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1 Appunti dalle lezioni di Elettronica per le Radiofrequenze Bruno Neri

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1

Appunti dalle lezioni di

Elettronica per le Radiofrequenze

Bruno Neri

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2

Premessa

La presente edizione contiene, in forma di bozza, gli appunti tratti dal corso di Elettronica per le

Radiofrequenze da me tenuto per circa dieci anni nell’ambito del Corso di Laurea in Ingegneria

Elettronica. Si tratta di una formulazione preliminare che necessita certamente di una profonda

revisione sia dal punto di vista dei contenuti che da quello della veste editoriale. Ho preferito

procedere ad una stampa in questa forma non definitiva per due motivi principali: il primo consiste

nel fatto che desideravo onorare l’impegno preso con gli studenti dell’A.A. 2008/2009 a produrre

un testo, sia pure preliminare, prima dell’inizio della stagione degli esami; il secondo discende dal

fatto che il corso verrà tenuto nella forma attuale ancora solo per un anno a causa dell’avvento del

nuovo ordinamento dei Corsi di Studi in Ingegneria Elettronica che nell’AA 2010/2011 si estenderà

anche alla Laurea Magistrale. Pertanto: ora o mai più. E allora, in attesa di riunire e riorganizzare

il materiale didattico prodotto in questi anni per i corsi di Elettronica per le Radiofrequenze,

Circuiti Integrati a Microonde, Elettronica dei Sistemi Mobili di Telecomunicazione al fine di

renderlo idoneo e funzionale al nuovo ordinamento, mi è sembrato opportuno cominciare a dargli

forma “leggibile” per gli studenti sia per avere una prima base su cui lavorare, sia per accogliere

suggerimenti, critiche, richieste di modifiche e integrazioni. Questi appunti rappresentano, quindi,

il primo passo di questo lavoro che richiederà certamente diversi mesi per essere condotto a

termine. Invito, pertanto, tutti coloro che, trovandosi a leggere queste poche pagine, lo ritenessero

opportuno, a farmi pervenire le loro critiche, osservazioni e segnalazioni.

Un ringraziamento ed un riconoscimento particolare sono dovuti a due ex studenti del corso che mi

hanno dato una mano riversando in formato elettronico con attenzione e competenza gli appunti

presi a lezione: l’Ing. Martina Mincica per i Capitoli 1, 2, 3, 4, 6 e l’Ing. Alessandro Fonte per il

Capitolo 5.

Bruno Neri

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Introduzione

I sistemi a radiofrequenza, tipicamente sistemi di ricetrasmissione dell’informazione, operano in un

campo di frequenze molto esteso (oltre 6 decadi) che va da alcune decine di Kilohertz (KHz) fino a

diverse decine di Gigahertz (GHz). L’allocazione delle diverse applicazioni e servizi in un

particolare range di frequenza, oltre che da motivi di carattere “storico”, dipende, ovviamente, da

considerazioni di carattere tecnologico. Mentre le applicazioni più datate, come, ad esempio, la

radiodiffusione in modulazione di ampiezza, hanno occupato fin dall’inizio, anche per motivi legati

alla disponibilità di componentistica attiva e passiva, il range di frequenze più basso (fino a qualche

decina di Megahertz (MHz)) le applicazioni più recenti (telefonia mobile, Wireless Local Area

Network (WLAN)) occupano la parte alta del range delle radiofrequenze (dal GHz in su).

Applicazioni ormai in stato avanzato di studio e sperimentazione (come , ad esempio, i radar

anticollisione per autoveicoli) andranno ad occupare intervalli di frequenza appositamente allocati

nel range delle decine di GHz e presto conosceranno una diffusione capillare simile a quella che ha

caratterizzato in questi anni la telefonia cellulare. Tutto ciò è reso possibile dagli straordinari

sviluppi che ha subito la tecnologia dei semiconduttori (silicio in particolare) dall’inizio degli anni

‘90 e che ha portato, in pochissimo tempo, a disporre di componenti attivi integrati a basso costo

(bipolari e MOS) con frequenze di transizione superiori al centinaio di GHz. E’ questo certamente

uno dei fenomeni che più pesantemente hanno caratterizzato l’evoluzione della tecnologia e, di

riscontro, del costume nell’ultima decade. E’ nata e si è rapidamente ampliata una nuova branca

dell’elettronica e delle telecomunicazioni che viene ormai universalmente individuata con un

neologismo entrato di forza in quasi tutte le lingue “WIRELESS”.

Tali sistemi hanno la funzione di trasferire a distanza, in modalità wireless, ovvero “senza fili”,

l’informazione, codificata attraverso una grandezza fisica s(t) variabile nel tempo.

Il campo delle radiofrequenze è quello delle frequenze di interesse per i collegamenti radio e si

estende da qualche decina di kilohertz fino alle centinaia di gigahertz. La parte superiore di questo

intervallo di frequenze, tipicamente quella all’interno della quale le lunghezze d’onda sono

confrontabili con le dimensioni dei componenti e dei circuiti utilizzati, è quella delle Microonde.

Con la riduzione e la miniaturizzazione l’estremo inferiore del campo delle microonde si è spostato

negli anni da qualche centinaio di megahertz (lunghezza d’onda nel range dei metri) a qualche

gigahertz (lunghezza d’onda di qualche decina di centimetri). In testi di qualche anno fa si parla di

microonde già al di sopra dei 300MHz. In Fig. 1.1a è rappresentato l’asse delle frequenze con la

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denominazione convenzionale delle diverse gamme di frequenza, mentre in Fig. 1.1b sono

rappresentate le lunghezze d’onda corrispondenti.

30KHz 300KHz 3MHz 30MHz 300MHz 3GHz 30GHz

f

LF MF HF VHF UHF (SHF) (EHF)

Fig. 1a

λ 1Km 100m 10m 1m 10cm 1cm

Fig. 1b

LF: low-frequency

MF: medium-frequency

HF: high-frequency

VHF: very high-frequency

UHF: ultra high-frequency

SHF: super high-frequency

EHF: extra high-frequency

Come è noto la frequenza f e la lunghezza d’onda λ sono legate dalla relazione f

v=λ dove v è la

velocità della luce nel mezzo di propagazione del fenomeno. Considerando onde che viaggiano nel

vuoto (v = 3·108 m/s), otteniamo che a 300 MHz corrispondono onde con λ = 1m ecc. come

rappresentato in Fig. 1.1b

Fino agli anni ’60 le dimensioni tipiche dei circuiti e dei componenti elettronici erano di qualche

centimetro perciò si parlava di microonde per λ< 1 m. Al giorno d’oggi le dimensioni dei dispositivi

si sono molto ridotte. Per dispositivi integrati le zone attive sono addirittura dell’ordine del µm.

Comunque le dimensioni di un circuito integrato dipendono in definitiva dal package che sarà di

qualche mm fino a qualche cm. Per questo motivo si comincia a parlare di microonde con frequenze

superiori ad alcuni GHz.

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Obiettivo del Corso di Elettronica per la Radiofrequenze è la descrizione dei principi di

funzionamento, dei circuiti e delle architetture, dei sistemi di radiocomunicazione. I sistemi di

radiocomunicazione servono, come già detto, a trasferire un’informazione a distanza senza fili.

L’informazione, nella sua accezione più generale, è rappresentata da una grandezza fisica s(t) che

varia in funzione del tempo. Tale grandezza, prima di essere trasmessa a distanza mediante le onde

elettromagnetiche, deve subire una serie di elaborazioni che la rendono idonea alla trasmissione.

Innanzi tutto è necessario trasformare la grandezza fisica in un segnale elettrico. Questa funzione

viene assolta dal blocco denominato trasduttore.

Tipicamente il segnale elettrico e(t) in banda base è contenuto in un range frequenziale che va da da

qualche Hz a qualche MHz. Un segnale a queste frequenze non è adatto ad essere trasmesso a

distanza in quanto sarebbero necessarie antenne di dimensioni paragonabili o maggiori alla

lunghezza d’onda e quindi di diverse decine di metri. Il segnale elettrico viene perciò “traslato” a

frequenze maggiori “mescolandolo” con un segnale a radiofrequenza del quale modulerà la fase,

l’ampiezza o ambedue. Questa operazione viene effettuata da un sottosistema denominato

“modulatore”. Prima di arrivare all’antenna che trasmetterà il segnale modulato è necessario

amplificarlo adeguatamente. A seconda delle applicazioni il segnale trasmesso avrà una potenza che

potrà variare da poche decine di milliwatt fino a diverse centinaia di kilowatt ed oltre. In Fig. 1.2 è

rappresentata questa parte del trasmettitore. L’oscillatore locale genera la portante a radiofrequenza

da “mescolare” al segnale in banda base.

mixer antenna TX antenna RX

Fig. 2

Trasduttore s(t)

Modulatore Power Amplifier

Oscillatore Locale

e(t)

e(t)

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Il segnale trasmesso raggiunge il ricevitore con una potenza molto inferiore a quella di trasmissione

a causa dell’attenuazione geometrica e delle perdite nel mezzo di trasmissione. In alcuni casi il

segnale ricevuto avrà una potenza di poche decine di femtowatt (1fW= 10-15 W): tanto basta ad

ottenere una ricezione intelligibile, ovvero ad essere in grado di ricostruire l’informazione trasmessa

con una probabilità di errore accettabile.

L’antenna si presenta come un generatore di segnale (il segnale ricevuto) con una impedenza

interna (l’impedenza di antenna) in ingresso ad un amplificatore a basso rumore.

Il primo blocco attivo in ricezione è perciò un amplificatore a radiofrequenza a basso rumore.

Il segnale amplificato, che è ancora un segnale modulato a radiofrequenza, è adesso abbastanza

“robusto” da essere elaborato dal blocco successivo che ha la funzione di riportarlo in banda-base

(eventualmente dopo una o più traslazioni in basso in frequenza). Questa operazione avviene

all’interno del demodulatore in Fig. 1.3

Fig. 3

Dopo un’elaborazione in banda-base il segnale può esser eventualmente riportato nella forma della

grandezza di origine.

Fig. 4

Nel sistema di radiocomunicazione vi saranno parti a radiofrequenza ed altre in banda base (queste

ultime, in genere, dedicate all’elaborazione digitale del segnale).

In questo corso ci occuperemo esclusivamente delle parti a radiofrequenza e di quelle che

immediatamente le precedono e seguono nella catena di rice-trasmissione, ovvero i modulatori e i

demodulatori, come indicato in Fig. 5.

Demodulatore

O.L.

e’(t)

Elaborazione banda-base

Trasduttore s’(t)

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Fig. 5

TRASD. s(t)

MOD PA LNA DEMOD Elab

Radiofrequenze

TRASD

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Capitolo 1

Amplificatori a radiofrequenza

Il primo blocco attivo di un sistema di ricezione è l’amplificatore di antenna che, essendo sempre un

amplificatore a basso rumore, viene solitamente indicato con l’acronimo LNA (Low Noise

Amplifier). Si tratta di un amplificatore che lavora con un range dinamico (rapporto tra la potenza

del massimo segnale amplificabile con basse distorsioni e quella del minimo segnale intelligibile)

molto ampio (anche maggiore di 100 dB) introducendo, al contempo, il minor contributo possibile

al rumore.

La principale caratteristica di un amplificatore è la capacità di introdurre un guadagno di potenza

significativamente maggiore di 1. Gli amplificatori a radiofrequenza sono caratterizzati da guadagni

di potenza generalmente compresi tra 15 e 25 dB.

1.1 Caratterizzazione dei quadripoli

In generale può essere visto come un quadripolo (sistema a due porte), di fatto un terminale di

ingresso e uno di uscita sono spesso collegati a massa quindi si riduce ad un tripolo in cui la porta di

ingresso e quella di uscita hanno un nodo a comune.

Si può dimostrare che bastano 4 parametri per caratterizzare un tripolo. Un esempio tipico è la

caratterizzazione mediante i parametri h definiti dal sistema di equazioni:

LNA vi(t) vu(t)

Power

R

tVtP

)()(

2

=

R

P(t)

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9

⋅+⋅=

⋅+⋅=

212

211

vhihi

vhihv

of

ri

I parametri ha sono ricavabili dalle seguenti definizioni operative

01

1

2 =

=v

ii

vh = [Ω]

02

1

1=

=i

rv

vh : adimensionale

02

2

2 =

=v

fv

ih : adimensionale

02

2

1 =

=i

ov

ih = [Ω-1]

Questi parametri sono detti ibridi perché non hanno tutti la stessa dimensione. Per misurarli si

devono realizzare sia cortocircuiti (v = 0) che circuiti aperti (i = 0).

I set di parametri possibili sono molteplici : h, z, y, s, ABCD. La scelta si fa sia in base alle modalità

operative di misura, che possono risultare più o meno “comode” a seconda della frequenza di

lavoro, sia in base alla potenzialità messe a disposizione del progettista da ciascun set di parametri.

Anche queste potenzialità dipendono dalla frequenza e dalla specificità degli obiettivi che il

progetto deve conseguire.

Ad esempio un circuito aperto in bassa frequenza è facilmente ottenibile “tagliando” un filo di

connessione o una pista. In realtà, i due monconi a distanza limitata tra loro rappresentano una

capacità, ovvero una reattanza che, ad alte frequenze, fa si che i due fili non possono più essere

considerati un circuito aperto.

1pF @ 1GHz costituisce una reattanza pari a Ω≅⋅⋅ −

16010102

1129π

Operativamente in alta frequenza un circuito aperto è difficilmente realizzabile.

+ v1 _

+ v2

_

i1 i2

=

of

ri

hh

hhH

matrice a parametri

ibridi

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Un circuito chiuso può a sua volta introdurre un’induttanza. Qualche mm di filo corrisponde a

un’induttanza dell’ordine del nano Henry, ovvero una reattanza di alcuni ohm nel range delle

microonde.

1nH @ 1GHz costituisce una reattanza pari a Ω≅⋅⋅ − 28.610102 99π

A frequenze molto elevate anche i cortocircuiti diventano difficilmente realizzabili.

Nel campo delle radiofrequenze il set di parametri più utilizzato in passato è stato quello dei

parametri Y che, negli ultimi anni, ha ceduto il passo ad un altro set di parametri: i parametri S

utilizzati estensivamente nel campo delle microonde. Per facilitare l’approccio ad una disciplina

abbastanza specifica come quella della progettazione a radiofrequenza e microonde, si utilizzerà nel

seguito il set di parametri Y che, per la sua “somiglianza” con altri set di parametri utilizzati in corsi

di base (parametri h e Z, per esempio) permette una più immediata comprensione e facilità di

utilizzo.

1.1.1 Parametri Y

I parametri Y mettono in relazione le correnti di ingresso e uscita con le rispettive tensioni.

⋅+⋅=

⋅+⋅=

212

211

vyvyi

vyvyi

OF

RI

=

OF

RI

yy

yyY : [Ω-1] si tratta di ammettenze

Definizioni operative:

01

1

2 =

=v

Iv

iy

02

1

1 =

=v

Rv

iy

01

2

2 =

=v

Fv

iy

02

2

1 =

=v

Ov

iy

Per misurarli si realizzano solo cortocircuiti.

I parametri Y sono i duali dei parametri Z.

⋅+⋅=

⋅+⋅=

212

211

izizv

izizv

OF

RI

=

OF

RI

zz

zzZ : [Ω] si tratta di impedenze

In questo corso ci concentreremo sull’uso dei parametri Y.

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I pedici stanno per:

I: input relativo al rapporto tra grandezze in ingresso

O: output relativo al rapporto tra grandezze in uscita

F: forward relativo all’effetto dell’ingresso sull’uscita

R: reverse relativo all’effetto dell’uscita sull’ingresso

Esempi di calcolo di parametri Y

Nel seguito sono riportati alcuni esempi di calcolo di parametri Y.

Es:

01

1

2 =

=v

Iv

iy =Yx

01

2

2 =

=v

Fv

iy =-Yx )(

0122 =

−=v

ii

Il quadripolo è simmetrico. yo=yi yr=yf

Il fatto che il quadripolo sia simmetrico equivale a dire che le due porte possono essere scambiate.

Cosa diversa è l’essere la matrice delle ammettenze simmetrica rispetto alla diagonale principale.

Ciò accade per tutte le reti reciproche: lo sono certamente le reti costituite da resistenze, induttanze,

capacità, mutue e linee di trasmissione. La presenza di componenti attivi (transistors) in genere

dissimmetrizza la matrice.

Proprietà di quadripoli caratterizzati da parametri Y

Due quadripoli collegati in parallelo e caratterizzati dalle proprie matrici di parametri Y, hanno una

matrice Y complessiva data dalla somma delle due singole.

Yx i1 i2

+ v1 -

v2=0

Yx i1 i2

+ v1 -

+ v2 -

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Come esempio di applicazione di quanto appena visto, consideriamo un quadripolo con reazione di

tensione parallelo. Il collegamento dell’ammettenza di reazione Yx equivale a porre in parallelo al

quadripolo di partenza un quadripolo caratterizzato dai seguenti parametri Y

RxXFx

OxXIx

YYY

YYY

=−=

==

YB

+ V1B

_

I1B I2B

+ V2B

_

=

OBFB

RBIB

BYY

YYY

⋅+⋅=

⋅+⋅=

BOBBFBB

BRBBIBB

VYVYI

VYVYI

212

211

YA

+ V1A

_

I1A I2A

+ V2A

_

=

OAFA

RAIA

AYY

YYY

⋅+⋅=

⋅+⋅=

AOAAFAA

ARAAIAA

VYVYI

VYVYI

212

211

YA

+ V1A

-

I1A I2A

+ V2A

-

YB

+ V1B

-

I1B I2B

+ V2B

-

I1 I2

+ V2 -

+ V1 -

⋅+⋅=

⋅+⋅=

212

211

VYVYI

VYVYI

OF

RI

BA

BA

III

III

222

111

+=

+=

BA

BA

VVV

VVV

222

111

==

==

=

++

++=

OF

RI

OBOAFBFA

RBRAIBIA

AYY

YY

YYYY

YYYYY

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Pertanto i parametri Y del quadripolo risultante saranno:

XOpOtot

XRpRtot

XFpFtot

XIpItot

YYY

YYY

YYY

YYY

+=

−=

−=

+=

Un quadripolo è detto unilaterale se YR=0

211 VYVYI RI ⋅+⋅= 02

1

1=

=V

RV

IY misura l’effetto dell’uscita V2 sull’ingresso I1

Le equazioni che descrivono il funzionamento di un quadripolo secondo i parametri Y sono:

⋅+⋅=

⋅+⋅=

212

211

VYVYI

VYVYI

OF

RI

Yp

Yx

+ V1

-

+ V2

-

I1 I2

I1 I2

V1=0

+ V2 -

YR=0 I1=0

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Il circuito equivalente a parametri Y è il seguente:

Su questo circuito equivalente è possibile calcolare alcune funzioni di trasferimento quali, ad

esempio, il Guadagno di tensione : 1

2

V

VAV =

Poichè :

LO

F

L YY

VY

Y

IV

+

⋅−=−= 12

2 LO

F

VYY

YA

+−=

Osservazione: il guadagno di tensione risulta dipendere dal carico e non dall’impedenza di sorgente.

La la sorgente di segnale in ingresso è schematizzabile in 2 modi:

Le ammettenze di ingresso YIN e di uscita YOUT sono facilmente calcolabili. L’ammettenza di

ingresso : LO

FR

I

RI

INYY

YYY

V

VYVY

V

IY

+

⋅−=

⋅+⋅==

1

21

1

1 dipende dal carico YL

L’ammettenza d’uscita : SI

FR

OOUTYY

YYYY

+

⋅−= dipende dall’ammettenza di sorgente YS.

+ V1

-

YS IS + VS

-

ZS

+ V1

-

Norton Thevenin

YRV2

YFV1

YL YO YI

+ V2

-

+ V1

-

I1 I2

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Se il quadripolo è unidirezionale (YR=0) YIN=YI ; YOUT=YO

In radiofrequenza non si può trascurare la YR , come spesso accede alle basse frequenze, perciò i

quadripoli non sono mai unidirezionali.

La presenza di una YR≠0 rende di fatto il sistema reazionato in quanto lìuscita risente dell’effetto

dell’ingresso e viceversa. Questo può determinare l’instabilità cioè l’instaurarsi di oscillazioni

spontanee in assenza di qualunque sollecitazione.

E’ possibile calcolare il guadagno di corrente : ( ) FRLOI

LF

IYYYYY

YY

I

IA

⋅−+⋅

⋅==

1

2

Vediamo come si può unilateralizzare un quadripolo, ovvero annullare la reazione dell’uscita

sull’ingresso. Per ottenere tale risultato si può reazionare il quadripolo con una ammettenza YX al

fine di ottenere un nuovo quadripolo caratterizzato dai seguenti parametri Y:

.

Se YX=YR → YRt=0

Questo non è sempre possibile utilizzando un bipolo passivo al posto di Yx. In tal caso, infatti, Yx

avrà parte reale positiva e l’unilateralizzazione sarà possibile solo se YR ha parte reale positiva.

Se GR<0 (quadripolo con elementi attivi) → non è possibile unilateralizzare il quadripolo con la

tecnica prima descritta.

Osservazione: si noti che collegando tra ingresso e uscita l’ammettenza YX cambia non solo il

valore di YRt, ma anche quello dei rimanenti parametri Y.

1.2 Guadagni di Potenza

A radiofrequenza si definiscono diversi tipi di guadagni di potenza secondo quanto descritto nel

seguito:

Q

YX

XRRt

XFFt

XOOt

XIIt

YYY

YYY

YYY

YYY

−=

−=

+=

+=

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Guadagno operativo di potenza : in

L

PP

PG =

Guadagno di potenza disponibile : Ain

Aout

AP

PG =

Dove PL rappresenta la potenza media sul carico, Pin quella in ingresso al quadripolo, PAout quella

disponibile sulla sua uscita e PAin quella disponibile del generatore di segnale.

La massima potenza disponibile è la massima potenza che un generatore con impedenza interna a

parte reale positiva può fornire ad un carico di valore opportuno. Dato un generatore VG con

impedenza interna ZG, se realizziamo l’adattamento complesso coniugato ZL=ZG* otteniamo il

massimo trasferimento di potenza dal generatore al

carico. Questo vale solo se ReZG>0. In caso

contrario la potenza trasferibile al carico non è

superiormente limitata e scegliendo un valore

dell’impedenza di carico “prossimo” a (- ZG) è

possibile, in linea di principio, ottenere potenze in

uscita “grandi quanto si vuole”. Ciò a scapito delle

garanzie di stabilità del sistema che può, in tal caso, presentare le condizioni per l’innesco di

oscillazioni secondo quanto indicato dalle condizioni di Barkhausen all’innesco.

Se (VG, ZG ) è l’equivalente di Thevenin di una rete attiva, ZG può essere a parte reale negativa,

ovvero: GGG jXRZ +−=

In questo caso se scegliamo GGGL jXRZZ −=−= si ottiene LG

G

GZZ

VI

+= ∞ e

la potenza dissipata su ZL risulterebbe infinita.

Perciò la coincidenza tra potenza disponibile e massima potenza erogabile vale solo per generatori

con impedenza interna a parte reale positiva.

+ VS -

YS

YL=GL+jBL

+ VG -

ZL

ZG

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Nel seguito, a prescindere dal segno della parte reale dell’impedenza interna, indicheremo col

termine “potenza disponibile” la potenza erogata su un carico ZL=ZG*.

La potenza disponibile in ingresso è quella del generatore di segnale. Si possono ripetere,

ovviamente, le stesse considerazioni fatte in precedenza.

In particolare se, detta ZIN l’impedenza di ingresso del quadripolo, risulta

*SIN ZZ = con SSS jXRZ += SSIN jXRZ −=

allora il generatore di segnale trasferisce in ingresso al quadripolo una potenza pari a quella

disponibile del generatore, PAin, che può essere calcolata come segue:

S

SM

SSSS

SM

SR

V

jXRjXR

VI

2=

−++=

S

SMSS

AinR

VIRP

82

22

=⋅

=

La potenza disponibile in uscita PAout si calcola sull’equivalente di Thevenin dell’uscita

OUTh

OUTh

AoutR

VP

8

2

= coincide con la massima potenza erogabile solo se ReZOUTh>0

Il guadagno di potenza disponibile Ain

Aout

AP

PG = è un rapporto di potenze virtuali. PAout coincide con

la potenza effettiva sul carico solo se ZL=ZOUT*. In generale le potenze effettive sono minori di

quelle disponibili.

+ VS -

ZS

ZIN

N.B.

ℜ=ℜ=S

SSY

ZR1

2

22 MV

V = valore efficace di VS

22

2

2

2

XR

V

Z

VI MM

M +==

+ VOUTh

-

ZOUTh

ZL

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Non è detto che sia sempre possibile adattare contemporaneamente ingresso e uscita del quadripolo,

infatti il sistema:

( )( )

=

=*

*

LSOUT

SLIN

YYY

YYY

Può non avere soluzione.

Il terzo tipo di guadagno che si definisce è il Guadagno di trasduttore : .

Ain

L

TP

PG =

Esso rappresenta un rapporto tra un flusso di potenza reale (PL) ed uno virtuale.

Poichè AinTL PGP ⋅= , GT è quella quantità che moltiplicata per la potenza disponibile dà la potenza

sul carico, ovvero, note le caratteristiche del generatore di segnale ed il valore di GT è

immediatamente possibile calcolare la potenza sul carico.

Nel seguito ricaveremo, a partire dalla definizione, l’espressione del GP.

IN

L

PP

PG =

Quindi :

IN

L

LO

F

IN

L

V

IN

L

M

M

PG

G

YY

Y

G

GA

G

G

V

VG

22

2

1

2

+==

=

Discutiamo il segno di GP:

- PL solitamente è positivo perché si fa riferimento a carichi passivi

- PIN può anche essere negativo (flusso di potenza uscente) se RIN<0

→ GP ha lo stesso segno di GIN

YL

LG

1

+ V2 -

BL

RL

XL

+ V2

-

N.B. LL

LGY

R11

ℜ=

ING

1

+ V1 -

BIN

LM

LM

L RI

GV

P22

22

22 == IN

M

IN GV

P2

21=

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19

IN

L

LO

FP

G

G

YY

YG

2

+=

dipende solo da YL quindi è una funzione della terminazione d’uscita : GP (YL)

Con opportune elaborazioni, a partire dalla definizioni possiamo calcolare il guadagno di potenza disponibile e quello di trasduttore. Si ottiene:

( )( ) *

2

SIFRIOSO

SF

AYYYYYYYY

GYG

+−+ℜ=

dove YS = GS + jXS ammettenza interna del generatore di segnale

( )( ) 2

24

FRLOIS

FLS

T

YYYYYY

YGGG

−++=

Osservazioni: - GA non dipende dal carico ma solo dalla sorgente GA (YS)

- GT dipende sia dal carico che dalla sorgente GT (YS,YL)

Con impedenze di carico e di sorgente passive e impedenze di ingresso e di uscita a parte reale

positiva, risulta:

- PAout ≥ PL

GT ≤ GA

- PAin ≥ PIN

GT ≤ GP

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20

1.3 Stabilità incondizionata

Definizioni e criteri:

1) Un sistema è stabile se a fronte di una sollecitazione finita in durata e ampiezza genera

un’uscita fnita in ampiezza e durata.

