenza dell’entità risultino connesse alle capacità e alle
competenze dell’imprenditore, spesso dimostratamente inadeguate a
gestire la complessità gestionale di un’azienda moderna (sia pur
piccola);
2) alla peculiarità dell’attività svolta da questo tipo di impresa,
generalmente monobusiness o comunque caratterizzata da un limitato
grado di diversificazione;
La crisi nelle piccole imprese
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più limitata gamma di opzioni nella scelta delle fonti di finanziamento
da imputarsi non soltanto ai comportamenti tenuti dalle istituzioni
finanziarie (banche in primis, che spesso impongono prestiti a breve pur
a fronte di fabbisogni finanziari di lungo termine), ma anche alla limitata
cultura finanziaria del piccolo imprenditore, che si traduce nella
mancanza di adeguate conoscenze del mercato dei capitali oppure nella
difficoltà di gestire la complessità delle procedure per accedervi;
maggiori costi degli affidamenti, non solo a causa del tasso di interesse
mediamente più elevato richiesto dalle banche a fronte del maggior
rischio attribuito alle piccole imprese, ma anche a causa della maggiore
incidenza dei costi relativi alla procedura di concessione degli
affidamenti stante il minor ammontare degli importi richiesti (inoltre, la
difficoltà nel reperire informazioni adeguate sull’impresa da parte delle
banche ne rende più lenta ed onerosa la procedura);
La crisi nelle piccole imprese
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l’adozione da parte delle banche, ancora in conseguenza del maggior
rischio attribuito alle piccole imprese oltre che della loro minore forza
contrattuale, di un approccio fortemente garantistico, tale da
subordinare la concessione del prestito a garanzie patrimoniali
sproporzionate (la banca, inoltre, potrebbe essere indotta a finanziare
iniziative imprenditoriali poco attraenti solo perché coperte da
consistenti garanzie, rifiutando progetti d’investimento più redditizi ma
meno “garantiti”);
più ridotta possibilità di accesso al mercato finanziario per la raccolta del
capitale proprio tale difficoltà, oltre che trovare origine in alcuni dei
fattori in precedenza indicati (in particolare del maggior rischio attribuito
alle piccole imprese), è in gran parte giustificata dalla mancanza,
quantomeno in Italia, di un mercato dei capitali specificamente rivolto a
tale tipologia imprenditoriale.
La crisi nelle piccole imprese
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La difficoltà delle piccole imprese di pervenire ad una adeguata
composizione delle fonti di finanziamento, pur permeando l’intera vita
dell’azienda, trova ancora più evidente manifestazione nel particolare ciclo
di vita dello start-up.
Con riguardo a tale fase, comprovate verifiche empiriche dimostrano che
nella composizione ideale del capitale iniziale dovrebbe essere
preponderante la quota di proprietà, e che la probabilità di successo della
nuova impresa è tanto più elevata quanto maggiore è il suo livello iniziale
di capitalizzazione.
Il capitale iniziale infatti garantisce un equilibrato avvio della gestione
operativa, consentendo l’acquisizione di tutti i fattori produttivi senza
generare immediati riflessi negativi sulla situazione economica,
patrimoniale e finanziaria
Composizione delle fonti di finanziamento nelle fasi di start-up
La crisi nelle piccole imprese
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Gli investimenti che caratterizzano la fase di costituzione ed avvio dell’impresa
sono per la maggior parte di tipo strutturale, destinati quindi a generare un
fabbisogno finanziario di lungo termine che dovrebbe venire coperto con fonti
di finanziamento di tipo “paziente” (capitale proprio e debiti a lunga scadenza),
così da consentire all’impresa di svolgere le proprie ipotesi di produzione senza
il rischio che si manifestino insufficienze di liquidità.
La crisi nelle piccole imprese
Peraltro, si osservano difficoltà per le piccole imprese ad identificare concrete
alternative all’indebitamento, quando il capitale di rischio apportato dai soci
risulta insufficiente ed esistono motivazioni di natura personale ad impedire
l’allargamento della compagine sociale.
Il ricorso al mercato dei venture capitalist, infatti, pur costituendo uno strumento
particolarmente idoneo per finanziare nuove imprese (o imprese in fase di
turnaround), risulta poco praticato in Italia, sia perché foriero di possibili
ingerenze e di vincoli alla gestione, sia a causa della sua mancata conoscenza
da parte dei piccoli imprenditori.
39 39 39
Tra le diverse problematiche derivanti dall’influenza esercitata dalle
variabili soggettive dell’imprenditore sulle performance d’impresa, un
ruolo certamente importante è quello assunto dai problemi concernenti
l’area del marketing.
Si tratta infatti di problemi la cui causa originaria può essere individuata,
oltre che nella limitata dotazione di risorse finanziarie in capo alle piccole
imprese, soprattutto nelle scarse competenze possedute dall’imprenditore
in tema di management, in generale, e di marketing, in particolare.
A causa delle competenze prevalentemente tecnico-produttive dei piccoli
imprenditori, infatti, nelle piccole aziende si nota un’elevata attenzione alle
qualità dei processi e dei prodotti ma, per contro, uno scarso focus sulle
attività strategiche (marketing, amministrazione, controllo, ecc.).
b) Area del marketing
La crisi nelle piccole imprese
40 40 40
Peraltro, non si deve pensare che il piccolo imprenditore sia poco sensibile
al problema del soddisfacimento dei bisogni della clientela l’attenzione
al cliente costituisce anzi una delle sue principali preoccupazioni, ma a
fronte dell’impegno profuso nel curare personalmente i rapporti con la
clientela e ad adattarsi alle sue esigenze, manca la capacità di predisporre
un adeguato piano di marketing, che richiede la corretta percezione di tutte
le variabili di mercato nonché l’impiego oculato di tutte le leve del
marketing-mix.
Tale difficoltà delle piccole imprese a rapportarsi in modo scientifico con i
mercati di consumo finali costituisce peraltro uno dei motivi principali per
cui assai frequentemente si rileva l’esistenza di piccole imprese che non si
rivolgono direttamente al consumatore finale, ma piuttosto si collocano
nelle fasi intermedie della filiera produttiva, operando in veste di sub-
fornitrici di grandi imprese (con le quali spesso sviluppano rapporti di
esclusiva).
La crisi nelle piccole imprese
41 41 41
L’attività di marketing attuata dalle piccole imprese, nella maggior parte dei
casi, si limita allo svolgimento di iniziative promozionali e di comunicazione
pubblicitaria attuate allo scopo di sostenere ed alimentare le vendite dei
propri prodotti, ma spesso:
• investono risorse ingenti in attività promozionali e pubblicitarie che si
rivelano poco efficaci sul piano competitivo, in quanto non supportate da
un’efficace analisi del mercato e del rapporto tra bisogni da soddisfare e
caratteristiche dell’offerta;
• cercano di favorire la vendita dei propri prodotti/servizi attraverso azioni
promozionali agenti sul prezzo (ad esempio attraverso sconti) o sulle
modalità di pagamento (ad esempio tramite dilazioni di pagamento
concesse al cliente), senza che tali manovre siano adeguatamente
ponderate dal punto di vista economico-finanziario rischio di tensioni
finanziarie, squilibri patrimoniali ed economici
La crisi nelle piccole imprese
42 42 42
Le piccole imprese si caratterizzano in genere per la scarsa attenzione
che, nello svolgimento della gestione, viene rivolta alle informazioni, sia a
quelle provenienti da fonti esterne sia a quelle generate dal sistema
informativo interno.
Quest’ultimo in generale è meno esteso rispetto a quello in uso presso le
grandi imprese e meno evoluto dal punto di vista dell’accuratezza,
dell’analiticità nonché della precisione dei dati prodotti.
Il sistema informativo interno risulterà in particolare assai limitato nel caso
delle piccole e piccolissime imprese inferiori, caratterizzate da una
struttura organizzativa più semplice e gestite da imprenditori “artigiani”,
dotati di competenze manageriali assai ridotte e di uno stile di gestione
molto intuitivo.
c) Area amministrativa
La crisi nelle piccole imprese
43 43 43
In tali aziende il sistema informativo risulterà limitato alla produzione delle
informazioni richieste dalla normativa civilistica e, soprattutto, fiscale (rivolte
dunque a soggetti istituzionali esterni all’azienda)
Non si riscontra invece la produzione di flussi informativi con finalità
gestionale (contabilità industriale), stante la tendenza del piccolo
imprenditore ad attuare una gestione intuitiva “a vista” poco attenta alla
raccolta di dati e informazioni per il controllo dei processi gestionali in
particolare per conoscere i costi unitari di prodotto, con conseguenti
difficoltà nel definire i prezzi di vendita e le politiche promozionali.
Un sistema informativo più sviluppato è invece rintracciabile nelle piccole
imprese evolute, caratterizzate da una attività gestionale più complessa e
una struttura organizzativa più articolata (anche a causa dei maggiori
vincoli civilistici e fiscali cui esse sono sottoposte), guidate da imprenditori
“professionisti” dotati di maggiori competenze manageriali e maggiormente
inclini a delegare.
La crisi nelle piccole imprese
44 44 44
Anche con riguardo all’accesso a fonti informative esterne si individuano
situazioni piuttosto differenziate all’interno del comparto delle piccole
imprese, ma in linea generale c’è un atteggiamento di sostanziale chiusura
nei confronti delle informazioni provenienti dal mercato e dall’ambiente
economico-sociale in cui l’impresa si colloca.
