emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni … · cui la teoria dei sistemi complessi,...
TRANSCRIPT
Flaminio Squazzoni*
EMERGENZA E MODELLI DI SIMULAZIONE
DEI FENOMENI SOCIALI.
UNA RASSEGNA
DSS PAPERS SOC 02-07
* Dipartimento di Studi Sociali, Università degli Studi di Brescia, Via San
Faustino 74/B, 25122 Brescia, e-mail: [email protected].
INDICE 1. Il dibattito sull’emergenza ............................................. Pag. 08 1.1 Emergenza epistemologica ed ontologica .......................... 12 1.2 Emergenza debole e forte ................................................... 22 1.3 Sistemi complessi ed auto-organizzazione: strutture diacroniche emergenti ........................................................ 26 2. Un’ipotesi di sintesi ................................................................. 31 3. L’emergenza nella simulazione sociale .................................. 35 3.1 Il modella di segregazione di Schelling e le variazioni sul tema ............................................................................... 38 3.2 L’emergenza nei modelli ad agenti .................................... 57 4. Conclusioni ............................................................................... 61 Riferimenti bibliografici ......................................................... 65
Una versione preliminare di questo saggio è stata presentata in un seminario ai colleghi del Dipartimento di Studi Sociali, Università degli Studi di Brescia nel gennaio del 2007 ed ha, quindi, potuto beneficiare di critiche ed osservazioni che si sono rivelate decisamente preziose. Ringrazio anche l’amico e collega Riccardo Boero per alcune note critiche che mi hanno consentito di ritornare su alcune tesi presentate nel saggio con maggiore chiarezza.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
5
Da sempre considerato come qualcosa di misterioso e metafisico,
qualcosa che ha poco a che fare con la scienza, il concetto d’emergenza,
così come quello di “proprietà”, “processi” e “fenomeni emergenti”, è
ormai da decenni seriamente studiato in differenti tradizioni di ricerca, fra
cui la teoria dei sistemi complessi, l’intelligenza artificiale, le scienze
cognitive, la filosofia della mente, la filosofia della scienza, la meccanica
quantistica, la biologia evolutiva e la simulazione sociale. Su questi temi, la
maggiore fonte d’ispirazione è la cosiddetta scienza della complessità
(Cowan, Pines e Meltzer 1994). È infatti proprio alla sua diffusione, a
partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso, che può essere
ricondotto il risorgere del dibattito tra riduzionismo ed emergentismo
(Davies 2006) e la definizione più rigorosa di concetti e modelli finalizzati
alla comprensione dei fenomeni emergenti.
Riflessioni teoriche e modelli sull’emergenza si sono susseguite
numerose in questi ultimi anni, soprattutto grazie alla diffusione della
simulazione al computer come metodo d’indagine (Axtell e Epstein 1996;
Casti 1997; Epstein 2000; Parisi 2001; Gilbert e Troitzsch 2005; Terna et
al. 2006). Recentemente, vi sono stati alcuni importanti contributi anche di
matrice sociologica, non a caso centrati proprio sull’approccio della
simulazione sociale (Macy e Willer 2002; Cederman 2005; Sawyer 2005).
Questa ultima costituisce, nell’ormai vasto universo delle discipline legate
alla simulazione al computer e ai modelli ad agenti, un programma di
ricerca focalizzato proprio sull’analisi del legame tra emergenza e
fenomeni sociali, con l’obiettivo di rispondere a classici interrogativi di
Flaminio Squazzoni
6
scienza sociale grazie al ricorso al metodo della simulazione al computer
(Macy 2002).
L’obiettivo del saggio è ricostruire il dibattito trans-disciplinare
sull’emergenza e proporne una sistematizzazione, in modo da poter poi
valutare se il patrimonio di conoscenze maturate su questo terreno e
l’insieme di metodi e strumenti di ricerca messi in campo possano
arricchire gli strumenti teorici e metodologici della sociologia e delle
scienze sociali in generale. Come si vedrà, la risposta può essere
considerata affermativa, anche se permangono importanti aspetti critici da
risolvere e decisivi sviluppi ancora da intraprendere.
Nel seguito del saggio, un’attenzione particolare è data al dibattito sulla
dicotomia tra emergenza epistemologica ed ontologica e alle evidenze
supportate dalla letteratura sui modelli ad agenti di matrice sociologica. Nel
primo paragrafo, sono riassunti gli esiti del dibattito sull’emergenza in
differenti ambiti disciplinari, anche lontani dalle scienze sociali e sono
stilizzate alcune posizioni teoriche di riferimento. Nel secondo paragrafo
viene offerta una cornice teorica di sintesi del dibattito. Il terzo paragrafo
presenta le evidenze teoriche sull’emergenza maturate nella letteratura sui
modelli ad agenti. Come argomentato poi nelle conclusioni, buona parte di
questa letteratura consente d’apprezzare l’utilità pragmatica, euristica e
metodologica dell’emergenza intesa come concetto epistemologico e
permette di difendere l’assunzione secondo cui sia utile distinguere i livelli
micro e macro dei fenomeni sociali solamente dal punto di vista
metodologico, contrariamente all’ipotesi ontologica proposta dal realismo
critico (Archer 1995), ripresa più di recente, anche sul terreno della
simulazione, da Sawyer (2005).
Uno degli aspetti che ritorna anche in questa letteratura è l’evidenza della
maggior complessità qualitativa dei fenomeni sociali rispetto a quelli
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
7
fisico-naturali, dovuta in primis alle caratteristiche cognitive degli attori
umani, confermando la natura peculiare della sfida conoscitiva del
sociologo, il quale, diversamente dal fisico, non parte dall’evidenza
empirico-sperimentale dell’unità macro, non vede ‘il tutto’ per poter poi
disaggregare componenti ed identificare cause micro, ma ha evidenza
ontologica solo delle parti e deve comprendere ‘il tutto’. Questa evidenza
non comporta un incentivo al rifugio della teoria sociologica fuori dalle
impronte positivistiche dell’approccio scientifico, né alimenta l’idea di una
frattura metodologica tra scienze naturali e scienze sociali (Goldthorpe
2006). Essa conferma, piuttosto, per ricordare una nota riflessione di
Herbert Simon, la natura “hard” delle cosiddette scienze “soft” (citato in
Epstein e Axtell 1996, 1). È proprio alla luce di questo dato di fatto che è
divenuta significativa l’importanza della simulazione al computer come
metodo d’indagine e dei modelli ad agenti come strumento di
modellizzazione. Essi consentono, infatti, di supportare spiegazioni causali
di fenomeni sociali in una prospettiva analitica (Hedström e Swedberg
1998; Barbera 2004; Hedström 2005) attraverso il ricorso a modelli
formali, supplendo alla difficoltà del metodo sperimentale nelle scienze
sociali e rendendo possibile l’esplorazione della “generatività” come
metodo di ricerca (Epstein 2006).
Flaminio Squazzoni
8
1. Il dibattito sull’emergenza
Il dibattito sul concetto d’emergenza in filosofia ed in epistemologia è
decisamente corposo e variegato. Alcuni precursori sono stati J. S. Mill, C.
D. Broad, C. L. Morgan e S. Alexander, ovvero i protagonisti della
cosiddetta scuola degli emergentisti inglesi tra Ottocento e Novecento,
oppure alcune scuole di psicologia, fra gli anni 20 e 30 del secolo scorso,
con in prima linea la psicologia della Gestalt (per una rassegna, si veda
Sawyer 2005). Sul dibattito, come anticipato, ha inciso molto anche la
teoria dei sistemi complessi, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Uno
dei principali nuclei tematici sui cui il dibattito ha recentemente molto
insistito è il concetto di coscienza ed il rapporto mente-corpo, con
interessanti legami fra filosofia della scienza, filosofia della mente, scienze
cognitive e scienze fisiche.
Ma, al di là delle etichette e delle scuole storiche, è possibile iniziare
proponendo una definizione abbastanza generale di emergenza, per poi
indagarne diverse declinazioni ed approfondirne alcune implicazioni. Nel
dibattito, il termine “emergenza” solitamente aggettiva i concetti di
“proprietà”, “strutture” e “fenomeni”, secondo l’assunzione che ad
emergere non siano “leggi”, o meramente “vincoli” e “boundary
conditions”, ma, appunto, “proprietà”, “strutture”, oppure “regolarità
macro” (Klee 1984; Bedau 1997; Kim 1999). A livello generale, si può dire
che un attributo x di un sistema y composto dalle componenti z1, z2 … sia
una “proprietà emergente” quando per comprendere x si faccia ricorso a
leggi, istanze, descrizioni e concetti qualitativamente differenti rispetto a
leggi, istanze, descrizioni e concetti utilizzati per analizzare z1, z2 …. Ciò è
determinato dal fatto che la comprensione dell’attributo x non possa essere
ottenuta attraverso un metodo di riduzione e scomposizione analitica,
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
9
ovvero in termine di conoscenza di z1, z2 …., perché x non è il semplice
risultato della loro aggregazione. Questa accezione del concetto è utilizzata
soprattutto in epistemologia, filosofia della scienza e negli studi che si
riconducono alla simulazione sociale e potrebbe essere definito come
l’accezione sincronica del termine “emergenza”. Come vedremo, a livello
sia filosofico che pragmatico, sussiste una differenza qualitativa fra
proprietà emergenti e proprietà risultanti e qui s’inserisce il noto dibattuto
sulla cosiddetta supervenienza, sulla “realizzabilità molteplice” del macro e
sul riduzionismo ripreso di seguito. Come vedremo, ancora, questa
accezione epistemologica dell’emergenza è rifiutata dai sostenitori
dell’accezione ontologica, secondo cui un attributo x di un sistema y
composto dalle componenti z1, z2 … è definibile come “emergente”
solamente dal momento in cui x eserciti un potere causale sul
comportamento delle componenti z1, z2 …, oppure, ancor più, dal momento
in cui x, al momento t, eserciti un potere causale diretto su x1 al momento t1
senza che il passaggio da x a x1 sia condizionato da cambiamenti nel
comportamento delle componenti z1, z2 ….. Ma, su questi aspetti, si torna
nel dettaglio in seguito.
Nella teoria dei sistemi complessi e in intelligenza artificiale, si utilizza
maggiormente il termine “struttura emergente”, in una prospettiva più di
tipo diacronico rispetto a quella sincronica vista in precedenza. In questo
caso, il principio è che un sistema y composto dalle componenti z1, z2 …
generi nel corso del tempo un attributo macro x, grazie ad interazioni non
lineari fra le componenti z1, z2 ….., tale che x arrivi a costituire un nuovo
livello nella gerarchia che caratterizza la composizione del sistema, un
livello dotato di proprietà selettive rispetto alle componenti delle unità
inferiori, in termini di schema di comportamento collettivo auto-
organizzato, particolarmente sorprendente, spesso complicato e difficile da
Flaminio Squazzoni
10
prevedere sulla base della conoscenza, anche dettagliata, delle componenti
z1, z2 ….. prese singolarmente. Il termine è utilizzato in teoria dei sistemi
complessi per l’enfasi che questa ultima pone sul legame tra emergenza e
capacità di auto-organizzazione di un sistema. Questa potrebbe essere
definita come l’accezione diacronica del termine “emergenza” (Stephan
2006).
Si utilizza, infine, il termine “fenomeno emergente”, il più delle volte in
studi sull’evoluzione, per evidenziare il carattere imprevisto ed inatteso
dell’insorgere di un dato fenomeno e il suo connotato di “novità” in senso
qualitativo rispetto alle leggi che governano i livelli analitici inferiori, come
negli studi sull’emergere della vita e della coscienza. Vale, però, la pena di
sottolineare sin da subito come, spesso, la comprensione di fenomeni
emergenti di questo genere possa essere ricondotta a spiegazioni causali di
tipo micro, che rimandano a leggi che governano il comportamento delle
componenti, ma la sua insorgenza richiede analisi evolutive o di lungo
periodo tali che diventa utile, in senso pragmatico ed euristico, attribuire a
questi fenomeni alcune proprietà generali ed indagarle come tali. Spesso, lo
strumento più efficace per indagare questi fenomeni evolutivi è proprio la
simulazione al computer.
Di seguito, si cercherà di prescindere da queste differenti declinazioni, a
volte non solo puramente nominalistiche e d’inquadrare il concetto di
emergenza in maniera più generale. Al di là di queste declinazioni, infatti,
nell’attuale dibattito si possono evidenziare due grandi approcci al tema
dell’emergenza, ovvero l’approccio epistemologico-metodologico e quello
fenomenologico-ontologico. Vale la pena di concentrare l’attenzione su
questa dicotomia.
Secondo il primo approccio, parlare di emergenza non significa parlare di
un attributo ontologico della realtà, ma di un concetto creato
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
11
dall’osservatore per comprendere la realtà. L’emergenza è un concetto con
finalità euristico-metodologiche, utile ad elaborare teorie scientifiche sui
fenomeni reali, creare approssimazioni, produrre descrizioni più efficaci,
fermo restando l’assunzione che ogni spiegazione scientifica debba/possa
essere orientata al micro-riduzionismo e alla formalizzazione di modelli
entro cui poter verificare/analizzare i meccanismi micro generativi
dell’emergenza macro. Sebbene spesso sia impresa difficile, costosa, a
volte anche impossibile in linea di fatto, l’obiettivo ultimo della
spiegazione scientifica è ricondurre queste proprietà emergenti macro a
proprietà risultanti di leggi, istanze e comportamenti micro. L’emergenza è
implicitamente percepita, quindi, come una misura dell’ignoranza
dell’osservatore rispetto ai meccanismi che generano il fenomeno macro
indagato, da cui il ricorso, per finalità euristiche, a concetti e categorie di
spiegazione macro.
Diversamente, il secondo approccio nuove dall’assunzione secondo cui la
natura emergente della realtà macro abbia un connotato squisitamente
ontologico, ovvero sia una proprietà specifica del reale e non una categoria
concettuale utilizzata dall’osservatore. L’utilità e la possibilità di ogni
riduzionismo micro viene rifiutata di principio, anche se spesso non viene
pedissequamente rifiutato il criterio della generatività micro delle proprietà
emergenti macro. Per connotare queste due prospettive dicotomiche in
letteratura si utilizzano proprio i termini, ormai noti, di emergenza
epistemologica ed emergenza ontologica, oppure di emergenza debole ed
emergenza forte. Come si vede di seguito, la ricostruzione di questo
dibattito è utile a comprendere meglio il concetto d’emergenza e le sue
implicazioni teoriche e metodologiche.
Flaminio Squazzoni
12
1.1. Emergenza epistemologica ed ontologica
L’accezione ontologica dell’emergenza è da ricondurre all’idea
dell’esistenza di livelli di realtà e l’assunzione secondo cui il reale sarebbe
composto da una gerarchia di livelli che rimandano a leggi, regole ed ordini
propri. Ad ogni livello della realtà, creato attraverso combinazioni
strutturate di elementi derivati dai livelli inferiori, corrisponderebbero
differenti proprietà e caratteristiche dette, appunto, “emergenti”, con una
scala di valori che muove dalla semplicità dei fenomeni della materia alla
complessità dei fenomeni sociali (si veda l’esempio in Tabella 1). Queste
proprietà s’invererebbero secondo una duplice ottica, ovvero a livello
evolutivo e in termini di sviluppo (ottica diacronica) ed a livello strutturale
e funzionale (ottica sincronica). Questo punto di partenza porta con sé
l’idea che ad ogni livello della realtà corrisponda un dominio scientifico, un
insieme di oggetti di studio e, di conseguenza, una dimensione ontologica
propria.
