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ESEMPI DI ARCHITETTURA Spazi di riflessione 10

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esempi di architettura

spazi di riflessione

10

DirettoreOlimpia NiglioKyoto university, Japan

Comitato scientificotaisuke KurodaKanto Gakuin university, Yokohama, Japan

rubén hernández molinauniversidad Nacional, Bogotá, colombia

alberto parducciuniversità degli studi di perugia

enzo sivierouniversità iuav di Venezia, Venezia

alberto spositouniversità degli studi di palermo

Karin templinuniversity of cambridge, cambridge, uK

Comitato di redazioneGiuseppe de Giovanniuniversità degli studi di palermo

marzia marandolasapienza università di roma

mabel matamoros tumainstituto superior politécnico José a. echeverría, La habana, cuba

alessio pipinatouniversità degli studi di padova

Bruno peluccauniversità degli studi di Firenze

chiara Visentinuniversità degli studi di pisa

esempi di architettura

La collana editoriale esempi di architettura nasce per divulgare pubblicazioni scientifiche edite dal mondo universitario e dai centri di ricerca, che focalizzino l’attenzione sulla lettura critica dei proget ti. si vuole così creare un luogo per un dibattito culturale su argomenti interdisciplinari con la finalità di approfondire tematiche attinenti a differenti ambiti di studio che vadano dalla storia, al restauro, alla progettazione architettonica e strutturale, all’analisi tecnologica, al paesaggio e alla città. Le finalità scientifiche e culturali del progetto eda trovano le ragioni nel pensiero di Werner heisenberg premio Nobel per la Fisica nel 1932.

… È probabilmente vero, in linea di massima, che nella storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso nei punti d’interferenza tra diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in diversi tempi ed in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse veramente si incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine ad un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguire nuovi ed interessanti sviluppi.

spazi di rif lessione

La sezione spazi di rif lessione della collana eda, esempi di architettura, si propone di contribuire alla conoscenza e alla diffusione, attraverso un costruttivo confronto di idee e di esperienze, di attività di ricerca interdisciplinari svolte in ambito sia nazionale che internazionale. La collana, con particolare attenzione ai temi della conservazione del patrimonio costruito nonché dell’evoluzione del processo costruttivo anche in ambito ingegneristico, è finalizzata ad approfondire temi teorici e metodologici propri della progettazione, a conoscere i protagonisti promotori di percorsi evolutivi nonché ad accogliere testimonianze operative e di attualità in grado di apportare validi contributi scientifici. Le attività di ricerca accolte nella collana eda e nella sezione spazi di rif lessione possono essere in lingua straniera.

Il volume è stato sottoposto a una procedura di revisione e valutazione da parte di due docenti universitari

marco riccardi

Dottrina e operatività “nel restauro” e “oltre il restauro” in Francia

rapporti e confronti con l’italia dalla conferenza di atene

al congresso di parigi. 1931-1957

© Marco Riccardi

Copyright © MMXIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–6525–9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

Le immagini distinte dalla sigla MAP sono pubblicate su gentile concessione della Médiathèque de l’Architecture et du Patrimoine,

Ministère de la Culture et de la Communication, Paris, France.

I edizione: ottobre 2013

a Remo e Maria,

Françoise, Giulia e Sandrine

Indice

Indice

PresentazioneRestauro tra Italia e Francia. Una dialettica continua allʼinterno della cultura europeadi Calogero Bellanca 1

Ringraziamenti 5

Note di redazione 6

Introduzione 7

1.0. Inquadramento retrospettivo 15

1.1. Gli antecedenti (1790-1900) 19

1.2. I precedenti (1900-1930) 25

1.3. Due vicende di restauro dopo la Prima Guerra mondiale: Reims e Arras 331.3.1. Reims 351.3.2. Arras 491.3.3. Atteggiamenti della Prima Ricostruzione 55

1.4. La situazione coeva in Italia 57

1.5. Alle soglie della Conferenza di Atene 69

2.0. La Conferenza internazionale di Atene del 1931 71

3.0. Gli anni 1930 99

3.1. Le iniziative degli anni 1930 in Francia 1013.1.1 Il Congrès archéologique de France del 1934 1013.1.2 Il Musée des materiaux e lʼOffice de documentation 1093.1.3 LʼExposition internationale des arts et techniques dans la vie moderne, Paris 1937 115

3.2. Gli aspetti giuridico-amministrativi negli anni 1930 1213.2.1. La legislazione 1213.2.2. Lʼamministrazione 1223.2.3. Gli organismi operativi 1233.2.4. Gli organi consultivi 1273.2.5. Classement, inscription, recensement 1283.2.6. Gli interventi e il dibattito interno al servizio 130

3.3. Le preesistenze urbane e la città 1333.3.1. La legislazione urbanistica e i servizi amministrativi 1333.3.2. Gli orientamenti e gli interventi 135

3.4. Aspetti della tutela in Italia negli anni 1930 139

3.5. Le preesistenze urbane. Il dibattito in Italia negli anni 1930 147

3.6. La situazione alla fine degli anni 1930 151

Indice

4.0. Il problema dellʼintervento negli anni 1940-1950 155

4.1. Gli aspetti giuridico-amministrativi negli anni 1940-1950 1574.1.1 La legislazione 1584.1.2 Gli organi centrali direttivi e di gestione delle Beaux-Arts 1584.1.3 Gli organi operativi 1614.1.4 Gli organi decentrati 1664.1.5 Gli organi consultivi 1724.1.6 Classement, Inscription, Recensement 175

4.2. Gli orientamenti e il dibattito negli anni 1940-1950 1794.2.1. Lʼambito ufficiale 1794.2.2. Il dibattito parallelo e la ricezione degli interventi 190

4.3. Le preesistenze urbane e la città negli anni 1940-1950 1974.3.1. Gli orientamenti e gli interventi 1994.3.2. Due contributi al dibattito 203

4.4. Aspetti della tutela in Italia negli anni 1940-1950 213

4.5. Le preesistenze urbane. Il dibattito in Italia negli anni 1940-1950 227

5.0. Episodi esemplificativi 237

5.1. Rouen 241

5.2. Lessay 259

5.3. Saint Lô 279

5.4. Valognes 289

5.5. Caudebec-en-Caux 295

6.0. Il nuovo confronto internazionale. Il Congresso di Parigi del 1957 301

7.0. ʻNel restauroʼ e ʻoltre il restauroʼ. Aspetti francesi e italiani 345

Indice dei nomi 357

Indice dei luoghi 365

Abstract (italiano) 371

Abstract (english) 375

Abstract (français) 379

Presentazione

1

Restauro tra Italia e Francia Una dialettica continua all’interno della cultura europea

di Calogero Bellanca

Affrontare lo studio ‘nel restauro’ e ‘oltre il restauro’ negli aspetti francesi e italiani significa entrare decisamente nelle vicende storico-artistiche, urbanistiche e di restauro dell’Europa, seguendole per alcuni decenni del Novecento. Ma non si tratta di anni qualsiasi, bensì di quelli che hanno contribuito a conferire a molte città, in alcuni centri storici e più in particolare ad alcuni monumenti, usiamo ancora questo termine qualche volta considerato desueto, perché esprime una parte fondamentale delle nostre radici culturali, gran parte del volto attuale dei nostri paesaggi europei. Lo studio è articolato in sette capitoli con un ampio apparato documentario e iconografico.

Dopo un’agile parte iniziale sulla storia della conservazione e del restauro in Francia l’autore ripercorre agevolmente le vicende relative alle prime ricostruzioni successive alla prima guerra mondiale, con gli episodi della cattedrale di Reims e la città di Arras. Nel primo episodio apporta di chiarimenti sull’ampio dibattito della ricostruzione, basti rammentare alcune delle riflessioni di Auguste Rodin, Émile Mâle e Paul Léon. Il quale, nel 1922, afferma che “un monumento si restaura, non si sostituisce. L’architetto non è libero di fare altrimenti”. A tal fine si segnala l’adozione delle tecniche moderne per consolidare la reintegrazione dei frammenti dell’angelo di Saint-Nicaise ed emerge la qualità della preparazione degli architecte en chef in particolare di Henri Deneux, come responsabile tecnico e operativo del restauro. Per Arras si affronta la reconstitution del cuore storico della città che vuole ritrovare la propria identità. Si riprende l’art. 12 della legge del 17 aprile del 1919 nel quale si auspica la ricostruzione à l’identique. In questo insieme di interventi emerge la figura di Pierre Paquet, difensore della conservation e del rispetto archeologico, anche se operativamente si procederà con tendenze ripristinatorie, concetti che saranno ripresi poco dopo al Congresso di Atene. Qui si vedrà come la tendenza prevalente sia orientata verso la facciata del Beffroi “nuova fiammante” e allo stesso tempo alla remise en place delle pietre antiche o di sostituzione.

All’inizio degli anni trenta del Novecento la gros œuvre in Francia è terminata e ci si appresta ad un confronto, principalmente tra gli stati europei, passato alla storia del restauro come il periodo della Conferenza Internazionale di Atene del 1931 .

Presentazione

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Riferendosi alla situazione coeva in Italia, nel dibattito sui criteri della ‘distinguibilità’, del ‘minimo intervento’ e di ‘nuda semplicità’ si colgono i diversi atteggiamenti presenti nei due Paesi. Così l’autore rende bene evidente la differenza tra una concezione dell’autenticità che in Italia è espressa in nome del rispetto materiale della preesistenza nelle sue diverse espressioni artistiche, mentre in Francia essa è considerata valida solo per i monumenti dell’antichità, i cosiddetti monumenti morti; al contrario, per quelli ‘vivi’, si deve conservare all’opera l’esprit, il caractère, o meglio un suo dato immateriale. Di conseguenza mentre in Francia si preferisce l’impiego di materiali tradizionali per le parti in vista, dissimulando l’adozione di quelli moderni, in Italia si procede attraverso la valutazione di ogni singolo monumento.

