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Elio Petri, l’inevitabile Leggere gli anni di piombo attraverso il cinema di Petri.

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Leggere gli anni di piobo attraverso il cinema di Petri

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Elio Petri, l’inevitabileLeggere gli anni di piombo attraverso il cinema di Petri.

Giuseppe Frisino

corso di Storia della fotografiaprofessor Antonello FrongiaIUAV, clasAV 2008

Elio Petri, l’inevitabileLeggere gli anni di piombo attraverso il cinema di Petri.

In copertina.

Una foto privata.

C’è stata, da parte dei francesi, una valutazione

terroristica del cinema politico italiano, la quale

si deve interpretare come una minaccia esplicita

contro quella concezione civile del cinema

che oggi ogni produttore detesta. Si chiede ai

registi di collaborare con il capitale perché gli

schermi possano rispecchiare un’immagine priva

di conflitti del contesto sociale, un’immagine

che possa aprire una tregua sociale a tempo

indeterminato.

Queste righe, con cui lo stesso Alemanno riassume ed

introduce il saggio comparso su Cinema Nuovo del

dicembre 1978, portano a riflettere sul cinema italiano

alla fine della decade degli anni di piombo. L’articolo di

Alemanno tratta la crisi della produzione cinematografica

e le relative scelte politiche, affermando che la crisi del

capitale produttivo cinematografico colpisce soprattutto

il cinema politico e la sua funzione in qualche modo

incontrollabile nella sua totalità, non del tutto prevedibile

all’interno di un sistema produttivo che ormai lo Stato

vuole integrato.

Il riferimento alla critica francese indica invece un articolo

di Billard, comparso su Le Point del 1° maggio del 1978,

in cui si denuncia all’opinione pubblica le fattezze di un

cinema italiano troppo duro e critico verso le istituzioni,

un cinema realizzato da registi “oggi complici delle

Brigate Rosse” che contribuiscono “a minare la pallida

fiducia del popolo italiano nelle sue autorità e nelle sue

istituzioni”. A questo articolo ebbero a rispondere già

Elio Petri, Damiano Damiani, Ugo Pirro e Francesco Rosi

che, su una discussione pubblicata su L’Espresso del 14

maggio 1978, non potevano fare altro che difendere

Cinema terrorista?

la personale “poetica civile” da chi voleva trasformarla in

una “attività terroristica” (proprio da queste parole prende

nome il saggio di Roberto Alemanno intitolato L’attività

terroristica di una dolce poetica civile).

La ferrea opposizione, fatta sia dagli autori sia dai critici

alle accuse francesi, porta a leggere la plumbea storia del

Bel Paese di pari passo alle produzioni cinematografiche

di quegli anni, intese, da Christian Uva, come un corpus

unico che vada oltre la distinzione del genere.

Il sisma socio-politico degli anni ’70 è annunciato dalle

scosse che cominciarono a incrinare il Paese nel decennio

precedente, quello che si apre con i morti di Reggio Emilia

del 7 luglio del 1960 e che si conclude con la strage di

Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969. Sono gli anni in

cui matura la rabbia giovanile che esploderà nel ’68, che

trova la propria realizzazione utopica nell’unico dispositivo

capace di portare realmente l’immaginazione al potere: la

macchina da presa.

In questo contesto escono in sala opere come Prima della

Rivoluzione (1964), secondo film di Bertolucci, I pugni

in tasca (1965), esordio di Bellocchio, e Zabriskie Point,

del già affermato Michelangelo Antonioni. Si rafforza,

però, anche il film di genere, quel modo di raccontare

gli avvenimenti del reale ponendo di mezzo un filtro: è

così che i peones messicani dello rivoluzione di Zapata

si prestano a rappresentare al meglio i proletari a cui

si cerca di conferire una dignità in opposizione alla

mentalità borghese-capitalistica incarnata dai latifondisti,

dai capi dell’esercito e dai politicanti.

Si afferma il western all’italiana e il Giù la testa di Sergio

Leone viene preso in prestito dalle Brigate Comuniste di

Milano nell’attentato del 1977, rivendicato con un

esplicito “Giù la testa, coglioni”.