Il piccolo imprenditore, in particolare se appartenente alla categoria
dell’artigiano, non è infatti interessato ad acquisire sistematicamente le
informazioni dall’ambiente esterno, ponendosi il problema di tale raccolta
soltanto con riferimento a situazioni specifiche ed estemporanee.
Del resto, il limitato accesso alle fonti informative non costituisce una
causa originaria di crisi ma piuttosto derivata.
Il problema informativo è dunque conseguenza
dell’inesperienza/incapacità del ceto imprenditoriale, che non ne
comprende l’importanza per l’efficace svolgimento dei processi gestionali.
La crisi nelle piccole imprese
45 45 45
d) Area organizzativo-gestionale
È ormai chiaro che l’aspetto maggiormente peculiare delle piccole imprese
risiede senz’altro nella centralità che la figura dell’imprenditore riveste
rispetto all’azienda e alla sua gestione.
Tale centralità trova manifestazione in ogni aspetto della vita aziendale,
poiché sono le aspirazioni dell’imprenditore, le sue motivazioni, i suoi valori
e le sue competenze (variabili soggettive) a guidare l’impresa e a definirne
la configurazione attuale nonché la sua futura evoluzione.
È quindi l’imprenditore il vero “motore” dell’azienda, e la sua personalità
esercita un’influenza vieppiù incisiva su tutti gli aspetti componenti
quest’ultima, sul suo modo di essere e di divenire in particolare, il ruolo
delle variabili soggettive dell’imprenditore è determinante per stabilire
l’orientamento della gestione imprenditoriale, verso un obiettivo di crescita
oppure di stabilità.
La crisi nelle piccole imprese
46 46 46
Premesso quindi il decisivo ruolo propulsivo che l’imprenditore esercita nei
confronti della propria azienda, occorre però rilevare come la sua centralità
non sempre eserciti su di essa un’influenza positiva.
Se infatti tale centralità si traduce, nella generalità dei casi, in uno stimolo
per lo sviluppo dell’azienda, non si possono escludere (anzi…) situazioni
in cui, all’opposto, la figura dell’imprenditore eserciti un influsso negativo,
frenando lo sviluppo e rendendone difficoltosa una gestione equilibrata (in
particolare per il fatto di accentrare su di sé la gestione – imprenditore
tuttologo – nonché impedendo l’allargamento della base proprietaria)
In tali situazioni, la figura dell’imprenditore si trasforma da impulso positivo
a fattore ostacolante, impedendo un’evoluzione qualitativa e quantitativa
dell’azienda e, spesso, riducendone il potenziale competitivo e di crescita,
al punto da porsi all’origine di stati di crisi.
La crisi nelle piccole imprese
47 47 47
La crisi nelle piccole imprese
Riassumendo, le caratteristiche salienti della piccola impresa (in
particolare, ma non esclusivamente, della microimpresa), che possono
facilmente risultare foriere di fenomeni di crisi o comunque contribuire al
loro manifestarsi, sono:
1) carenza più o meno marcata di progettualità (business plan, piani di
marketing, pianificazione finanziaria, ecc.): le decisioni vengono
assunte sulla base del c.d. “intuito imprenditoriale”;
2) l’imprenditore (ovvero i soci fondatori) concentra su di sé tutte le
funzioni aziendali, rifiutandosi di delegare a figure professionali
specificamente qualificate (ovvero delegando solo in parte) la gestione
dell’impresa;
3) la ricerca di nuovi clienti è spesso affidata al caso e alle circostanze di
contesto (conseguenza del punto 1);
4) le attività di marketing sono spesso scoordinate, limitandosi ad operare
sulla leva promozionale;
48 48 48
La crisi nelle piccole imprese
5) tutta l’attività aziendale ruota intorno alla funzione produttiva, e i
prodotti spesso non subiscono modifiche nell’arco di vita dell’azienda;
6) i servizi associati al prodotto (marketing, comunicazione, servizi al
cliente, ecc.) sono spesso poco considerati, e comunque non sono
oggetto di adeguati investimenti;
7) il concetto di mercato è assai generico: le informazioni non vengono
attentamente monitorate e studiate e le relative fonti sono spesso
soltanto i mass-media;
8) non vengono implementati adeguate procedure e strumenti di controllo
contabile, e tantomeno di controllo strategico e di gestione.
49 49 49
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Il più delle volte, gli imprenditori non sono in grado di cogliere per tempo i
segnali di allarme e, per tale ragione, non riescono a limitare
efficacemente gli effetti dannosi della crisi.
Gli strumenti di previsione sono stati quindi elaborati al fine di
individuare tempestivamente le diverse tipologie di crisi prima del loro
effettivo manifestarsi, consentendo così all’alta direzione e al management
di intervenire con rapidità ed in modo adeguato intervento ex-ante
piuttosto che ex-post.
Peraltro, una crisi tempestivamente diagnosticata (c.d. diagnosi precoce) ed
adeguatamente gestita porterà con sé non solo un miglioramento delle
competenze dell’organizzazione e l’introduzione di innovazioni gestionali, ma
anche l’accrescimento del livello di coesione interno e l’accumulo di un effetto
esperienza utile per la prevenzione di crisi future.
50 50 50
1) metodi basati sull’intuizione
2) metodi basati sulla stima periodica del capitale economico (rinvio ad
altri insegnamenti)
3) metodi basati sull’analisi di bilancio
4) metodi basati su modelli
5) metodi multidimensionali
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Tra gli strumenti correntemente utilizzabili (meglio se in combinazione tra
loro) per diagnosticare precocemente il rischio di default di un’azienda, si
individuano:
Value Chain Scoreboard
Balanced Scorecard
Z’-Score
BCS
Z-Score
Skandia Navigator
(natura solo quantitativa)
(natura quali-quantitativa)
51 51 51
1) Metodi basati sull’intuizione
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
I criteri in esame si basano sulla riconoscibilità esterna dei fattori di crisi
(elementi esterni che palesano uno stato di crisi effettivo o potenziale):
Appartenenza dell’azienda a settori ormai decaduti oppure in recessione
a seguito di una rilevante diminuzione del livello della domanda;
inefficienze produttive o commerciali;
perdita di quote di mercato;
bilanci in perdita.
(segnala che lo stato di crisi è ormai avanzato, tale da produrre i suoi effetti
anche nei confronti dei creditori e non soltanto della proprietà).
52 52 52
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
IndicatoriRiconoscibilità
esterna
Possibilità di
interventoAppartenenza a settori maturi o
decadentiElevata Minima
Appartenenza a settori in difficoltà
per caduta della domandaElevata Minima
Perdita di quote di mercato Media Media
Inefficienze produttive Minima Elevata
Inefficienze commerciali Media Elevata
Inefficienze amministrative Minima Elevata
Inefficienze organizzative Minima Elevata
Inefficienze finanziarie Media Media
Rigidità dei costi Media Media
Carenze di programmazione Minima Elevata
Scarsi costi di ricerca Media Elevata
Scarso rinnovo dei prodotti Media Media
Squilibri finanziari Elevata Media
Squilibri patrimoniali Elevata Media
Nella seguente tabella, sono indicati i principali fattori esterni rivelatori di uno
stato di crisi e, contiguamente, le possibilità di soluzione:
53 53 53
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
3) Metodi basati sull’analisi del bilancio
I metodi in esame approssimano il grado di rischiosità di un’azienda
monitorandone costantemente nel tempo i relativi indici di bilancio (analisi
di carattere storico) e/o confrontandoli con i valori medi del settore di
appartenenza, della migliore azienda del settore oppure di un paniere di
aziende di riferimento (c.d. benchmark).
L’analisi di bilancio, ed in particolare l’analisi degli eventuali scostamenti
emergenti dai citati confronti, consente di comprendere se ed in quale
misura l’azienda presenti fattori di criticità potenzialmente forieri di un
processo di declino.
L’analisi di bilancio si fonda sullo studio periodico della situazione
patrimoniale, finanziaria ed economica di un’azienda attraverso l’analisi
di alcune grandezze di riferimento.
54 54 54
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
I dati di bilancio, se necessario integrati con altri dati di natura extra-
contabile, vengono quindi rielaborati per effettuare:
• analisi dei margini;
• analisi dei quozienti-indici (ratios).
I quozienti e i margini forniscono indicazioni sintetiche circa le condizioni
economiche, finanziarie e patrimoniali dell’impresa livello di redditività,
liquidità, indebitamento, modalità di impiego del capitale, ecc.
Gli indicatori utilizzati non devono essere calcolati soltanto allo scopo di
individuare eventuali segnali di crisi (quindi nella fase di crisi latente in cui
si inizia ad avere “sentore” del dissesto), ma piuttosto rientrare tra i
normali strumenti per il controllo della gestione di ricorrente utilizzo
soltanto così, infatti, la strumentazione in esame può consentire di
affrontare per tempo l’eventualità di una crisi futura.
