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Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale MATERIALI PER LA STORIA DELLA CULTURA ARTISTICA ANTICA E MODERNA a cura di FRANCESCO GRISOLIA Roma 2013, fascicolo II UniversItalia

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Horti Hesperidum, III, 2013, 2 1

Horti Hesperidum

Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica

Rivista telematica semestrale

MATERIALI PER LA STORIA DELLA CULTURA ARTISTICA

ANTICA E MODERNA

a cura di FRANCESCO GRISOLIA

Roma 2013, fascicolo II

UniversItalia

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I presenti due tomi riproducono i fascicoli I e II dell’anno 2013 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica.

Cura redazionale: Giorgia Altieri, Jessica Bernardini, Rossana Lorenza Besi, Ornella Caccavelli, Martina Fiore, Claudia Proserpio, Filippo Spatafora

Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI

Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com

La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento

di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio

Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141

Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma ano-nima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla com-petenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2013 - UniversItalia – Roma

ISBN 978-88-6507-552-4 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

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INDICE

SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Presentazione 7 FRANCESCO GRISOLIA, Editoriale 9

FASCICOLO I SIMONE CAPOCASA, Diffusione culturale fenicio-punica sulle coste dell’Africa atlantica. Ipotesi di confronto 13 MARCELLA PISANI, Sofistica e gioco sull’astragalo di Sotades. Socrate, le Charites e le Nuvole 55 ALESSIO DE CRISTOFARO, Baldassarre Peruzzi, Carlo V e la ninfa Egeria: il riuso rinascimentale del Ninfeo di Egeria nella valle della Caffarella 85

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ISABELLA ROSSI, L’ospedale e la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a Cittaducale: una ricostruzione storica tra fonti, visite pastorali e decorazioni ad affresco 139 MARCELLA MARONGIU, Tommaso de’ Cavalieri nella Roma di Clemente VII e Paolo III 257 LUCA PEZZUTO, La moglie di Cola dell’Amatrice. Appunti sulle fonti letterarie e sulla concezione della figura femminile in Vasari 321 FEDERICA BERTINI, Gli appartamenti di Paolo IV in Vaticano: documenti su Pirro Ligorio e Sallustio Peruzzi 343

FASCICOLO II

STEFANO SANTANGELO, L’ ‘affare’ del busto di Richelieu e la Madonna di St. Joseph des Carmes: Bernini nel carteggio del cardinale Antonio Barberini Junior 7 FEDERICO FISCHETTI, Francesco Ravenna e gli affreschi di Mola al Gesù 37 GIULIA BONARDI, Una perizia dimenticata di Sebastiano Resta sulla tavola della Madonna della Clemenza 63 MARTINA CASADIO, Bottari, Filippo Morghen e la ‘Raccolta di bassorilievi’ da Bandinelli 89 FRANCESCO GRISOLIA, «Nuovo Apelle, e nuovo Apollo». Domenico Maria Manni, Michelangelo e la filologia dell’arte 117 FRANCESCA DE TOMASI, Diplomazia e archeologia nella Roma di fine Ottocento 151

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CARLOTTA SYLOS CALÒ, Giulio Carlo Argan e la critica d'arte degli Anni Sessanta tra rivoluzione e contestazione 199 MARINA DEL DOTTORE, Percorsi della resilienza: omologazione, confutazione dei generi e legittimazione professionale femminile nell’autoritratto fotografico tra XIX secolo e Seconda Guerra Mondiale 229 DANIELE MINUTOLI, Giovanni Previtali: didattica militante a Messina 287

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«NUOVO APELLE, E NUOVO APOLLO».

DOMENICO MARIA MANNI, MICHELANGELO E LA FILOLOGIA DELL’ARTE

FRANCESCO GRISOLIA

a Enza e a Laura

Sì ch’egli è nuovo Apollo e nuovo Apelle: tacete unquanco pallide viole, e liquidi cristalli e fere snelle: e’ dice cose e voi dite parole. (F. Berni, A fra Bastian del Piombo, 1534)

Domenico Maria Manni (Firenze, 1690-1788) fu personalità versatile, con interessi eterogenei e un’intensa e prolungata atti-vità di ricerca e scrittura, irradiata in più settori della cultura umanistica. Linguista e letterato, storico, bibliofilo e archivista, editore, amatore delle arti e collezionista, Manni è noto per il suo articolato impegno nella storiografia dell’arte, indagato dalla

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critica in minima parte1. Interventi diretti, consulenze per testi di altri personaggi e una fitta corrispondenza documentano il suo contributo alla letteratura artistica e all’approccio metodo-logico della critica ad essa legata. Oltre alle pubblicazioni dedi-cate a specifici artisti, di matrice biografico-vasariana e in qual-che caso con l’unico obiettivo di presentare documenti inediti2, di Manni vanno ricordate: le inesauribili, per notizie storiche presenti e loro aderenze con le arti, Osservazioni istoriche sopra i Sigilli antichi (1739-1786)3; le lettere inviate a Giovanni Gaetano

Bottari, monsignore di casa Corsini a Roma, soprattutto in vista della fondamentale edizione critica delle Vite di Giorgio Vasari (1759-1760)4; le prime edizioni annotate delle opere di Filippo Baldinucci (1767-1774)5. L’erudito fiorentino si dimostra sempre un costante assertore dell’applicazione della pratica filologica alle fonti della storia dell’arte e fautore, sulla base di istanze a carattere essenzialmen-te storico, del travaso nella critica dell’arte di mezzi fino ad allo-ra propri di altre discipline; come lui diversi contemporanei nel-la Toscana del Settecento, tra cui antiquari, ‘dilettanti’ e ‘profes-

Questo contributo prende le mosse da uno studio più ampio sulla figura di

Domenico Maria Manni nella letteratura artistica toscana del Settecento. De-

sidero ringraziare, per i consigli, per il supporto e per la disponibilità: Barba-

ra Agosti, Marcella Marongiu, Carmelo Occhipinti, Simonetta Prosperi Va-

lenti Rodinò.

1 Su Manni si rinvia a: TIMPANARO MORELLI 1999, ad indicem; PELLEGRINI

2006, pp. 96 e sgg.; CRIMI 2007; DI TEODORO 2011; GRISOLIA 2012.

2 Si tratta di MANNI 1748, MANNI 1751, MANNI 1756, MANNI 1762, MANNI

1772, MANNI 1774.

3 MANNI 1739-1786.

4 Le lettere sono conservate a Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale

dei Lincei e Corsiniana (= BANLC), Cors. 1890 e Cors. 1902. Per un’analisi

parziale di queste lettere: GRISOLIA 2012. Edizione bottariana delle Vite: VA-

SARI, BOTTARI 1759-1760. Sulla figura di Bottari: PETRUCCI, PIGNATELLI

1971; PROSPERI VALENTI RODINÒ 2013, con ampia bibliografia.

5 BALDINUCCI, MANNI 1767 e BALDINUCCI, MANNI 1767-1774.

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sori’ delle arti6. L’artista che più lo condizionò in questo gradua-le accostamento fu senza dubbio Michelangelo. Chi scrive ha in passato accennato al ruolo dell’artista-poeta toscano nel percor-so che condusse Manni dai territori della linguistica e della lette-ratura a quelli delle fonti sulle arti figurative7. Con il presente contributo si intende indagare le dinamiche di tale percorso, portando alla luce i dati oggettivi ad esso connessi. Michelangelo 1726: Manni e le Rime Nel 1726 viene stampata in Firenze, «Appresso Domenico Ma-ria Manni», una nuova edizione delle Rime di Michelangelo8. L’opera, formalmente curata da Bottari, accompagnata da due Lezioni di Mario Guiducci e una di Benedetto Varchi, è la prima in cui Manni si misura sul piano storico-critico e in maniera di-retta con una personalità artistica, sebbene entro inevitabili con-fini letterari. Il volume si apre con una scarna dedica di Bottari al senatore Filippo Buonarroti, datata 15 novembre 1726 e fir-mata semplicemente «G. B.», in cui il monsignore non si dilunga su Michelangelo o sulla sua produzione poetica, ma si limita a canonici elogi e ringraziamenti al suo discendente. Ben più am-pia e elaborata è la Prefazione dello stampatore, ad opera del collega linguista Manni, con il quale Bottari aveva carteggiato da Roma, nei mesi di Ottobre e Novembre dello stesso anno, proprio in merito ai sonetti michelangioleschi e a questioni tecniche e di

6 Cfr. DELL’ANTIQUARIA 1998; PELLEGRINI 2006, pp. 96-98, con bibliogra-

fia.

7 Cfr. GRISOLIA 2012, pp. 99-100. 8 BUONARROTI 1726. Su questa edizione delle Rime e per una sua collocazio-

ne nella letteratura artistica toscana del Settecento cfr. il recente PELLEGRINI

2006, p. 96. Per le Rime michelangiolesche e loro commento critico si rinvia in sintesi a: BUONARROTI, FREY 1897; BUONARROTI, GIRARDI 1960; BUO-

NARROTI 1992, con altra bibliografia.

