epilogo a parte, harvey milk prefigurÒ barack …da 5 pallottole scaricate a sangue...

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SABATO 24 GENNAIO 2009 ANNO 12 - N. 4 EPILOGO A PARTE, HARVEY MILK PREFIGURÒ BARACK OBAMA PER STILE, PRINCIPI E METODO DELL’ AZIONE POLITICA: IDENTICO SENSO DI GIUSTIZIA, FIDUCIA NELLE LOTTE DAL BASSO, USCITA DAL GHETTO E RISPETTO DEL PUNTO DI VISTA AVVERSARIO, PERCHÈ DIETRO L’IGNORANZA C’È SEMPRE SPAZIO PER UNA CRESCITA COLLETTIVA... AL CINEMA «MILK» DI GUS VAN SANT| ULTRAVISTA: NETMAGE PAOLO BENVENUTI FUTURE FILM FESTIVAL CHIPS&SALSA ULTRASUONI: SCUOLA E MUSICA, UN’ODISSEA JOSHUA BELL NICOLA CONTE TALPALIBRI : SCHIAPARELLI NATIVI MUNRO LISPECTOR TRE SECOLI DI ERCOLANO WÖLFFLIN PIL’NJAK GOMBROWICZ LEM IN QUESTO NUMERO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»

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  • SABATO 24 GENNAIO 2009 ANNO 12 - N. 4

    EPILOGO A PARTE, HARVEY MILK PREFIGURÒ BARACK OBAMAPER STILE, PRINCIPI E METODO DELL’ AZIONE POLITICA: IDENTICO

    SENSO DI GIUSTIZIA, FIDUCIA NELLE LOTTE DAL BASSO, USCITADAL GHETTO E RISPETTO DEL PUNTO DI VISTA AVVERSARIO, PERCHÈ

    DIETRO L’IGNORANZA C’È SEMPRE SPAZIO PER UNA CRESCITA COLLETTIVA... AL CINEMA «MILK» DI GUS VAN SANT|

    ULTRAVISTA: NETMAGE • PAOLO BENVENUTI • FUTURE FILM FESTIVAL • CHIPS&SALSA • ULTRASUONI: SCUOLA E MUSICA, UN’ODISSEA • JOSHUA BELL • NICOLA CONTE • TALPALIBRI: SCHIAPARELLI • NATIVI • MUNRO • LISPECTOR • TRE SECOLI DI ERCOLANO • WÖLFFLIN • PIL’NJAK • GOMBROWICZ • LEM IN QUESTO NUMERO

    SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»

  • di Sara MarinelliSAN FRANCISCO

    «Se una pallottoladovesse entrarmi nel cervello, chequella pallottola possa distruggeretutte le porte chiuse dietro le qualici si nasconde».

    Lucide e profetiche le paroleche Harvey Milk, il primo consiglie-re comunale gay dichiarato di SanFrancisco, registrò su nastro un an-no prima del suo assassinio, avve-nuto il 27 novembre del 1978. Oltrea essere stato inquietante presagiodi morte, la lunga registrazione, in-titolata Nel caso in cui, ha acquista-to il tono enfatico e perentorio del-le «ultime volontà»; non quelle sus-surrate in punto di morte all’orec-chio di qualche astante, ma pro-nunciate con voce ferma alla co-munità gay della propria città – edel proprio paese – che aveva fattodi lui il suo leader carismatico, chedi lui doveva raccogliere e trasmet-tere l’eredità, e in nome di lui, e del-la propria sopravvivenza, dovevacontinuarne le battaglie. Che la vi-ta di Harvey Milk venisse stroncatada 5 pallottole scaricate a sanguefreddo da un omofobo conservato-re, l’ex consigliere comunale DanWhite, ha contributo ad accrescer-ne la già acquisita statura di eroenell’ambito della comunità gay na-zionale e internazionale, e ha resoancor più necessaria la scrittura diun pezzo di storia strappandola al-la marginalità e invisibilità.

    Sono in tanti, dentro e fuori gliStati Uniti, a non sapere chi fosseHarvey Milk. Dopo 30 anni, il suonome ha valicato nuovamente iconfini della famigerata CastroStreet di San Francisco – che gli hadedicato una piazza, una scuola,un locale, e una biblioteca – e stafacendo il giro di mezzo mondograzie all’ultimo film di Gus VanSant, Milk, uscito negli Stati Unitinel giorno del trentesimo anniver-sario della sua morte, come ulterio-re tributo alla sua memoria. Primadi trasferirsi a San Francisco nel1968, seguendo l’onda del movi-mento hippy, Harvey Milk, classe1930, aveva fatto già un po’ di tut-to nella vita: si era arruolato per 4anni nella marina militare durantela guerra di Corea, aveva svoltomestieri umili e occasionali, e ave-va ottenuto posizioni stabili e sicu-re come quella di analista finanzia-rio in una compagnia di Wall Stre-et. Aveva altresì sperimentato la re-pressione della sua omosessualità;la paura di essere picchiato o arre-stato in qualche retata della poli-zia; il terrore che il suo segreto ve-nisse scoperto mescolato al deside-rio di rivelarlo.

    A San Francisco, metropoli por-tuale che durante le diverse guerreaveva attratto una folta popolazio-ne maschile e multiculturale, co-struendosi la reputazione di «cittàgaia», Milk si stabilì nel quartiere diCastro, dove aprì, col suo compa-gno Scott Smith, un negozio dimacchine fotografiche, «Castro Ca-mera», il luogo che ben presto di-venne il quartiere generale dellesue campagne politiche. Fu lungo itre isolati di Castro Street che Milkforgiò la sua carriera politica e ilsuo sogno di trasformare quel quar-tiere non soltanto nella propria ca-sa, ma in quella di migliaia di altriomosessuali del paese. Milk avevaintuito da subito che la popolazio-ne gay in rapida crescita in cittàera una forza politica ed economi-ca che aspettava solo di essere rico-nosciuta, e dalla quale il governocittadino non poteva prescinderedurante le elezioni. Grazie alla suaattività di piccolo commerciante,Milk cominciò a farsi conoscerenel vicinato per la sua personalitàdirompente e per il suo progetto dirafforzare la rappresentanza gay incittà; promosse il boicottaggio dimultinazionali e si oppose allo svi-luppo edilizio incontrollato delquartiere a favore di un’immaginee un’identità da piccolo centro au-tosufficiente, gestito localmente.In breve tempo si guadagnò il so-prannome di «sindaco di Castrostreet», che ne difendeva gli interes-si contro la politica capitalista delcentro città, e che riconosceva l’im-portanza delle alleanze tra forze cit-tadine considerate minori – le co-munità asiatiche, gay e femministe– per avere influenza sul governocittadino.

    Sin dai suoi discorsi iniziali du-rante la prima candidatura a consi-gliere comunale nel 1973, Milknon si presentò semplicemente co-me un candidato gay: oltre alla tu-tela dei diritti civili degli omoses-suali – in quegli anni ancora giudi-cati secondo una legislazione colo-niale, discriminati sul lavoro, e pas-sibili di arresto e detenzione nei pe-

    riodici raid della polizia – Milk erainteressato a una città a dimensio-ne d’uomo, non gestita dai baronidell’edilizia e del turismo, dagli in-teressi delle multinazionali, mache rispettasse le minoranze etni-che, dandogli diritto di voto, e cheproteggesse le categorie più debo-li: «una città dove le persone sonopiù importanti delle autostrade».

    Milk si candidò quattro volte al-le elezioni a consigliere comunalea partire dal 1973, conducendocampagne tenaci e variopinte,scendendo in piazza e bussandoporta a porta, stringendo la manoalla gente alle fermate degli auto-bus, e mostrando un’arte oratoriae di persuasione che gli procuròogni anno sempre più consenso,conducendolo al trionfo nelle ele-zioni del 1977. La sua vittoria fu re-sa possibile non soltanto grazie aun’elezione di tipo distrettuale, masoprattutto grazie all’intesa politi-ca col sindaco liberal George Mo-scone, eletto nel 1975, che proprioin quell’occasione aveva ricono-sciuto la forza politica della comu-nità gay di cui Milk era portavoce.

    Nel ’77 divennero consiglieri co-munali non soltanto il primo politi-co apertamente gay, ma anche ilprimo cittadino asiatico, la primaafro-americana, e l’ex-poliziottoDan White, colui che, appena unanno dopo avrebbe travolto nella

    sua furia assassina Milk e il sindaco Moscone, eliminando inun solo colpo i due uomini che, nelle parole di Moscone, vole-vano «cambiare non soltanto il volto di San Francisco, ma an-che la sua anima», facendo di lei un modello di libertà e gran-dezza per altre città americane.

    Durante il suo breve incarico, Milk portò la questione deidiritti civili della popolazione gay in primo piano, dapprimafacendo passare la prima ordinanza gay che proteggeva i di-ritti degli omosessuali nell’ambiente di lavoro, poi svolgendoun ruolo incisivo nella vittoria del movimento contro la Pro-position 6, la vergognosa proposta di legge promossa dal se-natore Briggs, e sostenuta alacremente dalla popolare cantan-te Anita Bryant, che avrebbe legalizzato il licenziamento di in-segnanti omosessuali nelle scuole pubbliche. Nei mesi di du-ra guerra alla Proposition 6, Milk sfidò Briggs al dibattito da-vanti a tutta la nazione, si dimostrò abile e arguto nell’arte re-torica, e andò anche oltre. Nel suo discorso alla Gay FreedomDay Parade nel giugno ‘78, data dell’anniversario di Sto-newall, Milk fece un appello diretto al presidente Carter invi-

    tandolo a prendere posizione con-tro il paragrafo 6 con queste paro-le: «Jimmy Carter, la storia ci diceche, come tutti i gruppi che lotta-no per i loro diritti, noi vinceremo;il punto è quando? Jimmy Carter,devi scegliere: o anni di violenza otu puoi accelerare il corso della sto-ria. Vieni in California e pronuncia-ti; se resti in silenzio noi verremoda te: radunerò tutti i gay e le lesbi-che della nazione e l’anno prossi-mo, il 4 luglio, verremo tutti aWashington». Jimmy Carter si pro-nunciò, e Milk vinse anche questopiccolo duello, oltre alla sua batta-glia contro la Proposition 6.

    All’apice della sua popolarità edella sua forza politica, all’indoma-ni del trionfo, Harvey Milk vennecolpito a morte. Milk se lo aspetta-va da sempre che sarebbe accadu-to pressappoco così, prima ancoradi divenire consigliere, prima anco-ra di accedere al potere. Sapevache poteva essere ammazzato inogni momento, in ogni luogo, econtinuava a ripetere ad amici eamanti che non avrebbe vissuto alungo, che le sue ore erano conta-te. Contate da chi? Qual era la mi-naccia inesorabile che presagiva?Forse non era soltanto la minacciadi qualcuno. Forse si trattava delcontinuo convivere con l’amaraconsapevolezza che la manifesta-zione aperta della propria identità

    irreparabilmente scateni odio, eche l’espressione del proprio amo-re si coniughi con la morte – o per-sino l’assassinio. Nel suo testamen-to orale dice: «Una persona cherappresenta quello che io rappre-sento, un attivista gay, diviene ilbersaglio potenziale di coloro chesono insicuri, terrificati, impauritio molto disturbati».

    Di insulti, minacce, messaggi dimorte, Milk ne aveva ricevuti tanti.Di certo aveva sentito il fiato sulcollo del suo boia, Dan White, co-lui che si opponeva a ogni sua ordi-nanza e iniziativa; il fondamentali-sta che si ergeva a difensore della

    Dopo 30 anni il nome dell’attivista gay ha valicato i confini della «famigerata»

    San Francisco – che gli ha dedicato una piazza, una scuola, un locale

    e una biblioteca – e fa il giro del mondo grazie a Gus Van Sant. Perché?

