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1 EDILIZIA e ABUSI EDILIZI Rimini, 16 settembre 2016 Avv. Federico Gualandi ([email protected])

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EDILIZIA e ABUSI EDILIZI

Rimini, 16 settembre 2016

Avv. Federico Gualandi

([email protected])

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Rapporto tra Legge regionale e TU n. 380/2001

Il rapporto con il TU 380/2001: il TU contiene i “principi fondamentali”

L’edilizia fa parte del “governo del territorio” (Corte Cost. 303/2003).

Il problema dei “principi”: (dubbi) nuova SCIA Emiliana, il sistema delle sanzioni pecuniarie, le “temporanee”, l’ accertamento di conformità, l’ art. 17 bis, il riesame dei titoli, l’ art. 7 ter…..

L’ edilizia si «statalizza».

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Il ruolo del Legislatore nazionale

“Questa Corte ha già ricondotto nell'ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perchè è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L'intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall'altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato.”(Corte Cost. 319/2011)

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I principi

Principi procedimentali:a) Principio di separazione;b) Sportello unico e conferenza di servizi;c) Intervento sostitutivo in caso di inerzia ;d) Facoltatività della SCIAPrincipi sostanziali:a) discrimine tra attività edilizia libera e non;b) pluralità di titoli abilitativi;c) trasferibilità e temporaneità dei titoli;d) Possibilità di titoli in sanatoria per opere conformi;

Art. 1, 2° comma: natura “sostanziale” della funzione di vigilanza e controllo: più che sanzionare, “assicurare un ordinato sviluppo del territorio…garantendo la tutela assoluta delle risorse ambientali e demaniali, del paesaggio e del patrimonio storico ed architettonico presenti in Regione”.

Quale è il bene giuridico tutelato? (es. rototraslazione)

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(segue)

“La individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata all’art. 3 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto del edilizio e territoriale, prevale quindi sulle eventuali diverse formulazioni definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle disposizioni degli strumenti urbanistici locali (lo strumento o l’istituto al quale si ricorre può essere vario), che cedono di fronte alle definizioni dettate dalla fonte primaria (anche se trattasi di testo unico adottato con la forma del D.P.R.), le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina urbanistico-edilizia su base locale.” (Cons. di Stato, sez. IV, 678/2011)

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L’ applicazione della Legge nel tempo

Artt. 39 e 40 (Norma transitoria e disapplicazione di norme statali). La regola: a) il TU non si applica più a partire dal 23 ottobre 2004 (salvo

alcune norme); b) il TU resta applicabile per i procedimenti repressivi in corso a tale data; c) da tale data si applica la Legge regionale per gli abusi “commessi” (prima si diceva “accertati”, ma è stato modificato) dopo la sua entrata in vigore

Per la Legge 15/2013 vedi art. 57, comma 2 (illeciti “commessi in data successiva…”)

Un triplice regime! Che cosa succede per gli abusi commessi prima della entrata in vigore

ma non ancora oggetto di procedimenti repressivi ? 380/2001

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Segue….

Il TAR E/R Bo (502/2013) dice: “Non coglie nel segno il

secondo rilievo sollevato in ricorso, col quale si lamenta il difetto di motivazione sull’interesse pubblico al ripristino della legalità violata, stante il notevole lasso di tempo decorso dall’epoca alla quale risale l’abuso (1953-54) che, a parere dei ricorrenti, avrebbe consolidato l’affidamento sulla legittimità delle opere realizzate. Questo Tribunale, infatti, si è già espresso nel senso del carattere doveroso dell’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive, osservando che <<il potere di reprimere abusi edilizi non è soggetto a prescrizione né a decadenza, stante il carattere d'illecito permanente dell'abuso edilizio medesimo, per cui non è configurabile alcun possibile "affidamento" del privato sulla legittimità di opere edilizie in realtà abusive e, di conseguenza, il doveroso provvedimento demolitorio non necessita di alcuna specifica motivazione circa l'esistenza di un interesse pubblico alla rimozione dell'opera abusiva, trattandosi d'interesse pubblico sussistente "in re ipsa" >> (Sez. II, 24 settembre 2010, n. 7898). Del resto, come ribadito di recente in sede pretoria (T.A.R.  Napoli  Campania  sez. VII, 10 aprile 2013, n. 1906), non può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato cosicché la natura doverosa della sanzione non muta in considerazione dell’epoca risalente dell’abuso”.

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Però…

Però il Consiglio di Stato (3847/2013) dice: “Il criterio dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può essere però applicato con

un meccanicismo indiscriminato ed illimitato. Quando, infatti, la costruzione in rilievo sia munita di un titolo edificatorio (venendo in questione delle semplici difformità dal medesimo), e siano passati svariati decenni dalla commissione della presunta violazione, la sottoposizione dei privati cittadini a procedimento sanzionatorio scuote per ciò stesso il valore della certezza delle situazioni giuridiche. Tanto più sono destinate a sorgere delle criticità, inoltre, quando l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione si indirizzi, come nella specie, nei confronti di semplici aventi causa dal responsabile della presunta violazione (o, addirittura, di acquirenti dai suddetti aventi causa), i quali fino a prova contraria hanno acquistato i rispettivi immobili, a suo tempo, ad un prezzo di mercato ragguagliato alla loro consistenza oggettiva. L’attivazione del potere repressivo a tale distanza di tempo rende, fra l’altro, oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte degli attuale proprietari, e, soprattutto, improba ogni iniziativa di rivalsa, da parte loro, nei riguardi degli effettivi responsabili dell’abuso. In siffatti casi estremi non si può non notare, dunque, che l’onere della motivazione dell’iniziativa sanzionatoria si impone quale contrappeso proprio alla mancanza di termini di prescrizione/decadenza per l’esercizio del potere repressivo.

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Ed ancora…

Un onere di motivazione si può quindi eccezionalmente configurare ove il decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie, circa 50 anni) fra la realizzazione dell'opera irregolare, ma munita pur sempre di un formale titolo, e l'adozione della misura repressiva, abbia ingenerato un solido affidamento in capo al cittadino (specialmente ove si tratti di un terzo acquirente). E tale onere di motivazione non potrebbe non chiamare in causa, tra gli altri elementi da considerare, anche la condizione di possibile buona fede dei soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe andar disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che questi avrebbero ritratto dall’illecito.

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Ed ancora….

Il Comune con il proprio secondo mezzo d’appello oppone che tutte, in realtà, le norme sanzionatorie del capo I della legge n. 47, e non solo gli artt. 32, 33 e 40, sarebbero state applicabili indipendentemente dall’epoca di commissione dell’illecito, dovendo individuarsi quale momento di riferimento per la determinazione della normativa sanzionatoria applicabile quello in cui l’Amministrazione aveva accertato l’abuso. Quest’ultima interpretazione è stata però già disattesa dalla Sezione. Occorre ricordare, infatti, che, se è vero che il divieto di norme sanzionatorie retroattive è stato costituzionalizzato per le sole norme penali, ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 disp.prel.cod.civ.. La giurisprudenza della Sezione ha invero già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. 28 febbraio 1985 n. 47 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo, e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (C.d.S., V, 8 aprile 1991, n. 470). Pertanto, le sanzioni amministrative previste dalla legge n. 47 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (V, 12 marzo 1992, n. 214). Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell'art. 11 disp. prel., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (cfr. V, 27 settembre 1990, n. 695).

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(segue)

In modo pressochè identico si è espresso:Cons. di Stato sez. V, 5158 del 24 Ottobre 2013.Si apre un nuovo Corso……?E’ presto per dirlo.