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contenuto relative al volume in corso di stampa, alle Lezioni e soprattutto alla suddetta prefazione9. Dalle lettere di Manni, il quale sembra voler colmare un’intenzionale lacuna lasciata da Bottari, emergono la volontà e l’impegno profusi nel redigere la Prefazione, così come nell’integrare il tutto con le Lezioni selezionate. La parte finale di una lettera del 26 ottobre 1726 è in tal senso eloquente:

Abbiamo, come V.S. Ecc.ma vede, le Rime del Buonarroti a buon posto, sicché ci bisogna prontamente la Dedica. Questa gliela rac-comando di cuore. Il Sig. Marchese Rinuccini con questi altri Sig.ri in combriccola ha saputo di questa operina del Buonarroti ed ha avuto caro che si faccia, tanto più che ella è breve e si darà fuori presto. Io poi avendo raccapezzato che ci siano due lezioni di Ma-rio Guiducci fatte sopra queste Rime, anzi fatte sull’edizione mede-sima de’ Giunti di queste Rime, ho voluto trovarle, con pensiero di collazionare qualcheduno di questi sonetti; e l’ho ottenute dal Sig. Senator Buonarroti, il quale mi ha dato licenza che io le copi. Io però vado pensando che non tornerebbe male il farci due paginet-te di Prefazione alle Rime, sì per poter dire che noi le abbiamo prese dall’edizione de’ Giunti e che abbiamo voluto, per non defraudare il lettore di cos’alcuna, preporre eziandio la lettera con cui da Mi-chelangelo Buonarroti il Giovane furono esse dedicate al cardinal Barberini; sì ancora per dar contezza di queste due lezioni del Guiducci, e d’una che ce ne dee essere del Varchi sopra delle Rime pure del Buonarroti, e per potere insieme portarne quel giudizio che ne dà il Crescimbeni, il Muratori ecc. e ciò che se ne legge in altri simili scrittori; cose tutte, che in quattro pagine di roba (a far di molto) si metterebbero. Che se V.S. Ecc.ma mi dicesse io non ho tempo di far tante cose, le soggiugnerei, che potrebbe a questo supplire il Sig. Biscioni, o qualche altro; e quando non le paresse che disdicesse a un’operetta buona l’unire quattro parole, mal accomodate insieme, d’un catti-vo stampatore, io non farei altro che obbedirla. Ma io veggio che sopra ogni cosa è necessaria la sbrigazione, perché il cominciar molte cose, e non ne finir niuna, dispiace, secondo ch’io sento,

9 BANLC, Cors. 1890, cc. 1-12 e Cors. 1902, cc. 5-7v. Per la Prefazione di

Manni: MANNI 1726.

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siccome a bocca ecc. Giacché poi per due motivi non si può an-nettere le lezioni sopradette, ed i motivi sono l’allungamento del tempo ed il mescolare opuscoli non citati dal Vocabolario; dopo che sarà dato fuori questo librettino, che per la piccola spesa avrebbe a incontrare, farei in bottega mia con comodo le lezioni di per sé da potersi congiungere. Non ho più foglio10.

I nomi degli intellettuali coevi citati nella missiva documentano quali fossero l’eredità culturale e gli strumenti raccolti da Manni e in quale direzione si muovesse insieme a Bottari. L’eclettico Ludovico Antonio Muratori, il critico Giovanni Mario Cre-scimbeni, il filologo bibliotecario Anton Maria Biscioni, maestro di Bottari, ed «altri simili scrittori», tra cui il suo stesso maestro Giovan Battista Casotti, segnavano per l’erudito il solco da se-guire. Pressanti esigenze di storicizzazione, capacità di orienta-mento in affidabili documenti di archivio e una visione ampia e funzionale dei saperi umanistici erano elementi imprescindibili per addentrarsi in settori limitrofi alle arti, fino ad essere alle arti stesse applicati sotto forma di ricerca e critica su biografie di ar-tisti, documenti figurati e relative fonti scritte. Tanto nelle missive a Bottari, quanto nella prefazione stampata è manifesta l’intenzione di fornire ai lettori, dai meno preparati ai più accorti, le dovute informazioni sull’opera e sul loro auto-re: l’impianto accennato nella lettera sarà rispettato in pieno e non senza novità. Nell’introdurre le Rime, «Lo stampatore a chi legge» presenta anzitutto il Buonarroti poeta attraverso le parole e il «giudizio» di diversi letterati e «scrittori», a partire dai con-temporanei dell’artista. Troviamo così Benedetto Varchi, se-condo il quale, riporta Manni, per Michelangelo «non vi era epi-teto, che non fosse minore del nome stesso» e che oltretutto scrisse,

nell’Orazione in morte di lui, ch’egli componeva “con nuove inven-zioni, e divinissime sentenze, o Sonetti, o Madrigali di diverse ma-terie”; ed altrove: che “nello scolpire, e dipignere giostrò, e com-

10 BANLC, Cors. 1890, cc. 3v-4v.

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batté con Dante”, essendo il nostro (testimonio il Varchi in una sua Lezione) “eccellentissimo poeta”11.

L’inesorabile accostamento tra la produzione artistica e quella letteraria di Michelangelo, il ruolo della sua capacità di ‘inven-zione’ sono elementi più volte ribaditi da Manni per mezzo del-le parole e dell’esempio di personaggi illustri: a lui contempora-nei, coevi all’artista se non addirittura precedenti a entrambi, come nel caso di Dante. L’erudito cruscante ricorda anche, co-me già fece Varchi nella sua Lezzione, il poeta burlesco France-sco Berni, della cerchia di Ippolito de’ Medici e tra i primi a ela-borare il fortunato mito di Michelangelo. Berni stimava l’artista a tal punto degno di onori in pittura, scultura, architettura e poesia da definirlo in un suo noto verso del 1534 «nuovo Apol-lo, e nuovo Apelle»12, definizione che Manni riporta significati-vamente ribaltata, come a sottolineare il primato dell’artista nel campo delle arti visive: «nuovo Apelle, e nuovo Apollo». Tale espressione gli consente abilmente di veicolare ai lettori un’altra e ben più nota denominazione, quella di ‘divino’, per legittimare la quale, tutt’altro che scontata in anni di censura e di rigorosi controlli da parte del Sant’Uffizio, deve scomodare anche Lu-dovico Ariosto con un noto passo dall’Orlando furioso e persino Platone e Dante, senza dimenticare Petrarca:

[…] con sortire per le lingue, e per le penne d’ognuno, chi noi fa la denominazione di Divino: “Michel più che mortale, Angel divi-no”: così per tutti l’Ariosto; in quella guisa appunto che a Platone avvenne, e a Dante Alighieri, come quelli, che toccarono il segno, “Al quale aggiugne chi dal Cielo è dato”. E veramente i pensieri d’ambedue questi miracolosi Ingegni si veggiono per entro a’ poe-tici Componimenti del Buonarroti, per la somiglianza, che passava

11 MANNI 1726, p. X.

12 BERNI 1534, v. 28.

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tra’ loro animi, essere maravigliosamente simili, se non in tutto concordi13.

Le citazioni poetiche e l’accostamento di Michelangelo a Plato-ne e Dante, e da qui ai loro «miracolosi» ingegni, sanciscono la bontà dell’epiteto ‘divino’ per definire il grande artista-poeta. È un termine a cui Manni non poteva rinunciare, sebbene fosse timoroso di una mancata approvazione da parte di inconsape-voli ma potenti ‘superiori’ revisori, su questa come su altre que-stioni legate alla dottrina della fede. Il 1 novembre scriveva in-fatti a Bottari:

[…] iersera cominciai, e questa mattina finisco un abbozzo di quel che io giudico che debba sapere il lettore delle Rime del Buonarroti prima di cominciare a leggerle. V.S. Ecc.ma adunque faccia e di-sfaccia, e poi rifaccia, che ella è padrone, e lo dee fare, e se non lo dovesse fare io la pregherei nondimeno che lo facesse perché a me preme che si faccia bene. Ella vedrà bene, che la Prefazione del Buonarroti giovane non si può così facilmente far cadere nella no-stra. La notizia del Berni a Fra Bastiano del Piombo è bella; ma, ma, ma, ella m’intende; anco il Rilli, che riporta tutto quel passo, ha dovuto levare il più bello con mettere quattro versi di punti. Dominse ci passeranno quel “divino”? Io l’ho messo a punto di riputazione il passarlo; e forse sarà così. Io dico questo col sup-porre che non basti per la parte del secondo superiore che l’approvi lei, perché vogliono anche là dare una guardatina, si fi-dano, ma... [sic]14.