    ■ SAN FRANCISCO ■ L’ASSASSINIO DI HARVEY MILK, ASSESSORE RADICAL ■

    La tragedia fertile

    2) ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009

  • Il ManifestoDIRETTOREMariuccia CiottaGabriele PoloDIRETTORE RESPONSABILESandro MediciDIRETTORE TECNICOClaudio Albertini

    AliasA CURA DIRoberto Silvestri

    Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),Federico De Melis,Roberto Andreotti(Talpalibri)ConMassimo De Feo,Silvana SilvestriE la collaborazione diRoberto Peciola,REDAZIONEvia A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAfax 0668719573ULTRASUONIfax 0668719573TALPA LIBRItel. 0668719549e [email protected]:http://www.ilmanifesto.it

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    morale pubblica e dei valori familiari e tradizionali. Ma DanWhite, oltre a essere stato probabilmente una scheggia im-pazzita in un ingranaggio più intricato che vedeva coinvoltipolizia e multinazionali contrari alla politica troppo progres-sista, multiculturale e populista di Milk e Moscone, Dan Whi-te era l’incarnazione di una paura insidiosa e irrazionale, acui si dà spesso il nome di omofobia. Milk sapeva che quel ti-po di paura profonda, che al tempo stesso si cheta e si alimen-ta soltanto con un atto di violenza, non avrebbe mai avuto fi-ne; ma continuò a combatterla finanche dopo la morte, nelsuo discorso inciso su nastro che ancora riecheggia nellamente di molti, e che ancora manda brividi lungo la schienaper la sua qualità spettrale e programmatica, da vero leader oprofeta. Milk sapeva che la paura che leggeva negli occhi delsuo «nemico» era quella che un omosessuale può leggeredentro se stesso in ogni momento: la primaria paura di sestessi che va combattuta con il gesto, imperativo per ogniomosessuale, di dichiararsi alla fa-miglia, ai datori di lavoro, al mon-do, affinché «tutte le bugie, tutte leinsinuazioni, tutti i miti siano di-strutti una volta per tutte». È que-sto l’ultimo messaggio di HarveyMilk nel suo testamento politico epoetico. Dopo aver fatto i nomi deisuoi possibili successori alla caricapubblica, Milk lancia il suo massi-mo appello a milioni di uomini edonne omosessuali di ogni prove-nienza e di ogni generazione, inclu-sa quella non ancora nata: «Nonposso impedire che alcune perso-ne si sentano furiose o frustrate,ma io spero che si prenderannoquella frustrazione e quella follia, eche invece di dimostrare, prenda-no potere, e che cinque, dieci, cen-to, mille si levino. Vorrei vedereogni avvocato gay, ogni architettogay dichiararsi, alzarsi e farlo sape-re al mondo. Questo servirebbemolto di più di quanto si possa im-maginare a mettere fine ai pregiu-dizi in una notte sola». La notte del-l’assassinio in migliaia sfilarono si-lenziosamente a lume di candelalungo le strade di San Francisco.La rabbia e la follia sarebberoesplose successivamente, nel gior-no del verdetto che condannò DanWhite a poco più di 5 anni, e che fuper tutti la prova evidente che da-vanti a sé, il popolo di Harvey Milk,sbigottito e indignato, aveva anco-ra una lunga strada da percorrere.

    In bianco e neroun ritratto di Harvey

    Milk e due fotoscattete il 9 gennaio1978 a San francisco

    mentre il neoelettosi reca

    nella City Hall(il Campidoglio)

    per prestaregiuramento.

    A coloridue immagini

    dal film «Milk» (2008)di Gus Van Sant

    In copertinaelaborazionegraficadi ab&c

    di Sa. Ma.

    Nel fitto intreccio di Milk di GusVan Sant si intravede, più o meno chiaramente,la filigrana di un altro grande film dedicato allastoria e alla memoria di Harvey Milk, il docu-mentario del regista Rob Epstein, The Times ofHarvey Milk (1984). Se nel film di Van Sant, l’in-terpretazione carismatica e coinvolgente di Se-an Penn – almeno nella versione in lingua origi-nale – riesce a comunicare lo spessore e la forzadella personalità del «sindaco di Castro street»,imitandone i gesti, il tono, e l’umorismo, ascolta-re l’impeto pacato e penetrante della voce verae viva di Harvey Milk è un’esperienza toccante.La ricca documentazione fotografica del film, lebellissime e preziose immagini d’archivio, alcu-ne delle quali presenti anche nella pellicola diVan Sant, ci forniscono non solo un suo ritrattodal vero, prima dell’approdo a San Francisco edella sua carriera politica, ma ricreano accurata-mente il clima politico, locale e nazionale, in cuiMilk operò, portando lo spettatore addentro «leere di Harvey Milk»: l’era prima e dopo di lui.

    Sovrapponendo i discorsi di Milk – ora pro-nunciati in un comizio davanti a una folla enor-me, ora in un dibattito davanti a un singolo in-terlocutore, o solo davanti al suo registratore –alle testimonianze di alcuni personaggi che vis-sero in prima persona le esperienze politiche diallora, tra i quali Anne Kronenberg, la giovanissi-ma organizzatrice della sua vittoriosa campa-gna elettorale, Tom Ammiano, insegnante discuola, successivamente consigliere comunale,e altri interlocutori assenti nel film di Van Sant(mentre in quello di Epstein non figurano alcu-ni dei co-protagonisti di Milk come Scott Smithe Cleve Jones), The Times of Harvey Milk deli-nea nel suo arco narrativo molto di più del per-corso politico di Harvey Milk. Il film, che vinsel’Oscar come miglior documentario nel 1985,riesce a descrivere i momenti cruciali nella na-scita e crescita di un intero movimento politiconazionale a partire da San Francisco. Se duran-te la vita e militanza di Milk, il movimento di li-berazione omosessuale aveva di recente comin-ciato a manifestarsi compatto, ad allargarsi e adesporsi uscendo dall’invisibilità, fu dopo la suamorte che il movimento divenne in misura cre-scente un soggetto politico di cui tener conto.Nel commovente montaggio della lunga fiacco-lata pacifica organizzata in città nella sera del-l’assassinio di Milk, aleggia silenziosa una forzae una dignità che saranno elementi portanti del-la politica dell’orgoglio gay delle sfilate e manife-stazioni attuali.

    Dopo «l’era di Harvey Milk» quel movimentovivo e forte, sorto proprio dalle ceneri di Milk,non può ancora permettersi di abbassare laguardia all’indomani della bruciante sconfittanelle ultime elezioni del 2008 contro la Proposi-tion 8 che vieta le unioni omosessuali in Califor-nia, e di non commemorare con nostalgia, e an-che un po’ di rabbia, le lotte combattute e vintedal suo insostituibile leader.

    THE TIMES OF HARVEY MILK

    Nascita di un leaderIl doc di Espstein

    ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009 (3

  • ■ NETMAGE ■ SUONI E VISIONI DI CONFINE ■

    La metropolidisintegrata

    Luca Martinazzoli

    Ci voleva la recessione per bloccarel’hype della città creativa. Da quando Richard Flo-rida ha sfornato l’ormai noto libro dove indici diogni genere mettevano in fila le città per la pre-senza di gente creativa, molte amministrazioni sisono messe a inseguire l’idea di trasformare lospazio urbano in un parco-giochi per consumiculturali neppure troppo sofisticati. Eventi. Festi-val. Musei. Mezzi musei. Su tutto ilpianeta, perfino in Cina, dove sonospuntate surreali scatole di designpiene di sola aria.

    All’orizzonte oggi si vede inveceuno scenario catastrofico, dove i de-nari per la cultura sono finiti. E so-prattutto ci si sta accorgendo chetutto questo affannarsi per la cultu-ra era molto strumentale e ben po-co centrale nell’istituire una parven-za di senso collettivo. Certo, sareb-be il caso di soppesare ogni singolocaso in un contesto specifico. Quimi limito a segnalare un tendenza,neppure troppo legata all’Italia, mache ha segnato tutti quei luoghi chehanno vissuto una radicale ristruttu-razione del sistema economico ehanno provato a speculare con leg-gerezza su cultura e creatività.

    La bolla immobiliare, che ha te-nuto a bada tutto e tutti con sostan-ziosi contributi al mondo della cul-tura, non solo lascia le istituzionisenza liquidità, ma lascia pezzi dicittà costruiti a metà, buchi neri,che saranno abitati da fantasmi.L’immaginario di questo questo sce-nario urbano devastato e poco acco-gliente tra le rovine della città creati-va (ben delineato da Matteo Pasqui-nelli in un recente intervento a Berli-no – Beyond the ruins of the creativecity – dicembre 2008) è però da di-versi anni all’orizzonte di gente cheha provato ad abitare spazi margina-li, forse anche periferici, in senso as-

    soluto. Come un crack, alla fine de-gli anni ’90, un’estetica abrasiva,ma anche meditativa, ha iniziato aprender forma in diverse comunitàdi ricercatori a proprio agio tra i suo-ni e le arti visive negli Usa, per poicascare in Europa.

    Providence, Brooklyn, Los Ange-les, Portland. Le città da quelle partihanno ricominciato a crescere do-po anni di fuga della popolazioneverso suburbia, e negli intestini sisono sedimentate scene culturaliche portavano sulle spalle un males-sere di certo non nuovo, ma radica-to dentro uno scenario di trasforma-zioni socioeconomiche diverse. Cre-sce il ruolo dell’economia culturalee cognitiva, lo spazio pubblico vie-ne progressivamente corroso dagliinteressi privati e la globalizzazionetende a ridefinire i ruoli delle singo-le città alimentando forme di con-trollo e repressione. Pezzi di città ab-bandonati dalla grande industriamanifatturiera diventano intestiniche accolgono eccentrici sperimen-tatori e sempre più migranti, soprat-tutto latini.

    L’immagine di una città indu-striale, meccanica, sintetica, che fi-no a quel momento aveva segnatoun certo modo di raccontare lo spa-zio urbano si sfrangia di materia or-ganica, della natura, che entra pre-potentemente con tutta la sua ma-

    gia, nel cuore dell’abitare, grazie apersonaggi che arrivano dall’Ameri-ca più isolata. Si attenua il dualismotra suburbia e città, ormai vittimedegli stessi problemi, e si torna a unconfronto tra spazio urbano e natu-ra. Una nuova sensibilità ridefiniscela geografia delle scene culturali ne-gli Usa, dando vita a grumi che han-no disegnato l’immaginario urbanodegli ultimi anni. Andrea Lissoni eDaniele Gasparinetti, dell’associa-zione Xing, provano a renderne con-to in un Festival, o meglio una mo-stra, che vive di tre intense giornate.

    Netmage (22-24 gennaio, Palaz-zo Re Enzo, Bologna) svela i nodiproduttivi e i percorsi emozionaliche attraversano alcuni degli scena-ri urbani in trasformazione, inda-gando attraverso le dimensioni visi-va e sonora del live-media. Suoni evisioni spesso abrasivi, e regressivi,che hanno segnato negli ultimi an-ni molte delle estetiche di confineche sono entrate in un qualche cir-cuito distributivo. Ma anche visionidella città distopiche, apocalittiche,al limite dell’insofferenza che apro-no inesorabili scenari di fuga comein The distance to the sun, film di An-drea Dojmi, surfista oceanico cheambienta un sci-fi tra le colline diHollywood e il deserto del Nevada.Oppure esplorazioni ossessive deiritmi di paesaggio urbano di Stefan

    Nemeth e Lotte Schreiber, in cercadi un altro modo di costruire gli spa-zi.

    Le star di Netmage sono i BlackDice. Nascono nella culla di Provi-dence, cittadina universitaria al cen-tro di un tessuto urbano densissi-mo e in piena trasformazione, cheintorno a una scuola di design è riu-scita a far germinare una scena tan-to conturbante da scuotere molto, emolti, nel panorama noise interna-zionale. Della stessa città è ospite aBologna Mudboy, artista e musici-sta che con un organo elettrico dise-gna tappeti sonori selvatici e deva-stati.

    Nato in Messico, come artista vi-sivo assembla materiali che somi-gliano a giungle illuminate da led inacido piene di mostriciattoli. Un im-maginario simile alle proiezioni checi sono durante i live degli stessiBlack Dice, curate dal regista Dan-ny Perez: interminabili viaggi psi-chedelici, fatti di assemblaggi e ri-mandi agresti, tratto comune di que-sti nuovi coloni che abitano l’imma-ginario urbano.