In questo territorio di generi, nel decennio successivo,

si passa dal western al poliziesco, o per meglio dire

Prima della rivoluzione

Dall’alto:

Giù la testa (Leone, 1971). Titolo di testa e fotogramma.

Vamos a matar companeros (Corbucci, 1970). Ultimo fotogramma.

dallo spaghetti western al poliziottesco, che permette

di inquadrare ancor meglio la realtà storico-politica

dell’epoca, tanto da segnare gli autori del cosiddetto

cinema politico-civile, soprattutto Petri, Rosi e Damiani.

Sarà proprio Elio Petri l’autore che finirà per coincidere

maggiormente con questa stagione, diventando il capro

espiatorio delle colpe del cinema politico, come suggerisce

Brunetta.

Il primo passo per avvicinarsi alla figura di Elio Petri porta

necessariamente ad ammettere che si tratta dell’autore

più compresso con quel qualcosa che per comodità si

suole chiamare il cinema politico italiano (Rossi), tanto

da consigliare a Lucia Cardone, che nel suo Elio Petri,

impolitico si avvicina alla produzione forse maggiormente

scevra da uno schieramento politico del regista romano,

di collocare Petri in un panorama politico ed artistico ben

definito. La stagione del cinema politico italiano implica

questioni complesse, come il rapporto tra arte e politica,

tra cinema commerciale e impegno sociale.

Il comune denominatore che si utilizza per la definizione

del filone può essere rintracciato nella necessità condivisa

di mettere in scena il politico, nella determinazione

di portare sullo schermo, spesso attraverso i moduli

dell’inchiesta poliziesca, le contraddizioni e i nodi

problematici presenti nella realtà sociale del paese.

Inserendosi in questa dialettica Petri, eclissato dall’impeto

ideologico che investiva gli anni Sessanta e Settanta, è

stato attaccato, discusso e infine rimosso, senza di fatto

essere indagato a fondo.

Elio Petri,

il cinema politico

Nella pagina accanto:

Elio Petri con Franco Nero sul set

di Un Tranquillo Posto di Campagna.

Dall’alto:

La storica foto dell’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura.

La questura di Indagine dopo l’esplosione del pacco bomba.

Andrea Minuz, in un saggio contenuto in Schermi

di Piombo e intitolato Cronaca di una stagione

annunciata, afferma che il cinema di Petri fornisce delle

coordinate privilegiate per declinare alcuni nodi della

rappresentabilità di un decennio (1968-1978). Seguendo

le interpretazioni maggiormente diffuse secondo cui la

strage di piazza Fontana segna la “fine” del Sessantotto e

il rapimento di Moro indica, invece, l’inizio della parabola

discendente delle Brigate Rosse, si riesce a collocare ai

due estremi altrettante opere petriane: Indagine su un

cittadino al di sopra di ogni sospetto (1969) e Todo Modo

(1976).

Ad avvalorare questa tesi sono le parole dello stesso Ugo

Pirro, sceneggiatore di Indagine, che racconta erano da

poco finite le riprese del film quando a piazza Fontana

scoppiò la bomba della strage, tememmo che il nostro

film non sarebbe stato mai proiettato in pubblico per

quella coincidenza sospetta fra cronaca e immaginazione;

ed ancora all’indomani di Piazza Fontana, i reportage

dei telegiornali sembravano sequenza strappate al nostro

film; la finzione diventò realtà. Eravamo stati profetici e

rischiavamo di pagarla cara.

Una volontà umana, questa volta, segna invece il

rapporto fra Petri ed il termine del periodo preso come

riferimento, si tratta di una foto comparsa sul settimanale

L’Espresso che il 14 maggio del 1978, con un numero

dedicato alla morte dello statista, accosta la prima celebre

polaroid scattata dalle BR ad un’immagine di Todo Modo

del 1976.

Ma cos’è Indagine su un cittadino al di sopra di ogni

sospetto?

