esenin. poesie

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DI SE STESSO Sono nato nel 1895, il 21 settembre, nel villaggio di Konstantinovo, che si trova nella circoscrizione di Kuz'min, appartenente al distretto e al governatorato di Riazan'. Dall'età di due anni fui affidato al nonno materno, uomo discretamente agiato, presso il quale abitavano tre figli adulti e scapoli, con cui trascorsi quasi tutta la mia infanzia. I miei zii erano giovanotti di spericolatezza matricolata. Avevo tre anni e mezzo quando mi misero su un cavallo senza sella che subito lanciarono al galoppo. Ricordo che, completamente frastornato, mi tenni forte al garrese. In seguito, mi insegnarono a nuotare. Uno di essi (zio Saša) mi prendeva con sé in barca, si allontanava dalla riva, mi denudava e mi gettava in acqua come un cagnolino. Inesperto e terrorizzato, agitavo le braccia mentre lui, finché non ero sul punto di affogare, non faceva che strillare: «Ehi! carogna! Ma sei proprio un buono a nulla?...» «Carogna» era per lui un appellativo affettuoso. Dopo ancora, a otto anni, per un altro zio facevo spesso le veci di cane da caccia, andando a prendere a nuoto le anatre impallinate. Sugli alberi mi arrampicavo molto bene. Fra i ragazzini ero sempre capobanda e attaccabrighe, e ne uscivo sempre con sgraffiature. Per la mia monelleria mi rimproverava solo la nonna, mentre il nonno qualche volta mi spronava lui stesso alle scazzottature e diceva spesso alla moglie: «E insomma, lasciamelo stare, cretina: così diventerà più forte!» La nonna mi amava con tutte le sue forze, e la sua tenerezza era sconfinata. Ogni sabato mi lavavano col sapone, mi accorciavano le unghie, mi ondulavano i capelli con olio da lampade perché il solo pettine non la spuntava sui miei riccioli. Ma anche l'olio poteva ben poco. Io ogni volta strillavo a più non posso, e perfino adesso continuo a sentire una certa avversione per il sabato. Così trascorse la mia infanzia. Divenuto adolescente, volevano fare di me un maestro di villaggio e a questo scopo mi mandarono in una scuola magistrale religiosa, al termine della quale avrei dovuto frequentare l'Istituto magistrale di Mosca. Fortunatamente, ciò non ebbe a verificarsi. A scrivere versi incominciai presto, a nove anni ma l'attività creativa consapevole la faccio risalire ai 16-17. Alcuni versi di questi anni; sono inclusi nella raccolta Radunica. A diciotto anni rimasi stupito perché le riviste non pubblicavano i versi che io inviavo: così mi recai a Pietroburgo, dove mi accolsero con grande cordialità. Il primo che vidi fu Blok, il secondo Gorodechij. Mentre guardavo Blok, mi scorreva il sudore perché era la prima volta che vedevo un poeta in carne e ossa. Gorodechij mi fece conoscere Kljuev sul quale fino ad allora non avevo mai sentito parola alcuna. Con Kljuev nacque una grande amicizia, nonostante tutto ciò che nell'intimo ci divideva. In quel periodo frequentai per un anno e mezzo l'Università Šanjavskij, e tornai in campagna. All'università conobbi i poeti Semenovskij, Nasedkin, Kolokolov e Filipèenko. Fra i poeti contemporanei apprezzavo soprattutto Blok, Belyj e Kljuev. Belyj mi ha dato molto per quel che riguarda la forma, mentre Blok e Kljuev mi hanno insegnato il lirismo. Nel 1919, con un gruppo di amici, pubblicai il manifesto dell'immaginismo: che era la scuola della forma poetica che noi intendevamo promuovere. Ma questa scuola, non poggiando su fondamenta, si estinse da sé, dopo aver abbandonato la verità per l'immagine organica. Ai miei molti versi e poemi religiosi rinuncerei volentieri, ma essi sono molto rappresentativi del cammino di un poeta prima della rivoluzione. Da quando ebbi otto anni, la nonna prese a trascinarmi per svariati monasteri; a casa faceva alloggiare perennemente ogni specie di pellegrini e di pellegrine. Si cantavano vari inni religiosi. Il nonno era tutt'altro tipo. Quanto al bere non era uno sciocco. E per lui vi erano continue nozze senza sacramenti. In seguito, lasciata la casa di campagna, dovetti a lungo ingegnarmi per sbarcare il lunario. Negli anni della rivoluzione fui interamente dalla parte dell'Ottobre, anche se accolsi il tutto a modo mio, dal punto di vista contadino.

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Page 1: Esenin. Poesie

DI SE STESSOSono nato nel 1895, il 21 settembre, nel villaggio di Konstantinovo, che

si trova nella circoscrizione di Kuz'min, appartenente al distretto e al governatorato di Riazan'.

Dall'età di due anni fui affidato al nonno materno, uomo discretamente agiato, presso il quale abitavano tre figli adulti e scapoli, con cui trascorsi quasi tutta la mia infanzia. I miei zii erano giovanotti di spericolatezza matricolata. Avevo tre anni e mezzo quando mi misero su un cavallo senza sella che subito lanciarono al galoppo. Ricordo che, completamente frastornato, mi tenni forte al garrese.

In seguito, mi insegnarono a nuotare. Uno di essi (zio Saša) mi prendeva con sé in barca, si allontanava dalla riva, mi denudava e mi gettava in acqua come un cagnolino. Inesperto e terrorizzato, agitavo le braccia mentre lui, finché non ero sul punto di affogare, non faceva che strillare: «Ehi! carogna! Ma sei proprio un buono a nulla?...» «Carogna» era per lui un appellativo affettuoso. Dopo ancora, a otto anni, per un altro zio facevo spesso le veci di cane da caccia, andando a prendere a nuoto le anatre impallinate. Sugli alberi mi arrampicavo molto bene.

Fra i ragazzini ero sempre capobanda e attaccabrighe, e ne uscivo sempre con sgraffiature. Per la mia monelleria mi rimproverava solo la nonna, mentre il nonno qualche volta mi spronava lui stesso alle scazzottature e diceva spesso alla moglie: «E insomma, lasciamelo stare, cretina: così diventerà più forte!» La nonna mi amava con tutte le sue forze, e la sua tenerezza era sconfinata. Ogni sabato mi lavavano col sapone, mi accorciavano le unghie, mi ondulavano i capelli con olio da lampade perché il solo pettine non la spuntava sui miei riccioli. Ma anche l'olio poteva ben poco. Io ogni volta strillavo a più non posso, e perfino adesso continuo a sentire una certa avversione per il sabato. Così trascorse la mia infanzia.

Divenuto adolescente, volevano fare di me un maestro di villaggio e a questo scopo mi mandarono in una scuola magistrale religiosa, al termine della quale avrei dovuto frequentare l'Istituto magistrale di Mosca. Fortunatamente, ciò non ebbe a verificarsi.

A scrivere versi incominciai presto, a nove anni ma l'attività creativa consapevole la faccio risalire ai 16-17. Alcuni versi di questi anni; sono inclusi nella raccolta Radunica.

A diciotto anni rimasi stupito perché le riviste non pubblicavano i versi che io inviavo: così mi recai a Pietroburgo, dove mi accolsero con grande cordialità. Il primo che vidi fu Blok, il secondo Gorodechij. Mentre guardavo Blok, mi scorreva il sudore perché era la prima volta che vedevo un poeta in carne e ossa. Gorodechij mi fece conoscere Kljuev sul quale fino ad allora non avevo mai sentito parola alcuna. Con Kljuev nacque una grande amicizia, nonostante tutto ciò che nell'intimo ci divideva.