    Tra le rovine di queste città creati-ve proprio un rapporto primordialecon la natura sembra irrompere, se-gnando una frattura con la giunglad’asfalto. Si recuperano altri suoni,altri colori. Estate 2007, settanta per-sone si trovano su un fiume che è la

    cicatrice e l’anima di Los Angeles.Una lingua di cemento che attraver-sa la città, nascosto da eucalipti ecartelloni pubblicitari. I No Age, chenel 2008 si sono presi parecchiemenzioni per un disco uscito con laSubpop, montano un amplificatoree una batteria e fanno un concertostruggente interrotto dall’arrivo del-la polizia. Su youtube finisce la do-cumentazione. Tre video sorpren-denti, che scandiscono forme di co-lonizzazione dello spazio urbano,delle sue infrastrutture più profon-de, con un carico emotivo solare. INo Age non sono ospiti di Netma-ge, ma fanno parte di quella scenamusicale intorno a un posto gestitoda adolescenti nel cuore di unadowntown Los Angeles in piena, edolorosa, trasformazione. Si chia-ma The Smell, e da alcuni anni ospi-ta i gangli della scena che puntellal’immaginario di chi prende a pienemani dagli scarti di una cultura mu-sicale diffusa e popolare per rias-semblare materiale pestifero. Spes-so ci suona John Wiese e si accom-pagna con rivoli di amici che incon-tra nei tanti progetti che porta avan-ti in giro per il mondo. A Bolognalui si presenta con Pete Swanson,fondatore degli Yellow Swans, banddi culto di tutto quel noise psichede-lico annidato a Portland, altra cittàcolonizzata da gente fuoriuscita dal-le scuole d’arte e dalle praterie.

    Camilla Candida Donzella ha cu-rato l’immagine di Netmage. Dise-gna, fotografa e in questi anni haviaggiato dentro queste comunità,permeabili e nomadi, costruite in-torno a un continuo scambio di pro-dotti e produzioni e un irrequieto gi-rovagare tra band e progetti diversiche danno luogo a una rete di scam-bi, anche economici, che ha reagitoal crollo dell’industria musicalestandone praticamente fuori. Met-tendo insieme supporti fonograficidi ogni tipo con packaging e edizio-

    DEFIANCE - I GIORNI DELCORAGGIODI EDWARD ZWICK; CON DANIEL CRAIG, LIEV

    SCHREIBER, JAMIE BELL. USA 2008

    0L'anno è il 1941 e la comuni-tà ebraica dell'Europa Orien-tale è soggetta al massacroad opera dei nazisti. Sfuggiti ai nazistitre fratelli polacchi trovano rifugio in unfitto bosco che conoscono fin dalla loroinfanzia. Qui inizierà la loro disperataresistenza. Da lotta di sopravvivenzadiventa un modo per vendicare la mor-te dei loro familiari e salvare migliaia dipersone. Dal regista di Blood Diamondcon Leo DiCaprio.

    HOMEDI URSULA MEIER, CON ISABELLE HUPPERT,

    OLIVIER GOURMET. FRANCIA 2008

    0Marthe, Michel e i loro trefigli vivono isolati lungoun'autostrada costruita daanni e mai inaugurata. A un certo puntoperò viene inaugurata e iniziano a passa-re davanti casa migliaia di macchine. Lafamiglia, di fronte a questa inaspettatadifficoltà, ritrova la solidarietà familiare

    IL RESPIRO DEL DIAVOLODI STEWART HENDLER, CON BLAKE WOODRUFF,

    JOEL EDGERTON. USA 2008

    0Max sta cercando con tutte lesue forze di cambiare vitadopo aver passato un perio-do in carcere, ma la banca gli rifiuta unprestito che gli serviva per iniziare unanuova vita con la fidanzata Roxanne.Sidney, un ex-carcerato anche lui, glipropone un rapimento per poi chiedereil riscatto.

    TUTTI INSIEMEINEVITABILMENTEDI SETH GORDON CON VINCE VAUGHN, ROBERT

    DUVALL. USA 2008

    0Per evitare le fatiche del Nata-le e l’obbligo di andare atrovare tutti i parenti, Brad eKate hanno prenotato una vacanza eso-tica, ma all’aeroporto scoprono che illoro volo è stato cancellato, così dovran-no organizzarsi nuovamente e dividereil loro tempo tra le quattro famiglie,poiché i loro genitori sono divorziati.Nel cast: Jon Favreau, Jon Voight, ReeseWitherspoon, Sissy Spacek.

    SEGUE A PAG 10

    Dal 22 al 24 gennaio Palazzo Re Enzo a Bologna ospita

    Netmage, festival-mostra organizzato dall’associazione Xing

    per mappare i nodi produttivi e i percorsi emozionali che

    attraversano alcuni degli scenari urbani in trasformazione

    LETALE

    INSOSTENIBILE

    RIVOLTANTE

    SOPORIFERO

    CLASSICO

    BELLO

    COSI’ COSI’

    CULT

    MAGICO

    4) ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009

  • ■ NETMAGE ■ BOCK & VINCENZI ■

    Performance dipiacere e di terrore

    ni minuscole e limitate, pezzi d’ar-te, danno forma a un immaginariodenso e stratificato che lentamentesi sta insinuando nei consumi cultu-rali e sembra calzare perfettamentele città oggi.

    Proprio questa produzione cultu-rale ai margini è rimasta fuori da tut-ta la retorica della città creativa eadesso aleggia tra le sue rovine. No-nostante sia cruciale nel tessere l’im-maginario, e quindi istituire i luo-ghi, purtroppo non è consideratafondante nel progettare lo spazio ur-bano, se non come forma di eccen-trica decorazione. Se negli ultimi an-ni la questione urbana si è dibattutatra la negoziazione delle disugua-glianze e il sogno di una città per for-za creativa, forse oggi c’è bisogno diportare un altro pezzo al centro,quello della produzione culturale,senza retorica strumentale alcuna,ma come condizione necessaria perabitare la città. Non ha certo sensostilizzare come queste scene nasco-no, prenendosi quello che avanza,scarti di città, pezzi di periferia, spa-zi devastati, sogni annichiliti. Maforse sarebbe importante guardarea queste realtà marginali come fon-danti, proprio perchè produconoimmaginario, e rimetterle al centrodella riflessione di policy maker eamministratori. Intanto è opportu-no tenersi stretto il contributo cultu-rale che danno, e l’incredibile lavo-ro di ricerca di Netmage.

    20: T.Antersmit/ValerioTricoli; 2: «Emeralds»;3: Pek Swanson/JohnWeise/Liz Harris; 4:Stefan Németh suona«Domino» e «I.E.» diLotte Schreiber; 5:«Oblivia» diInvernomuto; 6:Mudbay; 7: Mattia«(sic) Goldie», «DeflagHaemorrhage/HaienKontra»; 8: Keiji Haino;9: Pierre Bastien«Kinetic Syncopatos»;10: AndreaDojni/Flushing Device«The distance to theSun» (2007); 11:«Growing»; 12: «BlackDice»; 13: OascalBattus/Kamel Maad«Eyear»; 14: VirgilioVilloresi/DominiqueVaccaro/Angstarbeiter«Eclissi»; 15: TheSkaters suonano «LeVampire de laCinémathèque» diRoland Lethem; 16:Keiichiro Shibuya/Evala«Atak Night»; 17: Bock& Vincenzi «The InfinitePleasures of the GreatUnknown»; 18:«Camilla CandidaDonzella»; 19: LiveMedia Floor

    di Piersandra Di Matteo

    L’ultima folle performance della for-mazione londinese Bock & Vincenzi porta il teatrodentro una sorta di mesmerico Club Silencio, con-segnando l’eco di un andamento alla Mulhollanddrive al gioco delle cornici finzionali del teatro. TheInfinite Pleasure of the Great Unknown, titolo delnuovo spettacolo di Vincenzi, punta alla creazionedi un’ambigua fenomenologia dello stato ipnoticocome figura del potere, del controllo mediatico edell’assedio a distanza, attuato attraverso la riattiva-zione, parodica e concettuale, del montaggio alter-nato proprio del cinema espressionista tedesco.L’eccitazione ottico-acustica prodotta dal dispositi-vo scenico colloca il discorso performati-vo in stretta relazione con procedimentidi deprivazione sensoriale, disegnandoun tratto decisivo di quel paesaggio, inbilico tra immaginari science fiction, me-smerismo e re-enactment di miti della ci-nematografia d’avanguardia, che è alcentro della IX edizione di Netmage, ap-puntamento internazionale dedicato al-le arti elettroniche, a cura di Xing.

    The Infinite Pleasure (che verrà repli-cato a Palazzo Re Enzo di Bologna) è pre-sentato nella sezione performativa del fe-stival per la sua pasta onirica che attivazone di inibizione sensoriale tali da pro-durre una soglia d’indecisione tra acca-duto e accadimento, percepito e simula-to. Per chi ha assistito alla trilogia del pro-getto Invisible dances..., con la quale sisono imposti all’attenzione internazio-nale, un dato è certo: gli spettacoli diB&V non cessano mai di tramare allespalle. Continuamente ritornanti nellamemoria, consumano nel tempo un’irri-ducibilità alla somma dei saperi convo-cati per tracciarne una sequenza memo-riale, come se la materia spettacolaremostrasse un punto di resistenza e siostinasse a stillare forme d’inquietudineche legano in un unicum perturbante,fascinazione, turbamento e forse vergo-gna. Sin dagli esordi, B&V danno vita a

    immaginari sonico-visivi tesi a esplorare la relazionetra presenza e assenza, movimento ed enigma dell’im-magine in uno spazio che porta il teatro dentro unascena allucinata.

    The Infinite Pleasure si genera attorno a un’idea diloop inconcluso, che investe le sfere visiva e sonora.Seguíto a The Crimes of Representation, è una tappadel progetto Operation Infinity (www.operationinfini-ty.org), avviato nel 2007 come indagine sulle devianzedel potenziale spettacolare. Se il nome dell’intero pro-getto ammicca alla missione militare americana inIraq, gli spettacoli alludono a un immaginario sottopo-sto a quello shock of recognition proprio delle sciencefiction. In un pieno di topoi apocalittici si disegna unpaesaggio distopico: la sala di Palazzo Re Enzo èsommersa di detriti, sacchi di plastica, ordigni, allar-mi, telecamere che spiano gli spettatori, sandwich-men che pubblicizzano lo spettacolo ideato da unapresunta Troupe Mabuse alle prese con una formadi intrattenimento (del terrore) annunciata da unlampeggiante: «Now showing».

    Ma chi è il Grande Sconosciuto del titolo? È forseil personaggio che Fritz Lang ha tratto a soggetto

    dei suoi tre film ispirati al feuilleton poli-ziesco di Norbert Jacques? È Dr Mabu-se, il genio criminale del controllo, dedi-to a travestitismo e ipnosi, la figura oc-cultata nello spettacolo?

    Il quadro dei rinvii si complica: leazioni dei performer, marcate da spa-smo-movimenti, sono immerse inun’aura dagherrotipica, in un bianco-nero d’una opacità sinistra. Su un moni-tor invisibile si svolgono le vicende de Iltestamento del Dottor Mabuse di FritzLang e si intuisce che il ritmo serrato, il clima an-goscioso, le sequenze di inchiesta del film, di cuisi sente il sonoro, sono tradotti nella partituranervosa e a scatti dei performer. Questa vaga for-ma di possessione, inscrivibile dentro una patho-sformel isterica, è amplificata dall’anamorfosi ot-tica prodotta da uno schermo pulsante, che ren-de visibile la danza catturata da una telecameraagli infrarossi.

    Tutto è avvolto da un rumore di fondo, un dro-ne che genera una sensazione di nebbia. La so-stanza acustica, ideata da Luke Stoneham, da sot-tofondo lontano diviene tanto invasiva da depi-stare il visibile. La scena si satura di disturbi: fram-menti del film appaiono sullo schermo, mentreai lati della scena figure nere - simili ai kamikazedel teatro Dubrovka - buttano sacchi d’immondi-zia, distruggono fogli in tritacarte impiegati comedisturbatori sonici. Intermezzi grotesque inscena-no danze «del buco del culo», mentre un occhiodi bue enfatizza il sillabario seduttivo di uomini-sirene dai tratti queer. E quella figura nera, incap-pucciata che fa ritorno sullo schermo? È una sor-ta di spettrale Leviatano che pronuncia il testo diKing Lear, il dramma shakespeariano del poteree della perdita, mentre in didascalia compare unpastiche di voci auliche, lemmi italiani, termini

    frutto di un continuo travaso del testodall’inglese all’italiano (e viceversa),compiuto con il sistema di traduzioneautomatica Babel Fish.