Del resto, è stata proprio questa stessa accezione ad essere utilizzata
originariamente dalla sociologia francese, da Durkheim e da Parsons, per
citare i più noti, in modo da poter accreditare la sociologia come dominio
scientifico specifico rispetto alla psicologia e alle scienze del
comportamento (Smith e Stevens 1996; Sawyer 2001). L’accezione
diacronica dell’emergenza ontologica è stata, inoltre, utilizzata da sociologi
quali Norbert Elias per teorizzare la società stessa e i suoi fenomeni come
una rottura evolutiva, determinata, sempre secondo Elias, dalla capacità
squisitamente umana di vivere a cinque dimensioni, essendo la quinta,
quella dei simboli, della comunicazione e dell’identificazione, propria solo
della specie umana (Elias 1991). Ne deriverebbe l’assunzione secondo cui
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
13
gli oggetti della sociologia, pur intrattenendo relazioni significative con le
scienze che studiano il comportamento individuale e, almeno per alcuni,
anche con le scienze naturali, avrebbero però uno statuto ontologico
particolare e dovrebbero essere comprese in sé e per sé (Runciman 1998).
Tabella 1. Un esempio di gerarchia del reale nei sistemi viventi secondo un
approccio di divisione dei campi disciplinari (Ellis 2006, 80).
Sociologia, Economia, Scienza della
politica
Comportamento animale, Psicologia
Botanica, zoologia, fisiologia
Biologia cellulare
Biochimica, Biologia molecolare
Chimica molecolare
Fisica atomica
Fisica nucleare
Fisica delle particelle
Secondo questo approccio, per parlare di “emergenza” dovrebbero
sussistere tutte le seguenti quattro condizioni:
i) una proprietà macro di un sistema deve non essere deducibile e
prevedibile in linea di principio e di fatto nemmeno dalla perfetta
conoscenza delle componenti micro e, di conseguenza, deve essere
Flaminio Squazzoni
14
analizzata facendo ricorso a concetti differenti rispetto a quelli
utilizzati per descrivere il micro;
ii) un fenomeno macro deve aver proprietà di “novità” rispetto a ciò
che avviene a livello micro;
iii) un fenomeno macro deve mostrare caratteristiche d’invarianza e
robustezza rispetto al variare e alle fluttuazioni del livello micro;
iv) una proprietà macro deve poter influenzare casualmente il
comportamento delle componenti micro a livello sincronico e,
quindi, poter causare cambiamenti macro in senso diacronico.
All’approccio ontologico all’emergenza, centrato primariamente intorno
al concetto di causalità macro, come si vedrà di seguito, si oppone
l’approccio riduzionista o di “micro-determinismo”, secondo cui, a
prescindere dalla divisione dei campi disciplinari e dall’autonomia delle
discipline, in termini di strumenti, metodi e conoscenze empiriche, ogni
spiegazione causale di tipo scientifico debba essere ricondotta alle leggi
fisiche e alla loro universalità ontologica, seguendo il famoso motto che “la
freccia della spiegazione punta sempre in basso”. La possibilità di spiegare
macro fenomeni attraverso il metodo della scomposizione e della riduzione
della spiegazione a fattori, leggi ed istanze micro è connaturata all’idea
stessa di scienza, evita la reificazione di entità e sistemi macro e favorisce
un approccio di tipo generativo. Inoltre, in riferimento al caso delle scienze
sociali, questa prospettiva salvaguarda il criterio di corrispondenza
ontologica secondo cui l’unico assunto certo da cui poter partire è che la
realtà sociale sia composta da unità elementari, chiamati individui, esistenti
ed osservabili in carne ed ossa, alle cui azioni e motivazioni la spiegazione
di ogni fenomeno dovrebbe riferirsi. Nelle scienze sociali, questo criterio di
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
15
corrispondenza ontologica consente di evitare di dotare entità sociali
“invisibili”, “non osservabili”, come quelle macro, di poteri causali effettivi
(Hedström 2005, 72).
Nel dibattito sull’emergenza, questo approccio riduzionista si ritrova poi
ammorbidito grazie all’evidenza secondo cui la scienza ha spesso a che fare
con sistemi particolarmente complessi, dove è costoso, difficile, a volte
quasi impossibile applicare un metodo di scomposizione analitica e di
riduzione al micro della spiegazione del fenomeno macro. Ne deriva,
quindi, che sia ammissibile ricorrere a concetti quali “emergenza”,
“proprietà emergenti”, ovvero a concetti che si riconducono esplicitamente
al livello macro e a ciò che a quel livello avviene, ma in chiave
squisitamente epistemologica. Da qui, la declinazione epistemologica del
concetto e l’assunzione della cosiddetta “emergenza debole”, che vedremo
di seguito. In sostanza, “emergenza”, “proprietà emergenti” e via dicendo
sarebbero concetti creati ed utilizzati dall’osservatore al fine di sintetizzare
e rappresentare in maniera efficace il comportamento di un sistema. Ne
consegue, come si è anticipato, che l’emergenza sia la misura
dell’ignoranza dell’osservatore, ovvero un concetto, a volte a valenza
esplorativa, teorica e descrittiva, in cerca d’analisi e non una proprietà
del reale.
Se questo è vero, ne deriva che le quattro condizioni elencate in
precedenza, che i sostenitori dell’approccio ontologico considerano
necessarie e sufficienti per parlare di emergenza, sono pesantemente
criticabili. Nell’approccio epistemologico, la condizione i) (“una proprietà
macro di un sistema deve non essere deducibile e prevedibile in linea di
principio e di fatto nemmeno dalla perfetta conoscenza delle componenti
micro e, di conseguenza, deve essere analizzata facendo ricorso a concetti
differenti rispetto a quelli utilizzati per descrivere il micro”) viene
Flaminio Squazzoni
16
considerata valida solo parzialmente, dato che, in linea di principio, ogni
proprietà macro è riconducibile a spiegazioni di livello micro, ma, in linea
di fatto, dati alcuni elementi di complessità che condizionano la relazione
micro-macro, come la non linearità, la presenza di strutture d’interazione
particolarmente complicate e di condizioni d’eterogeneità micro, è utile,
per ragioni pragmatiche, introdurre concetti capaci d’inquadrare
direttamente attributi macro. Ne deriverebbe, quindi, un’accettazione
solamente pragmatica della condizione suddetta. La condizione ii) (“un
fenomeno macro deve aver proprietà di «novità» rispetto a ciò che avviene
a livello micro”) è negata di principio, dato che aspetti di “novità” a livello
macro possono in linea di principio e di fatto essere ricondotti ad effetti
risultanti di comportamenti, decisioni ed azioni propri del livello micro. La
condizione iv) (“una proprietà macro deve poter influenzare casualmente
almeno alcuni aspetti del comportamento delle componenti micro a livello
sincronico e, quindi, poter causare cambiamenti macro in senso
diacronico”), che rappresenta la condizione più stringente per poter parlare
in senso ontologico di emergenza, è negata di principio, dato che, secondo i
sostenitori del riduzionismo, non esiste possibilità di connotare le proprietà
macro di poteri causali autonomi e propri rispetto al micro.
La differenza tra emergenza epistemologica ed emergenza ontologica è
da ricondurre, quindi, al principio secondo cui, nel primo caso, saremmo in
presenza di un artefatto concettuale proprio di un particolare modello o
formalismo creato al fine di consentire una spiegazione macroscopica del
comportamento di un sistema, mentre nel secondo, si tratterebbe di un
attributo oggettivo del sistema dotato di specifica capacità causale sul
comportamento dello stesso, non riconducibile ad una proprietà intrinseca
né delle componenti né delle loro relazioni.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
17
L’accezione epistemologica dell’emergenza sarebbe suffragata del
principio di “supervenienza”, famoso per le sue radici nella filosofia
morale, originariamente proposto da Donald Davison, ma reso più
recentemente celebre in filosofia della scienza da Kim (1978). Secondo
questo principio, dire che M (proprietà macro) superviene su N1, … N2
(componenti micro) significa che ogni sistema che ha come basi le
componenti N1, … N2 possiederà la proprietà superveniente M (Kim 2006a,
193). Ne deriva una relazione verticale di dipendenza tra due insiemi di
elementi di differente livello, secondo cui a cambiamenti nelle proprietà
macro corrispondono necessariamente cambiamenti nelle proprietà micro.
Secondo questo principio, non sarebbe possibile osservare due sistemi
macro M e K dotati delle stesse componenti micro Ns ed al contempo
differenti fa loro. Ne discende che il comportamento di M sia “riducibile”,
“spiegabile”, “prevedibile” e “derivabile” dall’analisi delle leggi che
governano il comportamento di Ns, data la relazione di dipendenza verticale
tra Ns e M. Ad ogni insorgere empirico di M, la spiegazione ricadrà su Ns.
All’esistenza di Ns, la previsione ricadrà sull’insorgenza di M. Poco
importa che, magari, come nota Kim (2006a, 2006b), il legame di
spiegazione Ns → M possa essere chiuso in senso analitico solamente
riducendo funzionalmente M ad F, cioè ad insieme di stati ed attributi
specifici che realizzano M1. In ogni caso, se questa posizione è accettata, ne
1 L’esempio proposto da Kim (2006b, 552-553) ricade nel quadro dei dibattiti sul
rapporto mente-corpo. Si dica M la proprietà “sentire dolore”. Si dia una definizione funzionale di M secondo cui M (“sentire dolore”) significa uno stato S tipicamente causato da un trauma t che causa comportamento avversivo c nel soggetto (gruppo/popolazione ecc.) x. La definizione sarebbe da intendersi come una riduzione funzionale di M a S, con S inteso come “realizzatore” di M. Si supponga che un ricercatore abbia empiricamente identificato uno stato neuronale n (l’attivazione di un gruppo di neuroni in un’area del cervello) che corrisponde al trauma t che causa il comportamento c nel soggetto (gruppo/popolazione ecc.) x. Ne deriverebbe che n
Flaminio Squazzoni
18
deriva che i concetti di supervenienza ed emergenza si elidono a vicenda
(Humphreys 1997a, 1997b), oppure che il concetto di emergenza deve
contenere significati e qualità che il concetto di supervenienza così esposto
non possiede (Kim 2006a). È ciò che sostengono i seguaci dell’approccio
ontologico, attraverso le tesi della realizzabilità multipla e della causazione
dall’alto in basso.
La tesi della “realizzabilità multipla”, originariamente proposta da Fodor
assieme al concetto di “disgiunzione totale”, recentemente riproposta anche
nell’analisi sociologica di Sawyer (2005), muove dall’assunto che un
fenomeno macro x possa essere generato da differenti
caratteristiche/azioni/stati micro z. In sostanza, l’attributo macro x del
sistema y potrebbe essere generato dalle componenti z1, 2, …, ma anche
dalle componenti k1, 2, …, oppure due attributi x uguali in due sistemi y e u
potrebbero essere generati da differenti componenti e condizioni micro. Ciò
costituirebbe un’eccezione alla tesi della supervenienza e un’impossibilità
del riduzionismo analitico macro-micro, soprattutto se le componenti o
proprietà micro sono in condizioni di “disgiunzione totale”, ovvero non
sono strettamente combinate.
Ad esempio, secondo Sawyer (2005), la proprietà macro “essere una
famiglia”, oppure “essere un movimento collettivo” può essere generata da
individui (componenti micro) aventi credenze, interpretazioni e
disposizioni totalmente disgiunte, ovvero da condizioni generative dotate di
profonda diversità nel “significato sociologico” (Sawyer 2004, 267).
potrebbe essere considerato come un correlato neuronale di M e che il ricercatore avrebbe la possibilità di ricondurre la spiegazione di M a uno stato neuronale. La riduzione sarebbe, quindi, possibile grazie alla connessione concettuale tra M (“sentire dolore”) e il comportamento avversivo c tramite lo stato S. Se ciò è possibile, ne deriva che la comprensione della proprietà M sia spiegabile in termini di n grazie all’identificazione funzionale di M e S.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
19
Inoltre, questi esempi di proprietà macro potrebbero “dar conto” di leggi
sociali causali, a prescindere dalla natura ed eterogeneità dei meccanismi
micro che le generano (269). In sostanza, secondo Sawyer (2005, 67ss),
l’esistenza di casi di “realizzabilità multipla totalmente disgiunta”
dimostrerebbero la tesi dell’autonomia ontologica del macro.
Secondo Silberstein e McGeever (1999), la tesi della “realizzabilità
multipla” sarebbe congruente con la non linearità tipica dei sistemi
complessi. Com’è noto in teoria dei sistemi complessi, la non linearità
implica una situazione d’interazione secondo cui l’aggregazione di due
cause può avere un effetto non corrispondente alla somma delle due cause
prese separatamente. Riconducendo l’idea ad un esempio generale, si
supponga che a e b siano due cause che prese singolarmente producono c e
d. In condizioni di linearità, o in situazione secondo cui a e b non
s’influenzano a vicenda, si avrebbe l’esito a+b=cd. Si supponga di avere a
e b in situazione d’interazione e d’influenza reciproca. In questo caso, si
potrebbe avere un esito secondo cui a + b non produrrebbero l’esito cd ma
piuttosto l’esito c-d, oppure d-c, oppure ancora f. Si supponga, ora, ad
esempio, che l’esito f prodotto dall’interazione fra a e b possa essere
prodotto anche dall’interazione fra m e n, oppure fra j e k. In questo caso,
l’esito f sarebbe un esito caratterizzato da “realizzabilità multipla”, la cui
comprensione passerebbe da una “violazione” della tesi della
supervenienza micro-macro. Se l’esito macro f s’invera a partire da
componenti micro differenti ed eterogenei, in termini di dinamiche e
caratteristiche, allora l’esistenza di f sarebbe ontologicamente rilevante e si
potrebbe parlare di potere causale di f su un universo di componenti micro.
In sostanza, una volta ammesse le suddette condizioni di realizzabilità
multipla, il passo successivo è l’introduzione del principio di causazione
dall’alto in basso, ovvero la negazione dell’universalismo del principio
Flaminio Squazzoni
20
della causalità micro e la dotazione di potere causale alle proprietà macro.
Più che una conseguenza, questo ultimo passo è visto da questi autori come
la raison d’être stessa dell’emergentismo nell’accezione ontologica o
“forte”, secondo la convinzione che “proprietà non dotate di potere causale
non interesserebbero a nessuno” e che “se c’è causazione dall’alto in basso,
allora e solo allora c’è emergenza” (Kim 2006b).