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Infatti….

Il secondo motivo fa cattivo uso del principio di irretroattività della legge: l’illecito edilizio è di carattere permanente e deve essere rimosso quando viene accertato. La disciplina sanzionatoria non può che essere quella del momento in cui viene emanato il provvedimento amministrativo. In materia di sanzioni amministrative non vige il divieto di irretroattività, che la Costituzione pone solo per le leggi penali, sicché per determinare la sfera di applicabilità della disciplina sanzionatoria sopravvenuta in materia di infrazione alle norme edilizie deve aversi riguardo non alla data della costruzione abusiva, ma al momento in cui l'amministrazione opera la scelta tra demolizione e sanzione alternativa (TAR E/R Bologna, 2/2015)…...

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Ma il Consiglio di Stato riapre….

Cons. di Stato, sez. VI, 18.05.2015 n. 2512:

Risulta dagli atti, invero, che la differenza tra l’edificio licenziato nel 1958 (licenza edilizia n. 13294 del 1958) e l’edificio realizzato consiste soltanto nella maggiore superficie di mq 3,194 per 2 piani (per un totale di circa mq 6,55 ) e nel fatto che il fabbricato è stato costruito in una posizione leggermente diversa da quanto indicato in linea di massima nel progetto (uno spostamento di circa 45 metri).

Il carattere lieve di tali difformità, anche in considerazione del fatto che nel progetto approvato con la licenza edilizia del 1958 mancavano quote o misure che vincolassero l’esatta localizzazione dell’edificio (essendo presenti solo indicazioni di massima), rende immotivata la qualificazione di tali difformità in termini di variante essenziale e, dunque, di abuso totale.

8. Va, peraltro, rilevato che, anche a ritenere che vincolanti le indicazioni (di massima ) contenute nel progetto approvato relative alla localizzazione dell’edificio, la fattispecie di indebita traslazione della localizzazione dell’edificio sul lotto è stata introdotta solo con l’art. 8 della legge n. 47 del 1985 (oggi trasporto nell’art. 32, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001), in epoca cioè ampiamente successiva rispetto alla realizzazione dell’intervento oggetto del presente giudizio.

9. A ciò deve aggiungersi il notevole lasso temporale trascorso dalla commissione del supposto abuso (risalente alla fine degli anni ’50) e l’adozione del provvedimento di demolizione (avvenuta nel 2010).

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segue

Cons. di Stato, sez. VI, 14.08.2015 n. 3933:

In casi-limite, però, può pervenirsi a considerazioni parzialmente difformi; ciò può avvenire in casi in cui sia pacifico: che l’acquirente ed attuale proprietario del manufatto, destinatario del provvedimento di rimozione non è responsabile dell’abuso; che l’alienazione non sia avvenuta al solo fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi; che tra la realizzazione dell’abuso, il successivo acquisto, e più ancora, l’esercizio da parte dell’autorità dei poteri repressivi sia intercorso un lasso temporale ampio.

In simile evenienza, nel palese stato di buona fede del privato, l’amministrazione deve motivare in ordine alla sussistenza di sì rilevanti esigenze pubblicistiche, tali da far ritenere recessivo lo stato di buona fede dell’attuale proprietario dell’ abuso.

Tale situazione certamente ricorre nel caso di specie.

Possono, infatti, ritenersi documentate o, comunque, incontestate le seguenti circostanze:

- le coperture dei campi da tennis in esame sono state realizzate tra la fine del 1983 e il 1989;

- l’odierna appellante è proprietaria dell’area, destinataria del provvedimento di rimozione, non è responsabile dell’abuso, in quanto le opere contestate sono stare realizzate dal primo affittuario del Circolo Tennis Aeroporto;

- tra la realizzazione dell’abuso e l’esercizio da parte dell’autorità dei potere repressivi è intercorso un arco temporale di oltre vent’anni;

-l’odierna appellate versa rispetto alla realizzazione delle opere abusive in uno stato di buona fede.

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Quindi??

Si può dire che l’ intero Ordinamento, sia a livello di norme (cfr. la recente modifica della L. n. 241/1990 e del potere di autotutela) che a livello giurisprudenziale, sta cominciando a dare maggiore rilievo al principio di tutela del «legittimo affidamento» (vedi anche art. 17 bis).

Il parere del Consiglio di Stato sull’ art. 21 nonies e sul cd. «consolidamento» (dopo 18 mesi) a favore del cittadino.

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Un tema analogo: applicazione retroattiva??

Questione apertissima…..

Per le sanzioni amministrative vige il divieto di applicazione retroattiva?

In modo rozzo: un fatto, lo devo qualificare sulla base delle norme di oggi o sulla base del quadro normativo esistente al momento della commissione del fatto?

Le conseguenze cambiano significativamente!

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Le tesi in campo.

Art. 1 L. 689/1981: Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.

CONTRA: L’ illecito edilizio è un illecito permanente, per cui…

Il tema è fondamentale anche in tema di autorizzazioni paesaggistiche e di «irrigidimento» della disciplina sanzionatoria (divieto di autorizzazione paesaggistica)

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segue

Si consideri inoltre che la legge n. 10 del 1977, all’art. 15 relativo alle sanzioni amministrative da comminare in caso di abusi edilizi, non prevedeva la nozione delle variazioni essenziali e la loro equiparazione alla totale difformità dal titolo (introdotta nell’ordinamento statale dalla legge n. 47 del 1985). Pertanto è da ritenere che nella considerazione della sanabilità delle opere abusive realizzate prima della entrata in vigore della stessa legge n. 10 del 1977 non si debbano utilizzare le soglie che caratterizzano le variazioni essenziali, trattandosi di una disciplina sanzionatoria più gravosa introdotta dalla legislazione statale successiva (principio di irretroattività della disciplina sanzionatoria di cui all’art. 1 della L. 689 del 1981) (Parere Regione PG.2014.421018 del 10 novembre 2014

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«La giurisprudenza della Sezione ha invero già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. 28 febbraio 1985 n. 47 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo, e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (C.d.S., V, 8 aprile 1991, n. 470). Pertanto, le sanzioni amministrative previste dalla legge n. 47 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (V, 12 marzo 1992, n. 214).Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell'art. 11 disp. prel., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (cfr. V, 27 settembre 1990, n. 695)» (Cons. di Stato, sez. IV, 3847/2013)

IDEM Cons. di Stato, sez. V, 5158/2013 e Cons. di Stato, sez. VI, 1057/2014 (in tema di cambio di destinazione d’uso)

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Però…..

TAR Emilia Romagna, Bologna, 59/2012: alla qualificazione del medesimo ai fini della determinazione della sanzione applicabile, essa non può che essere ricercata nella normativa vigente al momento in cui viene adottato il provvedimento repressivo, in virtù del principio “tempus regit actum”: il delineato carattere permanente dell’illecito edilizio non può che comportare infatti, anche, la sua qualificazione alla stregua della disciplina vigente al tempo dell’applicazione della sanzione (o della sanatoria) e la perdurante soggezione dell’abusivista, fino a tale momento, al rischio di sopravvenienze normative aggravanti. Pertanto, nella fattispecie, la definizione normativa della difformità era incontestabilmente rinvenibile nel vigente e richiamato art. 23, comma 1b, L. R. 31/02 ( a prescindere dalle situazioni normative anteriori), che la qualificava quale variazione essenziale in ragione della misura dello scostamento, superiore al 10%, in tal modo rendendola soggetta al regime sanzionatorio di cui all’art. 32 T.U. 380/01, equiparato a quello delle costruzioni senza titolo.