Ugo Pirro lo considera la realizzazione della finzione,

Uva lo definisce un profetico ed inquietante spaccato del

periodo segnato dallo spartiacque della strage di Piazza

Fontana e Tullio Kezich, invece, un manifesto politico

che riesce a vibrare di un autentico travaglio individuale;

Indagine e Todo Modo

Dall’alto:

Dettaglio della prima polaroid

di Moro dal “carcere del popolo”.

Dettaglio di un fotogramma

di Volontè in Todo Modo.

bisogna sicuramente dire che Indagine fa parte del

secondo periodo dell’opera di Petri, quello destinato ad

assicurargli la fama duratura nel cinema internazionale sia

con l’Oscar proprio Indagine nel 1969 che con la Palma

d’oro di Cannes per La classe operaia va in Paradiso

(1971) ad ex-aequo con Rosi.

Ma, come ricorda proprio Kezich, si apre con A ciascuno

il suo (1967) questa stagione segnata, oltre che dai

riconoscimenti fuori dall’Italia, dal sodalizio con Ugo Pirro

(scriveranno insieme quattro film), con Gian Maria Volonté

(attore di altri quattro film) e con lo scrittore Leonardo

Sciascia (che fornirà lo spunto per la sceneggiatura di

due pellicole): si tratta del periodo in cui Petri, stimolato

dalla presenza di Volonté, sviluppa e matura la figura

dell’antieroe, bilanciando la propria poetica fra realismo e

grottesco.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

è, comunque, considerato l’apice della poetica

petriana, anche se agli inizi ha creato forse perplessità

e sicuramente dispiaceri allo stesso autore romano; la

migliore fonte per la ricostruzione degli avvenimenti

rimane lo sceneggiatore Ugo Pirro che, in una

testimonianza riporta un aneddoto legato proprio alla

realizzazione del film in cui, un attore scelto da Petri per

interpretare il ruolo di un normale poliziotto di Indagine,

rifiutò di partecipare, portando come motivazione al

rifiuto che si trattasse di un film che inneggiava alla

Polizia di Stato.

“C’era in quel momento in noi due il cieco ottimismo della

speranza, l’illusione di un cambiamento profondo di noi

e di tutti che ci rendeva alteri e temerari. Eppure questo

ottimismo, questa nostra posizione di schieramento

non furono capiti granché dai giovani, i quali con quel

manicheismo che è proprio dell’età arrivarono ad accusare

Indagine di essere un film a favore della polizia, della

I riconoscimenti

internazionali

Indagine su un

cittadino al di sopra

di ogni sopetto

Dall’alto:

La consegna della Palma d’Oro a Cannes a Petri e Rosi (1971).

Con lo scenografo Ugo Pirro.

polizia di quegli anni. Niente di più di quell’accusa

addolorò e indignò Elio, ma forte delle sue convinzioni

e delle sue speranze non evitò mai lo scontro con i suoi

esuberanti accusatori. Insomma i suoi film ‘politici’

ricevettero più accuse che riconoscimenti proprio da parte

di coloro che rappresentavano il suo pubblico ideale”

(Ugo Pirro, tratto da Ritratto Privato).

Quella di fiancheggiare la polizia era solamente

un’avvisaglia delle critiche che avrebbero seguito la

proiezione della pellicola nelle sale cinematografiche.

Franco Fornari, autore di un saggio introduttivo comparso

sulla pubblicazione della sceneggiatura originale di

Indagine, scrive che se questo film di Petri vuole essere un

film che racconta l’autoritarismo paternale è anche vero

che gioca sul confine labile che accomuna la “repressione”

con la “rimozione”; così come, riprendendo proprio

alcune critiche dell’epoca, se non fa altro che riproporre

i soprusi della polizia già visti e denunciati dai polizieschi

americani, è anche vero che per la prima volta gli italiani

osservano in un film che gli interrogatori avvengono con

ceffoni e con litri di sale; e ancora critiche su un Indagine

che potrebbe benissimo essere finanziato dalla Polizia di

Stato ma, fa notare Fornari, chi è interrogato sulla morte

di Pinelli probabilmente non penserà mai qualcosa del

genere.

