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FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI RADIOLOGIA MEDICA PER IMMAGINI E RADIOTERAPIA PRESIDENTE DEL CORSO DI LAUREA Prof. Pietro Terrosi Vagnoli ARGOMENTO TRATTATO LA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE APPLICATA ALLO STUDIO DI PERFUSIONE CEREBRALE CANDIDATO Bartalini Luca RELATORE TSRM Vittori Livio 1

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FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI RADIOLOGIA MEDICA PER IMMAGINI E

RADIOTERAPIA

PRESIDENTE DEL CORSO DI LAUREA

Prof. Pietro Terrosi Vagnoli

ARGOMENTO TRATTATO

LA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE APPLICATA ALLO STUDIO DI

PERFUSIONE CEREBRALE

CANDIDATO

Bartalini Luca

RELATORE

TSRM Vittori Livio

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INDICE

1.0 RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE

1.1. Principi fisici1.2. Parametri del segnale RMN1.3. Sequenze maggiormente utilizzate1.4. Localizzazione spaziale del segnale1.5. Tempi di acquisizione

2. 0 IMMAGING DI PERFUSIONE

2.1. Aspetti generali2.2. Parametri di misura della perfusione2.3. Utilizzo dei MDC nella perfusione cerebrale2.4. Tecniche di acquisizione di immagine2.5. Preparazione del paziente2.6. Esecuzione dell’esame2.7. Fasi di acquisizione ed elaborazione

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GLOSSARIO

CMS – Campo Magnetico StaticoB0 – vettore CMSRF – Radio Frequenza Mm – Magnetizzazione microscopica MM – Magnetizzazione MacroscopicaMML – Magnetizzazione Macroscopica LongitudinaleMMT – Magnetizzazione Macroscopica TrasversaleMR – Magnetizzazione RisultanteMRI – Magnetic Resonance Immaging FID – Free Induction Decay ECHO – Segnale derivante da impulso a 180°T1 – Tempo di rilassamento longitudinale / Spin - reticoloT2 – Tempo di rilassamento trasversale / Spin – spinT2* - Tempo di rilassamento trasversale starTR – Tempo di RipetizioneTE – Tempo di EchoTI – Tempo di InversioneSE – Spin Echo DUAL-SE – DUAL-Spin EchoTSE – Turbo Spin Echo IR – Inversion RecoveryFLAIR – Fluid Attenuated Inversion RecoverySTIR – Short TI Inversion Recovery GE/FFE – Gradient Echo / Fast Field Echo EPI – Echo Planar ImmagingTOF – Time Of Flight MIP – Maximum Intensity ProjectionCBF – Cerebral Blood Flow CBV – Cerebral Blood Volume MTT – Mean Transit TimeTTP – Time To PeakMDC – Mezzo Di ContrastoDSC - Dynamic Susceptibility ContrastBEE – Barriera Emato EncefalicaSNR – Signal Noise RatioSAR – Specific Absorption RateFOV – Field Of ViewROI – Region Of Interesting DWI – Diffusion Weighted ImagingPWI – Perfusion Weighted ImagingMCA – Medium Cerebral Artery

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1.0 RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE

1.1 Principi fisici

La Risonanza Magnetica in senso generale è un processo fisico ben definito e studiato che si rifà all’interazione di una energia trasportata da mezzi diversi quale per esempio un’onda elettromagnetica o sonora, con un corpo capace di interagire con quella forma energetica assorbendola.Si dice quindi che il corpo entra in risonanza con l’onda energetica.

Fig 1.0 Fenomeno della risonanza

Questo principio fisico si trova alla base della formazione dell’immagine RM per la quale vengono utilizzate delle onde a radiofrequenza (RF) con un range di lunghezza d’onda (λ) ben definito che vanno ad interagire con i protoni contenuti nella massa da studiare, precedentemente immersi in un campo magnetico statico.Per lo studio di risonanza possono essere utilizzati quegli elementi chimici che abbiano un numero dispari di potoni e/o neutroni nel nucleo, per i quali è presente un movimento di rotazione del nucleo attorno al proprio asse detto SPIN, possedendo un momento dipolare magnetico netto.Questa rotazione permette al nucleo di comportarsi come un piccolo dipolo magnetico oscillante entrando in interazione con i campi elettro-magnetici.