    The Infinite Pleasure costringe lospettatore a una forma di fascinum am-bivalente che si accorda a una speciedi complicità con ciò che accade, mache attiva anche l’esigenza di prenderedistanza da quella forma incantatoriadi cui si ha difficoltà a dare ragioni.

    Si intitola «The Infinite Pleasure

    of the Great Unknown» l’ultima folle

    performance della formazione

    londinese Bock & Vincenzi, ulteriore

    tappa del progetto Operation Infinity

    ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009 (5

  • ■ ROTTERDAM ■ INTERVISTA A PAOLO BENVENUTI ■

    Dentro il Mito Puccini

    di Luca Peretti

    Cinque lungometraggi in venti anni. Dietro ad ogni film c’è un pre-zioso e lungo lavoro di scavo, ricerca storica e archivistica, raccolta di testimo-nianze. Il cinema di Paolo Benvenuti è anche e soprattutto questo, e solo do-po anni e anni di lavoro - in genere pieni di difficoltà - si arriva a vedere il risul-tato sullo schermo. All’ultima Mostra del cinema di Venezia è stato presenta-to Puccini e la Fanciulla, mentre il fe-stival di Rotterdam gli dedica adessouna retrospettiva completa. Abbia-mo chiesto a Benvenuti di raccontar-ci il percorso creativo e di ricerca sto-rica che c'è dietro l'ultimo film.

    Come sei arrivato a questo pro-getto su Puccini?

    Nel 2001, i ragazzi di Intolerance, lascuola di cinema del Comune di Via-reggio, mi chiesero di fare un’espe-rienza di sceneggiatura. Gli spiegaiallora come funzionava il mio lavo-ro di ricerca storica su cui costrui-sco la sceneggiatura. Dopo alcuni in-contri approdammo a Puccini sucui, in passato aveva lavorato unamia allieva della scuola di cinema diPisa. Questa, nel 1984, dopo avercompiuto una solida ricerca storica,aveva realizzato un bel cortometrag-gio su Doria Manfredi, la servetta diPuccini morta suicida, mettendo aconfronto la menzogna e la verità:da una parte il film di Puccini di Gal-lone del ‘52, dove Doria si affoga nellago perché rifiutata dal maestro(stessa versione dello sceneggiatoRai di Bolchi del ‘72), dall’altra i fattiricostruiti su testimonianze e docu-menti d’archivio. I ragazzi di Intole-rance partirono dalla visione di que-sto cortometraggio che, pur interes-sante, non risolveva tutti gli interro-gativi di quel suicidio.

    Era una sorta di input insom-ma.

    Esatto. I ragazzi andarono a intervi-stare i vecchietti di Torre del Lagoma risolsero ben poco perché que-sti, sull’argomento Doria Manfredi,si chiudevano a riccio. Allora anda-rono al Centro studi pucciniani diLucca dove studiarono le lettere diPuccini relative a quel periodo e levarie biografie sul Maestro. Alla fine,l’ipotesi che misero in piedi era quel-la suggerita dal libro Puccini mini-mo di Aldo Valleroni, dove si soste-

    neva che il dongiovannismo di Puc-cini non era fine a se stesso ma fun-zionale alla sua creatività musicale:ogni volta che scriveva un’opera,egli doveva innamorarsi di una fan-ciulla che assomigliasse all’eroina diquell’opera. Doria si suicida mentrePuccini sta lavorando a La Fanciulladel west. Allora i ragazzi si chiesero:somiglia Doria all’eroina de La Fan-ciulla del west? Assolutamente no,dato che era timida, introversa, mol-to religiosa, mentre la Minnie de Lafanciulla del west è una donna ener-gica, con le pistole, che gestisce unsaloon nel west. Rispondeva invecea questi canoni Giulia Manfredi, lacugina di Doria, che gestiva con il pa-dre la Terrazza Emilio, il bar palafittasituato nel lago davanti a villa Pucci-ni. Allora i ragazzi sono tornati a Tor-re a chiedere se questa Giulia eraamica di Puccini. E, mentre su Dorial’omertà era stata totale, sull’amici-zia tra Giulia e il Maestro, tutti face-vano battute e risolini.

    La conferma a tutto ciò ti arri-va però con la scoperta della

    valigia...Prima passa un po’ di tempo. Nel di-cembre 2005 decidiamo di rinunciarealprogetto, ritenendo di avere ipotizza-to una bella storia di intrighi plausibilima priva di riscontri oggettivi. Secon-do la mia etica, a queste condizioninon si poteva procedere oltre.Ma, nell’estate del 2006, Giulio Mar-lia, dirigente dell’ufficio cultura delComune di Viareggio, ci informa cheGiulia Manfredi nel 1923 mette almondo un figlio illegittimo e lo ab-bandona a Pisa. Abbiamo trovatoconferma all’anagrafe: si chiamavaAntonio di Giulia Manfredi e di n.n.Mi metto sulle tracce di questo Anto-nio e scopro che è morto nell’88 mache, sposatosi nel ’44, aveva avutouna figlia nel ’46: Nadia, che abita aPisa. Allora vado da questa signora ele chiedo se sua nonna era stata ami-ca di Puccini. Lei mi conferma la co-sa, confessandomi però che i rappor-ti con sua nonna erano sempre statimolto difficili. Ho cominciato a fre-quentare questa famiglia perché vole-vo ricostruire la vita di Antonio Man-fredi, costringendoli così a fare uno

    sforzo di memoria. Un giorno mi tele-fonano: si sono ricordati che nel ’76,quando Giulia morì senza aver mai ri-velato ad Antonio di chi fosse figlio, iparenti di Torre del Lago, che lo chia-mavano «il bastardo», gli telefonanoperché andasse a prendersi le cose disua madre. A casa di questa prendeuna valigia vuota e ci ficca dentroquello che trova nei cassetti. Tornatoa Pisa getta la valigia in cantina, doveviene dimenticata per più di trentaanni. Quando nel gennaio del 2007 lavaligia viene aperta scopriamo docu-menti, lettere di Puccini a Giulia emolte fotografie con dedica.

    E da lì è nato il film, in prati-ca...

    No, il film è nato perché sotto questaprima serie di carte, abbiamo rinve-nuto una busta piena di altre lettere,tutte sul suicidio di Doria e sul pro-cesso a Elvira, condannata contuma-ce dal tribunale di Lucca a 5 mesi e 5giorni di galera per calunnia e istiga-zione al suicidio.

    Queste poi sono le lettere chesi sentono nel film?

    No, quelle sono lettere edite, que-ste sono tutte inedite. In fondo al-la valigia c’erano anche due scato-le di biscotti con dentro della pel-licola: un documento straordina-rio di 8 minuti su Puccini del1915. Si è visto in uno Speciale

    Tg1, il 28 settembre scorso.

    Insomma, di tutte queste coseche voi avete trovato, solo unapiccola parte è finita nel film.

    Praticamente niente: solo la provache ci mancava: cioè che la causadella tragedia di Doria è stato l’aversorpreso Fosca, la figliastra di Pucci-ni a letto con Civinini, il librettistade La Fanciulla del west. Questa pro-va è nelle carte ritrovate. I due, pertappare la bocca a Doria, racconta-no a Elvira di aver sorpreso la sera aletto con Puccini. Elvira, per noncoinvolgere la figlia e folle di gelosia,va dal prete e dalla madre della ra-gazza a dire di aver sorpreso lei, Do-ria a letto con suo marito. Del restoquesto è il mio modo di fare cinema:tutti i miei film sono costruiti su do-cumentazione storica attendibile ecomprovata.

    Anche in «Segreti di stato» lascelta di non insistere moltosulla Xmas, anche se ci sono ac-cenni...

    Tocca agli storici approfondire ta-li argomenti, non ai registi. Adessole prove sulla Xmas stanno uscendofuori una dopo l’altra. Il compito diun film è quello di porre domande,non di fornire risposte. Con Puccinie la fanciulla abbiamo fatto una scel-ta poetica, ma i rapporti di classeche si mostrano e i fatti che portanoquesta ragazza al suicidio sono rigo-rosamente documentati. Se cosìnon fosse, la signora Simonetta Puc-cini (erede riconosciuta del composi-tore ndr) avrebbe tutto il diritto dimandarmi in galera.

    Mi sembra che come semprenei tuoi film ci sia una ricostru-zione precisa sia per l’ambien-te sia per le canzoni e i suoni...

    Per la ricostruzione ambientale ab-biamo lavorato sulle fotografie d’epo-ca e su quadri dei macchiaioli che vi-vevano a Torre del Lago. Per i suoni,invece, bisogna distinguere dueaspetti: il primo, quello che riguardala musica, è stato curato personal-mente da mia moglie Paola Baroni,co-autrice del film. La musica chesentiamo non è di Puccini: si trattadella riduzione pianistica di Carlo Ca-rignani del 1912 da La Fanciulla delwest. I canti popolari di area luccheseinvece, trovati sempre da Paola con lacollaborazione dell’Istituto Ernestode Martino e di altri studiosi, rappre-sentano la cultura contadina dell’epo-ca. Il secondo aspetto da sottolineareriguarda invece il lavoro di MircoMencacci, il designer del suono. Mir-co ha registrato i suoni del lago diMassaciuccoli. Quei suoni, una voltaripuliti dai rumori moderni e mixaticon la presa diretta, hanno costituitouna sorta di partitura che interagiscecon la musica di pianoforte. Questoperchè i suoni naturali del lago diMassaciuccoli sono stati la fonte pri-maria dell’ispirazione di GiacomoPuccini.

    Il regista PaoloBenvenuti sul set

    e sotto una lettera«di Giacomo Puccini

    alla madre

    di Filippo Brunamonti

    Jack Brooks: Monster Slayer. Appuntisulle commedie horror: l’eccesso el’insaziabile ammaliano e sposanogli amanti dell’avventura e del brivi-do giovanilistico; a un branco di ado-lescenti da campus universitario sioppone un famelico anziano spaven-tapasseri, possibilmente un’iconadel cinema di quando i nostri padrierano «teen»; il rischio di deviazioniallo splatter metafisico è da ricercare(e spiegare) soltanto con un body-count degno di fame allegorica; l’an-nidamento del «mostruoso» è tantoprofondo quanto parodistico, purchéagli attimi horror corrispondano al-trettanti attimi comici, evitando im-prevedibili scatti da un genere all’al-tro. La formula di certe opere(tte)anni ’80 non è poi così sfuggente,basti pensare alle lezioni sul sesso esui pericoli dell’Aids imprescindibiliin Vamp (1986): in cattedra l’andro-gina zebrata Grace Jones. Per nonparlare della serie Nightmare, doveun artigliato insegnante d’avanguar-dia, Freddy Krueger, sbuccia in clas-se una mela e boccia la vittima delsogno, in seguito a un mortale com-pito di fisica, succhiandole l’animacon una pomiciata. Inconsapevol-mente, le regole, prima di Scream(anni ’90 e tramonto), erano date,studiate, infrante, discusse sin daglialbori.Controcorrente alle tante lezioncineaccademiche e alle critiche propulsi-ve su «che cosa intendeva Wes Cra-ven quando uccideva i suoi attori»,approda (finora solo negli States)questo strano oggetto militante, pic-colo gioiello horror che ha stregato ilpubblico americano in contempora-nea all'uscita di The Dark Knight, illuglio scorso. A New York ho visto ilfilm in anteprima con cast e regista,tramite il magazine Fangoria. È JackBrooks: Monster Slayer. Storia (b-movie) di un neo Bruce Campbellche, da b-ambino, assiste alla mat-tanza della propria famiglia, mammae b-abbo, per fauci di un mostro pa-ludoso. Ritorno al futuro e Jack, dagrande, è diventato un idraulico. Ma,accidentalmente, risveglia un’entitàin continuo sviluppo che, come acca-deva a Vincent D’Onofrio in Men inBlack, prende possesso del corpo diRobert Englund, professore emerito.Quanto, dunque, è esercizio criticostilare un’orda di regole (spezzate oimposte) e accorgersi che, in definiti-va, il film di Jon Knautz (e tutte lesue componenti), alle regole rinviagiusto il suo sapore di revival? Diqui, il valore aggiunto di un horrorscanzonato che, per via della suainutilità, della luccicanza pelvica tenu-ta sott’ombra, del genio spinato diEnglund, evita accuratamente ognispaccato di riflessione metacinema-tografica, deride il concetto di «omag-gio» e, proprio tracciando un Vange-lo del gore – un Vangelo classico –ghettizza e viviseziona i protetti diHollywood, che fanno horror soloperché va di moda, insieme alleschiere di fan di Hostel, Saw – L’Enig-mista, ma anche di cult firmati SamRaimi e Peter Jackson.Nella sua accorta non-volontà di farepassi indietro, di rimandare altrove,di produrre senso, la forza di JackBrooks, seppur contaminata da con-sapevoli defiances, è ad ogni modoaccecante.