Come molti italiani, il critico racconta di essere andato

a vedere Indagine ad una delle prime visioni, convinto

dalle insistenti voci che il film sarebbe stato ritirato

dalla circolazione perché troppo lesivo del buon nome

della polizia italiana; è questo il motivo per cui la gente

affollava le sale cinematografiche tanto da costringere i

cinema a spettacoli che cominciavano anche a mezzanotte

(come sottolinea Pirro in una nota fatta ai registi del

documentario Elio Petri. Appunti su un regista); ed è

sempre lo stesso Fornari che ricorda la propria riflessione

Le critiche a Indagine

Dall’alto:

Gian Maria Volontè in un fotogramma di Indagine (1969).

Florinda Bolkan nei panni della vittima sul set di Indagine (1969).

all’uscita dalla sala “Se questo film non lo tolgono vuol

dire che gli italiani cominciano a saper elaborare il lutto

delle proprie istituzioni”.

Pur sotto numerose minacce di sequestro, infatti, il film

di Petri veniva assolto dalla censura e distribuito con

successo, diventando il primo film italiano schietto e

franco su una istituzione [la Polizia di Stato] sino ad

allora cinematograficamente insindacabile, pena il rischio

di incappare in uno dei tanti reati di vilipendio inventati

dal fascismo (Argenteri), per di più, con orgoglio del

regista romano, ha fatto legge spostando più in là un

limite fino ad allora difficile da varcare.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto per

Minuz, nella sua puntualità storica e nell’inaspettato

enorme consenso di pubblico, può essere considerato

come il modello di riferimento per il “cinema politico

italiano”, che per Petri diventerà un pol-pop (cinema

politico popolare, secondo la sua stessa definizione)

colmo di metafore grottesche e apolicalittiche focalizzate

sullo scollamento totale tra il Paese e la sua classe di

rappresentanza politica.

La forza di Indagine resta la forza di Petri: il valore del

film consiste nel suo rapporto con un contesto reale

odierno [che deriva] dal momento in cui il film cade. Per

fortuna del film il contesto pensano a darglielo i fatti del

giorno, l’epoca che si vive (Fofi).

La stagione passata alla storia con l’etichetta “anni

di piombo” si apre, convenzionalmente, all’indomani

dell’esplosione che devasta il salone della Banca

Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano,

il 12 dicembre del 1969. Nel luglio del1970 l’esplosione

di un ordigno sul treno “Freccia del Sud”, nei pressi di

Gioia Tauro, provoca la morte di sei persone; mentre nel

dicembre dello stesso anno, durante la manifestazione

Un film che ha fatto legge

È così che è

cominciato tutto

Nella pagina accanto, dall’alto:

Elio Petri e Ursula Andress nelle

strade di New York set di La Decima

Vittima (1965).

Elio Petri con il direttore della foto-

grafia Ennio Guarnieri (1962).

per la strage di Piazza Fontana, un lacrimogeno delle

forze dell’ordine uccide un manifestante. “Eravamo

incazzati neri. Dovevamo fare qualcosa. È così che è

cominciato tutto” commenta Valerio Morucci all’epoca il

leader di Potere Operaio.

Nel 1970, all’indomani di Indagine e della strage di piazza

Fontana, arriva Documenti su Pinelli, progetto di Elio

Petri e Ugo Pirro con la partecipazione di Gian Maria

Volonté.

I documenti su Pinelli furono prodotti dal “Comitato

Cineasti Contro la Repressione” che nacque su iniziativa

di Petri e mia, come ricorda ancora Ugo Pirro nel ritratto

monografico curato per la Biennale di Venezia, […] alla

ricerca precipitosa degli autori della strage, tutte le forze

di polizia iniziarono una repressione a tappeto che investì

indiscriminatamente tutti i gruppi extraparlamentari e che

si estese successivamente anche contro gli operai in lotta.

Al comitato ideato da Petri e Pirro aderirono i cineasti

più noti, ma pochi girarono dei pezzi, il finanziamento

dell’impresa fu comunque assicurato dagli stessi registi

firmatari che si assunsero, indice di grande coesione, la

responsabilità giuridica dell’opera. I Documenti su Pinelli

che formano l’edizione prodotta sono due: il primo

realizzato a Milano da Nelo Risi, il secondo, con il titolo

Ipotesi, girato da Petri.