2) Un oscillatore è un sistema in grado di produrre una forma d’onda periodica in assenza di

sollecitazioni.

3) Il criterio di Barkhausen dice che, se esiste una frequenza f0 alla quale:

0

1

0

0

=∠

=

=

=

ff

ff

A

A

β

β 1

0=

= ffAβ

Allora il sistema è in grado di auto sostenere, in assenza di sollecitazioni, una oscillazione a

frequenza f0.

4) Se le condizioni di Barkhausen all’innesco sono verificate, ovvero se:

0

1

0

0

=∠

=

=

ff

ff

A

A

β

β

Allora nel sistema si innesca una oscillazione a frequenza iniziale f0 che si auto esalta.

Se per un dato quadripolo ad una frequenza f0 collegando in ingresso e uscita tutte le possibili

coppie di impedenze a parte reale positiva non si ottengono mai le condizioni di BArkhausen

all’innesco, allora si dice che il quadripolo è incondizionatamente stabile alla frequenza f0. Se esiste

almeno una coppia di impedenze in corrispondenza delle quali si verificano tali condizioni, allora il

quadripolo si dice potenzialmente instabile. Un quadripolo potenzialmente instabile ha guadagno di

trasduttore non superiormente limitato.

Si può dimostrare che il verificarsi delle condizioni sulle impedenze di ingresso e di uscita riportate

nel seguito coincide con l’incondizionata stabilità.

Definizione equivalente di stabilità incondizionata:

>ℜ⇒≥ℜ∀

>ℜ⇒≥ℜ∀

0:0:

0:0:

ININLL

OUTOUTSS

YYYY

YYYY

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21

Lo dimostriamo solo in un senso, ovvero dimostriamo che il verificarsi delle condizioni suddette è necessario

alla stabilità incondizionata. Ovvero, dimostriamo che se una di queste due condizioni non si verifica il

quadripolo è potenzialmente instabile e può essere utilizzato per realizzare un oscillatore.

Se esiste 00: <=ℜ⇒<ℜ OUTOUTOUTS RZYY

Scegliendo ZL= -ZOUTh con RL= -ROUTh > 0

si realizza una maglia d’uscita con impedenza nulla e, pertanto, IOUT → ∞. Ovvero, a fronte di una

sollecitazione finita, alla frequenza f0, si ottine una risposta non finita, oppure, detto in altri termini,

la corrente nella maglia può essere diversa da zero al tendere a zero della sollecitazione. Si ottiene,

pertanto, un oscillatore a frequenza f0 .

.

LOUTh

OUTh

OUTZZ

VI

+= - per VOUTh → 0 IOUT è finita

- per VOUTh ≠ 0 e finita IOUT → ∞

.

Calcoliamo adesso il βA di un quadripolo caratterizzato a parametri Y, utilizzando il teorema di

scomposizione.

Per prima cosa dobbiamo individuare un taglio e, quindi, un anello di reazione. Il quadripolo è

intrinsecamente reazionato tramite la YR la quale riporta in ingresso l’effetto dell’uscita.

SY ZL

+ VOUTh

-

ZL

YS YI YO

YL YRV2

YFV1

ZOUTh

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22

Con il taglio effettuato individuiamo la reazione.

0=

=SVP

R

V

VAβ

0=

=SVP

U

V

VA

0=

=SVU

R

V

( )

P

P

iP

iP

I

VZZ

AZZ

==→=

−+=

0

111

ρ

βαρ

P

PZ

Y1

= 0=

=SVP

P

PI

VZ LOP YYY +=

+−

+−=

+−=

IS

R

LO

F

LO

F

RYY

VY

YY

Y

YY

VYV 21 PVV =2

( )( )LOSI

RF

YYYY

YYA

++=β dipende dal carico YL a dal generatore di segnale YS

verifiche : - quadripolo unilaterale (YR=0) : βA=0 non c’è reazione

- cortocircuitando l’uscita (V2=0) : βA=0 (YL → ∞)

- cortocircuitando l’ingresso l’ingresso (V1=0) : βA=0 (YS → ∞)

Il βA ci permette di analizzare in termini analitici le condizioni di Barkhausen. Si tratta di

verificare se esiste una coppia YS,YL che soddisfa il sistema:

( )

=∠

>=

0

1,

A

RYYA LS

β

β ( ) RYYA LS =,β 1>ℜ∈R

Dal sistema, mediante elaborazioni di una certa complessità che in questa sede non vengono

riportate, si ricava un criterio basato sul cosiddetto Fattore di Stern K definito nel seguito.

Se

( )( )

⇒>+ℜ

++= 1

2

FRFR

LOSI

YYYY

ggggK

Il sistema NON ha soluzione, ovvero, fissati due valori di gS e gL che rendono K>1 , non esiste

soluzione al sistema qualunque sia la coppia di bS e bL dove:

LLL

SSS

jbgY

jbgY

+=

+=

YRV2

YFV1

+ VR -

YP + VP

-

YO YL

+ V2 -

IP

+ V1 -

YI YS

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23

In altri termini, una volta trovate gS,gL che rendono K>1, anche variando le parti immaginarie le

condizioni di Barkhausen all’innesco alla frequenza f0 non potranno essere verificate.

Osservazione: se la condizione sul K vale per una data coppia di valori di gS,gL vale sicuramente

anche per valori maggiori, essendo gi>0 e go>0.

Questo perchè partiamo dal presupposto che go>0, gi>0 altrimenti il quadripolo sarebbe

potenzialmente instabile. Infatti si otterrebbe:

LO

FR

IINYY

YYYY

+−= scegliendo YL→ ∞ (corto circuito) => YIN=YI (con parte reale negativa).

Scegliendo YS=-YI (con parte reale positiva) si otterrebbe una maglia ad impedenza nulla con

ovvie conseguenze sulla stabilità, ovvero:

−=

∞→

IS

L

YY

Y verifica le condizioni di Barkhausen.

K è una funzione crescente di gS e gL. Il denominatore è la somma di una parte reale e del modulo

dello stesso vettore che è maggiore sia della parte reale che di quella immaginaria. Perciò il

denominatore è sicuramente positivo.

La condizione sul fattore di Stern è molto utile alle radiofrequenze. Gli accoppiamenti capacitivi e

induttivi spuri possono far variare le parti reattive delle impedenze di sorgente e di carico e generare

oscillazioni, ma questo non accade se K>1.

K>1 non equivale a dire che il quadripolo è incondizionatamente stabile perché si riferisce ad una

particolare coppia (gS,gL).

Se calcoliamo K nella situazione peggiore gS=0, gL=0 e verifichiamo che esso risulta positivo,

sicuramente continuerà ad esserlo per ogni coppia gS>0, gL>0 ovvero il quadripolo risulterà

incondizionatamente stabile

In altri termini, i quadripoli che verificano la condizione:

1

2>

+ℜ FRFR

OI

YYYY

gg sono certamente Incondizionatamente Stabili

FRFROI YYYYgg +ℜ>2 il segno della disuguaglianza non cambia

FROIFR YYggYY ℜ−> 2 se il termine a destra è positivo si ottiene la seguente relazione che

definisce anche il cosiddetto Fattore di Linvill :

1

2<

ℜ−=

FROI

FR

YYgg

YYC ⇒<≤ 10 C quadripolo Incondizionatamente stabile!

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24

Un quadripolo è incondizionatamente stabile se e solo se il fattore di Linvill è compreso tra 0 e 1.

Caso particolare : YR=0 → C=0 quadripolo unilaterale

situazione di marginale stabilità,va trattata separatamente

si controlla se

>

>

0

0

O

I

g

g..SI⇒

Il fattore di Stern dipende da gS e gL quindi non può essere fornito dal costruttore il quale, in genere,

fornisce il fattore di Linvill al variare della frequenza. Il range di frequenze in cui C è compreso tra

0 e 1 è il range di frequenze in cui il quadripolo è caratterizzato da Incondizionata Stabilità (IS).

1.3.1 Effetto della stabilità incondizionata sui guadagni

Dalla IS discende che, qualunque sia la coppia di impedenze di carico e di sorgente, purchè a parte

reale positiva, risulta:

>ℜ

>ℜ

0

0

OUT

IN

Y

Y

Pertanto:

0

0

0

>

>

>

T

A

P

G

G

G

Le condizioni :

AT

PT

GG

GG sono certamente verificate

E’ possibile dimostrare che, se un quadripolo è incondizionatamente stabile, è possibile realizzare

contemporaneamente l’adattamento complesso coniugato in ingresso e in uscita, ovvero esiste (ed è

unica) la soluzione del sistema di equazioni:

( )( )

=

=*

*

LSOUT

SLIN

YYY

YYY

Se YR=0 (quadripolo unilaterale) il sistema ha sicuramente soluzione:

=

=*

*

OL

IS

YY

YY

Se il quadripolo non è I.S. il sistema non ha soluzione.

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25

E’ anche possibile dimostrare che i valori di YS e YL soluzioni del sistema coincidono con il punto

di massimo della funzione GT(YS, YL), ovvero sono i valori di ammettenza di sorgente e di carico

che massimizzano il guadagno di trasduttore.

Detto ancora in altri termini; se si studia GT come una funzione di 4 variabili e limitatamente al caso

gL>0, gS>0, la ricerca del massimo ha soluzione e la soluzione è unica se e solo se il quadripolo è

incondizionatamente stabile, ovvero:

( ) ( ) ⇔=∃ max;:; TLoptSoptTLoptSopt GYYGYY il quadripolo è I.S.

1.3.2 Ricerca del massimo guadagno

Il problema di ricerca del massimo è prettamente analitico e non lo trattiamo nel dettaglio.

Le ammettenze ottime di carico e sorgente, ovvero quelle che massimizzano GT, sono anche quelle

che realizzano l’adattamento complesso coniugato in ingresso e uscita.

( )( )

=

=*

*

LoptSoptOUT

SoptLoptIN

YYY

YYY

Si dimostra che se SoptSoptSopt jBGY += , LoptLoptLopt jBGY += allora:

[ ]

I

FROLopt

I

O

SoptLopt

O

FRISopt

O

FRFROI

Sopt

g

YYbB

g

gGG

g

YYbB

g

YYYYggG

2

2

2

222

ℑ+−=

=

ℑ+−=

−ℜ−=

Se sostituiamo YSopt e YLopt nella formula del GT si ricava il GTmax.

[ ] 22

2

max

22 FRFROIFROI

F

T

YYYYggYYgg

YG

−ℜ−+ℜ−=

nel caso in cui : -YR=0 → ( )( ) 2

24

LOIS

FLS

T

YYYY

YGGG

++=

-gi,go>0 → I.S.

→ GT = GTUmax

=

=

SI

LO

YY

YY*

*

→ OI

F

Tgg

YG

4max

2

=

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26

Talvolta si usa il GTMAX come fattore di merito di un componente attivo anche nel caso di

quadripoli non unilaterali, sebbene esso non abbia un significato ben individuabile.

Quando si progetta un amplificatore il generatore e il carico sono fissati. In genere viene richiesto di

massimizzare il guadagno di trasduttore e/o di minimizzare la cifra di rumore.

Per fare ciò si possono utilizzare opportune reti di adattamento M1 ed M2 in figura che fanno si che

il quadripolo “veda” le ammettenze opportune al conseguimento dell’obiettivo fissato a specifica.

1.4 Reti di adattamento

I quadripoli utilizzati come trasformatori di impedenza prendono il nome di Reti di Adattamento.

Tali reti dovranno avere le seguenti caratteristiche:

• Essere passive per non introdurre ulteriori stadi con componenti attivi che sono causa di

dissipazione di potenza e introduzione di rumore;

• Essere non dissipative (ovvero prive di resistenze) per non causare attenuazione di potenza e

non introdurre sorgenti di rumore termico;

Esse risultano, quindi, necessariamente reciproche (fatto salvo l’improbabile caso di impiego di

componenti passivi non isotropi, quali, ad esempio, le ferriti che dissimmetrizzano la matrice delle

impedenze della rete).

1.4.1 Teorema fondamentale delle reti di adattamento

Ipotesi: se un quadripolo è passivo, non dissipativo e reciproco e su una delle due porte si realizza

l’adattamento complesso coniugato,

Tesi: anche sull’altra porta si ottiene adattamento complesso coniugato.

M1

M2

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27

Dimostrazione:

Per ipotesi: 1

21*

1 8R

VPPZZ M

AinININ ==⇒= = potenza in ingresso

La rete è passiva, quindi INOUT PP ≤

Non dissipativa, quindi INOUT PP =

2

22

2R

IP M

OUT =

perciò 2122

21 4 RR

I

V

M

M =

Spegniamo V1 e usiamo la reciprocità inserendo un generatore di tensione in serie a Z2.

2

221

21

22

1 824 R

VR

RR

VP MM == potenza che fluisce sul carico Z1

Rete passiva, non dissipativa → P2=P1

Il generatore V2 sta erogando una potenza pari a quella disponibile perciò sta lavorando in

condizioni di adattamento complesso coniugato ovvero.

*2ZZOUT = C.D.D.

Abbiamo così dimostrato che l’adattamento c.c. in ingresso ad una reta passiva, non dissipativa e

reciproca garantisce l’adattamento c.c. anche in uscita.

+ V1 -

Z1

ZIN

Z2

POUT

PIN

I1 Z2

+ V2 -

P1 P2

Z1

*2

*1 ZZZZ OUTIN =⇒=

212

2

21

4

1

RRV

I

M

M =

21

222

1 4 RR

VI M

M =

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28

Corollario: il guadagno di potenza disponibile di una rete passiva non dissipativa e reciproca è

unitario.

Dimostrazione:

Si sceglie ZL in modo da realizzare l’adattamento C.C. in uscita. In base al teorema prima

dimostrato, questo comporta adattamento C.C. anche in ingresso: sotto queste condizioni, quindi, il

generatore di segnale eroga la massima potenza, ovvero quella disponibile AinP . Essa è anche la

massima potenza erogabile sul carico, essendo la rete passiva, e quindi coincide con la potenza

disponibile del generatore di Thevenin in uscita, ovvero con PAOUT. Quindi:

1=⇒=⇒= AAoutAinOUTIN GPPPP

1.4.2 Quadripoli in cascata

Calcoliamo, adesso, il guadagno di trasduttore di 2 quadripoli in cascata che sarà utile in seguito

per valutare l’effetto dell’inserimento delle reti di adattamento in ingresso e in uscita.

121

2

21AT

Ain

Ain

Ain

L

Ain

L

Ttot GGP

P

P

P

P

PG =⋅==

Se fossero 3: 321 TAATtot GGGG =

In generale ∑−

=

=1

1

N

n

AnTNTtot GGG

Utilizzando i risultati prima ottenuti, è possibile valutare l’effetto dell’introduzione di reti di

adattamento sul guadagno di trasduttore dell’amplificatore così ottenuto.

ZS

ZIN=ZS*

PAin

ZOUT*

Ain

Aout

AP

PG =

Q1

Q2

ZS

+ VS

-

ZL

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29

Vediamo come si modificano le potenze

TQTQA

Ain

OUT

Ain

L

Ttot GGGP

P

P

PG ==== 1 , essendo GA1 = 1 in quanto guadagno di potenza disponibile di

una rete di adattamento (v. corollario) e GTQ = GT(YSV, YLV).

In altri termini: il guadagno di trasduttore dell’amplificatore con le reti di adattamento coincide con

quello del quadripolo attivo, calcolato in corrispondenza delle ammettenze viste che sono diverse da

quelle di sorgente e di carico YS e YL rispettivamente. Si possono, quindi, scegliere valori

opportuni per YSV e YLV in modo da ottenere il valore di GT desiderato. Il problema, quindi, si

riduce a quello di progettare opportunamente le reti di adattamento in modo da trasformare YS e YL

in YSV e YLV rispettivamente.

1.4.3 Trasformazioni parallelo-serie e viceversa.

Dato una gruppo RC parallelo è possibile trovare l’equivalente serie ad una frequenza fissata.

M1

Q

M2

PIN PAin

POUT

PL

YSV YLV

YS YL

RP CP

RS

CS

M1

Q

M2

PIN PAin

POUT

PL

YSV YLV

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30

Z

R

C L

|Z|

R

2

R

f f1 f2

( )

2221

1

1PP

PPP

PP

P

PP

P

P

PCR

CRjR

CRj

R

CjR

Cj

R

ωωω

ω+

−=

+=

+=

S

S

S

SSC

jRCj

RZωω

11−=+=

Definiamo PPP CRQ ω= fattore di qualità

2

2

22

222

22

2

2 1

1

11111 P

P

PP

P

P

PP

PP

P

P

PP

P

P

PQ

Q

Cj

Q

R

Q

CR

C

j

Q

R

Q

CRj

Q

RZ

+−

+=

+−

+=

+−

+=

ωω

ωω

Affinché le due reti siano equivalenti devono avere la stessa parte reale e la stessa parte

immaginaria.

21 P

P

SQ

RR

+=

2

21

P

P

PSQ

QCC

+=

N.B. L’equivalenza vale solo ad una frequenza in quanto in QP compare la pulsazione ω.

1.4.4 Fattori di Qualità

E’ opportuno, a questo punto, fare qualche riflessione sul fattore di qualità Q dei circuiti risonanti

sia di tipo serie che di tipo parallelo.

Circuito RLC parallelo

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31

L R C |Z|

R

L

RCQS

0

0

1 ωω

== fattore di qualità

R

f

Esiste una frequenza alla quale si ha risonanza: LC

00

ω= . Il gruppo LC risulta un circuito

aperto. L’ammettenza vista è nulla, l’impedenza vista → ∞

Per f > f0 la capacità predomina nel parallelo 0>∠Z

Per f < f0 l’induttanza predomina nel parallelo 0<∠Z

Le frequenze f1 ed f2 alle quali l’impedenza diminuisce di 3dB rispetto a |Z|max individuano la

banda passante del circuito. f2-f1=B

B

fQ 0≡ fattore di qualità: al crescere di Q la banda B si restringe, a parità di frequenza centrale.

L

RRCQ

00 ω

ω == LC

10 =ω pulsazione di risonanza

LC

20

1

ω=

Se immaginiamo di alimentare il gruppo RLC con una corrente sinusoidale alla frequenza di

risonanza, nel gruppo LC passa comunque corrente anche se il generatore vede un’impedenza

infinita. In L e in C passano correnti uguali in modulo e opposte in segno (sfasate di 180°).

Nel caso del circuito RLC serie il fattore di qualità Qs è definito come segue

• QS elevato significa una banda passante stretta RL >>0ω

• Q elevato significa RC >>0ω

1.4.5 Esempi

Supponiamo di avere una resistenza di 100Ω e di volerla trasformare in una da 50Ω a f0=100MHz.

Si può ottenere questo risultato interponendo una rete di adattamento M opportunamente

dimensionata. Si mette in parallelo a Rp = 100 Ω una capacità Cp di valore opportuno in modo tale

che l’equivalente serie sia costituito da una capacità CS in serie ad una resistenza RS = 50 .

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32

LX CS

01

=+− X

S

LC

ωω

pFQ

QCC

P

P

PS 301

2

2

=+

=

100Ω

CP

LX

RVout=50Ω

.

Dal valore di QP appena determinato si ricava CP e, quindi CS come indicato nel seguito

Per neutralizzare l’effetto di CS basta mettere in serie un’induttanza che risuoni con CS alla

frequenza di interesse.

nHC

LS

X 8012

≅=ω

Con una capacità di 15pF e un’induttanza di 80nH alla frequenza di lavoro abbiamo trasformato la

resistenza da 100Ω in una da 50Ω.

M

50Ω

100Ω

2PSSP QRRR +=

150

50100=

−=

−=

S

SP

PR

RRQ

RP=100Ω CP

RS=50Ω

CS

PPP CRQ ω=

pFR

QC

P

P

P 15==ω

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33

RS

CS

CP

LX

RP

Esaminiamo, adesso, il caso duale: si vuole trasformare una resistenza in una di valore maggiore. A

tal fine si useranno le proprietà della trasformazione serire-parallelo. Descriviamo subito con un

esempio questo tipo di trasformazione.

Esempio: 100Ω → 200Ω @ 100MHz

In maniera duale a quanto fatto in precedenza individuiamo i valori di RP e CP dell’equivalente

parallelo a partire da quello serie

( )21 SSP QRR += 2

2

1 S

S

SPQ

QCC

+=

1100

100200=

−=

−=

S

SP

SR

RRQ pF

CRC

SS

S 9.151

≅=ω

pFQ

QCC

S

S

SP 81 2

2

≅+

=

L’aggiunta dell’induttanza LX in parallelo a CP ha la funzione di neutralizzare la parte

immaginaria:

nHC

LL

CBBP

X

X

PXP 3001

01

02

≅=→=−→=+ωω

ω

Quindi la rete di adattamento sarà costituita anche in questo caso da una squadra LC:

CS

RS

RP

CP SS

SCR

1=

RS = 100Ω RP = 200Ω

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34

200Ω

CS

LX

100Ω

+ V1S

-

R

15.9pF

300nH V1S=V1Mcos(ωt)

La rete seguente è in grado di effettuare la trasformazione 100Ω → 200Ω: vediamo cosa accade

delle tensioni

Poiché, come abbiamo dimostrato, la potenza disponibile non cambia.

10082008

21

2

⋅=

⋅⇒= MThM

AoutAin

VVPP

Ne consegue che MThM VV 12= , ovvero la tensione equivalente di Thevenin in uscita risulta

maggiore di quella in ingresso. Si è verificata un’amplificazione di tensione anche senza

componenti attivi. Il gruppo LC si comporta come un trasformatore di impedenza, ma,

contemporaneamente, come un “amplificatore” (sarebbe più corretto parlare di “trasformatore”) di

tensione.

1.4.6 Procedimento standard per il progetto di reti di adattamento

Con le reti di adattamento si può trasformare una qualunque ammettenza passiva in una qualunque

altra purchè passiva. Nel seguito si individuerà una possibile procedura per ottenere il risultato

suddetto, con lo scopo di dimostrare che tale trasformazione è sempre possibile. La procedura

indicata è solo una delle tante che possono essere messe in atto: la rete per la trasformazione di

impedenza non è unica.

222

111

jBGY

jBGY

+=

+= Zi = 1/Yi

22

1

iii

iBG

G

YZ

+=

ℜ=ℜ

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35

1° caso: 21

11

GG<

trasformazione in salita da SERIE a PARALLELO

Innanzi tutto si ricava l’impedenza Z1

21

21

12

12

1

1111

BG

Bj

BG

GjXRZ

+−

+=+=

Quindi ci riconduciamo al caso precedentemente studiato di trasformazione di resistenza

neutralizzando la parte reattiva con l’aggiunta, in serie, di una di pari modulo e segno opposto.

A questo punto applichiamo il procedimento già visto.

Si tratta di una trasformazione in salita: verifichiamo se RP > R1:

PRGGGG

GR =<≤

+=

2122

21

11

11 OK!

La parte reale desiderata è stata così ottenuta. Per quella immaginaria bisogna aggiungere in

parallelo a CP una suscettanza BX tale che 2BBB PX =+

1

1

G

jB1

R1

jX1

R1 jX1 -jX1

RS RP CP

2

1

GRP =

CS

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36

RP

CP BX

mSmSCB

mSCB

PX

PX

9.5320

20

−=−−=

−=+

ω

ω

suscettanza negativa → induttanza

X

XL

1−= nHLX 6.19=

Ω−=−= 2.231

4SC

reattanza negativa → capacità

pFX

CTOT 7.451

=−=ω

Y1

CTOT

LX

Y2

Esempio: ( ) ( )mSjYmSjY 201050100 21 −=→+= @ f0 = 150MHz

Ω=<Ω= 1001

101

21 GG

( )Ω−=+

−+

= jBG

Bj

BG

GZ 48

21

21

12

12

1

11

Ω−=

Ω=

4

8

1

1

X

R

39.38

8100=

−=SQ 5.112 =SQ

S

SCR

Q1

1

ω= pF

QRC

S

S 14.3939.3101508

116

1

=⋅⋅⋅

==ω

pFQ

QCC

S

S

SP 361 2

2

=+

=

-jX1 CS

Y1 BX

Infine sostituiamo alla serie

1

1jX

Cj

S

−−ω

un’unica

reattanza di valore

-j4Ω j4Ω CS

RP

CP

RP=100Ω

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37

2° caso: 21

11

GG> trasformazione in discesa da PARALLELO a SERIE

La procedura è esattamente duale: si calcola Z2 = 1/Y2

22

22

222

22

22

BG

Bj

BG

GZ

+−

+=

22

22

22

BG

GRRS +

== 12

22

22

22

1

111

GGBG

GR

G<<

+=>

12

21

1

G

C

R

RG

Q P

P

ω=

=

S

P

P CGQ

C →=ω

1

20

1X

CX

S

X −=ω

1

1

G jB1

2

1

G jB2

R2 jX2

-jB1

CP R2

jX2 jXX

BTOT

XX

1

1

1

//

jBC

jB

jBCB

P

TOT

PTOT

−−=

−=

ω

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38

Abbiamo, pertanto, dimostrato che è sempre possibile utilizzando due elementi reattivi, trasformare,

ad una certa frequenza, qualunque ammettenza in qualunque altra.

1.4.7 Limiti di utilizzo di elementi passivi

E’ opportuno fare alcune considerazione sulle prestazioni di induttanze e capacità alle alte

frequenze.

Gli elementi reattivi mantengono il comportamento previsto soltanto entro un certo range

frequenziale, al di fuori del quale la schematizzazione di un bipolo reattivo è più complicata rispetto

alla sola induttanza o capacità.

• Un condensatore reale si schematizza aggiungendo in serie alla capacità una resistenza e

un’induttanza che tengono conto degli effetti di perdita.

Alle alte frequenze gli effetti di perdita si accentuano.

- dissipazione di potenza: la corrente si addensa in superficie (effetto pelle), la sezione appare

inferiore perciò si rileva un aumento di resistività.

- accoppiamenti magnetici dovuti agli avvolgimenti dei fili elettrici: al crescere della frequenza

la componente induttiva può sovrastare quella capacitiva.

• Un induttore reale si schematizza aggiungendo in parallelo all’induttanza una capacità e una

resistenza.

Gli effetti resistvi e capacitivi sono dovuti al fatto che le spire hanno dimensioni non nulle e si

accentuano con la frequenza

In entrambi i casi si avrà risonanza per una certa frequenza oltre la quale il comportamento

dell’elemento reattivo non è più quello previsto dalla semplice schematizzazione con L o C.