Nel dibattito filosofico ed epistemologico, il concetto di “causazione
dall’alto” è stato reso celebre da Campbell D. T. (1974), grazie all’esempio
della selezione naturale. Secondo Campbell, la selezione naturale funziona
grazie alla presenza di un insieme di proprietà o eventi macro che hanno
potere determinativo e, quindi, causale su proprietà, eventi e fenomeni di
livello inferiore, tale per cui si possa affermare che gli aspetti macro siano
in grado di “dirigere” gli effetti della micro-determinazione operante al
livello delle popolazioni biologiche coinvolte nell’ambiente. A questo
proposito, si pensi proprio all’esempio dell’effetto dei cambiamenti
climatici dell’ambiente sulle popolazioni. L’idea di Campbell è stata più
volte ripresa. Più di recente, Dretske (1988), Van Gulick (1995) e Murphy
(2006), incontrando ancora il linguaggio delle teorie evolutive, hanno
contribuito a riformulare alcuni aspetti della teoria focalizzando sull’idea di
“causazione dall’alto” come principio selettivo macro che incide non tanto
sugli aspetti materiali delle componenti micro, quanto sugli aspetti
organizzativi delle loro combinazioni. Secondo queste teorie, la causazione
macro agisce come “attivazione selettiva” di schemi di comportamento
micro e non come “alterazione” delle leggi che governano il micro
(Murphy 2006). Su questo terreno, la teoria della causazione macro
incontra il tema della mente come livello selettivo macro che agisce non
violando i principi che determinano le sue micro componenti fisiche, ma
selezionando condizioni di contorno, strutture e processi che dal micro
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
21
discendono a seconda delle informazioni maturate entro la relazione che
l’organismo intrattiene con l’ambiente. Fra gli esempi più noti riportati a
sostegno di questa tesi vi sono il potere causale della coscienza sugli stati
neuronali, oppure il ruolo dell’intenzionalità individuale e della morale sul
controllo sul comportamento, oppure, ancora, il concetto stesso di libertà ed
autonomia individuale (Murphy 2006).
In linea con questa impostazione, Sawyer (2005) sostiene che le proprietà
macro sociali possano avere un “potere causale” sul micro ed essere
analizzate attraverso concetti, teorie e leggi proprie, dal momento in cui
esistono vincoli sociali, secondo cui una proprietà sociale S, al tempo t1 è
causa di una proprietà individuale I* al tempo t2, anche se la base
superveniente I al tempo t1 non causerebbe naturalmente I*, e leggi macro
sociali, secondo cui la proprietà sociale S, al tempo t1 è causa della
proprietà sociale S* al tempo t2, anche se la base superveniente I al tempo t1
non causerebbe né la base superveniente I*, né la proprietà sociale S* al
tempo t2. Ne derivano l’assunzione, impensabile per ogni individualista
metodologico, secondo cui, sia possibile ed utile analizzare leggi macro
sociali, senza porsi il problema di una buona teoria micro e che sia
possibile conferire potere determinativo alle proprietà macro.
A dire il vero, questa declinazione ontologica dell’emergenza e i connessi
concetti di “causazione dall’alto in basso” non trova numerosi seguaci. In
linea di massima, le risposte a queste tesi chiamano in causa principalmente
tre aspetti:
i) l’evidenza che sia comunque possibile ricondurre gli esempi di
macro-causazione riportati a meccanismi micro, come nel caso delle
teorie evolutive (Klee 1984);
Flaminio Squazzoni
22
ii) la ricomprensione epistemologica della “realizzabilità multipla”
entro il perimetro teorico delle leggi di copertura, trattabili con
metodi di derivazione statistica, oppure la possibilità di spiegarli
grazie all’identificazione dei meccanismi specifici e contestuali che
danno conto della loro emergenza empirica (Hedström 2005;
Goldthorpe 2006);
iii) il confino dei casi di “realizzabilità multipla” a materia di studi
empirici, ovvero ad eccezioni locali delle teorie generali (Kim
2006a).
1.2 Emergenza debole e forte
La letteratura che punta l’attenzione meno a questioni puramente
filosofiche e più a problemi pratici e di modellizzazione si ritrova spesso a
dibattere delle dicotomia tra emergenza “debole” e “forte”. La posizione
più influente su questi temi è quella di Simon (1969), secondo cui, nel
rapporto tra olismo e riduzionismo ci siano versioni più dure e più deboli di
emergentismo. Ricondotto il dibattito all’interno della teoria dei sistemi
complessi, Simon (1969) sottolineava come “l’emergenza debole si
manifesti in una molteplicità di modi. Nel descrivere un sistema complesso,
spesso è utile introdurre nuovi costrutti teorici […] ad inquadrare quantità
che non sono direttamente fattori osservabili ma sono definite da relazioni
fra fattori osservabili”, con poi la conseguenza che “si utilizzino spesso tali
costrutti evitando riferimenti a dettagli micro relative alle componenti, ma
riferendosi direttamente alle loro proprietà aggregate”.
In una prospettiva che intreccia teoria dei sistemi complessi ed
intelligenza artificiale, sulle orme di Simon, Bedau (1997) propone
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
23
un’indagine sulla relazione di dipendenza/autonomia tra macro e micro
livelli d’analisi, cercando di evidenziare la complessa quanto affascinante
“inaccettabilità metafisica” del concetto d’emergenza, entro cui il gioco è
accettare di “vedere qualcosa che appare, allo stesso tempo, trasparente e
opaco” (Bedau 2003). Egli propone tre differenti accezioni dell’emergenza,
ovvero emergenza “nominale”, “forte” e “debole”, difendendo soprattutto
la plausibilità di questa ultima.
Si assuma una distinzione tra macro e micro livello nell’analisi di un dato
sistema. Si tratta, com’è noto, di una distinzione context dependent, mobile
e squisitamente analitica, quanto necessaria per ogni indagine scientifica
basata sull’idea di sistema. Seguendo lo studio di Baas (1994), per
“emergenza nominale” l’autore intende una proprietà macro del sistema
che non può essere posseduta da una componente micro dello stesso.
Questa proprietà può poi essere ulteriormente differenziata in proprietà
“genuina” e “risultante”. Diversamente dal primo, nel secondo caso la
proprietà emergente non è posseduta da componenti micro, ma può essere
compresa da un’accurata analisi delle proprietà delle componenti stessi ed
è, perciò, definita una proprietà macro “meramente risultante” dal micro. Si
pensi all’esempio del cerchio. Esso è una collezione di punti non aventi
nessuna forma in sé. La proprietà formale del cerchio è posseduta dal
sistema nel suo complesso e non dalle sue parti individualmente. In questo
senso, sarebbe una proprietà emergente “nominale”. Però, dal momento in
cui un osservatore sia a conoscenza del fatto che tutti i punti di una tale
figura geometrica siano equidistanti da uno stesso punto, allora egli
potrebbe desumere che la figura in questione sia un cerchio. Da qui,
l’evidenza che la proprietà di “essere un cerchio” sia una proprietà
risultante. Il concetto di “emergenza nominale” rappresenta la declinazione
più generale dell’idea di emergenza.
Flaminio Squazzoni
24
Una declinazione più ristretta è quella di “emergenza forte”. In questo
caso, le proprietà macro sono dotate di potere causale o determinativo sul
micro, arrivando, quindi, ad acquisire connotazioni di novità ontologica, in
una prospettiva di anti-riduzionismo micro. L’esempio canonico è quello
della vita mentale e della coscienza come fenomeno qualitativo e del suo
potere causale sulla struttura materiale su cui poggia. In questo caso,
prevarrebbe la nota tesi dell’esclusione: le pretese “leggi” che regolano il
livello macro arriverebbero a “vincere” sulle note “leggi” che regolano il
livello micro. Data l’impostazione dell’autore, la conclusione è che non si
abbia evidenza empirica per supportare questa declinazione teorica
dell’emergenza, con il risultato che “l’emergenza forte inizi dove la
spiegazione scientifica finisce”.
Tra la generalità dell’emergenza nominale e la durezza dell’emergenza
forte, si troverebbe, invece, la cosiddetta “emergenza debole”, che
assomiglia alla declinazione epistemologica dell’emergenza vita in
precedenza. La connotazione di “debolezza” è da ricondurre al rifiuto
dell’ontologia macro causale. Se, secondo l’accezione “forte”, si dice che la
proprietà P sia una proprietà emergente di un sistema S in senso forte, se P
“sopravviene” alle proprietà delle componenti di S, non è posseduta da
nessuna delle componenti di S, è distinta da ogni proprietà strutturale di S
ed ha un diretta influenza determinativa sullo schema di comportamento
perpetrato dalle componenti di S (O’ Connor 1994), l’accezione “debole”
dell’emergenza non enfatizza il potere causale del macro, ma piuttosto
l’incapacità dello scienziato di accedere (ancora) alla conoscenza
necessaria e sufficiente per spiegare casualmente il fenomeno e l’utilità
pragmatica del ricorso a concetti che si riferiscono direttamente e
qualitativamente al fenomeno macro in questione. Come chiarisce Clayton
(2006), colori i quali muovono dall’ipotesi dell’emergenza debole,
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
25
segnalano l’importanza dell’evoluzione come fonte di generazione di
“nuove strutture e schemi organizzativi” macro, ma secondo l’assunzione
che “sia possibile considerare queste strutture come cose dotate di senso ed
autonomia, dato che rappresentano componenti irriducibili per definire
buone spiegazioni” e che sia possibile pure considerarle come “cause
agenti”, ma nella consapevolezza che “le cause ultime risiedano al livello
inferiore” e che la “nostra incapacità di riconoscere in queste strutture e
schemi emergenti solamente nuove manifestazioni degli stessi processi di
base sia dovuta primariamente alla nostra ignoranza e non possa costituire
una guida di tipo ontologico” (Clayton 2006, 20).
Si pensi a un sistema S, composto da un insieme di componenti micro
mC, il cui numero e le cui caratteristiche possono variare nel tempo. Si
pensi a come, entro il perimetro di tale sistema S, possano essere
identificati un livello di “micro stati”, caratterizzato dalle componenti
micro mC e un livello di “macro stati” MC, ovvero alcune proprietà
strutturali che condizionano le componenti stessi. Si pensi alla struttura
d’interazione fra le componenti mC, con l’effetto di un condizionamento di
mC rispetto, ad esempio, all’informazione a disposizione. Secondo Bedau,
si parla di “emergenza debole” nel caso in cui la proprietà P del sistema S
possa essere solamente derivata dall’analisi di una microdinamica M
interna al sistema in grado d’includere la relazione tra mC e MC,
includendo anche la presenza di condizioni E esterne a S, grazie alla
simulazione del sistema (Bedau 1997, 378). Secondo questo approccio, la
proprietà P è detta emergente perché è interamente costituita e generata da
fenomeni appartenenti al micro livello (mC + MC), ma questi ultimi
comportano un tale caleidoscopio d’interazioni non lineari e non additive
da rendere la derivazione delle dinamiche macro del sistema S dal livello
micro impossibile da identificare, se non col supporto dello strumento della
Flaminio Squazzoni
26
simulazione (Bedau 1997, 393). In sostanza, secondo Bedau, l’insistenza
sulla versione “soft” dell’emergenza e sulla generatività della simulazione
come approccio consentirebbe proprio d’evitare, al contempo, il ricorso a
misteriose concezioni ontologiche dell’emergenza e la negazione
dell’autonomia epistemologica del macro livello. È su questa impostazione
che converge buona parte della teoria dei sistemi complessi e la letteratura
sulla simulazione che viene affrontata successivamente. La simulazione
diviene, infatti, uno strumento irrinunciabile per esplorare la natura
diacronica delle strutture e delle proprietà macro emergenti (Stephan 2006).
È su questa prospettiva epistemologica che questo stesso saggio insiste.
1.3 Sistemi complessi ed auto-organizzazione: strutture diacroniche
emergenti
La letteratura sui sistemi complessi è intrecciata a quella sulle proprietà
emergenti e spesso ha influenzato direttamente gli studi che si basano sulla
metodologia della simulazione. In questa letteratura, ci sono due principali
linee di analisi che convergono verso il concetto di emergenza, ovvero la
letteratura sui sistemi complessi, principalmente nati sul terreno della
meccanica statistica e dell’intelligenza artificiale, i quali enfatizzano gli
ingredienti che differenziano un sistema semplice da uno complesso,
secondo un’ottica prevalentemente sincronica, e la letteratura sui sistemi
adattivi e sull’auto-organizzazione, principalmente interessata ad aspetti
diacronici.
La prima tradizione enfatizza la differenza tra sistemi semplici e sistemi
complessi e sulla differenza tra proprietà macro emergenti o risultanti, vale
a dire frutto della mera aggregazione. Una proprietà macro è risultante se le
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
27
sue caratteristiche sono squisitamente legate agli aspetti materiali micro,
mentre le caratteristiche emergenti sono più legate agli aspetti strutturali
dei sistemi, definiti soprattutto in termini di processi organizzativi (Auyang
1998). A livello micro di un sistema, ci sarà una descrizione elementare
delle componenti, una descrizione delle loro caratteristiche specifiche, una
micro-descrizione delle relazioni fra le componenti e del loro
comportamento, mentre a livello macro si farà ricorso a valori ed indicatori
specifici indirizzati all’analisi unitaria del comportamento macro del
sistema. Una proprietà macro sarà detta “emergente” se presenta
caratteristiche unitarie qualitative “nuove” o “inattese” rispetto alle
caratteristiche che governano il livello micro, talmente “inattese” da non
essere comprensibili facendo semplicemente ricorso a valori aggregati,
somme e “medie” del comportamento micro. Diversamente, queste
proprietà macro sarebbero, infatti, semplicemente “proprietà risultanti”
(178). È noto come il grado di complessità di un sistema sia legato proprio
alla presenza di tali proprietà emergenti che rendono impossibile un’analisi
in termini di “aggregazioni” e “medie” e di dinamiche lineari, proprio
perché le componenti non sono “debolmente accoppiate” ma sono connesse
da processi organizzativi entro cui domina la non-linearità e una complessa
rete di causazione spesso reciproca.
Una delle proprietà emergenti più note nei sistemi complessi è la loro
capacità di auto-organizzazione durante le “transizioni di fase”, cioè fasi
dell’evoluzione di un sistema nelle quali si assiste ad un cambiamento
strutturale, spesso determinato da “punti critici” che innescano una rottura
della simmetria che governa le relazioni e il comportamento delle
componenti. Fra le transizioni di fase più note in letteratura vale la pena di
ricordare la condensazione dei gas, oppure il congelamento dei liquidi,
nelle quali un sistema passa da uno stato dominato dal disordine in uno
Flaminio Squazzoni
28
stato dominato dall’ordine o viceversa. Spesso, nella tradizione più legata
agli studi evolutivi, simili proprietà emergenti sono da correlare alla natura
adattiva dei sistemi e, di conseguenza, al ruolo dell’ambiente e
all’influenza della contingenza storica. Ad esempio, è proprio la natura
aperta dei sistemi biologici e l’influenza dell’ambiente e della contingenza
storica a spiegare perché l’evoluzione non possa essere ricondotta
solamente a processi incrementali e graduali, ma esibisca salti, instabilità,
rotture ed accelerazioni improvvise (Eldredge e Gould 1972).
Nella teoria dei sistemi complessi, v’è un legame diretto, quindi, tra
l’idea di “emergenza” e quella di “auto-organizzazione” e l’introduzione di
una componente importante, quale quella dell’ambiente. In questo caso,
l’emergenza si riferisce a “nuove regolarità” macro generate dalle
interazioni fra le componenti di un sistema che arrivano, nel corso del
tempo, ad esercitare proprietà in termini di “ordine” sul comportamento
delle componenti stesse, arrivando anche ad esprimere capacità funzionali
rispetto all’ambiente di riferimento (Deacon 2006). Il concetto di auto-
organizzazione enfatizza la prospettiva evolutiva e diacronica, con il
ricorso a concetti aggiuntivi quali “amplificazione”, “propagazione”,
“replicazione”, “auto-rinforzo”, “feedback positivi” e via dicendo.