Il passo «più bello» del Capitolo a fra Bastian del Piombo di Berni, che, da quanto si intuisce, il filogiansenista Bottari avrebbe vo-luto riportare interamente, nonostante le iperboliche lodi a Mi-chelangelo e a differenza del suo più cauto corrispondente, era stato in effetti censurato da Jacopo Rilli nelle sue Notizie letterarie

13 MANNI 1726, p. IX. L. Ariosto, Orlando furioso, XXXIII, 5. «Al quale aggiu-

gne chi dal Cielo è dato» è da F. Petrarca, Trionfo della Fama, III, 4-6.

14 BANLC, Cors. 1902, cc. 6v-7.

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sugli accademici fiorentini. Questi i versi incriminati, indicativi dell’accortezza di Manni:

Io dico Michel Agnol Buonarroti, che quand’i’ ‘l veggio mi vien fantasia d’ardergli incenso ed attaccargli voti; e credo che sarebbe opra più pia che farsi bigia o bianca una giornea, quand’un guarisse d’una malattia15.

Ben manifesta è nella lettera la deferenza con cui Manni mette a disposizione del monsignore la propria dotta prefazione, con-cepita per agevolare il lettore, informandolo in breve su autore e opera, non senza scendere a compromessi in termini di spazio e di contenuti. Il suo discorso prosegue, infatti, con il rinvio alle più aggiornate opere dove era possibile reperire i numerosi au-tori che avevano esaltato e trattato di Michelangelo: «riportati diligentemente» nelle sopra citate Notizie letterarie, ed istoriche in-torno agli Uomini illustri dell’Accademia Fiorentina, pubblicate nel 1700 a cura del console dell’Accademia Jacopo Rilli, e, «non senza qualche sbaglio», nella Istoria degli scrittori fiorentini del padre gesuita Giulio Negri, edita nel 172216. Sono testi che, oltre a fornire un panorama della bibliografia a disposizione del pigno-lo Manni nel suo accostamento a Michelangelo, informano sulla visione che dell’artista aveva la critica nella Toscana di inizio se-colo e sulla sua fortuna, tanto sul piano artistico, quanto soprat-tutto su quello storico-letterario. Passata in rassegna la ‘fortuna critica’ di Michelangelo poeta e artista così come si presentava a inizio Settecento, Manni desi-dera motivare la scelta delle tre Lezioni, oltre a spendere qualche riga sui loro autori, su contenuti e ragion d’essere delle stesse. Confermando quanto scritto nella lettera a Bottari, spiega anzi-

15 BERNI 1534, v. 10-15. Cfr. NOTIZIE 1700, p. 106, dove Rilli sostituisce con

una serie di punti gli ultimi quatto versi qui riportati.

16 NOTIZIE 1700, pp. 87-115; NEGRI 1722, pp. 409-412.

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tutto che delle due ancora inedite Lezioni del console Mario Guiducci, recitate nel 1623 nell’Accademia in occasione della prima pubblicazione delle Rime a cura di Michelangelo Buonar-roti il Giovane, era venuto a conoscenza proprio grazie al citato libro di Notizie sugli accademici illustri, aggiungendo che questo ritrovamento «“fece crescer l’ali al voler mio”, non sapendo più, col lasciarle inedite, tener sospesi gli onesti desideri del pubbli-co, che a gran ragione, da qualche tempo, di simiglianti erudite cose ha vaghezza»17. Sempre appagato con scelte sensate e consapevoli, il gusto di Manni per l’inedito non si esaurisce nelle Rime con le lezioni di Guiducci. Passando a trattare della Lezione di Varchi sul celebre sonetto dell’artista Non ha l’ottimo artista alcun concetto18, il critico-stampatore ha anche modo di pubblicare una lettera di Miche-langelo al tempo del tutto sconosciuta. Scritta da Roma a Luca Martini in Firenze nel 1547, la adopera per mostrare ai lettori l’apprezzamento dell’artista stesso per le parole di Varchi, dato che «Piacque tanto al Buonarroti questo Comento, che egli al Martini significò quanto appresso, in una sua lettera, che Ms. si trova nel Cod. 481 in foglio della celebre Libreria Stroziana». Si riporta la trascrizione di Manni, destinato a diventare nel 1736 Custode bibliotecario della stessa Biblioteca Strozziana e in se-guito Ministro del Generale Archivio fiorentino, con prevedibili conseguenze per le sue ricerche storico-artistiche:

17 MANNI 1726, p. XI; la citazione «fece crescer l’ali al voler mio» è da Dante,

Pd XV 72. Le lezioni di Guiducci: BUONARROTI 1726, pp. 91-108 (Lezione

prima di Mario Guiducci. Detta nell’Accademia fiorentina in occasione delle Rime date in

luce di Michelagnolo Buonarroti), 109-135 (Lezione seconda di Mario Guiducci. Detta

nell’Accademia fiorentina sopra il medesimo soggetto).

18 BUONARROTI 1726, pp. 136-192 (Lezione terza. Detta nell’Accademia fiorentina

da Benedetto Varchi sopra il primo sonetto di Michelagnolo Buonarroti). Cfr. TRATTA-

TI D’ARTE 1960, pp. 3-82. La lezione fu tenuta nell’Accademia Fiorentina la

seconda domenica di quaresima del 1547 e in seguito pubblicata nel 1549 da

Torrentino, insieme a quella sul primato delle arti.

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Magnifico M. Luca. Io ho ricevuto da Messer Bartolomeo Bettini una vostra con un Libretto, Comento d'un Sonetto di mia mano. Il sonetto vien bene da me, ma il Comento viene dal Cielo, e ve-ramente è cosa mirabile, non dico al giudizio mio, ma degli huo-mini valenti, e massimamente di Messer Donato Giannotti, il qua-le non si sazia di leggerlo, e a voi si raccomanda. Circa il sonetto, io conosco quello ch’egli è, ma come si sia, io non mi posso tenere che io non ne pigli un poco di vanagloria, essendo stato cagione di sì bello e dotto Comento; e perché nell'Autore di detto, sento per le sue parole, e lodi d'essere quello, che io non sono; prego voi facciate per me parole verso di lui come si conviene a tanto amo-re, affezione e cortesia. Io vi prego di questo, perché mi sento di poco valore, e chi è in buona oppenione, non debba tentare la for-tuna, e meglio è tacere, che cascare da alto. Io son vecchio, e la morte m’ha tolti i pensieri della giovanezza; e chi non sa che cosa è la vecchiezza, habbia tanta pazienza, che v’arrivi, che prima nol può sapere. Raccomandatemi, come è detto, al Varchi, come suo affezionatissimo, e delle sue virtù, e al suo servizio dovunche io sono. Vostro, e al servizio vost. in tutte le cose a me possibili.

Michelagnolo Buonarroti in Roma19 L’utilizzo dei carteggi da parte degli studiosi settecenteschi co-me fonte chiave per la comprensione di artisti, di opere e del rispettivo contesto sarebbe stato sancito trenta anni dopo con la pubblicazione, da parte di Bottari, della Raccolta di lettere sulla pit-tura, scultura e architettura, frutto dell’invio di materiale da parte di molti suoi corrispondenti, tra cui lo stesso Manni20. La lettera di Michelangelo, edita per la prima volta da Manni e in seguito inserita da Bottari nella sua Raccolta di lettere21, era già

19 MANNI 1726, pp. XIII-XIV. La lettera è ora conservata in Firenze, Biblio-

teca Nazionale Centrale (= BNCF), Autogr. Palatini, Varchi, I, n. 39 (copia

sincrona di mano non identificata). Pubblicata in BUONARROTI 1965-1983,

IV, pp. 257-258: nella bibliografia relativa alla lettera non vi è riportata (co-

me in tutta la bibliografia precedente) la prefazione di Manni alle Rime.

20 BOTTARI 1757-1773.

21 BOTTARI 1757-1773, V, p. 48.

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stata segnalata al monsignore al servizio dei Corsini in una mis-siva del 4 novembre 1726. Vi leggiamo ancora dell’impegnativa collaborazione a distanza tra i due, dello scambio di opinioni e giudizi pregnanti, tra cui la condivisa e comprensibile preferen-za per le lezioni di Guiducci, più tarde di quella di Varchi e con-cepite per accompagnare la prima stampa dei sonetti:

I Sonetti ecc. di Michelagnolo gli ha rivisti V.S. Ecc.ma e gli ha so-scritti. Per questo io dico, che quel G. B. in fine della dedicatoria, che aspetto, mi tocca a spiegarlo al Santo Ufizio. Per questo io soggiungo, che è necessario quando ella avrà veduta la lezione del Varchi, che ella mandi qui un mezzo foglio colla sua attestazione (quasi che ella fosse in Firenze senza metter luogo) di aver per or-dine di quel Tribunale rivedute le 3 Lezioni, la Dedica, e la Prefazione e perché la cose camminino, io invio costà la soscrizione ch’ella fece alle Rime. Via bene. Ho caro che ella mi scriva che quelle due del Guiducci siano mol-to migliori di quella del Varchi. Ho veduto, che il mio parere con-fronta. A quest’oggetto ho deputato bene il preferirle a quella; an-corché nella Prefazione ove non si può dir sempre le cose com’elle stanno, io ne assegni un’altra cagione. A proposito: la Prefazione è intera, vegga bene. Io però fo conto di aggiugnere qualche cosetta, especialmente una lettera di Michelagnolo trovata da me nella Strozziana manoscritta ma infino che non me la rimanda, non ri-cordandomi quel ch’io n’abbia detto non potrò incastrarla. La ri-mandi adunque corretta, e tosto che io l’avrò rassettata, la com-porrò in un colonnino lungo, acciocché V.S. Ecc.ma le dia l’ultima

mano22.