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39

Ogni componente reattivo va utilizzato al di sotto della propria frequenza di risonanza indicata dal

costruttore.

Più è alto il valore nominale della capacità o dell’ induttanza, più è bassa la frequenza di risonanza

fr e minore sarà il range di frequenze in cui il bipolo può essere utilizzato.

A puro titolo di esempio si citano alcuni valori indicativi per componenti commerciali:

C = 1µF → fr = 100 MHz C = 1nF → fr = 1 GHz

GHzfnHL r 1100 ≅⇒≅

1.5 Il rumore nei componenti e negli amplificatori.

Premessa:

La trattazione presentata nel seguito non ha alcuna pretesa di rigore e viene proposta in questa

forma solo per ovviare alla completa assenza, nei corsi che precedono quello di Elettronica per le

Radiofrequenze, di uno spazio dedicato ai processi stocastici (segnali aleatori). Sarebbe quella la

sede correttamente deputata all’introduzione ed all’elaborazione dei concetti di Probabilità,

Variabile Aleatoria, Processo stocastico, Funzione di autocorrelazione e Densità spettrale di

potenza. Nel seguito si seguirà un approccio alternativo a quello tradizionale che non può

assolutamente essere considerato sostitutivo dello stesso. L’approccio scelto ha, come unico

vantaggio, quello di permettere di concentrare in poche ore di lezione l’esposizione di alcuni

concetti di base dai quali non si può prescindere se si vuole introdurre la definizione di Cifra di

Rumore, indispensabile per il progetto di amplificatori a radiofrequenza. Si rimanda, pertanto, lo

studente al modulo di Teoria dei Segnali Aleatori per una trattazione che possa considerarsi

completa e rigorosa, a differenza di quella presentata nel seguito che risulta, in talune parti,

puramente intuitiva e, in qualche punto, approssimativa.

fr

caso serie

fr

caso parallelo

f f

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40

In Elettronica si definisce col termine “Rumore” una variazione aleatoria della grandezza fisica

sotto osservazione della quale non è possibile fornire una descrizione deterministica. In alcuni casi,

però, di tali fluttuazioni aleatorie è possibile fornire una descrizione di tipo statistico.

Indicando con x(t) il fenomeno aleatorio (o Processo stocastico) che si sovrappone al valore

deterministicamente dato della grandezza sotto esame, si può definire il suo valor quadratico medio

come segue:

( ) ( )∫+

∞→=

Tt

tTdttx

TTtx

1

1

22

1

1lim,

In generale il valore quadratico medio dipenderà dall’istante iniziale t1 e dalla durata del tempo di

osservazione T. Se, per T “abbastanza grandi” il risultato dell’operazione di integrazione non

dipende da T e da t1, allora diremo che il processo x(t) è stazionario rispetto al suo valore quadratico

medio. Molte delle sorgenti di rumore presenti nei materiali e nei dispositivi elettronici godono

della proprietà della stazionarietà rispetto ad alcuni parametri statistici (come il valore quadratico

medio, oppure il valor medio).

Se x(t) rappresenta la tensione ai capi di una resistenza R, allora la potenza istantanea P(t) dissipata

sulla resistenza e quella media P0 sono date da:

1.5.1 Sorgenti di rumore

Le sorgenti di rumore nei materiali e nei dispositivi per l’elettronica si dividono in 2 categorie

1. Intrinseche : sono ineliminabili in quanto scaturiscono dalle modalità stesse di

funzionamento del dispositivo

2. Estrinseche : possono essere ridotte o eliminate con una particolare cura nella produzione

dei materiali e dei dispositivi. Si tratta di sorgenti di rumore legate alla presenza di difetti e

impurità.

Tra le sorgenti di rumore intrinseco ricordiamo:

Rumore termico: è presente sotto forma di fluttuazione di tensione aleatoria ai capi di ogni

conduttore con resistenza R ed è dovuto al fatto che i portatori di carica sono

soggetti ad agitazione termica e la loro distribuzione lungo il conduttore è

variabile.

( ) ( )R

txtP

2

= R

( ) ( )R

txdt

R

tx

TP

T

T

2

0

2

0

1lim == ∫∞→

potenza media

+ x(t) -

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41

Shot noise: è dovuto al fatto che a livello microscopico la corrente che attraversa una barriera di

potenziale ha un comportamento granulare e gli istanti di attraversamento dei singoli

portatori di carica sono tra di loro indipendenti. La corrente è rappresentabile mediante

una serie di delta di Dyrac a istanti casuali di cui si conosce solo il numero medio per

unità di tempo (il quale determina la componente DC della corrente che attraversa la

giunzione).

La sorgente di rumore estrinseco (o in eccesso) più diffusa è il rumore flicker o 1/f:

Rumore flicker: ha uno spettro la cui energia è concentrata alle basse frequenze. Dipende dalla

presenza di impurità e difetti del reticolo cristallino, perciò è strettamente legato al

processo tecnologico.

1.5.3 Densità spettrale di potenza

Definiamo come segue la densità spettrale di potenza (o spettro di potenza) Sx(f):

Immaginiamo di disporre di un filtro ideale con risposta in frequenza diversa da zero solo tra

ω1 = 2πf1 e ω2 = 2πf2

La densità spettrale di potenza del processo aleatorio x(t) (DSP) è definita dalla seguente relazione:

( ) ( )txdffS u

f

f

x

22

1

=∫

Ovvero, il suo integrale tra f1 ed f2 coincide col valore quadratico medio del segnale aleatorio xu(t)

che si otterrebbe filtrando x(t) col filtro ideale di cui sopra.

Se x(t) è la tensione ai capi di una resistenza R e si sceglie f2=f1+df, allora

SX(f)df è il valore quadratico medio della tensione di uscita al filtro → δ ( )txu

2 in un intorno

infinitesimo di f1. Questo spiega la denominazione di “densità spettrale di potenza” la quale si

misura in

Hz

V2

(se x(t) =[V]), oppure in

Hz

A2

(se x(t) = [A]).

+ x(t) -

+ xu(t) -

|H(ω)|

ω1 ω2 ω

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42

Nel caso in cui Sx(f) non dipenda dalla frequenza, ovvero sia costante, il processo X(t) ed il suo

spettro si dicono “bianchi”. Per un processo aleatorio bianco in ogni intervallo di frequenze l’uscita

dipende solo dall’ampiezza dell’intervallo f∆ : ( ) fStx Xu ∆=0

2

Si è detto che ad una resistenza è associata una fluttuazione aleatoria di tensione (rumore termico)

rappresentato con un generatore eT in figura. Nyquist ha dimostrato che il rumore termico è bianco e

che la sua densità spettrale di potenza ST è data da: .

Più in generale Nyquist ha dimostrato che un bipolo generico di impedenza Z = R+jX può essere

rappresentato mediante un’impedenza non rumorosa con in serie un generatore di tensione con

densità spettrale di potenza pari a KTRST 4=

Si deve ancora a Nyquist il seguente teorema:

Dato un processo stocastico x(t) in ingresso ad un sistema caratterizzato da una risposta in

frequenza H(ω), la densità spettrale di potenza Su(f) del segnale aleatorio in uscita xu(t) è data da:

Prima di proseguire diamo qualche indicazione circa l’ordine di grandezza delle quantità che

abbiamo introdotto.

Es: R=1KΩ

H(ω)

xi(t) xu(t) ( ) 2ωHSS iu =

Z = R+jX Z noiseless

+ -

eT

+ -

R ST = 4KTR

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43

su una finestra di 1Hz il valore quadratico medio del generatore di tenzione aleatoria che

rappresenta il rumore termico è dato da ( ) [ ]222 44 nVfKTRfStx Tu =∆=∆=

Il valore efficace è, ovviamente:

( ) nVtxx ueff 42 ==

effx = fS x∆ dà una misura del valore efficace: in questo caso equivale a quello di una sinusoide

di ampiezza 1nV.

Rumore di corrente

Finora abbiamo sempre fatto riferimento ad un processo stocastico con le dimensioni di una

tenzione (generatore di tensione di rumore), ma esistono delle sorgenti di rumore che è più

immediato rappresentare con un generatore stocastico di corrente. Un esempio è il rumore shot o

“rumore di giunzione”. Il rumore shot si rappresenta con un generatore di corrente aleatorio con

densità spettrale di potenza che dipende dalla corrente media che scorre nella giunzione, in parallelo

alla resistenza differenziale che rappresenta la giunzione medesima.

Es: Io=1mA

⋅= −

Hz

AS I

222102.3

Hz

pAS I 17=

Si tratta di fenomeni che su 1Hz di banda danno un valore efficace di corrente di decine di picoAmpere.

1.5.4 Rumore flicker

Si riscontra in moltissimi i fenomeni fisici, non solo elettrici. La sua densità spettrale di potenza è

del tipo :

( )γf

KfS f = 2.18.0 ≤≤γ

Si osserva in dispositivi attraversati da una componente di corrente continua sia passivi che attivi.

Dipende dalla presenza di difetti nei materiali e di impurità ed è uno dei parametri che qualificano

la bontà di un componente elettronico. In genere ad una certa frequenza lo spettro ha una

dipendenza crescente con la corrente. Si somma al rumore bianco di fondo (termico e shot) che è

in

rd Io

=

Hz

AqIS oI

2

2

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44

sempre presente col suo spettro costante. Da una certe frequenza in su, detta frequenza d’angolo fC,

il rumore bianco prevale sul flicker che risulta trascurabile.

Il rumore flicker diminuisce con l’area attiva del dispositivo (maggiore è l’area, minore il rumore).

Alle radiofrequenze il rumore flicker è pressocchè trascurabile in quanto il punto d’angolo si trova,

in genere, molto più in basso del range di frequenze di interesse. Nella zona alta delle frequenze di

lavoro si osserva una componente di rumore divergente (cresce con ω2) non tanto perché sia

generata da una sorgente con caratteristiche di questo tipo, bensì a causa di effetti filtranti dei

componenti reattivi intrinseci e parassiti su sorgenti originariamente bianche.

La curva per il suo andamento è detta “a vasca da bagno”.

Nel caso di dispositivi a basso rumore per basse frequenze, per un componente attivo di ottima

qualità ci si può attendere un punto d’angolo intorno a 3Hz e un rumore bianco di 2

8.0

Hz

nV .

1.5.6 Cifra di rumore

Un amplificatore, a causa delle sorgenti di rumore presenti al suo interno, presenterà, tipicamente,

un rapporto segnale rumore in uscita peggiore (minore) di quello in ingresso. Nel migliore dei casi

of

flog

fc

2fSH ∝

of

flog

Scala bilogaritmica

fc

fc può assumere valori in un range molto ampio

Hz ÷ MHz

( )fS flog10

( )fS flog10

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il rapporto segnale rumore rimarrà invariato. L’effetto di degrado di tale rapporto introdotto

dall’amplificatore si misura mediante un parametro denominato “Cifra di Rumore” indicato, in

genere, con la sigla NF (Noise Figure).

SZadovutouscitainRumorediPotenza

uscitaintotaleRumorediPotenzaNF

⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅

= In genere si misura in dB 10log(NF)

Il rumore in uscita dovuto a ZS corrisponde al rumore che si avrebbe in uscita se Q fosse noiseless,

ovvero se agisse solo la sorgente di rumore termico di ZS. In tal caso la cifra di rumore sarebbe

unitaria. In generale NF≥1, NFdB≥0dB.

Il rumore totale in uscita si ottiene integrando la DSP di rumore in uscita su tutta la banda di

interesse. Se la banda di interesse è ridotta o si vuole definire una cifra di rumore puntuale ad una

certa frequenza (o spot), NF è un rapporto di DSP

Si può dimostrare che un quadripolo rumoroso è equivalente, ai fini di una determinata uscita, ad

una rete priva di generatori interni con un generatore di tensione e di corrente opportuni in ingresso.

I generatori di rumore equivalenti esterni possono essere descritti mediante le DSP associate.

Hz

VSen

2

;

Hz

ASin

2

4

Data una sorgente di rumore in serie ad un bipolo ZS, se chiudiamo il circuito in serie ad

un’impedenza ZS*, la tensione ai suoi capi sarà:

Noise less

in

+ vu(t) -

en1

en2 in1

Q

+ vu(t) -

ZS

vs(t)

eT

en

+ --

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46

Poiché questa scelta è quella che realizza l’adattamento complesso coniugato, essa è anche quella

che permette di trasferire sul carico la massima potenza disponibile.

R

tv

R

fSe

R

fSvP DTD )(

4

2

=∆

=∆

= ha le dimensioni di una potenza.

Nel caso di rumore termico la densità spettrale di potenza disponibile (che si misura in W/Hz) è

data da:

===Hz

WKT

R

KTR

R

SeS T

A 4

4

4 Densità Spettrale di Potenza disponibile.

Più in generale, dato un generatore di rumore di tensione in serie e un’impedenza si definisce la sua

densità spettrale di potenza disponibile come segue:

La potenza disponibile PA nell’intervallo di frequenza f1-f2 è data da:

Rappresenta la massima potenza che il generatore di rumore può cedere a un carico nell’intervallo

f2-f1 . tale risultato si consegue in condizioni di adattamento c.c.

ZS

+ x(t) -

S

X

AR

SS

X 4=

ZS* +

vD

--

+ eT

--

ZS

22*T

S

S

T

S

SS

T

D

eR

R

eR

ZZ

ev ==

+=

2

1=

T

D

e

v

4T

D

SeSv =

2

1

è la funzione di trasferimento tra eT e vD

PA= ∫2

1

f

f

A dfSX

[W] Potenza disponibile

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47

Il rumore totale in uscita è dovuto sia al quadripolo (sorgenti en,in) sia all’impedenza del generatore

di segnale che è affetta da rumore termico eT, mentre il rumore in uscita dovuto a ZS dipende solo

da eT.

Sotto certe condizioni, dette “di indipendenza” tra i diversi processi aleatori, lo spettro del processo

risultante si ottiene semplicemente sommando i singoli spettri. Lo stesso vale, quindi, per le

potenze di rumore.

fGSN TAeUin T∆= potenza di rumore in uscita dovuto all’ingresso

fGR

ZSiSeN T

S

Snn

UQ∆

+=

4

2

S

Snn

AR

ZSiSeS

Q 4

2+

=

Le condizioni, dette “di indipendenza” tra en e in, sono, in genere, rispettate fino a fT/10 dove fT è la

frequenza di taglio del transistore.

Per la cifra di rumore si ottiene, in definitiva:

S

Snn

KTR

ZSiSeNF

41

2+

+=

1.5.7 Progetto di amplificatori a basso rumore.

Vogliamo progettare un amplificatore a basso rumore (LNA -Low Noise Amplifier-)

NF dipende dal quadripolo, attraverso Sen ed Sin, e dal generatore di segnale, attraverso ZS.

Progettare a basso rumore, una volta scelto il dispositivo attivo, equivale a individuare la

terminazione ottima per quando riguarda il rumore, ovvero, quella che minimizza NF. Procediamo,

Noise less ZS

eT

+ -

en

+ -

in

Uin

U

Ue

iUeUe

N

N

N

NNNF

Q

T

nnT +=+

= 1

en

+ -

ZS in

inZS

+ -

en

+ -

ZS

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48

quindi, alla ricerca del minimo al variare di ZS, osservando che, certamente, NF sarà minimo per

XS=0.

( )S

nSSn

KTR

SiXRSeNF

41

22 +++=

Si cercano gli zeri della derivata prima

( ) ( )( )

04

4422

2

=+−

=S

nSnSnS

S KTR

KTSiRSeKTRSiRNF

dR

d → ( ) 04 2 =− nnS SeSiRKT

==A

V

Si

SeRZ

n

n

ONON

Poiché ZS è, di norma, fissata dalle specifiche di progetto, bisognerà introdurre delle reti di

trasformazione di impedenza tra la sorgente e l’ingresso dell’amplificatore per far si che esso veda

l’impedenza ottima dal punto di vista del rumore.

Per valutare l’effetto di tali reti su NF utilizziamo una formula dovuta a Friis che permette di

calcolare la cifra di rumore globale di una rete costituita dalla cascata di due o più quadripoli.

Con ovvio simbolismo si ottiene per la cifra di rumore totale NFTOT

...11

21

3

1

21 +

−+

−+=

AAA

TOTGG

NF

G

NFNFNF

La formula di Friis mostra in termini analitici una considerazione ovvia: per minimizzare la cifra di

rumore totale di un sistema, bisogna usare come primo stadio quello a cifra di rumore più bassa ed

assicurarsi che introduca un guadagno quanto maggiore possibile.

Nel caso in cui Q1 sia una rete di adattamento (passiva, reciproca e non dissipativa) la sua cifra di

rumore NF1 sarà unitaria (non contiene generatori interni di rumore) come anche il suo guadagno di

potenza disponibile GA1. Pertanto

NFTOT=NFQ2

Ovvero la cifra di rumore totale coincide con quella del quadripolo attivo. Si può facilmente dimostrare, infine, che laa cifra di rumore così come è stata definita, coincide col

rapporto tra il rapporto segnale rumore in ingresso e quello in uscita:

Q1

Q2

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49

NuSu

NiSi

NF =

quindi Nu

Su

Ni

SiNF =⇒= 1

Riusciamo a controllare NF ottimizzando la terminazione in ingresso tramite un’opportuna rete di

adattamento che non deteriora la cifra di rumore.

Dimensioniamo M1 per trasformare l’impedenza di sorgente in quella ottima per il rumore.

Se, poi, vogliamo massimizzare il guadagno, dimensioniamo M2 in modo da avere adattamento

complesso coniugato in uscita (quando ciò sia possibile), oppure seguiamo i criteri delineati in

precedenza nel caso di progetto a ZS fissata e quadripolo potenzialmente instabile.

Infine, per calcolare la potenza di rumore in uscita su una certa banda f∆ ricordiamo che:

fGKT

Nu

Nu

NuNF

T

TOT

in

TOT

∆⋅==

E, quindi, la potenza totale di rumore in uscita sarà:

fGKTNFNu TTOT ∆⋅⋅=

Q

M2

M1

ZL

ZL* ZSon

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50

Capitolo 2

Oscillatori a radiofrequenza

Gli oscillatori sono sistemi in grado di generare autonomamente senza sollecitazioni esterne una

forma d’onda periodica. Se la forma d’onda è sinusoidale, si parla di oscillatori sinusoidali. La

teoria degli oscillatori è basata sul Teorema di Scomposizione e sulle condizioni di Barkhausen.

Condizioni di Barkhausen: 0

10

=∠

=

A

Af

β

β

In generale per un quadripolo caratterizzato a parametri Y è possibile calcolare il Aβ e trovarlo

diverso da zero anche se non è presente una rete di retroazione esterna al quadripolo medesimo.

Questo grazie all’effetto di retroazione dell’uscita sull’ingresso attraverso il parametro RY .

2.1 Configurazioni di oscillatori

Nel caso in cui il quadripolo sia un transistore bipolare i suoi parametri Y possono essere ricavati

dal circuito di Giacoletto. Ad esempio per un BJT in configurazione CE si ottiene:

Vogliamo vedere sotto quali condizioni, scegliendo opportunamente YS e YL riusciamo a realizzare

un oscillatore, ovvero a far si che le condizioni di Barkhausen vengano soddisfatte..

Cb’e rb’e gmvb’e

CT

+ v1

-

+ v2

-

( )

T

TOe

TmFe

Teb

eb

Ie

CjY

CjY

CjgY

CCjr

Y

ω

ω

ω

ω

−=

=

−=

++=

Re

''

1

YL YO ( )( )LOSI

FR

YYYY

YYA

++=β

YS YI YRV2

YFV1

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51

Partiamo da YS=0 ingresso aperto e YL=0 uscita aperta e verifichiamo la posizione di fasori che

rappresentano in numeratore ed il denominatore del Aβ . Infatti condizione necessaria è che i due

fasori risultino sovrapposti in modo

tale da ottenere fase nulla per il Aβ .

OI

FR

YY

YYA =β

La situazione è quella rappresentata

in figura dalla quale risulta evidente

che il Aβ ha fase diversa da zero..

Aggiungiamo adesso YS,YL scegliendoli in modo da far si che i fasori del numeratore e del

denominatore risultino sovrapposti. In figura

sono rappresentati due fasori YS,YL che

permettono di conseguire il risultato

suddetto, infatti la “punta” del vettore YI +

YS si trova sulla retta di YF e quella di

YO+YL sulla retta di YR

Sia YS che YL sono pure suscettanze negative (conduttanza nulla). Si tratta quindi di due induttanze

di valore opportuno da porre in parallelo all’ingresso e all’uscita.

YO

YR YL

YI

YF YS

YOe

YIe

0

0

>ℑ

>ℜ

Ie

Ie

Y

Y

YOeYIe

YRe YFe

0

0

>ℑ

>ℜ

Fe

Fe

Y

Y

YReYFe

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A questo punto è garantito il verificarsi della condizione sulla fase e, per ottenere le condizioni di

innesco, bisognerà che sia garantita anche quella sul 1>Aβ

La configurazione di oscillatore così ottenuta viene denominata oscillatore di HARTLEY a

emettitore comune.

Nella figura seguente è rappresentato il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore

di Hartley in configurazione CE.

Bisogna osservare che aggiungendo il carico RL l’ammettenza YL non risulta più puramente

immaginaria e, pertanto il vettore YO+YL non risulta più sovrapposto a YR. Per compensare ciò

bisognerà scegliere una YS, sempre puramente induttiva, ma di valore maggiore (induttanza minore)

rispetto al caso precedente, come si può desumere dalla costruzione grafica in figura.

YO

YR YF

YI

YL

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Esiste anche una variante a base comune dell’oscillatore di Hartley, come mostrato in figura.

Il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Hartley in configurazione CB è il seguente:

RFCRFC

RFC

CA

L1

CBE

L2

RFC

RE

R2

R1

CBRL

VCC

• CA evita che L1 cortocircuiti collettore ed emettitore • CB porta la base a massa alla frequenza di lavoro • CBE evita che L2 cortocircuiti l’emettitore a massa

L’oscillatore di Hartley necessita di due induttanze esterne, mentre può essere preferibile limitare

l’uso degli induttori che risultano ingombranti, costosi e poco accurati. In questi casi è conveniente

una seconda configurazione di oscillatore detta di Colpitts . A tale configurazione si perviene

aggiungendo tra collettore e base una induttanza (che risulta in parallelo alla capacità CT) scelta in

modo che sia

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gmvb’e

L

CT

rb’eCb’e

RL

To

oC

ω1

<<

Si possono calcolare, adesso, come nel seguito indicato i parametri del quadripolo risultante

( )( )LOSI

FR

YYYY

YYA

++=β

( )

+−=−−=

−=+=

−−=−−=

+++=

LCj

ljCjY

LCj

LjCjY

LCjg

LjCjgY

LjCCj

rY

TTRt

TTOt

TmTmFt

Teb

eb

It

ωω

ωω

ωω

ωω

ωω

ωω

ωω

11

11

11

1'

1'

'

Nella figura seguente sono riportati i fasori che rappresentano i diversi parametri Y nell’ipotesi che

risulti )(

1

'ebTo

oCC

L+

ω e, di conseguenza, negativa la parte immaginaria di Yit

On analogo procedimento al caso di Hartley scegliamo YS,YL in modo da sovrapporre i vettori:

Yit+YS e Yot+YL rispettivamente a YFt e YRt ovvero, utilizziamo due capacità

2

1

CjY

CjY

S

L

ω

ω

=

=

Si ottiene in tal modo l’oscillatore di Colpitts ad emettitore comune.

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L

C2

C1RL

Il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Colpitts in configurazione CE è

rappresentato in figura:

YIt

YFt YRt

YRtYFt

YOtYIt YOt

YL

YS

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La C in serie ad L serve per il punto di riposo

Analogamente a quanto fatto per quello di Hartley si può costruire una versione dell’oscillatore di

Colpitts a base comune come in figura:

Il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Colpitts in configurazione CB è il

seguente:

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57

2.2 Analisi e progetto di un Oscillatore di Colpitts

Vogliamo dimensionare un oscillatore di Colpitts a base comune adottando alcuni accorgimenti che

rendono la frequenza di oscillazione indipendente dalle caratteristiche del componente attivo

(ovvero dai suoi parametri Y).

Utilizziamo nello studio il Teorema di Scomposizione per individuare un anello e calcolare il

relativo guadagno Aβ .

Facciamo alcune ipotesi:

)(

1

120 CCZ in +

>>ω

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Allora:

021

1

ffe

L

R

R

CC

CA

=+

Questa ipotesi equivale a supporre trascurabile la corrente in Zin, ovvero a supporre la tensione Vin quasi uguale a quella che si avrebbe a vuoto ( )∞→inZ . Sotto questa condizioni:

S

LpC

LRZ1

////= 21

21

CC

CCCS +

=

p

r

V

VA =β

21

1

CC

CVV pin +

=

in

p

in

in

inZ

V

CC

C

Z

VI

21

1

+==

FRLOI

LF

IYYYYY

YYA

−+=

)(

pI

in

p

pr

inI

ZAZ

V

CC

CZIV

IAI

21

12

2

+−=−=

=

p

in

I

p

ZZ

A

CC

C

V

VrA

21

1

+−==β

Facciamo ancora un’ipotesi:

1−≈IA

Si tratta di un’ipotesi ragionevole, sia pure da verificare, poiché AI rappresenta il guadagno di

corrente di un amplificatore a base comune.

Supponiamo ancora che Zin sia reale, ovvero ℜ∈= ein RZ

Anche questa ipotesi andrà poi verificata.

Sotto queste ipotesi: e

p

R

Z

CC

CA

21

1

+≈β

Per avere ℜ∈⇒ℜ∈⇒=∠ pZAA ββ 0

Zp è reale solo alla frequenza di risonanza f0=ω0/2π del gruppo LC ovvero

Lp

S

RZLC

=⇒=1

0ω I

Tale frequenza (che impone la condizione sulla fase) risulta, pertanto, indipendente dalle

caratteristiche del componente attivo. Perché si inneschi l’oscillazione, comunque, è necessario

verificare anche la condizione sul modulo del Aβ .

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Verifichiamo, adesso, se e sotto quali condizioni le ipotesi assunte strada facendo risultano

verificate.

LOb

FbRb

IbinYY

YYYY

+−= RbY trascurabile → In prima approssimazione Ibin YY ≈

Ad esempio, nel caso del transistore 2N4957 alla frequenza di 100 MHz risulta Ω≈ 20inZ e,

inoltre, Zin ≈ 1/ IbY non è reale. Per far sì che l’ipotesi di lavoro utilizzata sia verificata possiamo

aggiungere una Re in serie a Zin molto maggiore del modulo di quest’ultima, in modo tale che

risulti:

eeinin RRZZ ≈+=' ℜ∈'inZ Ad esempio: Re=200Ω

Z

Il guadagno d’anello diventa, allora:

e

L

R

R

CC

CA

21

1

+≈β

Perché sia rispettata la condizione sul modulo del Aβ deve essere certamente eL RR >

Perché risulti eR

CC<<

+ )(

1

12ω scegliamo: pFCpFCC S 5010021 =⇒== e, di conseguenza:

nHC

LS

50120

≈=ω

Perché sia Ω>⇒> 4001 LRAβ

Poichè il carico è, di norma, fissato dalle specifiche di progetto, se risulta Ω< 400LR bisognerà

interporre una rete di trasformazione di impedenza per garantire un valore della resistenza vista

maggiore di 400 Ω .