Questo approccio supera l’idea dei livelli gerarchici della realtà tipica
dell’approccio ontologico ed individua una specifica classe di fenomeni
d’interesse trasversali rispetto alla discipline e ai loro domini: l’emergere di
comportamenti collettivi, in termini di regolarità macro dotate di proprietà
d’ordine sul livello micro, a partire da interazioni non lineari tra agenti
adattivi ed eterogenei, localizzati in un ambiente. Queste proprietà
emergono nel corso dell’evoluzione, come schemi d’ordine collettivo nati
da un brodo di comportamenti micro, spesso governati da semplici regole e
da interazioni caotiche (Waldrop 1992). Spesso, la comprensione di questi
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
29
schemi e strutture collettivi necessita dell’adozione di una prospettiva
diacronica e passa dalla realizzazione di modelli formali tramite strumenti
di calcolo ed analisi, quali la simulazione (Bedau 1997; Stephan 2006).
Una delle immagini e delle analogie più efficaci di questi studi è quella
dell’intelligenza dello sciame, utilizzata sia nelle scienze naturali che in
quelle artificiale, per esempio nella robotica e nell’intelligenza artificiale
distribuita. L’esempio delle colonie d’insetti è emblematico. In questo caso,
le proprietà emergenti sono intese come capacità auto-organizzative di
natura collettiva, con effetti positivi quali capacità adattiva, robustezza,
capacità di esplorare e risolvere problemi complessi impossibili da
risolvere a livello individuale, costruzione di strutture spazio-temporali a
partire da semplici comportamenti micro e da processi di coordinamento
dal basso completamente decentralizzati.
L’auto-organizzazione è possibile grazie alla presenza di:
a) effetti positivi di rinforzo, in grado di amplificare soluzioni trovate,
grazie a fenomeni comunicativi basilari fra gli agenti;
b) effetti negativi, in grado di controbilanciare i primi, grazie a forme di
saturazione, esaurimento e competizione che maturano entro la
relazione tra agenti e vincoli ambientali;
c) l’amplificazione di fluttuazioni, che spinge la capacità d’esplorazione
degli agentisecondo una logica di tentativi ed errori;
d) la presenza di interazioni multiple fra agenti.
I processi di auto-organizzazione si generano attorno ad alcune proprietà
chiave, quali la creazione di strutture spazio-temporali a partire da
condizioni caotiche, grazie ad amplificazioni di deviazioni casuali, la
possibilità di co-esistenza di differenti stati entro il sistema, con la presenza
Flaminio Squazzoni
30
di equilibri multipli, spesso dipendenti dalle condizioni iniziali e l’esistenza
di biforcazioni, spesso dipendenti da fattori ambientali e contingenti.
Una delle proprietà più rilevanti delle società d’insetti è, infine, il
comportamento stigmergico, ovvero un sistema d’interazione indiretta
veicolato dalla capacità di ego di leggere messaggi comunicativi attivati
dalle modificazioni ambientali di alter (feromoni) e di agire di conseguenza
sull’ambiente, modificando il proprio comportamento in maniera adattiva
(Bonabeau, Dorigo e Theraulaz 1999). Chiaramente, è possibile capire la
motivazione dell’interesse degli ingegneri per il caso delle società d’insetti.
Esso deriva, infatti, dalla possibilità di sostituire controllo, pianificazione e
centralizzazione nella costruzione di sistemi intelligenti con autonomia,
emergenza e funzionamento decentralizzato.
Il caso descritto in precedenza è un esempio efficace della categoria dei
fenomeni complessi, con la conseguenza che l’emergenza, secondo alcuni,
non sia questione solamente metodologica o epistemologica, ma anche
fenomenologica (Newman 1996). Secondo Holland (1995), l’emergenza
dovrebbe essere intesa come un connotato fenomenologico dei sistemi
complessi che può essere studiato e ricondotto a leggi e regolarità
solamente se l’osservatore è in grado d’introdurre fattori quali la non
linearità e l’emergenza diacronica micro-macro nel processo stesso di
modellizzazione, facendo ricorso alla simulazione come strumento
d’analisi (Holland 1998, 122).
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
31
2. Un’ipotesi di sintesi
Dall’analisi precedente, è possibile iniziare a formulare un quadro
d’insieme più organico e sintetico sul concetto d’emergenza, sul suo
significato e le sue declinazioni, soprattutto in vista di una valutazione
dell’utilità di questo dibattito per la scienza sociale. L’ipotesi di sintesi qui
presentata muove dall’accettazione dell’approccio epistemologico
all’emergenza e, in particolare, dalla proposta interpretativa formulata da
Bedau (1997; 2003).
Rispetto al legame micro-macro a cui il concetto d’emergenza
naturalmente rimanda e ai risultati del dibattito riassunto in precedenza, è
possibile considerare diversi tipi di proprietà macro: gli attributi del macro,
le proprietà risultanti e le proprietà emergenti.
Gli attributi del macro sono proprietà possedute da una collezione di
individui, senza la presenza di fenomeni aggregativi generativi che
rimandino ad interazioni dirette fra individui, interdipendenze micro,
specifiche modalità organizzative, fenomeni sistemici e via dicendo. Essi
inquadrano proprietà, quantità e valori che possono essere
contemporaneamente possedute o meno anche da una o più componenti
(individui) dell’aggregato collettivo considerato e si trovano spesso
espressi in termini di valori medi, sommatorie, distribuzioni e via dicendo e
possono essere facilmente disaggregati, riaggregati, misurati e sottoposti ad
analisi (Wimsatt 1997). Si pensi, ad esempio, al caso dell’età media di una
popolazione riferita a un paese, oppure al reddito medio di un gruppo
d’individui, come a un insieme di valori macro collettivi che possono
essere posseduti anche da un componente dell’aggregato stesso. Seppur, in
linea di principio, ogni dato aggregato possa essere ricondotto a complicate
Flaminio Squazzoni
32
cause generative micro, l’interesse dello scienziato qui è rivolto ad un
insieme di attribuzioni relative alle proprietà di un aggregato. Si dice, ad
esempio, che la popolazione di un paese è invecchiata, oppure che il
reddito medio di una popolazione d’individui è oggi distribuito meno
omogeneamente di ieri e via dicendo. In casi come questi, lo scienziato si
riferisce ad una proprietà macro che è il risultato di un’aggregazione
additiva esercitata su un insieme di processi/dati di livello inferiore, senza
che questa proprietà sia il risultato d’interazioni dirette, modalità
organizzative e processi locali che coinvolgono gli individui. In casi come
questi, le proprietà possedute dal macro non possono dirsi emergenti, ma
sono semplicemente espressione di un’aggregazione. Spesso poi, l’analisi
di questi attributi è tradotta in variabili ed affrontata con gli strumenti
classici della statistica, con l’interesse all’osservazione dei valori e della
dinamica temporale degli attributi stessi. Nella migliore delle ipotesi, il
risultato di queste analisi diviene fonte d’interrogativi di ricerca, poi
affrontati attraverso la ricerca di teorie causali generative più micro, dato
che questi attributi dovrebbero, in via canonica, costituire i veri explananda
verso cui indirizzare lo sforzo teorico di spiegazione causale dello
scienziato sociale (Goldthorpe 2006).
Il secondo tipo è quello delle proprietà risultanti. In questo caso, si tratta
di proprietà macro, in termini di dinamiche aggregate, macro-
comportamenti e via dicendo, riconducili a processi d’interazione fra
individui, a particolari modalità organizzative delle stesse, che sono in linea
di principio e di fatto comprensibili in termini di micro-riduzionismo,
ovvero facendo ricorso a leggi, istanze e fattori micro, magari proprio
grazie al ricorso a metodi di formalizzazione e di modellizzazione
matematica. Le proprietà macro sono il risultato lineare delle implicazioni
contenute nelle leggi ed istanze che governano il livello micro. La funzione
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
33
di un modello analitico sarà proprio quello d’estrarre le implicazioni macro
delle leggi che regolano il micro. Gli esempi sono numerosi, anche in
sociologia. Valgano le spiegazioni causali riconducibili al quadro
dell’individualismo metodologico, come, ad esempio, la tradizione della
teoria dello scambio sociale e l’approccio sociologico fondato sulla teoria
della scelta razionale (Blau 1964; Coleman 1990). In questi casi, i
fenomeni macro possono essere ricondotti ad aggregazioni lineari di
comportamenti micro e, di conseguenza, la loro spiegazione rimanda
all’amplificazione delle istanze che governano il micro. Oppure, valgano
alcuni esempi riportati nel paragrafo successivo, come i modelli di
simulazione del “tipping point” di Granovetter (1978) e Granovetter e
Soong (1988), oppure il modello di coordinamento di Arthur (1994).
Il terzo tipo di proprietà è quello delle proprietà emergenti, nel senso
squisitamente epistemologico e di emergenza “debole” visto in precedenza.
Come segnalato da Chalmers (2006), questa accezione d’emergenza
richiama l’idea che ci siano fenomeni macro che è più facile, naturale ed
economico, dal punto di vista computazionale, comprendere facendo
riferimento a concetti, qualità, ipotesi e descrizioni che li inquadrino
direttamente. Ne deriva un’emergenza dotata di proprietà observer-relative,
secondo cui alcuni fenomeni macro attirano l’attenzione dell’osservatore,
perché “interessanti” in quanto “conseguenze non ovvie” delle proprietà
micro e siano derivabili dall’osservatore attraverso il ricorso a concetti e
deduzioni di natura macro (251). In questa categoria ricadono buona parte
dei casi fenomenologici tipici della teoria dei sistemi complessi ed, in
particolare, il caso di macro comportamenti e proprietà generate da una
collezione di numerose entità/agenti, autonome, adattive e dotate di regole
e schemi di comportamento eterogenei, che interagiscono in un determinato
ambiente d’interdipendenza. Data la natura diacronica e, spesso, caotica ed
Flaminio Squazzoni
34
imprevedibile di queste proprietà e dato il complicato nesso di fattori e
processi che concorrono a generarle, è spesso necessario fare ricorso alla
simulazione come strumento analitico. In questo caso, la spiegazione delle
proprietà macro non è meramente (diremmo, non ancora) riconducibile alla
risultanza lineare delle leggi che governano il micro.
Fuori dall’ipotesi di sintesi proposta, rimane l’accezione ontologica delle
proprietà emergenti descritta in precedenza, secondo cui sia necessario ed
utile postulare che alcune macro entità abbiano potere causale sulle entità
micro che le generano e, in alcuni casi, anche su altre entità macro e che
queste entità sarebbero emergenti nel senso di auto-regolate da leggi
proprie, con la conseguenza che sia possibile prescindere da una
conoscenza dettagliata del livello micro per poter analizzare fenomeni
sociali complessi e, di conseguenza, parlare di determinismo macro. Si
tratta, invero, come già detto, di una posizione largamente minoritaria nella
comunità di scienziati sociali computazionali, così come nella letteratura
delle scienze della complessità, con poca conoscenza empirica o di
modellistica a supporto.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
35
3. L’emergenza nella simulazione sociale
Nella letteratura sulla simulazione sociale, ci sono numerosi esempi di
modelli costruiti esplicitamente per analizzare fenomeni emergenti e molti
esempi d’emergenza declinata nei diversi significati visti in precedenza. La
simulazione al computer è, infatti, l’unico metodo entro cui sia possibile
formalizzare ed analizzare fenomeni emergenti oppure riprodurre sistemi
complessi (Casti 1994; 1997; Holland 1995; 1998). In particolare, fra tutti
gli strumenti che compongono la cassetta degli attrezzi dello scienziato
sociale computazionale, entro cui troviamo modelli di simulazione standard
tipo system dynamics, automi cellulari, reti neurali e via dicendo (per
un’esaustiva introduzione, si vedano Gilbert e Troitzsch 2005 e Terna et al.
2006), gli strumenti più indicati per modellizzare fenomeni emergenti sono
i modelli ad agenti, dato che hanno caratteristiche distintive importanti ai
fini della modellizzazione e dell’analisi dell’emergenza che gli altri
strumenti non posseggono (Squazzoni 2005).
Infatti, i modelli ad agenti:
a) salvaguardano il criterio di corrispondenza ontologica,
consentendo di studiare un fenomeno macro rappresentando nel
modello in maniera esplicita gli agenti, risolvendo i noti limiti
delle modellizzazioni per variabili e fattori;
b) consentono di modellizzare agenti autonomi, eterogenei,
caratterizzati da razionalità limitata ed adattiva, in grado di esibire
e sviluppare processi d’apprendimento ed adattamento;
c) consentono d’introdurre strutture d’interazione particolarmente
complesse e di studiarne gli effetti causali sul micro e sul macro;
Flaminio Squazzoni
36
d) consentono di rappresentare esplicitamente un ambiente di
riferimento entro cui gli agenti si muovono, sia esso un ambiente
in senso fisico-geografico o d’interdipendenza sociale, dotato di
funzioni o di effetti selettivi;
e) consentono di utilizzare un approccio generativo-causale
all’analisi del fenomeno macro, dato che questo ultimo non è
concepito come una variabile macro o un insieme di variabili, ma
bensì come un processo diacronico prodotto da fattori
squisitamente micro.
La maggior parte degli studi di simulazione basati su modelli ad agenti di
fenomeni sociali ed economici sembra supportare appieno la versione
debole dell’emergenza, secondo l’impostazione descritta da Bedau (1997),
ripresa anche in questo saggio, nel quadro di un approccio d’individualismo
metodologico temperato (Axelrod 1997; Epstein 2000; Epstein e Axtell
1996), più che l’approccio ontologico di Sawyer (2005).
Gli esempi da poter portare sarebbero numerosi e in questa sede non v’è
spazio per una rassegna dettagliata. In linea di massima, gli studi di
simulazione di fenomeni sociali possono essere classificati in due tipi: le
analisi dell’emergere di fenomeni di ordine sociale in assenza di istituzioni
formali a supporto, a partire dalle interazioni fra agenti autonomi ed egoisti
e le analisi dell’emergere di dinamiche culturali e strutture sociali macro
spesso contro-intuitive o sorprendenti sulla base delle condizioni che
governano il livello micro (Macy e Willer 2002).
La prima tradizione di studi è stata resa celebre dai noti contributi di
Axelrod (1984; 1997) e ha dato vita a un filone decisamente corposo di
studi sul carattere emergente della cooperazione in assenza di istituzioni
formali di rinforzo, a partire da diversi dilemmi sociali (Gotts e Polphill e
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
37
Law 2003). I risultati di questi modelli hanno evidenziato principalmente
due fattori esplicativi: il ruolo delle strutture d’interazione (continuità
d’interazione) e dell’insorgere di convergenze locali fra agenti nel generare
un percorso di concatenamento di comportamenti virtuosi reciproci e nel
rinforzare e nel diffondere la cooperazione nell’intero sistema (Axelrod,
Riolo e Cohen 2002), anche in assenza di reciprocità diretta (Novak e
Sigmund 1998a, 1998b; Riolo, Cohen e Axelrod 2001), e il ruolo di altri
fattori aggiuntivi a sostegno della dell’ordine sociale, quali la reciprocità
forte (Bowles e Gintis 2004), la fiducia (Macy e Skvoretz 1998) e la
reputazione (Conte e Paolucci 2002). L’aggiunta di questi ultimi fattori ha
spesso contribuito a dilatare l’impostazione standard degli studi sull’ordine
sociale, prevalentemente interessata all’interplay tra individuo, schemi
d’interazione ed esito macro, introducendo rilevanti aspetti quali il
riconoscimento sociale oppure il ruolo della conoscenza sociale prodotta
dal sistema nell’influenzare il comportamento individuale, come nel caso
del modello reputazionale di Conte e Paolucci (2002).