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Fig 2a Nucleo di idrogeno con spin Fig 2b Dipolo magnetico

I nuclei che possiedono queste caratteristiche magnetiche sono:

IDROGENO ( H ) CARBONIO – 13 ( 13C ) AZOTO – 14 ( 14N ) FLUORO – 19 ( 19F) SODIO – 23 ( 23Na ) FOSFORO – 31 ( 31P ) POTASSIO – 39 ( 39K )

Nella pratica l’elemento utilizzato per la formazione delle immagini e quindi nella risonanza magnetica tradizionale è il nucleo di Idrogeno, rappresentato da un solo protone, in quanto è l’ elemento maggiormente presente nel corpo umano essendo associato alla molecola dell’acqua che forma il corpo umano per circa il 70-75% della massa totale ( circa 1019

atomi per mm3 di tessuto); inoltre a parità di intervento esterno, l’idrogeno è quello che da un segnale maggiore rendendolo il migliore in campo di immaging RM.In definitiva è l’elemento che ci permette di avere la massima sensibilità aumentando il rapporto segnale-rumore.

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In condizioni normali, senza cioè che sia presente un campo magnetico, ogni protone avrà il vettore magnetico (momento magnetico) orientato casualmente nello spazio, generando una magnetizzazione microscopica (mm).

Fig 3.0 Orientamento casuale del vettore magnetico

Considerando la massa da studiare all’interno della quale sono presenti una infinità di protoni idrogeno, si può definire che statisticamente per ogni protone con un certo momento magnetico ce ne sarà uno con la stessa direzione ma verso opposto che annulla l’effetto magnetico del precedente.Si può quindi affermare che nella massa non sarà presente una magnetizzazione risultante apprezzabile detta anche magnetizzazione macroscopica (MM).

Per avere una visione corretta dei vari tipi di magnetizzazioni e per avere un sistema di riferimento è necessario considerare un sistema rigido di coordinate inserito nel paziente e nello strumento di risonanza.Nelle macchine resistive e superconduttive l’asse longitudinale del paziente corrisponde al vettore magnetico del CMS detto B0 orientato lungo l’asse Z dello spazio.Perpendicolarmente a questi sono orientati gli assi X ed Y dello spazio.

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Fig 4.0 Orientamento degli assi nello spazio

Al momento in cui il sistema viene inserito all’interno di un campo magnetico statico ed omogeneo (CMS), i protoni tenderanno ad assumere con il loro vettore di magnetizzazioni una dei due versi possibili quali Parallelamente od Antiparallelamente al vettore B0 del campo magnetico statico.Il verso principalmente acquisito dai protoni sarà quello parallelo al vettore B0 essendo rappresentato da un livello energetico minore e di conseguenza più stabile.Nonostante ciò il rapporto tra protoni disposti parallelamente ed antiparallelamente è molto basso ma sufficiente a determinare la formazione di una magnetizzazione longitudinale (MML) risultante non misurabile direttamente in quanto si somma a quella del CMS il quale è estremamente più intenso rispetto alla magnetizzazione stessa.

Fig 5.0 Creazione della MML con orientamento degli spin

Tale rapporto e di conseguenza l’entità della MM, è fortemente influenzato dall’intensità del CMS.Al crescere di quest’ultimo aumenta il numero di protoni che si dispongono parallelamente al vettore B0 determinando un incremento del parametro MM.

C’è da dire che è presente un continuo passaggio di protoni da uno stato all’altro per mantenere l’equilibrio termodinamico perturbato dalle

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interazioni tra macromolecole tissutali e protoni stessi, generando una variazione dinamica del rapporto sopradetto.

Fig 6.0 Orientamento dei nuclei prima e dopo l’inserimento nel CMS

Oltre a questo il campo magnetico che ha anche un altro effetto importante quale la messa in PRECESSIONE dei protoni.La precessione è un moto caratteristico che associa una rotazione del corpo attorno al suo asse (Spin) ad un movimento conico dello stesso.

Fig 7.0 Moto di PRECESSIONE

Il moto di precessione è di fondamentale importanza ed in particolare la frequenza di precessione è il dato che maggiormente ci interessa.Questo perché al fine di poter avere l’interazione tra onda RF e sub-strato con la cessione di energia, è necessario che le frequenze di oscillazione dei due sistemi siano le stesse, altrimenti non avviene il fenomeno della “risonanza”.