Proviamo a fare una verifica interessante: calcoliamo l’impedenza vista da RL guardando verso

l’uscita dell’oscillatore nelle condizioni di Aβ =1 .

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60

G

G

RI

VZv

L=

21

1

CC

CVV Gin +

=

22 IIII pG =+= 0=== ffpI

e

G

GR

V

CC

CI

21

1

+−=

eG RC

CCV

1

21 +−=

e

L

ff R

R

CC

CA

21

1

0 +=

1

21

C

CCRAR eL

+⋅= β

LRL ZvAR ⋅−= β

L

ffR RZvA

L−=⇒≈

= 0

Se sono verificate le condizioni di Barkhausen, allora RL vede un’impedenza d’uscita

dell’oscillatore pari a –RL, ovvero l’impedenza totale della maglia di uscita, alla frequenza di

oscillazione, risulta nulla.

Il circuito dell’oscillatore di Colpitts completo della rete di polarizzazione è, pertanto, il seguente:

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2.3 Autoregolazione dell’ampiezza

Lo studio dei meccanismi attraverso i quali l’oscillazione, una volta innescatosi, dà origine ad un

fenomeno di autoregolazione dell’ampiezza investe l’analisi del funzionamento non lineare del

componente attivo ed è, pertanto, estremamente difficoltosa da condurre in senza l’aiuto di un

simulatore circuitale evoluto. Possiamo, però, fornire in questa sede una descrizione intuitiva di tali

meccanismi che non ha, certamente, alcuna pretesa di rigore.

Supponiamo che l’oscillazione si sia innescata e che la VBE assuma un andamento sinusoidale di

ampiezza crescente intorno al suo valor medio iniziale VBEQ come in figura:

Quando l’ampiezza dell’oscillazione supera il valore VBEQ-VT, essendo VT la tensione di soglia, la

giunzione base-emettitore va in interdizione per una frazione crescente del periodo e, di

conseguenza, la corrente IB risulta tagliata in basso come in figura.

VBE VBEq

Punto di riposo

IB

t

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Lo stesso accade per le correnti IC e IE. Questo fenomeno fa sì che il valor medio di tali correnti,

inizialmente pari, rispettivamente, a IBQ, ICQ, IEQ, tenda a crescere. Poiché la componente di

valor medio di una corrente non può attraversare, a regime, i condensatori di accoppiamento e

bypass, essa deve richiudersi attraverso le maglie resistive causando una caduta in continua in

eccesso rispetto a quella che si aveva a riposo. Per questo motivo la tensione di base VB tende a

diminuire e quella di emettitore VE tende a crescere: in altri termini , la tensione VBE diminuisce. Si

ottiene, in tal modo, un fenomeno di depolarizzazione della base e la retta intorno alla quale si

sviluppa l’andamento di VBE tende a spostarsi verso sinistra, facendo sì che la frazione di periodo

durante la quale il transistore è in zona attiva tenda a diminuire. Ci si potrebbe chiedere, a questo

punto, per quale motivo si è supposto che la componente variabile della tensione VBE continui a

presentare un andamento sinusoidale. La risposta sta nel fatto che, tale componente, essendo la base

a massa per le variazioni, è dovuta alla componente variabile della tensione VE e, quindi, è una

partizione della tensione ai capi del gruppo LCS alimentato dalla corrente pulsante IC ( si ricordi

che la IC ha lo stesso andamento della IB). Se ipotizziamo, come è opportuno fare, che il gruppo

RLLC sia caratterizzato da un elevato valore del fattore di qualità Q, ecco, allora, che le componenti

armoniche della corrente IC , filtrate dal gruppo RLLC che risuona alla frequenza di oscillazione,

non causano caduta di tensione apprezzabile su RL e solo la prima armonica contribuisce a tale

tensione che risulta, pertanto, quasi sinusoidale.

EI

EV

BV

↑↑⇒

↓↑⇒

EE

BB

VI

VI

BBE IV ↓⇒

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63

2.4 Oscillatori controllati in tensione

Per ottenere un oscillatore la cui frequenza sia controllabile/modulabile mediante una tensione si

utilizzano elementi circuitali che presentano una capacità variabile con la tensione di

polarizzazione, ovvero, dei varicap. Esistono moltissime soluzioni circuitali di questo tipo: ne

esaminiamo in dettaglio una tra le tante che prende il nome di Oscillatore di Clapp.

VS rappresenta la tensione modulante (o di controllo), mentre l’induttanza RFC è un corto circuito alle basse

frequenze ed è un circuito aperto alle radiofrequenze, pertanto, isola l’oscillatore vero e proprio dalla parte

di controllo. Il diodo polarizzato in inversa attraverso la batteria E si comporta come una capacità variabile.

Il gruppo LCV serie presenta una reattanza pari a

Se

allora si tratta di una reattanza induttiva e la configurazione risultante è quella di Colpitts a base

comune con la possibilità di modulare tale reattanza mediante la tensione VS. Si ottiene, in

definitiva, un oscillatore controllato in tensione o VCO (Voltage Controlled Oscillator).

−−=

−=+

V

V

V

V

VC

LCj

Cj

LC

CjLj

ωω

ωω

ωω

22 111

L

CV

V

VC

LCω

ω1

: >

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64

Esaminiamo più in dettaglio come avviene la modulazione della capacità CV e, quindi della

frequenza di oscillazione.

Z→∞

RFC

E

Ro

CA

RS

VS

In continua la tensione ai capi del diodo è ERR

RV

OL

L

COQ += .

Nel range di frequenze di VS , CA può essere considerato un corto circuito, pertanto al valore continuo della

VCQ si aggiunge una componente variabile S

OL

CO VRR

RtV

Q += 0)(

E’ questa componente variabile che modifica in maniera dinamica il valore di CV il quale riosulta

legato alla tensione di controllo da una relazione del tipo di quella riportata nella figura

Per piccole variazioni di VS si ottiene una modulazione “quasi” lineare della frequenza di

oscillazione intorno alla frequenza centrale.

2.5 Oscillatori al quarzo

Consideriamo l’oscillatore di Colpitts studiato in precedenza. Alla frequenza di risonanza f0 Alla

frequenza di risonanza f0 abbiamo LCS

00

ω= . Oltre a C1 e C2 ci sono altre componenti reattive

che contribuiscono a determinare il valore effettivo della reattanza capacitiva in parallelo a quella

induttiva dovuta all’induttanza L. C’è da aggiungere, inoltre, che C1 e C2 sono note con una certa

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indeterminazione a causa delle tolleranze di produzione e, per finire, il loro valore può dipendere

dall’invecchiamento e dalle condizioni ambientali.

Nella figura precedente è rappresentata la soluzione grafica che permette di individuare la frequenza

di innesco. A causa, però, degli effetti appena citati, sulla capacità effettiva CS bisogna prevedere un

certo grado di indeterminazione e di variabilità, pertanto, ciò che si può affermare è che con alta

probabilità la curva che rappresenta la sua reattanza al variare della frequenza sarà contenuta tra due

curve limite che da tali indeterminazioni e variabilità dipendono. La situazione è rappresentata nella

figura seguente dalla quale si evince che anche la frequenza di oscillazione, piuttosto che essere un

valore ben preciso, risulterà compresa tra un minimo e un masssimo.

Infine, se anche l’induttanza presenta una certa variabilità il range che contiene la frequenza

effettiva di innesco risulta ulteriormente allargato come si evince dalla figura seguente:

Re

RE

C1

C2

CT

X

f

XL

-XC

f0

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Se immaginiamo, adesso, di sostituire l’induttanza con un bipolo induttivo la cui reattanza varia

molto velocemente nell’intorno di f0 la situazione è quella rappresentata in figura.

Più ripido è l’andamento della reattanza equivalente induttiva, minore sarà l’effetto della

indeterminazione e della variabilità della reattanza equivalente CS. Il risultato sarà un oscillatore

con frequenza di innesco accurata e stabile. Queste caratteristiche possono essere riscontrate nei

quarzi.

Il quarzo è un materiale che presenta caratteristiche piezoelettriche. Applicando una forza tra due

facce di un parallelepipedo di materiale piezoelettrico e, quindi, causando una micro deformazione,

si rileva sulle facce ortogonali una differenza di potenziale. L’effetto piezoelettrico è reversibile,

ovvero, applicando una tensione, si osserva una micro deformazione. Da un punto di vista elettrico,

se si metallizzano due facce non contigue di un cristallo di quarzo e si applicano ad esse degli

elettrodi, l’impedenza vista tra tali terminali è rappresentabile mediante il circuito equivalente

semplificato in figura. In realtà nel quarzo reale sono presenti anche degli elementi in grado di

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dissipare potenza media che andrebbero rappresentati aggiungendo delle resistenze al circuito

semplificato di figura. L’impedenza ZQ vista ai capi è calcolata nel seguito.

Definiamo una frequenza di risonanza serie: S

SLC

12 =ω

E una frequenza di risonanza parallelo:

SP

SP

P

CC

CCL

+

=12ω

Quindi:

( )

−+

=2

2

1

1

P

PS

S

Q

CCj

Z

ωω

ω

ωω

Risulta sempre CP >> CS, (ad esempio CP = 103~105 CS) pertanto ωP, sebbene sempre maggiore di ωS, in realtà è molto prossima a quest’ultima.

( )sCCsCLC

sLC

sCsCLs

sCsCLs

ZSPPS

S

PS

PS

Q +++

=++

+

=2

2111

11

( )( )

+−+

−=

2

2

1

1

ωω

ωω

PS

PSSP

SQ

CC

CCLCCj

LCjZ

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Per ω→0: comportamento capacitivo, |Z| → ∞, circuito aperto 2

π−=∠Z ,

Tra ωS e ωP: comportamento induttivo, 2

π+=∠Z

Per ω→∞: comportamento capacitivo, |Z| → 0, corto circuito 2

π−=∠Z

Se si tiene conto degli elementi di perdita, trascurati in precedenza, l’effettivo andamento del

modulo e della fase di ZQ risultano modificati come in figura, ma, se ωS e ωP risultano molto

vicine tra loro, l’effetto di garantire una frequenza di oscillazione dipendente quasi esclusivamente

dalle caratteristiche del quarzo permane.

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I quarzi possono essere realizzati a basso costo di produzione con accuratezza delle frequenze ωS e

ωP molto elevate, stabili nel tempo e indipendenti dalla temperatura. Sostituendo all’induttanza un

quarzo si possono realizzare, a basso costo, oscillatori con frequenza di risonanza affetta da errori

estremamente bassi (poche parti per milione o anche meno).

Un esempio circuitale è rappresentato in figura.

L’aggiunta di una capacità variabile consente di effettuare un tuning molto fine nell’intervallo tra

ωS e ωP.

I quarzi sono disponibili sul mercato per frequenze di risonanza da alcune centinaia di KHz fino al

centinaio di MHz. Oscillatori al quarzo in ambiente termostatato permettono stabilità in frequenza

di frazioni di parti per milione o di qualche parte per miliardo (10-9).

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70

Capitolo 3

Mixer

Un mixer è un sistema che, alimentato da due o più segnali in ingresso, presenta in uscita un segnale

contenente prodotti non lineari dei segnali di ingresso. In generale il segnale di uscita può essere

rappresentato da una somma di termini ciascuno dei quali è una potenza di ordine diverso della

combinazione lineare dei segnali di ingresso. Nella sua realizzazione più semplice le porte di

ingresso sono due e l’uscita contiene un solo termine proporzionale al prodotto tra i due segnali

applicati agli ingressi. Per motivi “storici” e in dipendenza da quella che risulta essere

l’applicazione più frequente del mixer nei sistemi a radiofrequenza, le due porte di ingresso

prendono il nome di “porta a radiofrequenza” e “porta dell’oscillatore locale”, mentre quella di

uscita prende il nome di “porta a frequenza intermedia”. In figura è rappresentata l’applicazione

classica del mixer utilizzato per traslare in basso la frequenza del segnale ricevuto dall’antenna di

un ricevitore.

Il mixer “mescola” i 2 segnali di ingresso in maniera non lineare producendo segnali a frequenze

diverse, fra cui OLRFFI fff −=1 ed OLRFFI fff +=2 . Se l’obiettivo è quello di traslare in basso il

segnale ricevuto dall’antenna, si selezionerà la frequenza fFI1 alla quale daremo nel seguito il nome

di “frequenza intermedia”.

Consideriamo il caso di un segnale VRF(t) modulato in ampiezza a doppia banda laterale (DSB) con

portante fRF , applicato all’ingresso a radiofrequenza del mixer e sia OLf la frequenza del segnale

monocromatico applicato sulla porta dell’oscillatore locale. Il risultato è la traslazione dello spettro

alla frequenza differenza e alla frequenza somma (quest’ultima non rappresentata in figura).

LNA MIXER

O.L.

R.F. F.I.

O.L. ( ) ( )( ) ( )( ) ( )∑ −=

=

=

mn

RFOLmnFI

OLOLOL

RFRFRF

tmnatV

tVtV

tVtV

M

M

,, cos

cos

cos

ωω

ω

ω

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( ) ( )[ ] ( )ttxmVtV RFaAMRF ωcos1+=

Vediamo più in dettaglio e con qualche esempio come una non linearità possa dare origine al

termine prodotto. A tal fine supponiamo che il mixer si comporti come un sistema senza memoria

ovvero la cui tensione di uscita xu(t) all’istante t dipende solo dal valore assunto allo stesso istante

dalle tensioni di ingresso xi(t) e non dai valori assunti negli istanti precedenti. Nel caso di due soli

ingressi, x1 e x2, immaginando di poter approssimare con una espansione polinomiale la

dipendenza non lineare di xu(t) dagli ingressi potremo scrivere:

...)()()( 3213

2212211 ++++++= xxaxxaxxaxu

Nel caso più semplice di due soli segnali di ingresso VRF e VOL con

( ) ( )( ) ( )tVtV

tVtV

OLOLOL

RFRFRF

M

M

ω

ω

cos

cos

=

= ( ) ( )tVtVx OLRFi +=

sviluppando il termine quadratico si ottiene:

( )( ) ( )( ) ( )( ) ( )( )

++−++++= tt

VVt

Vt

Vaxa RFOLRFOL

OLRF

OL

OL

RF

RF

i

MMMM ωωωωωω coscos2

22cos12

2cos12

22

22

2

Un circuito che realizza in maniera estremamente semplice questo risultato è il FET, grazie alla sua

caratteristica parabolica. Nel seguito è rappresentato un mixer a FET nel quale il gruppo LC è

dimensionato in modo da risuonare alla frequenza fFI= ( )RFOL ωω − /2π.

Si osservi che in continua risulta EVGSo −= , mentre la tensione gate-source è data da

( ) ( ) ( )tVtVEtV OLRFGS −+−= nell’ipotesi che la capacità CA si comporti come un corto circuito alla

radiofrequenza e l’induttanza di blocco come un circuito aperto.

Sotto queste condizioni la corrente di drain, fornita dalla ben nota equazione parabolica per VGS

compreso tra 0 e la tensione di pinch-off VP, contiene un termine dipendente dal quadrato della

differenza tra VGS(t) e VOL(t).

RFf OLf f FIf

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72

2

1

−=

P

GS

DSSDV

VII

( )222

2 GSPGSP

P

DSS

D VVVVV

II +−=

Sviluppando il doppio prodotto si ottiene:

( )( ) ( )( )[ ]ttVV RFOLRFOLOLRF MMωωωω +++− coscos

2

12

L’ampiezza della componente a frequenza intermedia RFOLFI fff −= risulta essere data da:

LOLRF

P

DSS

FI RVVV

IV

MMM 2= .

3.1 Parametri caratterizzanti

In generale un mixer si caratterizza mediante un certo numero di parametri. Il più importante è il

Guadagno di Conversione CG (o il suo inverso: la perdita di conversione CL) definito come il

rapporto tra la potenza della componente a frequenza intermedia e la potenza disponibile del segnale

a radiofrequenza:

RFA

FI

CP

PG =

ID

VD

IDSS

VP

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73

Si noti che FIP non rappresenta tutta la potenza che si misura sulla porta a FIf sulla quale sono

presenti anche altre componenti frequenziali oltre a quella a fFI, ma solo quella dovuta a quest’ultima

componente. Nel caso del FET prima esaminato:

S

RF

A

L

LOLRF

P

DSS

FI

R

VP

R

RVVV

I

P

M

RF

MM

8

2

)(

2

22

=

=

SL

P

OLDSS

C RRV

VIG M

4

22

4=

Si osservi che il guadagno di conversione non dipende dal segnale a radiofrequenza e, pertanto, la

componente a frequenza intermedia, a VOLM costante, risulta proporzionale, secondo la costante GC,

a quella a radiofrequenza, ovvero

RFACFI PGP =

A radiofrequenza si usa esprimere la potenza in dB milliwatt (dBm = 10 volte il logaritmo della

potenza misurata in milliwatt). In tal caso si ottiene

dBmAdBCACFIdBmFI RFRF

PGmWLogPLogGmWLogPP +=+== ][1010][10

Se si riporta su un grafico dBmFIP in funzione di

dBmARF

P si ottiene l’andamento descritto in figura:

Un altro parametro importante è il punto di compressione a 1 dB (o 1dBCP) che si ricava attraverso

il seguente esperimento: si alimenta la porta a radiofrequenza con un segnale di ampiezza via via

decdB /10

dBCG

[ ]( )mWPFIlog10

[ ]( )mWPRFAlog10

1W→0dB 1000mW→10log103

→30dBm

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74

crescente e, ogni volta, si misura la potenza a frequenza intermedia; il risultato delle misure si

riporta in grafico (linea continua in figura).

Il grafico costruito per via sperimentale presenta una deviazione dall’andamento lineare previsto. Il

punto di compressione a 1 dB è il valore della potenza disponibile a radiofrequenza in cui la curva

sperimentale si discosta di 1 dB dall’andamento lineare a tratteggio.

Di fatto è come se GC, da un certo valore di PARF in poi, cominciasse a diminuire. Si tratta di un

effetto in genere dovuto a non linearità di ordine superiore i cui effetti, oltre un certo livello del

segnale a radiofrequenza, non possono più essere trascurati.

Di norma il mixer viene usato con una RFAP tale da mantenere il funzionamento al di sotto del punto

di compressione (da 3 a 6 dB sotto 1dBCP).

Isolamento.

Un altro parametro, o meglio una famiglia di parametri, e l’Isolamento che fornisce anch’esso una

misura dello scostamento da un comportamento ideale.

Il mixer si usa prevalentemente per traslare un segnale ad una frequenza desiderata e, su ciascuna

porta

è desiderabile avere, per diversi motivi, soltanto la componente che a quella porta compete. In

realtà, ciò non accade (si pensi a tutte le componenti diverse da quella a frequenza intermedia

presenti sulla porta a fFI). L’isolamento fornisce una misura della deviazione da questo

comportamento ideale.

1dB

1dBCP

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Si possono definire fino a 6 tipi di isolamento, anche se, sostanzialmente, solo 3 sono di effettivo

interesse. Cominciamo col definire l’isolamento RFFII della porta a RF sull’uscita a FI come il

rapporto tra la potenza disponibile a radiofrequenza e la potenza della componente a radiofrequenza

sulla porta a FI:

=

RFFI

A

RFFIP

PI RFlog10

Gli altri due isolamenti di interesse sono OLFII , OLRFI definiti, con ovvio simbolismo, dalle seguenti

relazioni:

=

OLFI

AOLFI

P

PI RFlog10 OLFIP è la potenza della OLf misurata sulla porta a FI

=

OLRF

A

OLRFP

PI OLlog10 OLRFP è la potenza della OLf misurata sulla porta a RF

L’effetto dell’OL sulla porta a RF può essere particolarmente “fastidioso” nei ricevitori in quanto

rappresenta una componente alla frequenza dell’oscillatore locale che “fluisce” verso l’ingresso del

ricevitore. Poiché quello dell’oscillatore locale è sempre un segnale di notevole potenza (anche

qualche decina di dBm) di fatto un isolamento non infinito, nei confronti di questa componente, può

essere indice di un segnale che viaggia in direzione dell’antenna e che da questa può essere irradiato

con ovvie conseguenze negative in termini di interferenze e inquinamento elettromagnetico.

Il costruttore del mixer fornisce questi parametri all’interno di range frequenziali ben determinati

per le tre porte. Ciascun isolamento viene misurato in condizioni ben specificate. In figura è

rappresentata la configurazione circuitale per la misura di IRFFI:

50Ω

+ VRF -

50Ω

O.L.

MIXER

In uscita a frequenza RFf si osserva una componente di

ampiezza MRFVdalla quale si

ricava PRFFI

MIXER F.I.

O.L.

R.F.

.

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76

3.2 Mixer a moltiplicatore

Invece che utilizzando una non linearità, l’operazione di mescolamento (o mixaggio, con un brutto

neologismo) si può realizzare mediante dei moltiplicatori. Il caso più frequente è quello della

moltiplicazione per un’onda quadra q(t) che ha frequenza fondamentale pari a fOL. In figura è

rappresentata q(t) insieme col suo sviluppo in serie di Fourier.

Il circuito in figura permette di ottenere in uscita una tensione proporzionale al prodotto di VS(t) per

l’onda quadra q(t):

Per ottenere il risultato è necessario che il tasto sia comandato da un fenomeno periodico all

frequenza dell’oscillatore locale. Si può ottenere il risultato col circuito rappresentato nella figura

seguente che assume il nome di Mixer a diodi singolarmente bilanciato.

VOL è una tensione periodica di forma qualunque purchè di ampiezza sufficiente a mandare

alternativamente in conduzione o in interdizione i diodi. Nel semiperiodo in cui VOL è alta,

considerando Vγ=0 (trascurabile), tutti e quattro i diodi conducono ed è come se il tasto fosse

chiuso, nell’altro semiperiodo risultano interdetti ed è come se il tasto fosse aperto.

Nel seguito si effettuerà il calcolo del guadagno di conversione e l’isolamento per questo mixer.

:

q(t)

1

T0

t ( ) ( )tncon

n

n

tqn

01

2

2sin

2

π

π

∑∞

=

+=

00

2

T

πω =

Immaginiamo di aprire e chiudere il tasto con periodo T0

( ) ( )

++

= ∑∞

=

tncon

n

n

RR

RVtv

nSL

L

Su 01

2

2sin

2

π

π

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77

RFA

FI

CP

PG = con RS=RL=50Ω

( ) ( )tVtV RFRFRF Mωcos=

( ) ( ) ( )tqtVtV RFFI2

1= ( )RF

RFFI

M

M

VV ωω

π−= 0cos

2

42

1 0

0

2

T

πω =

S

RFA

L

RFFI

R

VP

R

VP

M

RF

M

8

24

2

2

2

=

⋅=

π

1.048

24 222

2

≅=⋅

=ππ

M

M

RF

S

L

RFC

V

R

R

VG

Solo il 10% della potenza a radiofrequenza viene convertita a FI: il GC è basso!

Se adesso calcoliamo l’isolamento della radiofrequenza sulla porta a frequenza intermedia

otteniamo

4

MRFFIRF

VV =− 4

216

8 2

2

=⋅

==−

M

MRF

RF

L

S

RF

FIRF

AFIRF

V

R

R

V

P

PI

¼ della potenza disponibile a RF si ritrova in uscita sulla porta a FI. L’isolamento è scadente e

corrisponde al fatto che una aliquota significativa della potenza a radiofrequenza non viene

convertita, ma ricompare in uscita. Per migliorare le prestazioni di questo mixer sia in termini di

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guadagno che di isolamento, si utilizza una configurazione opportunamente modificata in cui

compare un’onda quadra bipolare (con valor medio nullo) a differenza di quella unipolare con valor

medio ½ utilizzata prima. E’, infatti, la presenza della componente continua nello sviluppo di q(t) a

degradare l’isolamento.

3.2.1 Mixer a diodi doppiamente bilanciato

Si tratta di una delle configurazioni più frequentemente utilizzate, quanto meno in realizzazioni

ibride (non integrate). In essa la moltiplicazione per l’onda quadra bipolare rappresentata in figura

è ottenuta con lo schema circuitale di principio seguente

A cui corrisponde un’ampiezza della componente a frequenza intermedia pari a

2

1

2

122

πMM RFFI VV = L

RFFI

R

VP M

2

2

2π=

E, quindi un guadagno di conversione pari a:

4.048

2 222

2

≅==ππ

M

M

RF

S

L

RFC

V

R

R

VG

In questo caso tutti e tre gli isolamenti di interesse risultano, nel caso ideale, infiniti.

Mentre il mixer precedente era bilanciato solo nei riguardi dell’OL (singolarmente bilanciato),

questo lo è sia nei riguardi dell’OL sia nei riguardi dell’RF (doppiamente bilanciato).

La realizzazione circuitale sfrutta un ponte a diodi come in figura

( ) ( )∑∞

=

=1

0cos

2

2sin

2n

q tn

n

n

tq ωπ

π

( ) ( ) ( ) ( ) ( )tqtVtqRR

RtVtV qRFq

SL

LRFFI

2

1=

+=

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VRF VOL

RS

1D

B

AC

2

3

4

RL

1:22:1

RL

+ VFI -

I diodi conducono a coppie per effetto del segnale di comando sulla porta dell’oscillatore locale.

Quando VOL è nel semiperiodo positivo conducono i diodi 2 e 3 (VA=VB), mentre i diodi 1 e 4 sono

interdetti (VFI=VCB).

Quando VOL è nel semiperiodo negativo conducono i diodi 1 e 4 (VD=VA), mentre i diodi 2 e 3 sono

interdetti (VFI=VCD)

A parte un coefficiente moltiplicativo, il segnale viene trasferito sulla porta a FI per metà periodo

col suo segno e per metà perido cambiato di segno.

Dal punto di vista del primario (porta a RF) esso vede sempre sul secondario una resistenza RL in

entrambe i semiperiodi. La resistenza RL viene riportata sul primario moltiplicata per il quadrato del

rapporto spire. Nel seguito, con ovvio simbolismo, sono riportati i passaggi che conducono al

calcolo del guadagno di conversione.

M

M

RFM

RFM

VV

VV

5

2

5

4

2

1

=

=

MMM RFRFFI VVVππ 5

4

2

122

5

2==

Pertanto:

dBV

R

R

VG

M

M

RF

S

L

RFC 6

4

1

25

648

2

16

25 222

2

−⇒≅==ππ

Questo tipo di mixer in configurazione ibrida trova applicazione fino a diversi GHz.