Nei capitoli centrali Marco Riccardi riserva un’ampia parte del volume alla disamina degli aspetti giuridico-amministrativi, al Service des monuments historiques e alla formazione degli architectes en chef nella quale precisa che la preparazione dei tecnici del restauro è indirizzata “a forgiarne le capacità operative verso la preesistenza da restaurare, un atteggiamento pragmatico piuttosto che teorico-metodologico”.

Il libro dimostra la sua validità scientifica continuando ad approfondire lo studio con un’attenta indagine sugli interventi successivi alla seconda guerra mondiale attraverso una casistica esemplificativa e un’analisi circostanziata del nuovo confronto internazionale del Congresso di Parigi del 1957. Tra i casi studiati risultano estremamente interessanti la Cattedrale di Rouen (Albert Chauvel), l’Abbaziale di Lessay (Yves Marie Froidevaux), l’insieme degli interventi a Saint-Lô, in particolare la Collegiata Notre Dame du Pilier (Froidevaux) e, ancora, Valognes (Froidevaux) e Caudebec-en-Caux.

Possiamo affermare che alcuni degli interventi realizzati si possono considerare come un manifesto del restauro critico in Francia con una dimostrazione delle frequenti relazioni fra i maestri della storia e del restauro tra i due paesi e della grande importanza della successiva Carta di Venezia. Infatti, si ricordino le relazioni personali di Froidevaux con De Angelis d’Ossat e Franco Minissi, con la conoscenza diretta di alcune realizzazioni e, soprattutto, una reciproca stima. E, ancora, di André Chastel con Giuseppe Zander. Sembra opportuno rammentare come l’anziano Froidevaux a Roma, al congresso dell’ICOMOS del 1981, scambiasse sempre qualche parere con Franco Minissi su alcuni interventi effettuati nel passato. La dimostrazione dei frequenti scambi scientifici e culturali di molti nostri maestri è confermata dal Congresso del 1957, che pur evidenzia alcune differenze di fondo. Nella stesura del volume Riccardi analizza le diverse articolazioni delle sei sessioni puntualizzando con vigore le relazioni fra gli interventi di De Angelis d’Ossat e quelli di Merlet e Perchet, quindi riporta i numerosi contributi tra i quali quelli di Zander e Trouvelot, Aubert e Crema, Barbacci e Gazzola.

Presentazione

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Infine è importante sottolineare, come fa lo stesso autore, la totale partecipazione dei congressisti nell’“attirare l’attenzione sul valore dei monumenti … e l’adesione di tutti gli stati membri dell’UNESCO al Centre d’etudes pour la conservation et la restauration des biens culturels a Roma”, creato nel 1956 per una formazione sempre più efficace nel settore della conservazione e restauro .

Concludendo, si può affermare che gran parte degli interventi di restauro si devono alla preparazione, all’intelligenza, all’equilibrio, al senso storico, in una parola, alle capacità e alla cultura dominante nel paese, espressa operativamente dai vari organismi ricordati. Così come dalle figure, alcune ancora mitiche degli architectes en chef che Riccardi chiaramente evidenzia. Si dimostra un lavoro continuo di tutela, conservazione, restauro sul patrimonio esistente con le aggiunte compatibili per permettere di trovare delle soluzioni interessanti e valide anche oggi. Non si vuole qui affermare che tutto sia stato fatto nel migliore dei modi, né che siano mancati errori, ma riconoscere che, comunque, il risultato ottenuto, nel suo complesso positivo, è stato tale anche, e forse soprattutto, per la qualità e l’impegno dei suoi interpreti e realizzatori.

L’autore asserisce di non voler giungere a conclusioni definitive, ma aprire e sostenere una meritevole linea di ricerca, rinnovata con spunti realmente storici e autenticamente liberi; ad essa egli contribuisce con un messe di dati e ricerche notevole, frutto di diversi anni d’indagini svolte con regolarità nei diversi fondi archivistici francesi, oltre che tramite l’interrogazione diretta delle singole architetture. Tutto ciò secondo un metodo che discende principalmente dall’insegnamento di maestri come De Angelis d’Ossat, Giuseppe Zander e Giovanni Carbonara. L’auspicio è che il volume susciti altre ricerche e che lo stesso autore possa presto fornirci ulteriori approfondimenti su fatti e figure del periodo.

E’ nostro compito ringraziare la casa editrice Aracne per la grande competenza e la cura dedicata nella stampa e nell’allestimento del presente volume. Un doveroso augurio, infine, all’autore, per il proseguimento dei suoi studi e per la sua attività presente e futura.

Ringraziamenti

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Ringraziamenti

Il presente studio prende origine dal lavoro svolto nel Dottorato di Ricerca in “Riqualificazione e recupero insediativo”, indirizzo ‘Restauro’, dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, facoltà di Architettura ‘Valle Giulia’. Si ringraziano il Collegio dei docenti, il coordinatore, prof. Spiridione Alessandro Curuni e il prof. Nicola Santopuoli; inoltre, la prof.ssa Lia Barelli, e la prof.ssa Emanuela Belfiore. Si rivolge un particolare ringraziamento al supervisore, prof. Giancarlo Palmerio, per i lunghi pomeriggi impegnati nella discussione sui temi del presente studio. Si esprime una sentita riconoscenza al prof. Giovanni Carbonara che, oltre ad aver stimolato negli anni l’interesse per lo studio e la ricerca, ha contribuito a mettere a fuoco e puntualizzare alcuni aspetti strutturali del lavoro. Un vivo ringraziamento va al prof. Calogero Bellanca per i preziosi suggerimenti bibliografici e gli scambi di opinione sugli argomenti di studio; un cordiale grazie al collega Alessandro Pergoli Campanelli che ha avuto la pazienza di leggere il presente contributo nel momento in cui l’immersione nella scrittura del testo impediva una visione distaccata dell’insieme; un grato pensiero anche a Oliva Muratore per alcuni consigli redazionali. Si è riconoscenti alle istituzioni scientifiche francesi presso le quali sono state svolte gran parte delle ricerche documentarie. Si desidera ringraziare il personale della Mediathéque de l’architecture e du Patrimoine (service du ministère de la Culture et de la Communication): il direttore, Jean-Daniel Pariset, con cui si è discusso della ricostruzione dopo la Seconda Guerra; il responsabile generale, Jean-Charles Forgeret, per la disponibilità nel mostrare il funzionamento della struttura e l’assistenza fornita durante le ricerche; così come i responsabili delle sezioni Livres et imprimés, Plans, Photographies, Archives. Un sentito grazie anche al personale della biblioteca dell’Iccrom a Roma. Si ringrazia altresì, all’École de Chaillot (Centre des hautes études de Chaillot), la Direttrice, Mireille Grubert (architecte et urbaniste en chef de l’État), con Claire Windfohr, responsabile del coordinamento pedagogico e Antoine Monpert, incaricato delle actions internationales, cui va una particolare riconoscenza per la cordiale accoglienza e per l’aiuto fornito nell’avvio dei contatti con alcuni studiosi francesi. Si ringrazia il prof. Jean-Paul Midant per le delucidazioni sullo stato degli studi disciplinari in Francia, in particolare su quelli riguardanti l’ambiente urbano storico; inoltre, Françoise Bercé che, pur nei brevi colloqui intrattenuti alla Mediathéque, ha saputo dispensare utili precisazioni su alcune personalità storiche del Service des Monuments historiques. Un riconoscente pensiero va a Franca Malservisi, per aver messo a disposizione la sua tesi di dottorato, La restauration architecturale en France: deux siècles de pratique ordinaire e a Donato Severo, professore all’ENSA Paris Val-de-Seine, per l’amichevole accoglienza e le piacevoli promenades per Parigi, preziosa occasione per uno scambio di opinioni sullo stato dell’architettura, non solo attuale, in Francia. Un affettuoso grazie, infine, a Yvonne e Roger Laurent.

Note di redazione

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Note di redazione

All’interno del testo, molti termini sono riportati in lingua francese, evidenziandoli in corsivo, per cercare di evitare una traduzione che potrebbe spesso rivelarsi rigida, se pedissequamente svolta o, viceversa, troppo interpretativa, se condotta più liberamente, con il rischio di tradire il significato o non cogliere appieno le sfumature del testo originario. Nel corso dello svolgimento, alcuni termini, riferiti specialmente al Service des Monuments historiques come, ad esempio, Monuments historiques, architectes en chef des Monuments historiques, Commission des Monuments historiques ecc., quando non servono a evidenziare una figura istituzionale, sono considerati come acquisiti e non sono più messi in risalto con il corsivo per favorire una lettura più scorrevole. Altre volte, essi appaiono nel discorso in forma abbreviata (es.: architectes en chef al posto di architectes en chef des Monuments historiques). Mentre, invece, se ci si riferisce a figure appartenenti ad altri servizi istituzionali, la loro denominazione è sempre riportata per intero (es.: architectes en chef des Bâtiments de France). Per individuare brevi periodi, come ad esempio un decennio, si prende a prestito l’uso francese di indicarli attraverso le cifre, piuttosto che con la notazione alfabetica. Si adopera, insomma, ‘gli anni 1950’ - più stringato e di facile riconoscimento sintetico - in luogo di ‘gli anni Cinquanta del secolo scorso’ (o del XX secolo) che appare ormai troppo esteso per individuare riferimenti temporali spesso chiamati con continuità a punteggiare il discorso. La traduzione dal francese, dove non diversamente indicato in nota, è condotta dall’autore di questa ricerca che figura come autore delle immagini fotografiche con la sigla MR. Le immagini distinte dalla sigla MAP sono pubblicate per gentile concessione della Médiathèque de l’Architecture et du Patrimoine (Paris).