IDEM Tar Bologna, 2/2015:Il secondo motivo fa cattivo uso del principio di irretroattività della legge: l’illecito edilizio è di carattere permanente e deve essere rimosso quando viene accertato. La disciplina sanzionatoria non può che essere quella del momento in cui viene emanato il provvedimento amministrativo.

In materia di sanzioni amministrative non vige il divieto di irretroattività, che la Costituzione pone solo per le leggi penali, sicché per determinare la sfera di applicabilità della disciplina sanzionatoria sopravvenuta in materia di infrazione alle norme edilizie deve aversi riguardo non alla data della costruzione abusiva, ma al momento in cui l'amministrazione opera la scelta tra demolizione e sanzione alternativa; pertanto, la sanzione pecuniaria è applicabile ogniqualvolta, dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria che la prevede, l'amministrazione decide di non procedere alla demolizione di un edificio del quale permanga il carattere abusivo.

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Segue.

Un recente parere del MIBACT

Riguardo a questa alternativa interpretativa occorre tenere doverosamente conto dei principi affermati dalla Corte EDU nell'applicazione dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (ormai incorporata, in uno alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea di Nizza del 7 dicembre 2000, nel Trattato UE, art. 6, comma 1 e considerata dalla Corte costituzionale, dal 2007, norma interposta ai fini del giudizio di costituzionalità ai sensi dell'articolo 117, comma 1, Costituzione). Ebbene, come è noto, la CEDU si va attestando su una nozione sempre più ampia, sostanziale e dilatata di "pena" e di "processo penale", comprensiva, dunque, di molte sanzioni amministrative, in tutti i casi in cui ricorrano i così detti Engel criteria (definiti nella sentenza CEDU 8 agosto 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi; più di recente cfr. le sentenze sez. II, 27 settembre 2011, Menarini c. Italia e 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia), che si riassumono nella qualificazione formale, nella natura intrinseca dell'illecito (ci si riferisce, in particolare, allo scopo afflittivo-deterrente ed al carattere generale) e nel grado di severità della sanzione. La rilevanza di questa giurisprudenza consiste nella conseguenza che la qualificazione di una sanzione amministrativa in termini "penali" determina l'applicazione della disciplina dell'articolo 6 e 7 della CEDU, anche sotto il profilo della sua irretroattività..Peraltro, la mancanza di univocità nella soluzione del tema in esame è confermata dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2015, che ha respinto la questione di costituzionalità dell'art. 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi), sollevata dal Tar Campania, limitandosi a dire - punto 4.1. della motivazione in diritto - che (come da precedenti pronunce in tema di incandidabilità/incompatibilità) la sospensione e la decadenza costituiscono conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento e non sanzioni o effetti penali della condanna,

La delicatezza del tema e la sua oggettiva difficoltà di soluzione non consentono, come anticipato, allo scrivente Ufficio di fornire qui ed ora risposte conclusive, ma suggeriscono la possibilità, che verrà prontamente sottoposta all'attenzione dell'On.le Sig. Ministro, di proporre uno specifico quesito al Consiglio di Stato.

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In tema di «favor rei»??(se la disciplina diventa più favorevole?)

Cons. di Stato, sez. V, 31 marzo 2016 n. 1268.

Ed infatti, l’alinea del comma 2, nel richiamare il rispetto dei presupposti di cui al comma 1, include altresì la previsione secondo cui le disposizioni in tema di attività edilizia libera operano pur sempre nel rispetto “[delle] prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia” (si tratta di prescrizioni e normative che nel caso in esame, per le ragioni già esaminate, non risultano rispettate).

Si osserva inoltre che, quand’anche la novella normativa del 2010 avesse introdotto disposizioni di maggior favore rispetto a quella vigente al momento della realizzazione delle proprie condotte antigiuridiche, l’appellante non potrebbe comunque invocare il principio del favor rei di cui all’articolo 2 cod. pen. (richiamato a pag. 25 dell’atto di appello).

Ciò in quanto, alla luce di un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, in tema di illeciti amministrativi i canoni di legalità, irretroattività e divieto di analogia, di cui all'articolo 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, comportano l'assoggettamento del fatto alla legge del tempo del fatto commesso, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore anche se più favorevole (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, VI, 20 settembre 2012, n. 4992; id., V, 2 dicembre 2011, n. 6365).

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Fabbricati ante ‘67

TAR TOSCANA, 29.05.2014 n. 899:

Come questo Tribunale ha in altre occasioni affermato, ai fini dell'accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati al di fuori dei centri abitati in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la norma primaria sopravvenuta di cui all'art. 31 della L. 1150 del 1942 che ha disciplinato la materia con efficacia cogente su tutto il territorio nazionale introducendo l'obbligo di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati (Cons. Stato, V, 21/10/1998 n. 1514; TAR Toscana, III, 29/01/2009 n. 52, id. 4/02/2011 n. 197).

Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003, la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia edilizia che la Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V) riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in coerenza con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost.

In base ai suddetti principi la delimitazione dei confini fra attività edilizia libera ed attività edilizia soggetta a permesso preventivo spetta alla legge dello Stato e non può, invece, essere frutto di una regolamentazione a macchia di leopardo dettata dai regolamenti dei singoli comuni.

Ne consegue che, una volta sancito da parte del legislatore che l’esercizio dello jus aedificandi è subordinato al rilascio del permesso edilizio solo nell’ambito dei centri abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in quanto contrastanti con la disposizione legislativa letta nel quadro dei sopra menzionati principi costituzionali.

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Ma però…..

TAR Emilia Romagna, Bologna 547/2015: La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, nel prescrivere la

licenza comunale per le costruzioni da eseguirsi nei centri urbani, ha inteso uniformare la previgente disciplina della materia affidata in precedenza ai regolamenti comunali, stabilendo uno standard minimo uniforme per tutto il territorio nazionale, sicché detta disciplina ha innovato le normative più liberali ma non ha per ciò stesso innovato quelle più rigorose, ove ad es. imponessero la licenza anche in altri casi, in particolare per le costruzioni da eseguirsi fuori dei centri abitati (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2008 n. 5141). La circostanza, quindi, che il regolamento edilizio del Comune di Cervia del 1928 richiedesse un titolo abilitativo per le costruzioni riguardanti l’intero territorio comunale (v. art. 9 e segg.) fa sì che detta normativa sia sopravvissuta in parte qua alla sopraggiunta disciplina statale (fino alla novella del 1967), determinando il carattere abusivo delle costruzioni in esame, tutte incontestatamente risalenti agli anni Cinquanta e realizzate senza rispettare la procedura ivi prevista.

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segue

Ad opinione del Collegio, tuttavia, tale articolato regime normativo, che impone l’obbligo di munirsi del titolo abilitativo (da intendersi come licenza edilizia o simile), dovendosi intendere tale dovere in senso ristretto - e cioè laddove espressamente tipizzato e obiettivamente riconoscibile dalla disciplina ratione temporis vigente-, non può rinvenirsi in norma regolamentare quale quella presa in esame dal giudice di primo grado: ed infatti, in disparte la questione della titolarità dell’asserito potere permissivo (perché esercitato dalla Giunta Provinciale, valevole per i Comuni della Provincia di Savona, ma non certo di livello comunale), nei suoi contenuti, prevedeva soltanto un “obbligo di denuncia” al Podestà, sicché pare del tutto irragionevole desumerne la violazione dell’obbligo (operante solo in quanto, appunto, normativamente tipizzato anteriormente alla legge urbanistica del 1942) di munirsi di titolo abilitativo edilizio e sostenere la conseguente afflittiva abusività dei manufatti allora realizzati. (Cons. di Stato, sez. VI, 07 agosto 2015 n. 3899)

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Vigilanza sull’ attività urbanistico – edilizia

La vigilanza è volta a far si che gli interventi rispondano alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi e alle modalità esecutive fissate nei titoli.