Si possono trovare le caratteristiche funzionali di diverse famiglie di mixer basati su questa

topologia sul sito: www.minicircuits.it.

V2M è l’ampiezza della tensione sul secondario del

trasformatore della porta RF: essa viene

moltiplicata per l’onda quadra e si ritrova ai capi

del carico RL sulla porta a FI.

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80

CAPITOLO 4

RICEVITORI

Un ricevitore radio è un sistema in grado di ricevere, amplificare e demodulare un segnale radio

avente caratteristiche prefissate in termini di occupazione di banda e di schema di modulazione,

all’interno di una o più gamme (intervalli) di frequenza. Per fare ciò il ricevitore deve essere in

grado almeno di:

1) ricevere il segnale elettromagnetico mediante un’antenna;

2) amplificarlo mediante un amplificatore a radiofrequenza con cifra di rumore adeguata;

3) filtrare il singolo canale che si desidera ricevere, introducendo una attenuazione di livello

adeguato nei confronti di tutti gli altri segnali;

4) demodularlo estraendo dal segnale modulato le stesse informazioni contenute nel segnale in

banda base prima della sua modulazione e trasmissione.

4.1 Ricevitore supereterodina

L’architettura ampiamente più diffusa della parte frontale (dall’antenna al demodulatore) di un

ricevitore è quella nota come Supereterodina che risolve nella maniera più economica e

tecnologicamente abbordabile il problema dell’elevata selettività richiesta in molte applicazioni. Per

selettività si intende la capacità del ricevitore di trattare il segnale che si desidera ricevere in

maniera “differenziata” da quelli che, invece, costituiscono interferenza e, pertanto, dovrebbero

essere idealmente eliminati. Questa architettura, affermatasi fin dagli inizi dello sviluppo della

radio, fu ideata da Lucien Levy nel 1917 ma fu brevettata da Edwin Howard Armstrong nel 1918.

Questi fece sua l'idea di Levy che solo nel 1928, dopo una lunga vertenza giudiziaria, venne

riconosciuto come legittimo inventore.

L'utilizzo di una batteria di filtri a frequenza fissa, uno per ciascuna delle “stazioni” che si vogliono

ricevere, sarebbe antieconomico e fornirebbe un numero limitato di stazioni ricevibili. D'altro canto

realizzare un solo filtro a frequenza variabile che copra tutto lo spettro radio sarebbe troppo difficile

e costoso (specialmente con le tecnologie disponibili agli albori della radio).

Sì pensò, quindi, fin dagli inizi ad un sistema in grado di convertire le frequenze ricevute ad una

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frequenza fissa chiamata frequenza intermedia fFI alla quale operano tutti i circuiti di filtraggio e

demodulazione successivi.

Questo risultato si ottiene utilizzando un mixer e scegliendo opportunamente la frequenza fOL con il

quale far “battere” il segnale ricevuto applicandola sulla porta del mixer riservata all’oscillatore

locale. Posizionando intorno alla frequenza fFI un filtro selettivo, sarà poi possibile filtrare il segnale

desiderato, eliminando tutti quelli che si trovano fuori dalla banda del filtro. Per ottenere lo stesso

risultato sarebbe, altrimenti, necessario utilizzare un filtro passa banda con frequenza centrale pari a

fRF da posizionare subito dopo l’antenna o il LNA (v. figura). Questa seconda soluzione è

estremamente difficile e più costosa da realizzare. È, infatti, molto complicato dal punto di vista

tecnologico, realizzare filtri altamente selettivi (ad alto fattore di qualità) che presentino, al

contempo, frequenza centrale variabile.

Tanto per fissare le idee, immaginiamo di voler selezionare un singolo canale per una

comunicazione secondo il più diffuso standard di telefonia mobile: il GSM. In questo caso la

larghezza di banda di un canale è 200 KHz , mentre la frequenza centrale può essere intorno ai 2

GHz. Per ottenere il risultato sarebbe necessario un filtro a frequenza variabile su tutta la gamma di

frequenze assegnata al segnale (da 30 a 60 MHz a seconda degli standard) con Q=10.000: si tratta

di una soluzione non realizzabile in pratica a causa del limite non superiore a qualche centinaio del

fattore di qualità di componenti reattivi (induttanza o capacità) di valore variabile.

Quindi, invece di spostare il filtro sulle frequenze volute si fa la cosa opposta: si trasla il segnale a

bassa frequenza dove può essere filtrato più agilmente. Per traslare il segnale lo si moltiplica per

un’oscillazione a frequenza opportuna in modo che uno dei prodotti della moltiplicazione

(tipicamente il segnale a frequenza differenza) cada in corrispondenza della frequenza intermedia

prescelta. Infatti, gli oscillatori variabili sono più facilmente realizzabili dei filtri a frequenza

variabile. Lo schema base di un ricevitore supereterodina è rappresentato in figura

Filtro passa-banda

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Questa architettura, ampiamente la più diffusa da quasi 90 anni, introduce, però, un problema:

quello della frequenza immagine. Infatti, sia il canale che si desidera ricevere, sia qualunque altro

interferente situato in posizione simmetrica a questo, rispetto alla frequenza dell’oscillatore locale,

vengono traslati, per effetto della moltiplicazione, in corrispondenza della frequenza intermedia.

Per comprendere meglio il problema conviene descrivere un esempio specifico e fare riferimento ad

uno standard relativo ad un servizio esistente. Utilizziamo, a questo fine, lo standard per la

radiodiffusione in modulazione di ampiezza ad onde medie.

Al servizio è destinata la banda che va da 540 kHz ÷ 1.6 MHz, sulla quale sono identificati 106

canali distanzianti di 10 KHz. Ciascun canale “ospita” un segnale a radiofrequenza modulato in

ampiezza da un segnale audio la cui banda va da 300 Hz a 4.5 kHz (v. figura).

Per selezionare un singolo canale si dovrebbe disporre di un filtro con frequenza centrale variabile

nel range [540 kHz ÷ 1.6 MHz] dotato di un fattore di qualità: max0 1.6160

10RFf

f MHzQ

B kHz≅ = >

Un dispositivo di questo tipo risulterebbe irrealizzabile oppure estremamente costoso. Si adotta,

pertanto la soluzione supereterodina. Per ottimizzare la realizzazione del filtro a frequenza

intermedia, le associazioni di costruttori hanno deciso di utilizzare tutti la stessa frequenza

LNA MIX AFI

OL

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83

intermedia: fFI = 455 kHz . Si è ottenuta, in tal modo, una forte riduzione dei costi dovuta all’ovvio

effetto di una economia di scala.

4.1.1 Problema della frequenza immagine

Vediamo, adesso, in cosa consiste il problema della frequenza immagine fIM. Il mixer oltre a traslare

il canale a fRF a frequenza fFI = fOL-fRF trasla nella stessa posizione sull’asse delle frequenze anche il

segnale a frequenza fIM tale che fIF = fIM - fOL. (v. Figura)

Pe risolvere il problema, basta inserire, prima del mixer, un filtro che introduca una attenuazione

adeguata in corrispondenza della frequenza immagine a 1450 kHz. L’architettura del front end

viene, dunque, modificata come in figura:

Il filtro per la frequenza immagine (di norma denominato “filtro a radiofrequenza” per distinguerlo

da quello contenuto nell’amplificatore a frequenza intermedia detto anche “filtro di canale”) deve

avere selettività adeguata e attenuare la fIM di una quantità che varia da una trentina ad una

settantina di dB, a seconda delle applicazioni.

Esso deve essere “accordato” con l’oscillatore locale e variare la sua frequenza centrale di pari

passo a quella generata da quest’ultimo. Gli intervalli (o gamme di frequenza) occupati dal segnale

LNA MIX AFI

OL

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84

a radiofrequenza, dall’oscillatore locale e dalla frequenza immagine, sono riportati con ovvio

simbolismo in figura.

Come si può osservare, l’intervallo della radiofrequenze (BRF ) e quello della frequenza immagine

(BRF) sono parzialmente sovrapposti e questo impedisce, sia pure a livello teorico, di utilizzare un

filtro a frequenza fissa con banda passante corrispondente all’intervallo BRF in Figura e banda

bloccata corrispondente all’intervallo BIM. Nel caso in cui la frequenza intermedia fosse risultata

abbastanza elevata da fari si che i due intervalli risultassero sufficientemente lontani, il filtro a

radiofrequenza avrebbe potuto essere a frequenza fissa.

Per quanto riguarda il filtro a radiofrequenza, le realizzazioni più semplici prevedono l’utilizzo di

una topologia del tipo in Figura

Dove la capacità variabile era ottenuta, in tempi passati, modificando, mediante la rotazione di una

manopola di sintonia, la geometria di un condensatore ad armature piane, attualmente con l’utilizzo

di un varicap. In ambedue i casi, comunque, risulterebbe difficile ottenere dei valori del fattore di

qualità QV > 30.

Valori del fattore di qualità significativamente più elevati possono essere ottenuti nel caso di filtri a

parametri concentrati (L/C/R) a frequenza centrale fissa: QF ~ 100 ÷1000. Molto meglio si può fare

540 995 1450 1600 2055 2510

fFI = 455 kHz

fRF є 540 ÷ 1600 kHz : BRF

fOL є 995 ÷ 2055 kHz : BOL fOL = fRF + fFI

fIM є 1450 ÷ 2510 kHz : BIM fIM = fOL + fFI

BIM

BOL

BRF

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85

con filtri monolitici, come quelli al quarzo, che permettono di superare agevolmente il valore di

1000.

4.1.2 Architettura supereterodina a doppia conversione

Sembrerebbe risolto, con il ricevitore supereterodina e l’utilizzo del filtro a radiofrequenza, il

problema della ricezione selettiva del canale. Le cose, invece, non stanno esattamente così poiché la

scelta della fFI può comportare delle complicazioni.

Facciamo, ancora una volta, riferimento ad un caso reale: il servizio di comunicazione tra stazione

a terra e aeromobili. A questo servizio è assegnata la banda la banda 117 ÷ 136 MHz. La banda

destinata a ciascun canale è pari a 10 kHz. Immaginiamo di disporre di filtri RF a Q variabile con

un Q massimo pari a QV = 30 e filtri a frequenza centrale fissa con QF = 100 .

Lo schema del front end supereterodina è quello seguente:

La frequenza intermedia fFI è legata al fattore di qualità del filtro AFI e alla larghezza di banda del

singolo canale Bch.

100 10 1FIF FI F ch

ch

fQ f Q B kHz MHz

B= ⇒ = = × =

Dovremmo, quindi, per ricevere le frequenze nell’intervallo [117 ÷ 136] MHz, traslare il canale da

ricevere a 1MHz.

La banda coperta dall’OL sarà [118 ÷ 137] MHz e l’intervallo delle frequenze immagine sarà [119

÷ 138] MHz. Quanto appena detto è schematizzato nella figura seguente:

f(MHz)

117 118 119 136 137 138 1

BIM

BOL

fFI

LNA MIX AFI

OL

QF

Elimina la fIM

QV

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86

Gli intervalli di frequenza della delle fIM e della fRF si sovrappongono: per questo è necessario

utilizzare un filtro a RF con frequenza centrale variabile il quale presenterà, però, un Qmax = 30. In

tal caso la banda passante BFRF sarà ricavabile come segue:

max max136

4.530RF

RF

RF RF

V F

F V

f f MHzQ B MHz

B Q= ⇒ = = =

Pertanto la fIM che si trova a 138 MHz, quindi dentro la banda del filtro RF, e non viene attenuata,

mentre si desidera, tipicamente, introdurre un’attenuazione della fIM di almeno 40dB.

Il problema si risolve modificando la struttura proposta nella maniera rappresentata in Figura dove è

rappresentata una architettura del tipo “a doppia conversione”. Il principio di funzionamento è

descritto nel seguito.

Si passa, utilizzando un mixer ed un oscillatore locale a frequenza variabile, ad una prima frequenza

intermedia, superiore rispetto a quella finale alla quale si realizza il filtraggio di canale. Quindi si

opera una seconda traslazione tra la prima e la seconda frequenza intermedia utilizzando un

oscillatore locale a frequenza fissa. Il fatto che fFI1 sia molto maggiore di fFI2 permette di

“allontanare” la frequenza immagine della prima conversione così da poter ridurre la selettività

richiesta al filtro a RF.

.

Vediamo un possibile dimensionamento dei blocchi del front end.

In uscita dall’AFI2 , centrato sulla frequenza centrale fFI2, avremo il canale che si desidera

ricevere. Il valore di questa frequenza intermedia è fissato dalla relazione:

21FI F chf Q B MHz= ⋅ = (con QF=100).

La prima frequenza intermedia fFI1 si ricava imponendo che la frequenza immagine della prima

conversione fIM1 sia “sufficientemente lontana dal canale che si desidera ricevere centrato su fRF.

Per esempio:

11.5 204

RFIM Ff f MHz= ⋅ =

LNA MIX1 AFI1

OL1

MIX1 AFI1

OL2

fc

fRF fFI1 fFI2

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87

(si è assunto RFFf = 136 MHz che è la situazione peggiore).

L’oscillatore locale si troverà a metà strada tra fRF e fIM

1

204 13634

2 2RF IM

FI

f ff MHz MHz

− −= = = . Esso deve coprire un intervallo di frequenze tra fOLmin

e fOLmax

min

max

117 34 151

136 34 170

OL

OL

f MHz

f MHz

= + =

= + =

L’oscillatore locale 2 produrrà una frequenza fissa pari a 35MHz: esso deve permettere la

traslazione di segnale in posizione fissa a 34MHz(fFI1) e lo portarlo a 1MHz.

Potrebbe ancora verificarsi il problema della frequenza imagine sulla seconda conversione: è

opportuno verificare che ciò non accada. Il filtro AFI1 deve essere in grado di reiettare la seconda

frequenza immagine fIM2. E’ un filtro a frequenza fissa con Q > 100 pertanto

1

1

34340

100FI

AFI

f MHzB kHz

Q= = =

La fIM2 è chiaramente fuori dalla banda del filtro che presenterà dei fianchi molto ripidi (Q>100) e,

pertanto verrà pesantemente attenuata. Per una valutazione esatta bisognerebbe, comunque,

conoscere con precisione la tipologia e l’ordine del filtro utilizzato.

Potrebbe accadere ( anche se è estremamente raro) che due conversioni non siano sufficienti, in tal

caso si può arrivare a 3 o più. L’attuale disponibilità di filtri monolitici a frequenza centrale fissa e a

basso costo scongiura, di fatto, questa eventualità.

f

34 35 36 1

fFI

fOL fRF fIM

f

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88

4.2 Filtri monolitici passivi

Esistono diverse tecnologie per realizzare filtri a frequenza fissa con caratteristiche particolarmente

spinte in termini di selettività. Fra queste la più diffusa, anche per il costo abbastanza contenuto, è

quella basata sull’utilizzo di cristalli di quarzo opportunamente sagomati. Il materiale utilizzato ha

caratteristichistiche piezoelettriche, ovvero a fronte dell’applicazione di una tensione tra due facce

di un parallelepipedo il materiale piezoelettrico presenta una microdeformazione e, viceversa, se,

applicando una forza opportuna si causa una deformazione, allora si osserva su direzioni ortogonali

a quelle della deformazione, una differenza di potenziale. Si tratta, di fatto, di un sistema in grado di

trasformare sollecitazioni elettriche in meccaniche e viceversa. La struttura di un filtro al quarzo è

rappresentata in maniera schematica in figura.

La sollecitazione meccanica causata dall’applicazione di

una tensione variabile Vin tra due metallizzazioni deposte ad

una estremità del cristallo di quarzo, si propaga attraverso lo

stesso e viene rilevata tra due placche metalliche poste

all’altra estremità sotto forma di tensione variabile Vu.

Il comportamento del sistema è molto selettivo in frequenza

ed il modulo della risposta Vu/Vin ha un andamento del tipo rappresentato in figura.

I filtri al quarzo, da unto di vista elettrico, possono essere schematizzati con una rete a scala in cui i

tratti orizzontali sono costituiti da circuiti risonanti serie e quelli verticali da circuiti risonanti

parallelo, ambedue alla stessa frequenza di risonanza f0.

.

LSCS LS

CS

LPCP

+

Vin

-

+

Vu

-

+

Vin

-

+

Vu

-

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Il filtro viene caratterizzato inserendolo

in un circuito del tipo in figura con RS =

RL= 50Ω

In corrispondenza di f0 un filtro ideale

dovrebbe fornire un valore

dell’asttenuazione pari a 0 dB ovvero un guadagno di trasduttore GT = 1. In realtà si hanno perdite

dell’ordine di 1 dB per i filtri al quarzo e di 2-4 dB per i filtri ceramici (una tipologia molto simile,

ma con prestazioni inferiori a fronte di un minor costo).

I filtri ceramici si trovano in commercio da 100 kHz fino a qualche decina di MHz mentre quelli al

quarzo hanno un range più ampio, da 100 kHz fino a oltre 100 MHz. Il fattore di qualità Q definito

come rapporto tra la frequenza centrale e la banda passante è, al massimo, di qualche centinaio per i

filtri ceramici e di qualche migliaio per quelli al quarzo. Sebbene abbiano dimensioni di pochi

millimetri non sono compatibili con le tecnologie di fabbricazione dei circuiti integrati e, pertanto,

non sono integrabili. Quindi l’uso di un filtro al quarzo nella catena di ricezione costringe ad uscire

fuori dal chip, filtrare e rientrare. Si hanno così costi elevati di realizzazione, consumo di potenza

per pilotare i circuiti capacitivi connessi alla presenza dei pad di ingresso e uscita dal chip e, inoltre,

un aumento delle dimensioni ed una riduzione dell’affidabilità.

Tabella riassuntiva

Perdite Frequenze (Hz) Qmax Prezzo

Al quarzo 1 dB 105 ÷ 108 2000 ~ €

Ceramici 3-4 dB 105 ÷ 106 500 ~ 0.50 €

Un’altra tipologia di filtri monolitici per radiofrequenza è quella dei Filtri SAW (Surface Acustic

Wave) . Si tratta di blocchi di materiale piezoelettrico su cui sono realizzate metallizzazioni con

opportune geometrie interdigitate che permettono di ottenerere una risposta in frequenza selettiva e

sagomata in maniera particolare. Sono disponibili in commercio fino a frequenze di qualche GHz..

4.3 Parametri caratterizzanti di un ricevitore

I principali parametri che caratterizzano il front end di un ricevtore sono elencati e brevemente

descritti nel seguito.

Selettività: misura la capacità del ricevitore di reiettare i canali indesiderati.

VS

+

Vout

-

RS

RL

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90

Si misura come segue: con un generatore si impone un certo segnale a frequenza fRF e si rileva la

potenza in uscita dall’AFI in condizioni di perfetta sintonia (potenza massima in uscita).

Quindi, mantenendo la sintonia dell’oscillatore locale si varia la frequenza del segnale in ingresso di

una quantità ∆f e si rileva la nuova potenza del segnale in uscita dall’AFI senza modificare la

sintonia. Adesso il segnale in uscita all’AFI non è più centrato su fFI, ma spostato di una quantità

pari a ∆f e, di conseguenza, l’uscita risulta attenuata rispetto al caso precedente..

La selettività è data dal rapporto, espresso in dB, di queste due potenze rispetto al ∆f (ad es: 30dB a

100kHz).

Sensibilità: è la potenza disponibile in ingresso che garantisce un rapporto segnale-rumore

prefissato sull’uscita a frequenza intermedia. FI

FI

SR

N=

In uscita dall’AFI si ha un segnale a cui è sovrapposto del rumore. Il segnale è intelligibile se il

rapporto segnale-rumore è maggiore di una certa soglia. Un valore abbastanza frequente di tale

soglia può essere 10.

Variando l’ampiezza del segnale in ingresso si cerca il valore in corrispondenza del quale il

rapporto segnale-rumore in uscita è proprio quello voluto (ad es:10). La potenza disponibile

corrispondente a tale ampiezza stabilisce la sensibilità.

Cifra di rumore: con ovvio simbolismo si definisce come segue

RF

RFRIC

FI

FI

SiNi

NFsu

Nu

=

Reiezione alla frequenza immagine

Si definisce con un esperimento. Si mette in ingresso un generatore di segnale a frequenza fRF. Si

sintonizza l’OL e si misura la potenza sull’uscita a frequenza intermedia PFIRF. Senza cambiare la

sintonia si manda in ingresso un segnale alla frequenza immagine fIM si rimisura il nuovo valore

della potenza sull’uscita a frequenza intermedia PFIIM.

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- Si definisce la reiezione alla frequenza immagine come 10 log FIRF

FIIM

P

P

.

Allo stesso modo si opera inviando in ingresso, invece che la frequenza immagine, quella

intermedia fFI. Si definisce, con ovvio simbolismo la reiezione alla frequenza intermedia come

10 log FIRF

FIFI

P

P

. Il fatto che la fFI sia presente sull’uscita a frequenza intermedia è dovuto ad un

cattivo isolamento della porta a radiofrequenza su quella a frequenza intermedia del mixer.

4.4 Esempi di ricevitori per alcuni servizi di radiotrasmissione

In questa sezione esaminiamo alcuni esempi di ricevitori per determinati standard trasmissivi.

4.4.1 Ricevitore per radiodiffusione in modulazione di ampiezza a onde medie.

Questo standard prevede di utilizzare un range di frequenze fra 540 kHz ÷ 1.6 MHz. Ciascuno

canale porta l’informazione modulata in ampiezza a doppia banda laterale con portante relativa ad

un segnale audio la cui banda va da 300 Hz a $.5 kHz e, pertanto, occupa una banda di 9 kHz. Le

frequenze centrali di canali adiacenti distano 10 kHz.

Nel dimensionare il front end partiamo dall’ipotesi, realistica ai tempi in cui lo standard è nato, di

poter disporre per il filtraggio a frequenza intermedia di filtri con QF = 50. Sotto queste condizioni

la frequenza centrale fFI dello stadio a frequenza intermedia è data dalla seguente relazione:

450FIF FI AFI ch

ch

fQ f Q B kHz

B= ⇒ = ⋅ = si usa fFI ~ 455 kHz (per un accordo tra i costruttori)

Talvolta il LNA non viene utilizzato su questo tipo di applicazione poiché nel range di frequenze

assegnate al servizio i disturbi sono di livello elevato e la potenza disponibile del segnale in antenna

deve essere abbastanza alta per permettere la ricezione, per cui non è richiesta bassa cifra di rumore.

MIX AFI

OL

DEMOD

455 MHz

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In tal caso il filtro a radiofrequenza è seguito direttamente dal mixer.La demodulazione del segnale

AM si effettua con un rivelatore asincrono costituito da un circuito identico al raddrizzatore a filtro

capacitivo a singola semionda.

Demodulatore a rivelatore di inviluppo

Questo tipo di demodulatore è detto asincrono perché non richiede la ricostruzione della portante.

Forniamo alcune indicazioni per il suo corretto dimensionamento:

RC è la costante di tempo con cui il condensatore si scarica sulla resistenza R quando il diodo si

sgancia. R deve essere di valore abbastanza elevato affinchè la costante di tempo τ =RC causi una

scarica sufficientemente lenta. Poiché durante la scarica la tensione sul diodo è max

t

CV V e τ

−= si

deve avere τ >> TFI = 2p/fFI affinché la tensione VC non si allontani in maniera significativa

dall’inviluppo (vedi figura). Quindi : 2

FI

RCπ

ω>>

Esempio:

C = 0.1 µF (elevata)

ωFI ~ 2π500 kHz TFI = 2µs

→ τ = 10 TFI = 20µs

RC = τ → R = τ/C = 200Ω

( )1AM a

V m x t+

( ) 1

1a

x t

m

<

<RC

( )( ) ( )1 cosAFI AM a FIV V m x t tω= +

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La costante di tempo τ, comunque, deve avere anche un limite superiore altrimenti la scarica

risulterebbe troppo lenta e la tensione VC non riuscirebbe a seguire l’inviluppo; in altri termini, il

demodulatore tenderebbe a funzionare come rivelatore di picco. Per valutare il massimo valore di t

compatibile con un corretto funzionamento del demodulatore imponiamo la condizione che la

velocità di scarica sia, in modulo, maggiore della “velocità” con la quale varia l’inviluppo, ovvero

della derivata rispetto al tempo dell’inviluppo medesimo. Supponiamo, per semplificare, che

l’inviluppo abbia andamento cosinusoidale con pulsazione W.

( ) ( )cosx t t= Ω si considera t* come l’istante di inizio della scarica

( ) ( )sin *AM ainviluppo V m tt

∂= − Ω Ω

( ) ( )( ) ( )( )1 cos * 1 cos *t

AMAM a a

Vscarica V m t e m t

t tτ

τ−∂ ∂ = + Ω = − + Ω

∂ ∂

Si impone la seguente condizione:

( )( ) ( ) ( )( )

1 cos *1 cos * sin *

sin *aAM

a AM a

a

m tVm t V m t

m tτ

τ+ Ω

+ Ω > Ω Ω ⇒ <Ω Ω

Per ogni t* si ottiene un τ diverso: affinchè la condizione sia sempre verificata è necessario e

sufficiente che lo sia in corrispondenza del valore di t* per cui l’espressione a destra della

disuguaglianza è minima. ovare il τ che corrisponde al minimo. Si cerca il minimo in funzione di

t*:

Scarica troppo lenta

Scarica troppo veloce

inviluppo

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( )( )

( ) ( ) ( )( ) ( )21 cos *0 sin * sin * 1 cos * cos * 0

sin *a

a a a a

a

m tm t m t m t m t

t m t

+ Ω∂= ⇒ − Ω Ω Ω Ω − + Ω Ω Ω = ∂ Ω Ω

( ) ( ) ( ) ( )2 2 2 2 2 2 2 cos *sin * cos * cos * 0 1a a a a

a

tm t m t m t m

m

Ω − Ω Ω − Ω Ω − Ω Ω = ⇒ +

Il valore di t* per cui si ottiene il minimo è quello per cui: ( )cos * at mΩ = −

In corrispondenza si ottiene:

22

2

11

1

aa

aa a

mm

mm mτ

−−< =

ΩΩ −

Nel caso in cui il segnale non sia monocromatico, la valutazione di massimo si fa sostituendo a Ω

la Ωmax del segnale.

2

maxmax

1a

a

m

−=

Ω

maxmax

min

10.9 100

2

20

am s

s

τ µ

τ µ

⇒Ω

Facciamo adesso alcune considerazioni sull’ampiezza che l’inviluppo deve assumere per una

corretta rivelazione. Immaginando di utilizzare n diodo al germanio con Vγ = 0.3 V, deve risultare

( ) ( )1 cos IN AFI AM a FI

v v V m x t t V tγω= = + > ∀

L’inviluppo varia con x(t) e sappiamo che |x(t)| < 1 quindi nel caso peggiore x(t) = -1

VAM(1-0.9) > 3V = 10Vγ → VAM > 30V

Per ottenere questo risultato, ovvero un amplificatore a frequenza intermedia con ampiezza

massima della tensione di uscita pari a 30 V, bisognerebbe utilizzare una tensione di alimentazione

ancora maggiore: soluzione incompatibile con i limiti di ingombro, peso e autonomia di qualunque

sistema portatile. Per ovviare a questo inconveniente si può utilizzare un altro tipo di rivelatore:

quello sincrono.