    SEGUE A PAGINA 10

    di malastrasa.com

    CIN

    EMA AUTONOMO

    Incontro con il regista Paolo Benvenuti, che ha presentato

    all’ultima Mostra del cinema di Venezia

    «Puccini e la Fanciulla», mentre il festival di Rotterdam

    gli dedica adesso una retrospettiva completa

    ROTTERDAM

    6) ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009

  • ■ BOLOGNA ■ MAGIE NIPPONICHE AL FUTURE FILM FESTIVAL ■

    Yuasa, il Topor venutodall’Estremo Oriente

    11˚ FUTURE FILM FESTIVAL

    Mentre il 38˚ Rotterdam Film Festival è in corso e, iniziato il 21 gennaiofinirà l’1 febbraio scodellando i primi nuovi film indipendenti importantidell’anno, confermando l’insorgenza delle cinematografie indonesiana,iraniana, sudcoreana, cilena, turca e del nord europa, il Future Film Festi-val di Bologna (27 gennaio - 1 febbraio), 11˚ appuntamento con le nuo-ve tecnologie e il cartoon d’avanguardia, occuperà come sempre il Palaz-zo Re Enzo e i cinema del centro cittadino. Quest’anno tra le pellicolemaggiormente attese, oltre al’imponente spazio dedicatoall’estremooriente e al Giappone in particolare, di cui parla nella pagina MatteoBoscarol, il cartone animato indiano Sita Sing the Blues e l’americanoBill Plympton, e, per i più piccoli Igor e The tales of Desperaux. i diretto-ri artistici Giulietta Fara e Oscar Cosulich ci invitano anche a un 3D Day(31 gennaio) ideato da Marco Spagnoli: anteprime, visioni e incontricon i protagonisti del 3D digitale streoscopico, come Jeffrey Katzenberg.

    di Matteo BoscarolTOKYO

    Ci sarà moltissimoGiappone all’11˚ Future Film Festi-val di quest’anno, la manifestazio-ne bolognese infatti ospiterà unascelta delle opere, soprattutto dianimazione, più significative usci-te da quel laboratorio pop che è ilGiappone contemporaneo.

    Film d’animazione, animazio-ne seriale, ovvero cartoni animati,opere in computer graphic, natu-ralmente film con attori in carne eossa e addirittura uno realizzatoin Adobe Flash invaderanno paci-ficamente il capoluogo emilianooffrendo ai fortunati spettatoriuno scorcio significativo dell’im-maginario nipponico contempo-raneo. Fra i film in concorso va se-gnalato Paco and the magicalbook, di Tetsuya Nakashima, regi-sta che aveva stupito un po’ tuttiun paio di anni or sono con il suoMemories of Matsuko. Lo ritrovia-mo in quest’opera fantastica, fattaa guisa di libro illustrato con ab-bondante uso di cg, realizzata di-chiaratamente per i bambini ma non priva di riflessioniadulte e con quel tocco di lieve e personale poesia che già locaratterizza. Anche qui, come nell’opera precedente, le mu-siche sono curate dall’italiano Gabriele Roberto «scoperto»proprio da Nakashima.

    Nella sezione fuori concorso oltre all’ennesima trasposi-zione sul grande schermo del popolarissimo anime One Pie-ce The Movie -Episode of Chopper va segnalata la presenzadi 20th century boys. Per chi se lo fosse perso al

    Trieste+Fiction, ci sarà la possibili-tà di gustarsi questa superprodu-zione giapponese e primo capito-lo di una trilogia - il secondo episo-dio uscirà nelle sale giapponesi afine gennaio - basata sull’omoni-mo e popolarissimo manga di Na-oki Urasawa. Il film dipana la suaparanoica narrazione in un com-plesso intrico temporale che sisvolge in quattro periodi diversi, il1973, il 1997, il 2001 e il 2015, rit-mo serrato, riflessioni sulle magliecon cui il potere mediatico crea isuoi presupposti, ne fannno unfilm da non perdere anche per co-loro che non hanno letto il man-ga.

    Nella stessa sezione Fff ci pro-porrà Genius Party e il suo seguitoGenius Party beyond realizzati en-trambi da uno degli studi d’anima-zione giapponese piu indipenden-ti, lo Studio 4˚C. I due film raccol-gono a fanno sbizzarrire la fanta-sia dei migliori animatori nipponi-ci in circolazione nella relizazionedi mini episodi, sette per il primoe cinque per il secondo. Si va dal

    puro divertissement visivo, alla sperimentazione più spin-ta, fino alla breve narrazione intimista, insomma tutti gliepisodi relizzati con stile, tematiche e tecniche differenti, econ esiti naturalmente diversi, hanno comunque in comu-ne una sana dose di sperimentazione e di follia che negli

    episodi migliori diventa genialità.Parlando di pazzia come non

    nominare, nella sezione «Follie diMezzanotte», Tokyo Gore Police, ildelirio splatter che ha gia sbalordi-to alcuni festival in giro per il mon-do. Toccherà al pubblico italianogustare o inorridire di fronte aquesta carne da macello, eccessi-va senz’altro, ma diretto da Yo-shihiro Nishimura con un nichili-smo corrosivo, e ciò che più im-porta, con una forte carica sarca-stica e sovversiva nei confronti del-la società. Di tutt’alto genere Ea-

    gle Talon: the chancellor only livestwice, opera presente nella stessasezione e realizzata interamentein Adobe Flash, dall’animatoreRyo Ono, nom de plume Frog-man, che ha raggiunto il successo(serie tv, giochi e quant’altro) pra-ticamente a partire da zero solocon il suo computer.

    Anche alle serie tv, anime, carto-ni animate, Oav (prodotti realizza-ti direttamente per il mercato ho-me video) e derivati il Fff dediche-rà naturalmente ampio spazio. Ve-dremo il cupo Hakaba Kitarô, laserie tv trasmessa a notte inoltratain Giappone, quella che più rendegiustizia all’opera su carta delmangaka, Shigeru Mizuki, creato-re del personaggio, con i suoi grigie i suoi colori slavati.

    Si potrà apprezzare anche Chas-sern Sins serie animata tutt’ora incorso e targata Madhouse, rivisita-zione in chiave futuristica del po-polare anime (Kyashan) realizzatodalla Tatsunoko Production neglianni Settanta.

    Come non nominare i setteOav di Freedom, diretti da ShuheiMorita (Kakurenbo) con cha-racter design di Katsuhiro Otomo(Akira). Progetto nato dalla colla-borazione con la Nissin Cup Noo-dles, una famosa compagnia cheproduce instant noodles, dappri-ma come pubblicità televisiva. Lastoria è ambientata nel XXIII seco-

    lo sulla Luna, e l’umanità che si èlì stabilita vive in un enorme cu-pola denominata «Eden» dove lasocietà, la Republica della Luna,si fonda sulla privazione di due li-bertà, quella di ritornare sulla Ter-ra e quella di studiare le tecnolo-gie. Sarà compito di un giovanedi nome Takeru, nato proprio sul-la Luna e gran divoratore di CupNoodles, ricercare il senso dell’au-tentica verità.

    Qualche parola in più va spesaper Kaiba, autentica ciliegina sul-la torta del Future Film festival.Anime realizzato dalla Madhousee diretto da Masaaki Yuasa Kaibasi avvale di un eccezionale chara-tcter design, dichiaratamente re-trò quasi per rendere omaggioagli inizi dell’animazione giappo-nese, realizzato da Nobutaka Ito.

    Nella prima puntata vediamoil protagonista che si sveglia di-ckianamente senza sapere chi odove sia, l’unico indizio del suo eventuale pas-sato è un buco che si ritrova all’altezza del pet-to ed un ciondolo con infissa una foto di unaragazza.

    Tutta la serie seguirà le sue vicende in unostrano universo che lo condurrà attraverso varimondi in cerca della sua identità, comunquesempre fluttuante. Siamo in un mondo dove lememorie (la coscienza?) possono venir trasferi-te da un corpo all’altro tramite un chip situatoin cima alla testa, ma solo le persone più ric-che possono avvalersi di questo surrogato del-l’eternità, gli altri devono accontentarsi di cor-pi secondari o della morte e della cancellazio-ne delle memorie che vengono disperse nel-l’universo sotto forma di miriadi di bollicine/uova gialle. Fin qui niente di particolarmentenuovo, temi di fantascienza già trattati in altreopere, la genialità e l’originalità di Kaiba è tuttanel ritmo e nei modi in cui viene perseguita lanarrazione, continui salti di stile, dal più poeti-co al più surreale, una fantasmagoria di colorie di scene e una dose di follia e di libertà stilisti-ca che ha pochi eguali in Giappone. La creazio-ne di un mondo tanto pazzo quanto straziante-mente poetico ci conferma quanto già il regi-sta aveva accennato con il suo precedente lavo-ro, Mind Game, e cioè che con Yuasa il Giappo-ne sembra aver trovato il suo Topor.

    Al Fff ci sarà anche un interes-sante retrospettiva, «Nobuo Naka-gawa – Master of Horror», che ciguiderà nella carriera del registanipponico, sorta di precursore del-l’odierno J-Horror e che ha inda-gato con i suoi film gli abissi dellepaure più nascoste anche evocan-do mostri e spiriti dal folklore giap-ponese. Ma Nakagawa fu prima ditutto un autore in senso più am-pio, non solo ascrivibile al genereper cui è ricordato, doveroso allo-ra menzionare almeno il visiona-rio Ghost of Yotsuya del 1959 eHell dell’anno seguente forse ilsuo film più famoso, una fanta-smagoria a toni sperimentali persprofondare all’inferno.

    Insomma un’abbuffata di Giap-pone aspetta i visitatori del Fffquest’anno e va dato merito agliorganizzatori perché mai come inquesta edizione chi avrà l’opporti-nita di partecipare come spettato-re alla manifestazione riuscirà avedere una selezione tanto etero-genea quanto veritiera degli svi-luppi e delle derive, naturalmentealte e basse, che l’immaginariopop giapponese sta percorrendo.