Introduzione

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Introduzione

«Costatare l’esistenza e fare la descrizione critica di tutti gli edifici del regno che, sia per la loro data, sia per il carattere della loro architettura, sia per gli avvenimenti di cui furono testimoni, meritano l’attenzione dell’archeologo, dell’artista, dello storico, questo è il primo scopo delle funzioni che mi sono confidate; in secondo luogo, devo vegliare alla conservazione di questi edifici indicando al Governo e alle autorità locali i mezzi sia per prevenire sia per arrestare il loro degrado». Con queste parole, Ludovic Vitet, nel Rapport au roi Louis Philippe, del 1832, due anni dopo aver assunto l’incarico d’inspecteur général des Monuments historiques, nel 1830, definisce la natura del suo impegno istituzionale. “Costatare l’esistenza”, il riconoscimento del ‘valore’, e “fare la descrizione critica” dei monumenti sono i primi compiti da affrontare dei quali Vitet specifica tre aspetti differenti, correlati ciascuno a uno specifico campo di studi: la datazione, che compete all’archeologo; il loro caractèrearchitettonico, che spetta all’artista; gli “avvenimenti di cui furono testimoni” che, invece, interessano lo storico. In secondo luogo, quindi solo dopo aver svolto il lavoro storico-critico, è necessario intervenire per assicurare la conservation delle opere attraverso le indicazioni dei “mezzi sia per prevenire, sia per arrestare il loro degrado”. Non sfugge la felice intuizione dell’inspecteur nel definire ‘critica’ la descrizione, cioè lo studio, del monumento. Né può passare inosservato il fatto che tale indagine possa assumere aspetti diversi e, di conseguenza, mettere in risalto ‘valori’ differenti, secondo se è l’archeologo, l’artista o lo storico a condurre la ricerca. Infine, si evidenzia come l’analisi storico-critica sia la premessa irrinunciabile delle scelte di restauro. In effetti, oggi, si è coscienti di come siano la cultura e gli orientamenti della critica d’arte e architettonica a guidare lo studio delle opere e, nei diversi approcci utilizzati, a determinarne i ‘valori’, costruendo così criteri, talvolta opposti, attraverso i quali attuare l’intervento sui monumenti per “vegliare alla loro conservazione”. Lo stato attuale dell’indagine teoretica italiana sul restauro riconosce tre tendenze principali nelle azioni da condurre sulle preesistenze architettoniche: una ‘strettamente conservativa’, una ‘ripristinatoria’, un’altra ancora ‘critico-conservativa’.1 La disparità degli atteggiamenti che

1 La ‘pura conservazione’ dà prevalenza al valore di testimonianza storico-documentale dell’opera

e postula, in linea teorica, la sua intangibilità; si veda DEZZI BARDESCHI, Marco, Restauro: punto e da capo. Frammenti per una (impossibile) teoria, a cura di Vittorio Locatelli, Milano, 1991; inoltre, BELLINI, Amedeo, Teorie del restauro e conservazione architettonica in ID. a cura di, Tecniche della conservazione, Milano 1986. La ‘manutenzione-ripristino’, nella

Introduzione

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gli indirizzi di campo, pur con differenti sfumature al loro interno, assumono rispetto al problema della tutela, dipende dalla diversa considerazione che ognuno di essi attribuisce ad alcuni temi fondativi della disciplina, quali la storiografia artistica e architettonica (nelle loro differenti direzioni d’indagine), il riconoscimento dei valori, il giudizio di autenticità, e condiziona il modo con cui si guarda al monumento prima di intraprendere l’azione di restauro. È quindi compito della storiografia condurre lo studio del monumento, attraverso gli specifici strumenti metodologici disciplinari, per identificarne i significati di storia e arte e giungere a un giudizio critico sull’opera. Naturalmente, la maniera in cui l’indagine storico-critica è eseguita può portare, privilegiando alcune analisi a discapito di altre (ad esempio ponendo l’accento sugli aspetti sociologici rispetto a quelli formali), a dare la preminenza ad alcuni valori e a trascurarne altri, egualmente importanti, di cui l’opera è, invece, portatrice. In questo modo si fornisce una risposta solo parziale alla ricerca condotta e, di conseguenza, si rischia di orientare il restauro verso azioni che, pur inconsapevolmente, possono cancellare qualità che lo studio non è stato in grado di rivelare. Da ciò discende il necessario impegno nella fase di studio e la correlata prudenza nella scelta attuativa (il minimo intervento). Anche il concetto di autenticità si presenta in maniera problematica. La sua natura, infatti, può essere diversa nell’interpretazione che ne danno le culture e le civiltà, con differenze riscontrabili, pur nella comune tradizione, anche all’interno del medesimo ambito europeo o, addirittura, nazionale. Il giudizio di autenticità è perciò condizionato dal significato prevalente che è attribuito all’opera-documento: da quello di testimonianza materiale sulla quale si coagulano nel tempo plurimi valori (per cui agendo sulla materia se ne cancella necessariamente una parte), fino a quello di eco simbolica di valenze ‘ideali’ (che possono quindi essere replicate in un nuovo processo ‘ispirato’ a quello originario). Pertanto, pure quest’aspetto, presentando una natura culturale e interpretativa, richiama la necessaria prudenza. L’autenticità trova altresì la sua identificazione come antitesi al suo contrario, il falso, in un giudizio che è richiesto ogni volta che si è chiamati a valutare lo stato in cui l’opera è pervenuta, oppure quando si deve decidere l’azione concreta da svolgere sul monumento. Le scelte riguardano principalmente i problemi di conservazione o di rimozione delle aggiunte stratificatesi nel tempo e quelli inerenti ai modi con cui eseguire le necessarie integrazioni o gli eventuali inserimenti del nuovo; esse possono riferirsi a una parte dell’opera, all’intero monumento o, ancora, ai suoi rapporti con l’ambiente urbano e territoriale. E, il concetto di autenticità, entra in gioco anche quando si deve esaminare l’opportunità di usare copie, calchi o repliche se i resti dell’originale non possono essere più conservati in situ.

prevalenza dell’istanza estetica, tende alla riconfigurazione del monumento verso un ipotetico stato originario; si veda, tra gli altri, MARCONI, Paolo, Dal piccolo al grande restauro, Venezia 1988. Il restauro ‘critico-conservativo’, nel rispetto delle due valenze, testimoniali e figurative, attraverso una valutazione storico-critica della preesistenza, ammette nel contemperamento delle due istanze, la possibilità d’interventi, seppur minimi, volti a sciogliere nodi configurativi irrisolti. Per un quadro sui presupposti teorici dei tre orientamenti si veda, tra i numerosi contributi, CARBONARA, Giovanni, Restauro fra conservazione e ripristino: note sui più attuali orientamenti di metodo, in «Palladio», n.s., n. 3, 1990, p. 43-76.

Introduzione

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Si tratta di una dialettica concettuale difficile e complessa che richiede l’uso di una terminologia pertinente e in grado esprimere i significati puntuali dei sistemi di pensiero cui si riferisce. L’impiego di un vocabolario appropriato, in grado di trasmettere coerentemente i concetti che esso assume, è spesso indice della consapevolezza con la quale si conducono sia le riflessioni sia le azioni sulle preesistenze.

In Francia, le prime ricerche storiche sui monumenti e sulla loro interpretazione sono condotte da studiosi provenienti dall’École des Chartes, dalle Sociétés d’archéologie, dai circoli savants,2 mentre è raro che gli architetti, formati all’École des Beaux-Arts su altri aspetti della disciplina, approfondiscano gli studi di storia dell’architettura. Agli inizi, la scrittura dei testi, essenzialmente discendente da un pensiero positivista, si rivolge in genere ai grandi monumenti che sono indagati più come ‘opere-tipo’ che come singole testimonianze con i loro peculiari valori. Si tratta di ricerche finalizzate principalmente alla datazione e basate su una visione che permane ancorata alla preminenza assegnata ad alcuni periodi. Comunque, dai primi del Novecento, accanto al gotico, che dall’Ottocento costituisce il riferimento principale dei contributi scritti, insieme al periodo classico (oggetto degli esercizi di ‘restituzione’ alle Beaux-Arts o dei Prix de Rome e delle ricerche condotte dagli istituti archeologici della Francia coloniale), comincia a manifestarsi un’attenzione maggiore per il periodo romanico. In seguito iniziano a precisarsi, per l’Età di mezzo, le prime distinzioni, individuando periodi più circoscritti, quali il tardo antico, l’alto medioevo ecc., il cui approfondimento è poi proseguito da studiosi come Marcel Aubert o Jean Hubert, appartenenti alla Société française d’archéologie, ma anche membri designati della Commission des Monuments historiques. Inoltre, su impulso di Louis Hautecœur, si rivaluta e si studia il classicismo francese sino ai suoi esiti più tardi, senza però affrontare ancora i temi del Barocco. In generale, gli storici d’Oltralpe rivolgono un interesse sporadico ai contributi della storia critica dell’arte che prendono avvio già dagli anni 1870 nelle aree di lingua germanica e che, dagli inizi del Novecento, cominciano a diffondersi anche in Italia. Qui, accanto agli studi di storia dell’arte, che percorrono un loro cammino disciplinare, si riscontra contemporaneamente una maggiore attenzione da parte degli architetti allo studio e alla scrittura della storia dell’architettura, anche perché, soprattutto

2 I circoli savants sono associazioni di studiosi (in origine les antiquaires) di varie estrazioni culturali, anche lontane dal campo specifico monumentale, che, dal XVII secolo, attraverso viaggi anche in terre lontane, scoprono e studiano un mondo di preesistenze fino allora poco conosciute o addirittura sconosciute riportando all’interno dei vari consessi le loro osservazioni e deduzioni. Da quest’universo nascono le prime Sociétés d’antiquaires private (la prima in Francia è quella della Normandia, fondata nel 1824 da Arcisse de Caumont che diverrà poi il primo direttore della Société française d’archéologie, istituita nel 1834). L'École nationale des chartes, grande écolespecializzata nelle scienze ausiliarie della storia, filologia e paleografia (rilascia il diploma d’archiviste paléographe), è fondata nel 1821 come École royale des chartes. Con la loi 31 décembre 1846, l’École des chartes si riorganizza e, con un arrêté del 6 janvier 1847, si crea una cattedra di archeologia alla quale è nominato titolare Jules Quicherat. A lui succedono nel tempo Robert de Lasteyrie, Eugéne Lefèvre-Pontalis, Marcel Aubert, ecc. Con il décret du 30 janvier 1869 sono create sette cattedre: paléographie; langues romanes; bibliographie, classement des bibliothèques et des archives; diplomatique; institutions politiques, administratives et judiciaires de la France; droit civil et droit canonique du Moyen Âge; archéologie du Moyen Âge. A parte alcune modifiche di dettaglio gli insegnamenti rimangono sostanzialmente gli stessi fino al 1953.