Rivelatore sincrono.

Questa soluzione è descritta in figura

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95

Moltiplicando ( ) ( )1 cosAFI AM a FI

V V m x t tω= + per cos(ωFIt) l’inviluppo viene moltiplicato per

un termine del tipo ( )11 cos 2

2 FI tω+

Il filtro passa basso elimina la componente dell’inviluppo modulata a frequenza 2 fFI

Il limitatore si realizza con un semplice comparatore, ovvero con un sistema avente la seguente

caratteristica ingresso uscita che, alimentato col segnale modulato, genera un’onda quadra come

quella rappresentata in figura, mediante la quale si può pilotare, ad esempio, un mixer a diodi

doppiamente bilanciato che funge da moltiplicatore.

In tal caso il moltiplicatore necessita di una tensione > 2Vγ per funzionare correttamente.

Vi

Vu

Vo

-Vo

t

t

Segnale modulato AM

MIX AFI

OL

LIM

RF FI

OL

Filtro passa-basso che elimina le componenti a 2ωFI

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96

Controllo automatico del guadagno.

Esaminiamo, adesso, un problema tipico dei ricevitori per segnali modulati in ampiezza: quello del

fading. .Poichè le caratteristiche del canale variano in maniera imprevedibile per diverse ragioni,

l’ampiezza della portante è soggetta ad una variabilità che può essere anche di ordini di grandezza

nel giso di pochi minuti (ad esempio nel caso di un ricevitore su un mezzo che si muove ad alta

velocità in ambiente urbano), In realtà VAM è una funzione del tempo lentamente variabile:

VAM = VAM(t). Si tratta, comunque, di fluttuazioni molto lente il cui spettro è centrato intorno alla

continua e si estende, al massimo, fino a frequenze di qualche Hertz (v. figura)..

Il problema si risolve utilizzando un anello di controllo che prende il nome di controllo automatico

del guadagno (CAG). Si tratta di prelevare dall’uscita demodulata un segnale proporzionale

all’ampiezza della portante ed utilizzarlo per controllare il guadagno dell’AFI, come

schematicamente rappresentato in figura.

Ovviamente il sistema deve agire in modo tale che, a fronte di un aumento dell’ampiezza della

portante il guadagno dell’AFI venga ridotto e,viceversa, esso venga aumentato a fronte di una

diminuzione. Bisogna utilizzare un amplificatore con guadagno controllabile mediante una tensione.

Si ottiene il risultato, ad esempio, usando la tensione VAM per controllare il punto di riposo di un

VAM(ω)

ω

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transistore il cui gm viene, in questo modo, modificato opportunamente agendo, in tal modo, sul

guadagno totale dell’AFI.

Tenuto conto di tutte le osservazioni fatte in precedenza circa la necessità di controllare l’ampiezza

della portante in uscita all’AFI, si perviene ad uno schema circuitale del tipo rappresentato in figura

in cui l’ampiezza VAM(t) viene utilizzata per modificare il punto di riposo del transistore 1

dell’AFI.

MIX AFI

OL

LIM

RF FI

OL

ABF

DEMODULATORE

( ) ( )1AM a

V t m x t+

VAM(t)

Vcc

RL

R1

R2

Ic2

VFI=VIN

VAM(t)

DEMOD

1

2

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4.4.2 Ricevitore per radiodiffusione in modulazione di frequenza

Un segnale linearmente modulato in frequenza dal segnale x(t) ha la seguente forma:

( ) ( )( )cosFM FM RFV t V t tω θ= +

dove ( ) ( )0

t

Dt x t dtθ ω= ∫ . ( ) ( )i RFt t tϕ ω θ= + rappresenta la fase istantanea e la sua derivata la

pulsazione istantanea il cui scostamento dalla pulsazione della portante è dato da:

( ) ( )Dt x tθ ω=&

Per convenzione, si assume che che |x(t)| < 1 in modo tale che la quantità ωD<<wRF rappresenti la

massima deviazione della pulsazione istantanea dalla pulsazione della portante wRF.

Definiamo:

2D

Dfω

π= deviazione di frequenza

D

m

fD

B= indice di modulazione

Bm : banda del segnale modulante x(t)

Calcolare lo spettro del segnale non è facile. Per valutare la banda occupata dal segnale modulato si

sfrutta una relazione dovuta a Carson che, sotto certe ipotesi, permette di individuare l’intervallo di

frequenze, detto banda di Carson BC, che contiene buona parte dell’energia del segnale modulato:

( )2 1C mB B D= +

Come esempio di riferimento analizziamo lo standard che regola il servizio di radiodiffusione FM.

L’intervallo di frequenze assegnato al servizio dal Piano Nazionale delle fequenze è compreso tra

88 e 108 MHz . Risulta, inoltre:

30 15

180

m

C

B Hz kHz

B kHz

= ÷

= 1 5

2C

m

BD

B= − 75D

D

m

fD f kHz

B= ⇒

Esaminiamo una possibile procedura di dimensionamento del front end il cui schema a blocchi è

rappresentato nella seguente figura. Come si vedrà, in questo caso, almeno in linea di principio, il

filtro a radiofrequenza può essere fisso dal momento che il range della radiofrequenza e quello della

frequenza immagine risultano separati.

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Il filtro a frequenza intermedia che immaginiamo contenuto all’interno dell’AFI è, come nel caso

precedente, quello che seleziona il canale che si desidera ricevere. Supponiamo anche questa volta

che, per renderne possibile la realizzazione a basso costo il suo fattore di qualità sia QF ~ 50,

pertanto risulta fFI = QFBC ~ 10MHz

Per mantenere il range della frequenza immagine separato da quello della radiofrequenza (vedi

figura) le associazioni di costruttori concordarono agli inizi un valore di fFI = 10.7MHz.

Questa scelta, come già detto, consente di usare come filtro di antenna un filtro a frequenza fissa

che faccia passare tutto l’intervallo ∆fRF reiettando quello ∆fIM.

L’utilizzo per il filtro a radiofrequenza di un filtro fisso (eventualmente di tipo monolitico) permette

di contare su una forte reiezione nella banda bloccata (dove cade la frequenza immagine) e, quindi,

di immaginare una soluzione a singola conversione.

Una volta traslato il segnale a frequenza fFI = 10.7MHz e filtrato il singolo canale, il demodulatore

deve estrarre l’informazione che s causate dalle variazioni delle caratteristiche del canale.

Se si fa passare il segnale ( )( )cosAFI AFM FM FI

V V t tω θ= + attraverso un derivatore si ottiene in uscita

( ) ( )( )sinAFM FI FI

V t t tω θ ω θ + + &

ovvero, un segnale modulato in ampiezza oltre che in frequenza (si ricordi che wD<wRF e, quindi

( ) 0FI tω θ+ >& ).

10.7 88 98.7 108

109.4

118.7 129.4

∆fRF

∆fIM

∆fOL

f

LNA MIX AFI

OL

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100

Tramite un rivelatore d’ampiezza si può estrarre l’inviluppo e, quindi, la sua componente variabile

proporzionale a x(t). In definitiva il demodulatore può essere realizzato secondo lo schema a

blocchi di figura::

Mediante un filtro passa alto con limite inferiore di banda di alcuni Hertz, si può eliminare la

componente continua .

( ) ( )A AFM FM D

V t V x tθ ω=&

Per risolvere il problema del fading che rende VFMA una funzione dipendente, sia pure lentamente,

dal tempo ( ( )A AFM FM

V V t= ) si fa passare il segnale modulato, prima della demodulazione,

attraverso un limitatore che produce in uscita un’onda quadra di ampiezza 2V0 picco-picco

indipendentemente dall’ampiezza della portante.

La tensione a onda quadra VU così ottenuta ( si ricordi che si tratta, comunque, di un’onda quadra

modulata in frequenza a banda stretta) si filtra con un filtro passa banda centrato sulla frequenza fFI

in modo da filtrare la componente spettrale centrata sulla prima armonica.

AFI LIMIT. Vi VU

-V0

V0

Vi

Vu

AFI DERIV RIVEL INVIL

( )AFM FI

V tω θ + &

Si ottiene in uscita un segnale proporzionale all’inviluppo

( ) ( )Dt x tθ ω=&

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101

In definitiva lo schema a blocchi del demodulatore diventa il seguente:

Non è richiesto il controllo automatico del guadagno purchè l’ampiezza della portante sia in grado

di mandare in saturazione l’uscita del limitatore.

Esaminiamo adesso una possibile soluzione circuitale per la realizzazione del derivatore. Si

potrebbe usare un circuito derivatore basato sull’utilizzo di un amplificatore operazionale a larga

banda come in figura:

Oppure un amplificatore trans-conduttivo con carico induttivo come realizzato mediante un FET

come in figura

Ampiezza minima della portante

AFI LIM DERIV RIV. INV.

Passa-alto per eliminare la continua

Vf

Passa-banda a frequenza fissa

ωFI 5ωFI 3ωFI

( ) i

iu

dvi t C

dt

dvv RC

dt

=

= −

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102

.

Il circuito equivalente, con le consuete ipotesi, è il seguente:

Dove

u m gsv g v j Lω= −

ovvero

d m gs

gs

u m

i g v

dvv Lg

dt

=

= −

Il “guadagno” del derivatore è il rapporto tra il modulo della tensione di ingresso e quello della

tensione di uscita, ovvero wFILgm.

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Il guadagno di rivelazione del sistema è tanto più elevato quanto più la retta è inclinata, ovvero

quanto più L è grande.

In realtà e facile dimostrare che il carico induttivo può essere sostituito da una qualunque

impedenza ZQ il cui modulo risulti essere una funzione lineare della frequenza solo nella banda

occupata dal segnale modulato. Questa funzione può essere assolta da un filtro RLC con una

frequenza di risonanza prossima, ma non uguale a fFI. Se fFI cade nella zona a sinistra della

frequenza di risonanza in cui la pendenza di |ZQ(f)| risulta molto maggiore di L, si ottiene un

significativo aumento del “guadagno” del derivatore (vedi figura) senza utilizzare induttanze di

valore improponibile a causa degli ingombri e delle inevitabili perdite dovute alla componente

resistiva degli avvolgimenti utilizzati.

Eventualmente al posto del carico risonante si potrebbe anche usare un quarzo (filtro monolitico)

che presenta un Q elevato e, di conseguenza, fianchi estremamente ripidi della funzione |ZQ(f)| .

vF

RS CA

LR

RFC

E0

C

Vu

FM Stereo

Come è noto la maggior parte delle stazioni che utilizzano questo servizio trasmettono un segnale

audio stereofonico. Per garantire la compatibilità tra stazioni trasmittenti in monofonia e in

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104

stereofonia e ricevitori predisposti, oppure non per la ricezione di segnali streofonici, si opera una

particolare codifica del segnale a partire da un segnale somma (canalle destro+ canale sinistro) e da

un segnale differenza (canale destro – canale sinistro). Il segnale differenza viene modulato in

ampiezza senza portante intorno ad una frequenza di 38 kHz e, quindi, sommato al segnale somma.

Il segnale così ottenuto (che occupa una banda di 53 kHz) viene quindi modulato in frequenza alla

portante di trasmissione in modo da ottenere una banda di Carson di 180 kHz e, quindi, da occupare

la stessa banda di un canale monofonico.

4.4.3 Ricevitori per telefonia cellulare E’ opportuno fornire, in questa sede, alcune indicazioni sull’architettura dei ricevitori destinati a

questo tipo di servizio. Si tratta, in genere, di ricevitori integrati su singolo chip (almeno per quanto

riguarda la parte di front end), destinati a lavorare a frequenze che vanno da 900 MHz ad lcuni GHz

a seconda dei casi. Ricevitore e trasmettitore vengono integrati sullo stesso chip e prendono il

nome di Transceiver. Facciamo riferimento allo standard più diffuso al momento della stesura di

questi appunti: lo standard GSM.

Esso adotta un metodo di accesso al canale di tipo FDM (Frequency Division Multiplexing) con una

ripartizione fra 8 utenti in suddivisione temporale (TDMA) all’interno di ogni canale. Ovvero

ciascun canale, della larghezza di 200 kHz, è utilizzato da 8 utenti che lo occupano a turno

utilizzando a rotazione slot temporali di 9 ms ciascuna.

Questa complessità è necessaria per avere una buona efficienza spettrale visti l’affollamento della

banda. Questa gestione apparentemente complessa della risorsa “canale” è realizzabile a basso costo

solo grazie ad un livello di integrazione molto spinto.

Tipicamente un ricevitore può essere realizzato con due soli chip quello del Transceiver e quello per

l’elaborazione in banda base.

In teoria, poiché si può usare la stessa tecnologia per i due chip, sarebbe possibile una soluzione

single chip che, però, non viene di solito utilizzata a causa delle forti interferenze che la parte di

elaborazione digitale causerebbe sul ricevitore. Mediante un dispositivo denominato duplexer, che

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105

in questo caso è, sostanzialmente, un commutatore, si può utilizzare la stessa antenna per

trasmettere e ricevere. Infatti, sebbene la sensazione che ha l’utente è quella di una comunicazione

full duplex, in realtà gli slot temporali dedicati alla trasmissione sono separati da quelli dedicati alla

ricezione sullo stesso terminale mobile..

Per la banda GSM con frequenza centrale attorno ai 900 MHz esaminiamo una soluzione con

architettura supereterodina come quella in figura:

Il passa banda dopo il duplexer ha la funzione di eliminare i blockers e di introdurre una prima

attenuazione nei confronti della frequenza immagine. I due filtri dopo il LNA ed il mixer hanno la

funzione di attenuare la frequenza immagine e di selezionare il singolo canale che si vuole ricevere,

rispettivamente. Si dovrà realizzare un filtraggio molto selettivo intorno a 900 MHz ed uno intorno

alla fFI (in genere tra 40 e 70 MHz). A questo valore della fFI si perviene immaginando di utilizzare

un filtro di canale di tipo monolitico e con un fattore di qualità di qualche centinaio. Si ricorre a

filtri monolitici che non sono compatibili con la tecnologia integrata e, pertanto il segnale deve

essere portato fuori dal chip, filtrato e reintrodotto all’interno per le successive elaborazioni. Tutto

ciò comporta costi di realizzazione e montaggio aggiuntivi, oltre a richiedere un budget di potenza

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non trascurabile a causa dell’elevato valore di corrente necessario per pilotare a queste frequenze le

capacità inevitabilmente connesse alla presenza dei pad di ingresso/uscita dal chip.

Per ovviare ad alcuni degli inconvenienti dell’architettura supereterodina, derivanti,

prevalentemente, dalla necessità di un elevato grado di integrazione, sono state proposte soluzioni

alternative..

Architettura omodina.

In questo caso la frequenza intermedia è nulla in quanto l’oscillatore locale lavora alla stessa

frequenza della portante. Il segnale viene quindi traslato in continua perciò il filtro di canale è un

passa-basso.

Il problema della frequenza immagine non sussiste. Il filtro passa basso che agisce come filtro di

canale, anche se molto selettivo, è comunque integrabile perché lavora a 200kHz e può essere

realizzato con tecnologie compatibili con l’integrazione (ad esempio mediante la tecnica dei

condensatori commutati).

Un problema potrebbe essere quello dell’accoppiamento dell’oscillatore locale con l’ingresso del

ricevitore che è sintonizzato sulla stessa frequenza (omodina vuol dire proprio questo). Essendo il

primo un segnale di notevole potenza e l’accoppiamento controllato da fenomeni aleatori (tipo la

posizione del ricevitore, l’orientamento dell’antenna, ecc,) questo fenomeno può produrre in uscita

al mixer una tensione “quasi continua” (DC offset) nociva alla corretta demodulazione.

Un altro problema abbastanza serio è costituito dal rumore flicker il cui spettro si concentra intorno

alla continua (vedi figura):

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Per limitare questo problema si dovrebbe lavorare con un AFI in grado di filtrare l’intervallo che va

dalla continua fino alla frequenza di corner del rumore flicker, ovvero, utilizzare un valore della fFI

di alcune centinaia di kHz: tipicamente MHzkHzfFI

1200 ÷= . Questa scelta porta ad una

architettura diversa denominata “Low IF”.

Architettura LOW-IF:

Questa architettura è caratterizzata da un valore della frequenza intermedia talmente basso da

rendere praticamente impossibile la realizzazione del filtro a radiofrequenza che risulta troppo

“prossima” alla frequenza immagine. Oltre ad essere estremamente selettivo il filtro dovrebbe a

frequenza centrale variabile.perchè il range RF si sovrappone al range IM.

Il problema si risolve eliminando il filtro per la frequenza immagine (rimane la necessità di un filtro

RF esterno per eliminare i blockers prima del LNA) ed utilizzando un particolare tipo di mixer

denominato “ Mixer a Reiezione della Frequenza Immagine” che è in grado di trattare in maniera

differenziata il canale centrato sulla fRF , che si trova a sinistra della frequenza dell’oscillatore

locale, da quello centrato sulla fIM che si trova in posizione simmetrica a destra. In figura è

schematizzato l’intero transceiver integrato che non richiede alcuna uscita intermedia dal chip e

permette di conseguire enormi vantaggi in termini di costo, ingombro, consumo ed affidabilità.

DUP LNA

PA

reietta

l’up-link

fRF fIF

fIM

TX

AFI

LOW IF

B.B.100kHz÷1MHz

20dBm

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CAPITOLO 5

Anelli ad aggancio di fase (Phase Locked Loop)

Il PLL (Phase Locked Loop – anello ad aggancio di fase) è un sistema reazionato la cui uscita è un

segnale con frequenza pari a quella del segnale di ingresso ed una relazione di fase fissa rispetto a

questo. La forma d’onda del segnale di uscita (ovvero il suo contenuto armonico) può essere diversa

da quella del segnale di ingresso. Ad esempio: segnale di ingresso a onda quadra, segnale di uscita

sinusoidale agganciato alla prima armonica di quello di ingresso.

Il PLL è molto usato nei sistemi di telecomunicazioni, ad esempio come sintetizzatore di frequenza

o per estrarre componenti spettrali da segnali periodici complessi.

In questo capitolo dapprima sarà illustrato il funzionamento di un semplice PLL, e successivamente

saranno illustrate alcune applicazioni.

5.1 Generalità

In figura è mostrato lo schema a blocchi semplificato di un PLL. L’anello ad aggancio di fase è

costituito da un Phase Detector (PD), che da in uscita un segnale di livello proporzionale allo

sfasamento fra il segnale in ingresso e quello in uscita al PLL; un filtro passa basso (F(s)),

solitamente realizzato con una rete RC a polo dominante a bassissima frequenza; un oscillatore

controllato in tensione (VCO – Voltage Controlled Oscillator), il cui segnale di uscita ha una

frequenza che si scosta da quella di “riposo” del VCO di un valore proporzionale al livello del

segnale al suo ingresso VC(t). La frequenza di riposo del VCO (detta anche frequenza libera di

oscillazione) è definita come la frequenza di oscillazione per VC(t) = 0.

Fig. 5.1 Schema a blocchi di un PLL

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Il segnale in uscita al VCO è dato da:

( )0( ) cosO OM O

v t V t tω θ = +

dove OM

V è l’ampiezza dell’oscillazione dell’uscita del VCO, 0ω è la pulsazione di riposo e ( )O tθ

è un termine di fase aggiuntivo dipendente da ( )C

v t attraverso una semplice relazione che

definiremo nel seguito. Se ( ) 0C

v t = il segnale di uscita del VCO ha pulsazione pari a 0ω , se

( ) 0C

v t ≠ allora la pulsazione di uscita si discosta da 0ω di un valore proporzionale a ( )C

v t . La

pulsazione istantanea del segnale in uscita dal VCO, per definizione, è pari a:

0O

i

d

dt

θω ω= +

dove:

( )OD C

dK v t

dt

θ=

Questa relazione, con D

K costante caratteristica del VCO, stabilisce la dipendenza tra Vc(t) e θ0(t).

Integrando i membri a sinistra e a destra si ottiene:

0

( ) ( )t

O D Ct K v dθ τ τ= ∫

Infine, passando alla trasformata di Laplace, si ha che:

( ) ( )DO C

Ks V s

sΘ =

Gli ingressi del Phase Detector sono i segnali in ingresso ed in uscita al PLL, ( )S

v t e ( )O

v t .

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[ ]0( ) cos ( )S SM Sv t V t tω θ= +

[ ]0( ) cos ( )O OM Ov t V t tω θ= +

Il segnale in uscita al Phase Detector è un segnale di ampiezza proporzionale alla differenza fra gli

argomenti dei segnali in ingresso. Nel dominio dei segnali trasformati:

[ ]( ) ( ) ( ) ( )E E S O E EV s K s s K s= Θ − Θ = Θ

dove ( )S

sΘ e ( )O

sΘ sono rispettivamente le trasformate di Laplace delle fasi dei segnali in

ingresso al Phase Detector, ( )E

sΘ è la trasformata di Laplace della differenza fra le fasi e E

K è la

costante caratteristica del PD.

Sia ( )F s la risposta in frequenza del filtro passa-basso; il segnale in uscita al filtro è pari a:

[ ]( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )C E E S OV s V s F s K s s s F s= = Θ − Θ

L’uscita del filtro ( )F s è l’ingresso del VCO; dunque l’uscita del VCO è data da:

[ ]( ) ( ) ( ) ( )D DO C E S O

K Ks V s K s s

s sΘ = = Θ − Θ

Con semplici passaggi si arriva all’espressione della funzione di trasferimento del PLL, ( )H s , che

lega la fase del segnale in uscita al VCO con la fase del segnale in ingresso al PLL.

[ ]( ) ( ) ( ) ( )O D E D E Ss s K K F s K K F s sΘ + = Θ

( ) ( )

( )( ) ( )

O D E

S D E

s K K F sH s

s s K K F s

Θ= =

Θ +

5.2 Risposta al gradino di fase e di frequenza

Si supponga che ad un certo istante la fase del segnale in ingresso abbia una variazione a gradino

pari a θ∆ . La trasformata di Laplace del segnale di ingresso è, quindi, s

θ∆. La risposta al gradino

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111

di fase del PLL sarà pari a ( )H ss

θ∆. Il teorema del valore finale consente di valutare il valore che

assumerà la fase del segnale in uscita al PLL a regime, ovvero quando il transitorio si sarà esaurito.

0 0

( )lim ( ) lim ( ) lim

( )D E

Ot s s

D E

K K F st s H s s

s s s K K F s

θ θθ θ

→∞ → →

∆ ∆= = = ∆

+

Dunque dopo un transitorio, la fase del segnale in uscita al PLL tende ad agganciarsi alla nuova

fase del segnale in ingresso (figura 5.2).

Figura 5.2: Fase del segnale in uscita al PLL ( )O

tθ in risposta ad un

gradino della fase del segnale in ingresso ( )S

tθ .

L’andamento esatto del transitorio dipende, ovviamente, dall’andamento della funzione F(s), ma il

valore finale è, comunque, ∆θ.

Gradino di frequenza

La funzione di trasferimento del PLL che lega le frequenze dei segnali in uscita ed in ingresso al

PLL è la medesima di quella che lega le fasi:

( ) ( ) ( )

( )( ) ( ) ( )

O O D E

S S D E

s s s K K F sH s

s s s s K K F s

Ω Θ= = =

Ω Θ +

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dove ( )O

sΩ e ( )S

sΩ sono le trasformate di Laplace delle pulsazioni del segnale di uscita e di

quella del segnale di ingresso al PLL rispettivamente.

Si supponga che la pulsazione istantanea del segnale in ingresso al PLL (che inizialmente si

supponga essere pari a 0ω ) subisca una variazione brusca pari a ω∆ :

( )0( ) cosS SM

v t V tω ω = + ∆

La trasformata di Laplace del gradino di frequenza è pari a s

ω∆. Come già visto nel caso del

gradino di fase, applicando il teorema del valore finale, si vede come la frequenza del segnale di

uscita a regime tende ad agganciarsi a quella dell’ingresso (figura 4.3).

0 0

( )lim ( ) lim ( ) lim

( )D E

Ot s s

D E

K K F st s H s s

s s s K K F s

ω ωω ω

→∞ → →

∆ ∆= = = ∆

+

Fig. 5.3: Risposta del PLL al gradino di frequenza

A regime (per t → ∞ ) dunque, la pulsazione del segnale di uscita avrà un valore 0iω ω≠ ; ciò vuol

dire che il segnale in ingresso al VCO sarà ( ) 0C

v t ≠ , e più precisamente ( )C D

V s K ω= ∆ .

Il segnale in ingresso al VCO a regime sarà pari a:

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[ ]( ) (0) (0) (0)C E S OV t K F= Θ − Θ

Sostituendo a ( )C

V s il termine DK

ω∆, si ha:

[ ](0) (0) (0)D E S OK K Fω∆ = Θ − Θ

(0) (0)(0)S O

D EK K F

ω∆Θ − Θ =

Affinché il PLL assuma la stessa fase a regimedel segnale in ingresso, deve essere

(0) (0) 0S O

Θ − Θ = . Da quest’ultima espressione si può vedere che l’unico modo affinché il PLL

possa agganciare la fase del segnale in ingresso di riferimento anche ad una pulsazione 0iω ω≠ è

che risulti (0)F → ∞ . Un quadripolo che ha un guadagno che tende all’infinito per 0s → è

l’integratore, che ha una risposta del tipo:

0( )A

F ss

=

Esso può essere approssimato, ad esempio con un amplificatore operazionale, come mostrato in

figura 5.4. L’integratore di figura 5.4, nel range di frequenza in cui è utilizzabile il metodo del

cortoi circuito virtuale, presenta una funzione di trasferimento pari a:

1

1( )

IA s

R Cs= −

Figura 5.4: Schema di un integratore realizzato con un amplificatore

operazionale.

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5.3 Sintetizzatori di frequenza

Una delle applicazioni più diffuse del PLL è il sintetizzatore di frequenza. Si realizzano in questo

modo sistemi in grado di sintetizzare un insieme discreto di valori di frequenza che possono trovare

impiego nei casi più disparati, dalle applicazioni audio (ad esempio strumenti musicali elettronici)

fino a quelle radio del range dei GHz o delle decine di GHz. I sintetizzatori di frequenza sono di due

tipi: quelli ad N intero e quelli ad N frazionale. Nel seguito verrà esaminato solo il primo tipo.

In figura 5.5 è mostrato lo schema a blocchi di un sintetizzatore a N intero.