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Fig 8.0 Situazione di equilibrio con protoni in precessione paralleli ed antiparalleli a B0

Per conoscere la frequenza è sufficiente conoscere la Costante giromagnetica dell’elemento considerato, nel nostro caso l’idrogeno, e l’entità del campo magnetico statico B0

ω0 = γ B0

ω0 = Frequenza di Larmor / Frequenza di precessione

γ = Costante giromagneticaB0 = Intensità CMS

La costante giromagnetica dell’idrogeno è 42,6 MHz / T

Quindi la Precessione è rappresentata dalla rotazione conica del momento magnetico del protone associata allo spin, i quali generano una variazione continua della direzione del vettore stesso.Inoltre i vari protoni precedono alla stessa frequenza ma con fase diversa, di conseguenza si genera una MML non utile per lo scopo diagnostico se non dopo la perturbazione di questo stato di equilibrio dinamico.

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La perturbazione dell’equilibrio è rappresentata dall’invio, sulla massa protonica, di onde a Radio Frequenza (RF) che possiedono la stessa frequenza oscillatoria dei protoni in precessione. Questa è la condizione necessaria affinché i due sistemi oscillatori possano entrare in risonanza consentendo lo scambio energetico.

ω0 = γ

L’energia che viene ceduta viene assorbita dal sistema protonico causando due effetti che sono:

1) Passaggio di un numero crescente di protoni in funzione della durata dell’impulso, dalla forma parallela a quella antiparallela

2) Messa in fase dei momenti magnetici dei singoli protoni in funzione ancora della durata dell’impulso (stessa fase di precessione)

L’effetto (1) è responsabile della diminuzione della MML passando dal valore massimo iniziale ad un valore nullo (impulso 90°) fino ad un valore minimo ( impulso a 180°) uguale in valore assoluto alla MML iniziale ma di segno opposto.

Fig 9.0 Passaggio dei protoni dalla forma rilassata a quella eccitata con diminuzione di MML dopo l’invio dell’impulso RF

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L’effetto (2) è responsabile della formazione della Magnetizzazione Macroscopica Trasversale (MMT) la quale diventa massima con impulso a 90°, con il completo ribaltamento della magnetizzazione dal piano longitudinale Z a quello trasversale X-Y.

Fig 10.0 Eccitazione seguita dalla messa in fase di precessione con aumento della MMT

Volendo riassumere ciò che succede alla magnetizzazione dopo durante la somministrazione dell’impulso possiamo considerare il vettore Magnetizzazione Risultante (MR).Questo rappresenta la somma vettoriale della componente longitudinale e trasversale in fatto di magnetizzazione.Inizialmente, prima dell’invio dell’impulso RF, il vettore risultante corrisponderà con il vettore B0 del CMS equivalente all’asse Z dello spazio; iniziando la somministrazione energetica contemporaneamente inizierà il passaggio dei protoni dallo stadio rilassato a quello eccitato ed anche l’iniziale tendenza alla messa in fase dei singoli momenti magnetici.Come conseguenza ci sarà una diminuzione della MML e la formazione della MMT con uno spostamento del vettore MR verso il piano X-Y tramite un movimento di NUTAZIONE nel quale compie una traiettoria spiraliforme derivante dalla rotazione e dall’aumento costante dell’angolo formato con l’asse Z dello spazio.

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Fig 11.0 Traiettoria spiraliforme del vettore MR durante l’impulso RF

Con una durata dell’impulso sufficiente si riesce a far oscillare il vettore MR sul piano trasversale X-Y facendogli compiere un angolo di 90° rispetto al piano longitudinale Z.Per tale motivo l’impulso sufficiente a generare queste caratteristiche viene chiamato IMPULSO A 90°.Gli impulsi possono creare una deflessione della magnetizzazione longitudinale anche di angoli diversi da 90° e 180° in funzione della durata dell’impulso, tutto ciò modifica il segnale finale a parità di condizioni.

Al momento in cui cessa l’impulso RF, essendo questa una situazione di eccitamento e quindi fortemente instabile, la tendenza del sistema è quello di riportarsi nella condizione di equilibrio cedendo l’energia assorbita precedentemente sottoforma, nella maggior parte dei casi, di calore.

Questa fase di diseccitazione è fondamentale ed è causata dal ritorno degli atomi disposti antiparallelamente verso lo stato rilassato, generando un ripristini della MML, ed inoltre avviene la progressiva perdita di fase dei nuclei in precessione con riduzione del vettore MMT.I due processi avvengono contemporaneamente e con una velocità fortemente influenzata dal tipo di tessuto nel quale i protoni sono immersi.