Nella prefazione Manni accenna anche alla ben nota seconda Disputa di Varchi nella Lezzione del 1547, Qual sia più nobile, o la scultura o la pittura23, distinguendola dalla prima e precisando, a scanso di equivoci, che l’argomento trattato non è il sonetto. La

22 BANLC, Cors. 1890, cc. 7-7v; su parte di questa lettera cfr. GRISOLIA

2012, pp. 99-100.

23 MANNI 1726, pp. XII, XIV. Per la Disputa si veda TRATTATI D’ARTE 1960,

pp. 357-385.

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sua esclusione è quindi più che legittima e a supporto della pro-pria scelta l’erudito chiama in causa sia Giorgio Vasari, grande assente e innominato fino a quel punto, sia una lettera a Luca Martini dello stesso Varchi, già pubblicata nel 1549 insieme alle sue due Lezioni:

Dico adunque, che il Varchi con una Lezione, e non con due espose questo primo Sonetto, prendendo nella prima a trattare delle accennate Arti sul fondamento del Sonetto, che spiega; altro non facendo nella seconda, che col tralasciare il Sonetto medesi-mo, ricercare, per modo di disputazione, fra le tre belle Facoltadi il pregio di maggioranza; sicché questa non ha che far cosa del mondo col nostro proposito. E che sia così, provalo evidentemen-te non pure Giorgio Vasari nella Vita del nostro ammirabile sog-getto, ma il Varchi eziandio, che in una Lettera impressa tra le sue Lezioni, e diretta a Luca Martini, così va dicendo […]24.

Indicativo di un avvicinamento a tematiche proprie delle arti fi-gurative e storico-artistiche è il fatto che Manni, pur non pub-blicando la lezione di Varchi sul primato delle arti, insista nel seguito della prefazione su tale aspetto. Arriva infatti a ricordare ai lettori, senza pubblicarla poiché non legata direttamente alle poesie e a questioni di critica letteraria, la celebre lettera di Mi-chelangelo inserita da Varchi proprio nella sua seconda Lezzione, che dovette senza dubbio colpirlo:

Ma in proposito della disputa, che fu il soggetto della seconda Le-zione, ne scrisse Michelagnolo il suo parere al Varchi medesimo con una sua lettera, che originale si conserva nel Codice mentova-to della Stroziana; parto di quella mano, che quantunque attempa-ta, obbediva sì bene al suo ammirabile intelletto25.

24 MANNI 1726, p. XIII. Per la lettera di Varchi a Martini: TRATTATI D’ARTE

1960, p. 3.

25 MANNI 1726, p. XIV. La lettera a cui accenna Manni è di certo quella oggi

conservata in BNCF, Autogr. Palatini, Varchi, I, n. 37 (originale autografo),

scritta da Michelangelo in Roma a Benedetto Varchi in Firenze in data 31

marzo 1547: «Messer Benedecto, perché e’ paia pur che io abbia ricievuto,

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In chiusura di prefazione, prima delle informazioni di rito sui «luoghi, donde si son tratte queste Operette», ovvero rime e le-zioni, Manni stupisce con un rapidissimo affondo su un perso-naggio della cerchia di Michelangelo, del quale a inizio Settecen-to la critica aveva scritto, conosceva e comprendeva ben poco: Tommaso de’ Cavalieri. Fino all’edizione delle Rime a cura di Alessandro Maggiori del 1817, infatti, in cui verrà ristabilito il testo originale degli autografi conservati nella Bibloteca Vatica-na, sarebbe rimasto valido il testo della prima pubblicazione a stampa del 1623 presso i Giunti, curata da Michelangelo Buo-narroti il Giovane ma dove, in seguito ai controlli dell’arcivescovo di Firenze e dell’inquisitore, tutti i riferimenti al

com’io ò, il vostro Librecto, risponderò qualche cosa a quel che e’ mi do-

manda, benché igniorantemente. Io dico che la pictura mi par più tenuta

buona quante più va verso il rilievo, e el rilievo più tenuto cactivo, quante

più va verso la pictura però a me soleva parere che la scultura fussi la lanter-

na della pictura, e che da l’una a l’altra fussi quella diferentia che è dal sole a

la luna. Ora, poi che io ò lecto nel vostro Librecto dove dite che, parlando

filosoficamente, quelle cose che ànno un medesimo fine sono una medesima

cosa, io mi son mutato d’openione e dico che, se maggiore g[i]udicio e difi-

cultà, impedimento e fatica non fa maggiore nobilità, che la pictura e scultura

è una medesima cosa; e perché la fussi tenuta così, non doverrebbe ogni pic-

tore far manco di scultura che di pictura e ’l simile lo scultore di pictura che

di scultura. Io intendo scultura quella che si fa per forza di levare; quella che

si fa per via di porre è simile a la pictura. Basta, che, venendo l’una e l’altra

da una medesima intelligentia, cioè scultura e pictura, si può far far loro una

buona pace insieme e lasciar tante dispute; perché vi va più tempo che a far

le figure. Colui che scrisse che la pictura era più nobile della scultura, se gli

avessi così bene intese l’altre cose che gli à scricte, l’arebbe meglio scricte la

mie fante. Infinite cose, e non più decte, ci sare’ da dire di simile scientie;

ma, come ho decto, vorrebon troppo tempo, e io n’ò poco, perché non solo

son vechio, ma quasi nel numero de’ morti. Però prego m’abbiate per iscusa-

to. E a voi mi rachomando e vi ringratio quanto so e posso del troppo onor

che mi fate, et non conveniente a me. Vostro Michelagniolo Buonarroti in

Roma» (BUONARROTI 1965-1983, IV, pp. 265-266).

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Cavalieri avevano subito un’attenta conversione al femminile26.

Dunque Manni, che pur dichiara di essersi basato sull’edizione giuntina, ricordando che la stessa «allegata viene nel Vocabola-rio della Crusca, essendoché tali Rime fanno Testo di Lingua», è di fatto il primo ad associare Tommaso a un sonetto di Miche-langelo in una raccolta a stampa delle Rime. Il sonetto A che più debbo ormai l’intensa voglia (o A che più debb’i’ omai l’intensa voglia nelle edizioni più recenti), inoltre, non presenta alcun riferimen-to di genere, consentendo all’erudito di ricordare ai lettori, pez-za d’appoggio l’autorevole Varchi, il destinatario del pur acceso componimento. Manni si presenta così ai nostri occhi come uno dei fautori del graduale reintegro di figure determinanti per la biografia e per la poetica, tanto letteraria quanto artistica, di Michelangelo, con un Tommaso de’ Cavalieri ancora svincolato dalla sfumata lettura in chiave neoplatonica con cui lo avrebbe segnato Erwin Panofsky. Altro destinatario di un sonetto a es-sere menzionato dallo scrupoloso stampatore è Vasari, le cui Vite non mancano in questo modo di essere citate. Sebbene sia ancora distante il suo contributo all’edizione critica di Bottari dell’opera vasariana, Manni dimostra di essersi addentrato in ta-le occasione nel testo del pittore aretino, oggetto di sue future e approfondite spigolature:

Siccome per la Sposizione del Varchi si viene in cognizione, che il Sonetto, il cui principio “A che più debbo omai l’intensa voglia”, fu diretto a Messer Tommaso Cavalieri, Romano, così non sarà proposito l’accennare qui colle parole di Giorgio Vasari nella Vita del Buonarroti, chi fosse colui, al quale è scritto l’altro, che a car. 76 della presente edizione col “Ad un pittore” si legge. “Aveva il Vasari [così dic’egli di se medesimo] quell’anno finito di stampare l’Opera delle Vite de’ Pittori, Scultori, e Architettori in Fiorenza, e

26 BUONARROTI, MAGGIORI 1817. Cfr. da ultimo IL VOLTO DI MICHELAN-

GELO 2008, pp. 62-63. Sulla figura di Tommaso de’ Cavalieri si veda, oltre a

PANOFSKY 1939 e FROMMEL 1979, il contributo di Marcella Marongiu nel

primo fascicolo del presente doppio numero di Horti Hesperidum, con bi-

bliografia completa.