Introduzione

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per merito di Gustavo Giovannoni, dagli anni 1920, questo insegnamento, insieme con quello del restauro, partecipa al percorso formativo dell’architetto. Per quanto concerne la storia del Restauro, in Francia, la scrittura dei testi segue spesso il cammino percorso dal servizio di tutela che, dopo le distruzioni della Rivoluzione francese, comincia a costituirsi dagli anni 1830. Fra le principali opere di riferimento, si ricordano quelle di Frédéric Rücker (Les origines de la Conservation des Monuments historiques en France, 1790-1830, del 1913), di Paul Léon (Les monuments historiques. Conservation, restauration del 1917 e La vie des monuments français. Destruction, restauration del 1951) e di Louis Réau (Histoire du vandalisme. Les Monuments detruits de l’art français del 1959). Nelle pubblicazioni di storia dell’arte e dell’architettura di questi anni, si avverte la preferenza per una ricerca finalizzata al rilievo del dato più strettamente storico rispetto a quello attinente le qualità estetiche delle preesistenze e i plurimi valori di cui esse sono portatrici. I due aspetti testimoniali, quello storico e quello estetico, entrambi fondamentali per la risposta al quesito iniziale del restauro, cioè del perché un’opera è meritevole di attenzione, sono comunque indicati nella legge del 1913, sur les monuments historiques, che prevede la protezione di quei monumenti che, appunto per il loro l’interesse ‘pubblico’ di storia e arte, devono essere sottoposti a tutela. È naturalmente compito della storiografia individuare e giudicare le molteplici valenze delle opere e, di conseguenza, identificare quali tra esse costituiscano il corpus monumentale da salvaguardare e trasmettere.3 Il dovere legislativo, che prevede in Francia liste di classement per i monumenti ‘maggiori’ e liste di inscription per quelli ‘minori’, con l’impegno dello Stato a impiegare fondi per il restauro, può però presentare il rischio di indebolire le finalità scientifiche di conoscenza, venendo queste ultime ad affiancarsi e, a volte, entrare in conflitto con quella istituzionale che ne prevede scopi più direttamente operativi. Nello studio delle preesistenze, nell’individuazione dei loro valori e nel loro inserimento in una lista, in un inventario, in un catalogo, influiscono le scelte di fondo che motivano tale indagine, con tutti i rischi che esse comportano. Considerando i monumenti come soggetti di protezione legislativa, spesso, agli interessi di studio, se ne aggiungono altri (nazionali, di memoria collettiva, celebrativi ecc.) che, sovrapponendosi ai primi, possono condurre a relegarli in secondo piano, sfumando nell’opera il carattere di oggetto storico-artistico e, nella ricerca, quello di ‘apertura’ a una sua continua rivedibilità che le è peculiare. È perciò importante valutare, nel periodo, il grado di approfondimento raggiunto in Francia nell’elaborazione del pensiero sui concetti di monumento, patrimonio e restauro, insieme con quello conseguito dall’indagine sull’individuazione dei valori della preesistenza (che può già

3 Una prima lista di monumenti, che fornisce la risposta al compito istituzionale, individuato e reso operativo con la creazione nel 1830 della figura di inspecteurs général des Monuments historiques, di ‘inventariare’ e ‘far conoscere’ le ricchezze nazionali, è stabilita nel 1840 dopo gli iniziali viaggi per la Francia dei primi Inspecteurs généraux, Louis Vitet e Prosper Mérimée. La legge del 1913, con le sue successive modifiche, prevede due strumenti di tutela: il classement, che è volto a individuare quei monumenti che, per il loro interesse di storia e arte, meritano una tutela da parte dello Stato che ne assume l’onere del restauro; l’inscription à l’Inventaire supplementaire, che è invece riservata a quei monumenti che, pur non presentando un interesse di storia e arte tale da farli figurare nelle liste di classement, suscitano comunque un interesse sufficiente per inscriverli in una lista, attribuendo così allo Stato un potere di vigilanza su di essi senza tuttavia obbligarlo a intervenire con contributi finanziari.

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contare, dal 1903, sull’apporto del Der moderne Denkmalkultus di Alois Riegl). Allo stesso tempo, interessa conoscere fino a che punto il mondo dei Monuments historiques rivolga lo sguardo al contemporaneo dibattito internazionale dove, tra la fine del XIX secolo e i primi del XX, emergono, tra gli altri, i contributi italiani prima di Boito e poi di Giovannoni. Anche il concetto di autenticità (già presente nell’opera di Ruskin e nei punti della ‘distinguibilità’ e della ‘notorietà’ fissati dagli anni 1880 nei contribuiti dello stesso Camillo Boito), emerge, con le sue sfaccettature, nei problemi di restauro e costituisce un aspetto da indagare per comprendere il significato che gli è attribuito nel campo disciplinare. In Francia il tema comincia a essere sentito con più vigore all’inizio del Novecento per merito soprattutto di artisti e letterati come Auguste Rodin e Marcel Proust che contribuiscono a diffondere il pensiero di John Ruskin e affrontano l’autenticità con una particolare attenzione alle sue valenze estetiche, mentre quelle storico-testimoniali sono contemporaneamente difese dagli archéologues. Le differenti posizioni in campo si confrontano in occasione del restauro della cattedrale di Reims, dopo la Prima Guerra mondiale, che anima il dibattito sui due poli opposti della restitution allo stato primitivo e della conservation a quello di ‘rovina’, evidenziando il conflitto che nasce dalla diversa preminenza che si assegna ai molteplici valori di cui l’opera è portatrice. Si tratta di un episodio in cui sono presenti numerosi aspetti che interessano problemi propri al restauro, non solo di carattere operativo, ma anche più propriamente teorici, quali la copia della statuaria, la sostituzione delle grandi vetrate artistiche, la ricostruzione di parti consistenti della stessa cattedrale e del suo intorno urbano. La stessa riflessione sull’uso dei materiali da impiegare, tradizionali o moderni, e sui mestieri legati al cantiere di restauro, coinvolge il tema dell’autenticità ponendo il quesito se, quando, e fino a che punto, sia lecito ripetere processi costruttivi ormai appartenenti al passato o se, invece, non sia più opportuno ricorrere a materiali e sistemi di messa in opera sinceramente moderni. In Italia, il concetto di autenticità, presente nei già accennati contribuiti di Boito, con l’attenzione al testo autentico, nella sua realtà materiale, continua a rimanere vivo nell’opera dei diversi protagonisti del restauro archeologico, nei contributi di Gustavo Giovannoni e nell’azione di alcuni Soprintendenti formati a questa scuola. Lo stesso interesse è presente anche nelle indicazioni e nei principi inseriti nelle carte e nelle istruzioni emanate nel tempo dall’amministrazione delle Antichità e Belle Arti. Gli incontri internazionali sono l’occasione per lo scambio d’idee e per il dibattito su questi temi. Ad Atene, nel 1931, (dove i principali protagonisti sono gli italiani e i francesi) sono numerosi i temi trattati che sottintendono il discorso sull’autenticità: la manutenzione, gli ‘stili’ e le loro epoche, le restituzioni integrali, l’opportunità della differenziazione nelle integrazioni, l’uso dei materiali tradizionali o moderni, la necessità di tenere o meno un atteggiamento differente per i monumenti ‘vivi’ e quelli ‘morti’ ecc. Sullo sfondo di un concetto di autenticità ancora velato, l’incontro è il luogo per chiarirne la natura: se riferirla cioè, come prima accennato, alla sua consistenza materiale o se, al contrario, considerarla come permanenza di un carattere più astratto e simbolico. Ed è intorno a questi nodi concettuali che deve essere condotto il confronto tra le due culture del restauro.