In quel periodo frequentai per un anno e mezzo l'Università Šanjavskij, e tornai in campagna.

All'università conobbi i poeti Semenovskij, Nasedkin, Kolokolov e Filipèenko.

Fra i poeti contemporanei apprezzavo soprattutto Blok, Belyj e Kljuev. Belyj mi ha dato molto per quel che riguarda la forma, mentre Blok e Kljuev mi hanno insegnato il lirismo.

Nel 1919, con un gruppo di amici, pubblicai il manifesto dell'immaginismo: che era la scuola della forma poetica che noi intendevamo promuovere. Ma questa scuola, non poggiando su fondamenta, si estinse da sé, dopo aver abbandonato la verità per l'immagine organica.

Ai miei molti versi e poemi religiosi rinuncerei volentieri, ma essi sono molto rappresentativi del cammino di un poeta prima della rivoluzione.

Da quando ebbi otto anni, la nonna prese a trascinarmi per svariati monasteri; a casa faceva alloggiare perennemente ogni specie di pellegrini e di pellegrine. Si cantavano vari inni religiosi. Il nonno era tutt'altro tipo. Quanto al bere non era uno sciocco. E per lui vi erano continue nozze senza sacramenti.

In seguito, lasciata la casa di campagna, dovetti a lungo ingegnarmi per sbarcare il lunario.

Negli anni della rivoluzione fui interamente dalla parte dell'Ottobre, anche se accolsi il tutto a modo mio, dal punto di vista contadino.

Page 2: Esenin. Poesie

Per quel che riguarda l'evoluzione della forma, sono sempre più attirato da Puškin.

Quanto alle altre notizie biografiche, esse sono nei miei versi.

Ottobre 1925

LA MANDRIA DI CAVALLI

Su verdi colli mandrie di cavalli dai giorniSoffiano con le nari una patina d'oro.

Dall'alto poggio è scesa sul golfo azzurreggiantesiLa pece delle agitate criniere.

Sopra l'acqua in riposo tremolano le teste,E le prende la luna con la briglia d'argento.

Sbuffando spaventati dall'ombra loro stessa,Attendon di offuscare con le criniere il giorno.

*

Giorno di primavera che risuona alle orecchiePropensione cordiale verso le prime mosche.

Ma sul far della sera per i prati i cavalliAgitano le orecchie scalpitando.

Sempre più acuto il suono attaccato agli zoccoliOra nell'aria affonda, ora pende ai laburni.

E non appena l'onda si protende a una stellaGuizzano a pelo d'acqua mosche simili a cenere.

*

Il sole è spento. C'è pace sul prato.Suona il pastore nel corno il suo canto.

La mandria ascolta, con le fronti attente,Quel che le canta il gamajun ciuffuto.

L'eco briosa, sfuggita dal labbro,Spinge i pensieri verso prati ignoti.

Amando il giorno tuo e la notte buia,Per te, mia patria, ho fatto questo canto.

[1915]

AUTUNNOa R.V. Ivanov

Quieto è il dirupo folto di ginepro.Pettina la criniera autunno - saura.

Va l'azzurro stridore dei suoi ferriSopra il drappo fluviale delle sponde.

Con passo accorto, il vento - asceta monacoMacera foglie ai bordi delle strade.

E bacia sopra l'arbusto del sorboLe rosse piaghe d'un Cristo invisibile.

[1914-1916]

Page 3: Esenin. Poesie

IN PATRIA SONO STANCO D'ABITARE

In patria sono stanco d'abitarePensando ai vasti campi, in umor tetro;Ladro errabondo me ne voglio andare,Il mio tugurio lasciandomi dietro.

E per i bianchi riccioli del giornoandrò a cercarmi una misera tana.Dal gambale l'amico che ho più intornoTrarrà - affilata contro me - la lama.

Avvolta se ne sta la gialla stradaDi primavera e di sole sul prato.E la sua soglia sarà a me vietataProprio da lei il cui nome mi è grato.

Farò ritorno alla casa paterna,Di gioia d'altri mi consolerò,Alla finestra in una verde seraCon la mia manica mi impiccherò.

Più dolcemente il capo inclinerannoCanuti salici lungo il recinto.Fra latrati di cane inumerannoIl corpo non lavato di me estinto.

Navigherà navigherà la luna,I remi dentro i laghi abbandonando;Vivrà la Russia non mutando alcunaSorte, ai recinti piangendo danzando.

[1915-1916]

NON INVANO SOFFIARONO I VENTI

Non invano soffiarono i venti,Non invano infuriò la bufera.Gli occhi miei misterioso qualcunoHa ubriacato di placida luce.

E di qualcuno la primaverileDolcezza nell'azzurra nebbia ha toltoMe di tristezza per una stupendaMa non di qui, non divinata terra.

Il muto latteggiare non angoscia,Lo sgomento stellare non travaglia,L'eterno e l'universo amo da tempoCome se fossero il mio focolare.

Tutto in essi è benefico e santo,E quel che travaglia riluce.Il tramonto, papavero acceso,Zampilla sul vetro del lago.

Una visione nel mare del granoViene alle labbra irresistibilmente:Il cielo che ha figliatoLecca un rosso vitello.

[1917]

Page 4: Esenin. Poesie

SVEGLIAMI DOMATTINA DI BUON'ORA

Svegliami domattina di buon'ora,O madre mia paziente! Me ne andròPer la strada oltre il colle camminandoIncontro all'ospite desiderato.

Oggi, sul prato dentro il fitto bosco,Ho visto tracce di larghe ruote.Sotto una fronda di nuvole il ventoGli scuote la dorata dugà.

Domani all'alba sfreccerà calcandoSotto un cespuglio la luna-berretto,Agiterà per gioco la cavallaLa rossa coda sopra la pianura.

Svegliami domattina di buon'ora,Ed accendi la luce della stanza.Si dice che ben presto diverròUn famosissimo poeta russo.

E te e l'ospite io canterò,La nostra stufa, il gallo ed il tetto...Si verserà delle tue mucche fulveIl latte sui miei canti.

[1917]

DOVE SEI, DOVE SEI CASA PATERNA

Dove sei, dove sei casa paterna,Che scaldavi la schiena sotto il colle?Mio azzurro, azzurro fiore,Sabbia non camminata.Dove sei, dove sei casa paterna?

Canta un gallo oltre il fiumeDove un pastore ha pascolato il gregge,E tre stelle lontaneDall'acqua risplendevano.Canta un gallo oltre il fiume.

Mulino a vento il tempo spinge in bassoIl pendolo lunare oltre il villaggioFra la segala, e versaL'invisibile pioggia delle ore.Mulino a vento, il tempo spinge in basso...

Con miriade di frecce questa pioggiaFra le nuvole ha avvolto la mia casa,L'azzurro fiore ha recisoE la dorata sabbia ha calpestato.Con miriadi di frecce questa pioggia.

[1917-1918]

O CAMPI, CAMPI ARATI

O campi, campi arati,Di Kolomna malinconia.Sul cuore è il giorno di ieriE nel cuore splende la Russia.

Page 5: Esenin. Poesie

Fischiano come uccelli le versteSotto l'unghia ferrata del cavallo.E pioviggina il soleSopra di me, a manciate.

O paese di piene tremende,Di forze silenziose, a primavera.Presso l'aurora e le stelleHo frequentato qui la scuola mia.

Ed ho letto e pensatoSulla bibbia dei venti,Con Isaia ho pascolatoI miei dorati armenti.

[1917-1918]

VADO VAGANDO SULLA PRIMA NEVE

Vado vagando sulla prima neveCon mughetti di forze esplose in cuore.La sera ha dato luce ad una stella,Azzurro cero lungo il mio cammino.