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di niuno de’ vivi aveva fatto la Vita (ancorché ci fusse de’ vecchi) se non di Michelagnolo; e così gli presentò l’opera, che la ricevé con molta allegrezza, dove molti ricordi di cose aveva avuto dalla voce sua il Vasari, come da Artefice più vecchio di giudicio; e non andò guari, che, avendola letta, gli mandò Michelagnolo il presente Sonetto fatto da lui, il quale mi piace, in memoria delle sue amore-volezze, porre in questo luogo. Se con lo stile, e co i colori avete,” ecc.»27.

Palese è l’approfondimento che Manni dovette portare avanti su determinati argomenti. Attraverso la lettura di numerosi testi, comprese lettere di Michelangelo che ebbe il merito di rintrac-ciare negli archivi locali, l’erudito fiorentino affianca al recupero critico dell’opera poetica dell’artista una precoce attenzione per le arti figurative. Dopo questa fondamentale occasione di avvi-cinamento a temi storico-artistici, che coinvolse anche Bottari con conseguenze ben note, si dovrà attendere venti anni prima che Manni torni ad occuparsi di Michelangelo e di simili pro-blematiche in un testo a stampa. Lo farà in maniera molto più lucida e mirata, lavorando su una fonte cruciale per la biografia dell’artista. Le Annotazioni alla Vita di Michelangelo di Ascanio Condivi

Nel 1746 si stampa a Firenze presso Gaetano Albizzini, a di-stanza di quasi due secoli dalla sua prima pubblicazione, la Vita di Michelagnolo di Ascanio Condivi (1553), a cura di Anton Fran-cesco Gori28. Intellettuale di spicco della Firenze settecentesca,

27 MANNI 1726, pp. XIV-XV, il sonetto intitolato A un pittore è riportato da

Manni a p. 76. Per il sonetto di Michelangelo inviato a Vasari cfr. BUONAR-

ROTI, GIRARDI 1960, n. 277. Per il passo delle Vite citato da Manni si veda

VASARI, BAROCCHI 1962, I, p. 99 e il relativo commento.

28 CONDIVI, GORI 1746. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio di

questa importante edizione, sulla quale si rinvia a un contributo specifico in

corso di pubblicazione da parte di chi scrive. Per la biografia di Michelangelo

del Condivi si veda: l’edizione CONDIVI, NENCIONI 1998, a cui si rinvia per

gli argomenti di seguito trattati oltre all’edizione goriana, con i saggi di ELAM

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antiquario, etruscologo e scrittore d’arte, Gori arricchisce l’opera di Condivi di poche, ricercate incisioni e soprattutto con i contributi delle più autorevoli penne dell’epoca sull’argomento. La reale novità di questa seconda edizione, in-fatti, sono gli interventi di Girolamo Ticciati, Pierre-Jean Ma-riette, Domenico Maria Manni, Filippo Buonarroti e dello stes-so Gori, ciascuno con un ruolo ben definito. Le Annotazioni del Signor Domenico Maria Manni Accademico Fiorentino alla Vita di Mi-chelagnolo Buonarroti scritta dal Condivi costituiscono il primo im-pegno diretto dell’erudito su di una fonte storico-artistica e nel-lo specifico su un artista, al quale ne sarebbero seguiti altri29. Michelangelo e le relative fonti biografiche erano stati già va-riamente citati nelle sue Osservazioni istoriche sopra i Sigilli antichi, enorme impresa in numerosi tomi con rami e opera di una vita, iniziata nel 1739 e mai portata a termine, dove appaiono saltua-riamente anche artisti e opere d’arte, quasi sempre a semplice supporto storico del soggetto trattato, ma con informazioni a volte rilevanti. È il caso, ad esempio, del crollo in via de’ Bardi legato al danneggiamento della Madonna del Cardellino di Raffael-lo, evento per il quale Manni è il primo a fornire testimoniaze documentarie dalle quali si ricavano la data esatta e altre infor-mazioni30. Nelle note di Manni a Condivi troviamo ogni sorta di indagini, precisazioni, correzioni offerte al lettore sulla base delle più di-sparate fonti, non senza osservazioni critiche. Da questo punto di vista, e ancor più rispetto alla prefazione alle Rime, il percorso che porta l’erudito all’applicazione del metodo filologico alle fonti della storia dell’arte può dirsi già pienamente concluso.

1998 e HIRST 1998; PROCACCI 1966; VASARI, BAROCCHI 1962, ad indicem.

Sulla fondamentale figura di Anton Francesco Gori mi limito a rinviare a

GAMBARO 2008, con bibliografia.

29 MANNI 1746. Sui testi successivi cfr. la bibliografia riportata nelle note 2, 3

e 5.

30 MANNI 1739-1786; per i passi in cui Manni tratta di Michelangelo o di

questioni legate alla sua figura si rinvia all’indice dei singoli tomi; per il crollo

in via de’ Bardi si veda il tomo XXI, pp. 30-38.

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Non è questa la sede per un’analisi puntuale delle numerose Annotazioni al testo di Condivi, che vertono su argomenti tra l’altro ampiamente sviscerati dagli studi successivi31. Una pon-derata visione di insieme è più che sufficiente per comprendere la tipologia dell’intervento e la sua collocazione all’interno della produzione manniana. Oggetto principale delle Annotazioni, a volte molto succinte, al-tre di diverse righe, sono alcuni tra i personaggi, più e meno no-ti, nominati da Condivi e i fatti ad essi legati. Troviamo per esempio: Domenico Ghirlandaio, a proposito del quale «era ap-punto il tempo, che Domenico dipigneva la Cappella maggiore di S. Maria Novella» e di cui Manni avrebbe a breve pubblicato una Vita32; Lorenzo il Magnifico, sulla cui morte rinvia a una delle Epistole di Poliziano, di cui Manni condivideva la passione filologica; papa Leone X, per ricordare il quale non può non rievocare l’Ariosto; il potente cardinal di Bibbiena, Bernardo Dovizi, di cui offre una sintetica biografia; il protettore bolo-gnese del giovane Michelangelo, Giovan Francesco Aldovrandi, e l’episodio del suo arresto a Bologna, fatto a cui aveva già ac-cennato nel Ragionamento in apertura del I tomo dei suoi Sigilli; lo scultore Niccolò dell’Arca, che «reputato fu eccellentissimo ne’ suoi tempi; e per quest’Opera fu domandato Niccolò dell’Arca»33; il cardinale di San Dionigi nominato da Condivi a

proposito della Pietà, per il quale Manni specifica erroneamente, sulla scorta dell’orazione funebre di Varchi, che si trattava di «Guglielmo Brissonetto, addimandato il Cardinale di Roano»34;

31 Cfr. la bibliografia citata in nota 28, soprattutto il ricco Commento di Paola

Barocchi alla Vita di Michelangelo scritta da Vasari in VASARI, BAROCCHI

1962, II-IV, dove i tanti rimandi all’opera di Condivi sono esaustivi e ricchi

di osservazioni.

32 MANNI 1746, p. 82. Per la Vita di Ghirlandaio: MANNI 1751.

33 MANNI 1746, p. 83.

34 MANNI 1746, p. 83. Sull’errore di Condivi, Vasari, Varchi, Manni e di altri

nell’identificazione del cardinale Jean Bilhères de Lagraulas, committente

della Pietà, si veda VASARI, BAROCCHI 1962, II, p. 170, n. 143. Da notare che

il primo a distinguere il cardinale di San Dionigi dal cardinale di Roano e a

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papa Giulio II, che «fu propenso alla guerra, per cui ricuperò alla Chiesa diverse Città»35; il cortigiano, mercante e banchiere

fiorentino Bernardo Bini, per il quale rinvia ai Sigilli, non senza ricordare che «edificò l’Oratorio di S. Bastiano de’ Bini in Fi-renze», nell’attuale via Romana, e che «di lui parlo nel Tomo VI de’ Sigilli»36; Tommaso Cortesi da Prato, giurista, datario di

Clemente VII, segretario apostolico e vescovo di Cariati e Vai-son, «gran Benefattore della sua Patria, e come tale nel Salone del Palazzo di Prato si legge sotto il suo Ritratto», di cui riporta l’iscrizione37; il marchese Alberico Malaspina, in cui identifica

«l’Oratore ed agente di sua Eccellenza» Clemente VII menzio-nato da Condivi, rinviando ancora a un passo dei propri Sigilli38;

monsignor Giovanni Guidiccioni, vescovo di Fossombrone sot-to Paolo III e poeta, nominato da Condivi laddove scrive del genio dell’artista; il letterato fiorentino Antonio Brucioli, vissuto a Venezia e in cui Manni propone di identificare il condiviano «Bruciolo», inviato dalla città a Roma per invitare Michelangelo; Realdo Colombo, noto scienziato e anatomista cremonese, ami-co di Michelangelo, in Condivi «notomista e medico cerusico eccellentissimo, ed amicissimo di Michelagnolo, e mio»39; Pier Giovanni Aleotti, guardarobiere pontificio e vescovo di Forlì dal 1551, incaricato da Paolo III di pagare l’artista appena no-minato architetto della fabbrica di San Pietro40; qualche infor-mazione anche su Pietro Torrigiano, «Fiorentino, e franco Di-segnatore, Scultore emulo del Buonarroti, al quale egli in una rissa con un pugno schiacciò il naso»41.

fornire il nome corretto del cardinale committente è proprio il Mariette nella

stessa edizione della Vita condiviana (cfr. CONDIVI, GORI 1746, p. 69).