I compiti di vigilanza spettano al Dirigente o al Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia, secondo modalità stabilite da Legge, Statuto e regolamenti comunali. Da sempre ci si chiede quale spazio di “discrezionalità” sussista al fine di assicurare “l’ l’ omogeneoomogeneo” esercizio.

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(segue)

Secondo alcuni Autori, sarebbe necessario un piano programmatico della vigilanza, che calendarizzi e localizzi le verifiche, in modo da escludere illecite interferenze. Nelle premesse andrebbe pertanto indicato il “titolo” che è all’origine del sopralluogo. La mancanza di tale indicazione potrebbe assurgere a vizio di legittimità (mancanza di un presupposto di fatto)

Gli agenti di polizia giudiziaria, hanno l’ obbligo di comunicare alla Magistratura penale, alla Regione, allo Sportello unico del Comune e alla Soprintendenza (in caso di beni vincolati) le presunte violazioni.

In genere si tratta di agenti di Polizia Municipale, che – ai sensi della L.65/1986 – hanno anche questa qualifica.

Pubblicazione mensile sull’ albo pretorio on line dei dati

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Segue…

Per riprendere (da altra angolazione) il tema di prima:  TAR Umbria, 205/2012:

“Il trascorrere del tempo non assume alcun rilievo, essendo l'ordine di demolizione di un'opera edilizia priva di titolo sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera: è certamente condivisibile il rilievo secondo cui i provvedimenti sanzionatori non possono essere differiti arbitrariamente, ma devono essere adottati in un ragionevole lasso di tempo, non essendo consentito all'amministrazione di fare o non fare uso, ad libitum, dei poteri ad essa conferiti a tutela della legalità. Ma da questo rilievo potrebbero eventualmente discendere responsabilità, anche risarcitorie, dei funzionari i quali (in ipotesi: pur conoscendo l'esistenza dell'abuso) abbiano omesso di intervenire tempestivamente. Non invece l'ulteriore conseguenza che l'amministrazione possa tacitamente abdicare alle proprie funzioni di vigilanza sulle trasformazioni del territorio (T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 7 dicembre 2010, n. 522)”.

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Responsabilità per omessa vigilanza?

Potrebbe configurarsi violazione dell’ art. 2043 c.c. e responsabilità civile nei confronti del Comune che violi gli obblighi di controllo e di intervento che sul medesimo incombono (fattispecie relativa all’ invio dei tipi di frazionamento a norma dell’ art. 18, comma 5, della L. n. 47/1985) (TAR Calabria, RC, 14.03.2011 n. 181).

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(segue)

In materia edilizia non c'è dubbio che l'art.27 DPR n. 380/01 ponga a carico del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale un obbligo di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, imponendogli di intervenire ogni qualvolta venga accertato l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo o in difformità della normativa urbanistica, attraverso l’emanazione di provvedimenti interdittivi e cautelari (cfr. anche art.31 DPR n.380/01). Egli è quindi certamente titolare di una posizione di garanzia, che gli impone di attivarsi per impedire l'evento dannoso. Nella specie è stata contestata, la condotta commissiva, mediante il rilascio di un permesso di costruire illegittimo (perché in violazione delle norme di attuazione del P.R.G.), e di aver quindi consentito l'esecuzione di lavori ad una distanza dal confine con il fondo limitrofo inferiore a quella consentita. (annulla con rinvio sentenza del 25.11.2009 del Tribunale di Catania) Pres. Ferrua, Est. Amoresano, Ric. Bucolo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud.26/01/2011), Sentenza n. 9281

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Il famigerato art. 40 c.p.

“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla Legge come reato se l’ evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione.

Non impedire un evento che si ha l’ obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”

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La responsabilità della PA: quale Amministrazione?

Secondo la Cassazione, la PA: «non perde tempo, non si balocca e agisce a ragione veduta»; «Qualsiasi PA efficiente ai sensi dell’ art. 97 della Cost. e per i fini di cui all’ art. 1176 c.c. comma 2 non può non conoscere la Legge. Se questa non ammette ignoranza da parte degli amministrati, a fortiori sarà l’ ignoranza della Legge intollerabile in un amministratore». Il termine di paragone non è «una pubblica amministrazione mediocre, ma una pubblica amministrazione efficiente, zelante, solerte e che conosca e applichi la Legge». (cass. 19883/2015)

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Sospensione dei lavori

Si tratta di provvedimento di natura cautelare, che serve a: a) definire la natura dell’ abuso; b) evitare che assuma proporzioni maggiori. Si applica anche alle ipotesi in cui si intenda procedere all’ annullamento

del titolo. Si ha per inosservanza delle norme, prescrizioni degli strumenti

urbanistici e modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi di cui la PA sia venuta a conoscenza nel corso dei controlli o a seguito di denunce o su comunicazione della PG.

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(segue)

E’ atto dovuto (obbligatorio) La sospensione ha effetto «fino all’ esecuzione dei provvedimenti

sanzionatori» (il TU parla di adozione) Se viene “elusa” la sospensione comporta violazione dell’ art. 44, lett. B)

del DPR 380/2001 La sospensione non si applica in caso di “variazioni minori” cioè quelle

modalità esecutive che possono essere leggermente difformi dal progetto approvato e che possono essere autorizzate a «fine lavori»

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(segue)

SUE ne dà comunicazione ai soggetti possibili responsabili dell’ abuso e cioè titolare del titolo, committente, costruttore, direttore lavori , proprietario e (se occorre) progettista.

L’ ordine di sospensione non va preceduto – in genere – dalla comunicazione di avvio (provvedimento tipizzato, vincolato e “urgente”) ed esso stesso vale come “comunicazione di avvio” (art. 7 della L. n. 241/1990) per l’adozione dei provvedimenti sanzionatori.

L’ interessato, perciò è in condizione di “partecipare” al procedimento e anche - secondo una giurisprudenza discutibile – di proporre “accordi” sulle modalità esecutive della sanzione.

Deve però avere i requisiti di cui all’ art. 8 della L. n. 241/1990 (responsabile, oggetto, termine di conclusione, rimedi per l’ inerzia, indicazioni per l’accesso agli atti).

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(segue)

I provvedimenti sanzionatori vengano assunti e comunicati entro 45 giorni

E’ un termine sia a garanzia della PA (per poter decidere con cognizione di causa), ma anche nell’ interesse del cittadino, che evita che sia soggetto all’ accertamento sine die;

E’ chiaramente un termine ordinatorio, il cui decorso non priva la PA del potere di adottare la sanzione .

La sospensione sismica ex art. 97 tu 380/2001.

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I rapporti con la disciplina sismica

I lavori edilizi non possono, in genere, essere iniziati fino a quando non sia stata rilasciata l’ autorizzazione sismica o effettuato il deposito

E’ possibile un inizio dei lavori parziale? (per me no; l’ inizio dei lavori si riferisce al titolo e ha effetti precisi e rilevanti per l’ Ordinamento).

Una “demolizione”, però?? (secondo alcuni si può fare)

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I rapporti con la disciplina sismica

:

L’ art. 97 del TU dell’ Edilizia: la sospensione dei lavori : “l’ ordine di sospensione dei lavori produce i suoi effetti sino alla data in cui la pronuncia dell’ Autorità giudiziaria sia “irrevocabile”.