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Fig 12.0 Genesi degli eventi dalla somministrazione dell’onda RF al ritorno nelle condizioni di equilibrio

Considerando solo i vettori magnetici la situazione è la seguente:

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Fig 13.0 Genesi degli eventi considerando i vettori magnetici

La variazione del campo magnetico del sistema determina una forza elettromotrice indotta proporzionale all’intensità del vettore MMT nella bobina addetta alla ricezione del segnale (generalmente la bobina è sia trasmittente che ricevente).

Di conseguenza il segnale che ne deriva è un segnale che varia la propria ampiezza nel tempo partendo da un valore massimo a causa della progressiva diminuzione della MMT.Il valore massimo sarà proporzionale all’intensità del vettore di magnetizzazione trasversale, conseguentemente il picco di segnale si ottiene con un IMPULSO A 90°.

Tale segnale viene chiamato FID ( Free Induction Decay) ed è cosi rappresentato.

Fig 14.0 Segnale FID (free induction decay)

Questo segnale è sicuramente il più sfruttato negli esami RMN ed è generato da impulsi RF che generano una deflessione uguale o minore di 90° del vettore MR.

Nel caso che l’angolo di deflessione sia maggiore di 90° ed in particolare pari a 180° il segnale avrà una forma ben diversa.

Trattando dell’impulso a 180° che è uno degli impulsi più usati dopo quello a 90°, trattiamo di un impulso che ha una durata sufficiente a ribaltare il vettore MR con verso opposto al vettore B0 e quindi all’asse Z dello spazio.Questo significa che il vettore MR post-impulso ha lo stesso valore di quello pre-impulso ma segno opposto.

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L’altro effetto fondamentale che darà la forma al segnale è l’inversione del verso di precessione dei protoni i quali se prima dell’impulso avevano una precessione oraria, dopo l’impulso avranno una rotazione antioraria.Questa è una caratteristica fondamentale in quanto permette ai protoni che hanno una frequenza di precessione maggiore e che dopo l’impulso si trovano conseguentemente in una fase di rotazione ritardata di raggiungere la fase dei protoni a minor frequenza di precessione.

Fig 15.0 Variazione del verso di precessione dopo impulso di rifocalizzazione a 180°

Questa volta il segnale non avrà un massimo iniziale per poi procedere con il decadimento ma partirà da un minimo subito dopo l’impulso, aumentando di ampiezza con il raggiungimento del picco nel momento di totale ribaltamento del vettore MR sul piano trasversale corrispondente al raggiungimento della fase, per poi decadere come nel seguente segnale a causa della progressiva perdita di fase con diminuzione della MMT.

Fig 16.0 Segnale di Echo

Tale segnale è chiamato ECHO ed anch’esso è essenziale in MRI.

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1.2 Parametri del segnale RMN Fino ad ora sono stati definiti i caratteri generali della fisica di risonanza magnetica come genesi del segnale.Adesso vado a definire i parametri fondamentali del segnale, rappresentati principalmente da:

1) T1 (Tempo di rilassamento longitudinale o Spin - reticolo) 2) T2 (Tempo di rilassamento trasversale o Spin - spin)3) DP (Densità protonica)

Tutti i seguenti parametri possono essere utilizzati per la formazione dell’immagine e pesati in modo diverso a seconda della successione di impulsi che si susseguono nella sequenza, dal tipo di massa in cui i protoni sono immersi ed anche in base alle caratteristiche del CMS.

1) Il parametro T1 è definito come il tempo necessario al sistema per recuperare il 63% della MML, una volta terminato l’impulso RF.

% MML Zrecuperata

100%95 %

86 %63 %

1 T1 2 T1 3 T1 Tempo

Il tempo necessario a generare tale recupero è fortemente influenzato dagli scambi termodinamici che avvengono tra gli spin, cioè i protoni risonanti ed il Reticolo inteso come l’insieme di molecole ( acqua – lipidi – proteine etc) che circonda i nuclei risonanti.In generale le piccole molecole ( acqua etc ) hanno, alla temperatura corporea immerse in un CMS di intensità di 1 – 1,5 Tesla, una frequenza

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di precessione molto elevata che mediamente supera di gran lunga quella di precessione degli spin.Questa situazione rende difficoltoso lo scambio termico tra spin e reticolo con conseguente allungamento del tempo T1.Lo stesso succede con le grandi molecole ( proteine – ac.nucleici) per le quali la difficoltà allo scambio termico è dovuta ad una bassa frequenza del reticolo rispetto a quella dello spin.Ben diversa è la situazione per le molecole medie ( lipidi ) per le quali la media di oscillazione si avvicina molto alla frequenza di oscillazione degli spin agevolando molto lo scambio termico; ne consegue un notevole accorciamento del tempo T1.