Io non so se c'è luce oppure buio,Se nella selva canta il vento o il gallo.Forse sui campi al posto dell'invernoVi sono cigni adagiati sul prato.

Come sei bella tu, bianca pianura!Un lieve gelo mi riscalda il sangue!Quanta voglia ho di stringere al mio corpoDelle betulle i seni denudati.

O sedimento torpido dei boschi!Nevosa ebbrezza dei campi di biade!...Quanta voglia ho di stringer fra le bracciaI fianchi legnosi dei salici.

[1917-1918]

APRI, D'OLTRE LE NUVOLE GUARDIANO

Apri, d'oltre le nuvole guardiano,Le azzurre porte, a me, del giorno.Un bianco angelo ha portato viaIl mio cavallo a mezzanotte.

Il superfluo a Dio non occorre,E il cavallo è per me potenza e forza.Sento come nitrisce lamentoso,La catena d'oro mordendo.

Vedo come egli lotta e si dimena,La stretta del laccio sforzando;La saura lana, come dalla luna,Da lui vola verso la nebbia.

[1918]

TEPPISTA

La pioggerella con umide scopeSpazza sterco di salici sui prati.

Page 6: Esenin. Poesie

Sputa via, vento, il fogliame a bracciate,Anch'io sono un teppista, come te.

Amo le azzurre folte selve quando,Con portamento pesante di bue,Con il ventre di foglie rantolante,Sporcano i tronchi fino alle ginocchia.

È quello il mio gregge fulvo!Chi mai potrebbe celebrarlo meglio?Vedo, vedo il crepuscolo leccareImpronte di passi umani.

Mia Russia, legnosa Russia!Sono il tuo solo cantore ed araldo.Ho nutrito di menta e di resedaLa tristezza dei miei versi ferini.

Fai lume, mezzanotte, alla brocca lunarePer attingere latte alle betulle!Il camposanto con le braccia delle crociSembra che voglia strozzare qualcuno.

Un nero brivido vaga sui colli,Il malgenio del ladro nel giardino versando.Ma anch'io son becero, bandito e ladro,Nel sangue, di cavalli della steppa.

Chi vide mai come arde nella notteLa schiera dei èerëmuchi in bollore?Dovrei con una mazza a notte stareIn qualche punto dell'azzurra steppa.

È appassito il cespuglio del mio capo:M'ha essiccato la prigione dei canti.Son dannato alla macina dei versiEntro l'ergastolo dei sentimenti.

Vento insensato, non aver timore,Sputa tranquillo il fogliame sui prati.Anche nei canti, come te teppista,Non mi snatura nomea di poeta

[1920]

CONFESSIONE DI UN TEPPISTA

Non tutti son capaci di cantareE non a tutti è dato di cadereCome una mela, verso i piedi altrui.

È questa la più grande confessioneChe mai teppista possa confidarvi.

Io porto di mia voglia spettinata la testa,Lume a petrolio sopra le mie spalle.Mi piace nella tenebra schiarireLo spoglio autunno delle anime vostre;E piace a me che mi volino controI sassi dell'ingiuria,Grandine di eruttante temporale.Solo più forte stringo fra le maniL'ondulata mia bolla dei capelli.

Page 7: Esenin. Poesie

È benefico allora ricordareIl rauco ontano e l'erbeggiante stagno,E che mi vivono da qualche partePadre e madre, infischiandosi del tuttoDei miei versi, e che loro son caroCome il campo e la carne, e quella pioggia finaChe a primavera fa morbido il grano verde.Per ogni grido che voi mi scagliateCoi forconi verrebbero a scannarvi.

Poveri, poveri miei contadini!Certo non siete diventati belli,E Iddio temete e degli acquitrini le viscere.

Capiste almenoChe vostro figlio in RussiaÈ fra i poeti il più grande!Non si gelava il cuore a voi per lui,Scalzo nelle pozzanghere d'autunno?Adesso va girando egli in cilindroE portando le scarpe di vernice.

Ma vive in lui la primigenia improntaDel monello campagnolo.Ad ogni mucca effigiataSopra le insegne di macelleriaSi inchina da lontano.Ed incontrando in piazza i vetturiniRicorda l'odore del letame sui campi,Pronto, come uno strascico nuziale,A reggere la coda dei cavalli.

Amo la patria. Amo molto la patria!Pur con la sua tristezza di rugginoso salice.Mi son gradevoli i grugni insudiciati dei porci,E nel silenzio notturno l'argentina voce dei rospi.Teneramente malato di memorie infantiliSogno la nebbia e l'umido delle sere d'aprile.Come a scaldarsi al rogo dell'auroraS'è accoccolato l'acero nostro.Ah, salendone i rami quante uovaHo rubato dai nidi alle cornacchie!È sempre uguale, con la verde cima?È come un tempo forte la corteccia?

E tu, diletto,Fedele cane pezzato!Stridulo e cieco t'hanno fatto gli anni,E trascinando vai per il cortile la coda penzolante,Col fiuto immemore di porte e stalla.Come grata ritorna quella birichinata:

Quando il tozzo di pane rubacchiatoAlla mia mamma, mordevamo a turnoSenza ribrezzo alcuno l'un dell'altro.

Sono rimasto lo stesso, con tutto il cuore.Fioriscono gli occhi in visoSimili a fiordalisi fra la segala.Stuoie d'oro di versi srotolando,Vorrei parlare a voi teneramente.

Buona notte! buona notte a voi tutti!La falce dell'aurora ha già tinnito

Page 8: Esenin. Poesie

Fra l'erba del crepuscolo.Voglio stanotte pisciare a dirottoDalla finestra mia sopra la luna!

Azzurra luce, luce così azzurra!In tanto azzurro anche morir non duole.E non mi importa di sembrare un cinicoCon la lanterna attaccata al sedere!Mio vecchio, buono ed estenuato pegaso,Mi serve proprio il tuo morbido trotto?Io, severo maestro, son venutoA celebrare i topi ed a cantarli.L'agosto del mio capo si versa quale vinoDi capelli in tempesta.

Ho voglia d'essere la vela giallaVerso il paese cui per mare andiamo.

[1920]

O TU CONTRADA, O TU CONTRADA MIA

O tu contrada, o tu contrada mia,Metallo per le piogge dell'autunno.Un lume specchia intirizzito il capoSenza labbra, nella nera pozzanghera.

Ma certo è meglio ch'io più non vi guardi,Per non scrutare in un attimo il peggio.Tenterò quasi di chiudere gli occhiDi fronte a questa rugginosa tenebra.

È così meno freddo e doloroso.Guarda: in mezzo agli scheletri di casaIl campanile-mugnaio trasportaCome sacchi di rame le campane.

Se patisci la fame, sarai sazio,Se infelice, sarai lieto e gaudioso,Ma non guardare ad occhi troppo aperti,Mio sconosciuto terreno fratello.

Come pensavo di fare, ho fatto,Ma è stato tutto inutile, ugualmente!Il corpo è certo troppo abituatoA sentire quel brivido e quel gelo.

Che importa, dunque! Ci son tanti altri,Non sono al mondo l'unico vivente.Ora ammicca il lampione, ora ridacchia,Con quella testa sua priva di labbra.

Sotto la veste lisa solo il cuoreSussurra a me, che ho visitato il cielo:«Amico, amico, soltanto la morteChiude quegli occhi che videro chiaro».

[1921]

IN OGNI COSA VIVA C'È UN'IMPRONTA

In ogni cosa viva c'è un'improntaSegnata a fondo dalla prima età.S'io non fossi poeta

Page 9: Esenin. Poesie

Sarei di certo truffatore e ladro.