35 MANNI 1746, p. 83. 36 MANNI 1746, p. 84. 37 MANNI 1746, p. 84.

38 MANNI 1746, p. 84. 39 CONDIVI, GORI 1746, p. 50.

40 MANNI 1746, p. 85. Cfr. CONDIVI, GORI 1746, p. 51.

41 MANNI 1746, p. 86.

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Di vario genere e qualità sono anche le note sulle opere realiz-zate da Michelangelo, poesie comprese. Manni accenna alle sculture per l’arca di San Domenico a Bologna, sulle quali tanto Condivi quanto Vasari erano stati, come noto, molto generici e imprecisi, mentre l’erudito puntualizza, dimostrando una fre-quentazione della guidistica locale, ma commettendo a sua volta un comprensibile errore sul loro numero, che «il Masini nella Bologna perlustrata, aggiugne a queste due figure, forse per isba-glio, un S. Francesco; ed un S. Procolo»42. Tenta anche un ap-

profondimento sulla Biblioteca Medicea Laurenziana, a propo-sito della quale ricorda e rinvia a scrittori che ben conosceva e a cui attingeva, come i «dottissimi» francesi Jean Mabillon e Ber-nard de Montfaucon o gli italiani Muzio Pansa «nella Libreria Vaticana», Andrea Scoto e il suo Itinerario d’Italia, il citato Giulio Negri e un immancabile Scipione Maffei43. Per le fortificazioni

di Firenze progettate da Michelangelo, «allora Commissario, ed Architetto insigne», come sulla sua idea per proteggere il cam-panile di San Miniato dai bombardamenti, rinvia i lettori alle Istorie di Benedetto Varchi44. Manni informa anche sulla possibile identificazione e sulla col-locazione di opere a cui accenna Condivi, ovvero «le infinite al-tre cose, che da me dette non sono»45: il giovanile San Matteo («Questa statua di San Matteo, non finita, fu posta poi nell’Opera del Duomo») e l’incompiuta Pietà Bandini, collocata nel 1722 all’interno di Santa Maria del Fiore («Penso, che questa sia la Pietà lasciata imperfetta da Michelagnolo, stata collocata, non son molti anni, dietro all’Altar maggiore nel Coro del Duomo, in luogo di un gruppo di Adamo, ed Eva del Cav. Bandinelli, che vi era»)46.

42 MANNI 1746, p. 83. Su Michelangelo a Bologna e sulla narrazione cond-

viana di questo soggiorno cfr., oltre ai testi sopra citati, EMILIANI 1999. 43 MANNI 1746, p. 82. 44 MANNI 1746, p. 84.

45 CONDIVI, GORI 1746, p. 45.

46 MANNI 1746, p. 85.

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Sui sonetti dell’artista, in merito ai quali Condivi accenna che Michelangelo «Se ne stette alquanto tempo quasi senza far niu-na cosa in tal’arte, essendosi dato alla lezione de’ Poeti ed Ora-tori volgari, ed a far sonetti per suo diletto»47, Manni ricorda con mal dissimulato orgoglio che «Questi sonetti sono stati da me di bel nuovo posti sotto i Torchi, di più con aggiunte, e con una mia Prefazione, l’anno 1726 in 8. Sono lodati estremamen-te, fino a dirsi da alcuno, che Michelagnolo per la Poesia si ag-giunse la quarta Corona»48. Nelle note sono presenti anche notizie e approfondimenti a ca-rattere storico o aneddotico su Michelangelo e su sue vicende biografiche, come la presunta discendenza dalla stirpe dei Ca-nossa, leggenda risalente al solo Condivi e ormai ampiamente sfatata, su cui Manni indaga senza giungere a conclusione alcu-na, limitandosi a fornire alcune informazioni sui «varj Soggetti illustri nelle Magistrature, e nell’Armi» della famiglia49. E ancora, in aggiunta all’anno e al giorno di nascita forniti da Condivi, ri-porta i dati sulla madre dell’artista così come scritti dal padre Ludovico in una sua ormai nota memoria, tipologia di dati con cui vizierà Bottari nelle lettere sulle Vite vasariane: «come si tro-va registrato in un Libro di Ricordi di Ludovico suo padre, ebbe Michelagnolo per madre Francesca di Neri di Miniato del Sera, e di Bonda Rucellai»50. Tra le osservazioni più interessanti vi è il tentativo di Manni, ben sicuro delle proprie idee, di spiegare l’aneddoto sul dialogo tra Giulio II e Michelangelo in merito alla mano destra del mo-dello in terracotta per la perduta statua bronzea del papa51. Si lancia, infatti, in una vera e propria lettura iconografica delle pa-

47 CONDIVI, GORI 1746, p. 16.

48 MANNI 1746, pp. 83 e 86.

49 MANNI 1746, p. 81. Sulla questione cfr. VASARI, BAROCCHI 1962, II, pp.

53-57, n. 40.

50 MANNI 1746, p. 82. Il documento, una copia dell’originale che fu inviato a

Michelangelo, è oggi conservato nell’Archivio di Casa Buonarroti.

51 CONDIVI, GORI 1746, p. 84. Su questo aneddoto si veda VASARI, BAROC-

CHI 1962, II, p. 397, n. 291.

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role di Giulio II, collegandole alla figura del Cristo giudice nel Battistero fiorentino di San Giovanni, per il quale riporta il giu-dizio estetico di Baldinucci, ed anche a un perduto tabernacolo fuori Porta alla Croce, rinviando in chiusura alla descrizione condiviana del Cristo nel Giudizio universale di Michelangelo:

“Dà ella la benedizione, o maledizione?” Questo detto del Papa fu a mio parere misterioso; poiché volendo il Papa motteggiare sopra la mano destra della Statua, si servì dell’esempio della famosa anti-ca pittura del Salvatore di mosaico in S. Giovanni di Firenze, la quale vi fu chi credette insino, che fosse stata fatta a rovescio. Di essa scrisse Filippo Baldinucci, che fu fatta con molto ingegnoso avvedimento dell’Artefice, e con bel concetto, di far fare ad essa mano sinistra l’ufficio di discacciare i presciti nel dì del Giudizio, allorché dirà: “Ite maledicti”; ed alla destra l’uficio d’invitare i Giusti con dire: “Venite benedicti”. E però disse il Papa: “Questa tua Statua dà ella la benedizione, o maledizione?” Lo che si accor-da benissimo anche colle parole di Michelagnolo: “Minaccia que-sto popolo, se non è savio”. È sempre stata famosa questa pittura di mosaico, per quell’atto: oltrediché in un certo Tabernacolo, che si vedeva anni sono fuori della Porta alla Croce, era una somiglian-te pittura d’un Salvatore con essa mano a rovescio in atto di male-dire. Cose, che al Papa, ed a Michelagnolo doveano pure esser no-te: ed a queste allusero senz’alcun dubbio le loro parole. Vedi ciò, che in questa Vita si legge a c. 4352.

Altro aneddoto affrontato dall’erudito è quello sulla frase, ripor-tata già in Vasari, rivolta sarcasticamente da Michelangelo al fi-glio del Francia, di bell’aspetto: «Figliuol mio, tuo padre fa più belle figure vive, che dipinte»53. Manni è il primo a suggerire l’origine di questa frase, sferzante ribaltamento della situazione e delle parole descritte da Benvenuto da Imola nel presunto dia-logo tra Dante e Giotto. La novella benvenutiana, erede di una tradizione già attestata nel mondo antico, come testimonia nei Saturnali di Macrobio l’episodio del pittore Mallio, era del resto

52 MANNI 1746, p. 84.

53 CONDIVI, GORI 1746, p. 86.

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stata ripresa anche da Baldinucci nelle sue Notizie su Giotto, ol-tre che da diversi autori di età moderna che Manni studiava o pubblicava54. Così sul passo di Condivi:

“Figliuol mio, tuo padre fa più belle figure vive, che dipinte”. Al-lude al motto, che diede a Servio Gemizio L. Manlio Pittore, come si ha da Macrobio: e simile altresì leggiamo in Benvenuto da Imo-la, essere stata la dimanda a Giotto Pittore fatta da Dante Alighie-ri. “Dantes videns plures infantulos eius (di Giotto) summe de-formes, et ut cito dicam, patri simillimos, petivit: Egregie Magister, nimis miror, quod quum in Arte pictoria dicamini non habere pa-rem, unde est, quod alias figuras facitis tam formosas; vestras vero tam turpes? Cui Giottus subridens, praesto respondit: Quia pingo de die, sed fingo de nocte”55.