Proprio in considerazione dei suoi effetti prevalentemente conservativi e prodromici agli ulteriori provvedimenti del giudice penale, l'ordine di sospensione produce effetti, ai sensi dell’art. 22, u.c. l. n. 64/1974 (ora art. 97, co. 4, DPR n. 380/2001), sino alla data in cui la pronuncia dell'autorità giudiziaria diviene irrevocabile. E’ infatti l’autorità penale (e non quella amministrativa) che con il decreto o con la sentenza di condanna “ordina la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità … ovvero impartisce le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle norme stesse, fissando il relativo termine” (art. 23 l. n. 64/1974 ora art. 98, co. 3, DPR n. 380/2001). Che le disposizioni della legge n. 64/1974 siano state inglobate nel t.u. sull’edilizia di cui al DPR n. 380/2011, non implica che le relative sanzioni abbiano perduto l’originaria natura penale né tantomeno che il procedimento previsto per la loro irrogazione abbia acquistato carattere amministrativo

(TAR Umbria, 25.06.2012 n. 245) .

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RILEVAMENTI PERIODICI

La PA promuove e coordina il rilevamento periodico delle trasformazioni del territorio con strumenti aereofotogrammetrici, satellitari, etc…., sia per finalità di vigilanza che per aggiornare le carte regionali.

Il problema è il valore probatorio di detti strumenti, spesso non omologati (presunzione semplice?).

Il fatto che il controllo debba essere periodico potrebbe essere un argomento per valutare in modo diverso gli abusi risalenti nel tempo (legittimo affidamento del cittadino?)

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Responsabilità dei vari soggetti

Il titolare del titolo abilitativo, il committente, il costruttore rispondono della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano e – insieme al direttore dei lavori – del rispetto delle prescrizioni e modalità esecutive stabilite nel titolo.

Essi sono tenuti in solido al pagamento delle sanzioni (sia pecuniarie che per l’esecuzione in danno) se non dimostrano la loro estraneità all’ abuso. Hanno poi possibilità di regresso.

La sanzione però dato che ha natura ripristinatoria e non afflittiva, non può essere applicata in misura piena a ciascuno dei soggetti (Tar Lombardia, Mi, 1397/2007).

Una singolarità è data dal fatto che i soggetti di cui sopra rispondono della conformità alle norme ed al piano anche se c’è stato il rilascio di un titolo abilitativo (e la presunzione di legittimità?). Per la Cass. Penale si è responsabili ugualmente.

C’ è una presunzione di responsabilità, da cui ci si libera dimostrando la propria estraneità o la consegna dell’ opera (es. direttore lavori) in data antecedente.

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Ci si chiede se possano “concorrere” anche altri soggetti: la risposta è positiva (il locatario, il proprietario di macchinari, il pubblico amministratore “connivente”, etc…). Basta che ci sia un contributo “causalmente” significativo e la coscienza e volontà di farlo.

Tema a sé stante: il proprietario, che non viene indicato dalla norma (spesso però ha un’altra qualifica), ma che risponde “in concorso” .

Due tesi: a) risponde solo in presenza di certe circostanze (interesse proprio all’ abuso, rapporti di parentela, presenza in loco, presentazione di sanatoria, fruizione dell’ opera, etc..); b) ha un vero e proprio obbligo di garanzia, per cui spetta a lui la prova liberatoria.

Tar E-R 2205/2007, in tema di responsabilità per mutamento di destinazione d’uso. E’ responsabile il conduttore salvo che non si dimostri il coinvolgimento attivo del proprietario

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(segue)

Il direttore dei lavori: art. 29, 2° comma del TU A lui spetta verificare che l’ opera venga fatta in conformità al progetto

ed alle modalità stabilite. Egli ha perciò una “obbligazione di garanzia” sulle opere di cui si è

assunto la responsabilità tecnica. Per questo ha una veste anche “pubblicistica”, dato che è il primo

soggetto a cui spetta impedire abusi. Ha un ruolo “difficile”! Non incorre in responsabilità se effettua una

specifica contestazione delle violazioni al titolare del permesso, al committente, al costruttore, ma anche al Dirigente o responsabile dell’ Ufficio Tecnico.

Se l’ abuso è grave o prosegue, deve rinunziare all’ incarico, notiziando Dirigente o responsabile dell’ Ufficio Tecnico.

Se non lo fa incorre anche in responsabilità disciplinare (sanzione della sospensione da tre mesi a due anni).

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(segue)

Il progettista viene in rilievo se effettua dichiarazioni non veritiere. In tal caso viene data notizia di ciò alla A.G ed all’ Ordine.

Oggi, deve asseverare la “conformità” a …tutto! Egli risponde, pertanto del reato di cui all’ art. 481 c.p. (falso ideologico dell’ esercente un servizio di pubblica necessità).

La segnalazione va sempre fatta all’ A.G. e va fatta con sollecitudine.E’ prevista anche l’ applicazione di una sanzione (da 2 a 7 mila euro) per il

funzionario dell’ azienda di servizi pubblici che stipuli un contratto di somministrazione su un immobile abusivo. La sanzione viene irrogata dal Comune. Basta la sola sottoscrizione del contratto (no reale fornitura).

Questo anche per ostacolare il rilascio dell’ agibilità.

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Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso.

Il caso di più Direttori dei lavori (D.L. architettonico e D.L. strutturale)

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Prendiamo l’ esempio dell’ inquinamento acustico (normativa assai complessa e discussa con riferimento ai requisiti acustici passivi degli edifici).

Il fulcro del sistema del ragionamento dei Giudici è, spesso, la cosiddetta <asimmetria di informazione>.

Essi ritengono che, nella generalità dei casi, il rapporto fra committente e professionista sia sbilanciato (e da riequilibrare): il primo difficilmente dispone delle nozioni per valutare le competenze del professionista, ed è raramente in grado di controllarne la prestazione.

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Il tema delle competenze

Il progetto redatto da un geometra in un campo esorbitante dalle sue prerogative professionali è e rimane illegittimo, anche se controfirmato o vistato da un ingegnere o anche se un ingegnere esegua calcoli del cemento armato e diriga le relative opere (Cass., 6402/2011) (vedi anche quelle successive!)

TAR Campania, Napoli, 26 giugno 2014 n. 3521 «Tanto basta per escludere – con riferimento ai progetti all’origine degli atti per cui è causa – che possa fondatamente affermarsi la competenza di un geometra a dirigere i lavori del progetto di realizzazione di un fabbricato urbano composto di piano terra, primo piano e sottotetto con strutture portanti in cemento armato, cui si riferisce la nota impugnata prot. 593533 del 29.7.2011, o del progetto per la costruzione di un capannone per attività cinotecnica con annessi uffici e servizi, con strutture e fondazioni in cemento armato, cui si riferisce la nota impugnata prot. 621346 del 9.8.2011, dato che esula dalla competenza dei geometri la progettazione, direzione e vigilanza di costruzioni civili con strutture in cemento armato, qualunque ne sia l’importanza. A non diversa soluzione deve pervenirsi anche per il progetto di realizzazione di un fabbricato rurale con struttura in cemento armato, di cui alla nota impugnata prot. 535689 del 7.7.2011, che consta di una costruzione avente pianta di sei metri per cinque ed una altezza media di quattro metri, con bagno e antibagno.