Piccolo, mingherlino,Sempre eroe fra i compagni,Spesso, spesso col naso tutto rottoMe ne tornavo a casa.

E incontrando la mamma spaventataSibilavo fra i denti insanguinati:«Ho inciampato in un sasso, non è nulla,Entro domani sarò già guarito».

E ancor oggi, che pur si è raffreddataLa ribollente trama di quei giorni,Una forza inquieta ed insolenteS'è riversata sopra i miei poemi.

Un cumulo dorato di parole,E da ciascuna riga senza fineSi riverbera la spavalderiaDel monello di un tempo e attaccabrighe.

Son come allora temerario e arditoE schizza terra vergine il mio passo.Se prima mi picchiavano sul musoAdesso è tutta l'anima che sanguina.

E dico ormai, ma più non alla mamma,Bensì a canaglia estranea, sghignazzante:«Ho inciampato in un sasso, non è nulla,Entro domani sarò guarito».

[1922]

NON RIMPIANGO, NON LACRIMO, NON CHIAMO

Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo.Fumo dai meli bianchi, tutto passa.In preda all'oro della sfioritura,Io non sarò più giovane.

Non batterai più forte come un tempo,Cuore, toccato già dal primo freddo.Né più mi tenterà a vagare scalzoLa terra delle betulle telose.

Sempre più rara agiti tu la fiamma,Anima vagabonda, delle labbra.O freschezza perduta,Piena dei sensi e violenza di sguardi.

Di desideri son fatto più avaroO ti ho soltanto, mia vita, sognato?Come al galoppo, in sonante mattino,Sopra un cavallo rosa, a primavera.

Tutti noi, tutti siamo caduchi a questo mondo,Lento cola dagli aceri il rame delle foglie...E sia allora per sempre benedettoQuel che è venuto a fiorire e morire.

[1922]

ECCO ADESSO È DECISO. HO ABBANDONATO

Page 10: Esenin. Poesie

Ecco adesso è deciso. Ho abbandonatoSenza ritorno i campi miei nativi.E i pioppi, col fogliame loro alato,Mai più sopra il mio capo stormiranno.

La bassa casa senza me si ingobba,È crepato da tempo il vecchio cane.Iddio mi condannò, sembra, a morireFra le tortuose strade moscovite.

Amo questa città, nel suo merletto,Benché flaccida sia, benché sia vecchia:L'Asia dorata, l'Asia sonnolenta,Sulle sue cupole s'è addormentata.

E quando a notte la luna risplende,Quando risplende... sa il diavolo come!Io vado con la testa ciondolante,Nel vicolo, alla bettola consueta.

Sordo baccano in quel sinistro covo:Ma per tutta la notte, fino all'alba,Io leggo i versi miei alle prostituteE nell'alcool affogo coi banditi.

Sempre più rapido mi batte il cuoreE divago in discorsi fuori luogo:«Come voi sono un essere fallito,E m'è preclusa la via del ritorno».

La bassa casa senza me si ingobba,È crepato da tempo il vecchio cane.Iddio mi condannò, sembra, a morireFra le tortuose strade moscovite.

[1922-1923]

CANTA, CANTA! CON DITA IN SEMICERCHIO

Canta, canta! Con dita in semicerchioDanzanti sulla dannata chitarra.Annegarmi vorrei dentro quest'orgia,O mio superstite, mio solo amico.

Non guardarle i bracciali né la setaDello scialle che cade dalle spalle.Felicità cercavo in questa donnaE a caso vi trovai la perdizione.

Che l'amore è infezione non sapevo,Non sapevo che l'amore è peste!E venne lei, con l'occhio ammaliatore,A condurre il teppista fuor di senno.

Canta, amico: volare fammi ancoraAl nostro antico burrascoso inizio.Sbaciucchi pure un altroQuesta avvenente giovane immondizia.

Ma lascia andare: io non la riprovo.Ma lascia andare: non la maledico.Fa che sia io a cantar di me stessoCon questa corda bassa.

Page 11: Esenin. Poesie

Scorre la rosea cupola dei giorni.Nel cuore, il mucchio dei sogni dorati.Ne ho tastate un bel po di giovinette,E donne alquante ne ho strette in disparte.

Questa è l'amara verità terrena,Che ho spiato con occhi di bambino:Leccano a turno i caniIl liquame alla cagna.

Ma di che cosa allora ingelosirmi?Per che cosa ridurmi in questo stato?La nostra vita son lenzuola e letto,La nostra vita è il gorgo dell'amplesso.

Canta, canta! Il fatidico aprirsiDi queste braccia è fatale sventura.Sai che ti dico? Mandiamoli a fare...Né mai, amico, io ne morirò.

[1923]

SI È SOLLEVATO UN INCENDIO AZZURRO

Si è sollevato un incendio azzurro,Le lontananze natie offuscando.Ho cantato d'amore, ho rinunciatoA far scandali: per la prima volta.

Non ero che un giardino abbandonato,Ero avido d'alcool e di donne.Non amo più bere, ballare e perdere,Senza voltarmi indietro, la mia vita.

Vorrei solo guardarti, contemplandoL'oro-castano abisso dei tuoi occhiE, rinnegando il passato, far sìChe con un altro tu non te ne vada.

Dolce andatura ed elegante vita:Tu, dal cuore inflessibile, sapessiCome è capace un teppista d'amare,Come è capace d'esser sottomesso.

Le bettole per sempre scorderei,Smettendo anche di scrivere versi:Soltanto per sfiorare la tua manoE come un fiore autunnale i capelli.

E vorrei sempre seguirti da presso,Sia in patria che in paesi forestieri...

Ho cantato d'amore e ho rinunziatoA far scandali: per la prima volta.

[1923]

RITORNO IN PATRIA

Ho visitato i luoghi miei natali,Quel piccolo borgoDove vissi fanciullo, e dove,Come torre vedetta, a cima di betulla,

Page 12: Esenin. Poesie

Si elevò il campanile senza croce.

Quante cose laggiù sono cambiateIn quel povero squallido tran-tran,E quante novità sono seguiteProprio da presso alla mia dipartita.

La casa paternaNon posso riconoscere:Più, sotto la finestra, non batte le ali l'aceroSlanciato, né la mamma siede più sulla loggiaCon becchime di kaša nutrendo i suoi pulcini.

Può darsi si sia fatta vecchia...Sì, vecchia!E con tristezza guardo tutt'intorno:Mi è proprio sconosciuto questo luogo!Come un tempo biancheggia il monte, solitario,E sopra il monteUn alto grigio sasso.

Qui c'è il cimitero!Le croci marcescentiA braccia spalancate son rimaste di ghiaccioCome morti in battaglia corpo a corpo.

Per un sentiero, appoggiato al bastone,Cammina un vecchio alzando polvere dall'erbaccia.«Passante!Dimmi, amico,Dov'è che vive Esenina Tat'iana?»

«Tat'iana... Ehm...Sì, dietro quell'isbà.Ma tu che le vieni?Parente ?O non sei forse il figlio perduto?»

«Il figlio, sì.Ma che cos'hai, vecchietto?Dimmi perchéMi stai guardando con tanta amarezza?»

«Bello, nipote mio,Bello, non riconoscere tuo nonno!...»«Oh, nonno mio! sei dunque proprio tu?»E si versò quel triste colloquioCome lacrime calde sui fiori polverosi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .«Tu, mi pare, fra poco avrai trent'anni...Ma io di già novanta...Presto andrò nella tomba.Per te da molto è l'ora di tornare».Così dicendo corrugò la fronte:«Il tempo, già...Tu non sei comunista?»