    FUTURELa manifestazione ospita un’eccellente scelta

    dei cartoon più significativi (uno è in Adobe

    Flash), usciti, anche in tv, da quel laboratorio

    pop che è il Giappone contemporaneo

    Il logo di Fff;scena

    dalla restrospettiva«Nobuo Nakagawa –

    Master of Horror;«Sita Sings the Blues»(2008) di Nina Paley;

    «Genius Party» (2007)di Nicolas de Crécy

    e Atsuko Fukushima;«Idiots and Angels»

    (2008)di Bill Plympton

    ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009 (7

  • ■ LA CRISI A SILICON VALLEY E DINTORNI ■

    Viviamo quella che è stata definita la maggiorcrisi finanziaria dopo quella del 1929, e oracome allora siamo alla ricerca di risposte e diconsigli su come affrontarla. Nel 21esimo se-colo questo aiuto possiamo cercarlo (e trovar-lo) anche sul web.Digitando per esempio «crisi finanziaria» in unqualsiasi motore di ricerca otteniamo milionidi risultati, che ci propongono analisi, intervi-ste, diari della crisi e suggerimenti per superar-la col minor danno possibile. E anche tra i sitidi informazione c'è chi, come Mashable.com,offre interessanti elenchi di indirizzi web davisitare per farsi un'idea di ciò che si può fareper sopravvivere alla recessione.L'amministrazione dei risparmi e la gestionedelle proprie entrate sono le tematiche tratta-te da siti quali Mint.com, Geezeo.com, Quic-ken.Intuit.com, Buxfer.com o Justthrive.com,che offrono strumenti per monitorare le pro-prie spese, per evitare che le carte di debito odi credito sfuggano al controllo del titolare eper pianificare il rimborso dei propri debiti.Con la possibilità di far dialogare direttamenteil nostro estratto conto online con il «libro deiconti» virtuale.Rivolti essenzialmente a un'utenza statunitense,si tratta comunque di servizi che permettono ditenere d'occhio il proprio budget, e spesso so-no utilizzabili anche attraverso il telefonino.Ma per avere risorse monetarie da amministra-re bisogna innanzitutto avere un lavoro. Larete può aiutare anche in questo. Non manca-no infatti i siti all'interno dei quali condividerele esperienze e le risposte più appropriate dafornire nel corso dei colloqui di selezione (In-terviewup.com), magari avvalendosi dei consi-gli di un mentore (Gottamentor.com) che met-te le sue competenze a disposizione dei piùgiovani.Nell'ottica del risparmio, poi, può essere inte-ressante dare un'occhiata ai siti che offronoinformazioni utili per fare acquisti spendendomeno.Si va da quelli che mettono a disposizionebuoni sconto da utilizzare per la spesa neinegozi tradizionali (parliamo principalmentedi siti statunitensi come Coolsavings.com, cheha una sezione dedicata ai cosiddetti «printa-ble coupons», ossia i buoni da stampare eportare al supermarket) ai servizi che invecepropongono liste di pagine web sulle qualitrovare prodotti a prezzi competitivi (comeGottadeal.com, per l'hi-tech), ottima alternati-va alla vendita al dettaglio classica.Infine, non volendo rinunciare a una vacanzanemmeno in tempi di ristrettezze, uno deimolti siti dedicati ai viaggi low cost (comeVolagratis.com o Hotwire.com) può essereutile per acquistare biglietti aerei e prenotaresoggiorni in hotel a prezzi stracciati.

    (Alessandra Carboni)

    di Nicola Bruno

    C’è stato chi l'ha presa con ironia («Peccato,mi piacevano tanto le tacos gratis del bar»), chi ha invocatoun po' di sana giustizia sociale («Perché non licenziare unmanager strapagato?») e chi l'ha messa su un piano emoti-vo («Ho le lacrime agli occhi. Ma detesto piangere sul luogodi lavoro»). Quando lo scorso 10 dicembre Yahoo ha conse-gnato le prime lettere rosa di licen-ziamento (le famose «pink slips»che fecero il giro della Silicon Val-ley durante lo sboom nel 2001),per molti dipendenti non si è trat-tato di una questione privata, dacondividere nel giusto riserbo conintimi e familiari. Le voci ormaicorrevano da tempo online, a co-minciare dai siti di gossip hi-techGawker e Silicon Alley Insider chesi sono fiondati a rotta di collo sul-l'argomento, annunciando i nomidei silurati più clamorosi. Molti li-cenziati, poi, gestivano da tempoun blog o un profilo sui socialnetwork. Facile quindi aspettarsiche, dopo aver condiviso per annii racconti della loro vita quotidia-na, anche il licenziamento diven-tasse un'occasione di socializza-zione. E così quando è arrivato ilfatidico giorno, in molti si sono af-frettati a comunicare la notizia viablog e Twitter, ottenendo in rispo-sta una forte solidarietà da partedella community: «Ora sono abba-stanza risollevato dal flusso dimessaggi su Twitter», ha confessa-to uno sviluppatore di Yahoo.

    Ma c'è stato anche chi è andatooltre: la consulente Michelle Chap-pel ha radunato la sua band coun-try e ha registrato una canzonesui licenziamenti in corso. Il videoè finito su YouTube con il titoloinequivocabile Screw you Yahoo(«Fottiti Yahoo»), raccogliendocentinaia di commenti e cataliz-zando le illusioni tradite di miglia-ia di lavoratori hi-tech. Dopo l’eu-foria 2.0 e l’illusione di una rivolu-zione anche nei rapporti di lavoro(all’insegna dell’informalità e del-la condivisione dei guadagni), èbastato un minimo accenno di cri-si perché tutti i colossi della Sili-con Valley riscoprissero parole (ri-strutturazione, licenziamenti) chefanno molto old economy. Maga-ri si prova a indorare un po' la pil-lola, come conferma il memo in-terno di Yahoo, scovato daGawker.com e subito rilanciatoonline. Una vera e propria guidaal licenziamento 2.0 perfetto, consuggerimenti dettagliati su comedare l’annuncio («Vai direttamen-te al punto e non metterla sul per-sonale. Non dire che non sei d'ac-cordo con la scelta»), le promesseda non fare («Un giorno potrestitornare qui») e le battute infelicida evitare («Beh, avrai più tempoper andare in vacanza»).

    Non solo Yahoo, comunque. Sei vecchi dinosauri hi-tech (Sony,Motorola, Dell, Nokia) hanno tuttiannunciato pesanti ristrutturazio-ni, per la prima volta l'onda dellacrisi è arrivata a toccare anche uncolosso come Google. Brin&Pagehanno dovuto dismettere i pannidei «buoni della Silicon Valley»(«Don't Be Evil» - «Non fare delmale» - è il loro motto aziendale)e avviare un gigantesco piano di li-

    cenziamenti: si è iniziato con die-cimila «temps», ovvero i lavoratoriprecari, a cui non è stato rinnova-to il contratto per il 2009, e ora sisono aggiunti altre 100 unità. «An-che Google ha perso l'innocenza»è stata la prima reazione in rete.Molti «perms» (quelli cioè a tem-po indeterminato) stanno temen-do il peggio: alcune sedi sono sta-te dismesse; non c'è più la lusingadelle stock options (ovvero la con-divisione dei guadagni aziendali)dopo che i titoli in borsa sono pre-cipitosamente crollati (da 700 a300 dollari); c’è già chi sta migran-do verso altre spiagge (vedi Face-book). Come dire, anche nel cam-pus dei sogni di Mountain View lapsicosi inizia a serpeggiare, maforse in maniera più velata e omer-tosa rispetto a quanto è successoaltrove.

    Se soffre il gigante Google, figu-rarsi come possono sentirsi tantepiccole start-up dalle mille pro-messe e senza nessun dollaro incassa: i venture capitalist inizianoa dileguarsi e migliaia di program-matori sono già stati messi allaporta. Ma le speranze non sembra-no ancora perse: in rete si spreca-no i consigli su come trovare unanuova occupazione e sopravvive-re alla crisi.

    Robert Scoble (uno dei più se-guiti blogger statunitensi) ha re-datto una guida ad hoc su Cometrovare un lavoro con i socialnetwork se sei stato licenziato, incui consiglia di puntare tutto sullapropria sfera di contatti online.Stessa cosa avviene su Facebookdove sono nati decine di gruppi,molti anche italiani, del tipo «di-soccupati con la laurea»: spesso di-ventano veri e propri sfogatoi incui condividere il malumore, lesperanze o le dritte («c'è questaazienda che sta assumendo»). Direcente Business Week ha intercet-tato il fenomeno e in un articoloha parlato di Facebook come nuo-vo «terapista in tempi di recessio-ne»: gli psicologi consigliano l’usodi questi strumenti per superarelo shock e sentirsi meno soli.

    Resta tutto da vedere, invece,quanto il web 2.0 possa servireper trovare un nuovo lavoro. Leaspettative ci sono tutte: il socialnetwork professionale LinkedInha visto impennare il numero diiscritti negli ultimi mesi, mentre iserver governativi Usa sono anda-ti in tilt a dicembre all'aperturadelle iscrizioni online per ottenereil sussidio di disoccupazione.

    Di tutto ciò, ovviamente, nestanno approfittando anche i cy-bercriminali che, con il solito tem-pismo, hanno iniziato a utilizzarele espressioni «Assunzioni», «Invia-mi il tuo cv» ecc. per far abbocca-re ai messaggi di spam. Niente dinuovo, ma anche questo (la casel-la mail piena di falsi annunci di la-voro) è un altro segnale della Gran-de Depressione 2.0.

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    Licenziativersione 2.0

    «IL BOOM DEI SITIWEB ANTI-CRISI

    Non solo Yahoo, anche

    i vecchi dinosauri hi-tech

    (Sony, Motorola, Dell,

    Nokia) hanno tutti

    annunciato pesanti

    ristrutturazioni,

    e per la prima volta

    l'onda della crisi

    ha raggiunto anche

    un colosso come Google,

    che ha avviato

    un gigantesco piano

    di licenziamenti

    8) ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009

  • Forse il futuroè dei cybersovietdi Alessandro Delfanti

    Mentre il mondo di internet subiscela crisi, i licenziamenti delle aziendedel web 2.0 ci fanno scordare quel-l’economia aperta, fondata sullacooperazione e sulla condivisione,post-capitalista ma non gerarchicacome quelle socialiste, sognata da-gli entusiasti della rete. La realtà èben più prosaica: lavoratori (preca-ri) sfruttati e licenziati alla primanube che oscura un po’ i profittistellari delle imprese.Eppure continuano a uscire libri cheillustrano le magnifiche sorti e pro-gressive dei lavoratori della cono-scenza. L’ultimo è L’economia dellaconoscenza oltre il capitalismo, diEnrico Grazzini (Codice edizioni),recensito la settimana scorsa suquesto giornale. Grazzini riprende letesi dei neoliberali fiduciosi nellevirtù di internet come Yochai Benk-ler, autore di La ricchezza della rete,o di Richard Florida, il teorico dellaclasse creativa, assegnando ai lavo-ratori della conoscenza un ruolo ditrasformazione nello sviluppo delledinamiche del capitalismo. Altroche classe operaia, è in sintesi laloro tesi; saranno i nerd che lavora-no allo sviluppo del software, i desi-gner, gli abitanti della rete a salvareil mondo, abituati come sono a usa-re gli strumenti della cooperazioneonline, e a far circolare liberamentei mezzi di produzione della societàdella conoscenza: ovvero, informa-zione e saperi. E tutto in barba alleleggi sul copyright. Ma non ditelo aun programmatore licenziato, a unlavoratore di una casa editrice chealla fine dei suoi tre mesi di contrat-to non sa dove sbattere la testa, o aun ricercatore precario espulso dal-l’università dopo essere stato paga-to pochi euro al mese per fare illavoro di un barone che non mettepiede in ufficio da anni.Andrea Fumagalli, economista del-l’Università di Pavia e autore di Bio-economia e capitalismo cognitivo(Carocci) sottolinea l’importanza del-la divisione del lavoro: «Quella deilavoratori della conoscenza non èuna classe omogenea. C’è una gran-de differenza tra chi gestisce cono-scenza e informazione, i più colpitidalla crisi, e chi le produce e fa inno-vazione». Per esempio «il settore diricerca di un’impresa farmaceuticanon subirà grossi cambiamenti, datoche fa parte dell’assetto strategicodell’impresa. Invece l’attività lavorati-va legata a commercializzazione,marketing, editoria è più a rischio».Anche in grandi imprese comeYahoo, infatti, «alcuni lavoratori pos-sono diventare superflui nei momen-

    ti di crisi. Nelle fasi di espansionetutti crescono, mentre ora vengonolicenziati quelli che gestiscono l’infor-mazione creata da altri, come avvie-ne per esempio nei call center». Se-condo Fumagalli creare «una rappre-sentanza sindacale dei lavoratori del-la conoscenza è molto difficile per-ché svolgono mansioni molto indivi-dualizzate, anche se usano un benecomune sociale come la conoscenza.Per questo non hanno una soggettivi-tà comune». Certo, la crisi potrebbeaccrescere la coscienza di questasoggettività: «Ti accorgi che le tueconoscenze non sono valorizzate masfruttate e gettate» e che devi trovare«forme di autorganizzazione, per oraallo stato embrionale», e che nonpassano solo dall’orario di lavoro.Per esempio, quando siamo onlineproduciamo gratuitamente ricchez-za che finisce nelle tasche dei solitinoti, le aziende del web: si pensi

    alla massa di utenti della rete chepubblica contenuti su YouTube oscrive recensioni su Amazon o eBay.Imprese dai lauti profitti che hannoal centro del loro modello di busi-ness lo sfruttamento di queste attivi-tà ma non garantiscono loro alcunriconoscimento, come sostiene Car-lo Formenti nel suo Cybersoviet (Raf-faello Cortina), dedicato proprioall'economia del web 2.0. SecondoFormenti il rischio è che le culturedella rete non si rendano conto dicome «sfera pubblica e privata ven-gono riassorbite nella sfera dellaproduzione e dello scambio», ri-schiando di consegnare ciò che re-sta della rivoluzione di internet nellemani del mercato.