Figura 5.5: Schema a blocchi di un sintetizzatore di frequenza

Si ha che:

NM

Q 0ωω= ⇒

MN

Qωω =0 (4.1)

Esso consente, al variare di N, di ottenere, a partire da una oscillazione generata mediante un

oscillatore stabile (in genere un oscillatore al quarzo), un set di frequenze caratterizzate dalla stessa

stabilità relativa dell’oscillatore di riferimento e distanti l’una dall’altra di una quantità pari a M

che rappresenta, quindi, la risoluzione in frequenza del sintetizzatore.

Si osservi che il P.D. lavora ad una frequenza pari alla risoluzione ed a fronte di una variazione

dell’ingresso è necessario un tempo almeno dello stesso ordine di grandezza del periodo

Q

M

ωπ2

perché l’uscita vada a regime.

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5.4 Modulatore di frequenza indiretto

In questo caso l’oscillazione di riferimento viene fornita da un oscillatore stabile (ad esempio un

oscillatore al quarzo) ed il segnale modulante x(t) viene prima integrato, quindi inserito nell’anello

di controllo attraverso un sommatore.

Con riferimento alla figura, i segnali nei diversi punti del sistema e le rispettive trasformate sono

date dalle seguenti relazioni:

Passando alle trasformate:

x(s)

Da cui passando alla forma in jωωωω si ricava:

Se sono rispettate le seguenti ipotesi:

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1) F(jω) di tipo passa basso con valore alle basse frequenza pari a F0 e limite superiore di banda

ωFMAX;

2) Segnale modulante x(t) con spettro nullo a sinistra di ωFMAX

(Pertanto funzione di trasferimento del PLL approssimabile alla forma passa basso a singolo

polo ωP per tutto il range di frequenza interessato dal segnale modulante);

3) dove ωXMAX è “la massima frequenza contenuta nel segnale

modulante” ovvero lo spettro di x(t) si annulla a destra di ωXMAX;

allora risulta:

Ovvero:

E, pertanto, si può concludere che lo scostamento istantaneo di frequenza dell’uscita del PLL risulta

proporzionale al segnale modulante, ovvero l’uscita v5 del PLL è un segnale modulato linearmente

in frequenza da x(t).

5.5 Demodulatore di frequenza

Se il segnale vs(t) in figura è modulato in frequenza dal segnale x(t), vogliamo dimostrare che vc(t) è

proporzionale al segnale modulante x(t).

Passando alle trasformate:

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Poiché

Si ottiene:

Passando alla forma in jω e sotto le stesse ipotesi assunte nel paragrafo precedente si ottiene:

E, pertanto, vc(t) risulta proporzionale al segnale modulante, ovvero l’operazione di demodulazione

è stata correttamente effettuata.

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CAPITOLO 6

Amplificatori di potenza e trasmettitori

Lo stadio trasmettitore di un sistema di ricetrasmissione deve essere in grado di effettuare almeno le

seguenti operazioni sul segnale in banda base:

5) utilizzarlo per modulare in modulo e/o in fase la portante;

6) filtrare eventuali componenti spurie frutto della modulazione;

7) amplificare il segnale modulato per portarlo al livello di potenza richiesto dalle specifiche

della particolare applicazione;

8) trasmetterlo utilizzando un’antenna con un diagramma di radiazione appropriato.

Non sempre le operazioni indicate ai punti 1-3, che sono logicamente separate, vengono effettuate

da blocchi circuitalmente separati e posti in cascata, talvolta l’operazione di modulazione e quella di

amplificazione di potenza vengono effettuate contemporaneamente all’interno di un unico stadio: in

questo caso si parla di modulazione ad alto livello. Quando, invece, si può individuare uno stadio di

modulazione separato da quello di amplificazione, allora si parla di modulazione a basso livello. Lo

schema a blocchi di massima di un trasmettitore che utilizza un modulatore a basso livello è

rappresentato in figura. Nella fattispecie, si tratta di un trasmettitore a conversione diretta, in quanto

la modulazione avviene alla stessa frequenza della portante di trasmissione. Nel caso in cui vi sia,

prima dell’antenna, un mixer utilizzato per una traslazione in alto della frequenza, allora si parla di

trasmettitori a doppia conversione o, più in generale, a conversione multipla.

.

Modulatore Power Amplifier

Oscillatore Locale

e(t)

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Mentre l’architettura dello stadio di modulazione dipende, ovviamente, dal tipo di modulazione

utilizzata, l’amplificatore di potenza presenta alcune caratteristiche comuni a tutti gli stadi di

potenza e, quindi, indipendenti dal tipo di modulazione. Come si vedrà nel seguito, comunque, il

fatto che la modulazione agisca sull’ampiezza del segnale o sul suo argomento (modulazioni ad

inviluppo costante) pone delle condizioni imprescindibili sulla scelta dell’amplificatore di potenza.

6.1 Amplificatori di potenza

In un sistema di ricetrasmissione il power amplifier (PA) è presente esclusivamente in trasmissione.

Le potenze che esso sarà chiamato a gestire, nel caso in cui si tratti di un amplificatore allo stato

solido, vanno da qualche mW (10dBm) fino a centinaia di watt (20dB=50dBm). Per potenze

superiori si utilizzano componentistica e soluzioni circuitali diverse il cui studio non è contemplato

tra gli obiettivi del presente corso.

I problemi nuovi che sorgono in amplificatori destinati a trattare potenze da alcune decine di mW

in su sono abbastanza diversI da quelli che caratterizzano gli amplificatori per piccoli segnali. Ne

daremo nel seguito una rapida rassegna facendo riferimento all’utilizzo di transistori bipolari,

sebbene questi ultimi possano essere, e sempre più frequentemente ciò accade, sostituiti da

transistori MOS oppure da MESFET.

6.1.1 Definizioni

Iniziamo la trattazione introducendo e, in qualche caso, definendo alcune caratteristiche tipiche

degli amplificatori di potenza.

1. Linearità

Una potenza di 1 W su un carico di 50 Ω equivale a una tensione/corrente pari a

mAII

W

VVV

WP

UMUm

UMUM

L

200502

1

10502

1

2

2

≅⇒⋅=

≅⇒⋅

==

Il comportamento non lineare dei componenti attivi, in queste condizioni, non può essere

trascurato

2. Efficienza di conversione:

l’efficienza di conversione E

U

P

P=η è il rapporto tra la potenza utile in uscita PU e la potenza

erogata dalle batterie PE. Essa fornisce una misura del rendimento col quale la potenza erogata

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120

dalle batterie viene convertita in potenza utile del segnale trasmesso. Ovviamente risulta

sempre:

1≤η

E’ opportuno osservare che un elevato valore dell’efficienza di conversione oltre che risultare

vantaggioso dal punto di vista del consumo di potenza e dell’autonomia delle batterie, ha come

conseguenza la riduzione della dissipazione sul componente attivo con evidenti vantaggi sul suo

costo e su quello di eventuali sistemi necessari ad asportare il calore generato al suo interno

onde evitarne il danneggiamento irreversibile.

3. Fattore di utilizzo:

il fattore di utilizzo maxmax CCE

Uu

IV

P=θ è il rapporto tra la potenza utile ed il prodotto tra i

valori massimi istantanei della tensione VCE e della corrente di collettore. Sebbene tale prodotto

abbia le dimensioni di una potenza, non rappresenta alcun potenza effettivamente osservabile

nell’amplificatore. Infatti, essendo VCEmax e ICmax, rispettivamente, il massimo valore della

tensione collettore emettitore e della corrente di collettore non esiste alcun istante del ciclo di

funzionamento in cui queste due grandezze risultano contemporaneamente assumere il loro

valore massimo.

uθ ha, piuttosto, il significato di fattore di merito: più esso è grande più significa che, a parità

di potenza sul carico, il prodotto VCEmaxICmax risulta piccolo. In altri termini, a parità di potenza

utile in uscita, il transistore sarà chiamato a sopportare tensioni/correnti massime più piccole.

Di fatto questo significa che il transistore, a parità di potenza utile, avrà un costo inferiore

poiché ad esso saranno richieste prestazioni più limitate. I transistori per applicazioni di

potenza possono sopportare dissipazioni di centinaia di watt.

4. Classi di funzionamento

Come si vedrà nel seguito, per motivi di efficienza, si ricorre, talvolta, a soluzioni circuitali

nelle quali il transistore si trova in zona attiva solo per una frazione del periodo. Si definisce,

allora, l’angolo di circolazione θ come la metà della frazione di periodo, misurata il radianti,

durante il quale il transistore è in zona attiva. A seconda del valore di θ si parlerà di

amplificatore in classe A (θ=π), in classe B (θ=π/2), in classe C (θ<π/2), oppure in classe

ΑΒ (π/2<θ<π).

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- classe A: θ = π

- classe B: θ = π/2

- classe AB: π/2 < θ < π

- classe C: 0 < θ < π/2

Nel seguito esamineremo alcune configurazioni circuitale e modalità di funzionamento tra le più

diffuse e, per ciascuna, calcoleremo i parametri prima definiti. Si continuerà a fare riferimento al

caso di amplificatori a transistori bipolari, ma, quanto segue, con ovvie trasformazioni, può

applicarsi al caso di componenti attivi diversi.

6.1.2 Amplificatore in classe A

Si tratta di una configurazione ben nota e sempre utilizzata dagli amplificatori per piccolo segnale.

Nella figura seguente è rappresentato il circuito corrispondente con una rete di polarizzazione

semplificata dalla eliminazione della resistenza di emettitore RE che è stata omessa, sia per

semplicità di calcolo, sia perché lìobiettivo che ci prefiggiamo è quello di verificare quale sia la

massima efficienza di conversione conseguibile con questa soluzione: la RE, dissipando potenza in

continua non utile alla trasmissione, non può far altro che ridurre l’efficienza.

Possiamo immaginare valori tipici della corrente di collettore nel range delle centinaia di

milliampere o maggiori. Nei transistori di potenza il guadagno di corrente hFE è piccolo rispetto a

quello degli amplificatori per piccolo segnale.

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Infatti, per sopportare elevati valori di corrente dovranno avere aree attive molto grandi e, su

superfici così ampie, è più difficile garantire spessori di base molto piccoli, requisito necessario ad

un alto valore di hFE che, in genere, è nell’intervallo 10 ÷ 100. A questi valori di corrente di

collettore il ruolo stabilizzante della RE è svolto già parzialmente dalla resistenza parassita di

dispersione.

Dall’analisi della maglia di ingresso e con l’utilizzo della caratteristica di ingresso del componente

attivo si ricava il valore della corrente di base a riposo IBQ.

La retta di carico statico è verticale e, in continua, VCEQ = VCC , pertanto, il valore di IBQ fissa il

punto di riposo P(VCEQ,ICQ).

Il punto istantaneo di funzionamento P[VCE(t),IC(t)] si muove su una retta con pendenza

( )ϕtgRL

=−1

vce = - RL ic

( ) ( )( ) ( )tiItI

tvVtV

CCC

ceCECE

Q

Q

+=

+= LCCE RIV ∆−=∆

ic

+

Vce-

RL

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A partire dal punto di riposo una variazione di vce(t) determina una variazione di ic(t) che fa

muovere il punto istantaneo di lavoro sulla retta di carico dinamica rappresentata in figura. Se la

sollecitazione è simmetrica lo spostamento lungo la retta sarà simmetrico. Finchè il transistore è in

zona attiva si considereranno costanti i suoi parametri differenziali e pari ai loro valori medi.

L’escursione massima della VCE(t) e della IC(t) dipendono dall’inclinazione della retta di carico

dinamico e, quindi , dal valore della RL. Si può facilmente dimostrare che, nell’ipotesi di poter

considerare trascurabile la tensione di saturazione VCESAT, il valore di RL per cui si può consegnare

al carico la massima potenza è RL= VCEQ/ICQ.

.

Le diverse condizioni sono rappresentate nella figura seguente nella quale la retta di carico

dinamica di massima potenza è rappresentata con tratto più solido e corrisponde al suddetto valore

di RL Sotto queste condizioni calcoliamo l’efficienza di conversione: E

U

P

P=η precisando ch PU è la

potenza utile sul carico, ovvero quella relativa alla frequenza di trasmissione di prima armonica. Ai

fini del calcolo, quindi, non si considerano né eventuali componenti in continua né quelle

derivante da componenti armoniche di ordine superiore rispetto alla fondamentale. Sotto queste

condizioni risulta:

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124

L

CC

UR

VP

2

2

=

Se trascuriamo la potenza dissipata in base e sulle resistenze di polarizzazione di base (comunque

piccola rispetto alle altre potenze in gioco), PE dipende solo dalla corrente ICQ e dalla tensione di

alimentazione. Infatti, una eventuale componente variabile (comunque non presente a causa del

blocco introdotto dall’induttanza RFC) essendo a valor medio nullo non produrrebbe alcun

contributo alla potenza media erogata dalla batteria.

Pertanto:

CQCCE IVP =

Quindi: 2

11

2

2

==CQCCL

CC

IVR

Ovvero la massima efficienza di conversione è del 50%. E’ opportuno osservare che quello

calcolato è il valore massimo che si ottiene solo in presenza di un segnale abbastanza ampio da

causare la massima escursione della VCE e della IC. Se l’ampiezza del segnale è minore, poiché la

potenza erogata dalla batteria è indipendente dal segnale, si ottiene un valore minore di h. Di fatto

l’efficienza dipende dall’ampiezza del segnale.

Calcoliamo, adesso, il fattore di utilizzo a partire dalla sua definizione:

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125

maxmax CCE

U

uIV

P=θ

Per l’amplificatore in classe A risulta:

125.08

1

822

1

2

2

====CC

L

L

CC

CQCCL

CC

uV

R

R

V

IVR

6.1.3 Amplificatore in classe B

Per migliorare l’efficienza di conversione bisogna esplorare modalità di funzionamento diverse da

quelle tipiche della classe A caratterizzata da una erogazione di potenza da parte delle batterie

indipendente dalla presenza o meno del segnale. Esaminiamo nel seguito un esempio di

amplificatore in cui i singoli componenti attivi operano in classe B (θ = π/2). Si tratta di una

configurazione tra le più diffuse negli stadi di potenza che va sotto il nome di Amplificatore push-

pull.

+_

VCC

-VCC

RS

RL

vu

vs

1

2

Risulta evidente che i due transistori non potranno essere contemporaneamente in zona attiva

poiché sono caratterizzati dallo stesso valore della tensione base-emettitore e, di conseguenza,

quando questa è positiva risulterà 1 in zona. attiva e 2 in interdizione, quando è negativa il

viceversa.

Analizziamo la situazione a riposo, ovvero per vs = 0-

I transistori risultano ambedue interdetti, infatti, se, per assurdo, ipotizziamo che 1 sia in zona attiva

( e 2 interdetto) avremo corrente in RL e, di conseguenza VE1 > 0 → VB1 = VE1 + Vg > 0 .

Ipotesi di lavoro: - Vγ = 0 - Transistori PNP ed NPN con

caratteristiche simmetriche

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126

La corrente di base risulterà IB1 = -VB1/RS < 0 ovvero corrente di base negativa in un transistore

NPN in zona attiva: conclusione ovviamente non accettabile. Lo stesso ragionamento potrebbe farsi

a partire dall’ipotesi di 1 interdetto e 2 in zona attiva, pertanto l’unica soluzione possibile è che

ambedue i transistori risultino interdetti.

In definitiva, a riposo:

A riposo per il transistore 1:

0

0 1

=

=→=

C

CCCEu

I

VVv → punto di riposo

01

1

=

=

CQ

CCCE

I

VV

Lo stesso vale per il transistore 2:

02

2

=

−=

CQ

CCCE

I

VV

Esaminiamo adesso cosa accade se vs è sinusoidale. Nella figura seguente sono indicate la tensione

Vs e le correnti di collettore (quella del transistore 2 è rappresentata con segno opposto a quello

convenzionale e risulta, pertanto positiva).

Nel semiperiodo positivo conduce 1 e 2 è interdetto. Il transistore 1 funziona in configurazione

inseguitore di emettitore e, se RL(hfe+1)>>hie+RS , risulta

VU ≈VS

La corrente sul carico è IL = IC1

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127

Nel semiperiodo negativo conduce 2 e 1 è interdetto Il transistore 2 funziona in configurazione

inseguitore di emettitore e, se RL(hfe+1)>>hie+RS , risulta ancora:

VU ≈VS

La corrente sul carico è IL = -IC2

Ciascun transistore funziona in classe B.

Il punto istantaneo di lavoro del transistore 1 percorre la traiettoria tracciata a tratto continuo nella

figura seguente:

Calcoliamo adesso l’efficienza di conversione E

U

P

P=η . Anche in questo caso la calcoliamo in

corrispondenza della massima escursione consentita al punto istantaneo di funzionamento senza

entrare in zona di saturazione. Il calcolo viene fatto ancora una volta supponendo trascurabile la

tensione di saturazione VCESAT.

L

CM

U RI

P2

2

= L

CC

CMR

VI =max

IC1

VCE1VCC

IC1max

I° semiperiodo II° semiperiodo

Max ampiezza consentita al segnale

Il segnale può non

avere la massima ampiezza consentita

Retta con pendenza: -1/RL

Nota: In figura la corrente IC2 è rappresentata col verso convenzionale e, pertanto, risulta di segno opposto a quello della figura precedente.

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128

Per quanto riguarda la potenza erogata, bisogna tenere conto del fatto che ci sono due batterie.

Pertanto:

2⋅=πCM

CCE

IVP

Dove πCMI

è il valor medio della sinusoide raddrizzata a singola semionda.

Quindi: %7878.044422 max

2

⇒≅==⇒=⋅

=ππ

ηππ

ηCC

L

L

CC

CC

LCM

CMCC

L

CM

V

R

R

V

V

RI

IVR

I

In conclusione: in classe B l’efficienza di conversione massima migliora del 28% rispetto a quella

ottenibile in classe A , mentre la potenza dissipata sui due transistori, a parità di potenza utile,

risulta più che dimezzata (meno di ¼ su ciascun transistore rispetto alla classe A).

Passiamo al calcolo del fattore di utilizzo: maxmax CCE

U

uIV

P=θ

CCCE VV =max

L

CC

CER

VI =max

Quindi: 25.04

1

22

2

===CCCC

L

L

CC

uVV

R

R

Il fattore di utilizzo aumenta, ma, dal punto di vista del fattore di costo non è direttamente

confrontabile con quello della classe A poiché bisogna tenere conto del fatto che, nel push-pull,

sono necessari 2 transistori invece che 1.

6.1.4 Amplificatore in classe C

Passiamo adesso ad esaminare il caso del funzionamento in classe C. In realtà l’analisi che seguirà

sarebbe applicabile a qualunque classe di funzionamento e i casi prima esaminati (Classe A e B)

potrebbero essere visti come casi particolari. Ciononostante la topologia circuitale utilizzata per

tale analisi trova, di fatto, applicazione, quanto meno a fini dell’efficienza di conversione, quasi

esclusivamente nel caso di funzionamento in classe C e, pertanto. lo schema circuitale

corrispondente va spesso sotto la denominazione di amplificatore in classe C. In realtà, partendo

dallo schema generale mostrato in figura, variando il valore della batteria di polarizzazione EB si

può lavorare in ciascuna della quattro classi di funzionamento possibili.

Per ottenere il funzionamento in classe C dobbiamo fare in modo che risulti θ < π/2.

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129

Nell’ipotesi di CA di valore sufficientemente elevato e caduta trascurabile su RS, si ottiene:

BsB EVV +=

( )tVV SMS ωcos=

vBE

ωt

IC

ωt

EB

VT

ICM

θ

Se immaginiamo la caratteristica di ingresso del transistore caratterizzata da un valore della

tensione di soglia VT al di sotto del quale le correnti di base e di collettore risultano nulle (il

discorso può essere esteso a transistori MOS), si può osservare quanto segue:

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130

Se:

classe C

0 per classe AB2

classe B

B T

B T C

B SM T

B T

B SM T

E V

E V I

E V V

E V

E V V

πθ

< ⇒

> ≠ > ⇒

− <

= ⇒

− > classe A ⇒

Prendiamo come riferimento il funzionamento in classe C.

TB VE < (ovviamente supporremo EB+VSM>VT altrimenti il transistore risulterà sempre interdetto).

A riposo il transistore è interdetto (VS = 0)

( )

=

=<=⇒

=

+=

CCCE

C

TBB

SM

BSMB

VV

IVEV

V

EtVV 0:

0

cos 0ω

Applichiamo un segnale di ampiezza tale che risulti VSM +EB > VT

IC ≠ 0 per un intervallo pari ad una frazione del periodo. Il suo valor medio sarò diverso da zero e

lo indicheremo con IC0.

Dal bilancio delle correnti al nodo di collettore, con ovvio simbolismo, risulta:

CRFCCA

CACRFC

III

III

−=

=−− 0

L’induttanza RFC è un blocco per le radiofrequenze e le rispettive armoniche, quindi è attraversata

solo dalla componente continua IC0, infatti la corrente ICA che attraversa il condensatore avrà

componente continua nulla.

IC è periodica e, quindi, sviluppabile in serie di Fourier con un termine continuo IC0 più tutte le

armoniche.

Risulta:

0RFC C CI I I= = il valor medio della IC coincide con la corrente erogata dalla batteria

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131

Detta iC(t) la componente a valor medio nullo della corrente di collettore, risulta :

IC = IC0 +iC

IRFC=IC0

ICA=IRFC-IC= iC(t)

Ovvero la corrente nel condensatore CA è l’opposto della componente variabile della corrente di

collettore.

Il gruppo RLC viebe dimensionato in modo da risuonare alla frequenza della fondamentale e,

pertanto, alla frequenza di risonanza, LC è un circuito aperto.

LCC

L11

00

0 =→= ωω

ω

La 1a armonica della ICA passa tutta nel carico RL. Le armoniche successive si ripartiscono nei tre

rami R, L e C in proporzione inversa al modulo dell’impedenza di ciascun ramo. Ad esempio, per

quanto riguarda la 3a armonica si ha:

00

13 9

3L

ω=

Pertanto la corrente in C predomina su quella in L (è 9 volte maggiore). Per le armoniche superiori

la differenza è ulteriormente accentuata a favore della componente che scorre i C rispetto a quella

che scorre in L. Se si tiene conto del valore del fattore di qualità Q definito come:

C

RCRQ L

L

0

0 1ω

ω ==

Al crescere di Q ( per esempio per Q = 10) risulta 0

1L

RCω

>> e, pertanto, per tutte le armoniche

superiori alla prima si può trascurare nel parallelo con C l’effetto di RL e concludere che

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132

l’impedenza vista decresce con l’ordine dell’armonica N come la reattanza 1/(Nw0C). Poiché anche

l’ampiezza delle armoniche dello sviluppo in serie della corrente decrescono con N risulta evidente

che, se Q è abbastanza elevato, allora le componenti armoniche della tensione ai capi del gruppo

RLC risultano evanescenti rispetto alla fondamentale e, pertanto, la tensione sul carico è quasi

sinusoidale. In maniera sintetica si dice che il gruppo RLC esercita un effetto filtrante sulla ICA tale

da ottenere sul carico una tensione sinusoidale pur essendo il gruppo RLC alimentato con una

corrente pulsata. In altri termini le componenti armoniche superiori vengono mandate a massa

passando attraverso la reattanza capacitiva e producono una tensione ai capi di RLC trascurabile

rispetto alla fondamentale. La funzione del gruppo RLC è quella di filtrare la corrente pulsata per

ottenere una tensione sinusoidale di ampiezza: LMCUM RIV 1= , dove IC1M è l’ampiezza della 1°

armonica dello sviluppo in serie di Fourier della IC. Anche in questo caso l’efficienza di

conversione dipende dall’ampiezza del segnale da cui dipendeil valore di IC1M. In particolare, si

osserva che il valore di IC1M è limitato dalla saturazione del componente attivo. Infatti

l’andamento della tensione di collettore è quello in figura: si evince che, per evitare la saturazione

(VC=0) deve essere:

1C M L CCI R V<

In corrispondenza del valore di IC1M massimo ricavabile dalla precedente disuguaglianza si ottiene

la massima efficienza di conversione. Se si riporta tale efficienza in funzione dell’angolo di

circolazione si ottiene l’andamento in figura:

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133

Che sembrerebbe indurre alla scelta di valori dell’angolo di circolazione tendenti a 0 per

massimizzare l’efficienza. In realtà , però, bisogna tenere conto anche di un altro parametro: il

fattore di utilizzo θu il cui andamento in funzione di θ è riportato in figura.

Per θ→0 si ha θu→0

Si osservi che

maxmax CCE

U

uIV

P=θ a parità di PU se θu→0 ⇒ maxmax CCE IV →∞

Ovvero il transistore è chiamato a sopportare tensioni e/o correnti che tendono all’infinito. Poiché

ciò non è ammissibile, è necessario utilizzare valori di θ significativamente maggiori di 0. Questo

stato di cose è chiaramente comprensibile se si osserva che il transistore trasmette potenza al carico

solo negli intervalli di tempo in cui è IC ≠ 0. Se lo deve fare in tempi che rappresentano frazioni

trascurabili del periodo, allora il picco di corrente dovrà avere valore massimo estremamente

elevato (al limite la corrente dovrebbe essere una delta di Dirac se l’angolo di circolazione tendesse

a zero): questo spiega come mai il fattore di utilizzo tenda a zero al diminuire di θ oltre un certo

limite.

Un buon compromesso si ha per θ ≈ 60° che fornisce un ηMAX ≈ 85%.

Gli amplificatori in classe C vengono utilizzati per potenze fino ad alcune centinaia di watt e

frequenze prossime al GHz.

Nel campo delle microonde (da qualche GHzin su) non si trovano amplificatori in classe C perché

gli effetti capacitivi intrinseci non permettono, di fatto, di interdire il transistore.

Contrariamente a quanto accade per gli amplificatori in classe A e B , quelli in classe C non

possono essere utilizzati per amplificare segnali modulati in ampiezza poiché il loro comportamento

nei riguardi dell’ampiezza del segnale di ingresso non è lineare.

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134

6.1.5 Amplificatore in classe D

L’amplificatore in classe D fa parte di una classe di amplificatori detti “ad alta efficienza”, capaci,

almeno in linea teorica, di lavorare con efficienza di conversione unitaria. Per fare ciò si deve

ridurre al minimo la potenza dissipata sul componente attivo, facendo in modo, al limite, che

VCE(t) IC (t) = 0 per ogni t. Quindi quando il dispositivo attivo è in conduzione (IC ≠ 0) la tensione ai

suoi capi deve essere nulla, mentre quando la tensione è diversa da zero esso deve risultare

interdetto (corrente nulla). In altre parole il suo comportamento deve essere simile a quello di un

interruttore.

Lo schema di principio di un amplificatore in classe D è rappresentato in figura:

La tensione che aziona l’interruttore è un’onda quadra derivata da una sinusoide: ( )tV 00 cos ω . Il

gruppo RLC serie risuona alla pulsazione ω0 e si suppone sia caratterizzato da un valore di Q

abbastanza elevato (Q>10).