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In Italia, l’attenzione verso l’autenticità materiale è confermata, subito dopo Atene, nella Carta del restauro italiana del 1931-32 e si presenta con ancor maggior chiarezza nelle successive Istruzioni per il restauro dei monumentidel 1938, dove essa emerge nell’abolizione della distinzione fra monumenti ‘vivi’ e monumenti ‘morti’, nell’opposizione al trasporto e allo smontaggio dei reperti, nelle cautele raccomandate quando si devono sostituire gli originali con copie (che non devono tendere al completamento o al ripristino). Inoltre, vi si esprime con la critica al concetto di ‘valorizzazione’, alla pratica dell’isolamento dei monumenti e delle sistemazioni a carattere scenografico. Infine, si manifesta con la proibizione di costruzioni in “stili antichi”, anche in zone non monumentali e paesistiche, in quanto esse rappresentano «una doppia falsificazione nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte».4 Il concetto di autenticità permea le istruzioni in quasi tutti i suoi punti, anche se il termine non compare esplicitamente, ma figura attraverso il suo contrario, il ‘falso’. Naturalmente, indicazioni in tal senso sono anche volte a contrastare una tendenza sempre presente, pure in Italia, a inseguire il ripristino di uno stato ‘originario’ o, almeno, il ‘più antico possibile’. Rispetto all’ampiezza dei problemi posti dalla ricostruzione del secondo dopoguerra, il pensiero italiano si rende conto che gli strumenti preparati dal restauro ‘filologico-scientifico’ non sono più sufficienti e approfondisce alcuni aspetti nuovi. Preceduti da alcune riflessioni anticipatrici di Giulio Carlo Argan (come si legge tra le righe che accompagnano la relazione sul Restauro delle opere d’arte. Progettata istituzione di un Gabinetto centrale del restauro presentata nel 1938 a Roma al Convegno dei Soprintendenti voluto dal ministro Bottai), negli anni 1943-48 gli apporti di Agnoldomenico Pica, Roberto Pane, Renato Bonelli e le sistemazioni di Cesare Brandi (già in via di elaborazione nel 1948-1949 con il contributo Il fondamento teorico del restauro) pongono le basi per la teoria del ‘restauro critico’. Il pensiero di Brandi sarà poi esplicitato in forma compiuta nella Teoria del restaurodel 1963 dove, in appendice, con un contributo sulla falsificazione, l’autore affronterà con la consueta coerenza teorica il tema dell’autenticità, della copia, dell’imitazione e del falso. Nel Congrès international des architectes et techniciens des monuments historiques, tenuto a Parigi nel 1957, il tema dell’autenticità è appena sfiorato mentre i fermenti di questa elaborazione saranno poi ripresi con vigore nel 1964, a Venezia, in occasione del “Secondo Congresso internazionale del Restauro”. Negli anni 1930-1950 in Francia, le riflessioni sui valori e sull’autenticità, così come le elaborazioni concettuali e quelle terminologiche, sono svolte principalmente in rapporto alla contrapposizione fra archeologi (dove il termine ‘archeologo’ assume significati polivalenti, tra cui quello di storico d’arte e d’architettura) e architetti. Allo stesso tempo è presente l’opposizione tra conservation, intesa come generico rispetto della preesistenza, e restauration, vista come un’azione che, pur non condotta più alla maniera di Viollet-le-Duc (la cui figura resta comunque il riferimento maggiore con cui confrontarsi), implica in ogni caso un intervento consistente sul monumento generalmente rivolto a ricostituire una configurazione ‘primitiva’.

4 ‘Istruzioni per il restauro dei monumenti’, punto 8. Redatte in una prima stesura nel 1938, sono,

secondo la critica più recente, revisionate nella forma oggi nota, nell’agosto 1939.

Introduzione

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Se in Italia i concetti di monumento e restauro sono oggetto di dibattito e di contributi scritti, con i conseguenti criteri metodologici e postulati operativi indicati attraverso documenti, istruzioni, carte ecc., in Francia, la loro natura deve essere ricercata nelle considerazioni di carattere generale che emergono dalle opinioni espresse dai membri più influenti della Commission des Monuments historiques, pareri che finiscono per costituire la doctrine di riferimento per le decisioni da prendere nella prassi operativa. I discorsi, in quest’ambito, vertono principalmente sulla negazione del pastiche (‘imitazione’) e sulla liceità di ricostituzioni à l’identique (il termine comincia ad apparire negli anni 1950) quando una documentazione rigorosa o lo studio stesso del monumento le renda possibili. Una nuova terminologia comincia a essere in via di costruzione per definire azioni che si vogliono differenti da quelle del passato. La coerenza del lessico impiegato rispetto ai suoi significati va cercata proprio nella lettura dei verbali della Commission, degli articoli sulla rivista del Servizio (Les Monuments historiques de la France) o dei documenti prodotti nelle altre occasioni di dibattito, dove le dichiarazioni che accompagnano i restauri sono volte a chiarire i motivi delle scelte operative effettuate. Una ricerca, questa, che può aiutare a capire, in una cultura del restauro come quella francese, che presenta un indirizzo prevalentemente tecnico-operativa, se, dopo le riflessioni dottrinarie di Viollet-le-Duc, si sia sviluppata, accanto all’efficiente organizzazione della sua amministrazione e all’indubbia preparazione sul campo dei suoi architetti, una altrettanto approfondita elaborazione di pensiero. Una consapevolezza teorica, cioè, capace di fornire motivati giudizi storico-critici sui singoli monumenti e di individuare in essi i plurimi valori di cui sono portatori per poi, conseguentemente, compiere le scelte necessarie a contemperarli in maniera consapevole e motivata nell’azione di restauro.

1.0. Inquadramento retrospettivo

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1.0. Inquadramento retrospettivo

La legislazione e il servizio dei Monuments historiques in Francia hanno da sempre costituito un importante punto di riferimento a livello internazionale. È un sistema di tutela fortemente centralizzato che ha dimostrato nel tempo una notevole efficacia operativa benché i suoi principi ed effetti non siano sempre condivisi negli altri paesi. La struttura amministrativa del servizio inizia a formarsi con la creazione della figura dell’Inspecteur général des Monuments historiques (1830) e della Commission des Monuments historiques (1837) per fornire le prime risposte istituzionali alle esigenze di tutela già emerse nelle iniziali elaborazioni seguite alla Rivoluzione francese. In primo luogo quello sulle finalità dell’azione di protezione: queste si presentano innanzitutto come più generali, quali salvaguardare e far conoscere «l’ammirabile successione delle nostre antichità nazionali» ma anche maggiormente specifiche, come «assicurarsi sul posto dell’importanza storica e del merito d’arte dei monumenti»;1 essere in grado, cioè, di riconoscere i valori che le preesistenze assumono a sé. Per le prime, le finalità generali, si osservano oscillazioni fra intenti civili, formativi della figura morale del cittadino, e quelli nazionali, testimoni della grandezza di un popolo. Si osserva, nel tempo, la tendenza a prevalere degli uni sugli altri in relazione alla situazione culturale o politica. Quelli civili, subito dopo la rivoluzione francese e nel primo decennio del Novecento (espressi segnatamente nella legge sui monuments historiques del 1913); quelli nazionali, per gran parte dell’Ottocento (esplicitati nella legge del 1887) e negli anni precedenti e seguenti il primo conflitto mondiale. Sul riconoscimento delle seconde, le finalità più specifiche, le motivazioni di testimonianza di storia e qualità d’arte, influisce lo stato degli studi delle discipline storiche, che ha il compito di riuscire a esprimere un fondato giudizio storico-critico nel riconoscimento di quei valori. Già in questo periodo fondativo del Servizio si avverte la mancanza di ricerca intorno alla

1 François Guizot, ministre de l’Interieur, nel rapporto presentato al re, Louis-Philippe, il 21

octobre 1830, per la creazione di un posto di inspecteur général des Monuments historiques. Il testo del Rapport présenté au Roi, le 21 octobre 1830, par M. Guizot, ministre de l’Intérieur, pour faire instituer un inspecteur général des monuments historiques en France, è riportato in CHOAY Françoise, L’Allégorie du patrimoine, Paris, éd. du Seuil, [1ere éd. 1992], éd. actualisée en 2007, Annexe, pp. 249 e 250. Il corsivo è nostro. A proposito dei valori di storia e d’arte, Guizot osserva: «Già nei secoli precedenti, l’alta erudizione dei benedettini e di altri eruditi aveva mostrato nei monumenti la fonte di grandi luci storiche; ma sotto il rapporto dell’arte, nessuno ne aveva indovinato l’importanza. All’uscita dalla Rivoluzione francese, artisti illuminati …, sentirono il bisogno di preservare quello che era sfuggito alla devastazione …» Cfr. Rapport … in CHOAY. F., L’Allégorie … 2007, p. 250.

1.0. Inquadramento retrospettivo

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definizione, non solo terminologica, del concetto di monumento e di un’elaborazione di pensiero intorno a quello di valore. Questo parziale vuoto pregiudica la riuscita dei numerosi tentativi di redigere inventari soddisfacenti dei monumenti da proteggere: un catalogue2

esaustivo di monumenti meritevoli di attenzione.3 La prima lista, riferita ai soli monumenti ‘maggiori’, è pubblicata nel 1840; seguono poi quella del 1846, del 1862 e del 1875, mentre, nel 1880, appaiono i primi arrêtés4 di classement delle opere d’arte. Lo strumento del classement, introdotto dalla prima legge francese di tutela, nel 1887, istituzionalizza l’individuazione dell’interesse di storia e arte attribuito per legge ad alcuni monumenti che assurgono, così, al rango di maggiori simboli nazionali rispetto a tutti gli altri non riconosciuti e protetti. Questa predilezione per il monumento-tipo, di conseguenza, influirà anche sulle scelte dell’intervento di restauro che tenderà a ricondurne l’aspetto a quel modello ideale. Il classement, oltre ad individuare il bene, costituisce una prima misura di protezione di esso; il cammino, invece, per definire i criteri e le metodologie per la conservazione e il restauro delle opere indicate come ‘meritevoli di attenzione’, e le diverse tecniche da adattare ai molteplici aspetti peculiari, sarà più lungo e caratterizzato da oscillazioni, che si possono già riconoscere nelle definizioni di restauro fornite da Antoine Chrysostome Quatremère di Quincy (1832)5 o da Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1865)6 nei rispettivi Dictionnaire. Mentre si determinano le scelte di principio sui criteri di tutela dei monumenti, si devono anche scegliere gli strumenti in grado di tradurli operativamente, tra i quali i tecnici o gli architetti in possesso delle competenze specifiche per assicurare il raggiungimento delle finalità individuate attraverso condotte e pratiche operative adeguate. Viollet-le-Duc, scelto dal servizio per la sua preparazione sui monumenti del passato, è la figura di spicco in questo ruolo. La sua azione, nel tempo, non si esaurisce solo nell’esecuzione delle direttive amministrative ma si caratterizza soprattutto come fondatrice della disciplina. Da strumento d’intervento egli si trasforma in attore principale nella costruzione dei criteri formativi della dottrina del restauro che, nei principi da lui definiti, eserciterà a lungo influenza in Francia e all’estero.7 Viollet-le-Duc individua nei monumenti gotici gli oggetti di primo interesse storico e artistico da preservare che eleva, per le loro caratteristiche, a simbolo dell’identità

2 Guizot prosegue: «L’inspecteur géneral des Monuments historiques preparerà, nella sua prima e

generale tourné, un catalogue esatto e completo degli edifici o monumenti isolati che meritano un’attenzione …», cfr. CHOAY. F. Rapport … 2007, p. 251.