55 55 55
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Alcune nozioni preliminari:
Impieghi Aumento di attività; diminuzioni di passività;
dividendi distribuiti; perdite d’esercizio
Impieghi Fissi Immobilizzazioni Immateriali e Materiali
Fonti Utile d’esercizio; aumento di passività;
diminuzioni di attività
Reddito Operativo Ricavi – Costi (voce (a) – voce (b) del CE)
56 56 56
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Alcune nozioni preliminari:
Capitale Circolante Netto = Attività Correnti – Passività Correnti
Capitale Permanente = Capitale Netto + Passività Consolidate
Risultato Lordo = Reddito Operativo – Oneri Finanziari
Capitale Fisso Netto = Capitale Fisso – Passività Consolidate
Equilibrio
Capitale Permanente > Immobilizzazioni
Attivo Circolante > Debiti a Breve Termine
Capacità di far fronte agli impegni finanziari
di breve periodo con le risorse generate
dalla gestione corrente
57 57 57
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Gli indici di più comune utilizzo sono:
a) Indici di potenza finanziaria (solvibilità) – valori imprese industriali
Current
Ratio
Attivo Circolante
Passività Correnti
Se < 1 l’impresa ricorre ad
indebitamento di breve termine
per finanziare parte degli
investimenti di lungo periodo
= > 1,7
2
Quick Ratio
(acid test) =
Disponibilità Liquide
Passività Correnti > 0,7
1
Capacità di far fronte agli
impegni finanziari immediati.
Se > 1,5, squilibrio per
eccessiva liquidità
58 58 58
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Leveraged (indice di
autonomia finanziaria) =
Debiti B.T. + Debiti L.T.
Capitale Netto
Se < 1, l’azienda è
finanziariamente solida
Tale indice segnala la rischiosità dell’impresa sotto il profilo finanziario, e
può parimenti risultare utile per la scelta delle fonti di finanziamento.
Un valore basso evidenzia sia la possibilità dell’azienda di accedere a
fonti di finanziamento esterne a costi non elevati, sia una gestione
aziendale sostanzialmente “conservativa”; un valore alto, invece, indica
una traslazione del rischio imprenditoriale in capo ai creditori, riducendo la
possibilità di ottenere ulteriori affidamenti da parte di terzi e un aggravio
dei connessi costi.
59 59 59
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
b) Indici di struttura (patrimoniali) capacità dell’azienda di adeguarsi
ai mutamenti ambientali
Indice di
rigidità/elasticità
degli impieghi
= Immobilizzazioni
Capitale Investito
Se = 1, l’azienda è rigida
Se < 0,4, l’azienda è elastica
Peraltro, il grado di rigidità/elasticità dell’impresa deve valutarsi in
relazione al settore produttivo di appartenenza ad esempio, un’impresa
industriale, che in genere presenta il 50%-60% del capitale investito sotto
forma di immobilizzazioni, è ovviamente diversa da un’impresa di servizi…
Indice di
elasticità/rigidità
delle fonti
= Capitale Netto
Totale Passivo Se = 1, l’azienda è patrimonializzata
60 60 60
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Indice di copertura delle immobilizzazioni
(indice di struttura primario)
Capitale Netto =
Immobilizzazioni > 0,7
Indice di copertura delle
immobilizzazioni con fonti durevoli
(indice di struttura secondario) =
Capitale Permanente
Immobilizzazioni
(Capitale Netto + Passività Consolidate)
(Debiti a medio-lungo termine)
> 1
Evidenzia quanta parte del capitale immobilizzato è finanziata con il solo
capitale proprio deve essere prossimo all’unità ma non superarla, altrimenti
si finanzierebbe un valore di breve termine (il capitale circolante) con una fonte
a lungo termine (capitale netto).
È più realistico del precedente, in quanto giammai un’azienda copre tutte le
immobilizzazioni con il solo capitale proprio Nelle imprese industriali tale
indice dovrebbe essere superiore all’unità, così da finanziare tutte le attività a
medio-lungo termine (attivo fisso e magazzino).
61 61 61
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
c) Indici di andamento
Tasso di rotazione
dei crediti =
Crediti
Fatturato x 360 Velocità di incasso dei crediti
Tasso di rotazione
del magazzino = Magazzino
Fatturato x 360
Tasso di rotazione
dei debiti =
Debiti
Acquisti totali x 360
Tasso di rotazione del
Capitale Investito
(Capital Turnover)
= Capitale Investito
Fatturato
(n. di volte in cui il
CI si trasforma in
ricavi nel singolo
esercizio)
> 1,5
62 62 62
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
R.O.S.
(Return On Sale / Redditività delle Vendite)
= Reddito Operativo
Fatturato
Il ROS indica la redditività lorda delle vendite in termini di risultato operativo,
segnalando la capacità dell’impresa di ricavare reddito operativo dal fatturato
ad esempio, un valore dell’indice pari al 30% significa che su 100 euro di
fatturato 70 sono state assorbite da costi operativi.
Premesso che il valore dell’indice non è standardizzabile per aziende similari
(tuttavia si cercherà di evitare un risultato negativo), eventuali sue variazioni
possono dipendere sia da una oscillazione dei costi (che incidono sul reddito
operativo) che delle vendite.
d) Indici di redditività Non vi sono valori predefiniti ma è necessario
valutarne l’evoluzione storica e il benchmark
63 63 63
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
R.O.I.
(Redditività della gestione caratteristica)
= Reddito Operativo
Capitale Investito
Convenienza ad
investire a qualsiasi
titolo nell’azienda
(non è influenzato
dal grado di
indebitamento)
Reddito Operativo
Fatturato X
Fatturato
Capitale Investito
Capital turnover R.O.S.
64 64 64
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
R.O.E.
(Redditività del Capitale Proprio) =
Reddito Netto
Capitale Netto
Il ROE rappresenta il rendimento fornito dal capitale proprio in termini di utile
netto. Gli azionisti si avvalgono di tale indice per calcolare in quale misura il
proprio investimento di rischio si è trasformato in utile.
Di per sé, esso presenta una misura grossolana della redditività di un’impresa,
in quanto non considera adeguatamente le componenti di reddito che hanno
condotto alla determinazione del risultato di gestione può infatti accadere
che l’utile di esercizio scaturisca dalla somma algebrica di un risultato operativo
negativo e del saldo positivo scaturito dalle altre gestioni, o viceversa.
Il valore del ROE dipende sia dal risultato della gestione operativa, sia dal
risultato delle altre aree gestionali, con particolare riferimento a quella
finanziaria
65 65 65
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
f) Margini
Margine di Contribuzione = Ricavi Totali – Costi Variabili
Margine di Struttura Primario = Capitale Netto – Immobilizzazioni Nette
Margine di Struttura Secondario = (C.N. + Passività Cons.te) – Immob.ni
Margine del Circolante = Attivo Circolante – Passività a Breve (correnti)
Margine di Tesoreria = Disponibilità Liquide – Passività a Breve
Margine Operativo Lordo (M.O.L.)
= Fatturato – Costo del Venduto
Rim.ze iniziali + acquisti + costo del lavoro + amm.ti + altri costi di prod.ne – rim.ze finali
66 66 66
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
4) Score Analysis Z-score, Z’-score, BCS
L’obiettivo di tali modelli quantitativi è cercare di prevedere, con l’impiego
di tecniche statistiche, le probabilità di fallimento di un’impresa industriale
quotata, all’uopo distinguendo le aziende sane dalle aziende a rischio di
default tramite l’analisi di una serie di variabili quantitative definite
“discriminanti” (c.d. analisi statistica discriminante), la quasi totalità delle
quali è ricavabile dal bilancio d’esercizio (tranne il valore di mercato delle
azioni nel caso del solo Z-Score, il «capostipite» della specie).
Negli anni sono state elaborate diverse varianti d’Autore e/o adattamenti
altrui del modello originario (Z-score di Altman, 1968), in particolare volte a
stimare le probabilità di default di aziende manifatturiere non quotate (Z’-
Score, 1993), di aziende non manifatturiere non quotate e localizzate in
Paesi emergenti (Z’’-Score, 2001), ovvero di aziende non manifatturiere
non quotate localizzate in Italia (BCS, 2004; Alberici, 1975; Luerti, 1999).
67 67 67
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Il motivo del successo di tali modelli risiede nella loro assoluta oggettività
applicativa (le caratteristiche dell’utilizzatore sono del tutto irrilevanti), nella
facilità di utilizzo per qualsiasi soggetto (anche se non in possesso di
specifiche conoscenze sull’analisi del rischio di insolvenza delle aziende),
negli irrilevanti costi d’uso e nella elevata affidabilità nel misurare il rischio
default di aziende manifatturiere (con riguardo allo Z e allo Z’ testata nel
corso degli anni da numerosi studiosi in differenti Paesi).
L’analisi statistica discriminante consente di classificare, con un accettabile
margine di errore, un insieme di unità statistiche in due o più gruppi
predefiniti (tipicamente società sane oppure società a rischio fallimento),
sulla base di un insieme di caratteristiche note.
L’obiettivo è pertanto quello di assegnare un oggetto (nel caso specifico
un’impresa) ad uno dei due possibili gruppi sulla base di una serie di
variabili, definite appunto discriminanti, rilevate sull’oggetto stesso (nel caso
specifico, alcuni dati di bilancio).
68 68 68
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Il modello si basa su una relazione lineare, in cui alcune variabili
discriminanti sono sommate e ponderate al fine di assegnare un punteggio.