Il filmato Ipotesi ironizza sulle tre versioni che la polizia

dette del “suicidio” di Pinelli: l’idea fu di Elio Petri e vi

lavorammo insieme a definirlo, ma non scrivemmo mai

una sceneggiatura, che in realtà fu elaborata anche con

il concorso degli attori partecipanti proprio durante le

riprese (Pirro).

Petri, dopo quest’esperienza, pensò che usando la

stessa metodologia si potesse realizzare anche un film

ma, mentre proseguiva la ricerca per un soggetto, scelse

un altro progetto a cui dedicare le proprie attenzioni

Ipotesi su Pinelli

In alto:

Un Pinelli manichino nelle mani

degli inquirenti.

Nella pagina accanto, dall’alto:

Davanti al modello per la scenogra-

fia de “Le Mani Sporche” (1969).

Elio Petri con Vanessa Redgrave

sul set di Un Tranquillo Posto di

Campagna (1968).

(La Classe Operaia va in Paradiso, 1972, soggetto nato

proprio durante un’inchiesta di Petri e Pirro per conto del

Comitato all’interno di una fabbrica).

Ipotesi ebbe una circolazione di nicchia, militante, come

si diceva in quegli anni memorabili, sottolinea Ugo Pirro,

venne distribuito solamente nei circoli del Movimento

Studentesco, di Potere Operaio e di Lotta Continua.

Maggiore circolazione ebbe in Francia, soprattutto a

Parigi.

Si può definire Ipotesi su Pinelli un inserto di stretta

osservanza militante nello sviluppo della poetica petriana:

la conferma della decisione del regista di vivere in fondo

le suggestioni della propria epoca e di affrontare il

presente rendendolo materia primaria dei propri lavori

(Kezich).

Il cinema di Elio Petri continua a svilupparsi producendo

film riconosciuti, fuori dall’Italia, come di ottima fattura

ma al contempo fortemente criticati dall’interno del

mondo cinematografico italiano. Sono questi gli anni

in cui si gira La Classe Operaia va in Paradiso (1971) e

La Proprietà non è un furto (1973), gli anni in cui Petri,

Pirro e gli altri “compagni” del cinema italiano occupano

la Scuola Sperimentale di Cinema a Roma e boicottano

la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia,

organizzando in piazza “Le Giornate del Cinema”. Sono

gli anni ’70 che porteranno il PCI al trionfo delle elezioni

politiche del 1976 seguito subito dal “tradimento”,

è questa la prima volta, dal 1947, in cui il PCI non

vota contro un governo democristiano: è l’inizio del

percorso politico che porterà i comunisti a entrare nella

maggioranza del 1978, senza partecipare al governo.

Ma il 1976 è anche l’anno in cui per le BR, dopo la

gestione Curcio nel frattempo arrestato, si comincia a

delineare il nuovo assetto con a capo la figura di Moretti.

1976, anno di cambiamenti

Nella pagina accanto:

Elio Petri sotto il dito indicato da

Dante Ferretti come il simbolo

del padrone nel set di La Classe

Operaia va in Paradiso (1971).

Quando le vecchie ideologie si dissolgono, giunge

il momento di abbandonate le passioni giovanili e

assemblare insieme i cocci di uno Stato che si districa fra

terrorismo e illusioni secolari, come scrive Kezich. Torna a

far sentire la propria voce il cinema d’autore e Petri non

tarda a mettere in scena il tormento e la confusione della

malattia che mangia l’Italia degli anni ‘70: appartiene a

questi anni la genesi apocalittica di Todo Modo (1976).