3 Per un quadro storico internazionale di sintesi sull’argomento, si veda: BELLANCA, Calogero, La catalogazione dei monumenti, in CARBONARA, G., dir., Trattato di restauro architettonico, vol. IV, sez. S, UTET, Torino 1996, pp. 227-241.

4 Decisioni di un’autorità amministrativa. 5 QUATREMÈRE DE QUINCY, Antoine Chrysostome, Dictionnaire historique d’architecture,

comprenant dans son plan les notions historiques, descriptives, archéologiques, biographiques, théoriques, didactiques et pratiques de cet art, Le Clère, Paris 1832, vol. 2, Terme Restaurer, pp. 375-376.

6 VIOLLET-LE-DUC, Eugène Emmanuel, Restauration, voce, in Dictionnaire raisonné de l’architecture en France XIe-XVIe siècles, Paris, Morel et Co., 1854-1868, vol VIII [1865], pp. 14-34.

7 VIOLLET-LE-DUC, E. E., Dictionnaire … 1854-1868. In particolare la voce Restauration, v. VIII, [1865], pp. 14-34.

1.0. Inquadramento retrospettivo

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nazionale, sulle tracce già indicate dai letterati e gli eruditi ma puntualizzandone le ragioni disciplinari specifiche.8In precedenza, il dibattito svolto negli anni successivi alla Rivoluzione aveva anche posto l’attenzione sulle cause che mettono in pericolo la vita dei monumenti, individuate non solo negli effetti dovuti ai grandi sconvolgimenti naturali o politici, ma anche nelle azioni condotte dall’uomo in tempo di pace,9 tra le prime quella di “restaurare i monumenti”.10

È una critica rivolta non verso l’azione di restauro in sé, quanto ai modi con cui chi interviene la attua. Se è l’ignoranza o la scarsa preparazione che guida l’azione dei restauratori sulle preesistenze risulta evidente la necessità di individuare e, successivamente, formare le qualità che questi devono possedere. Grille de Beuzelin (1808-1845),11 riferendosi all’Inspecteur général des Monuments historiques,12 «descrive … [le competenze che deve possedere la personalità incaricata di questo compito]: “Chacun des inspecteurs devrait pouvoir élever les plans en architecte, dessiner les fragmentes en peintre, lire les anciennes chartes en archiviste, courir à cheval ou à pied en chasseur et de plus pour obtenir de l’unité, tous devraient avoir le mêmes principes en archéologie et le même système en histoire de l’art.”»13 Una preparazione a tutto campo che pochi protagonisti dimostreranno di possedere.

8 VIOLLET-LE-DUC, E. E., Les Entretiens sur l’architecture, (première édition chez A. Morel,

Paris 1863-1872, 2 voll.) 9 Nel 1794 l’abbé Grégoire indica nell’«ignorance, l’insouciance et la friponnerie» (ignoranza,

disinteresse, disonestà), i tre principali motivi che inducono i vandali a commettere i loro misfatti.GRÉGOIRE, abbé, 3° rapporto sulle «distruzioni operate dal vandalismo e sul modo di reprimerlo»[1794], da SIRE, M.-A., La France … 2005, p. 20.

10 Montalembert, nel 1839 stila una doppia classifica dei vandali. Quella dei distruttori: governo, maires e consigli municipali, proprietari, consigli di fabbrica e curès. Quella dei restauratori: clergés, governo, consigli municipali e proprietari; «le rivolte» - afferma - «hanno almeno il vantaggio di non restaurare.» MONTALEMBERT, Charles Forbes, comte de, Du Vandalisme et du catholicisme dans l’art, Paris, Debécourt, 1839. Cfr. CHOAY Françoise, L’allegorie … 1992, ed. 2007, dalla quale si cita, p. 107 e p. 229 n. 45. «L’opposizione che artisti e letterati francesi intraprendono contro i demolitori e gli architetti “restauratori” rappresenta il primo concreto passo verso i termini della conservazione dei beni culturali e contribuisce notevolmente a creare le condizioni più favorevoli per un efficace intervento dello Stato in materia di salvaguardia del patrimonio storico-artistico nazionale. Quest’azione, continua e incisiva, rafforza la consapevolezza di voler e dover definire precise modalità di tutela; di qui l’esigenza di coordinare e incentivare le iniziative che prospettano l’istituzione di un servizio specializzato.» Cfr. SETTE, M. P., Profilo storico, in CARBONARA, Giovanni, dir., Trattato di restauro architettonico, 4 voll., UTET, Torino 1996, v. I, p. 155.

11 Nel 1837 subentra a Mérimée come segretario della Commission des Monuments historiques. 12 GRILLE DE BEUZELIN, Ernest Louis Hippolyte Theodore, Rapport à M. le Ministre de

l’Instruction Publique sur les monuments historiques des arrondissements de Nancy et de Toul, accompagné de cartes, plans et dessins, Paris, 1837, 159 pp.

13 «Ogni ispettore dovrebbe poter tracciare i progetti come architetto, disegnare i frammenti come pittore, leggere i documenti antichi come archivista, correre a cavallo o a piedi come cacciatore e in più, per ottenere l’unità, tutti dovranno avere gli stessi principi in archeologia e lo stesso sistema in storia dell’arte.» Cfr. SIRE, Marie-Anne, La France du Patrimoine, Les choix de la mémoire, 2e éd., Paris 2005, p. 32.

1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

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1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

Gli anni successivi alla Rivoluzione francese (1790-1830)

In Francia, già dall’anno successivo alla rivoluzione, si comincia a parlare della trasmissione al futuro del patrimonio francese di storia e arte,1individuato, per le opere architettoniche, nel 1790, da Louis-Aubin Millin2

con il termine Monuments historiques.3 Le motivazioni di fondo sono di carattere generale: per la storia, “per un’idea veramente filosofica”, per l’arte e l’istruzione, le scienze, l’insegnamento; e, ancora, per utilità pubblica, memoria, identità nazionale.4 In questo periodo, la trasmissione al

1 Cfr. RÜCKER, Frédéric, Les origines de la Conservation des Monuments historiques en France

(1790-1830), thèse pour le doctorat d’Université (Lettres), Jouve, Paris 1913. Si veda inoltre, LÉON, Paul, La vie des monuments français. Destruction Restauration, Paris 1951, in particolare cap. II, La Revolution, pp. 63-74 e cap. III, L’Empire et la Restauration, pp. 75-105. Come studi più recenti: CHOAY, Françoise, L’allégorie du Patrimoine, [1 ed. 1992], Paris 2007, pp. 73-92, e BERCÉ, Françoise, Des monuments historiques au Patrimoine, du XVIIIe siècle à nos jours ou les égarements du cœur et de l'esprit, Paris 2000, pp. 17-24. Per un contributo divulgativo, si veda SIRE, M.-A., La France du Patrimoine. Les choix de la mémoire, Gallimard, Paris 2005. Tra i contributi italiani si veda FIENGO, Giuseppe, La conservazione e il restauro dei monumenti in Francia nella prima metà del XIX secolo, «Restauro. Quaderni di restauro dei monumenti e di urbanistica dei centri antichi», II, 1973, 5, pp. 6-37, e SETTE, Maria Piera, La nascita del restauro modernamente inteso: letterati, archeologi, artisti, in ID. Profilo storico, in CARBONARA, Giovanni, dir., Trattato di restauro architettonico, 4 voll., UTET, Torino 1996, V. I, pp. 145-151.

2 L. A. Millin (1759-1818), antiquario-naturalista (CHOAY, Françoise L’allégorie … 2007, p. 74), presenta nel 1790, all’Assemblée nationale constituente, un progetto di conservazione della memoria dei monumenti nazionali da realizzare attraverso la loro rappresentazione grafica prima della distruzione.

3 MILLIN, L. A., Antiquités nationales ou Recueil de monuments pour servir à l’histoire générale et particulière de l’Empire françois, tels que tombeaux, inscriptions, statues, vitraux, fresques, etc. tirés des Abbayes, Monastères, Châteaux et autres lieux devenus Domaines Nationaux, Paris 1790-98 (6 volumes). Cfr. CHOAY, Françoise, L’allégorie … 2007, p. 23 e p. 203 n. 29; si veda, inoltre, BERCÉ, Françoise, Des monuments … 2000, p. 174.

4 La confisca dei beni, nel novembre 1789 e nel 1792, «attribuisce alla nazione una responsabilità nuova, quella di scegliere tra i monumenti e le opere d’arte divenute pubbliche, quelli che meritano di essere conservati e trasmessi alle generazioni future.» Il 16 dicembre 1790 è creata la Commission des Monuments, composta da artisti e savants, che elabora le prime istruzioni concernenti l’“inventario e la conservazione delle opere d’arte” ma intanto gli abusi e le distruzioni seguenti la fine della Monarchia, il 10 agosto 1792, ricevono legittimazione: «I principi sacri della libertà e dell’uguaglianza non permettono di lasciare … i monumenti elevati all’orgoglio, al pregiudizio e alla tirannia.» Cfr. SIRE, Marie-Anne, La France du Patrimoine. Les choix de la mémoire, Paris 2005, p. 18. Le tombe dei re a Saint-Denis sono distrutte nell’agosto del 1793, nonostante l’avviso della Commission des Monuments di preservarle non «per l’amore di loro ma per la Storia e per un’idea veramente filosofica». Cfr. SIRE, M.-A., La France … 2005, p. 20; il corsivo è nostro. Il decreto del 3 brumaio dell’anno II (24 ottobre 1793), riporta all’art. 1, “E’ proibito asportare, distruggere, mutilare, o alterare in alcuna maniera … gli oggetti che interessano le arti e la storiae l’istruzione”. Cfr. SIRE, M.-A., La France … 2005, p. 21; il corsivo è nostro. Il 18 dicembre 1793, la Commission des Monuments è sostituita dalla Commission temporaire des Arts. Cfr. SIRE, M.-A., La France … 2005, p. 20.