Concludendo posso dire che il T1 dipende dal tipo di reticolo in relazione alla temperatura, allo stato di aggregazione ed alla intensità del CMS.

2) Il T2 è definito come il tempo necessario a perdere il 63% della MMT oppure è equivalente definirlo come il tempo necessario a ridurre la MMT al valore del 37% una volta terminato l’impulso.

% MMT x - ydecaduta

63%

86%95%

Tempo1 T2 2 T2 3 T2

La perdita della MMT essenzialmente dovuta alla progressiva perdita di fase degli spin generata da fattori intrinseci quali il passaggio dei nuclei eccitati allo stato rilassato in seguito all’impulso i quali non contribuiscono al mantenimento della fase ( componente T1 nel rilassamento T2).L’altro fattore intrinseco è dovuto ai microcampi magnetici statici che si generano all’interno della massa in particolare legati alle strutture complesse come proteine o acidi nucleici specialmente se contenute in

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strutture solide le quali generano una interazione spin – spin che contribuisce al defasamento.Oltre a tali fattori intrinseci è presente un fattore estrinseco che è legato alla non perfetta omogeneità del CMS che inevitabilmente genera, secondo la legge di Larmor, una variazione di frequenza di precessione su strutture protoniche contigue agevolando il defasamento abbreviando quindi il T2.Come fattore estrinseco può essere considerato il gradiente di campo che viene generato dalla macchina appositamente per permettere una mappatura del segnale.In generale quindi i fattori estrinseci non riflettono una caratteristica del tessuto generando una distorsione della realtà anatomica, possono essere limitati utilizzando degli impulsi di rifocalizzazione a 180°.

Trattando di tale argomento non posso non definire il T2*, parametro utilizzato in alcune sequenze di gradiente nelle quali non essendo presente l’impulso di rifocalizzazione e non essendo quindi compensati i fattori estrinseci, si genera un defasamento molto veloce e quindi una perdita della MMT accelerato.

3) La DP è un parametro particolare definito dal numero di protoni contenuto nella struttura anatomica considerata.Sarebbe quindi lecito pensare che il segnale proveniente dalla struttura eccitata aumenti progressivamente con il numero di protoni.Questo è vero solo parzialmente perché il segnale utile alla formazione dell’immagine deriva dai nuclei di idrogeni formanti le molecole di acqua libera, non legata cioè ad altre strutture molecolari e non in forma cristallina.Questo spiega perché un volume di liquido da un segnale elevato mentre lo stesso liquido portato allo stato solido cristallino da un segnale praticamente nullo.

I tre parametri del segnale precedenti sono alla base della MRI e possono essere “pesati” in modo diverso nell’immagine finale di modo da ottenere informazioni diverse dalla stessa massa.Naturalmente ciò che consente di avere informazioni attraverso contrasto di immagine non è tanto il valore assoluto del segnale di una certa struttura ma la differenza di segnale tra le varie strutture anatomiche sfruttando anche i diversi tempi di rilassamento di quest’ultime, quindi T1 e T2, oppure la DP.La tecnica tramite la quale si riesce ad ottenere informazioni dalla massa viene detta SEQUENZA rappresentata da una successione più o meno lunga e differenziata di impulsi RF.

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Al fine di ottenere una diversa pesatura di immagine ( T1 – T2 – DP ) è importante, oltre che la successione degli impulsi, i tempi con i quali essi si susseguono.Essi vengono chiamati, a seconda degli impulsi usati:

TR (tempo di ripetizione) TE (tempo di echo) TI ( tempo di inversione)

Esistono moltissime tipologie di sequenze più indicate per un certo studio invece che per un altro.Tra le più usate sicuramente figurano le Spin – Echo (SE), le Inversion Recovery (IR) e le Gradient – Echo o Fast Field Echo (GE / FFE).