Il film prende in prestito l’idea del romanzo di Leonardo

Sciascia, pubblicato nel 1974, suggerita, allo stesso autore

siciliano, dalle riunioni che gli ex allievi dei Salesiani,

quasi tutti notabili della Democrazia Cristiana, tenevano

presso un albergo di Zafferanea Etnea nei pressi di

Catania. Nei due anni trascorsi dalla pubblicazione del

romanzo all’uscita del film di Elio Petri nel 1976, la DC era

stata sconfitta nel referendum contro il divorzio, aveva

cambiato la propria segreteria e aveva assistito ad uno

dei più ampi rafforzamenti del Partito Comunista alle già

citate elezioni del 1976; ma sono anche gli anni in cui la

lotta armata comincia a puntare in alto, negli ambienti

delle BR, si cominciava già a pensare a obiettivi politici del

calibro di Moro, Fanfani e Andreotti. Con una premessa di

questo tipo è sicuramente più facile spiegare per Minuz

che la tensione fra teologia e laicità è lo sfondo di una

trama oscura che diventa una sottile metafora degli ultimi

trent’anni di potere democristiano.

Il film di Petri diventa una sorta di rappresentazione

medievale della “passione della DC”, in cui le stazioni

sono scandite dai cartelli che segnano le tappe della

discesa negli inferi e la vittima sacrificale dovrà portare

“la croce della mediazione sul Monte Calvario dei

nuovi assetti”, come il protagonista stesso afferma

coscientemente in una battuta, sussurrata, del film;

proprio questa frase, secondo la lettura di Uva, si presta

Todo Modo

Da Sciascia a Petri

Nella pagina accanto, dall’alto:

Elio Petri nella sua casa di via del

Corso (1961).

Una foto privata.

Gian Maria Volontè in un fotogramma di Todo Modo (1976).

a rappresentare meglio l’annuncio profetico della vicenda

del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro.

La figura dello statista non compariva nel romanzo

di Sciascia, tanto meno era nelle intenzioni di Petri

definirlo così dettagliatamente nel suo adattamento

cinematografico, così che la maschera costruita da

Gian Maria Volonté, annullando ogni scarto tra il

camuffamento e il corpo politico del reale (Minuz),

è risultata nauseante persino all’autore romano,

costringendolo a cestinare i primi giorni di ripresa. La

maestria dell’interpretazione di Volonté segnerà la

fortuna e la sfortuna di Todo Modo, ritenuto da alcuni

il primo atto del declino di Elio Petri, che dopo questo

film realizzerà Buone Notizie, dove lascia presagire

l’imminente eclissi; ma anche la realizzazione della tanto

temuta censura, questa volta operata dal Collettivo, che

con le armi della rimozione lascia che Todo Modo si perda

in una distribuzione scarna e con improbabili passaggi

televisivi.

Il commento più interessante a Todo Modo resta quello

che Moravia dedica ad Elio Petri durante la retrospettiva

del 1982 a Venezia: inserito come ultimo nato in una

tendenza del cinema italiano che ha come rispettivi Salò

Sade di Pasolini, la Grande Abbuffata di Ferreri e Cadaveri

Eccellenti di Rosi, Moravia, definisce rituale questo

cinema, che trova la propria causa nella situazione

politica in cui il Paese avversa.

La ritualità sta nello stretto rapporto fra la struttura

filmica e lo schema ideologico-simbolico delle allegorie

tradizionali. L’oggettività di una verità evangelica lascia

il campo all’ambiguità del giudizio sulla cosa pubblica,

un giudizio a volte svincolato anche dal pensiero politico

del regista, che, continuando nella rappresentazione del

Sacro, utilizza la veridicità della macchina da presa per

esprimere la propria verità.

La verità della MdP

I protagonisti del film di Petri non vivono un tempo

astratto: sono un gruppo di notabili democristiani,

membri della borghesia di Stato, un insieme di ladri,

concussionari, intrallazzatori e mafiosi che si riuniscono

per seguire gli esercizi spirituali (pratica religiosa ideata

da Sant’Ignazio di Loyola e prontamente adottata dalla

Chiesa come mezzo di formazione di uomini del potere

economico e politico, come suona l’antifona dello stesso

Petri) nel momento di massima crisi storica del partito, il

1976, l’oggi di Petri.