La seconda tradizione di studi è stata resa celebre dal modello di
segregazione di Schelling (1971, 1972, 1978), così come dal modello del
comportamento di soglia di Granovetter (1978; Granovetter e Soons 1988).
Essa è orientata ad analizzare l’emergere, dall’interazione fra agenti
localizzati in uno spazio e sottoposti a meccanismi d’influenza sociale, di
dinamiche sociali in grado di esercitare una “capacità configurativa
emergente” sul sistema (Cederman 2005). Le dinamiche risultanti sono
spesso contro-intuitive o sorprendenti ed espresse in termini di
differenziazione macro generata da omogeneità micro, oppure, al contrario,
di convergenza macro generata da eterogeneità micro. Diversamente dal
caso dei modelli visti in precedenza, dove l’explanandum è l’emergenza di
ordine sociale, con attenzione, ad esempio, all’effetto che la struttura
Flaminio Squazzoni
38
sociale ha sul comportamento pro-sociale, in questi modelli l’explanandum
è proprio l’emergere di strutture sociali dotate di proprietà sociali
configurative rispetto all’evoluzione del sistema (Macy e Willer 2002;
Cederman 2005). Di seguito, si approfondisce la descrizione di alcuni
modelli di questa seconda tradizione di studi, per poi focalizzare sulle
declinazioni del concetto di emergenza proposti da questi studi. In
particolare, si descrivono il modello di segregazione di Schelling e le più
recenti variazioni sul tema e si accenna ad alcuni modelli di “tipping
point”.
3.1 Il modello di segregazione di Schelling e le variazioni sul tema
Come detto in precedenza, il modello di segregazione elaborato da
Schelling alla fine degli anni sessanta costituisce ormai un classico
riferimento per la letteratura sugli ABM (Schelling 1971; 1978)2. Assieme
al modello di comportamento collettivo di Granovetter (1978),
notevolmente influenzato proprio dai modelli di Schelling e assieme ad
alcuni classici della letteratura sulle transizioni di fase nei sistemi
complessi (Casti 1994; Bak 1996), esso confluisce all’interno di una vasta
categoria analitica ormai conosciuta sotto il nome di “modelli di soglia”,
oppure di “tipping models”, a volte oggetto anche della letteratura più
divulgativa e di bestseller (Gladwell 2000). Si tratta di modelli che
indagano come il comportamento macro di un sistema, che spesso mostra
2 Il modello di Schelling, originariamente sviluppato dall’autore su supporti cartacei, è stato poi riprodotto in diverse piattaforme di simulazione ad agenti. Si vedano i seguenti esempi: <http://www.econ.iastate.edu/tesfatsi/demos/schelling/schellhp.htm#desc>; <http://ccl.northwestern.edu/netlogo/models/Segregation>.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
39
caratteristiche sorprendenti o addirittura contro-intuitive, sia determinato
nel tempo da specifici effetti di soglia del micro enfatizzati
dall’interdipendenza spazio-temporale (Granovetter e Soong 1988). Come
nel caso della diffusione di innovazioni tecnologiche e di nuove mode,
l’emergere di un gossip o l’insorgere di una rivolta e la diffusione di una
malattia, piccoli dettagli legati all’interdipendenza fra agenti producono
grandi differenze che si possono significativamente amplificare nel corso
del tempo (Arthur 1994; Auyang 1998). Come ricorda Granovetter (1978),
“attraverso la spiegazione di esiti paradossali in termini di risultato di un
processo d’aggregazione, i modelli soglia trasferiscono quelle stranezze che
sono spesso associate al comportamento collettivo fuori dalla mente degli
attori e dentro le dinamiche delle situazioni”.
La versione canonica del modello di Schelling, simile a un automa
cellulare, prima elaborato su carta e penna, poi tradotto in un programma al
computer, proprio grazie all’incontro tra Schelling e John Casti nel 1967
(Casti 1994, 213), prevede uno spazio a scacchiera 16*13 (la metafora di
una città), dove si muovono 138 agenti, suddivisi in due classi, bianchi e
neri, con una percentuale di circa il 25-30% di celle di spazio vuoto3. I
possibili stati del sistema, ovvero di schemi di distribuzione di agenti
bianchi e neri nello spazio, sono 3(16x13) = 3208 ≈ 1099. Gli agenti hanno
visione locale (un vicinato di Moore a 8 agenti), sono in grado di
controllare le caratteristiche che connotano l’intero vicinato, hanno una
funzione di preferenza in termini di composizione del proprio vicinato e
sono impegnati a scegliere se rimanere fermi o muoversi nello spazio. La
funzione di preferenza implica che l’agente sia “soddisfatto” se il vicinato 3 La prima versione del modello pubblicata nel 1969 comprendeva uno spazio a una
dimensione, mentre la seconda e più conosciuta è quella a due dimensioni, pubblicata nei primi anni settata. Per dettagli, si rimanda a Pancs e Vriend (2003).
Flaminio Squazzoni
40
che lo attornia è composto dal 50% o più di agenti che condividono la sua
stessa caratteristica. In caso contrario, l’agente cerca la cella di spazio più
vicina che soddisfa la sua preferenza e si muove.
Come si può osservare nelle figure 1, 2 e 3, l’evoluzione mostra come
preferenze micro anche relativamente tolleranti alla diversità arrivano nel
corso del tempo a produrre dinamiche di segregazione degli agenti nello
spazio. La segregazione è detta una proprietà emergente di primo ordine,
nel senso che non è un attributo del modello o un concetto introdotto ex-
ante nel modello o nel funzionamento degli agenti, e neppure un attributo o
concetto derivabile ex-post sulla base di un’analisi del livello micro. Essa è,
piuttosto, un concetto analitico formulato dall’osservatore per connotare la
dinamica e l’esito di un processo macro che emerge dalle interazioni fra gli
agenti. Questa è la ragione per cui l’emergenza studiata da Schelling può
essere definita una emergenza “debole” per dirla con Bedau (1997), oppure
una “emergenza semantica” per dirla con Steels (1995). Il concetto di
segregazione rappresenta, infatti, una categoria semantica introdotta
dall’osservatore per descrivere una dinamica ed un esito macro,
visualizzabile proprio grazie alla simulazione.
Da questo punto di vista, si pensi al fatto che un osservatore potrebbe
sinteticamente valutare e comparare differenti simulazioni del modello, a
partire da differenti micro-fondazioni, in termini di esiti macro più o meno
“segregativi”. Ciò significa che l’osservatore potrebbe valutare differenti
scenari di simulazione in termini di comparazione fra proprietà macro
generate dall’evoluzione/simulazione del modello. Queste proprietà hanno
valore analitico in quanto attributo generato dall’evoluzione del modello e
non in quanto attribuito introdotto in maniera esplicita nel disegno delle
micro-fondazioni del modello, cioè nel disegno delle regole di
comportamento seguite dagli agenti. Nel modello di Schelling, non c’è,
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
41
infatti, traccia di una volontà segregativa nel comportamento seguito dagli
agenti.
Figura 1. Distribuzione casuale degli agenti all’inizio della simulazione
(Casti 1994, 214)
• ∗ ∗ ∗ ∗ • • • • ∗ ∗ • •
• ∗ • • • ∗ ∗ ∗ ∗ •
∗ ∗ • • ∗ ∗ ∗ • ∗ ∗ ∗
∗ ∗ ∗ • ∗ ∗ ∗ • •
• • • ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ • •
∗ • ∗ • • ∗ • • ∗ ∗
∗ • • ∗ • • • ∗ ∗ ∗
• ∗ • ∗ ∗ ∗ • • • ∗
• ∗ • ∗ ∗ • ∗
• • ∗ • ∗ • • • • ∗ ∗
• ∗ ∗ • • • • • ∗ ∗ • ∗ ∗
∗ • ∗ • ∗ • • ∗ • ∗ • •
• • • ∗ • ∗ • • • ∗ ∗
Flaminio Squazzoni
42
Figura 2. La segregazione come esito della simulazione con preferenze di
vicinato al 50% o più (Casti 1994, 215)
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ • •
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ • •
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ • •
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ • •
• • • • ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗
• • • • • ∗ ∗ ∗ • • ∗ ∗ ∗
• • • • • • • • • • • ∗ ∗
• • • • • • • • ∗
• • • ∗
• • • • • • ∗ ∗
• • • • • • • • ∗ ∗
• • • • • • •
• • • • • • • ∗ ∗
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
43
Figura 3. La segregazione come esito della simulazione con preferenze di
vicinato al 33% o più (Casti 1994, 215)
• • • • • ∗ • • • • • •
• • • • ∗ ∗ • • • • •
• • ∗ ∗ • • • ∗ ∗ • • •
∗ ∗ ∗ • • • ∗ ∗ • • • ∗ •
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗
• • ∗ ∗ ∗ ∗ • ∗ ∗
∗ • • • ∗ ∗ • • • ∗ ∗ ∗
• ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ • • • • ∗ ∗
• ∗ ∗ • • • • • • ∗
• ∗ ∗ • • ∗ ∗ • • • • •
• ∗ ∗ ∗ • • ∗ ∗ • • ∗ • ∗ ∗
• • ∗ ∗ • ∗ ∗ • ∗ ∗ ∗
• • ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗
Legenda tabelle. • e ∗ sono le due classi di agenti. Le celle bianche sono
vuote e rappresentano spazio libero.
Dal punto di vista della spiegazione, è possibile dire che nel meccanismo
d’interdipendenza sociale e di soglia di preferenza individuale introdotta da
Schelling, il movimento di un ego della classe a implica un cambiamento
dello spazio locale, sia quello da cui l’agente muove che quello in cui
l’agente si colloca e un riverbero a catena positivo su eventuali alter della
Flaminio Squazzoni
44
classe b, negativo su eventuali ego della classe a coinvolti nello stesso
spazio. Data la struttura d’interdipendenza, con agenti correlati
spazialmente e con decisioni sequenziali, la scelta di ego contribuisce a
mutare il quadro di riferimento su cui lavora la decisione individuale degli
altri agenti che rientrano nel suo orizzonte di riferimento. Se un altro ego
della classe a è in prossimità della propria soglia di preferenza, un piccolo
cambiamento di valore nello spazio introdotto dall’azione di movimento un
altro ego, se prima poteva essere incrementalmente assorbito dal valore di
soglia, ora diventa decisivo per innescarne il movimento. Ogni agente di
una classe che raggiunge localmente il proprio “tipping point” e si muove
nello spazio, lascia un altro agente della stessa classe “più vicino al proprio
tipping point” e così via in una spirale d’interdipendenza reciproca
(Schelling 1972). Ogni movimento implica una deformazione dello spazio
di scelta altrui, che può innescare cambiamenti.
Un meccanismo di questo genere era all’opera anche nel noto modello di
comportamento collettivo di Granovetter (1978), ripreso ed ampliato da
Granovetter e Soong (1988), oppure nel più recente modello della standing
ovation di Miller e Page (2004). Il modello soglia di Granovetter (1978),
originariamente applicato all’esempio dell’emergere di rivolte civili, si basa
sulle seguenti condizioni: agenti con scelte binarie (partecipo/non partecipo
alla rivolta), preferenze influenzate dal comportamento altrui (partecipo se
una frazione tot di altri agenti partecipa), con massimizzazione vincolata
dell’utilità, soglie di preferenza eterogenee (la frazione di agenti
considerata come ottimale per partecipare). L’obiettivo è mostrare come la
struttura delle interazioni, in termini d’interdipendenza e sequenzialità
diacronica, conti per innescare comportamenti macro qualitativamente
differenti rispetto alla natura delle assunzioni micro.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
45
Vale la pena notare come, diversamente dal modello di segregazione di
Schelling, qui però il concetto macro, ovvero la rivolta, è introdotto
direttamente nelle micro-specificazione delle regole di comportamento
seguite dagli agenti (partecipo/non partecipo). In questo caso, la
spiegazione dell’emergenza macro può essere facilmente ricondotta a un
fattore micro e, quindi, essere ricompresa nella categoria delle “proprietà
risultanti” viste in precedenza.
Si supponga, seguendo Granovetter, che ci siano 100 agenti in uno spazio
quadrato, con una distribuzione di funzioni soglia da 0 a 100 per i 100
agenti. Ad esempio, l’agente x avrà una funzione soglia a 0 e si attiverà a
prescindere da cosa facciano o meno gli altri agenti, mentre l’agente y con
soglia a 1 sarà una sorta di seguace e si attiverà solamente se un altro
agente si sarà attivato, ovvero l’agente x e così via con l’agente z con
funzione soglia a 2. In queste condizioni, l’esito macro sarà la rivolta:
l’agente x con funzione soglia a 0, il cosiddetto “istigatore”, innescherà un
effetto domino, generando una mutazione favorevole dello spazio di
preferenza dell’agente y con funzione di soglia a 1 e via di seguito. Si
supponga ora di rimuovere l’agente y e di avere una popolazione di 100
agenti con nessun agente avente soglia a 1. L’esito sarà l’isolamento
dell’istigatore x e la fine della rivolta con il suo stesso nascere. Come
dimostra Granovetter, supponendo una distribuzione di soglie di preferenza
spalmata intorno a valori medi nella popolazione e introducendo fattori
sociali, quali la tendenza da parte dell’agente a pesare diversamente i
comportamenti altrui, magari sulla scorta di reti amicali, l’esito macro
cadrà, inesorabilmente, sotto la categoria del tipping point.
Per chiarire questi elementi, Granovetter indaga l’influenza di due fattori
sociologicamente rilevanti: il ruolo della struttura sociale e la dispersione
spazio-temporale dell’azione, rilevando il peso significativo della prima. A
Flaminio Squazzoni
46
tal fine, egli introduce l’assunzione che la decisione di partecipare alla
rivolta dipenda dal comportamento di agenti considerati amici. Ad
esempio, si supponga che l’influenza dell’azione di un agente amico sia
doppia di quella di un agente sconosciuto. Si considera il caso precedente,
ovvero 100 agenti con decisione di partecipare o meno alla rivolta. Si pensi
all’agente z con una soglia di preferenza del 50% di fronte al caso di 48
rivoltosi e 52 non attivi. In questo caso, l’agente z non si attiverà. Si
introducano aspetti di struttura sociale, vale a dire l’assunzione che l’agente
z sia parte di una rete amicale composta da 20 agenti già rivoltosi e che,
agli occhi di z, la decisione di essi conti il doppio della decisione intrapresa
dagli altri. L’agente z ora non considererà più lo scenario come composto
da 48 rivoltosi e 52 non attivi, ma come caratterizzato da [(15*2) + (33*1)]
rivoltosi e da [(5*2) + (47*1)] non attivi. Ciò condurrà z ad interpretare lo
scenario come popolato non più da 48 rivoltosi su 100, ma da 63 rivoltosi
su 120, con un valore di soglia che ora raggiunge .525, eccedendo la sua
soglia di preferenza di z a .50. Il risultato sarà, evidentemente, la decisione
di z di partecipare alla rivolta.