L’ultima parte delle Annotazioni non è relativa alla Vita condi-viana, bensì al breve Supplemento fatto alla medesima da Girolamo Ticciati Scultore, e Architetto Fiorentino, inserito da Gori nel volume a completamento della biografia per gli anni non coperti da Condivi56. Tra documenti e fonti coeve, rigore su dati storici e rinvio a contributi personali vi è una sostanziale continuità con la sezione precedente. Manni indugia sull’aneddoto della con-servazione del corpo di Michelangelo riportato da Vasari, ar-gomento sul quale aveva voce in capitolo dopo la pubblicazio-ne, nel 1732, di un trattato dal titolo Della naturale incorruzione dei cadaveri, in cui, a testimonianza del suo costante contatto con l’opera dell’aretino, «nel Capitolo XXXIII riporto le parole di Giorgio Vasari»57. Rinvia anche all’allora inedita cronaca di Fi-renze di Agostino Lapini, prete e basso di cappella del duca di Toscana, in merito sia a giorno e ora di morte dell’artista, sia al-

54 Cfr. VASARI, BAROCCHI 1962, II, p. 396, n. 289. BALDINUCCI-MANNI

1767-1774, I, pp. 130-131, dove nella nota 1 Manni rinvia a Macrobio e alla

risposta del pittore Mallio. Sul dialogo tra Dante e Giotto e su altri autori

antichi e moderni che si rifanno a Macrobio cfr. PAPINI 1911, pp. 92-94.

55 MANNI 1746, p. 86.

56 CONDIVI, GORI 1746, pp. 59-63.

57 MANNI 1746, p. 86. MANNI 1732.

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le tre sculture che ne decorano il monumento funebre: «Queste si messero su nel mese d’agosto seguente, secondo che si ricava dalla Cronica MS. di Agostino di Jacopo Lapini»58. In specifici casi le note manniane potrebbero oggi apparire su-perflue, ma il lettore dell’epoca, poco avvezzo alla fruizione di determinati argomenti e alle biografie di artisti a causa della loro effettiva rarità, sia in termini assoluti, sia per il numero di esem-plari in circolazione, aveva a propria disposizione uno strumen-to prezioso per la comprensione dell’opera e che, insieme agli altri contributi, non lasciava niente di intentato. Saltano agli oc-chi i pur prevedibili confini locali delle Annotazioni, dove reali approfondimenti sono condotti esclusivamente su vicende sto-riche e personaggi toscani, mentre il periodo romano di Miche-langelo è quasi del tutto taciuto. Un grande vuoto cronologico, dunque, compensato in parte dagli altri autori partecipanti e motivato dalla scarsa apertura e confidenza con fatti e figure estranei al suolo patrio. Nell’edizione goriana le note di Manni si distinguono per la ser-rata indagine storica svolta attraverso fonti, documenti e testi di letteratura, ma dimostrano in buona parte un minore spessore critico rispetto alle Observations di Mariette e alle Notizie storiche ed annotazioni dello stesso Gori59, manifestandosi in taluni casi co-me sfoggi di pura erudizione. Tutte le Annotazioni lasciano emergere, in ogni caso, la cultura enciclopedica del loro autore e una sviluppata capacità di contestualizzare le notizie fornite, ol-tre che di accedere alle più celate risorse di archivio, andando ben oltre ciò che anche i lettori più preparati potevano conosce-re. Il lavorio filologico di Manni, avviatosi sull’esempio murato-riano già a inizio secolo in opere a carattere storico e letterario e confluito nelle Rime michelangiolesche, si rivela nelle note a Condivi del tutto maturo e incardinato nelle cose dell’arte.

58 MANNI 1746, p. 86. La cronaca di Lapini sarebbe stata pubblicata solo nel

1900: LAPINI 1900.

59 CONDIVI, GORI 1746, pp. 65-79, 87-123.

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«Ancor resta da porre in carta veracemente»: Manni e le Addizioni necessarie a Michelangelo L’interesse a carattere storico di Manni per personaggi che, co-me Michelangelo, coniugano arti figurative e letterarie, lo con-durrà nel giro di due anni a una pubblicazione eloquente per ti-tolo e contenuto. Nel 1748 dà alle stampe il suo primo testo au-tonomo focalizzato su un artista, le Notizie della vita di Agostino Bugiardini, altrimenti Ubaldini, fiorentino Scultore e Poeta60, figura la cui dicotomia artistico-letteraria non può che rinviare al Buo-narroti. Come sopra accennato, le incursioni di Manni in campo storico-artistico proseguiranno a lungo, tanto da procurargli la nomina ad accademico del disegno nel 1763, così come non verrà meno il suo legame con Michelangelo e con l’ambiente culturale e il clima storico a lui legato. Ad esempio, oltre all’onnipresente Vasari e alla consulenza a Bottari per la riedi-zione delle Vite, nel 1755 ristampa con proprie note i Discorsi di Vincenzo Borghini e in seguito ha un ruolo di primo piano, tra ricerca di documenti, codici manoscritti e commento, nel Com-mentario della Congiura dei Pazzi del Poliziano, pubblicato nel 1769 a cura di Giovanni Adimari61. Ad attestare questa eloquente ed avida continuità è anche una lettera inviata a Bottari al termine del 1760, quando la nuova edizione delle Vite era ormai del tutto passata sotto i torchi. Scrive Manni all’anziano collega e amico il 30 dicembre:

Ho ricevuto per una delle maggiori finezze, che V.S. Ill.ma possa farmi il bel regalo della Vita di Michelagnolo Buonarroti. L’ho data subito a legare per godermela tosto con avidità; e casualmente così sciolta vi ho osservato menzione, che Ella fa di me; del che le ren-do grazie; ma più che più le sarò sempre tenuto del dono stesso; del quale volendo principiare a mostrarmele grato, fo pensiero di mandarle un Instrumento di convenzioni tra Pio III allor Cardina-le con Michelagnolo, che per lui doveva fare 15 statue. Per quanto

60 MANNI 1748.

61 BORGHINI, MANNI 1755. POLIZIANO, ADIMARI, MANNI 1769.

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ho io a memoria, di così riguardevoli opere il Condivi non ne dice nulla. Alla morte del Papa i fratelli rinnovarono convenzioni. So d’avere ancora di Michelangelo una lettera; anco di questa la servirò, s’io la ritrovo. Non è stampata62.

Bottari, dunque, non ebbe modo di segnalare questo documen-to nelle Vite; Manni non ne fa menzione nelle missive successi-ve e in esse non c’è nemmeno traccia della lettera di Michelan-gelo menzionata. Sappiamo solo che di materiale per la Raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura l’erudito ne trovò e inviò al monsignore, sebbene non nella misura desiderata. Scrive otto anni dopo, il 30 maggio del 1768, in una tra le ultime comunica-zioni a Bottari: «Se io poco, e tardi ho contribuito alla bellissima sua Raccolta di Lettere Pittoriche, lo attribuisca alla mia insufficien-za nata più che altro dalla vecchiaia»63. Manni attenderà 14 anni prima di rendere noto il contratto segnalato a Bottari: nel 1774 lo inserisce in una sua Lezione data alle stampe con il titolo, più che significativo, Addizioni necessarie alla Vita di Michelagnolo e Pie-tro Tacca64. L’opera, dedicata al fiorentino Scipione de’ Ricci, accademico della Crusca, canonico giansenista e futuro vescovo di Pistoia, è il pretesto per rendere noti due documenti legati agli ‘statuari’ del titolo, o, come sono descritti nella prima pagina, «“Due grandi amiche insieme erano aggiunte”, prendo la frase del Poe-ta per denotare due Scritture sorelle, che venute mi sono in ma-no per aumentar pregio alle belle Arti». L’erudito chiarisce an-che l’origine delle due ‘scritture’, quella su Pietro Tacca donata-gli dallo stesso De’ Ricci, «l’altra qual frutto delle mie ricerche nei Codici preziosi dell’Archivio nostro generale, riguardante il Divin Michelagnolo». Il gesto del Ricci e le parole usate da Manni, divenuto Ministro del Generale Archivio fiorentino già dal 1750, rendono partecipi di un contagioso entusiasmo per

62 BANLC, Cors. 1890, c. 84.

63 BANLC, Cors. 1902, c. 157.

64 MANNI 1774.

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simili carte, tanto «necessarie» per le arti e per gli studiosi quan-to più tempo erano rimaste nascoste o ignorate. L’urgenza manniana per rivelazioni documentarie di stampo storico-artistico è coerente con i precedenti fin qui presi in esa-me, così come con gli interventi a cui si è solo accennato. Circo-lazione e condivisione di simili scoperte con la variegata comu-nità di eruditi, antiquari e amatori delle arti erano diventate la prassi, soprattutto nel caso di testimonianze documentarie di particolare interesse. Tali erano quelle presentate in questa oc-casione da Manni: «le quali sembra espediente, che non più tar-dino a farsi vedere alla luce per non più tenerne privi i dilettanti, ed amatori, che allegrezza ne han da provare»65. Importanza de-rivante dalla natura delle carte, ma soprattutto dall’identità dei due artisti, con il ‘divino’ Michelangelo a fare da apripista, segui-to dalla gloria locale Pietro Tacca, campione della scultura ba-rocca toscana. La presentazione che Manni offre degli stessi al lettore è chiarificatrice:

Mio intendimento è oggi, Accademici Virtuosissimi, di toccare di due Soggetti, de’ quali se assai è stato scritto, ancor resta da porre in carta veracemente. E poiché questi, come voi vedete, non ovvii sono a trovarsi, perciò appunto dandosi la combinazione, che due insieme ne ho io tra le mani, eccellenti amendue, e nella stessa Cit-tà nostra dimorati, e ad una medesima Professione addetti; non sembrerà anche a voi affare questo da trascurarsi, anzi giudichere-te pregio dell’opra il destare da un dannoso letargo, per dir così, o pure far viver di nuovo ciò, che col terminare i lor giorni due sì fatti eccellenti Professori di Statuaria, perì66.