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Per un verso, infatti, come si è visto, perché sussista la competenza di un geometra, non è sufficiente la natura rurale del manufatto, ma occorre anche che si tratti di piccola costruzione accessoria che per la sua destinazione non possa, comunque, implicare pericolo per l’incolumità delle persone, come, invece, tendenzialmente avviene per le costruzioni comunque destinate ad ospitare persone, sia pure per un limitato lasso temporale.

Per altro e, comunque, decisivo verso, trattandosi di autorizzazioni sismiche, deve rammentarsi che quando l’immobile ricade in zona a rischio sismico acquista uno specifico rilievo, ai fini in esame, l’assoggettabilità di ogni intervento edilizio alla normativa di cui alla richiamata legge n. 64 del 1974 «imponente particolari calcoli, per costante giurisprudenza, esulanti dalle competenze professionali dei geometri» (cfr. Cass., sez. II, 8.4.2009, n. 8543), proprio perché, come si è in precedenza detto, il limite delle loro competenze (richiamato nell’art. 17, co. 2, della stessa legge n. 64 del 1971) è anche nel fatto – a norma dell’art. 16. lett. l), r.d. n. 274 del 1929 cit. – che si tratti di costruzioni che «non richiedono particolari operazioni di calcolo».

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segue

TAR VENETO, SEZ. I - sentenza 3 giugno 2014 n. 743:

«E’ illegittima, per violazione dell’art. 52, comma 2, del R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, l’aggiudicazione di una gara di appalto per l’affidamento di un incarico di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva e direzione lavori per la ristrutturazione di un immobile soggetto a vincolo storico od artistico, in favore di una società professionale il cui legale rappresentante sia un ingegnere piuttosto che un architetto; in tal caso, infatti, difetta in capo all’aggiudicatario, il requisito necessario per la partecipazione alla procedura di evidenza pubblica, consistente nel possesso del titolo di architetto, espressamente previsto dalla suddetta norma, con la conseguente impossibilità di ammettere in gara la medesima società>(V. in arg. da ult. Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 9 gennaio 2014, n. 21 e la recentissima TAR Campania Salerno, 149/2015, in tema di restauro.

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Cons. di Stato, sez. III, n. 2539/2015

Ne deriva che sarebbe illogico non applicare per analogia, anche con riferimento alle costruzioni civili, la facoltà di progettazione, che l’art. 16, lett. l) attribuisce ai geometri, per quanto riguarda l’uso del cemento armato in piccole costruzioni accessorie a quelle rurali ed agli edifici per uso di industrie agricole, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e non implichino per destinazione pericolo per l’incolumità delle persone; il che può esprimersi dicendo che le modeste costruzioni civili non debbono comportare l’impiego di conglomerati cementizi, semplici o armati, in strutture statiche e portanti astrattamente suscettibili di arrecare pericolo all’incolumità delle persone (Cass. civ., Sez. II, 13 gennaio 1984, n. 286; Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 1998, n. 779). In altri termini, anche per le “modeste” costruzioni civili il geometra può progettare, con l’uso del cemento armato, piccole costruzioni accessorie, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e non implichino per destinazione pericolo per l’incolumità delle persone.

Pertanto, se non si può rinunciare alla competenza tecnica in ordine all’effettuazione dei calcoli ed alla direzione dei conseguenti lavori per i conglomerati cementizi, specificamente connessa alla funzionalità statica delle opere in cemento armato, non può, tuttavia, non essere mantenuta in capo al geometra la possibilità di procedere alla semplice progettazione architettonica delle modeste costruzioni civili, evitando nel contempo, però, comportamenti elusivi del combinato disposto delle lett. l) ed m) dell’art. 16 R.D. n. 274 del 1929. In tale prospettiva, che si basa anche sul principio generale della collaborazione tra titolari di diverse competenze professionali, nulla impedisce che la progettazione e direzione dei lavori relativi alle opere in cemento armato sia affidata al tecnico in grado di eseguire i calcoli necessari e di valutare i pericoli per la pubblica incolumità, e che l’attività di progettazione e direzione dei lavori, incentrata sugli aspetti architettonici della “modesta” costruzione civile, sia affidata, invece, al geometra. Non si tratta, quindi, di assicurare la mera presenza di un ingegnere progettista delle opere in cemento armato, che controfirmi o si limiti ad eseguire i calcoli (Cass. civ., Sez. II, 2 settembre 2011, n. 18038). Il professionista, che svolge la progettazione con l’uso del cemento armato, deve pertanto essere competente a progettare e ad assumersi la responsabilità del segmento del progetto complessivo riferito alle opere in cemento armato (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18 aprile 2013, n. 361, ed implicitamente TAR Marche, Ancona, 11 luglio 2013, n. 559), nel senso appunto che l’incarico non può essere affidato al geometra, che si avvarrà della collaborazione dell’ingegnere, ma deve essere sin dall’inizio affidato anche a quest’ultimo per la parte di sua competenza e sotto la sua responsabilità (Cass. Civ. Sez. II, 30 agosto 2013, n. 19989).

Quanto, invece, alle fonti normative riguardanti la formazione del geometra, va rilevato come la costante giurisprudenza ne abbia affermato l’assoluta inidoneità a giustificare una competenza professionale, che attiene a calcoli complessi, i quali, specie nelle zone sismiche, attengono ad un gioco di spinte e controspinte ed all’ipotizzazione di sollecitazioni, che esulano dalla specifica preparazione dei geometri.

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TAR Campania, Salerno, 09.10.2015 n. 2167

Gli artt. 51 e 52, R. D. 23 ottobre 1925 n. 2537, confermato nella sua piena vigenza e nel suo contenuto dall’art. 1 comma 2, d. lg. 27 gennaio 1992 n. 129 (di attuazione, tra l’altro, della direttiva Cee n. 384/85), riservano alla comune competenza di architetti e ingegneri le sole opere di edilizia civile, mentre rimane riservata alla competenza generale degli ingegneri la progettazione di costruzioni stradali, opere igienico –sanitarie, impianti elettrici, < opere idrauliche >, operazioni di estimo, estrazione di materiali, opere industriali” (T. A. R. Puglia – Lecce, Sez. II, 31/05/2013, n. 1270); “In relazione all’ampiezza delle competenze riconosciute, rispettivamente, agli ingegneri e agli architetti ai sensi del combinato disposto degli art. 51 e 52 del r. d.23 ottobre 1925, n. 2537 (“Approvazione del regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto”), valorizzando il discrimine tra le due professioni di architetto e di ingegnere, va preferita una lettura riduttiva del concetto di applicazione delle leggi della fisica, sulla ovvia considerazione che, in una lettura ampia, qualsiasi tipo di manufatto dovrebbe esservi considerato. Sono quindi esclusivo appannaggio della professione di ingegnere solo le opere di carattere più marcatamente tecnico – scientifico (ad esempio < le opere di ingegneria idraulica >, < di ammodernamento e ampliamento della rete idrica comunale>)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 15/03/2013, n. 1550); “È illegittima la deliberazione con la quale la Giunta municipale ha affidato l’incarico per la redazione del progetto per il recupero, risanamento e potenziamento della rete di distribuzione idrica ad un architetto e non già ad un ingegnere, essendo tale affidamento riconducibile nell’ambito delle opere di ingegneria idraulica che, ai sensi degli articoli 51 e 54, r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, va considerata testualmente esclusa dalla competenza degli architetti” (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 9/04/2008, n. 354); “A norma degli artt. 52 e 54, R. D. 23 ottobre 1925 n. 2537, le opere fognarie e le opere viarie non rientrano nell’ambito delle competenze professionali degli architetti, atteso che tali opere non possono essere ricondotte al novero di quelle “di edilizia civile” (Cons. giust. amm. Sicilia, 28/07/1992, n. 217).