In questo senso, Granovetter nota come la situazione di neutralizzazione
della rivolta descritta in precedenza, vale a dire una distribuzione di soglie
di preferenza del tipo agente x con 0, agente y con 2 e così via, che prima
portava solamente all’insurrezione solitaria di x e al blocco sul nascere
della rivolta, si trasformi qualitativamente se viene introdotto un effetto
struttura come quello descritto in precedenza. Infine, egli nota come i più
significativi effetti macro derivino dall’assunzione che gli agenti
conoscono anche solo un quarto degli altri agenti, vale a dire con
l’assunzione di un modesto livello di reti amicali.
Attraverso diverse simulazioni, Granovetter mostra la seguente evidenza:
in condizioni di equilibri stabili a livello di distribuzione della soglia di
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
47
preferenza, l’introduzione dell’effetto struttura sociale può anche non avere
grande impatto sull’esito macro, almeno non tale da generare conseguenze
contro-intuitive, ma, viceversa, in condizioni di instabilità o molteplicità
degli equilibri, l’effetto struttura diventa assolutamente determinante,
arrivando a generare situazioni macro qualitativamente differenti rispetto al
caso precedente e persino non prevedibili a livello di analisi delle soglie di
preferenza micro. Si tratta di un’evidenza tipica della teoria dei sistemi
complessi, che fa concludere a Granovetter e Soong che questi modelli
dimostrano che “l’assunzione che la dimensione delle cause debba
determinare quella delle conseguenze ci attrezza ben poco a capire molte
sorprese che la vita sociale continua a riservarci” (1988, p. 103)4.
Gli studi che si sono mossi successivamente sulla scia di Schelling hanno
esplorato proprio l’effetto di differenti condizioni generative micro
sull’esito macro, confermando, in sostanza, la tesi della plausibilità teorica
della “realizzabilità multipla” in contesti sociali. Le principali varianti al
modello sulla quale essi hanno insistito sono le seguenti: la traduzione del
modello teorico in differenti modelli computazionali, con la modifica di
alcuni aspetti strutturali del modello originario; l’esplorazione di diverse
soglie di preferenze micro; l’introduzione di funzioni di preferenza
orientate all’integrazione e al rifiuto della segregazione; l’analisi della
dipendenza del modello dall’idea stessa di soglia di preferenza;
l’introduzione di meccanismi di feedback macro-micro sui processi di
decisione ed il tentativo di approfondire la verifica empirica del modello. In
questa direzione, ad esempio, Pancs e Vriend (2003) hanno testato l’effetto
4 Esempi di modelli di questo genere sono stati applicati a casi di guerre tra stati
(Cederman 2003), diffusione di crimini (Picker 1997), diffusione di droghe (Durlauf 1997), decisioni di voto (Mayer e Brown 1998), oppure, ancora, al caso del mercato del lavoro e della decisione di ritirarsi in pensione (Axtell e Epstein 1999).
Flaminio Squazzoni
48
di funzioni di preferenze orientate alla perfetta integrazione e al rifiuto
intenzionale della segregazione, con agenti che preferiscono far parte di un
vicinato composito, siano essi la maggioranza o minoranza e hanno
esplorato la dipendenza dall’inerzia implicitamente introdotta nei
meccanismi decisionali del modello originario e l’asimmetria nelle funzioni
di utilità assunta da Schelling, arrivando a dimostrare la robustezza dei
risultati del modello originario. Laurie e Jaggi (2003) hanno studiato il
ruolo dell’allargamento dello spazio di visione degli agenti per
l’indebolimento della tendenza alla segregazione. Ruoff e Schneider (2004)
hanno esteso il modello di Schelling, applicandolo all’analisi del
comportamento individuale in contesti di gruppo, mentre Irving,
Jayaprakash e Warren (2004) hanno mostrato come dinamiche di
segregazione emergano a causa della competizione fra preferenze
individuali squisitamente legate alla scelta residenziale e svincolate da
questioni legate alla composizione razziale del vicinato.
Le varianti più interessanti sono state proposte da Epstein e Axtell
(1996), Bruch e Mare (2006) e Gilbert (2002). I primi hanno introdotto
eterogeneità delle preferenze e cicli di vita/morte degli agenti , arrivando ad
esplorare la generatività della segregazione a partire da condizioni micro
estremamente eterogenee, con la conferma che il fenomeno segregativo
individuato da Schelling sembra costituire un esito di “realizzabilità
multipla”, ovvero una forma di emergenza che viene a generarsi, secondo
la stessa forma, intensità e direzione, a partire da differenti ed eterogenee
configurazioni micro di partenza (Bedau 2003)5. I secondi, sulla base di
una corposa ricerca empirica, hanno sviluppato alcune simulazioni che 5 Diversamente dall’accezione di meccanismo come strumento di spiegazione causale,
nel senso dato da Hedström (2005), Bedau (2003) qui utilizza proprio il termine di “meccanismo” per qualificare un esito di “realizzabilità multipla” di questo genere.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
49
consentono di apprezzare l’influenza delle soglie nelle preferenze micro,
più che della struttura d’interazione, per la generazione dell’esito
segregativo. L’analisi empirica proposta da Bruch e Mare (2006)
confermerebbe decisamente le tesi di Klee (1984) ed Hedström (2005)
secondo cui i casi di “realizzabilità multipla” di fenomeni macro
rappresentano proprio l’obiettivo dell’analisi empirica, dato che tramite
essa si ha la possibilità di specificare quali, degli n-meccanismi
teoricamente generativi di un dato fenomeno aggregato, sono
concretamente all’opera (Goldthorpe 2006).
Viceversa, Gilbert (2002) ha introdotto alcune varianti interessanti
soprattutto al fine del dibattito su emergenza di primo e secondo ordine.
Egli parte dalla riproduzione del modello di Schelling, edistribuendo
casualmente una popolazione composta da due classi (agenti verdi e rossi).
Senza introdurre possibilità di movimento e allocando in maniera casuale
una popolazione di agenti, la fotografia del sistema mostra una media del
58% di vicinati omogenei. Introducendo possibilità di movimento e un
sistema di preferenze simile a quello usato da Schelling, la media suddetta
passa a valori che oscillano tra il 78 e l’80%, come si può osservare nella
figura 4. Per rendere la natura dinamica ed emergente della segregazione,
Gilbert introduce una percentuale di agenti costantemente e casualmente
rimpiazzati (5% della popolazione). Nonostante la sostituzione degli agenti,
il tasso di segregazione viene confermato con le medesime caratteristiche.
Da qui ne deriva una prima dimostrazione del carattere emergente e
persistente della segregazione, dato che essa resiste al variare delle
condizioni micro.
Per rendere però il modello più aderente alle evidenze empiriche e alla
consapevolezza di alcune proprietà significative degli agenti sociali, Gilbert
sottolinea due importanti aspetti: l’emergere di un cluster arriva a cambiare
Flaminio Squazzoni
50
significativamente il comportamento degli agenti; il cluster stesso può
divenire un agente (si pensi alle politiche di lobbying locale portate avanti
da alcuni gruppi sociali); il fatto che gli individui riconoscano di essere
parte di un cluster può contribuire a condizionare lo sviluppo della
segregazione. Nel modello originario proposto da Schelling e anche in
molte delle estensioni presentate in precedenza, questi aspetti sono
trascurati. In alcuni interessanti set di simulazione, Gilbert propone alcune
modifiche alla versione originaria del modello, capaci di prendere in
considerazione questi aspetti.
In un set di simulazione, Gilbert introduce un meccanismo di feedback
macro-micro capace di contribuire a cambiare il comportamento degli
agenti. L’aspetto sul quale Gilbert insiste è abbastanza conosciuto, ossia
l’effetto del tasso di crimine sui costi delle abitazioni e, di conseguenza,
sulle scelte residenziali. Il tasso di crimine è un attributo macro, dato che è
misurabile in termini di numero di crimini commesso da una determinata
popolazione per unità di tempo. Si assuma che il costo di un’abitazione
dipenda in parte dal tasso di crimini commessi e che questo dipenda a sua
volta dal mix tra classi di agenti, il quale determina la composizione del
vicinato. Si assuma che un agente possa muoversi solamente se ha
disponibilità finanziarie sufficienti a comprare o affittare una nuova
abitazione (misurata in termini di differenze tra il valore dell’abitazione
attuale e della desiderata). Come si può osservare nella figura 2, i risultati
di questo set mostrano l’emergere di una distribuzione segregativa degli
agenti nello spazio. La classe di agenti più povera (i rossi) rimane bloccata
in specifici cluster poveri, mentre i verdi si muovono più liberamente
costituendo, a loro volta, cluster ricchi.
In un altro set, Gilbert introduce un interessante meccanismo esplicito di
emergenza di secondo ordine (Gilbert 1996). Questo tipo di emergenza
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
51
insorge quando gli agenti siano in grado di riconoscere un fenomeno
emergente, sia esso un’istituzione, oppure un cluster, oppure un schema di
comportamento collettivo e siano in grado di manipolare questa
informazione per strutturare la loro decisione (Giddens 1986). In questo
caso, diversamente dal modello canonico di Schelling, non solo
l’osservatore esterno, ma anche gli agenti divengono, pur in forme
connotate da razionalità limitata, osservatori del modello, ovvero sono in
grado di utilizzare le evidenze empiriche emerse per informare la loro
azione (Gilbert 1996; Boero, Castellani e Squazzoni 2004). Per tradurre
questo meccanismo nell’impostazione del modello, Gilbert assume che
ogni cella di spazio assuma il colore rosso o verde a seconda della sua
specifica storia, ovvero dalla composizione di agenti che lo hanno occupato
e che lo occupano. Gli agenti sono ora in grado di etichettare lo spazio. I
risultati sono dinamiche di clusterizzazione e segregazione ancora più
accentuate rispetto alle precedenti. Gli esiti non cambiano con altre
manipolazioni, quali l’introduzione di eterogeneità delle funzioni di
preferenza, con una classica evidenza già prodotta dai modelli descritti in
precedenza (Epstein e Axtell 1996; Bruch e Mare 2006) e l’introduzione di
meccanismi di etichetta (“tag”) come quelli introdotti da Axelrod (1997)
nel suo moto modello di diffusione culturale.
Flaminio Squazzoni
52
Figura 4. Clusterizzazione finale nel modello classico di Schelling (70%
verdi e 30% rossi) (Gilbert 2002)
Simili evidenze sulla complessità dei fenomeni emergenti sono
confermati da altri interessanti modelli di simulazione che inquadrano
interessanti fenomeni sociali, quali l’emergere di una standing ovation
spontanea alla fine di una lezione (Miller e Page 2004), i problemi di
coordinamento nelle scelte collettive, come nel noto modello del “El Farol
Bar” di Santa Fe (Arthur 1994), oppure l’emergere di eterogeneità
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
53
culturale, come nel noto modello di diffusione culturale Axelrod (1997). In
questo ultimo caso, la domanda di ricerca è speculare a quella di Schelling:
perché, data la capacità degli agenti di modificare il proprio
comportamento monitorando il comportamento altrui, dato il peso della
conformità e dell’influenza sociale, spesso studiata anche in laboratorio e
con forti evidenze empiriche, data la presenza di meccanismi di selezione
sociale, guidata da principi di similarità a livello relazionale e culturale,
permane un significativo grado di differenziazione culturale a livello
macro?
Figura 5. Distribuzione finale con meccanismi di retroazione (Gilbert 2002)
Flaminio Squazzoni
54
Figura 6. Distribuzione finale con emergenza di secondo ordine (Gilbert
2002)
Nel caso del modello del “El Farol Bar” di Santa Fe (Arthur 1994), che
costituisce un classico esempio dei cosiddetti “giochi di minoranza”
(Challet e Zhang 1998; Bottazzi, Devetag e Dosi 2003), o dei modelli di
“congestion externalities” (Zambrano 2004), si nota ancor più il sottile
crinale che distingue proprietà risultanti da proprietà emergenti.
Diversamente dal caso del modello culturale di Axelrod (1997), dove sono
in gioco complessi fattori interazionali e di adattamento locale e reciproco
fra agenti e dove la simulazione è utilizzata come “macchina diacronica”
che renda possibile generare, osservare ed analizzare complesse dinamiche
macro emergenti, nel modello di Arthur vi sono due condizioni
significative: da un lato, il macro-fenomeno indagato è relativamente
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
55
semplice, ovvero un gioco di coordinamento con individui caratterizzati da
razionalità limitata ed informazioni incompleta, dall’altro l’impostazione
del modello e i fattori implicati in esso sono sostanzialmente deterministici.
“El Farol” è un famoso bar di Santa Fe, a poche centinaia di metri dal
noto Santa Fe Institute, mecca dei teorici della complessità, che spesso
include Arthur come visiting. Il bar era famoso per gli spettacoli di musica
Irish al martedì sera. Data la limitatezza di posti a sedere, circa sessanta e
l’informazione incompleta a disposizione, la partecipazione al concerto era
condizionata da un problema di coordinamento. Il problema è espresso da
Arthur in questi termini: si assuma che 100 agenti decidano
indipendentemente se andare o meno al bar per il concerto sulla base della
possibilità di trovare posto a sedere, formulando una previsione circa il
numero di agenti che hanno deciso di andarci. Se ego si attende la presenza
di un numero di presenti minore a 60 decide di andare, diversamente, sta a
casa. L’unica informazione su cui poter formulare la decisione è il numero
di persone venuti al bar nelle precedenti settimane. L’agente non può
avvantaggiarsi di nessuna soluzione razionale di tipo deduttivo e, in più, la
situazione prefigura una classica situazione di profezia che si auto-falsifica.
Se tutti suppongono che ci sia pieno, il bar risulterà vuoto e viceversa.
Si assuma che, al fine di formulare la previsione circa la situazione del
locale e di decidere se andare o meno al concerto, i 100 agenti possano
usare differenti vettori d’informazione capaci di mappare il numero di
individui presenti alla serata sulla base dei dati del passato. Si supponga, ad
esempio, le seguenti affluenze nelle ultime settimane: 44 78 56 15 23 67 85
34 45 76 40 56 22 35. Si suppongano i seguenti predittori per il numero di
persone presenti alla serata: stesso numero della settimana scorsa (35); il
simmetrico rispetto a 50 del numero della settimana scorsa (65); una media
arrotondata delle ultime quattro settimane (49); il trend delle ultime otto
Flaminio Squazzoni
56
settimane, limitato da 0 a 100 (29); lo stesso di due settimane fa (22) e via
dicendo. Si supponga che ogni agente possieda un set di k ipotesi o
predizioni, che vengono testate via via nel tempo. Se una previsione si
rivela empiricamente infondata, allora la k ipotesi che la sostiene viene
abbandonata. In sostanza, le predizioni sono condizionate dal passato, ma
al contempo condizionano le presenze al locale. I 100 agenti formano,
quindi, una sorta di ecologia di predizioni in continua evoluzione. L’uso di
un modello di simulazione consente proprio di indagare la natura e
l’evoluzione di tale ecologia.
Dalle simulazioni emergono interessanti dinamiche. Come si osserva
nella figura 7, il sistema si auto-organizza in una sorta di configurazione
d’equilibrio secondo cui il 60% delle ipotesi predittive prevede meno di 60
presenze, mentre il 40% più di 60. In sostanza, la presenza media di agenti
al bar si aggira attorno al valore medio di 60. I risultati non variano al
variare dei parametri relativi ai predittori e alla composizione quantitativa
del set di predittori associato agli agenti. In sostanza, il modello riproduce
un sistema composto da agenti che formulano aspettative induttive,
eterogenee e soggettive, in un contesto di coordinamento informale e
decentrato, che arrivano a generare lo stesso pattern macro che avevano
previsto (Casti 1996), che può essere visto come una proprietà macro
risultante del noto meccanismo micro della profezia che si auto-avvera
(Hedström e Swedberg 1998).