Le variabili sono (tutte desumibili dal bilancio tranne il valore di mercato):
- Ricavi
- Reddito operativo (EBIT)
- Utile netto
- Capitale Circolante Netto (CCN attività correnti – passività correnti)
- Totale attività (Capitale Investito)
- Totale passività con esclusione del Capitale Netto
- Dividendi distribuiti
- Capitalizzazione (valore di mercato delle azioni)
Z-Score (Altman 1968) – Grandi aziende industriali quotate
69 69 69
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Z-Score = (1,2 x A) + (1,4 x B) + (3,3 x C) + (0,6 x D) + (0,999 x E)
dove:
A =
Totale Attività
CCN Misura il valore degli assets liquidi rispetto
alla dimensione totale delle attività aziendali
B = Utile non distribuito
Totale Attività
Misura la capacità dell’azienda
di reinvestire gli utili periodici
C = EBIT
Totale Attività Misura la redditività aziendale
70 70 70
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
D = Capitalizzazione (valore di mercato delle azioni)
Totale Passività (escluso il PN)
E = Ricavi
Totale Attività
Misura la capacità di generare ricavi con un
determinato valore dell’attivo patrimoniale
Le imprese con un valore di Z inferiore a 1,8 sono da considerare ad alto
rischio di fallimento; quelle con punteggio superiore a 3 non presentano
alcuna criticità; mentre le aziende con un punteggio compreso tra 1,8 e 3
(c.d. grey area) possono presentare rischi di default ma non è possibile
esprimere un giudizio sicuro basato sulle sole risultanze di tale modello, e
pertanto necessitano di ulteriori analisi di tipo quali-quantitativo.
Tasso di rotazione delle vendite
71 71 71
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Il modello si basa su una relazione lineare, in cui alcune variabili
discriminanti sono sommate e ponderate al fine di assegnare un punteggio.
Le variabili sono (tutte desumibili dal bilancio d’esercizio):
- Ricavi
- Reddito operativo (EBIT)
- Utile netto
- Capitale Circolante
- Totale attività (Capitale Investito)
- Totale passività con esclusione del Capitale Netto
- Dividendi distribuiti
- Fatturato
Z’-Score (Altman 1993) – Aziende industriali medio-grandi non quotate
72 72 72
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Z’-Score = (0,717 x A) + (0,847 x B) + (3,107 x C) + (0,420 x D) + (0,998 x E)
dove:
A = Totale Attività
Capitale Circolante
Risultato netto
Totale Attività
EBIT
Totale Attività
B =
C =
73 73 73
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Patrimonio netto
Totale debiti
Fatturato
Totale Attività
Le imprese con un valore di Z inferiore a 1,23 sono da considerare ad alto
rischio di fallimento; quelle con punteggio superiore a 2,9 non presentano
alcuna criticità; mentre le aziende con un punteggio compreso entro tali confini
(c.d. grey area) possono presentare rischi di default ma non è possibile
esprimere un giudizio sicuro basato sulle sole risultanze di tale modello, e
pertanto necessitano di ulteriori analisi di tipo quali-quantitativo.
Capital turnover
E =
D =
74 74 74
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione L’affidabilità media dei modelli Z-Score e Z’-Score, su 3 anni consecutivi
di analisi, è stata più volte testata all’89%.
È però necessario considerare:
• la dinamica del valore di Z e Z’ nel tempo (lettura evoluzionistica e non
statica) infatti, un punteggio che varia da 1 a 2 è meno preoccupante
di un risultato che evolve da 3 a 2 nel medesimo arco temporale;
• il punteggio va interpretato unitamente ad altri indicatori, posto che
entrambi i modelli sono “sbilanciati” (peso elevato) sulla redditività
aziendale (in presenza di un duraturo equilibrio finanziario-patrimoniale,
una bassa redditività non è di per sé indicatrice di un prossimo default);
• i modelli sono stati specificamente sviluppati per le aziende industriali
(quotate per lo Z-score) localizzate in paesi anglosassoni;
• I modelli si basano in gran parte su dati di bilancio intrinsecamente
soggettivi e potenzialmente falsificabili.
75 75 75
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Al fine di rendere più aderente il modello Z’-score alla realtà italiana, gli
autori hanno parzialmente modificato la funzione discriminante elaborata
originariamente da Altman (soprattutto relativamente ai pesi attribuiti a
ciascuna variabile):
BCS = (1,981 x A)+(9,841 x B)+(1,951 x C)+(3,206 x D)+(4,037 x E)
dove:
C, E mantengono il consueto significato;
B = Riserva legale + Riserva straordinaria
Totale Passività
BCS (Bottani-Cipriani-Serao, 2004) – Aziende industriali non quotate
A = Capitale Circolante Netto
Totale Attività
D = Patrimonio Netto
Totale Passività
76 76 76
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Gli studi in esame hanno individuato i seguenti range di valore di BCS
relativamente alle aziende industriali italiane non quotate:
BCS > 8,105 l’azienda strutturalmente sana;
4,846 < BCS < 8,105 l’azienda necessita di cautele nella gestione;
BCS < 4,846 la società è destinata al default se non modifica la sua
struttura economico-finanziaria.
77 77 77
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione L’affidabilità media del modello BCS, su 3 anni consecutivi di analisi, è
stata testata dai medesimi autori al 92%.
È però necessario considerare:
• la dinamica del valore del BCS nel tempo (lettura evoluzionistica e non
statica) infatti, un punteggio che varia da 1 a 2 è meno preoccupante
di un risultato che evolve da 3 a 2 nel medesimo arco temporale;
• Il modello è stato derivato dall’originario Z’-Score per adattarlo alle
aziende industriali non quotate localizzate in Italia, quindi non è un
modello «universale» (utilizzabile cioè con certezza in qualunque
contesto socio-economico e in qualunque Paese industrializzato);
• Il modello è stato testato poche volte con risultati discordanti, a differenza
dello Z’-score che vanta numerosi test di validazione in una moltitudine di
Paesi, con risultati uniformi e confrontabili;
• Il modello si basa su dati di bilancio intrinsecamente soggettivi e
potenzialmente falsificabili.
78 78 78
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
5a) La Balanced Scorecard
La scheda di valutazione bilanciata, elaborata nel 1992 da Kaplan e
Norton dovrebbe costituire un approccio alla misurazione della
performance aziendale volto a superare (specularmente agli altri metodi
multidimensionali, che da questa traggono ispirazione) le carenze
manifestate dalle tradizionali misure economico-finanziarie di natura
esclusivamente quantitativa (analisi di bilancio, indicatori gestionali, ecc.)
A detta degli autori la BSC integra e bilancia i citati indicatori, definendo le
connessioni esistenti tra di essi in modo da conoscere in anticipo i riflessi
che una determinata azione avrà sull’intera gestione aziendale.
L’impiego bilanciato di differenti misure quantitative e qualitative
consentirebbe infatti una visione più organica ed esaustiva della
performance aziendale, rappresentando in modo corretto la capacità
attuale e (soprattutto) prospettica dell’impresa di creare valore (i metodi
solo quantitativi, invece, si limiterebbero a «fotografare» l’esistente)
79 79 79
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
La metodologia in esame segna il superamento di una visione
monodimensionale dell’azienda al fine di fornire una visione bilanciata
della complessiva performance in funzione delle diverse aree costituenti
l’organizzazione (o comunque di quelle maggiormente significative ai fini
della creazione di valore).
Da originario strumento composito di misurazione della performance
globale dell’impresa, tale metodo si è con il tempo evoluto in uno strumento
di controllo della complessiva gestione volto a superare i limiti delle
metodologie di monitoraggio tradizionali (escusivamente quantitative),
misurando la qualità delle strategie competitive con indicatori di
performance quali-quantitativi (scorecard), e dunque assicurando
l’equilibrio (balance) tra obiettivi quantitativi di breve termine (il cui grado di
raggiungimento è misurato ex-post tramite parametri di natura economico-
finanziaria) ed obiettivi di lungo periodo (misurati con strumenti qualitativi
non finanziari).
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Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Oltre che da aziende di medio-grandi dimensioni per finalità
prevalentemente interne, la metodologia in esame è correntemente
utilizzata nel settore bancario per la determinazione del rating esterno di
rischio finanziario (cioè con riguardo alle aziende richiedenti un prestito).
Affidarsi unicamente a misure di tipo economico-finanziario può infatti
indurre in errore, in quanto tali misure sono indicatori ex-post che
forniscono informazioni relative ad azioni già realizzate (e quindi non
rappresentano le reali condizioni di economicità dell’impresa e non
forniscono indicazioni sulle prospettive di sviluppo), e oltretutto incoraggia
comportamenti di breve termine che sacrificano la creazione di valore di
lungo periodo in favore di una performance immediata.
Il Balanced Scorecard conserva misure della performance finanziaria, cioè
gli indicatori ex-post, ma li integra con strumenti quali-quantitativi atti a
stimare il livello di performance futura strumento multidimensionale!
81 81 81
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
L’azienda è quindi considerata secondo quattro macroaree, per ciascuna delle
quali vengono definiti i parametri di misurazione delle specifiche performance:
a) la prospettiva dei clienti (customer perspective) misura la
soddisfazione e la fidelizzazione della clientela;
b) la prospettiva dei processi interni di gestione (internal process
perspective) misura la performance nell’ambito dei processi gestionali
(c.d. produttività), da cui dipendono i risultati della prospettiva economico-
finanziaria e di quella dei clienti;
c) la prospettiva dei processi di apprendimento e crescita (learning and
innovation perspective);
d) la prospettiva economico-finanziaria (financial perspective) descrive e
sintetizza le dinamiche reddituali e finanziarie.
L’approccio BSC integra diversi strumenti di controllo, bilanciando le tradizionali
misurazioni di tipo finanziario con misure qualitative collegate ai fattori tipici di
successo dell’azienda, così da offrire ai manager una rappresentazione più
completa del complessivo livello di performance.