«No!»«Le tue sorelle invece sono nel komsomol.Che schifezza! non resta che impiccarsi!Ieri hanno tolto le icone alla nicchiaDalla chiesa la croce ha tolto il commissario.Non c'è più un luogo per pregare Iddio.Ormai vado di soppiatto nel bosco

Page 13: Esenin. Poesie

E prego innanzi ai tremoli...Può darsi che sia utile...

Andiamo a casa:Vedrai tutto da te».

Camminiamo pestando sul ciglio l'agrostemma.Sorrido ai boschi ed ai campi arati,Ma il nonno guarda triste il campanile.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .«Salve, madre mia, salve!»E porto ancora il fazzoletto agli occhi:Ché qui singhiozzerebbe anche una vacca,Guardando questo misero angolino.

Sulla parete, un Lenin calendario.Qui c'è la vita delle mie sorelle:La loro, non la mia;Ma a gettarmi in ginocchio son dispostoAvendo visto voi, contrade amate.

E giunsero i vicini...Una donna col bimbo.Proprio nessuno ormai mi riconosce.E sull'ingresso byronianamenteMi accoglie il nostro cagnetto latrando.

O mio amato paese!Non eri tu,Non eri tu così!Ma neanch'io certo son quello d'un tempo.Tanto più tristi e spenti mamma e nonno,Tanto più allegra ride mia sorella.

Certo per me neanche Lenin è icona:Conosco il mondo io...Amo la mia famiglia...Così mi inchino, chissà perché,Sedendo sulla panca di legno.

«Parla dunque sorella»

Ed attacca a parlare, come bibbia,Aprendo il panciuto Capitale.... Su Marx,Su Engels...Con nessun climaIo certamente ho letto questi libri.

E mi fa ridereIl fatto che una vispa ragazzinaAlle corde mi metta su tutto.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .E sull'ingresso byronianamenteMi accoglie il nostro cagnetto latrando.

[1924]

LENIN

La nostra legge non è ancora salda,Mugghia il paese come la bufera.

Page 14: Esenin. Poesie

Straripava da ogni lato, insolente,Una libertà intossicante.

Russia, paese caro al cuore!Compressa e afflitta è l'anima.Da quanti anni non sentono i campiCanto di galli, vociare di cani.

E il nostro quieto viver quotidianoHa perduto le parole di pace.Dal vaiolo dei ferri di cavalloSono sfregiati il pascolo e le valli.

Scalpitare continuo, fra i lamenti,Cigolan forte le taeanki e i carri.Forse io dormo, e mi appare nel sognoChe con le lance, da tutte le parti,Ci stringono d'assedio i peceneghi.No, non è sogno! Io vedo realmente -E con lo sguardo da nulla offuscato -Come, spronando nel guado i cavalli,Un drappello galoppa dietro l'altro.Dove mai vanno? Dov'è mai la guerra?L'umida steppa non ode parole.Io non so se è la luna che risplende,

O s'è un ferro, caduto a un cavaliere.Tutto è confuso...

Ma lo si intende a vista:dilaniato, da un capo ad un altro,Il paese, nella guerra civile,Scintillante di sciabole e di fuochi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Russia,Suono terribile, suono incantevole,Fra gli alberi betulle, tra i fiori il bucaneve:Ma da dove è sbucato fuori lui,Questo ribelle che ti tolse al sonno?Genio severo! Egli non mi attrassePer il suo aspetto esterno.Non andava a cavallo,Né è mai volato incontro alle tempeste.Dalle spalle mai teste non recise,Né mise in fuga fanterie nemiche.E in fatto di uccisioni non amavaChe la caccia alle quaglie.

Convenzionale era per noi l'eroe:Amiamo quelli in maschere grifagne;Egli invece con bimbetti mocciosiD'inverno scivolava sulle slitte.E non portava di quei capelliChe affascinano languide donne.Calvo come un vassoio,Ha uno sguardo modesto fra i modesti.Così simpatico, timido e semplice,Egli è per me come una sfinge.Con quale forza, non posso capire,L'intero globo terrestreHa scosso? Eppur l'ha scosso...Rumoreggia ed infuria,Incrudelisci severo, maltempo!Dall'infelice popolo cancella

Page 15: Esenin. Poesie

La vergogna di carceri e di chiese.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Quello era il tempo degli anni crudeli,Ci dominavano i perfidi artigli.Sulla pelle delle sventure paesaneFiorivano i satrapi imperiali.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Lezzo sinistro! Monarchia! Nei secoli,I festini seguivano ai festini,Il nobile vendette il suo potereAi padroni di industrie ed ai banchieri.Il popolo gemeva, e in tanto orroreAspettava qualcuno il paese...Ed egli venne.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Con possente parolaHa tutti noi guidato verso sorgenti nuove.«Per far cessare - ci disse - i tormenti,Prendete tutto voi con mani operaie.Non avete altra salvezza:Il vostro Soviet e il vostro potere».. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sotto l'urlo di bufere di neveAndammo là dove egli guardava:Andammo là dove egli vedevaLa libertà di tutti i popoli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ed ecco è morto...Il pianto è vergognoso.Le muse non esaltano le voci di sciagura.Dai cannoni latranti nel rameÈ dato è dato l'ultimo saluto.Chi ci salvò se n'è andato.Ma coloro che sono in vita,Quelli ch'egli ha lasciato,Debbono, nella piena ribollente,Il paese fissare con il cemento armato.

Per loro non dire:«Lenin è morto»,Non li ha portati il lutto all'angoscia.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ancor più austeri e graviRealizzano l'opera sua...

[1924]

LA RUSSIA CHE SE NE VA

Di tante cose ancora non c'è coscienza in noi,Della vittoria di Lenin alunni;E le nuove canzoniCantiamo in modo antico,Come ce le insegnarono le nonne e i nonni.

Amici, amici,Che scisma nel paese,Che tristezza nell'allegro fermento!Sarà dunque per questo che ho tanta voglia anch'io,Rimboccandomi i pantaloni,Di correr dietro al komsomol.

Scuso il dolore di chi se ne va:Dove è mai dato ai vecchi

Page 16: Esenin. Poesie

Correre dietro ai giovani?Sono rimasti, non mietuta segala,Sulla radice, a sfiorire e putrescere.

E del resto io stesso,Né giovane né vecchio, in tutto ciòSon condannato a fare da letame.Non è forse per questoChe mi dà un dolce sonnoIl suono della chitarra di bettola?

Cara chitarra,Suona, suona,Fammi sentire, zingara, qualcosaAffinché scordi i giorni avvelenatiChe non conobbero carezza e pace.

Il potere sovietico lo accuso,E gli conservo rancore per questo:Nell'altrui lotta ho perduto di vistaLa luminosa giovinezza.

Che cosa ho visto io?Solo battaglie ho visto,Ed invece dei cantiHo ascoltato i cannoni.Non è per questo che il pianeta ho corsoA perdifiato, con la testa gialla?

Pure sono felice, ché l'insiemeDelle tempeste mi ha datoNon ripetibili impressioni:E il gorgo ha rivestito il mio destinoCon un fiorame addobbato in oro.

Non sono un uomo nuovo!A che serve nasconderlo?Con un piede rimango nel passatoE, volendo raggiungere l'esercito d'acciaio,Scivolo e cado con l'altro.

Ma vi son uomini diversi.EssiSono ancor più negletti ed infelici,Vivendo, come pula nel setaccio,Fra vicende per loro inesplicabili.

Io li conoscoE li ho sogguardati: i loro occhiSon più tristi di quelli delle vacche.Fra le cure quotidiane degli uomini,Come stagno ammuffisce il loro sangue.