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
57
Figura 7. Presenze al bar nei primi 100 cicli della simulazione (Arthur
1994)
3.2 L’emergenza nei modelli ad agenti
Dagli esempi citati, è interessante capire come è declinato il concetto di
emergenza e se vi siano conformità o novità rispetto al dibattito filosofico
ed epistemologico descritto in precedenza. Come anticipato, la letteratura
che si rifà ai modelli ad agenti propone due declinazioni del concetto di
emergenza, alcune delle quali ben indagate, altre ancora più che altro da
esplorare (Boero, Castellani, Squazzoni 2006).
Si può parlare di emergenza di primo ordine nel caso in cui le proprietà
del livello macro siano comprensibili, dal punto di vista dell’osservatore,
solamente con l’introduzione di concetti macro qualitativamente differenti
rispetto a quelli usati per descrivere il livello micro (Steels 1995). Come nel
canonico modello di Schelling descritto in precedenza, ma a dire il vero
come nella maggior parte dei modelli di simulazione, il concetto macro (in
questo caso, la “segregazione”, o il processo segregativo) è introdotto
dall’osservatore per sintetizzare l’emergere di dinamiche di
clusterizzazione degli agenti nello spazio. Esso è un effetto non
Flaminio Squazzoni
58
intenzionale che emerge dalle interazioni fra gli agenti e non un
meccanismo introdotto a livello di comportamento locale degli agenti, vale
a dire un meccanismo che arrivi a modificare o influenzare il loro
comportamento. Per “emergenza” qui si intende allora l’introduzione di
una nuova semantica a livello macro, dotata di una certa “autonomia
esplicativa” sul micro, ovvero di una proprietà che esibisce una certa
persistenza e robustezza che arriva a prescindere dall’eterogeneità
sperimentata al livello micro. Questa declinazione dell’emergenza è
perfettamente compatibile con l’idea di “emergenza debole”, o di
“emergenza epistemologica” vista in precedenza. In linea di principio, una
micro-determinazione del macro fenomeno sarebbe possibile, ma criteri di
costo computazionale, efficacia esplicativa e di difficoltà analitica, dovuti
alle fonti di complessità comportamentali insiti nel sistema indagato,
conducono lo scienziato ad utilizzare concetti macro e a far leva sull’analisi
di indicatori e dinamiche aggregate.
Viceversa, si può parlare di emergenza di secondo ordine nel caso in cui
il modello riproduca meccanismi diretti di causazione retroattiva diacronica
macro- micro. In questo caso, seppur in maniera imperfetta e limitata, le
proprietà dell’emergenza macro vengono internalizzate da agenti cognitivi
in grado di usarne l’evidenza per orientare la loro azione (Gilbert 1996;
Squazzoni e Boero 2005; Boero, Castellani, Squazzoni 2006). Si tratta di
proprietà che possono essere veicolate da mediatori cognitivi (ad esempio:
capacità dell’agente di utilizzare fonti di informazione macro come
struttura portante per la selezione delle proprie regole di comportamento),
relazionali (ad esempio: capacità dell’agente di accesso ad
informazioni/valutazioni possedute da un altro agente, oppure possibilità di
scambio comunicativo) o istituzionali (ad esempio: presenza di un attore
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
59
collettivo, oppure capacità dell’agente di adottare regole e modelli di
comportamento diffusi socialmente).
Nel caso dei modelli che studiano l’emergenza di secondo ordine,
l’obiettivo diventa la modellizzazione esplicita di componenti socio-
cognitive che caratterizzano il comportamento e l’interazione fra agenti
sociali, con uno studio più puntuale del legame tra cognizione individuale
ed interazione sociale. Un obiettivo di questo genere richiede una maggiore
sofisticazione delle componenti cognitive dell’agente (Edmonds e Moss
2001; Sun e Naveh 2004) e un’attenzione più diretta al legame tra processi
cognitivi individuali e infrastrutture relazionali che connettono gli agenti,
in termini di interdipendenze e scambi di informazione e conoscenze
(Conte et al. 2000; Conte e Castelfranchi 1996). È proprio questa
amplificazione delle proprietà cognitive degli agenti che consente di
studiare il legame micro-macro in una prospettiva capace di coniugare, in
senso diacronico, contesto strutturale di riferimento, azione sociale,
dinamiche emergenti dall’interazione fra agenti ed effetti delle stesse
sull’azione individuale. Per catturare il meccanismo a due vie che unisce
micro e macro livelli d’analisi, è necessario non solamente che
l’osservatore formuli categorie e concetti aggregati nell’analisi delle
simulazioni (come nel caso dei modelli visti in precedenza), ma che questi
siano in qualche modo introdotti anche a livello di disegno degli agenti. Le
proprietà emergenti sono, quindi, proprietà del modello comprensibili, in
qualche forma, anche dal punto di vista dell’agente stesso, con la
conseguenza che anche questo ultimo diviene, in forma più o meno
raffinata, un osservatore del modello.
Due esempi di un approccio di questo tipo sono il modello reputazionale
di Conte e Paolucci (2002), dove lo scambio di conoscenze prodotte
costantemente nel tempo dall’interazione tra gli agenti veicola il
Flaminio Squazzoni
60
comportamento individuale e il modello di imprese distrettuali descritto in
Boero, Castellani e Squazzoni (2004), dove, in un contesto tipico di
razionalità cognitiva, le imprese del sistema utilizzano, manipolano e danno
senso a fonti di informazione aggregate per definire i loro corsi
d’investimento e le loro decisioni di partnership. In questo caso, sarebbe
possibile persino parlare di proprietà immergenti6, oltre che di proprietà
emergenti, dato che l’analisi degli effetti emergenti è accoppiata all’analisi
dei meccanismi macro-micro che “immergono” i processi decisionali
dell’agente, i quali sono in grado di categorizzare, contestualizzare e dare
senso all’esperienza individuale riferita al contesto nel quale operano,
utilizzando questi processi cognitivi per valutare l’appropriatezza della
propria decisione individuale e per sviluppare nuove attitudini
comportamentali. Ma, come anticipato, questo tipo di modelli e la
declinazione del concetto di emergenza ad essi connaturati sono largamente
minoritari in letteratura e meno diffusi dei precedenti.
6 Devo la definizione a Cristiano Castelfranchi e Rosaria Conte.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
61
4. Conclusioni
La prima conclusione da trarre riguarda l’evidente validità pragmatica
ed epistemologica del concetto d’emergenza. Come segnalato da
Rothschild (2006, 151), un biologo, gli studi sull’emergenza sono
un’interessante strategia di ricerca a prescindere dal significato filosofico
del concetto e dai dibatti ontologici connaturati ad esso. Si tratta, come si è
visto, di una validità che sembra più apprezzabile negli studi di simulazione
sociale che non nel corposo dibattito filosofico brevemente riportato nel
primo paragrafo e che non cancella, per tornare al dibattito filosofico,
l’importanza assoluta di spiegazioni micro-fondate dei fenomeni sociali. La
validità pragmatica del concetto qui difesa non deve, però, nascondere i
danni portati dall’eccesso di entusiasmo e di aspettative risposte sul
concetto e l’importanza di una “salutare dose di realismo” (Kim 2006), così
come la necessità di approfondire il legame tra concetti teorici, modelli e
fenomeni empirici.
Diversamente da questa valutazione pragmatica dell’emergenza qui
proposta, alcuni scienziati sociali sembrano considerare l’emergenza e i
suoi modelli come un cambio di paradigma per la sociologia e le scienze
sociali, in grado di superare i dilemmi dei paradigmi strutturalisti ed
individualisti (Sawyer 2005). In questa prospettiva, peraltro ancora poco
sviluppata, l’analisi dell’emergenza dovrebbe consentire di andare oltre lo
strutturalismo, cercando di analizzare i meccanismi micro-macro che sono
implicati nella generazione di fenomeni collettivi e, al contempo, oltre
l’individualismo, accettando l’autonomia causale del macro, a partire
dall’evidenza che effetti emergenti non intenzionali e non pianificati sono
Flaminio Squazzoni
62
riprodotti dagli individui anche involontariamente” (213), gli individui
sono posti di fronte ad importanti vincoli macro, sia di tipo strutturale che
interazionale e al loro effetto anche non-intenzionale e la società funziona
spesso soprattutto grazie alla presenza di strutture emergenti persistenti,
come la cultura, il linguaggio, la tecnologia, i sistemi di comunicazione e
via dicendo, da ritenere ontologicamente distinti dal livello individuale. In
ogni caso, è prevedibile assistere a numerose discussioni e sviluppi su
questi aspetti in futuro. Rimane aperta la questione decisiva che esistano
ben pochi modelli e ben poche evidenze teoriche ed empiriche in grado di
supportare la plausibilità di questa ultima prospettiva filosofica.
La seconda conclusione riguarda la centralità del metodo della
simulazione al computer ed, in particolare, dei modelli ad agenti come
strumento per conseguire spiegazioni generative dei fenomeni sociali. Nel
merito della conoscenza prodotta dagli studi di simulazione, è possibile
sottolineare come i modelli ad agenti, essendo primariamente uno
strumento ed una metodologia spesso neutrale rispetto agli aspetti teorici
che innervano poi concretamente i modelli, sembrano suffragare una serie
di considerazioni e di riflessi sulla teoria sociologica interessanti quanto
contradditori. Se l’impostazione teorica standard più diffusa in questa
letteratura è quella tipica dell’individualismo metodologico temperato
(Epstein e Axtell 1996; Axelrod 1997), in un’ottica pienamente
generativista (Hedström e Swedberg 1998; Hedström 2005; Goldthorpe
2006), altri modelli sembrerebbero poter confermare l’impostazione
strutturalista della sociologia giddensiana (Gilbert 1996, 2002) e, nello
specifico, la teoria sull’implicazione produttiva e riproduttiva di azione e
struttura. Vi sono interessanti esempi della possibilità che i modelli ad
agenti possano costituire una metodologia a supporto di spiegazioni di
stampo funzionalistico (Chattoe 2006). Infine, in altri casi, è possibile
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
63
concludere, con Sawyer (2005), che il fatto che i modelli ad agenti
consentano di generare strutture sociali e schemi di comportamento
collettivo, a partire da agenti semplici, non dotati di capacità cognitive,
costituisca una critica distruttiva all’ipotesi interpretativista insita anche
nella sociologia di Giddens, dato che strutture sociali possono emergere e
persistere anche in assenza di una consapevolezza implicita ed esplicita da
parte degli agenti (161ss), con la conclusione provocatoria, ma spesso
condivisa da molti scienziati sociali computazionali, che una teoria
sociologica possa procedere senza una teoria dell’agente e del suo
comportamento particolarmente raffinata in senso cognitivo o psicologico.
Altri studi, viceversa, insistono sulla necessità di approfondire gli aspetti
cognitivi dell’azione, nella convinzione che la direzione della spiegazione
dei fenomeni sociali non debba essere solamente indirizzata verso il
problema semplicità micro versus complessità macro, ma anche verso
quello della complessità micro versus semplicità macro (Boero, Castellani,
Squazzoni 2006), oppure, al converso, che, perdendo la profondità
cognitiva, si perdono rilevanti aspetti del fenomeno sociale e della sua
natura emergente (Conte e Paolucci 2002; Cederman 2006).
Un’ulteriore conferma della natura ontologica delle proprietà emergenti
potrebbe invece venire dal crescente filone di studi sulle proprietà
emergenti generali tipiche dei network su vasta scala, tramite modelli di
meccanica statistica. Su questo terreno, l’attenzione è alla generalizzazione
ed universalità di alcune proprietà emergenti delle reti che sembrano
presentarsi e persistere a prescindere dalle caratteristiche micro e locali e
dagli specifici contenuti delle interazioni (Watts 2003). Questa letteratura
ha approntato una serie di categorie concettuali di tipo formale che rendono
possibile inquadrare differenti tipi di reti sociali e di fenomeni aggregati ad
esse associate. Come osservato da Cederman (2006), questi studi
Flaminio Squazzoni
64
rappresentano un’interessante ripresa e una promettente generalizzazione
dell’approccio simmeliano all’analisi sociale. Ma l’intreccio tra modelli di
simulazione e modelli statistici di network è ancora tutto da costruire e le
rilevanti conoscenze teoriche che potrebbero emerge da questo intreccio
sono ancora imprevedibili, quanto auspicabili. Anche su questi aspetti,
come sui precedenti, sono da attendere sviluppi ed ulteriori dibattiti.
Dentro il dibattito ripreso nel saggio, si respira, comunque, una sicurezza
ed un messaggio forte, che traspare in tutti gli autori citati. Si tratta della
scommessa metodologica e teorica in una scienza sociale in grado di
beneficiare di robusti strumenti di formalizzazione, capace di non rifugiarsi
nella deriva post-modernista, in grado di contrastare l’anti-positivismo che
spesso domina la disciplina e di costruire strumenti e metodi per innescare
una vera cumulatività teorica. Molte di queste sfide sono ancora solo
abbozzate, come, ad esempio, l’apertura di un legame forte e produttivo tra
teorie, modelli ed analisi empiriche (Boero e Squazzoni 2005). Ma v’è la
sensazione ormai diffusa che sia solo questione di tempo.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
65
Riferimenti bibliografici
Archer M. S. (1995) Realist Social Theory: The Morphogenetic Approach, Cambridge, Cambridge University Press. Arthur B. W. (1994) Increasing Returns and Path Dependence in the Economy, University of Michigan Press, Ann Arbor. Auyang S. A. (1998) Foundations of Complex Systems Theory in Economics, Evolutionary Biology and Statistical Physics, Cambridge University Press, Cambridge. Axelrod R. (1984) Giochi di reciprocità: l’insorgenza della cooperazione, Feltrinelli, Milano, 1985. Axelrod R. (1997) The Complexity of Cooperation. Agent-Based Models of Competition and Collaboration, Princeton University Press, New Jersey. Axelrod R., Riolo R. L. e Cohen M. D. (2002) Beyond Geography: Cooperation with Persistent Links in the Absence of Clustered Neighborhoods, in “Personality and Social Psychology Review”, 6, 4, pp. 341-346. Axtell R. e Epstein J. M. (1999) Coordination in Transient Social Networks: An Agent-Based Computational Model of the Timing of Retirement, CSED Working Paper No. 1. Baas N. A. (1994) Emergence, Hierarchies and Hyperstructures, in Langton C. G. (a cura di), Artificial Life III, Addison-Wesley, Redwood City, pp. 515-537. Bak P. (1996) How Nature Works: The Science of Self Organized Criticality, Springer Verlag, New York.