82 82 82
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Nella (a) prospettiva dei clienti, l’attenzione è focalizzata sulle
performance dell’azienda così come sono percepite dai clienti, considerato
che se quest’ultimi non sono soddisfatti troveranno prima o poi altri fornitori
capaci di soddisfare le loro esigenze.
In tale ambito, pertanto, prestazioni scadenti sono indice di un probabile,
futuro declino dell’impresa, anche in presenza di risultati economico-
finanziari complessivamente buoni al momento attuale.
Gli indicatori chiave da utilizzare per misurare il livello di performance in
tale campo, atti a valutare la capacità dell’azienda di soddisfare il target di
mercato (e quindi la durata, qualità, volume e frequenza delle relazioni con
i clienti nonché l’evoluzione dei canali di distribuzione), devono far
riferimento ai fattori critici (customer driver) per l’acquisizione e la
fidelizzazione della clientela in cascun segmento di mercato servito
dall’impresa.
83 83 83
In tale prospettiva, le misure di performance più rappresentative sono (in
via peraltro non esaustiva):
• il grado di soddisfazione della clientela e il connesso tasso di fedeltà;
• il livello di redditività per cliente;
• la quota di mercato detenuta dall’azienda;
• la capacità di acquisizione di nuovi clienti;
• l’immagine e la reputazione;
• il numero di resi;
• l’efficacia nell’assistenza post-vendita e il numero di interventi di
manutenzione.
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
84 84 84
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Nella (b) prospettiva dei processi interni di gestione, vengono analizzati
e monitorati quei processi considerati “critici” per l’azienda in quanto
esercitano un’elevata influenza sulla capacità di creare valore nonché sul
consolidamento delle relazioni di mercato (ad esempio, il processo di
innovazione dei prodotti, il processo produttivo e quello distributivo, ecc.).
Si tratta, in altre parole, di tutti quei processi ad elevato valore aggiunto nei
quali l’azienda deve eccellere al fine di soddisfare le aspettative della
clientela (customer based) e quindi di conseguire gli obiettivi economico-
finanziari di medio-lungo periodo.
Gli obiettivi propri di tale prospettiva concernono l’efficacia e l’efficienza del
processo produttivo, e quindi il livello qualitativo dei processi operativi, il
livello di innovazione aziendale, il livello di produttività, i costi unitari di
produzione, ecc.
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Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Le metriche da utilizzare sono volte a misurare l’efficacia e l’efficienza di
tali processi, nonché il grado di innovazione aziendale:
• numero di nuovi prodotti/servizi sviluppati dall’azienda in un certo arco
temporale;
• tempo di introduzione sul mercato di nuovi prodotti (time to market)
rispetto a quello della concorrenza;
• investimenti in ricerca e sviluppo;
• % di processi con sistemi di controllo avanzati;
• % di difetti riscontrati nei processi operativi;
• tempo di produzione (lead time) e/o di gestione degli ordini;
• costi di produzione dei beni e/o servizi (tramite le tecniche del Direct
Costing, del Full Costing e dell’Activity Based Costing)
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Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione La (c) prospettiva dei processi di apprendimento e crescita
(prospettiva di sviluppo futuro) considera l’attitudine dell’azienda, e dei
singoli individui che compongono l’organizzazione, al miglioramento delle
proprie prestazioni nello svolgimento di quei processi che creano valore
per gli azionisti e per i clienti. attraverso l’apprendimento continuo.
Le componenti di tale prospettiva sono:
1) aspetto del mercato individua i segmenti di mercato in cui l’azienda
può competere (la conoscenza dell’ambiente competitivo è infatti
indispensabile per poter fronteggiare efficacemente le minacce e
sfruttare opportunamente le opportunità che si presentano).
Gli indicatori più appropriati a misurare tali performance sono:
• quota di mercato posseduta dall’azienda;
• tasso di crescita del mercato.
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Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Gli indicatori più appropriati a misurare la performance sotto tale aspetto
sono:
• time to developement dei nuovi processi/prodotti; time to market
• indici per la misurazione del miglioramento continuo.
La crescente competitività dei mercati richiede da parte delle imprese un
aumento delle loro capacità in termini di valore per i clienti e gli azionisti,
oltre che un impegno continuo nell’innovare strumenti e tecnologie in
un’ottica di lungo periodo.
L’analisi della competitività fa riferimento al posizionamento dell’impresa
nel settore, in relazione alla qualità delle risorse a disposizione intese
come livello di prestazione e come potenziali capacità di sviluppo.
2) Aspetto dell’innovazione e del vantaggio competitivo evidenzia
l’infrastruttura necessaria all’impresa per competere nel lungo periodo.
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Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
3) Aspetto della cultura e dell’apprendimento la cultura aziendale è
costituita da procedure e routines nonché dalla formazione e
dall’apprendimento continuo, al fine di orientare e migliorare i
comportamenti degli individui nello svolgimento delle loro attività.
L’ambiente in cui operano le imprese moderne, infatti, impone un continuo
aggiornamento delle conoscenze e delle competenze in modo da
indirizzare il livello di competitività verso i livelli di eccellenza richiesti dal
mercato.
Gli indicatori più appropriati a misurare la performance sotto tale aspetto
sono:
• il valore delle competenze possedute;
• le giornate/annue dedicate alla formazione del personale;
• Il grado di soddisfazione e motivazione dei dipendenti, nonché il relativo
tasso di fedeltà (cioè il tasso di turn over);
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Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
La (d) prospettiva economico-finanziaria considera il punto di vista e le
aspettative degli azionisti, in termini di: redditività d’impresa, tasso di
crescita, valore creato.
A tal riguardo, la BSC rende esplicito l’impatto delle strategie aziendali sul
processo di creazione di valore per gli azionisti attraverso l’esame dei
risultati economico-finanziari di periodo (aspetto esclusivamente
quantitativo)
Il modello di Kaplan e Norton, infatti, non trascura la necessità di
monitorare anche i tradizionali parametri quantitativi economico-finanziari
(ai quali peraltro si ricollegano, in ultima analisi, tutte le altre misure della
scheda), ma richiede di “bilanciare” i risultati di tale tipo di indicatori
quantitativi misurati ex-post con quelli relativi alle altre tre prospettive (di
natura quali-quantitativa in ottica prospettica)
90 90 90
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione La scheda trae beneficio dalla considerazione delle misure economico-
finanziarie come risultati finali di lungo termine, senza le distorsioni
derivanti dalla focalizzazione esclusiva sul miglioramento di tali parametri
nel breve periodo.
Gli indicatori atti a misurare le performance economico-finanziarie
considerati dal modello sono:
• il valore attuale e prospettico dei ricavi e del reddito operativo;
• il valore azionario (ossia il valore dell’azienda per gli azionisti), dato dalla
differenza tra il valore attuale dei flussi di cassa netti attesi in futuro
dall’azienda (discounted cash flow) e il valore delle passività aziendali
• il valore dell’EVA;
• il ROI, il ROE, il ROS;
• la riduzione dei costi operativi con riguardo a specifiche aree;
• la riduzione del tasso di indebitamento.
91 91 91
5b) Lo Skandia Navigator
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Il criterio in esame, elaborato da Edvisson e Malone nel 1993, costituisce
un’applicazione dei criteri di valutazione delle performance aziendali di
matrice scorecard (teorizzati per la prima volta con la BSC, di cui lo
Skandia costituisce una sorta di «variante/adattamento»).
Il modello esprime una visione integrata e coordinata della complessiva
performance e si basa sullo studio di cinque aree informative (focus)
economico-finanziaria, relazioni con i clienti, risorse umane,
dinamica dei processi, innovazione e sviluppo, che consentono di
misurare quali-quantitativamente l’azienda e il modo in cui crea valore.
L’obiettivo originario era accertare come la componente intellettuale di
un’impresa giocasse un ruolo fondamentale nel processo di creazione del
valore in seguito, ha trovato applicazione per misurare la performance
complessiva in termini quali-quantitativi.
92 92 92
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
In termini figurativi, il modello è proposto con la struttura di una casa:
• il “tetto” è costituito dall’area informativa di tipo economico-finanziario
(financial focus), e concerne i risultati di tipo quantitativo (ad es., il
tasso di redditività) che l’impresa ha ottenuto in passato e che sono stati
oggetto di rilevazione da parte dei tradizionali sistemi contabili;
• le “pareti”, rappresentate dal customer focus e dal process focus,
sono costituite dalle attuali performance dell’impresa, destinate a venire
evidenziate in appositi report economici:
il focus sul cliente, dà indicazioni circa l’abilità di un’organizzazione di
soddisfare i bisogni e le aspettative dei propri clienti per mezzo dei
beni e servizi prodotti;
il focus sul processo, studia le caratteristiche dei processi volti alla
creazione dei servizi e dei prodotti richiesti dai clienti.
93 93 93
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
• il “pavimento” è costituito dall’innovation & development focus, che
riflette le potenzialità future dell’impresa punta ad assicurare il
rinnovamento dell’organizzazione nel lungo periodo, oltre a garantirne la
sostenibilità (individuare le azioni necessarie per assicurare lo sviluppo e
la redditività nel lungo periodo)
• l’area delle risorse umane (human resources focus) viene posta al
centro del modello, posto che costituisce il collante della struttura e
conferisce stabilità e durevolezza all’intero edificio è il cuore
dell’organizzazione ed è essenziale ai fini della creazione della
conoscenza e, quindi, del valore finale.