LL CRR

LQ

0

0 1

ωω

== ; LC

10 =ω

00

2

ωπ

=T è il periodo di commutazione del tasto tra le posizioni 1 e 2.

La tensione VC risulta, pertanto, un’onda quadra di ampiezza VCC e valor medio VCC/2. Il suo

andamento è rappresentato nella figura seguente. Si osservi che alla frequenza della fondamentale il

gruppo LC risuona serie e, pertanto, si comporta come un corto circuito. Ciò significa che la com

ponente di prima armonica di VC e quella della tensione ai capi del carico RL sono uguali.

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135

Alle armoniche superiori, nella serie tra L e C prende il sopravvento la componente induttiva che,

già alla terza armonica, assume un valore di reattanza 9 volte maggiore rispetto a quello della

componente capacitiva il cui effetto decresce ulteriormente al crescere dell’ordine dell’armonica.

Sviluppando in serie di Fourier la tensione VC(t) si ottiene:

( )( )0

1

sin1 2 cos2

2C CC

n

nV n t V

n

πω

π

=

= +

La componente continua viene bloccata dal condensatore C e, pertanto, il suo effetto sul carico è

nullo. La prima armonica della tensione di uscita, in base a quanto prima osservato, risulta:

π2

1 CCU VVM

=

Se si calcolano le componenti armoniche superiori si ottiene, per esempio, per la terza armonica:

CjLjR

RVV

L

L

CCU M

00

3

3

133

2

ωωπ ++

= Q

LRL

0ω=

Q

V

L

RV

CjLj

Q

L

RVV M

M

UL

CC

L

CCU 933

2

3

133

2 1

0

00

03 ≅≅

++=

ωπω

ωωπ

Con Q = 10 la componente di 3a armonica della tensione di uscita è 90 volte inferiore a quella di 1a

armonica. In prima approssimazione la tensione di uscita può ritenersi sinusoidale: a partire da una

sorgente di tensione continua si riesce ad ottenerne in questo modo una tensione a radiofrequenza.

Più che di amplificatore è corretto parlare di un convertitore di potenza: allo stato attuale, infatti,

non è possibile individuare un segnale di ingresso ed uno di uscita amplificato. Per comprendere

come il sistema prima descritto possa essere utilizzato nello stadio finale di un trasmettitore è

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136

necessario fare alcune considerazioni a cui verrà dedicato spazio nell’ultima parte del Caapitolo.

Vediamo, adesso, come realizzare il commutatore utilizzando dei componenti attivi che lavoreranno

in commutazione. Una possibile soluzione è rappresentata in figura:

La VBE1 e la VBE2 sono sempre in opposizione di fase: se l’ampiezza della tensione di controllo V0 è

sufficiente, alternativamente, uno dei due transistori è interdetto e l’altro è in saturazione. V0 sarà

una sinusoide oppure un’onda quadra (la sua forma non ha effetti diretti sul funzionamento del

sistema purchè l’ampiezza sia in grado di commutare opportunamente i transistori). Nella realtà i

tempi di commutazione non saranno mai nulli, quindi si avrà comunque dissipazione di potenza sui

transistori negli intervalli di tempo in cui corrente e tensione risulteranno contemporaneamente

diversi da zero. Con questi sistemi non si ottiene quindi un’efficienza di conversione effettiva del

100%. Un buon risultato è considerato un valore di h = 80% a frequenze di qualche centinaio di

MHz.

Sebbene in prima approssimazione se il commutatore si comporta in maniera ideale ci si potrebbe

aspettare ci si potrebbe aspettare un’efficienza di conversione unitaria, in realtà bisogna ricordare

che, ai fini della potenza utile, anche quella dissipata sul carico, ma alla frequenza delle armoniche,

è da considerarsi persa. Infatti nella definizione di potenza utile si fa, correttamente, riferimento

alla sola potenza di prima armonica sul carico. E’, pertanto, opportuno, calcolare l’efficienza di

conversione tenendo conto di questa considerazione.

Calcoliamo l’efficienza di conversione: E

U

P

P=η

L

CC

UR

VP

2

42

2

π= la tensione di 1a armonica sull’uscita è:

π2

CCV

Detta ICC(t) la corrente erogata dalla batteria, risulta:

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137

( ) ( )0 0

1 T T

CCE CC CC CC

VP V I t dt I t dt

T T= =∫ ∫

Per metà periodo, quando il transistore 1 è interdetto, ICC(t) è nulla e la corrente che attraversa il

carico si richiude attraverso il transistore 2 che è in saturazione. Per un calcolo rigoroso della

potenza erogata bisognerebbe valutare tutte le armoniche della corrente ICC(t) e calcolare di

conseguenza l’integrale che fornisce la potenza media erogata. Ma, se consideriamo trascurabili le

armoniche superiori della corrente rispetto alla prima (Q→∞), allora la corrente nel carico risulta

sinusoidale e, durante il semiperiodo in cui il transistore 1 conduce, la corrente ICC(t) è un arco di

sinusoide coincidente con la corrente nel carico RL.

Si ottiene, pertanto, quanto di seguito rappresentato:

πππCC

L

CC

L

UCC

E

V

R

V

R

VVP M

21 ==

Quindi: 12

2 2

2

2

===CC

L

L

CC

E

U

V

R

R

V

P

P ππ

η

Ovvero, come era ovvio attendersi, non basta ipotizzare che il commutatore non assorba potenza

affinché l’efficienza di conversione risulti unitaria, bisogna anche supporre trascurabile l’effetto

delle armoniche superiori e questo è vero solo se Q è abbastanza elevato.

( )L

UT

CCR

VdttI

T

M

π1

0

1=∫

valor medio

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138

6.2 Trasmettitori

Lo schema a blocchi di trasmettitore rappresentato in figura, ovvero quello con modulazione a

basso livello e successiva amplificazione di potenza, come detto in apertura di Capitolo, non è

l’unico possibile. Ad esso si affianca la soluzione denominata “modulazione ad alto livello” che può

risultare vantaggiosa in taluni casi e in dipendenza dal tipo di modulazione (di ampiezza, di angolo

o mista). Il tipo di modulazione determina, inoltre, la classe di funzionamento dell’amplificatore di

potenza, infatti solo quelli in classe A ed in classe B si comportano linearmente nei confronti

dell’ampiezza del segnale e, quindi, sono adatti ad amplificare segnali modulati in ampiezza, però

l’efficienza di conversione è bassa. Nel caso di segnale modulato in ampiezza in banda laterale

singola, esso può essere posto nella forma:

( ) ( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( )

( )( )

0 0

2 20 02 2 2 2

2 20

cos sin

cos sin

cos

SSBv x t t q t t

x t q tx q t t

x q x q

x q t t

ω ω

ω ω

ω θ

= +

= + + + +

= + +

( ) ( )( )

q tt arctg

x tθ =

Dove q(t) è il segnale in uscita ad un filtro di Hilbert ideale al cui ingresso è posto il segnale

modulante x(t). Come si vede, si tratta di un segnale modulato sia in ampiezza che in fase e,

pertanto, sarà necessario utilizzare un amplificatore di potenza in classe A o B.

L’amplificatore in classe C, invece, ha un comportamento non lineare nei riguardi dell’ampiezza del

segnale di ingresso: basti pensare al fatto che, al crescere dell’ampiezza del segnale di ingresso VSM,

fintanto che non risulta EB+VSM>VT l’angolo di circolazione è nullo e l’uscita rimane a zero.

Superata la suddetta soglia la caratteristica di trasferimento che riporta l’ampiezza della prima

armonica del segnale di uscita in funzione di quella del segnale di ingresso, è del tipo riportato in

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139

figura e presenta una forte non linearità caratterizzata da una soglia inferiore e da una soglia di

saturazione.

L’amplificatore in classe C, pertanto, è idoneo ad amplificare segnale modulati in frequenza, ma

non in ampiezza. Infine, l’amplificatore in classe D produce una forma d’onda d’uscita di ampiezza

proporzionale alla tensione di alimentazione e indipendente, quindi, dall’ampiezza del segnale di

ingresso utilizzato per pilotare il commutatore. Anche in questo caso l’unico utilizzo possibile

sembra ristretto al caso di segnali modulati in frequenza da implementare facendo controllare il

commutatore ad un segnale modulato in frequenza a basso livello di potenza.

Un altro blocco circuitale presente solo nel trasmettitore è il modulatore. Limitatamente al caso di

modulazioni analogiche esamineremo, nel seguito, a seconda del tipo di modulazione, le modalità

realizzative del modulatore e la scelta dell’amplificatore di potenza.

6.2.1 Trasmettitori per segnali modulati in ampiezza

Un segnale modulato in ampiezza può essere posto nella seguente forma:

( ) ( )01 cosANT AM a

V V m x t tω= +

Esistono due possibilità di realizzare il trasmettitore ciascuna con vantaggi e svantaggi caratteristici.

1. Modulazione a basso livello.

Lo schema a blocchi è descritto nella figura seguente. L’uscita modulata a basso livello deve

essere ibviata ad un amplificatore di potenza che, in base a quanto prima affermato, dovrà

operare in classe A o in classe B.

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x +

O.L. ARF

APRFx(t) Ax(t)cos(ω0t)

A2cos(ω0t)

Questa soluzione è caratterizzata dai seguenti aspetti negativi: l’efficienza di conversione non sarà

mai quella massima possibile in classe A o in classe B poiché questo risultato è conseguibile solo se

l’ampiezza del segnale è costantemente pari a quella massima accettabile dall’amplificatore senza

andare in saturazione e/o interdizione. E’ ovvio che un segnale modulato in ampiezza non può

soddisfare ad ogni istante tale condizione (altrimenti sarebbe di ampiezza costante!). In ogni caso il

limite del 50% e del 78% rispettivamente per le due classi suddette risulta invalicabile.

Questi aspetti negativi sono controbilanciati da un aspetto positivo: si tratta di una soluzione a larga

banda poiché, contrariamente al caso della classe C e D non vengono impiegati filtri selettivi.

Questo rende la soluzione a basso livello idonea ad applicazioni in multiplexer frequenziale (molti

canali trasmessi contemporaneamente con grande occupazione di banda), oppure nel caso in cui si

debba di continuo cambiare frequenza di trasmissione spaziando su un range di frequenza

razionalmente ampio (caso delle trasmissioni ionosferiche).

Modulazione ad alto livello.

Questa soluzione impiega un amplificatore in classe D nel quale il segnale modulante viene

utilizzato per quella si chiama “modulazione per caratteristica di collettore”. Nella figura seguente è

rappresentato solo il transistore 1 dell’amplificatore in classe D trattato nel paragrafo 6.1.5.

1

2a

Am

A=

[ ]1

21 ( )U M AM aV V m x t

π= +

( ) ( )1 0cos

u U Mv t V tω=

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La tensione VCC(t) di collettore si compone, adesso, di due parti: una costante VCC0 fornita dalla

batteria, ed una variabile, controllata dal segnale modulante, che si somma alla prima mediante un

accoppiamento a trasformatore. Ovvero:

0 00

( ) 1 ( )CC CC S CC S

CC

AV V Av t V v t

V

= + = +

dove la costante A dipende dal rapporto spire e da un eventuale amplificatore a bassa frequenza da

interporre tra il segnale modulante ed il primario del trasformatore di accoppiamento. Ricordando

che il segnale modulante varia molto lentamente rispetto alla portante, potremmo ripetere la

trattazione fatta nel paragrafo 6.1.5 semplicemente sostituendo VCC(t) a VCC. La tensione di uscita

(quasi sinusoidale nell’ipotesi di Q maggiore di 10) risulterebbe, in questo caso, avere un’ampiezza:

π2

)(1 tVV CCMU =

con

)](1[)(0

0 tvV

AVtV s

CC

CCCC +=

E, pertanto, se il coefficiente di modulazione risulta

ma= ( )0

1S

CC

Av t

V<

si otterrà in uscita un segnale modulato in ampiezza.

Questa soluzione consente di usare un amplificatore ad alta efficienza di conversione. Da osservare,

infine, che l’efficienza è virtualmente unitaria indipendentemente dall’ampiezza del segnale

modulante. Il problema, di fatto, viene, però, spostato sulla realizzazione ad alta efficienza

dell’amplificatore di potenza a bassa frequenza, non indicato in figura, necessario per pilotare il

primario del trasformatore. Infatti una aliquota considerevole della tensione VCC e, di conseguenza,

un altrettanto considerevole contributo alla potenza erogata, proviene, attraverso l’accoppiamento a

trasformatore, dal segnale modulante il quale deve essere opportunamente amplificato.

L’amplificatore di potenza a bassa frequenza (APBF) nella figura dovrà, a sua volta, essere ad alta

efficienza per non influire negativamente sull’efficienza globale del sistema.

APBF

+_vS(t)

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Esistono diverse soluzioni che consentono a basso costo di amplificare un segnale a bassa frequenza

con elevata efficienza di conversione come, ad esempio, l’amplificatore in classe S.

[Nota: Nell’amplificatore in classe S il segnale da amplificare viene utilizzato come soglia di un

comparatore all’altro ingresso del quale viene inviata un’onda triangolare a frequenza molto più

alta. Il risultato è un’onda rettangolare di valore picco-picco grande quanto si vuole (dipende

dall’ampiezza della tensione di alimentazione) e con duty-cycle proporzionale all’ampiezza

istantanea del segnale modulante. Filtrando con un passa basso l’onda rettangolare si riottiene la

forma d’onda modulante. Si tratta di un amplificatore switching che, in base allo stesso principio

che sta alla base del funzionamento ad alta efficienza dell’amplificatore in classe D, permette di

funzionare con efficienza virtualmente unitaria].

Il vantaggio di questa soluzione consiste in una efficienza virtualmente unitaria e indipendente

dall’ampiezza del segnale modulante.

Lo svantaggio, rispetto alla soluzione a basso livello, consiste nella limitazione introdotta sulla

banda passante dalla presenza del filtro ad alto Q.

6.2.2 Trasmettitori per segnali modulati in frequenza

Per amplificare segnali modulati in frequenza o in fase, si adotta lo schema di modulazione a basso

livello seguito da un amplificatore di potenza che può essere in una qualunque della classi prima

esaminate dal momento che non ci si deve preoccupare della linearità in ampiezza. Si può scegliere

quindi un amplificatore in classe C o D per avere massimizzare l’efficienza. E’ questo uno dei

motivi per cui la maggior parte degli attuali standard utilizzano modulazioni ad inviluppo costante.

.

Per quanto riguarda i modulatori vi sono due possibili soluzioni: modulatori diretti e modulatori

indiretti.

Nel primo caso il segnale modulante viene utilizzato per far variare il valore di un parametro

circuitale dal quale dipende la frequenza istantanea di oscillazione di un oscillatore.

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Nel secondo caso il segnale modulante viene prima integrato e poi utilizzato per modulare in fase

un oscillatore a frequenza stabile (ad esempio un oscillatore quarzato). Un esempio di questo tipo di

soluzione è descritto nel paragrafo 4. e impiega un PLL. Questa seconda soluzione, a fronte di una

maggiore complessità circuitale, presenta il vantaggio di una frequenza centrale (frequenza della

portante) stabile e affidabile, in quanto ottenuta con un riferimento al quarzo. Nel seguito è

rappresentato lo schema a blocchi di un modulatore diretto.

Modulatori di frequenza diretti

Il caso più diffuso di modulazione diretta è quello in cui il segnale modulante x(t) interviene su un

varicap modulando il valore della capacità di giunzione. Se dal varicap (parametro circuitale)

dipende la frequenza istantanea di oscillazione, si ottiene un segnale modulato in frequenza

Un esempio di questa modalità di funzionamento è stato esaminato nel Cap.2 con l’oscillatore di

Clapp il schema circuitale è riportato in figura.

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144

-

A questa soluzione circuitalmente molto semplice, si accompagnano, purtroppo alcuni

svantaggi:

1) la frequenza di oscillazione a riposo (in assenza di segnale modulante), ovvero la frequenza

della portante, dipende dal varicap, dalle condizioni ambientali (derive termiche),

dall’invecchiamento. Essa è scarsamente stabile ed affidabile;

2) la caratteristica che lega la capacità del varicap alla tensione è non lineare e, a sua volta, non

lo è nemmeno quella che lega la frequenza istantanea di oscillazione al valore della capacità.

In questo modo è praticamente impossibile realizzare una modulazione di frequeza lineare

se non per piccolissimi valori del segnale modulante e piccolissime variazioni della capacità

intorno al suo valor medio.

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Solo per deviazioni di frequenza fD molto piccole si può linea rizzare la dipendenza della frequenza

di oscillazione dal segnale modulante. Questo significa che si possono ottenere valori molto piccoli

dell’indice di modulazione ( D ≈ 10-2 ÷ 10-3).

Per quanto riguarda le derive della frequenza della portante si può ricorrere ad una soluzione

denominata CAF (Controllo Automatico della Frequenza) la quale funziona però solo sotto certe

condizioni per altro facilmente verificabili. Si osservi che le derive termiche e quelle dovute

all’invecchiamento costituiscono un disturbo a bassissima frequenza che risulta sempre separato da

quello del segnale modulante. Indichiamo con ε(t) tale disturbo e con ε(f) il suo spettro (v. figura

seguente).

ε

1Hz

f

Lo schema a blocchi di un anello per il controllo automatico della frequenza è riportato nella

seguente figura

MOD

FREQxN PA

X ωQDISCR

FREQ-

x(t)

1

2+

-

3 4

567

ε

Inversione di polarità

Moltiplicatore di frequenza

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Supponiamo che il disturbo ( )tε agisca sotto forma di un contributo additivo nel modulatore.

L’espressione del segnale nei vari nodi dell’anello è riportata nel seguito per ciascun nodo:

( ) ( )

( ) ( )[ ] ( )

+−+=

−=

∫∫t

D

t

DFMddVtxtVV

tVtxV

00703

72

cos ττεωττωω

A questo stadio si realizza un valore di dell’indice di modulazione molto minore di quello previsto

dallo standard adottato per la particolare applicazione. In tal modo si può supporre lineare il

modulatore. Per ottenere, poi, il valore finale di D richiesto dall’applicazione, si utilizza un

moltiplicatore di frequenza per N. Il moltiplicatore per N si realizza con una o più non linearità in

serie (p. es. quadratori, limitatori ecce un opportuni filtraggi per selezionare l’armonica desiderata.

L’uscita del moltiplicatore di frequenza e:

( ) ( ) ( )[ ]

+−+= ∫

t

DFMdVxNtNVV

0704 cos ττεττωω

Lo spostamento in frequenza che si ottiene è N volte maggiore di quello in uscita al modulatore:

NDDNf D

D=⇒= '

2'

πω

Nell’anello di controllo viene usato come riferimento un oscillatore quarzato con pulsazione ωQ .

L’uscita del mixer viene inviata ad un discriminatore (demodulatore) di frequenza. Esso genera in

uscita una tensione proporzionale allo scostamento della frequenza istantanea di ingresso rispetto ad

una frequenza di riferimento. Come pulsazione di riferimento del discriminatore si sceglie

ωRIF = ωQ-Nω0 . Si ottiene:

( ) ( ) ( ) ( )[ ]

( ) ( ) ( )[ ]ttVtxNKV

dVtxNtNVV

DD

t

DQM

εω

ττετωωω

+−−=

+−−−= ∫

76

07055 cos

Il filtro passa basso lascia passare solo le componenti a bassisima frequenza del segnale V6, quelle

dovute a ε(t). Si ottiene, pertanto:

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( )[ ]

[ ] ( )tNKNKV

tVNKV

DDDD

DD

εωω

εω

=+

+−=

17

77

( )DD

DD

NK

tNKV

ωεω

+=

17

( ) ( ) ( ) ( ) ( )DDDD

DDDD

NK

t

NK

tNKtNKVt

ωε

ωεωεω

ε+

=+

−+=−

11

17

Quindi:

( ) ( ) ( )∫

+++=

t

DD

DFM dNK

txtVV

0

03 1cos τ

ωε

τωω

DDNK ω+1 rappresenta il guadagno d’anello del sistema di controllo. L’effetto delle’erroe e(t)

risulta attenuato di un fattore pari al guadagno di anello, rispetto al caso di modulatore ad anello

aperto. Il sistema risulta reazionato nei confronti del disturbo che risulta abbattuto, mentre non lo è

nei riguard del segnale modulante (questo grazie al filtro pasa basso ed alla separazione in

frequenza tra segnale e disturbo).

La soluzione proposta risulta efficace solo nell’ipotesi, tacitamente accettata, che solo il modulatore

di frequenza introduca errore, mentre oscillatore quarzato e discriminatore di frequenza si

comportino in maniera ideale.

6.2.3 Traslazione di frequenza mediante moltiplicatori

Esaminiamo più in dettaglio il caso prima incontrato in cui si voglia moltiplicare per N la

frequenza istantanea di un segnale modulato. Supponiamo che il valore di N sia molto elevato,

come nell’esempio che segue, dove f0’ è la frequenza della portante in trasmissione

Es: N = 1036

f0’ = 108 MHz

f0 = f0’/N ≈ 108 KHz

Nel caso in esame il modulatore dovrebbe operare ad una frequenza di 108 kHz e, immaginando

che si tratti, ad esempio, di un modulatore FM per lo standard di radiodiffusione, il segnale

modulante ha una banda di 15 KHz: l’ipotesi di modulazione a banda stretta non risulta più

verificata (in altri termini il segnale modulante non risulta sufficientemente “lento” rispetto alla

portante f0 ).

MOD xNf0/N f ’0

D D’=DxN

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Si adotta, allora, la soluzione descritta in figura in cui ad una prima moltiplicazione per N = 36

segue una traslazione in basso mediante un mixer ed una successiva moltiplicazione per N=36. Le

operazioni sono chiaramente descritte in figura:

( )

+⋅⋅⋅= ∫t

DFMdxtVV

0

6

2 36103362cos ττωπ

Con la seconda moltiplicazione, eliminando la componente somma, si ottiene in 3 solo il termine

differenza:

( )

( )

−⋅⋅=

−⋅⋅⋅−⋅⋅=

t

DFM

t

DFM

dxtV

dxttVV

0

6

0

663

361032cos

36103362101112cos

ττωπ

ττωππ

Il segnale è nuovamente centrato su 3 MHz ma con uno scostamento di pulsazione pari a 36ωD .

Con una successiva moltiplicazione per N=36 si ottiene il risultato desiderato.

6.2.4 Trasmettitori per segnali modulati in SSB

Il risultato della modulazione dovrà essere un segnale con uno spettro del tipo in figura.

La cui espressione nel dominio del tempo è:

( ) ( ) ( ) ( ) ( )[ ]ttqttxVtvSSB 00 sincos ωω +=

Dove q(t) si ottiene mediante un filtro di Hilbert avente le caratteristiche rappresentate in figura.

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H(f)x(t) q(t)

|H(f)|

<H(f)

f

f

1

π/2

-π/2

Supponiamo di voler modulare una portante a 30 MHz in SSB con un segnale audio la cui banda sia

compresa tra 300 Hz e 4.5 kHz.

Lo spettro del segnale modulante è il seguente:

Modularlo intorno a 30 MHz e filtrare la banda laterale sinistra con un filtro a 30 MHz

richiederebbe la disponibilità di un filtro dalle caratteristiche estremamente spinte in grado di

introdurre una attenuazione di diverse decine di dB in una banda frazionale strettissima (600 Hz su

30 MHz!).

Il problema può essere aggirato adottando una soluzione in due successive conversioni di

frequenza: una prima traslazione intorno a 600 KHz, quindi, dopo avere eliminato con un filtro

passa-alto la banda laterale sinistra, si opera una seconda traslazione ed un ulteriore filtraggio

elimina banda.

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Prima traslazione e filtraggio (si noti che la distanza tra le bande, pur essendo immutata in assoluto,

risulta razionalmente molto più alta rispetto al caso della modulazione diretta a 30 MHz):

Seconda traslazione A 30 MHz (adesso la banda da eliminare è distante 1.2 MHz da quella

passante):

Lo schema a blocchi risulta essere il seguente:

MOD

AMX

OL

600KHz 30MHz

30MHz-600KHz

La modulazione in banda laterale singola, come è noto, può essere fatta anche nel dominio del

tempo a partire dall’espressione del segnale modulato SSB:

( ) ( ) ( ) ( ) ( )[ ]ttqttxVtv SSBSSB 00 sincos ωω +=

Da un’ispezione diretta si può ricavare il seguente schema a blocchi:

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Il problema è quello di ricavare, a partire da un unico riferimento, le due oscillazioni sinusoidali in

quadratura di fase per comandare gli oscillatori locali dei due mixer. Saranno esaminate, nel

seguito, due soluzioni: una molto semplice, ma a banda stretta, l’altra, circuitalmente più complessa,

ma a banda larga.

Prima soluzione: analogica a banda stretta

Con riferimento al semplice circuito RC in figura:

RCjv

v

i

u

ω+=

1

11

RCj

RCj

v

v

i

u

ωω

+=

12

RC

10 =ω

RCf

π2

10 =

f0

i

u

v

v 1

f

4π−

2π−

f0

i

u

v

v 2

f

i

u

vv 1∠

i

u

vv 2∠

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Sia il passa-alto che il passa basso hanno lo stesso polo

Alla frequenza f0:

vu2 è in anticipo su vu1 di 2π infatti:

- Sull’uscita 1 c’è un ritardo di 4π rispetto all’ingresso

- Sull’uscita 2 c’è un anticipo di 4π rispetto all’ingresso

Le due uscite hanno la stessa ampiezza.

La soluzione è a banda stretta perché quanto prima osservato si verifica solo per f ≠ f0.

Seconda soluzione: digitale a banda larga .

Si parte da un oscillatore a onda quadra a frequenza doppia rispetto a f0 e si ricavano i due

riferimenti sfasati di π/2 utilizzando due divisori realizzati con dei Flip-Flop e due filtri passa basso

che estraggano la prima armonica dall’onda quadra in uscita al Flip-Flop

Lo svantaggio di questa soluzione rispetto alla prima è che si deve partire da una frequenza doppia

rispetto a quella desiderata e questo si paga in termini di massima velocità richiesta al circuito e di

consumi.

Come amplificatore di potenza per un segnale SSB che è modulato sia in fase sia in ampiezza,

bisognerebbe utilizzare la classe A oppure la classe B, con conseguente limitazione sulla massima

efficienza di conversione conseguibile.

Una soluzione alternativa è quella denominata a “eliminazione e ricostruzione dell’inviluppo”.

In questo caso dal segnale modulato SSB a basso livello vengono estratti: i) l’inviluppo e utilizzato

per modulare di collettore un amplificatore in classe D; ii) un’onda quadra con fase

( ) ( )( )

q tt arctg

x tθ = utilizzata per comandare il commutatore. Lo schema circuitale è rappresentato in

figura e il segnale SSB amplificato viene “ricostruito” sull’uscita vu.

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