Esse differiscono essenzialmente per la successione degli impulsi RF inviati ed ognuna potrà essere pesata secondo i vari parametri del segnale sopradetti.

1.3 Sequenze maggiormente utilizzate

Tra le sequenze maggiormente utilizzate nella pratica di risonanza magnetica figurano sicuramente le SE, le IR e le GE/FFE con le loro varie modificazioni per renderle idonee a studi più approfonditi.

(A) Le Spin Echo sono in assoluto le sequenze maggiormente usate per la loro capacità di rilevare con una elevata risoluzione di contrasto tessuti che hanno tempi di rilassamento simili, senza contare l’insensibilità alle disomogeneità di campo. Lo svantaggio maggiore è il relativo lungo tempo di acquisizione in particolare nelle immagini T2 pesate a causa dei tempi TR prolungati ed al fattore SNR non elevatissimo.

Fig 17.0 Unità fondamentale della sequenza Spin-Echo

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Come si può vedere dall’immagine tale sequenza prevede l’invio di un impulso a 90° tale da permettere il ribaltamento della MML sul piano trasversale, seguito da un impulso di rifocalizzazione a 180° ceduto ad un tempo TE/2 rispetto alla lettura del segnale di echo.In seguito alla cessione dell’impulso a 90° si ha un segnale FID che decresce velocemente e non viene campionato, al contrario viene acquisiti il segnale di echo al tempo TE rispetto all’impulso a 90°.Naturalmente al termine del TR saranno necessari tanti ripetizioni di sequenza quante sono le righe di codifica di fase proporzionali alla matrice utilizzata ed in base alle ripetizioni di ogni riga (NEX).Questo si ha in quanto un TR è necessario per riempire una sola riga del k spazio.Quindi per una matrice di 128x128 con NEX pari ad 1, avrò bisogno di 128 ripetizioni di sequenza.Naturalmente la sequenza potrà essere pesata nei tre parametri fondamentali quali T1, T2 e DP, agendo sui valori del TR e TE.

- Lunghi TR e lunghi TE pesatura in T2

- Lunghi TR e brevi TE pesatura in DP- Brevi TR e brevi TE pesatura in T1

Esistono delle modificazione della SE di base come la DUAL-SE

Fig 18.0 Unità fondamentale della sequenza DUAL-SE

nella quale il doppio impulso consente di avere due echo di segnale permettendo sia una pesatura in T2 che in DP una volta impostato un lungo TR.

Oltre a questa viene molto utilizzata la versione veloce della SE detta TSE in particolare nelle T2 pesate nelle quali abbiamo riduzione dei tempi e perdita trascurabile di qualità grazie ad un treno di impulsi a 180° ceduti in seguito all’impulso di 90° all’interno dello stesso TR.

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(B) La Inversion Recovery è una sequenza nella quale un impulso a 180° viene fatto seguire da uno a 90° dopo un determinato tempo detto TI nonché il tempo di inversione.Una volta trascorso un tempo TR la sequenza viene nuovamente ripetuta per un numero di volte determinate al fine di avere il totale riempimento dello spazio k.Il segnale campionato è il FID derivante dal secondo impulso a 90°.E’ una sequenza che da immagini fortemente pesate in T1 che permettono di avere immagini anatomiche ben contrastate particolarmente utili nell’immaging cerebrale dove troviamo strutture come la sostanza bianca e quella grigia che posseggono caratteristiche molto simili al livello di tempi di rilassamento e di densità protonica.

Fig 19.0 Unità fondamentale della sequenza I.R.

Come si può vedere l’impulso a 180° iniziale ribalta la MML antiparallelamente a B0 assumendo un valore negativo, dopo il tempo TI viene inviato l’impulso a 90° che ribalta la MML posseduta dai tessuti in quell’istante sul piano xy generando un segnale FID proporzionale alla MMT ottenuta in seguito al ribaltamento.

Il segnale e la pesatura dell’immagine è fortemente influenzata dai tempi TR e TI infatti per un certo TR si ha una pesatura T1 tanto maggiore quanto minore è il TI, cosi per un TI stabilito aumenta la pesatura T1 al diminuire del TR.Nel caso limite di grandi TR e TI la pesatura diventa in DP.

Naturalmente abbiamo detto che dopo l’impulso a 180° si parte da una MML negativa passando poi per lo zero e tornare a valori positivi al termine dell’impulso, in ogni caso per la creazione dell’immagine viene considerato il valore assoluto della MML.