Chi getterà una pietra in questo stagno?Non fatelo!Si leverebbe un fetido lezzo.Avvizzendo in un fosso come foglie cadute,Moriranno chiusi in se stessi.

E ve ne sono altri ancora:Quelli che credono,Azzardando un timido sguardo verso il futuro.Grattandosi di dietro e davanti,Essi discorrono di nuova vita.

Page 17: Esenin. Poesie

Io li ascolto. E rivedo nel ricordoQuel che borbotta il contadino ignudo:«Coi Soviet si vive mica male...Ma ci vorrebbe un po di chiodi... e stoffa...»

Che poco occorre a questi barbacciuti:La loro vita interaSon le patate e il pane.Ma perché sto ogni notte ad inveireContro il mancato, amaro mio destino?

Invidio tutti quelliChe hanno trascorso la vita in battaglia,Difendendo la grande idea.Ma, rovinata la mia giovinezza,Io non conservo nemmeno ricordi.

Che scandalo!Che grande scandalo!Sono finito in uno stretto vicoloIo che potevo dareNon quel che ho dato,E m'era facile come uno scherzo.

Cara chitarra,Suona, suona,Fammi sentire, zingara, qualcosaAffinché scordi i giorni avvelenatiChe non conobbero carezza e pace.

La tristezza non si affoga nel vino,Non si risana l'anima, lo so,Col deserto e il distacco.Sarà dunque per questoChe ho tanta voglia anch'io,Rimboccandomi i pantaloni,Di correr dietro al komsomol.

[1924]

LETTERA A UNA DONNA

Voi ricordate,Voi certamente tutto ricordate:Come io stavoAlla parete appoggiato,E come, andando su e giù per la stanzaUn discorso taglienteMi scagliavate in faccia.

È tempo di lasciarci, dicevate;E che vi aveva sfinitoLa vita mia dissennata,Ch'era tempo per voi di lavorare,E mio destinoRotolarmene ancora più in basso.

Amore mio!Voi non mi avete amato.Non sapevate voi che nella bolgia umanaIo fui come un cavallo fino alla bava spintoDagli speroni d'un cavaliere temerario.

Page 18: Esenin. Poesie

Non sapevate cheNel fitto fumo, nella quotidianaEsistenza dal turbine sconvoltaIo mi tormento anche non capendo a che portaLo svolgersi fatale degli eventi.

Faccia a facciaNon riesci a distinguere.Ciò che è grande si vede da lontano.Quando ribolle lo specchio del mareTutta la nave ha una gran brutta cera.

La terra è una nave!Ad un tratto peròNel bel mezzo di vortici e tempesteMaestosamente a nuova vita e gloriaL'ha diretta qualcuno.

E chi di noi sopra la grande toldaNon cadde, vomitando e bestemmiando?Pochi son quelli, dall'animo esperto,Rimasti saldi nel grande rullare.

E fu allora che anch'ioNel selvaggio baccano,Ma nel mestiere mio maturo e saggio,Discesi nella stiva della navePer non vedere il vomito degli altri.Quella stivaEra la bettola russa.Per distruggermi, senzaSoffrire per alcuno,Mi chinai sul bicchiere tra i vaporiAsfissianti dell'alcool.

Vi ho tormentata,Amore!C'era grande tristezzaNei vostri stanchi occhi:Perché in mostra dinnanzi a voiDilapidavo me stesso in scandali.

Non sapevate cheNel fitto fumo, nella quotidianaEsistenza dal turbine sconvolta,Io mi tormento ancheNon capendo a che portaLo svolgersi fatale degli eventi...

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Sono passati gli anni.Ora ho un'età diversa.E penso e sento in un diverso modo.E col vino del dì di festa dico:Sia lode e gloria al timoniere!

Sono oggi in venaDi sentimenti teneri, e ricordoQuella triste stanchezza.Ed eccoMi affretto ad informarviSu ciò che adesso sono diventatoDa quello ch'ero allora!

Page 19: Esenin. Poesie

Amore mio!Com'è grato a me dirvi:Ho evitato la ripida caduta.Sono adesso, nel paese dei Soviet,Il più impetuoso fra i compagni di strada.

Non sono piùQuello d'un tempo,Né vi tormentereiCome facevo allora.Per la bandiera della libertàE del luminoso lavoroA piedi andrei fin sulla Manica.

Perdonatemi...Lo so: siete cambiata.ViveteCon un marito intelligente e serio;Non avete bisogno del nostro pandemonio,E nemmeno di meAvete alcun bisogno.

Vivete dunqueDove vi porta la vostra stella,Sotto l'ala di un tetto fatto a nuovo.Vi saluta,Di voi memore sempre,Il vostro conoscente

Sergej Esenin

[1924]

LA TORMENTA

Tessete, giorni, il filo del passato.Non puoi rifarla un'anima vivente,No!Né con me stesso mai mi intenderò.Per l'amato me stessoNon sono che un estraneo.

Vorrei leggere: il libro mi cade;Lo sbadiglio mi invadeE mi prende il sonno...Fuori della finestraSinghiozza il vento prolungatamenteQuasi che presentisseVicino il funerale.

La nera vettaDell'acero spelacchiatoCon voce roca e nasale discorreIn cielo di quel che è stato.Ma che razza di acero!Non è che il palo della gogna:Buono come patiboloO legna per il fuoco.

E me per primoSarebbe bene impiccare,Con le mani incrociate sulla schiena:Perché con cantoRauco e morboso

Page 20: Esenin. Poesie

Ho turbato i sonniDel mio amato paese.

Non amoGli squarciagola del galloE dico anziChe se ne avessi la forzaA tutti i galliTirerei le budella,Perché i loro lamentiNon strillino ogni notte;

Ma dimenticoCh'io stesso come un galloSfrenatamente ho sbraitatoPrima che si levasseL'alba sul mio paese,Calpestando i precetti dei padri,E agitandomiCol cuore e con i versi.

Ulula la tormentaCome fosse un cinghialeChe stiano macellando.Fredda nebbiaGlaciale,Non si distingueCiò che è lontanoCiò che è vicino...

La luna, di sicuro,L'hanno ingoiata i cani:Da tanto tempo in cieloNon la si vede più.Dalla conocchia il filo traendoLa mammaCon il fuso conversa.

Un gatto sordastroAscolta il colloquio,Scuotendo dalla stufaLa testa sussiegosa.Non per nienteGli impauriti viciniDicono che assomigliaA una nera civetta.

Mi si chiudono gli occhi,Ma appena li riaproVedo come realeUna scena del tempo delle fiabe:Il gattoMi fa le fiche con la zampa,E la mamma è una stregaDella montagna di Kiev.

Non capiscoSe son malato o sano,Ma di certo i pensieriVagano senza meta.Ho nelle orecchieUn battere di pale sopra tombeEd il singhiozzoDi lontani campanili.

Page 21: Esenin. Poesie

Mi vedo mortoSteso dentro la bara,Sotto gli alleluiantiGemiti del sacrestano.A me stesso defuntoAbbasso le palpebre,Ponendovi due monete di rame.

Da questi soldiSopra gli occhi di un mortoVerrà tepore al becchino...Che seppellendomiDi forte grappaSi offrirà un bicchiere.

Ad alta voce dicendo:«Guarda che tipo!Ne ha fatte in vitaDi tutti i colori...Ma non riuscì a sciropparsiNemmeno cinque pagineDel Capitale».

[1924]

LA PRIMAVERA

L'attacco del male è passato.La tristezza è caduta in disgrazia:Come un sogno di prima seraAccetto la vita.Ieri ho letto nel CapitaleChe anche i poetiHanno una loro legge.

Bufera di neve,Urla pure come un diavolo, adesso,E bussa, come un annegato nudo!Liberatami la testa dall'alcool,Sono compagno ai forti ed agli allegri.