94 94 94
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Il modello si caratterizza per l’elaborazione di un elevato numero di
indicatori di performance, aventi lo scopo di misurare l’andamento di
ciascuna delle cinque aree in esame:
• clienti numero nuovi clienti, contratti conclusi, quota di mercato, indici
di customer satisfaction, fatturato annuo per cliente, tasso di fedeltà;
• finanza indicatori finanziari;
• processi costi amministrativi per dipendente, numero di scarti, costi
infrastrutturali, livello di efficienza complessivo;
• risorse umane turnover del personale, numero di manager, indice di
soddisfazione dei dipendenti;
• sviluppo e innovazione investimenti in R&S, ore di formazione per
dipendente, numero di brevetti prodotti, nuovi prodotti realizzati.
95 95 95
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
5c) La Value Chain Scoreboard
Il criterio in esame, elaborato da Lev nel 2001, si basa su un approccio di
tipo analitico, individuando i fattori aziendali che concorrono al processo di
creazione del valore ed analizzando l’apporto di ciascuno.
Con il concetto di catena del valore si intende quel processo economico
che trae origine dall’ideazione di nuovi prodotti, servizi o processi (in termini
generali, dall’apprendimento), procede attraverso la loro implementazione e
si conclude con la commercializzazione dell’output.
Per il suo ideatore, la catena del valore costituisce infatti il circuito vitale
delle imprese innovative e di successo (volte cioè all’ottenimento di un
congruo vantaggio competitivo), e il rispetto dei suoi principi cardini risulta
necessario per la sopravvivenza nel tempo in condizioni di stabile equilibrio.
Nella dimensione applicativa, tuttavia, anche tale strumento costituisce
una «rimodulazione» dei principi di funzionamento della BSC
96 96 96
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
La Value Chain Scoreboard si articola in 3 aree di informazione e
valutazione, a loro volta scomponibili in sottoaree (a ciascuna va attribuito
un punteggio discrezionale).
(1) l’area della scoperta e apprendimento (discovery and learning)
costituisce l’inizio della catena del valore di un’azienda. Richiede
un’allocazione significativa e coerente di risorse produttive (in particolare
intangibili) ed è a sua volta suddivisibile in 3 sottoaree, che rappresentano
le fonti interne, esterne ed integrate di informazioni e idee:
• rinnovamento interno (ricerca e sviluppo, formazione del personale,
processi, ecc.);
• capacità acquisite (acquisto di tecnologia, know-how, ecc.);
• networking (joint-ventures nell’attività di ricerca e sviluppo, integrazioni a
monte e a valle);
97 97 97
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
(2) l’area dell’implementazione è quella in cui si verifica la fattibilità
tecnica ed economica dei prodotti, servizi e/o processi in via di sviluppo
segna la trasformazione delle idee in output funzionante.
È a sua volta scomponibile in 2 sottoaree:
• la proprietà intellettuale (brevetti, marchi, ecc.);
• il grado di fattibilità tecnologica ed economica.
(3) la terza area è quella della commercializzazione, a sua volta
ripartibile in 3 sottoaree:
• clienti;
• performance;
• prospettive di crescita.
98 98 98
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione
Con riguardo a ciascuna delle aree informative individuate è necessario
sviluppare degli indicatori di punteggio, con un diverso grado di
analiticità a seconda dell’utilizzo cui sono destinati (naturalmente, la scala
di punteggio dovrà essere specificamente elaborata a seconda del Paese
e del settore economico in cui l’azienda opera, nonché del momento
storico, delle peculiarità dell’azienda, ecc.).
Gli indicatori di punteggio devono essere:
• quantitativi;
• standardizzabili (per favorire il confronto tra imprese diverse);
• collegati empiricamente al valore dell’impresa.
La tabella di punteggi della catena del valore è quindi volta a fornire un
quadro esauriente delle capacità competitive dell’azienda nonché della
sua capacità di creare valore economico.
99 99 99
Le crisi aziendali: strumenti di prevenzione Sinteticamente, e in termini generali, con riguardo ai metodi multidimensionali
BSC, Skandia e Value Chain si evidenziano i seguenti:
Pregi:
• L’uso di misure quali-quantitative consente una visione più completa della
performance aziendale, rappresentando la capacità attuale e (soprattutto)
prospettica di creare valore (i metodi solo quantitativi, invece, si limitano a
«fotografare» l’esistente).
Difetti:
• Va osservata la dinamica del valore dei singoli punteggi nel tempo (lettura
evoluzionistica e non statica);
• Le informazioni quantitative si basano in ogni caso su dati di derivazione
contabile intrinsecamente soggettivi e potenzialmente falsificabili;
• La scelta di quali indicatori di performance usare per ciascuna delle citate
«aree informative», ma soprattutto la scelta del punteggio da attribuire a
ciascuna area e sotto-area, sono demandate al valutatore eccessiva
soggettività teorico/applicativa (con conseguente difficile confrontabilità
spazio-temporale dei risultati)
100 100 100
Il governo delle crisi aziendali Le strategie di risoluzione delle crisi d’impresa devono necessariamente
ispirarsi ad alcuni principi-guida:
1) efficienza;
2) tempestività;
3) equità.
1) L’efficienza nel governo delle crisi aziendali
Dal punto di vista dell’efficienza economica (intesa ovviamente in senso
lato), la soluzione ottimale della crisi è quella che prospetta la migliore
allocazione degli asset aziendali (cioè la massimizzazione del valore
economico netto, attuale e prospettico, da essi ritraibile), tenuto conto sia
del loro valore atomistico sia del loro valore di complesso in funzionamento.
Preliminarmente, si prospettano 3 forme di “allocazione” degli asset di
un’azienda in crisi: a) ristrutturazione; b) cessione; c) liquidazione.
101 101 101
In linea generale, il principio di efficienza dovrebbe condurre alla
massimizzazione del valore economico netto ritraibile dal processo di
risoluzione della crisi, fondandosi su:
• il valore attuale netto dei flussi monetari in entrata e in uscita attesi dal
funzionamento aziendale (realizzando il piano di ristrutturazione, con i
relativi costi per investimenti e i ricavi prospettici attesi);
• Il valore attuale netto dei flussi monetari attesi dalla cessione del
complesso in funzionamento (prezzo di cessione al netto dei costi di
vendita);
• Il valore attuale netto dei flussi monetari attesi dalla liquidazione del
complesso (prezzo di vendita dei singoli asset al netto dei costi di
cessione).
Il più delle volte, nelle concrete realtà aziendali si presentano combinazioni
di tali opzioni relativamente alle diverse aree d’affari dell’azienda in crisi.
Il governo delle crisi aziendali
102 102 102
a) Ristrutturazione (crisi governabile)
I processi di ristrutturazione sono volti a garantire e/o a ripristinare, anche
a livello di assetto proprietario, le migliori condizioni di utilizzo di tutti gli
asset aziendali nell’ottica del going concern, sfruttando le potenzialità
(temporaneamente inespresso) dell’impresa di generare valore
economico.
Il progetto di ristrutturazione può ovviamente qualificarsi per un diverso
grado di ampiezza ed incisività dall’azione su una o più aree funzionali
(produzione, commerciale, ecc.) ad un intervento esteso sulle diverse aree
d’affari (business unit) dell’impresa.
Tale processo potrebbe anche non comportare interventi drastici sulla
struttura finanziaria, se i flussi di cassa previsti dalla gestione operativa
post-ristrutturazione risultano tali da soddisfare le aspettative dei creditori
(in termini di rimborso e remunerazione del debito).
Il governo delle crisi aziendali
103 103 103
Se invece la dinamica economico-finanziaria prevista nel progetto è tale
da non consentire il rispetto dei tempi di rimborso del debito preesistente
alle condizioni stabilite, il piano di ristrutturazione richiede interventi sulla
struttura finanziaria variamente graduati:
• rescheduling del debito;
• alleanze industriali; ingresso di nuovi soci (risoluzione per vie esterne);
• rinegoziazione delle condizioni del prestito;
• stralcio di alcune poste (con conseguenti sacrifici per i creditori);
• domanda di nuova finanza per sostenere i costi di ristrutturazione.
Il più delle volte, i sacrifici richiesti ai creditori si accompagnano al
sacrificio richiesto ai soci di apportare nuovo capitale di rischio per
sostenere i costi della ristrutturazione se tale necessità non può o non
vuole essere soddisfatta dai soci attuali, si profila l’ipotesi della cessione.
Il governo delle crisi aziendali
104 104 104
b) Cessione (crisi governabile)
La cessione (anche di singoli rami aziendali) è qualificabile come il
trasferimento del controllo degli asset aziendali come complesso
funzionante dall’originario soggetto economico (che non vuole/può
sostenere i costi di ristrutturazione) ad altri soggetti imprenditoriali, che si
fanno carico dei costi e godono dei benefici del progetto di ristrutturazione.
Il nuovo soggetto di controllo può inserire l’azienda nell’ambito di
preesistenti combinazioni economiche (per la ricerca di eventuali effetti
“sinergici”), oppure limitarsi alla proposta di nuove modalità di gestione
atte a sfruttare il proprio patrimonio di conoscenze, competenze e
relazioni.
Sul piano strategico-operativo, gli interventi di ristrutturazione sono più o
meno identici a quelli analizzati con riferimento alla precedente ipotesi a).