L’esercizio spirituale diventa il tentativo di ricostruire

i valori religiosi che trent’anni prima hanno realizzato

la fortuna politica del partito democristiano e la guida

spirituale non può che essere, un personaggio ambiguo

tutt’altro che santo, un prete cattivo, come egli stesso si

definisce, che tesse le trame delle lotte fratricide, quei

“normali giochi di corrente”, come li chiama il presidente

M, che alla fine della narrazione termineranno nella

strage finale nel giardino pieno di cadaveri denudati,

in cui lo stesso M si farà sparare dal proprio autista. A

questo proposito la rivelazione del regista romano si fa

illuminante per la lettura del film: ho girato il film con

l’idea che il responsabile fosse M, e che lui stesso poi

ordina la propria esecuzione.

Ora si capisce meglio anche la rivelazione della moglie

di M (interpretata da Mariangela Melato) che vorrebbe

il marito diventi un monumento, sublimando il destino e

l’indole sacrificale di quello che è stato poi indicato come

il Martire della politica italiana.

La visione petriana non sembra confusa più di tanto se

si considera la lucidità temporale del presente politico

con cui l’autore ha vincolato la vicenda, è ancora Moravia

che fornisce questi spunti di riflessione postumi. Petri

non si cura del recupero della classe politica italiana,

ma della sua terminazione; non analizza la corruzione

o la concussione con gli apparati parastatali, ma riversa

Il Presidente M

Nella pagina accanto, dall’alto:

Todo Modo (1976). I notabili nella

hall dell’albergo-convento.

Todo Modo (1976). Il set allestito per

il centro elettroncio per il controllo

degli ospiti.

nel film l’odio popolare contro un gruppo dirigenziale

al potere, è probabilmente questo il motivo per cui

la sterminazione apocalittica finale rimane irrisolta,

rivalendone l’ambiguità simbolica di fondo a cui lo stesso

regista risponde con la frase di Sant’Ignazio: Todo modo

para buscar y allar la voluntad divina.

Todo Modo è un film dotato della violenza e della

sommarietà di un pamphlet, in un parallelo ancora

inscindibile con cui il pamphlet stesso di Sciascia, L’Affaire

Moro, si chiama in causa riflettendo sui rapporti tra il

libro ed il film e cercando di conseguenza di svincolarne

le colpe riassumendo il tutto in quella che sembra una

giustificazione della chiara veduta d’insieme che sia Petri

sia Sciascia hanno avuto: le sintesi non potevano apparire

che anticipazioni.

I film, dice Sigfried Kracauer, rispecchiano le tendenze

psicologiche racchiuse in un sostrato dell’immaginario

collettivo capaci di soddisfare desideri già esistenti nel

corpo della società, in particolare se la forma è quella del

film popolare. Per questo motivo si può dire che Todo

Modo, così come Indagine su un cittadino al di sopra di

ogni sospetto, sono più vicini allo spirito di quegli anni

più di altri film successivi riguardanti sia l’assassinio dello

statista che la strage di Piazza Fontana.

Un aneddoto riporta che l’onorevole Aldo Moro

visionò Todo Modo in una sala privata allestita a

Piazza del Gesù e, terminata la proiezione, disse

di aver visto “un’opera ignobile, ma inevitabile”.

Anticipazioni inevitabili

Una foto privata.

Cardone Lucia, 2005, Elio Petri, impolitico, ETS

Crainz Guido, 2003, Il paese mancato, Donzelli

Uva Christian, 2007, Schermi di piombo, Rubbettino

Cinema Nuovo, n°256, novembre-dicembre 1978

Elio Petri (a cura di Ugo Pirro), 40a Mostra Internazionale

del Cinema di Venezia, 1983, La Biennale

Bibliografia

Filmografia La decima vittima, Elio Petri, 1965

A ciascuno il suo, Elio Petri, 1967

Un tranquillo posto di campagna, Elio Petri, 1968

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Elio

Petri, 1969

La classe operaia va in paradiso, Elio Petri, 1971

La proprietà non è più un furto, Elio Petri, 1973

Todo Modo, Elio Petri, 1976

Elio Petri: appunti su un autore, Federico Bacci, Nicola

Guarneri, Stefano Leone, 2006