1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

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futuro della memoria dei monumenti è pensata più attraverso la loro riproduzione grafica che con la conservazione materiale del bene. Nel contempo, si presenta l’esigenza prima di individuare i beni che devono essere sottoposti a tutela e di catalogarli. Si emanano perciò le Instructions sur la manière d’inventorier (1793) di cui il medico Felix Vicq d’Azyr (1748-1794)5 è uno degli estensori principali. Henri Grégoire (1750-1831)6

parla di opere che rappresentino la mémoire e l’identité national (1794), ma manca l’analisi e la definizione del concetto di monumento. Con una circolare ispirata da Alexandre de Laborde,7 inizia una prima campagna d’inventario (1810). Alcune liste si susseguono ma hanno qualche validità solo quelle curate da studiosi più preparati, come Arcisse de Caumont8 in Normandia e Alexandre du Mége9 a Toulouse. Il fallimento per le altre zone evidenzia l’esigenza di una storiografia di vaglia in grado di giudicare, attraverso criteri condivisi, i monumenti da inserire nelle liste. Comunque, in questo periodo, inizia un importante lavoro di elaborazione e si raccolgono le preziose testimonianze grafiche dello stato di molte preesistenze riportate attraverso le tavole dei Voyages curate da Isidore Séverin Justin Taylor, Charles Nodier e A. de Cailleux (1820-1863).10

5 Felix Vicq d’Azyr, medico, studioso dell’anatomia del cervello, è uno dei creatori dell’anatomia

comparata. Egli porta nel campo dei Monuments historiques la terminologia e i metodi descrittivi e tassonomici per i quali è celebre nella sua disciplina. Fu anche tra i fondatori dell’Académie royale de médicine. Membro del Comité d’instruction publique e della Commission temporaire des arts, «il 10 novembre 1793 (20 brumaire an II) è delegato a estendere un "plan à effet d’organiser le travail dans toute les départements pour connâitre des objets dont s'occupe la Commission des arts à Paris". Il [25] Brumaire (15 novembre), è incaricato di redigere l’instruction sur les inventaires. Il 25 dicembre legge e presenta il suo Rapport à la Commission che l’adotta». Si veda CHOAY, Françoise, L’allégorie … 2007, p. 86 e p. 221 n. 45.

6 Henri Grégoire, nato a Luneville. È educato dai Jésuites de Nancy ed è ordinato prêtre nel 1776. Deputato del clero agli États généraux, si allea al Tiers-État (juin 1789) e adotta posizioni radicali: preconizza l’abolizione totale dei privilegi, il principio del suffragio universale e pronuncia il giuramento di fedeltà alla Constitution civile du clergé (novembre 1790). Eletto évêque constitutionnel di Blois (febbraio 1791), siede alla Convention dove fa votare il diritto di cittadinanza per gli ebrei e abolire la schiavitù (febbraio 1794) mentre, allo stesso tempo, lotta contro la dilapidazione del patrimonio nazionale. Si veda ANDRIEUX, Jean-Yves, Patrimoine et Histoire, Belin, Paris 1997, p. 247.

7 La circolare del ministre de l’Interieur, Jean-Pierre de Montalivet, chiede ai prefetti di redigere uno stato dei luoghi degli chateaux e delle abbayes appartenenti ai loro dipartimenti. Alexandre de Laborde, dopo aver pubblicato un Voyage pittoresque et historique en Espagne in 4 volumi, dal 1807 à 1818, fa comparire dal 1816 al 1820 Les Monuments de la France classés chronologiquement ..., opera nella quale trova una parte importante la trattazione dell’architettura classica. È membro dell’Institut dal 1813.

8 Arcisse de Caumont (1802-1873), è uno degli iniziatori dell’archéologie in Francia. Fonda la Société des antiquaires de Normandie (1824), pubblica il Bulletin monumental e crea la Société française d’archéologie (1834). Il suo Cours d’antiquités monumentales (1830-1833) esercita una profonda influenza sull’ambiente, allora in via di costituzione, dei Monuments historiques. Il suo Abécédaire ou rudiments d’archéologie (1850-1862) contribuisce a diffondere le nuove conoscenze sull’arte medievale. Cfr. ANDRIEUX, Jean-Yves, Patrimoine … 1997, p. 245. Si veda anche BERCÉ, Françoise, «Arcisse de Caumont et les sociétés savantes», in NORA, Pierre ed., Les Lieux de mémoire, I - La République; II - La Nation, 1re éd., Gallimard, Paris 1986, II, vol. 2, pp. 532-567.

9 Membro della Société d’archéologie du midi de la France, pubblica un contributo in cui oppone lo spirito delle «recherches consciensieuses» della Restauration e della Monarchie de Juillet a quelle dei periodi precedenti. Cfr. BERCÉ, Françoise, Des monuments … 2000, p. 23.

10 TAYLOR, Isidore, Séverin, Justin, NODIER, Charles e CAILLEUX, A. de, Voyages pittoresques et romantiques dans l’ancienne France, Gide fils, Paris 1820-1863, 23 voll.

1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

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L’era dei pionieri (1830-1879)

La creazione, nel 1830, della figura d’inspecteur général des monuments historiques, per merito del ministre de l’Intérieure François Guizot, attiva il primo nucleo del servizio dei Monuments historiques e istituzionalizza la ricerca: il compito dell’inspecteur è di ‘inventariare’ e ‘far conoscere’. Dovrebbe essere l’impulso a un approfondimento, ufficializzato, di queste azioni, ma i primi ispettori non hanno competenze specifiche, tanto che lo stesso Arcisse de Caumont li invita ad approfondire gli studi. Durante l’attività iniziale emergono anche altri problemi da risolvere: Ludovic Vitet, primo ispettore (1830-1834), rileva l’assenza di una forza giuridica che si opponga alle azioni dei privati dovute in gran parte all’ignoranza, insieme ai consueti motivi di profitto. Allo stesso tempo, Victor Hugo sottolinea con forza l’esistenza, per i monumenti, di un valore più alto, di quello semplicemente d’uso, che appartiene a tutti: la bellezza, il cui valore civile deve diventare di diritto pubblico.11 Prospèr Mérimée, che succede a Vitet nel ruolo d’inspecteur général (1834-1859), oltre alla stessa necessità di strumenti legali, da usare anche nei confronti di altri soggetti pubblici, avverte la mancanza di una preparazione più adeguata a svolgere il compito assegnatogli. Una preparazione e un supporto alla conoscenza e alla protezione dei monumenti che studiosi, come Arcisse de Caumont, appartenenti a società ‘benevole’ locali, potrebbero fornire. Anche per queste finalità è istituita nel 1837 la Commission des Monuments historiques. In essa confluiscono i saperi, le conoscenze, le peculiarità operative del servizio ed è il luogo dove discutere per dirimere i quesiti di ‘dottrina’ posti dai restauri. Uno di questi, come più volte evidenziato, è la ricerca del metodo per l’individuazione dei beni da tutelare ma, come Françoise Choay fa notare, sin dall’origine, «le regole della selezione non sono dettate dai criteri di erudizione, ma dagli imperativi pragmatici ed economici di una politica di conservazione e di protezione.» Le neonate società di archeologia, continua la studiosa, sono esautorate e il ‘centro’ «in luogo di svilupparne le competenze e di stimolarne le iniziative in un lavoro di collaborazione … marginalizza queste istituzioni. Malgrado la penuria dei loro mezzi, gli uomini di Parigi sono gelosi del loro potere. Temono i partecipanti locali, li accantonano nei compiti di erudizione che vorrebbero subalterni. E, a rischio di contraddizione, gli rimproverano, all’occasione, di non essere coinvolti nei circuiti pratici della conservazione e del restauro dei monumenti, che hanno contribuito a chiudere.»12

Le prime liste dei monumenti, che iniziano a comparire dal 1840, palesano, nel loro formarsi, il permanere di nodi concettuali e operativi irrisolti. Intanto, le scelte di restauro e i problemi di stabilità riscontrati alla basilique de Saint-Denis, affidata a François Debret,13 evidenziano anche la non

11 «Il y a deux choses dans un édifice: son usage et sa beauté. Son usage appartient au propriétaire, sa beauté à tout le monde, à vous, à moi, à nous tous. Donc, le détruire c’est dépasser son droit.» (‘Ci sono due cose in un edificio: il suo uso e la sua bellezza. Il suo uso appartiene al proprietario, la sua bellezza a tutto il mondo, a voi, a me, a tutti noi. Dunque, distruggerlo significa oltrepassare il suo diritto.’) Cfr. HUGO, Victor-Marie, Guerre aux démolisseurs, «Revue des Deux Mondes», T. 5, 1832, p. 621.

12 CHOAY, Françoise, L’Allégorie … 1992, p. 109 e p. 230 n. 52. 13 François Debret (1777-1850), allievo di Percier e Fontaine è eletto all’Academie des beaux-arts

nel 1825 ed è l’architetto dell’École des beaux-arts, prima di Félix Duban, suo cognato. Cfr. BERCÉ, Françoise, Des monuments … 2000, pp. 32-35 e p. 180 n. 53.