Il governo delle crisi aziendali
105 105 105
c) Liquidazione (crisi irreversibile valore liquidazione > valore economico
di funzionamento)
La liquidazione conduce alla disaggregazione del complesso aziendale e al
collocamento sul mercato dei singoli asset (tangibili e in particolare intangibili
marchi di fabbrica, di prodotto, brevetti, ecc.) o di loro combinazioni parziali
(rami aziendali), facendo venire meno il presupposto del going concern.
Invece, finquando la crisi è governabile il valore attuale netto ricavabile dalla
liquidazione dei singoli asset è inferiore a quanto ricavabile dalla
ristrutturazione o dalla cessione a terzi del complesso in funzionamento.
Il valore netto di liquidazione costituisce un riferimento vincolante per la scelta
tra le alternative di governo della crisi, che per risultare praticabili devono
prospettare un valore economico netto superiore, o almeno uguale, a quello di
liquidazione (principio di efficienza).
È financo possibile che il valore netto di liquidazione sia negativo quando i
costi di dismissione superano il valore lordo di collocazione sul mercato.
Il governo delle crisi aziendali
106 106 106
Il governo delle crisi aziendali
Naturalmente, nell’area di “confine” tra il presente stadio di crisi e il
precedente (ristrutturazione) possono ipotizzarsi situazioni “ibride”, dove a
fronte di una crisi irreversibile dell’azienda nel suo complesso si
individuano sub-complessi di asset dotati (ancora) di un valore potenziale
di funzionamento superiore al valore di liquidazione – o viceversa.
In genere, si tratta di valori connessi a rami d’azienda o singole aree
d’affari (business unit), che se isolati da fattori negativi di contesto
(management incompetente, strutture obsolete, ecc.) potrebbero essere
dotati di un valore autonomo positivo, da non disperdere con una
procedura liquidatoria.
In tali casi, è quindi necessario optare per soluzioni di governo della crisi
anch’esse “ibride”, volte a scindere l’azienda in sub-complessi funzionanti
e potenzialmente efficienti.
107 107 107
2) La tempestività nel governo delle crisi aziendali
Se l’efficienza costituisce il primo principio-guida per la soluzione delle
crisi, la tempestività ne rappresenta la sua declinazione dinamica.
Infatti, tanto più la crisi da potenziale diventa effettiva, progressivamente
intensificandosi, tanto maggiori sono i rischi di depauperamento dei valori
aziendali (in particolare di quelli di funzionamento e di cessione) è
quindi necessario che l’analisi della crisi e il successivo intervento di
soluzione siano “tempestivi”.
Peraltro, per colpa o dolo il soggetto economico potrebbe non cogliere lo
stato di crisi (in essere o in divenire) e/o rinviare le azioni volte al recupero
del valore, a scapito degli altri interessi coinvolti nel funzionamento
aziendale (tra cui quelli dei creditori, degli azionisti di minoranza, ecc.).
Il governo delle crisi aziendali
108 108 108
3) L’equità nel governo delle crisi aziendali
Il governo dell’impresa coinvolge, come è noto, molteplici soggettività (c.d.
stakeholders), tra i quali un ruolo preminente è rivestito dai soci di controllo
o dall’imprenditore individuale.
In condizioni di normale funzionamento, si presume che il perseguimento
dell’efficienza economica (incremento o al limite mantenimento del valore
economico del capitale) sia il principio-guida del funzionamento aziendale,
valido sia per i soci di maggioranza (in primis) che per tutti i rimanenti
stakeholders.
In condizioni di crisi, però, il costo della medesima, e quello del processo
di risanamento, viene spesso sopportato (per la gran parte) dai creditori e
talvolta anche dai soci di minoranza e dai lavoratori, a causa del surrettizio
operare del soggetto economico.
Il governo delle crisi aziendali
109 109 109
Relazioni tra efficienza, tempestività ed equità
Analizzando i collegamenti tra equità ed efficienza, si osserva che
soluzioni ex ante inique (in quanto favorevoli solo per determinati
stakeholder) potrebbero consentire il recupero del valore di funzionamento
così da soddisfare ex post anche le istanze di altri soggetti, in modo
migliore rispetto a soluzioni ab origine più eque ma meno efficienti.
L’equità deve infatti analizzarsi anche alla luce delle prospettive di
recupero dell’efficienza collegate alla tempestività di intervento tale
connessione è tanto più rilevante quanto più elevato è il divario tra il valore
del complesso funzionante (anche in ipotesi di cessione) e il suo valore di
liquidazione.
Quanto più la crisi è affrontata a stadi anteriori a quello di crisi
irreversibile (valore di funzionamento < valore di liquidazione), tanto più
si dovrebbe puntare all’efficienza e alla tempestività anche a scapito
dell’equità, dato che il recupero del valore di funzionamento alfine
avvantaggia tutti gli attori (anche i creditori).
Il governo delle crisi aziendali
110 110 110
La crescente diffusione di stati di crisi coinvolgenti, indifferentemente,
imprese di piccole, medie e financo grandi dimensioni, ha stimolato la
ricerca di soluzioni giuridiche atte a fronteggiare tali situazioni
“patologiche” con strumenti innovativi, maggiormente efficaci ed efficienti
rispetto alle procedure concorsuali giudiziali.
Negli ultimi anni, infatti, una crescente attenzione è stata riservata ai c.d.
sistemi privatistici di gestione delle crisi aziendali, cioè a meccanismi
istituzionali (regolamentati dalla legge ma affidati alla libera iniziativa delle
parti) volti a risolvere gli stati d’insolvenza, manifesti oppure anche solo
previsti, nel rispetto delle regole di mercato, senza fare ricorso al sistema
giudiziario
I sistemi in esame devono soddisfare alcuni requisiti fondamentali:
a) Conservare ed incrementare il valore dell’impresa;
b) salvaguardare i diritti dei creditori
Il governo delle crisi aziendali
111 111 111
L’efficienza nella gestione della crisi richiede obbligatoriamente di evitare
distruzioni non necessarie di valore.
a) La salvaguardia del valore dell’impresa
È il presupposto-base che deve guidare la scelta tra la liquidazione
dell’azienda e la ristrutturazione/continuazione dell’attività operativa
(going concern).
Se i flussi economici netti (al netto cioè dei costi di ristrutturazione)
producibili in futuro dall’impresa risanata si prevedono superiori ai flussi
economici netti (al netto dei costi di vendita/dismissione) ottenibili tramite
la semplice liquidazione del complesso aziendale, risulta chiaro come il
valore d’impresa sia maggiore nel primo caso.
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In conclusione, un sistema di gestione delle crisi deve minimizzare il
rischio:
• di liquidazioni di complessi aziendali per i quali esistono fondate
prospettive di ripresa (quindi di miglioramento del valore producibile),
dunque meritevoli di essere preservati in funzionamento;
• di consentire la permanenza in vita di complessi aziendali che così
facendo distruggerebbero ulteriore ricchezza (e che varrebbero quindi di
più se tempestivamente liquidati);
• di non adottare, specie nel caso di continuazione dell’attività aziendale, il
piano che meglio massimizza il valore complessivo dell’impresa.
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b) La salvaguardia dei diritti dei creditori
Nell’ambito degli strumenti di risoluzione delle crisi aziendali gli interventi
attuabili debbono necessariamente tener conto dei principi della (1) par
conditio creditorum e della (2) absolute priority rule.
Il (1) indica che i creditori godono di pari priorità nel rimborso dei propri
crediti (a meno che non si tratti di categorie “privilegiate” pegno,
ipoteca), e pertanto devono subire, se del caso, uguali sacrifici in termini
percentuali.
Il (2) comporta, invece, che nella ripartizione del ricavato ottenuto dalla
liquidazione degli asset aziendali si possa attribuire un quantum ai
conferenti il capitale di rischio solo se (e dopo che) tutti i creditori sono
stati soddisfatti integralmente.
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Nonostante detti principi siano teoricamente presenti in qualunque sistema
di gestione della crisi, nella pratica sono possibili (e frequenti) violazioni a
livello di singole procedure è il caso, ad esempio, di quelle soluzioni
giudiziali e/o stragiudiziali che contemplano riduzioni del valore nominale dei
crediti senza che venga decurtato anche il valore del capitale sociale.
Le (a) procedure giudiziali (c.d. concorsuali) di gestione dell’insolvenza
previste dal Legislatore italiano sono fortemente orientate a garantire i
creditori, ponendo nettamente in secondo piano il principio del going
concern (conservazione dell’azienda) si tratta quindi di istituti
fortemente “sbilanciati” sul principio dell’equità (peraltro solo a livello
teorico, considerata la spropositata durata e gli elevati costi di tali
strumenti), a scapito dell’efficienza e della tempestività.
Più complesso è invece il caso delle (b) rinegoziazioni privatistiche
dell’indebitamento, le quali comportano un elevato rischio di conflitti di
interesse.
Il governo delle crisi aziendali
115 115 115
La crisi aziendale, e cioè il dissesto patrimoniale del debitore, è un evento
coinvolgente una gran massa di creditori, che vengono a trovarsi
nell’impossibilità di realizzare, in tutto o in parte, il proprio diritto.
Come è noto in Italia, con riguardo al dissesto delle imprese commerciali
non piccole* è possibile ricorrere alle (a) cc.dd. procedure giudiziali
concorsuali, mediante le quali, alla presenza di un’autorità pubblica, viene
regolato il rapporto patrimoniale tra un determinato soggetto e il complesso
dei suoi creditori.