    www.totem.to

    Il Presidente del Governo spagno-lo, José Luis Zapatero, presenta«Plan E» (Plan español de estimu-lo de la economia y del empleo),neonato sito, con aggiornamentivia Twitter, dedicato solo alla crisie a come combatterla.Nel video di presentazione, unoZapatero fermo e rassicuranteillustra nei dettagli le prossimemosse dell'Esecutivo per affronta-re la recessione, focalizzandol'attenzione soprattutto sulla va-riabile occupazione e spiegandopoi le strategie politiche per so-

    stenere le fami-glie, la piccola emedia impresa, il

    sistema finanziarioe la modernizzazio-

    ne dell'economia.«La ricetta per essere

    più forti - spiega il pre-mier spagnolo - è creare

    impiego».Nel video il primo ministro

    chiede un'esplicita collabora-zione al proprio popolo, ripa-

    gandolo con una comunicazionechiara e particolareggiata delle82 (fino ad ora) manovre adotta-te dall'Esecutivo per affrontare leemergenze.Ma l'aspetto più interessante è lapresenza di cortometraggi giratida attori, con l'intento di rappre-sentare storie di ordinaria norma-lità, spingendo i connazionali aidentificarsi nei vari scenari pro-posti per districarsi nei molti voltidella crisi e per conoscere (equindi sfruttare) le agevolazioniesistenti.Ci sono i numeri dell'economiaspagnola, le manovre reali, gliobiettivi e le promesse, come lacreazione di 300 mila posti dilavoro che a noi italiani potrebbericordare qualcosa di già visto.In tutti i casi la parola più nomina-ta da Zapatero è «empleo» (im-piego), seguita a ruota dal termi-ne «cittadini».

    (Emanuela Di Pasqua)

    LA RICETTAZAPATERO

    MERAVIGLIOSO

    Italia, 2008, 4’, musica: Negramaro, regia:

    Giovanni Veronesi, fonte: All Music, Mtv, Video

    Italia

    6Si fonda su un lunguaggioclippettaro piuttosto superfi-ciale questo video dei Ne-gramaro (band nostrana certo nonmemorabile per i suoi music video). Agirarlo è Giovanni Veronesi, semplice-mente perché il famoso brano di Mo-dugno rivisitato dal gruppo pugliese, èanche la colonna sonora del suo filmItalians: si spiega così la presenza,piuttosto inutile, di Verdone e Scamar-cio che, insieme a Castellitto (qui as-sente), fanno parte del cast. La loca-tion è il tetto di un palazzo (basta,non se ne può più!) dell’Eur, da cuispicca il Palazzo della Civiltà e del La-voro. Il bianco e nero vorrebbe render-lo più in sinergia con l’architetturametafisica del Ventennio, ma il risulta-to resta mediocre.

    GOLDEN AGEUsa, 2008, 3’40”, musica: Tv on the Radio, regia:

    Petro Papahadjopoulos, fonte: Mtv Brand New

    7Un paesaggio montuososmaccatamente artificialericostruito in studio. Sulcucuzzolo di una montagna i cinquecomponenti dei Tv on the Radio ese-guono il brano assumendo varie sem-bianze: all’inizio compaiono in scenacome monaci dal sajo bianco, nell’epi-logo con teste di animali montanol’uno sull’altro fino a raggiungere unarcobaleno. Sulla montagna di frontedanzano - come un pendant visivo -cinque poliziotti con le divise delNypd. Un surreale video dalle atmosfe-re un po’ new age (e del resto il titolodel brano è Golden Age) e dalla com-plessa simbologia mistica: se qualcu-no volesse provare a interpretare itravestimenti e le azioni che si susse-guono, potrebbe scriverci una tesi dilaurea. Al di là dei reconditi significatiil video rimane godibile e divertente.

    I HATE HATEGiappone, 2002, 1’40”, musica: Cornelius, regia:

    Koichiro Tsujikawa, fonte: www.Youtube.com

    7Gocce e colature di liquidoazzurro su un fondo dellostesso colore, oppure divernice bianca sempre su un fondoazzurro, creano suggestivi effetti didripping. Ma le macchie di vernice, aun certo punto del clip, si animanodando vita ad alcune composizioni:un uomo che corre, un uccello chevola. Poi, nuovamente, il clip ridiventaun quadro astratto in progress. Brevema intenso questo I Hate Hate, unodei tanti lavori realizzati da Tsujikawaper il musicista nipponico Cornelius (ilsuo vero nome è Keigo Oyamada), exleader dei Flipper’s Guitar.

    THE CHILDFrancia, 1999, 3’15", musica: Alex Gopher, regia:

    Antoine Bardou-Jacquet, reperibilità: Mtv Brand

    New, www.youtube.com

    9Una donna sta per partoriree deve attraversare di corsala città in taxi per raggiunge-re l’ospedale. Questa è la trama di TheChild, ma la particolarità del video èche è completamente composto dalettering, ovvero le strade, gli edifici, iveicoli, l’arredo urbano di quella che èchiaramente New York, hanno la for-ma delle parole corrispondenti (coinci-denza assoluta tra significato e signifi-cante). Così il taxi è la scritta «taxi»che corre a tutta velocità, scortato dadue poliziotti in moto (la scritta «Spe-ed Cop»), l’ospedale è un edificio aforma di H con l’insegna «Central Ho-spital». Durante il tragitto si scorgedall’alto il ponte di Brooklyn o il Gug-genheim, sempre esplicitamente no-minati. Davvero geniale questa sortadi alphabet city, visualizzata il termini«letterali» e creata al computer daBardou-Jacquet. Con lo stesso stile etecnica il regista francese ha realizzatoanche lo short pubblicitario «T-Words»per Vodaphone.

    di Bruno Di Marino

    ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009 (9

  • 10) ALIAS N. 4 - 24 GENNAIO 2009

    SEGUE DA PAG

    APPALOOSADI ED HARRIS; CON ED HARRIS, VIGGO

    MORTENSEN. USA 2008

    7New Mexico, 1880. Virgil,uomo di legge (Ed Harris) eEverett (Viggo Mortensen)dividono un'antica complicità e il reci-proco rispetto di chi ha vissuto moltastoria insieme. Il «cattivo» è JeremyIrons e la bella una furbetta Renée Zel-lweger, ovvero la vedova Allison French,che irrompe tra i due eroi cercando diminarne la cementatissima unione.«Appaloosa» è una dichiarazione d'amo-re al western più classico. Nei suoi foto-grammi scorre il John Ford di Sfidainfernale (1946), e forse perché Har-ris ama pure il Sergio Leone di C'erauna volta il West, questo suo westernè anche molto attuale - per ritmi, co-micità, battute, gesto - con un'ironiaallegra e irriverente che spiazza lesituazioni più canoniche del genere.(c.pi.)

    AUSTRALIADI BAZ LUHRMANN; CON HUGH JACKMAN,

    NICOLE KIDMAN. AUSTRALIA USA 2008

    5In Australia sino agli anni'70 i sanguemisto figli diaborigene e bianchi veniva-no braccati dalla polizia per esserefatti sparire e affidati a istituzioni reli-giose. Hugh Jackman, ruvido e senza ipregiudizi degli altri bianchi, è vedovodi un'aborigena, inevitabile che si fac-cia carico di trasportare le mandrie dilady Nicole Kidman a Darwin dovel'esercito in procinto di guerreggiareha bisogno di cibo. «Australia» si dilun-ga per due ore e mezzo nel raccontarestorie già viste e forse il limite di tuttal'operazione è proprio questo: volermettere nel calderone un po' troppo.La segregazione, i magnati criminali,gli aborigeni che sanno magie a noiignote, quelli maltrattati dall'uomobianco, la guerra, il tutto intriso di no-stalgia per i western d'altri tempi. (a.ca.)

    IL GIARDINO DI LIMONIDI ERAN RIKLIS CON HIAM ABBASS, DORON

    TAVORY. ISRAELE, GERMANIA, FRANCIA GB 2008

    8Bellissimo (e non allineato)film israeliano, lucido apolo-go sul conflitto in Palestinache mette in guardia il prossimo gover-no di Tel Aviv dal proseguire nella poli-tica di isolamento dal mondo e di con-tinuo autoimprigionamento. Agrodol-ce, racconta la battaglia indomita edisperata (avvenuta davvero) di unadonna palestinese per salvare dalleruspe armate di Tel Aviv i suoi alberidi limone ereditati dal padre che persfortuna si trovano in Cisgiordania, eproprio di fronte alla villa dal ministrodella difesa. Selma troverà al suo fian-co solo donne, abitanti di serie b diuna stessa terra. (r.s.)

    MATRIMONIOALL'INGLESEDI STEPHEN ELLIOT CON JESSICA BIEL, COLIN

    FIRTH, GB 2008

    7Incursione lieve, caustica edirompente nel Cinema piùclassico, che permette alregista del memorabile Priscilla, laregina del deserto di scatenarsi anco-ra una volta nelle sue ariose «rivisita-zioni», qui la commedia british connobili decaduti, castelli, conversazionifutilissime, ricerche affannose di mari-ti. Miscela sapiente di teatralità (NoëlCoward) e di iconografie codificate.(c.pi.)

    MILKDI GUS VAN SANT; CON SEAN PENN, DIEGO

    LUNA, EMILE HIRSCH, JAMES FRANCO. USA 2008

    7Film biografico sul consi-gliere comunale HarveyMilk, primo gay dichiaratoa ricoprire una carica pubblica e lalotta per i diritti omosessuali annisettanta. Articolato in un impianto

    classico, meticolosamente ricostruito,in una sovrapposizione di fiction edocumentario. Il film apre con le im-magini di repertorio dell'attuale sena-tore Diane Feinstein (allora presiden-te del consiglio comunale della città)che annuncia la morte di Milk e delsindaco George Moscone, uccisi daun altro membro del municipio, DanWhite, paladino dei «valori di fami-glia». É il 27 novembre 1978, lo stes-so Milk (Sean Penn, in una delle sueinterpretazioni più ricche per abban-dono e sfumature) inizia in voiceover il racconto della sua vita, con leparole del testamento spirituale cheaveva registrato («nel caso fossi assas-sinato»). «Bisogna dare alla gentesperanza», sono le ultime parole cheSean Penn pronuncia davanti al mi-crofono di un vecchio registratore. Ilpensiero di Obama, trent'anni prima.(g.d.v.)

    THE MILLIONAIREDI DANNY BOYLE CON DEV PATEL, AMIL

    KAPOOR. GB USA 2008

    7Tre bimbi (due fratellini euna loro amica) delle perife-ria senza futuro di Mumbay,orfani dopo un crudelissimo pogromanti-musulmano, sopravvivono solograzie all' università della strada e inseguito l'eroe del film, generoso, inna-morato e coraggioso come un divo diBollywood, vincerà «Il milionario» quiztv che gli vale 20 milioni di rupie. Infat-ti il ragazzo risolve, uno dopo l'altro,tutti i quiz del programma e divental'«idolo di tutti i disperati dell'India,anche hindu». Conosce ogni rispostaperché le ha apprese, e ad alto costo,on the road. Boyle affida la parte me-no sorprendente del film alle avventu-re dei disperati «senza famiglia», poisegue la «scala diatonica» ascendenteoccidentale per tenere in struttura ildramma. (r.s.)