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Aree inedificabili soggette a tutela

Se lo SUE accerta l’ inizio o l’esecuzione di lavori in assenza di titolo o in difformità dallo stesso su aree inedificabili ex lege (fasce di rispetto, vincolo cimiteriale, zone di tutela corpi idrici, etc…) o su destinate a opere o spazi pubblici o ad interventi ERP, ordina l’ immediata sospensione, poi ingiunge la demolizione entro 90 gg.

Sempre misura “ripristinatoria”, anche se il titolo che manca è la SCIA (particolare rigore!).

Se la demolizione non viene fatta, l’acquisizione e la successiva demolizione spettano all’ Autorità preposta alla tutela del vincolo. In caso di pluralità di vincoli spetta al Comune.

Non c’è la possibilità di “conservazione” perché l’ opera deve andare giù!

Ovviamente restano salvi i poteri di autotutela “demaniale”.

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Tre ipotesi: 1) interventi su edifici vincolati come “bene culturale” (1° comma): se si accerta l ‘inizio o l’ esecuzione di opere senza titolo o in difformità dallo stesso, lo SUE ordina la sospensione e irroga una sanzione pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro. Poi la palla passa al Min BC che assume le determinazioni di cui all’ art. 160 del D. Lgs. N. 42/2004 (misure rispristinatorie reali). Il potere cautelare del Comune “concorre” con quello della Soprintendenza, che anzi può intervenire anche prima della verifica dell’ interesse culturale (art. 28, 2° ). In questo caso la sanzione pecuniaria ha natura meramente “afflittiva”.

La seconda ipotesi è l’intervento su edifici “classificati” da strumenti urbanistici. Sono gli edifici per i quali il piano prescrive le note tipologie di intervento (restauro scientifico, ripristino tipologico, etc…). Qui lo scopo è il ripristino dello <status quo ante>. Questo avviene su parere della CQAP e secondo “criteri e modalità” diretti a ricostituire l’ originario organismo edilizio

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C’ è poi l’ipotesi in cui a causa della compromissione del bene, il ripristino non sia possibile (abuso con effetti irreversibili). La legge prevede: a) la richiesta dell’ interessati; b) una sanzione pari al doppio dell’ aumento di valore dell’ immobile conseguente alla realizzazione delle opere;c) la prescrizione di opere che rendano consono l’intervento al contesto ambientale.

Ci vuole una Relazione tecnica dell’ Ufficio che accerti l’ impossibilità del ripristino (principio di adeguatezza e proporzionalità). Lo SUE si pronuncia entro 90 gg. dopo di che la richiesta si intende rifiutata. Si discute su quale sia l’ambito di applicazione di questa norma. Il bene deve essere “compromesso” ma fisicamente esistente o si può applicare anche a beni totalmente rasi al suolo??

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Secondo alcuni il “doppio dell’ aumento di valore” sarebbe solo l’utile ritratto dalla violazione del vincolo. Per altri, invece, è il nuovo valore del bene (cioè il fatto che ricostruisco ciò che non potrei ricostruire…!)

Infine (3° comma) per gli interventi su edifici oggetti di vincolo paesaggistico. Qui, dato che spetta al Comune la gestione del vincolo, lo SUE, acquisito il parere della CQAP, adotta i provvedimenti ai sensi dell’ art. 167 del D. Lgs. N. 42/2002 oltre alla solita sanzione pecuniaria afflittiva (2.000 / 20.000 euro).

Ciò significa che ci sarà un ordine di ripristino o una sanzione pecuniaria (la vecchia sanzione di cui all’ art. 15 della L. n. 1497/1939) corrispondente al maggior importo tra danno arrecato e profitto conseguito, determinata con perizia di stima (per alcuni, questa dovrebbe essere effettuata in contraddittorio dalla Commissione Provinciale).

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TAR E/R Bo 858/20124: una piccola soddisfazione….

«La giurisprudenza, anche di questo T.A.R. (es. TAR Emilia Romagna 259/04, Cons. Stato V 819/96, 938/99, 1610/00) ha da tempo chiarito che l’intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione fedele dell’immobile, vincolato a restauro e risanamento conservativo, non realizza una difformità parziale dal titolo bensì una difformità totale, cioè è totalmente e non parzialmente abusivo.

Ove ne sia possibile la sanatoria ex art. 10/2° c. L.R. 23/04, ricorrendone le condizioni, la sanzione deve quindi essere parametrata all’intero vantaggio patrimoniale conseguente all’abuso, che non può non comprendere il valore della potenzialità edificatoria con il medesimo acquistata ed è stato illegittimamente limitato, invece, al risparmio sui costi di costruzione, in violazione dell’art. 10/2° c. della L.R. 23/04.

In altre parole, la erronea tesi ricorrente presuppone che il vantaggio patrimoniale correlato alla complessiva operazione sia la differenza tra il suo costo e quello torico del restauro/risanamento, ma il presupposto applicativo, in fatto e in diritto, della seconda parte della disposizione (il secondo periodo del comma 2 dell’art. 10 L.R. 23/04) è proprio l’impossibilità pratica di tale intervento (a causa del crollo) e della restituzione in pristino (“a causa della compromissione del bene tutelato”), così che l’arricchimento conseguito all’abuso e alla sanatoria non va rapportato per differenza al costo teorico del restauro/risanamento (la cui stessa fattibilità escluderebbe ogni diversa opzione), bensì al valore reale dell’immobile allo stato precedente, che non consentiva in fatto, come in effetti non ha consentito, alcuna attività edilizia legittima, cioè in sostanza alcuna utilizzazione legittima»

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Un grande classico….

La demolizione accidentale (TAR E/R Bo, 647/2013):

ogni titolo edilizio ha carattere unitario e, pertanto, autorizza la realizzazione di quanto in esso previsto nella sua interezza.

Una volta intervenuta la demolizione dell’intero fabbricato, in contrasto con quanto prescritto dal titolo edilizio (D.I.A. del 22 aprile 2011, prot. 8795) quest’ultimo perde efficacia per l’intero. (…)

Una volta venuta meno la costruzione preesistente, non importa se per effetto di un crollo accidentale o programmato in corso di esecuzione lavori, il titolo in precedenza ottenuto perde automaticamente effetto in toto, venendone meno il presupposto fattuale, anche per quanto concerne l’ampliamento.

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Il grande tema della “conformità”…….

La particolare disciplina dell'attività edilizia libera, contemplata dall'articolo 6 D.P.R. 380/01 come modificato dall'articolo 5, comma secondo Legge 73/2010, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle categorie menzionate da tale disposizione, siano in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici. Nella specie, la realizzazione dei piazzali, da adibire ad area di sosta e parcheggio a servizio dell'attività commerciale è avvenuta in area classificata dallo strumento urbanistico come zona agricola E in contrasto con la destinazione urbanistica dell'area”. Essa prosegue affermando che “dovranno pertanto essere esclusi dall’applicazione di tale particolare regime di favore tutti gli interventi eseguiti in contrasto con le disposizioni precettive degli strumenti urbanistici comunali ed in violazione della normativa di settore che abbia comunque rilevanza nell’ ambito dell’ edilizia”. (Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 maggio 2011, n. 19316).

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Segue.