1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

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adeguata preparazione di una generazione di architetti non ancora in possesso di professionalità specifiche per operare sui monumenti. Fin dai primi restauri degli anni 1830, affidati alla sua tutela, la struttura del service des Monuments historiques si rende conto della difficoltà a trovare architetti competenti cui affidare gli interventi sui monumenti. La Commission comincia a incaricare quelli che già conosce come preparati, quali il giovane Viollet-le-Duc, Émile Boeswillwald, Jean-Baptiste Antoine Lassus, Gustave-Henri Lestel ecc. Con la sua preparazione a tutto campo, la figura di Viollet-le-Duc (1814-1879), compare pertanto sulla scena del restauro a dimostrare, con le sue capacità, di essere in grado di colmare molte lacune riscontrate nell’ambito disciplinare. Egli indica, come oggetti di primario interesse, i monumenti gotici, di cui individua i valori nelle forme espressive di razionalità; ne traccia i criteri d’intervento, con la definizione e l’elaborazione del concetto di restauration, e se ne fa strumento operativo, rilevando, interrogando, studiando il monumento; infine, consolidandolo e, eventualmente, ‘correggendolo’. Allo stesso tempo, la sua personalità emerge anche nel campo della riflessione e della progettazione architettonica.14 La sua azione come restauratore inizia con l’intervento alla chiesa della Madeleine a Vézelay (dal 1840), continua con la cattedrale Notre-Dame a Paris (dal 1845 insieme a Jean-Baptiste Antoine Lassus), prosegue in numerosi altri cantieri che gli vengono affidati, per chiudersi con gli interventi alla cité de Carcassonne (dal 1852) e allo Château de Pierrefonds (dal 1857). In questi ultimi episodi, al crescere delle proprie capacità operative, fa corrispondere una tendenza alla reinvenzione che, di fatto, va ben oltre il semplice tradimento della lettura del documento originale. Sulla stessa linea, pur con sfumature diverse, operano, tra gli altri, il citato Lassus, Émile Boeswillwald, Charles-Auguste Questel, e Paul Abadie. Questi, nella facciata dell’église Sainte-Croix a Bordeaux, esaspera la prassi riconfigurativa attirandosi, per gli eccessi compiuti, accese critiche che si estendono presto a tutti i suoi colleghi e al modo di operare sui monumenti in quel tempo.

Verso la prima legge sui Monuments historiques e i suoi passi iniziali (1879-1900)

Il ‘dopo Viollet-le-Duc’ pone l’esigenza della formazione degli architetti impegnati nel restauro. I suoi emuli, infatti, con l’eccezione di Anatole de Baudot, tradiscono una preparazione e una riflessione non altrettanto solide. Nel contempo, da quando nel 1860 Émile Boeswillwald viene nominato inspecteur général des monuments historiques in sostituzione di Mérimée, il ruolo dell’architetto continua a crescere e diviene sempre più la figura protagonista all’interno dei Monuments historiques.15

14 Progetta a Parigi le case in rue Condorcet e in rue de Douai, la chiesa di Saint-Denis de l’Estrée a

Saint-Denis e presenta un progetto al concorso per l’Opéra di Parigi. 15 Si ricorda il lungo periodo in cui il ruolo di inspecteur général è ricoperto dalla famiglia

Boeswillwald: Émile prima (1860-1895) e poi Paul (1895-1929), suo figlio. Con la riforma della fine degli anni 1870, il numero di architetti inspecteurs généraux des monuments historiques è portato a tre. Per un’ampia trattazione sul servizio dei Monuments historiques e le sue politiche amministrative fino al 1934, si veda: VERDIER, Paul, Le Service des Monuments historiques, Son histoire: organisation, administration, législation (1830-1934), in Centenaire du service des monuments historiques et de la société française d'archéologie, Congrès archéologique de France, XCVIIe

session, tenue à Paris en 1934, 2 voll., A. Picard librerie, Paris 1935 , pp. 53-287.

1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

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Nel 1887, con la prima legge sulla conservazione dei monumenti,16 si cerca di mettere in atto la protezione giuridica richiesta fin dagli esordi da Vitet e Mérimée. Si specifica che l’interesse di storia e arte è national, si istituzionalizza il classement per proteggere i monumenti dai ‘vandali’ e si riconosce all’interno del servizio il corpo degli architetti dei monumenti storici . Ci si accorge però che questi architetti mancano di una formazione specifica, perciò nel 1887 è attivato un corso, nella sede del Trocadéro, che intende formare i funzionari da inserire nel Service des Monuments historiques o in quello degli Édifices diocésains. Esso comprende: lo studio della tecnica costruttiva; gli elementi costitutivi dei monumenti e il loro funzionamento statico; gli interventi tecnici; l’insegnamento dell’Architecture française du moyen age et de la Renaissance, per migliorare la conoscenza della storia dei monumenti. Il corso è affidato ad Anatole de Baudot (brillante allievo di Viollet-le-Duc), che lo guiderà fino all’interruzione del 1915 causata dalla prima guerra mondiale. Dal 1893, gli architetti sono reclutati attraverso uno specifico concorso.17

Negli anni 1880-1890 prende quindi forma l’organizzazione centrale del servizio dotata di un personale amministrativo (Bureau des Monuments historiques), scientifico (Commission des Monuments historiques) e tecnico (Architectes en chef des Monuments historiques).18

In questo periodo, nel Service des Monuments historiques, si registrano tensioni sia con gli ‘archeologi’ (favorevoli ad azioni più conservative e rappresentati all’interno della Commission des Monuments historiques), sia con il servizio dei Cultes,19 già strutturato da tempo, al quale appartengono molti architetti responsabili delle cattedrali classées e degli edifici religiosi. I rapporti sono invece migliori con il servizio dei Bâtiments civils (che si occupa dei monumenti appartenenti allo Stato e destinati a un uso

16 Loi du 30 mars 1887, sur la conservation des monuments et objets d’art ayant un intérêt

historique et artistique national. 17 Per la formazione e i concorsi per divenire architetcte en chef des Monuments historiques si veda:

BERCÉ, Françoise, Le premier concours des Architectes en chef des Monuments Historiques en 1893, «Monuments historiques», n°3, 1978, pp. 61-65. BERCÉ, Françoise, Le recrutement des architectes en chef, in AA VV, Les Concours des monuments historiques, de 1893 à 1979, Paris, CNMH, 1981, pp. 7-17. BERCÉ, Françoise, Le centenaire du concours de recrutement des ACMH, 1893-1993, in PERROT, Alain-Charles et AA. VV., Les Architectes en chef des monuments historiques de 1893-1993, Paris 1994, pp. 18-19, e ID. Le contenu du concours de recrutement des Architectes en chef des Monuments historiques, in PERROT, Alain-Charles (sous la direction de), Les Architectes en chef des monuments historiques de 1893-1993, CNMHS, Paris 1994, pp. 42-43. PALERMO, F., La formazione dell'architetto restauratore in Francia. Dall’idea del “Musée de sculpture comparée” al progetto della “Cité de l'architecture et du Patrimoine”, tesi di laurea all'Università degli studi di Firenze, Facoltà di Architettura, Relatore F. Gurrieri, A.A. 1999-2000. Cfr. GARNERO Stephane, Conservazione e restauro … 2006, p. 241. GRUBERT, Mireille, L’histoire dans la formation des architectes du patrimoine en France, in Tra storia e restauro, in Francia e in Italia, «Materiali e Strutture, Problemi di conservazione», n.s., IV nn. 7-8, 2006, pp. 206-221.

18 Si veda AUDUC, Arlette, Le service des monuments historiques sous la IIIe République, in POIRRIER, Philippe et VADELORGE, Loïc (dir.), Pour une histoire des politiques du patrimoine, La Documentation française-Comité d'histoire du ministère de la Culture, Paris 2003, p. 177.

19 Il service des Cultes, che dipende dal ministère des Cultes, ha come organo consultivo la Commission des édifices diocésains e opera sui monumenti attraverso gli architectes diocésains.

1.1. Gli antecedenti (1790-1900)

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pubblico)20 e i cui ispettori generali entrano, dal 1895, a far parte della Commission. Alla fine dell’Ottocento una struttura risulta pertanto configurata all’interno delle Beaux-Arts, nella quale s’è scelto d’inquadrare la conoscenza storica (gli archéologues), la creatività artistica contemporanea (gli architectes de bâtiments civils) e la capacità operativa sui monumenti del passato (gli architectes en chef des Monuments historiques). La crisi economica e i suoi riflessi sul budget (che diminuisce dal 1882 al 1900 per ricominciare a crescere dopo 1904) influenza, per molti autori, la dottrina del restauro verso un atteggiamento più conservativo. Se per alcuni aspetti si può concordare nel giudizio, si deve comunque osservare che rimane fermo il principio di concentrare i crediti su alcuni monumenti ‘maggiori’, appartenenti alle antichità greco-romane e al medioevo, specialmente quello gotico delle grandi cattedrali di Francia.21

Nel frattempo continua il dibattito intorno ai criteri di restauro ma, a dichiarazioni di principio di rispetto assoluto, non corrisponde spesso nella prassi operativa un medesimo rigore. Negli anni 1870-1890, in continuità con una controversia già in atto, le maggiori proteste sui modi di restaurare i monumenti vengono dagli ‘archeologi’ e dagli eruditi locali che prendono particolare vigore nella polemica sorta intorno al restauro della cattedrale d’Evreux.22 A seguito delle molte esperienze che consegnano, dopo i restauri, monumenti diversi dall’immagine ormai consolidata nell’identità locale o collettiva, si cerca di imporre, anche da parte degli élus (i rappresentanti eletti a cariche istituzionali), l’elaborazione di «una dottrina unica di restauration che privilegi le semplici réparations senza pretesa alla reconstruction».23 I grandi restauri nel frattempo volgono al termine, così alla fine del secolo i diversi punti di vista sembrano tendere a un avvicinamento.

20 Il service des Bâtiments civils dipende, in questo periodo, dal ministère des Travaux publique e ha

come organo consultivo il Conseil des Bâtiments civils. 21 Si veda AUDUC, Arlette, Le service … 2003, p. 181. 22 L’architetto diocésain Alexandre Darcy conduce i lavori con importanti modifiche alle volte della

navata e agli archi rampanti che, secondo molti, conferiscono alla cattedrale un aspetto grêle(‘gracile’), diverso da quello che aveva prima dell’intervento. Per il dibattito del tempo si veda LEROY-BEAULIEAU, Anatole, La restauration de nos monuments historiques devant l’art et devant le budget, «Revue des Deux Mondes», 1er déc. 1874, p. 615-625. Si veda anche AUDUC, Arlette, Le service … 2003, p. 181.

23 AUDUC, Arlette, Le service … 2003, p. 181.