Vano è compiangere chi è imputridito,E neanche me compiangere bisognaPerché umilmente potevo morireNel turbinare di questa tormenta.

Cip, cip, buongiornoCingallegra!Non impaurirti!Non ti toccherò.E secondo la legge degli uccelli,Posati sulla siepeSe lo desideri.

C'è una legge di rotazione nel mondoChe regola il rapportoFra gli esseri viventi.Visto che sei di casa fra gli uomini,Hai ben dirittoDi posarti e giacerti.

Salute a te,Mio povero acero!

Page 22: Esenin. Poesie

E scusami per averti offeso!Il tuo abito ha un ben misero aspetto,Ma sarai prestoVestito a nuovo.

Aprile sua sponteTi farà crescere un berretto verde,E tra le bracciaCon sommessa tenerezzaDei rampicanti ti terrà il viluppo.

Presso di te verrà una giovinettaAd innaffiarti con l'acqua del pozzo,Per far sì che nell'ottobre inclementeCon le tormente tu possa lottare.

E di notteRiemergerà la luna;Non se la sono divorata i cani:Era solo invisibileDietro l'umanaInsanguinata rissa.

Ma la rissa è finita...Ed ecco la luna,Con la sua luce color limone,Gli alberi, agghindati col verde,AspergereDi risonante chiarore.

Bevi dunque, petto mio,La primavera!TormentatiPer nuovi versi!Adesso, allontanandomi nel sogno,Più con i galliNon litigherò.

O terra, terra,Tu non sei un metallo!Il metallo, davvero,Non può mettere gemme.È sufficienteImbattersi in una riga,Ed ecco subitoCompreso Il Capitale.

[1924]

IL MIO CAMMINO

Rientra fra i suoi argini la vita.A me, abitante antico del villaggio,Torna nella memoriaQuello che ho visto al paese natio.Miei versi,Pacatamente diteDella mia vita il racconto.

Un'isbà contadina.Finimenti che odorano di pece,Una nicchia di vecchie icone,Una lucerna dalla luce mite.Com'è bello

Page 23: Esenin. Poesie

Ch'io tutte le conserviLe sensazioni dei miei primi anni.

Fuori delle finestreIl candido falò della tormenta.Ho nove anni.La nonna, il gatto, il giaciglio da stufa...E la nonna, sbadigliando ogni tantoE segnando di croce le labbra,Cantava qualcosa di tristeChe sapeva di steppa.

La tormenta sbraitava.Presso la finestrellaSembrava che ballassero i morti.A quel tempo l'imperoMuoveva guerra ai giapponesi,E ad ognuno lontaneBalenavano croci.

A quel tempo ignoravoI marci affari della Russia,Né sapevo gli scopiDella guerra, e i motivi.I campi di Riazan',Dove falciavano i contadini,E seminavano il loro grano,Erano il mondo intero.

Solo questo ricordo:Che mugugnavano i contadini,Turpiloquiando il diavolo,Iddio e lo Zar,È che sola rispostaEra il sorriso delle lontananzeE della nostra liquidaColor limone aurora.

Allora per la prima voltaIo mi scontrai con la rima;La ressa dei sentimentiMi dava le vertigini.E dissi: «Poiché dunqueQuesto prurito s'è destato,Nelle parole riverserò tutta l'anima».

Anni lontani,Siete oramai come dentro una nebbia.Rammento il nonnoDirmi tristemente:«È tutta roba inutile...Ma se proprio ti avvince,Scrivi di segalaE ancor più di cavalle».

Allora nel cervello attanagliatoDalla passione verso la mia musa,In un silenzio segretoPresero a scorrere i sogni.... Ch'io sarei statoRicco e rinomato,E che m'avrebbero erettoUn monumento a Riazan'...

Page 24: Esenin. Poesie

A quindici anniM'innamorai svisceratamente,E, non appena in solitudine,Dolcemente pensavoChe, raggiunta l'età,Me la sarei sposataLa migliore tra le fanciulle.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Gli anni scorrevano,Gli anni mutano i volti:Ed una luce nuovaSopra di essi si stende;Sognatore di campagna,Io diventai nella capitaleUn poeta di prima classe.

E, ammalatomiDel tedio di scrittore,Presi a vagabondarePer paesi stranieri;Non credendo agli incontri,Non soffrendo i commiati,Considerando inganno il mondo intero.

Compresi alloraChe cos'è la Russia;Compresi pure che cos'è la gloria.E per questo nell'animaCome un veleno amaroPenetrò nel profondo la tristezza.

Che cosa diavolo m'importaD'essere un poeta.Anche senza di meCe n'è abbastanza di rifiuti.Ch'io crepi.Soltanto...Prego!Non innalzate il monumento a Riazan'.

Russia... Zarume...Angoscia...E aristocratica condiscendenza...Cosa contano mai?Accogli dunque, o Mosca,Il mio disperato teppismo.

VedremoChi dei due la spunterà!Ed ecco dai miei versiSui circoletti lustri e salottieriZampillare l'orinaDella cavalla di Riazan'.

Non vi aggrada?Ma è giusto!Con l'abitudineAl Profumo d'origano e alle rose...Ma questo paneChe voi vi pappate,L'abbiamo fatto, come dire...Proprio con il letame...

Passarono altri anni.

Page 25: Esenin. Poesie

Quello che in essi avvenneSolo con le paroleTutto non si può dire:Lo zarismo soppiantando,Con maestosa energiaSi levò in piedi la schiera operaia.

Stanco di trascinarmiPer paesi stranieriFeci ritornoAlla casa natale.Presso lo stagnoIn sottanina biancaSta la betulla dalle verdi trecce.

Che betulla!Incantevole! e che seni...Seni come questiNon se ne trovano nelle donne!Dai campiUomini spruzzati di soleI loro carri di segalaPortano incontro a me.

Non possono riconoscermi:Sono per loro un passante.Ma ecco, senza guardare,Passa una campagnola.Come una specie di corrente,Sento lungo la schienaUn inesprimibile brivido.

È proprio lei?Possibile che non mi riconosca?Ma sì!Lascia pure che vada...

Anche senza di meNon le mancheranno amarezze:Non per nulla ha una piegaCosì penosa la sua bocca.

Ogni sera,Calandomi il berretto sul viso,Per non tradireIl gelo che ho negli occhi,Io mi reco a guardareLe steppe falciateE ad ascoltareCome canta lieve il ruscello.

Che fare mai?La giovinezza è trascorsa!Il tempo è venutoDi dedicarmi al lavoro,Perché dall'anima d'avventurieroMi vengano oramai canti maturi.

E la mutata vita del villaggioPossa riempirmiD'una nuova forza,Così come un tempoMi condusse alla gloriaLa conterranea mia

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Cavalla russa.

[1925]

IO LO RICORDO, AMATA, IO LO RICORDO

Io lo ricordo, amata, io lo ricordo,Lo splendore dei tuoi capelli;Non fu allegra vicenda, né leggera,Per me l'abbandonarti.

Delle notti autunnali mi ricordo,Del murmure nell'ombra di betulle:E se allora più corti erano i giorni,Più a lungo dava luce a noi la luna.

Ed io ricordo che tu mi dicevi:«Questi anni azzurri se ne andranno via,E tu, mio amato, dimenticherai,Per sempre, per un'altra».

Ma oggi il tiglio che va rifiorendoDi nuovo ha ricordato ai sentimentiCome teneramente cospargevoA quel tempo i tuoi riccioli di fiori.

E il cuore, non disposto a raffreddarsi,E amando un'altra con malinconia,Va ricordando con quell'altra te,Come un lungo racconto prediletto.