Cons. di Stato, sez. VI, 2873/2013: L'art. 37, comma 1, d.P.R.

n. 380/2001, dispone che “la realizzazione di interventi edilizi di cui all'articolo 22 (del medesimo d.P.R.), in assenza o in difformità dalla denuncia d’inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”. L’art. 22, d.P.R. n. 380/2001, in precedenza richiamato ed intitolato “interventi subordinati a denuncia di inizio attività”, prevede invece, al comma 1, che siano assentibili con d.i.a. gli interventi edilizi non riconducili all'elenco di cui agli artt. 6 e 10, d.P.R. n. 380/2001 e, al comma 2, che “sono altresì sottoposte a denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”. Ne deriva che dal combinato disposto dei citati articoli l'applicabilità della sanzione pecuniaria è limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia d’inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti. (…) Da quanto esposto discende, quindi, che, essendo l’intervento posto in essere dall’appellante non conforme agli strumenti urbanistici vigenti per la zona ove ricade il manufatto, non poteva trovare applicazione nel caso di specie la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, ma solo la più grave sanzione demolitoria.

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Segue…

TAR Lombardia, Milano, 2467/2012: L’abusiva realizzazione di un mutamento di destinazione d'uso che non sia conforme alle previsioni

urbanistiche è, difatti, sanzionata con la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi dall’art. 31 d.P.R. n. 380/2001, in quanto intervento eseguito in assenza di permesso di costruire.

Né un tale permesso potrebbe comunque essere rilasciato, stante l’assenza di conformità con le destinazioni di zona.

La l. reg. Lombardia n. 12/2005 non incide su tale previsione: l’art. 52, c. 2 esclude, difatti, la necessità del permesso di costruire ed assoggetta a preventiva comunicazione dell'interessato unicamente i mutamenti di destinazione d'uso di immobili non comportanti la realizzazione di opere edilizie “che siano conformi alle previsioni urbanistiche comunali”.

La previsione di cui all’art. 53, c. 2, l. reg. Lombardia n. 12/2005 non può quindi essere interpretata, come vorrebbe la ricorrente, quale norma di sanatoria, pena la sua incostituzionalità, per contrasto con i principi dettati dal testo unico dell’edilizia.

Essa deve essere quindi intesa quale sanzione aggiuntiva a quella ripristinatoria prevista dall’art. 31, d.P.R. n. 380/2001.

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segue

Tar E/R Parma 82/2015: l’ art. 27 del DPR 380 prevede che in caso di non conformità la sanzione prevista sia la demolizione e il ripristino;

Idem: Cons. di Stato sez. V, 5646/2015 in tema di MDU non consentiti;

Cass. Penale, 38139/2015: La DIA realizza solo una semplificazione procedurale, ma richiede sempre la conformità, che, non a caso, infatti deve essere asseverata;

IDEM Cass. Penale, 952/2015.

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L’ accertamento di conformità

Due ipotesi: accertamento di conformità e cd. “sanatoria giurisprudenziale”. Molti dubbi sulla sua legittimità costituzionale!

L’ art. 16 dice che la richiesta si intende respinta dopo 60 gg. La tesi a favore: a ) la sanzione non è afflittiva, ma ripristinatoria; b) primato della

pianificazione sul titolo formale. L’ accertamento di conformità è uguale al TU, dato la valenza anche penale. Per determinare fino a quando può essere richiesto , si prevede che ciò sia possibile “fino

all’ irrogazione delle sanzioni” significa il verbale dell’ accertamento dell’ inottemperanza. Da questo momento, non è più possibile presentare la sanatoria.

Ci si chiede se possa applicarsi all’ ipotesi in cui sia necessario uno strumento attuativo. La giurisprudenza del Consiglio di Stato (5832/2002) lo ha ammesso anche in questa ipotesi (idem TAR veneto 2006). Di recente TAR E/R Bologna, n. 220/2015

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(segue)

Secondo l’ orientamento giurisp prevalente, il decorso del termine (60 gg) non priva l’ Amministrazione del potere di decidere e il privato potrebbe agire con lo speciale “rito del silenzio” davanti al TAR.

Ci si chiede se sia ammissibile una sanabilità “parziale” e una sanabilità “con prescrizioni”. A stretto rigore la risposta dovrebbe essere negativa (non c’è conformità). In realtà la giurisprudenza ha ammesso anche la possibilità di stipulare accordi integrativi (art. 11 della L. n. 241/1990) (Cons. di Stato, 6344/2007). In effetti, se si considera che le finalità non sono sanzionatorie, ma di ripristinare l’ interesse pubblico leso (come si ammette per la sanatoria giurisprudenziale) non si vedono ragioni sostanziali per escludere tali ipotesi, che – tra l’ altro – evitano conflitti con i privati.

La Cass. penale sez. III, 10.06.2015 n. 24583 lo esclude in modo tassativo.

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(segue)

TAR Umbria, PG, 296/2011: Quanto poi alla reiterazione dell’istanza di sanatoria, questo Tribunale Amministrativo ha ritenuto che, una volta intervenuta la pronuncia sulla prima istanza di sanatoria, l’Amministrazione è tenuta a provvedere su eventuali ulteriori istanze soltanto laddove l’interessato prospetti una soluzione atta (anche attraverso le opportune modifiche progettuali ed i conseguenti interventi di parziale ripristino) a rendere l’opera abusiva pienamente conforme alle prescrizioni vigenti; al contrario, la presentazione di un’istanza che si dimostri insufficiente alla luce dei parametri urbanistico-edilizi la cui violazione era stata rappresentata con il primo diniego, non comporterà l’obbligo di provvedere (cfr. T.A.R. Umbria, 8 luglio 2002, n. 505, ed anche 20 gennaio 2010, n. 14).

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(segue)

TAR Sardegna, n. 914/2011: Gli articoli su indicati, nella parte in cui richiedono per la sanatoria delle opere eseguite senza concessione e con varianti non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di accertamento di conformità, sono disposizioni contro l'inerzia dell'amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda (cfr. Cons. Stato sez. VI, 7.5.2009 n. 2835 e sez V, 21.10.2003 n. 6498).

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No alla sanatoria giurisprudenziale

Corte Cost. 101/2013: è una scelta precisa del Legislatore, con finalità di natura preventiva e deterrente.

Cons. di Stato 3072/2013: In merito poi alla possibilità che la parte possa eventualmente ricostruire lo stesso immobile in modo non solo per dimensioni, ma anche per funzioni conforme al titolo, occorre evidenziare come l’argomento fondamentalmente miri a riproporre ragioni assimilabili a quelle utilizzate nell’ambito della teorica della cd. sanatoria giurisprudenziale, di matrice appunto pretoria, ossia di quel tentativo di mitigare la rigorosa applicazione della disciplina sanzionatoria edilizia per cui si sono ritenuti sanabili anche gli interventi edilizi abusivi conformi solo alla normativa urbanistica sopravvenuta e non a quella vigente al momento del fatto.

Va tuttavia evidenziato, da un lato, come la detta ricostruzione sia stata superata dalla giurisprudenza, anche alla luce del chiaro disposto normativo (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2012 n. 3961; e soprattutto, Consiglio di Stato, sez. IV, 26 aprile 2006 n. 2306 che evidenzia le ragioni del superamento sulla base della formulazione dell'art. 36 t.u. dell'edilizia che non ha recepito, nonostante l'auspicio in tal senso espresso nel parere del 29 marzo 2001 della Adunanza generale del Consiglio di Stato, l'orientamento giurisprudenziale in questione) e, dall’altro, nel caso in specie si assiste ad un contrasto con la disciplina applicabile in zona, e quindi non vi è nemmeno la situazione di un mutamento dello strumento urbanistico favorevole alla parte privata.

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