Flaminio Squazzoni
66
Barbera F. (2004) Meccanismi sociali. Elementi di sociologia analitica, il Mulino, Bologna. Bedau M. (1997) Weak Emergence, in “Philosophical Perspectives”, 11, pp. 375-399. Bedau M. (2003) Downward Causation and the Autonomy of Weak Emergence, in “Principia”, 6, pp. 5-50. Blau P. (1964) Exchange and Power in Social Life, Wiley, New York. Boero R., Castellani M., Squazzoni F. (2004) Cognitive Identity and Social Reflexivity of the Industrial District Firms. Going beyond the "Complexity Effect" with an Agent-based Computational Prototype , in (Eds), Gabriela Lindemann, Daniel Modt, Mario Paolucci, Regulated Agent-Based Social Systems, Springer Verlag, Berlin Heidelberg, Germany, pp. 48-69. Boero R., Castellani M., Squazzoni F. (2006) Processi cognitivi e studio delle proprietà emergenti nei modelli ad agenti, in (a cura di), Terna P., Boero R., Morini M. e Sonnessa M., op. cit., pp. 95-108. Boero R. e Squazzoni F. (2005) Does Empirical Embeddedness Matter? Methodological Issues on Agent-Based Models for Analytical Social Science, in “Journal of Artificial Societies and Social Simulation”, 8, 4: < http://jasss.soc.surrey.ac.uk/8/4/6.html>. Bonabeau E., Dorigo M., Theraulaz G. (1999) Swarm Intelligence. From Natural to Artificial Systems, Santa Fe Institute Studies in the Sciences of Complexity, Oxford University Press. Bottazzi G., Devetag G. e Dosi G. (2003) Adaptive Learning and Emergent Coordination in Minority Games, in (a cura di), Cowan R. e Jonard N., Heterogeneous Agents, Interactions and Economic Performance, Springer Verlag, Berlin Heidelberg.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
67
Bowles S. e Gintis H. (2004) The Evolution of Strong Reciprocity: Cooperation in Heterogeneous Populations, in “Theoretical Population Biology”, 65, pp. 17-28. Bruch E. E. e Mare R. D. (2006) Neighborhood Choice and Neighborhood Change, in “American Journal of Sociology”,112, pp. 667-709. Campbell D. T. (1974) Downward Causation, in Ayala F. e Dobzhansky T. (a cura di), Hierarchically Organized Biological Systems, University of California Press, Berkeley. Casti J. (1994) Complexification. Explaining a Paradoxical World Through the Science of Surprise, Harper Collins, New York. Casti J. (1996) Seeing in the Light at El Farol, in “Complexity”, 1, pp. 7-10. Casti J. (1997) Would-Be Worlds: How Simulation is Changing the Frontiers of Science, John Wiley and Sons, New York. Cederman L.-H. (2003) Modeling the Size of Wars: From Billiard Balls to Sandpiles, in “American Political Science Review”, 97, 1, pp. 135-150. Cederman L.-H. (2005) Computational Models of Social Forms: Advancing Generative Process Theory, in “American Journal of Sociology”, 110, 4, pp. 864-893. Challet D. e ZHANG Y. (1998) On the Minority Game: Analytical and Numerical Studies, in “Physica A”, 256, pp. 514-532. Chalmers D. J. (2006) Strong and Weak Emergence, in Clayton P. e Davies P. (a cura di), The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. 244-254.
Flaminio Squazzoni
68
Chattoe E. (2006) Using Simulation to Develop and Test Functionalist Explanations: A Case Study of Dynamic Church Membership, in “British Journal of Sociology”, 57, 3, pp. 379-397. Clayton P (2006) Conceptual Foundations of Emergence Theory, in Clayton P. e Davies P. (a cura di), The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. 1-31. Coleman J. S. (1990) Foundations of Social Theory, Harward University Press, Cambridge, Massachusetts. Conte R. e Castelfranchi C. (1996) Simulating Multi-Agent Interdependencies: A Two-Way Approach to the Micro-Macro Link, in Social Science Microsimulation, a cura di Troitzsch K. G., Mueller U., Gilbert N. e Doran J., Berlin Heidelberg, Springer Verlag, pp. 394-415. Conte R., Edmonds B., Scott M., Sawyer R. K. (2001) Sociology and Social Theory in Agent-Based Social Simulation: A Symposium, in “Computational and Mathematical Organization Theory”, 7, pp. 183-205. Conte R. e Paolucci M. (2002) Reputation in Artificial Societies. Social Beliefs for Social Order, Kluwer Academic Publishers Dordrecht. Cowan G. A., Pines D. e Meltzer D. (a cura di) (1994) Complexity. Metaphors, Models, and Reality, Santa Fe Institute Studies in the Sciences of Complexity, Perseus Books, Reading, Massachusetts. Davies P. (2006) Preface, in Clayton P. e Davies P. (a cura di) The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. ix-xvi.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
69
Deacon T. W. (2006) Emergence: The Hole at the Wheel’s Hub, in Clayton P. e Davies P. (a cura di), The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. 111-165. Dretske F. (1988) Explaining Behavior, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts. Durlauf S. (1997) The Memberships Theory of Inequality: Ideas and Implications, Santa Fe Institute, Working Paper 87-05-047. Edmonds B. e Moss S. (2001) The Importance of Representing Cognitive Processes in Multi-Agent Models, in Artificial Neural Networks- ICANN’ 2001, a cura di Dorffner G., Bishof H. e Horik K., Berlin Heidelberg, Springer Verlag, pp. 759-766. Eldredge N. e Gould S. J. (1972) Punctuated Equilibria: An Alternative to Phyletic Gradualism, in (a cura di) Schopf, T. J. M., Models in Paleobiology, Freeman, Cooper & Co, San Francisco, pp 82-115. Elias N. (1991) Teoria dei simboli, il Mulino, Bologna, 1998. Ellis G. F. R. (2006) On the Nature of Emergent Reality, in Clayton P. e Davies P. (a cura di) The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. 79-107. Epstein J. M. (2000) Modelli computazionali fondati su agenti e scienza sociale generativa, in “Sistemi Intelligenti”, anno XII, 2, pp. 177-221. Epstein J. M. (2006) Remarks on the Foundations of Agent-Based, Generative Social Science, in Tesfatsion L. e Judd K. (a cura di), Handbook of Computational Economics, Volume II, Elsevier.
Flaminio Squazzoni
70
Epstein J. M. e Axtell R. (1996) Growing Artificial Societies- Social Science from the Bottom Up, MIT Press, Cambridge, Massachusetts. Giddens A. (1986) The Constitution of Society. An Outline of a Theory of Structuration, Berkeley e Los Angeles, University of California Press. Gilbert N. (1996) Holism, Individualism and Emergent Properties. An Approach from the Perspective of Simulation, in (a cura di), Hedgselmann R., Mueller U. e Troitzsch K. G., Modelling and Simulation in the Social Sciences from the Philosophy Point of View, Kluwer Academic Publishers, Dordrecth/Boston/London, pp. 1-27. Gilbert N. (2002) Varieties of Emergence, in Sallach D. (ed), Social Agents: Ecology, Exchange, and Evolution. Agent 2002 Conference, University of Chicago and Argonne National Laboratory, pp. 41-56. Gilbert N. e Troitzsch K. (2005) Simulation for the Social Scientist, Open University Press, Berkshire, UK, seconda edizione. Gladwell M. (2000) The Tipping Point. How Little Things Can Make a Big Difference, Abacus, London. Goldthorpe J. H. (2006) Sulla sociologia, il Mulino, Bologna. Gotts N. M., Polphill J. G. e Law A. N. R. (2003) Agent-Based Simulation in the Study of Social Dilemmas, in “Artificial Intelligence Review”, 19, pp. 3-92. Granovetter M. (1978) Threshold Models of Collective Behavior, in “American Journal of Sociology”, 83, pp. 1420-1443.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
71
Granovetter M. e Soong R. (1988) Threshold Models of Collective Behavior: Chinese Restaurants, Residential Segregation, and the Spiral of Silence, in “Sociological Methodology”, 18, pp. 69-104. Hedström P. e Sweberg R. (1998) Social Mechanisms: An Introductory Essay, in (a cura degli stessi) Social Mechanisms. An Analytical Approach To Social Theory, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 1-31 Hedström P. (2005) Dissecting the Social. On the Principles of Analytical Sociology, Cambridge, Cambridge University Press. Holland (1995) Hidden Order. How Adaptation Builds Complexity, Perseus Books, Cambridge, Massachusetts. Holland (1998) Emergence. From Chaos to Order, Perseus Books, Cambridge, Massachusetts. Humphreys P. (1997a) How Properties Emerge, in “Philosophy of Science”, 64, pp. 1-17. Humphreys P. (1997b) Emergence, Not Supervenience, in “Philosophy of Science”, 64, Proceedings, pp. S337-S345. Irving E., Jayaprakash C. e Warren K. (2004) The Emergence of Racial Segregation in an Agent-Based Model of Residential Location: The Role of Competing Preferences, Proceedings from the North American Association for Computational Social and Organizational Science Conference, Pittsburgh, PA. Kim J. (1978) Supervenience and Nomological Incommensurables, in “American Philosophical Quarterly”, 15, pp. 149-156. Kim J. (1999) Making Sense of Emergence, in “Philosophical Studies”, 95, pp. 3-36.
Flaminio Squazzoni
72
Kim J. (2006a) Being Realistic About Emergence, in Clayton P. e Davies P. (a cura di) The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. 189-202. Kim J. (2006b) Emergence: Core Ideas and Issues, in “Synthese”, 151, pp. 547-559. Klee R. L. (1984) Micro-Determination and Concepts of Emergence, in “Philosophy of Science”, 51, pp. 44-63. Laurie A. J. e Jaggi N.K. (2003) Role of Vision in Neighborhood Racial Segregation: A Variant of the Schelling Segregation Model, in “Urban Studies”, 40, pp. 2687-2704. Macy M. W. (2002) Social Simulation, in International Encyclopaedia of the Social and Behavioural Sciences, Oxford, Pergamon Press. Macy M. W. e Skvoretz J. (1998) The Evolution of Trust and Cooperation between Strangers: A Computational Model, in “American Sociological Review”, 63, pp. 638-660. Macy M. W. e Willer R. (2002) From Factors to Actors: Computational Sociology and Agent-Based Modeling, in “Annual Review of Sociology”, 28, pp. 143-166. Mayer D. e Brown T. (1998) The Statistical Mechanics of Voting, in “Physica Review Letters”, 81, pp. 1718-1721. Miller J. H. e Page S. E. (2004) The Standing Ovation Problem, in “Complexity”, 9, 5, pp. 8-16. Murphy N. (2006) Bodies and Souls, or Spirited Bodies?, Cambridge University Press, Cambridge.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
73
Newman D. V. (1996) Emergence and Strange Attractors, in “Philosophy of Science”, 63, pp. 245-261. Novak M. A. e Sigmund K. (1998a) Evolution of Indirect Reciprocty by Image Scoring, in “Nature”, 393, pp. 573-577. Novak M. A. e Sigmund K (1998b) The Dynamics of Indirect Reciprocty, in “Journal of Theoretical Biology”, 194, pp. 561-574. O’ Connor T. (1994) Emergent Properties, in “American Philosophical Quarterly”, 31, pp. 91-104. Pancs R. e Vriend N. J. (2003) Schelling’s Spatial Proximity Model of Segregation Revisited, University of London, Department of Economics, Working Paper No. 487. Parisi D. (2001) Simulazioni. La realtà rifatta nel computer, il Mulino, Bologna. Picker R. (1997) Simple Games in a Complex World: A Generative Approach to the Adoption of Norms, in “University of Chicago Law Review”, 64, pp. 1225-1288. Riolo R. L., Cohen M. D. e Axelrod R. (2001) Evolution of Cooperation Without Reciprocity, in “Nature”, 414, pp. 441-443. Rothschild L. J. (2006) The Role of Emergence in Biology, in Clayton P. e Davies P. (a cura di) The Re-Emergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, Oxford University Press, Oxford New York, pp. 151-165. Runciman W. G. (1998) L’animale sociale, il Mulino, Bologna, 2004.
Flaminio Squazzoni
74
Ruoff G. e Schneider G. (2004) Segregation in a ClassRoom: An Empirical Test of the Schelling Model, PAC Project, University of Bamberg, Working Paper. Sawyer R. K. (2001) Emergence in Sociology: Contemporary Philosophy of Mind and Some Implications for Sociological Theory, in “American Journal of Sociology”, vol. 107, no. 3, pp. 551-585. Sawyer R. K. (2004) The Mechanisms of Emergence, in “Philosophy of the Social Sciences”, 34, 2, pp. 260-282. Sawyer R. K. (2005) Social Emergence. Societies as Complex Systems, Cambridge University Press, Cambridge. Schelling T. (1971) Dynamic Models of Segregation, in “Journal of Mathematical Sociology”, 1, pp. 143-186. Schelling T. (1972) A Process of Residential Segregation: Neighborhood Tipping, in Pascal A. (ed), Racial Discrimination in Economic Life, Lexington, D.C. Heath, pp.157-184. Schelling T. (1978) Micromotives and Macrobehavior, Norton and Company, New York. Silberstein M. e McGeever J. (1999) The Search for Ontological Emergence, in “The Philosophical Quarterly”, 49, 195, pp. 182-200. Simon H. (1969) The Sciences of the Artificial, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1996, terza edizione. Smith T. S. e Stevens G. T. (1996) Emergence, Self-Organization, and Social Interaction: Arousal-Dependent Structure in Social Systems, in “Sociological Theory”, 14, 3, pp. 131-153.
Emergenza e modelli di simulazione dei fenomeni sociali. Una rassegna
75
Squazzoni F. (2000) Norbert Elias: per una sociologia morfogenetica e processuale, in “Intersezioni”, XX, 2, pp. 285-296. Squazzoni F. (2005) I modelli ad agenti come strumenti d’indagine sociologica, in AIS, Giovani Sociologi 2004, FrancoAngeli, Milano, pp. 192-206. Squazzoni F. e Boero R. (2005) Towards an Agent-Based Computational Sociology. Good Reasons to Strengthen Cross-Fertilization Between Complexity and Sociology, in (a cura di), Stoneham L. M., Advances in Sociology Research. Volume II, Nova Science Publishers Inc., New York, pp. 103-133. Steels L. (1995) The Artificial Life Roots of Artificial Intelligence, in (a cura di), Langton C., Artificial Life. An Overview, MIT Press, Cambridge, pp. 75-110. Stephan A. (2006) The Dual Role of “Emergence” in the Philosophy of Mind and in Cognitive Science, in “Synthese”, 151, pp. 485-498. Sun R. e Naveh I. (2004) Simulating Organizational Decision Making Using a Cognitively Realistic Agent Model, in «Journal of Artificial Societies and Social Simulation», 7, 3: <http://jasss.soc.surrey.ac.uk/7/3/5.html>. Terna P., Boero R., Morini M. e Sonnessa M. (a cura di) (2006) Modelli per la complessità. La simulazione ad agenti in economia, il Mulino, Bologna. Van Gulick R. (1995) What would count as explaining consciousness?, in (a cura di), Metzinger T., Conscious Experience, Imprint Academic, Schöningh, pp. 61-79. Waldrop M. (1992) Complessità. Uomini e idee al confine tra caos e ordine, Istar Libri, Milano, 1996.
Flaminio Squazzoni
76
Watts D. (2003) Six Degrees: The Science of a Connected Age, W. W. Norton, New York. Welshon R. (2002) Emergence, Supervenience, and Realization, in “Philosophical Studies”, 108, pp. 39-51. Wimsatt W. C. (1997) Aggregativity: Reductive Heuristics for Finding Emergence, in “Philosophy of Science”, 372-384. Zambrano E. (2004) The Interplay Between Analytics and Computation in the Study of Congestion Externalities: The Case of the El Farol Problem, in “Journal of Public Economic Theory”, 6, 2, pp. 375-395.