Successivamente alla riforma del Diritto Fallimentare del 2006, l’attuale
Legge Fallimentare, R.D. 16/03/1942, n. 267, disciplina 3 tipologie di
procedure concorsuali (fallimento, concordato, liquidazione coatta
amministrativa), mentre una quarta (l’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi) è stata tipizzata con uno specifico intervento
normativo.
Il governo delle crisi aziendali
116 116 116
Non sono soggette a procedure fallimentari le imprese commerciali che
diano prova di non aver superato, nei precedenti 3 esercizi, alcuno dei
seguenti parametri:
• attivo patrimoniale 300.000 €
• ricavi lordi 200.000 €
• debiti (anche non scaduti) 500.000 €
(*)
È sempre escluso dal fallimento l’imprenditore agricolo
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Pur mostrando specifiche peculiarità, le citate procedure concorsuali
presentano caratteristiche comuni:
• la generalità, con ciò intendendo il coinvolgimento nelle procedure
dell’intero patrimonio del debitore e non soltanto di singoli cespiti;
• la collettività, ovvero il coinvolgimento nelle procedure dell’intero ceto
creditorio dell’imprenditore esistente alla data in cui il dissesto è
accertato;
• l’obiettivo di assicurare, almeno in via di principio, la parità di trattamento
dei creditori (con esclusione, ovviamente, di coloro che vantano
specifiche cause di privilegio) c.d. par conditio creditorum e
absolute priority rule
Il governo delle crisi aziendali
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La citata riforma della Legge Fallimentare, nonché i successivi interventi
(2008 e 2012) sono stati ispirati dalla necessità di ridurre i tempi di
esplicazione delle singole procedure concorsuali, di far emergere in modo
più rapido e tempestivo lo stato di crisi, di ridurre i costi associati alle
procedure medesime, di rafforzare il grado di autonomia delle parti nel
governare lo stato di crisi e tentare, quando possibile, di garantire il going
concern (allo scopo anzi effettuando un vero e proprio “rilancio”
dell’azienda in crisi) e il contestuale mantenimento dei livelli occupazionali.
Parallelamente, si sono stabilite a livello normativo delle (b) soluzioni
alternative alle procedure concorsuali per fronteggiare le crisi d’impresa,
rafforzando le possibilità di accordi extra-giudiziali tra debitore e creditori
(c.d. “privatizzazione” della crisi) come modalità primaria di risoluzione
posticipando quindi l’attivazione delle procedure concorsuali e liquidatorie
alla mancata risoluzione pattizia.
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Le procedure stragiudiziali di risoluzione delle crisi non hanno quindi più
un prevalente significato liquidatorio e sanzionatorio, ma piuttosto tendono
alla conservazione dell’impresa contestualmente alla rimozione dello stato
di dissesto volontà di coniugare equità, efficienza e tempestività.
Con il contemperamento dalla tutela della par conditio creditorum con
quella del going concern aziendale si è voluta evitare una generalizzata
disgregazione delle funzionalità tecnico-economiche d’impresa, con la
conseguente dispersione di valori tangibili ed intangibili (conoscenze
tecnologiche, organizzative, produttive, saperi manageriali, immagine di
marca, ecc.).
La finalità di conservazione deve poi interpretarsi come vera e propria
scelta di politica economica, volta a salvaguardare i livelli occupazionali e
a migliorare la competitività del Sistema-Paese.
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Nelle procedure stragiudiziali, però, sono potenzialmente riscontrabili
violazioni più o meno sistematiche della par conditio creditorum che
dell’absolute priority rule, mentre si attribuisce preminente rilevanza al
principio del going concern (stante il convincimento che la dissoluzione
dell’impresa generi danni maggiori alle parti interessate nonché al
generale sistema economico-sociale rispetto a riduzioni o rinvii delle attese
satisfattorie).
Con riguardo al primo profilo, tale principio è spesso incrinato dal
trattamento favorevole riservato ai fornitori e ai creditori non bancari.
Per quanto invece concerne le violazioni del principio dell’absolute priority
rule in favore dell’originario soggetto economico, queste traggono origine
dal fatto che il gruppo di comando riesce sovente, soprattutto nelle
imprese di dimensioni minori, a conservare la propria posizione di
preminenza.
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In quest’ottica, il Legislatore ha riconosciuto e disciplinato i seguenti
accordi negoziali stragiudiziali (o parzialmente tali):
• Accordi di Ristrutturazione del Debito (art. 182-bis L.F.)
• Piani Attestati di Risanamento (art. 67 L.F.)
• Concordato preventivo in «continuità» (art. 186-bis L.F.)
• Concordato in «bianco» (con riserva o preconcordato - art. 161 L.F.)
che separatamente, o anche di concerto nel caso dei primi due (la
ristrutturazione del debito dovrebbe infatti essere contestuale al
risanamento), sostituiscono/affiancano le normali procedure concorsuali.
In altre parole si consente alle parti di concludere accordi negoziali extra-
giudiziali garantiti dalla supevisione di adeguate figure professionali
(talvolta richiedenti un semplice controllo di legittimità da parte del giudice).
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Le caratteristiche delle procedure stragiudiziali (sia di ristrutturazione del
debito sia di risanamento, che come anzidetto vanno spesso a “braccetto”)
possono di seguito riassumersi:
• il soggetto economico dell’impresa in crisi, oppure i maggiori creditori (di
norma le banche), verificano la praticabilità di un accordo di massima
nell’ambito del ceto creditorio, al fine di evitare la dichiarazione formale di
uno stato di insolvenza e la conseguente apertura di una procedura
concorsuale;
• l’impresa predispone, solitamente con l’ausilio di un advisor e di concerto
con i creditori, un piano di ristrutturazione del debito e/o di risanamento
che sfociano in una vera e propria convenzione, eventualmente
concedendo garanzie immediate ai creditori;
• la convenzione viene quindi sottoposta all’analisi del ceto creditorio.
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L’accordo con i creditori è un contratto atipico che persegue il fine, da un
lato, della conservazione dell’impresa mediante un’intesa, dall’altro, della
realizzazione dei diritti dei singoli creditori.
Il principale vantaggio di tale tipo di accordi consiste nell’assenza di
specifiche previsioni normative che ne limitino i contenuti, lasciando libere
le parti di accordarsi secondo le modalità ritenute più convenienti con
riguardo alle percentuali, alle modalità di espletamento dell’accordo, al
contenuto e agli obiettivi, ecc.
A differenza del fallimento, il presupposto per l’applicazione di tali istituti
non è più lo stato di insolvenza (impossibilità di far fronte ai debiti in
scadenza con normali mezzi di pagamento) ma il più ampio concetto di
crisi (quando il valore delle attività è inferiore al valore nominale del
debito), che soltanto sottende una situazione di insolvenza non ancora
manifesta.
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Le soluzioni stragiudiziali delle crisi aziendali sono dunque incentrate sulla
predisposizione di un adeguato piano di risanamento e/o sulle
rinegoziazioni privatistiche dell’indebitamento, che si concretizzano nella
sottoscrizione di apposite convenzioni con i creditori bancari e commerciali.
Si tratta quindi di un sistema flessibile, tale da consentire alle parti di
sviluppare soluzioni alternative alla formalizzazione dello stato di
insolvenza (si cerca infatti di “privatizzare” l’insolvenza), quando ciò sia il
desiderio del debitore e dei creditori e purché siano rinvenibili
caratteristiche desiderabili alla luce dei profili considerati (e specificamente
che il tribunale consideri tali procedure più vantaggiose per i creditori
rispetto a quelle giudiziali).
Come anticipato, del resto, un sistema ideale dovrebbe consentire di
rinegoziare il debito e, successivamente, di risanare l’impresa,
ogniqualvolta la continuazione dell’attività operativa risulti preferibile alla
liquidazione.
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In linea di massima gli accordi stragiudiziali, svincolati dai tempi e dalle
rigidità delle procedure giudiziali, risultano preferibili in quanto:
• dovrebbero evitare il rischio di liquidazioni inefficienti, ovvero di
estinzione di un’impresa il cui valore di funzionamento risulti superiore al
valore di realizzo in sede di liquidazione (preservando così il principio del
going concern);
• dovrebbero consentire percentuali di recupero dei crediti insoluti più
elevate rispetto a quelle ottenibili con le normali procedure concorsuali;
• sono meno costose e si caratterizzano per tempi di esecuzione inferiori;
• sono più flessibili in quanto non vincolate da rigide previsioni legali che
ne limitano l’utilizzo o i contenuti, potendosi quindi adattare alle
specificità dei singoli casi.
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Tra i fattori che potrebbero ostacolare l’emergere di una soluzione
stragiudiziale alle crisi d’impresa, quello operativamente più oneroso è
senz’altro la necessità di coordinare gli appartenenti al ceto creditorio, che
dispongono del potere di decidere in ordine alla prosecuzione o meno
dell’attività operativa da parte dell’impresa (in caso contrario, quest’ultima
potrebbe venire rimandata al competente tribunale per l’attivazione di una
procedura concorsuale).
Un’altra problematica è costituita dalla frequente necessità di erogare
nuovi mezzi finanziari all’impresa in via di ristrutturazione qualora la
vecchia proprietà non possa o non voglia fornire tali mezzi, e la ricerca di
un possibile partner industriale-finanziario risulti difficile, saranno ancora le
banche (presumibilmente già gravate da precedenti crediti insoluti verso
l’impresa) a dover fornire capitali “freschi”.
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