    SETTE ANIMEDI GABRIELE MUCCINO; CON WILL SMITH,

    ROSARIO DAWSON, USA 2009

    6Per domare il senso di col-pa di un incidente che am-mazzò l'amata moglie e seialtre persone, Ben Thomas deve quasisostituirsi a dio e salvarne altrettante einizia a applicare il suo piano «salvifi-co» con determinazione. Bianchi oafrican non fa differenza, l'importanteè che siano brave persone. Insommaquel vorrei essere il presidente di tuttidetto da Obama il giorno della sueelezioni Gabriele Muccino lo stravolgein senso cristiano (colpa e redenzio-ne). Il piano si inceppa quando Benincontra la cardiopatica Emily (Daw-son). A Muccino va riconosciuto muo-versi con padronanza visuale sul setamericano, appropriandosi qui piùche La ricerca della felicità di internie esterni con il giusto occhio per di-mensioni, ritmi, paesaggi. Peccatoperò che questa capacità non regaliqualcosa in più. (c.pi.)

    STELLADI SYLVIE VERHEYDE; CON LÉORA BARBARA,

    BENJAMIN BIOLAY. FRANCIA 2008

    7Siamo nel 1977, Stella èuna ragazzina proletaria trale alunne molto «perbene»del liceo snob che vanno a dormirealle otto di sera e non guardano latelevisione, ma è sveglia, carina, ab-bastanza ironica per guardare quelmondo dietro la facciata, e conqui-starlo. Racconto quasi classico di for-mazione, è anche un film sulla scuo-la come luogo di scontri e al tempostesso di importanti scoperte. (c.pi.)

    TONY MANERODI PABLO LARRAÍN; CON ALFREDO CASTRO,

    AMPARO NOGUERA, ELSA POBLETE, HÉCTOR

    MORALES, PAOLA LATTUS. CILE 2008

    8Durante gli anni della ditta-tura di Pinochet, (il Cile del1978), mentre regna undiffuso clima di paura, Raúl Peraltacinquantenne analfabeta è ossessiona-to solo dalle sue esibizioni in unosquallido bar, dove perfeziona contrasporto mistico l’imitazione di TonyManero (John Travolta) nella Febbredel sabato sera, film di grande succes-so all’epoca, con l’obiettivo di parteci-pare a uno spettacolo tv dedicato aisosia («Yo soy Tony Manero!»). Lar-rain intreccia genialmente questa am-bientazione di «sogno americano deipoveri» nel quadro generale del pae-se, dove questo personaggio assaipericoloso nella sua ottusità crimina-le, agisce indisturbato mentre la poli-zia è impegnata nella caccia al sovver-sivo. (s.s.)

    VALZER CON BASHIRDI ARI FOLMAN; ANIMAZIONE. ISRAELE,

    FRANCIA, GERMANIA 2008

    2Documentario di animazio-ne sul massacro di Sabra eChatila dell'israeliano AriFolman, militare diciannovenne nell’82a Beirut che 25 anni dopo, tormentatodai fantasmi della mente decide diesplorare il suo passato alla ricerca diun'assoluzione per aver partecipato almassacro di donne, bambini anziani.Forma espressiva inconsueta, il carto-ne animato, per raccogliere le testimo-nianze dei commilitoni, disegnati incaricature essenziali (Yoni Goodman)con nome cognome e voce. Ma eccoche Folman passa dal rimorso alla con-traffazione della Storia. I ricordi sonopieni di buchi neri: «Le milizie falangi-ste cristiane sono totalmente responsa-bili del massacro. I militari israelianinon erano al comando», sostiene. Inquanto ad Ariel Sharon, allora ministrodella difesa, se c'era dormiva. Un geno-cidio, che non è ancora finito. (m.c.)

    VUOTI A RENDEREDI JAN SVERAK; CON ZDENEK SVERAK, DANIELA

    KOLAROVA. REPUBBLICA CECA 2008

    7Una coppia imbattibile,padre e figlio Sverak: il pa-dre sceneggiatore e anima-tore di cultura durante la «Primaveradi Praga», il figlio abile affabulatore ecampione di incassi. Mettono in scenadopo Kolja (premio Oscar), una malin-conica commedia della terza età, inter-prete principale sempre Zdenek Sve-rak, professore che, stanco di alunnidementi, decide di andare in pensio-ne e cerca un altro lavoro, finché, as-sunto alla resa delle bottiglie di unsupermercato inizia ad avere quelrapporto vitale con i clienti che fa tan-to bene alla sua fantasia, mentre lamoglie sospetta (giustamente) chefarebbe di tutto pur di non stare acasa accanto a lei. Rimandi di grandespirito ai vecchi tempi del comunismoe all’inarrivabile cinema di quel perio-do. (s.s.)

    YES MANDI PEYTON REED, CON JIM CARREY, ZOOEY

    DESCHANEL. USA 2008

    7Batterista deejay Pyton Re-ed si diverte con Jim Carreyin questa commedia dallepiù sofisticate e strampalate trovate.Carrey qui è Carl Allen, tipico borghesemedio che a un certo punto della vitasi convince di dire sempre di Sì, a tuttie a tutto. Quando inizierà però a con-cedere mutui proprio per progetti im-possibili, diventerà l'idolo dei suoi ca-pi, perché la micro imprenditoria, inquesto mesi di bolle, è l'unica praticaanticrisi. È il guru dello «Yes» che lo haguarito (un carismatico TerenceStamp), o almeno modificato, duranteun summit (parodia di Scientology)aprendo le sue pulsioni e dando ariaai più segreti desideri. Ha reso il suoagire positivo estremista e charmant,massimalista e godibile. (r.s.)

    ITALIANSDI GIOVANNI VERONESI; CON CARLO VERDONE, SERGIO

    CASTELLITTO, RICCARDO SCAMARCIO. ITALIA 2009

    Gli italiani in due episodi. Fortunato traspor-ta Ferrari (rubate? no, patrimonio dell’umani-tà) negli Emirati Arabi per conto di una dittae porta con sé il giovane Marcello che è inprova e per sostituirlo. Giulio è un dentistaricco, separato e assai depresso in procintodi partire per un convegno in Russia dovenon ha nessuna voglia di andare. Il suo ami-co Fausto lo sprona a non perdere l’occasio-ne di una settimana di sesso facile. Nel castci sono anche Ksenia Rappoport, Remo Giro-ne, Dario Bandiera. Giovanni Veronesi inricognizione contemporanea sulla nuovagenerazione di italiani (dopo averne a lungo scritto dalla fine degli anni ottanta perPieraccioni, Ceccherini, De Sica), averne valutato le preferenze vacanziere e gustisessuali, dopo averne valutato le qualità sentimentali in Manuale d’amore e Manua-le d’amore 2, ci promette qui una carica maggiore di cattiveria, come si addice al suospirito toscano. (s.s.)

    ARTE IN MEMORIASINAGOGA OSTIA ANTICA E AREA ARCHEOLOGICA

    La rassegna di arte contemporanea a cura diAdachiara Zevi, organizzata dalla FondazioneVolume! e realizzata in occasione della Gior-nata della Memoria presso la Sinagoga diOstia Antica, è giunta al suo quinto appunta-mento. Per quest’anno (25 gennaio-25 mar-zo) sono stati invitati Marco Bagnoli, DanielBuren (nella foto «Transmutation, d'une mo-saïc à l'autre»), Gianni Caravaggio e SusanaSolano. L’idea è quella di trasformare unluogo di culto in luogo di cultura così dacombattere con i segni della contemporanei-tà il pericolo dell’oblio. L’iniziativa - natasulla scia dell’esperienza della Sinagoga diStommein, a Colonia, dove dal 1990 ogni anno un artista viene invitato a creare unlavoro originale - ha permesso di formare una collezione in una importante areaarcheologica, con le donazioni di autori come Sol Lewitt e del portoghese Pedro Ca-brita Reis. Domani, 25 gennaio, alle ore 12,30 durante l’inaugurazione della mostra,Alvin Curran eseguirà un intervento musicale con shofar e computer. (a. di ge.)

    I FESTIVAL DI CINEMA ELETTERATURALATINOAMERICANAROMA, 29 - 1 FEBBRAIO, CASA ARGENTINA, CASA DEL

    CINEMA, NUOVO CINEMA AQUILA

    La prima edizione del Festival di cinema eletteratura latinoamericana, organizzato dal-l’associazione Nuovi Orizzonti latini, ha inprogramma film ispirati a opere letterarie oalla vita di scrittori latinoamericani comeSuor Juana Inés de la Cruz, Gabriela Mistral,Jorge Luis Borges, Julio Cortázar, César Val-lejo, Juan Rulfo, Carlos Fuentes, José MaraArguedas e Octavio Paz. Ospite d’onore èl’attrice messicana Ofelia Medina (nella foto)conosciuta internazionalmente per la suainterpretazione di Frieda Khalo e per i suoi ruoli da Carlos Fuentes (Muñeca Reina),da Gabriel García Márquez ( Patsy, mi Amor), conosciuta anche per il suo impegnoumanitario nella difesa delle comunità indigene del Messico. L’attrice terrà un recitalsulla vita e le poesie di Frida Khalo, di Suor Juana Inés de la Cruz e di Rosario Castel-lanos. L’evento conta sull’alto patronato della Presidenza della Repubblica (s.s.)

    LA PUBBLICITÀ AL CINEMANEGLI ANNI CINQUANTADI ANTONINO BUTTITTA (ED SELLERIO, EURO 35)

    Quando la pubblicità non era ancora cosìraffinata né costava quanto il film che ac-compagnava nelle sale cinematografiche,si proiettavano le diapositive, spesso dise-gnate da grandi illustratori come Boccasileo Tabet. Questo libro raccoglie quelle pro-iettate nelle sale dell’Italia meridionaledegli anni cinquanta. Con una prefazionedi Giovanni Puglisi e una nota di AlbertoAbruzzese, il testo di Buttitta racconta i«Sogni figurati» in un saggio che esamina iltessuto sociale di Palermo, nella neo costi-tuita Regione siciliana (1947), crescita de-mografica, ripresa dell’attività economica del dopoguerra, con i nuovi marchi de-positati e un conseguente fervore pubblicitario che si evidenzia in un centinaio didiapositive a colori delle più svariate marche che riportano irresistibilmente allostile dell’epoca («la nobile birra...il burro freschissimo...ore gaie e liete....una notadi eleganza...i tessuti più nuovi...il giornale più moderno dell’isola...») (s.s.)

    antonellocatacchio

    mariuccia ciottagiulia d’agnolo

    vallancristina piccinoroberto silvestrisilvana silvestri

    IL LATINOAMERICA

    LA PUBBLICITÀ

    LA MOSTRA

    IL FILM

    SINTONIESEGUE DA PAGINA 6

    Dai poster «action», testostoronicie tentacolari che, all’anteprimanewyorchese, l’estate scorsa, han-no piazzato in fila centinaia di«Brookstreet Pictures»-adepti, allereazioni di acclamo e stupore per-venute durante la proiezione delfilm canadese all’ultimo Slamdan-ce Film Festival. Jack Brooks èpassato al rango di cult con solisei giorni di proiezione-base aManhattan e immediato approdosugli scaffali in dvd. Di lì a poco,complici il passaparola e la socie-tà di noleggio Netflix, i tre fortuna-ti membri di Bookstreet (il registae sceneggiatore Jon Knautz, l’idea-tore Patrick White, qui anche investe di produttore, e Trevor Mat-thews, attore protagonista che,co-scrivendo la storia, ho plasma-to il personaggio a sua immaginee somiglianza), hanno ereditatola fama dei capolavori con cuisono maturati.Per Matthews, Braveheart e IlGladiatore, per White Guerre Stel-lari, per Knautz Nightmare – Dalprofondo della notte e, in partico-lare, i film noir e di spionaggio invoga negli anni ’40. Pellicole at-tuali o immortali per artisti giova-nissimi: Matthews ha appena 25anni; Knautz, 28; White, 31.Avvincente la genesi del film:Knautz e White hanno frequenta-to insieme la Vancouver FilmSchool – raccontano al magazines