Il documento legato a Michelangelo, pubblicato dall’erudito nel-la sua interezza, è relativo alle 15 statue commissionate nel 1501 dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Pio III,

65 MANNI 1774, p. 2.

66 MANNI 1774, p. 6.

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per la cappella di famiglia nel Duomo di Siena67. Si tratta dell’ultimo contratto notarile legato a queste sculture a noi noto: stipulato a Firenze tra il procuratore dei Piccolomini e Miche-langelo in data 11 ottobre 1504, a un anno dalla morte del papa, concerne l’esecuzione di sole 11 statue. Lo scultore realizzò, come noto, quattro statue per l’altare di famiglia (San Pietro, San Paolo, San Pio e San Gregorio), tutte pagate, e l’accordo ritrovato da Manni tratta della riscossione del credito di cento ducati spettante agli eredi una volta completata l’opera, somma con cui vengono però anticipate a Michelangelo, che si impegna a ter-minare tre statue, le spese per l’acquisto dei marmi. Le sculture non saranno mai consegnate e il debito dell’artista diverrà og-getto di lunghe controversie, attestate anche nel suo carteggio. Nonostante i diversi contratti oggi noti connessi alle statue, la datazione esatta di quelle realizzate è tuttora problematica68.

Manni premette alla trascrizione del contratto considerazioni su fonti e personaggi che si sono occupati in modo diverso di Mi-chelangelo69. Ricorda anzitutto le «prische querele del Vasari sullo scriver di Ascanio Condivi», riferendosi alla presunta inaf-fidabilità di Condivi denunciata da Vasari, ma sottolinea anche gli «avvenimenti di somma importanza omessi, o fuggiti dalla veduta, dall’udito, e dal continuo colloquio, che col Buonarroti faceva esso Vasari». Nomina ed elogia poi altri autori, tra cui Benedetto Varchi e Filippo Baldinucci, fino all’amico Bottari, che avrebbe superato tutti «per l’abbondanza delle sue preziose

67 Riportato per la prima volta in MANNI 1774, pp. 7-11. Il documento è sta-

to in seguito interamente trascritto da Gaetano Milanesi in BUONARROTI,

MILANESI 1875, VII, pp. 627-629, dove in nota lo studioso rinvia al testo di

Manni, commentato a p. 242; più di recente in CONTRATTI 2005, XV, pp.

31-34. Su di esso, sugli altri contratti per le statue dell’altare Piccolomini e

sulle controversie successive, relative alla riscossione da Michelangelo del

credito di cento ducati e non alla consegna delle statue, si veda L. Bardeschi

Ciulich in CONTRATTI 2005, pp. XIX-XXI., 4a.

68 Sulle statue e sulla loro datazione si veda: HIRST 2004, in particolare le pp.

64-67, con bibliografia.

69 MANNI 1774, pp. 6-7.

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note». Tuttavia nessuno tra essi, denuncia a ragione Manni raf-forzando il valore del documento proposto, ha mai menzionato «l’impegno glorioso» e gravoso che Michelangelo prese con il cardinal Piccolomini per la cappella di famiglia nel Duomo se-nese,

di condurre i lavori maravigliosi, che adornar doveano il signoril Deposito di lui per la Chiesa di Siena, lo che poi fu con non picco-lo effetto. Concedo, che il breve regnar di esso di soli pochi giorni, abbia fatto restare in oscura dimenticanza il pattuito accordo fra loro; ma cosa è stato dipoi delle Statue a questo fine condotte? Io per poco sospetterei, che queste siano state immaginate, e descrit-te lontanamente dal vero, non già che per mala ventura sian venu-te a perire. Un documento viepiù bello, ed infallibile di quel, che a luce pon-ghiamo noi, non si può dare. All’Archivio Generale di questa Pa-tria ne’ Protocolli di Ser Lorenzo Violi così sotto l’Anno 1504 il dì XII Ottobre: […]70.

Queste ultime considerazioni, che precedono un’affidabile tra-scrizione del documento, costituiscono l’unico reale momento critico all’interno del libretto. Nonostante la premessa, di ampio interesse perché getta luce sulla visione manniana e acclara quanto fin qui esposto, il testo dell’erudito mostra tutti i limiti di una rapida segnalazione, di una Lezione mirata alla sola pre-sentazione del contratto, lasciando ad altri qualsivoglia interpre-tazione o approfondimento, che senza dubbio Manni, nei molti anni intercorsi tra ritrovamento e pubblicazione, doveva aver tentato. Nelle poche righe che seguono la trascrizione, la co-scienza filologica di Manni sembra scalzare ogni barlume criti-co, recuperando nel finale:

Con sì importante documento alla mano pensino altri ad acconcia-re con savio, e ponderato accorgimento, e mettere in chiaro nuovi fatti nelle Vite non giammai fino a questo dì contenuti, de’ quali

70 MANNI 1774, p. 7.

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troppo si rende necessaria una puntual dilucidazione, impercioc-ché io mi pregio d’avere, come dir si suole, scoperta la lepre, pur-ché alcuno ne faccia preda71.

La consapevolezza dell’erudito è evidente e lo scagiona da ogni accusa di superficialità e leggerezza nell’approccio al manoscrit-to, tanto più perché inquadramento storico e lettura critica mai erano venuti meno in altre situazioni. Dai primi studi su Miche-langelo fino alle note a Condivi, in biografie di artisti e soprat-tutto nelle lettere a Bottari, il suo tentativo di comprendere il documento e di tirare le somme su personaggi, opere e fatti sto-rici è stato in gran parte dei casi più che apprezzabile. In queste Addizioni necessarie, ultima apparizione in territorio storico-artistico, l’attempato Manni opera in maniera non distante da quella di molti studiosi a venire, riportando l’intero documento senza indugiare in ulteriori ricerche e riflessioni critiche, che non preferiva o non era più in grado di portare avanti «con sa-vio, e ponderato accorgimento». Manni appare ora molto più vicino di quanto non fosse a metà Settecento a quell’approccio alle fonti dell’arte che diverrà nor-ma nel secolo XIX. La sua lunga esistenza ci consente di ap-prezzare questa evoluzione in senso quasi positivistico di un metodo filologico della storia dell’arte, condiviso da molti con-temporanei e conterranei letterati, linguisti e storici nella Tosca-na del Settecento, che anticipa quello applicato in maniera mol-to più consapevole da personaggi di simile formazione e cultu-ra, fino a giungere, nella seconda metà dell’Ottocento e oltre, ad esempi che faranno e fanno ancora scuola, al Milanesi, al Frey, allo Schlosser. La Kunstliteratur e la critica ad essa legata non po-tevano raggiungere una propria autonomia senza che la critica filologica del Settecento adempisse al proprio compito, ovvero controllo e revisione delle tradizionali fonti letterarie dell’arte, variamente edite e commentate, a cui affiancare una rigorosa ricerca e pubblicazione di fonti manoscritte, con una non sem-

71 MANNI 1774, p. 11.

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pre limpida distinzione tra narrazione storica e commento criti-co. Nelle parole che chiudono le Addizioni a Michelangelo traspare un sincero entusiasmo per le arti. Manni sembra defilarsi e chiudere un’epoca, facendosi testimone, con i suoi molti scritti, di una stagione decisiva per la critica e per la filologia dell’arte:

Altri felici acquisti aveva io adocchiati, e posti da parte dintorno alle belle Arti, ed ai Professori di quelle, intra i quali opportune notizie di Ferdinando Tacca, da mostrare, se non altro, la mia gra-titudine inverso la illustre Accademia del Disegno, che senza mio merito precedente, l’anno 1763, mi ammesse al novero de’ suoi Accademici; ma quelle come cose in proporzione delle suddette meno importanti; ed anco per non gravare di presente l’altrui sof-ferenza, le passo quivi pure in silenzio.

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