[1925]

NEBBIA TURCHINA E DISTESA DI NEVE

Nebbia turchina e distesa di neve,Tenue color limone chiarore della luna,Con pacato dolore com'è gratoRicordare qualcosa dell'infanzia.

Come una sabbia mobile la neve sulla loggia.Ecco, con questa stessa luna senza paroleCalcato in fronte un berretto di gatto,Il mio tetto, furtivo, abbandonai.

Sono tornato alla terra natale:Chi si ricorda, e chi non più, di me?Della mia isbà padrone un tempo, adessoSto qui triste viandante messo al bando.

In silenzio gualcisco il mio berrettoNuovo: non fa per me lo zibellino.Mi rammento del nonno, della nonna,Mi rammento la neve soffice sul cimitero.

Tutti v'ebbero pace, tutti là finiremo,Per quanto tu possa in vita affannarti.Ecco perché dagli uomini mi sentoTanto attirato, ecco perché li amo.

Ecco perché per piangere ero quasiE sorridendo l'anima s'è spenta.Questa isbà con il cane sulla loggiaGuardo - lo sento - per l'ultima volta.

Page 27: Esenin. Poesie

[1925]

AH, CHE TORMENTA! DIAVOLO, PORTALA VIA CON TE!

Ah, che tormenta! diavolo, portala via con te!Con i suoi chiodi bianchi va sigillando il tetto!Ma io non ho paura: nel mio destino è scrittoChe lo sviato cuore mi sigillasse a te.

[1925]

INNEVATA PIANURA, BIANCA LUNA, È CALATO

Innevata pianura, bianca luna, è calatoIl lenzuolo dei morti sulla nostra contrada.Le betulle nel bianco per i boschi si dolgono.Chi giace qui perduto? Morto? Ma non son io?

[1925]

I FIORI MI DICONO ADDIO

I fiori mi dicono addio,Scrollando in giù le corolle,Perch'io mai più rivedròIl suo volto e il paese natio.

Non importa, mia cara, non importa!Li ho visti ed ho visto la terra,E accolgo questo brivido tombaleCome se fosse una nuova carezza.

E poiché penetrai l'intera vitaPassandole dinanzi sorridendo,Mi dico ad ogni istanteChe a questo mondo tutto si ripete.

Verrà un altro, e che importa! La tristezzaNon cancella chi parte: per la donnaAbbandonata e cara comporràIl successore un canto ancor più bello.

E nel silenzio ascoltandoloDal nuovo amante l'amata,Di me può darsi si ricorderàCome di un fiore che non si ripete.

[1925]

L'UOMO NERO

Amico mio, amico mio,Io sono molto e molto malato!Né io stesso conoscoDa dove mai mi venga questo male.Forse è il vento che fischiaSopra il campo deserto e desolato,O forse, come selva di settembre,È l'alcool, che i cervelli fa sfiorire.

Sventola la mia testa le orecchieCome un uccello le ali,Ma più non è capace

Page 28: Esenin. Poesie

Di reggersi sul collo.Un uomo nero,Nero, nero,Un uomo nero,Si siede sul mio letto,Un uomo nero,Tutta la notte non mi fa dormire.

L'uomo neroSegue col dito le righe d'un libro abietto.E su di me nasaleggiandoCome un monaco sopra un defunto,Mi legge la vitaD'un ribaldo ubriacone,Angoscia e paura nell'anima instillandomi.L'uomo nero,Nero, nero.

«Ascolta, ascolta, -Mi va mormorando -Ci sono nel libro numerosi e bellissimiPensieri e progetti.Quest'uomoViveva nel paeseDei più abominevoliScassinatori e bricconi.

«In quel paese a dicembreLa neve è diabolicamente puraE le tormente avvianoAllegri filatoi.Era quell'uomo un avventuriero,Ma di elevataE sopraffina marca.

«Era eleganteE per giunta poeta,Seppur di esileMa prensile forza,Ed una certa donnaDi quarant'anni e passaChiamava sua dilettaE perfida fanciulla.

«La felicità - diceva -È la destrezza di mente e di maniLe anime maldestre sono sempre passateTutte per infelici.Né ha importanzaSe tante sofferenzeSon generate dai gestiStrampalati e bugiardi.

«Fra tempeste e bufere,E dentro il gelo quotidiano,Nelle crudeli perditeE quando tu sei triste,Mostrarsi sorridente e sempliceÈ la suprema arte del mondo».

«Non osare questo,Uomo nero.Tu non fai certoIl palombaro di mestiere.

Page 29: Esenin. Poesie

Che cosa dunque m'importaD'un poeta scandaloso.Leggi, per favore,Questo racconto ad un altro».

L'uomo neroMi scruta fisso.E gli si velano gli occhiD'un vomito azzurrino:Come volesse dirmiChe son ladro e mariuoloE, svergognato e spavaldo,Ho derubato qualcuno.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Amico mio, amico mio,Io sono molto e molto malato.Né io stesso conoscoDa dove mai mi venga questo male.Forse è il vento che fischiaSopra il campo deserto e desolato,O forse, come selva di settembre -,È l'alcool, che i cervelli fa sfiorire.

Notte di gelo.Assorta è la pace al crocevia.Sto solo alla finestra,Non aspettando ospite né amico.Di porosa e soffice calceÈ ricoperta tutta la pianura,E gli alberi, come cavalieri,Sono accorsi a convegno nel giardino.

Piange da qualche parteUn sinistro uccello notturno.I cavalieri di legnoSeminano un ticchettare di zoccoli.Ecco di nuovo quella cosa neraChe - toltasi il cilindro e liberatasiCon negligenza della redingote -Si siede alla mia poltrona.

«Ascolta, ascolta! -Mi dice rauco, guardandomi in viso,E sempre più vicinoChinandosi. -Non ho mai vistoAlcun gaglioffoInutilmente soffrireTanta stupida insonnia.

«Ma ammettiamo mi sbagli.E già, c'è adesso la luna.E che cos'altro occorreA questo mondiciattolo ebbro di sonnolenza?Può darsi, di nascostoGiungerà ‹Lei›, dalle grosse cosce:Le leggerai alloraUna tua qualche boccheggiante lirica?

«Come amo i poeti!Che gente divertente!In loro sempre trovoLa ben nota al cuore storiella:La studentessa foruncolosa

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Alla quale parla dei mondiUn chiomatissimo mostroStremantesi d'erotico languore.

«Non so, non ricordo...In un villaggio,Credo a Kaluga,O piuttosto a Riazan',In una sempliceFamiglia contadinaUn ragazzo viveva,Dagli occhi azzurri e dai capelli gialli...

«Divenne adultoE per giunta poeta,Seppur di esileMa prensile forza,Ed una certa donnaDi quarant'anni e passaChiamava sua dilettaE perfida fanciulla».

«Uomo nero!Sei un ospite abominevole:Da lungo tempoLo si dice ai quattro venti».Furiosamente mi imbestioE vola il mio bastoneDiritto al grugno suo,Fra bocca e naso.... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... La luna è morta,Alla finestra azzurreggia l'alba.Ah, notte!Che brutto scherzo,Notte, m'hai tu giocato!Io sto in cilindro.Non c'è nessuno con me.Sono solo,Con lo specchio in frantumi...

[1925]

ARRIVEDERCI, AMICO, ARRIVEDERCI

Arrivederci, amico, arrivederci.O vecchio mio, tu mi sei nel cuore.Questa separazione destinataUn incontro promette in futuro.

Arrivederci amico, senza parole e gesti,Né tristezza e aggrottar di sopracciglia.Non è nuovo morire, in questa vita,Ma più nuovo non è di certo vivere.

[1925]