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Per il fatto che la MML passa dallo zero l’IR può essere sfruttata per annullare il segnale di strutture predeterminate impostando come TI quello necessario, a quel tessuto, per raggiungere una MML pari a zero di modo che nel successivo impulso a 90° non possegga MM da ribaltare sul piano trasversale.Questo è il caso della FLAIR che rappresenta una delle modificazioni della IR assieme alla STIR e SPIR usata in particolare nell’immaging cerebrale per annullare il segnale del liquor nelle patologie periventricolari come la sclerosi a placche.

Nella sequenza IR il SNR è piuttosto basso e comunque varia in maniera determinante al variare dei due parametri strumentali TR e TI. Anche per questo motivo tale sequenza deve essere considerata una sequenza mirata e di seconda istanza, necessario completamento in talune situazioni alla sequenza SE.

Modernamente viene aggiunto un terzo impulso di rifasamento sì da poter acquisire, dopo un tempo TE molto piccolo, l’eco speculare della FID.

Fig 20.0 I.R. modificata

(C) La Gradient Echo o Fast Field Echo è una sequenza fortemente utilizzata in particolare nello studio articolare per analizzare le caratteristiche della cartilagine, essa a differenza delle precedenti sequenze non possiede impulsi di rifocalizzazione a 180° che permettono di bilanciare la disomogeneità di campo ottenendo quindi immagini

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pesate in T2* e non in T2. Il segnale di echo si ottiene grazie all’inversione del gradiente di lettura.Inoltre vengono inviati degli impulsi che non generano angoli di nutazione di 90° ma angoli diversi generalmente inferiori a tale valore (α), di conseguenza non annullando tutta la MML si possono essere diminuiti i tempi TR con riduzione dei tempi di acquisizione.

Fig 21.0 sequenza Gradient Echo. Il primo gradiente G sfasa gli spin (1), il secondo li rifasa generando l’eco (2).

1.4 Localizzazione spaziale del segnale

Per ottenere una immagine fedele alla realtà anatomica è necessario avere delle informazioni relative al segnale inviato dal tessuto assieme ad informazioni riguardanti la localizzazione spaziale dello stesso.Per la ricezione del segnale (FID o ECHO) è sufficiente la presenza di una bobina ricevente posta a contatto con la porzione anatomica da studiare mentre per la localizzazione spaziale abbiamo bisogno di tre bobine di gradiente orientate nelle tre direzioni dello spazio x-y-z per questo chiamati Gx-Gy-Gz.Essi sono delle bobine che generano un gradiente magnetico cioè una variazione costante e conosciuta del campo magnetico lungo la direzione dello spazio su cui è orientato.Tale gradiente si sovrappone in modo conosciuto al CMS.La variazione del campo magnetico lungo l’asse comporta indirettamente una variazione delle frequenze di precessione dei protoni allineati sull’asse stesso che si troveranno ad avere frequenze diverse rispetto a quelle iniziali, in questo modo solo i protoni che si trovano in un determinato spessore avranno la possibilità di assorbire l’energia dell’impulso RF inviato mentre gli altri avranno frequenze di precessioni al di fuori del range di assorbimento.

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Fig 22.0 Corrispondenza tra gradiente magnetico e range di assorbimento

In questo modo avviene la prima fase del processo di localizzazione spaziale detto localizzazione di spessore.Naturalmente il gradiente addetto a questa prima fase sarà diverso a seconda del tipo di prospettiva vogliamo.Nel caso volessimo una visione assiale dell’anatomia il gradiente attivato sarà Gz, per visioni sagittali Gx e coronali Gy. (vedi Fig 4 pag 6).Quindi posso decidere, senza muovere il paziente, di cambiare il piano di lavoro agendo esclusivamente sui gradienti di spessore fornendo una delle caratteristiche basilari della MRN detta multiplanarietà.Inoltre agendo sull’intensità di gradiente posso modificare lo spessore di strato aumentando o diminuendo quindi i protoni in grado di interagire con l’onda RF.

La seconda fase del processo è detta codifica di fase rappresentata dall’attivazione del gradiente di codifica di fase, detto anche di preparazione, il quale sarà, nel caso di studio assiale, Gy.Tale gradiente genera una variazione del campo magnetico lungo le righe della matrice di modo da creare una accelerazione lineare delle precessioni dei protoni contenuti nelle varie righe.Ciò significa che i protoni contenuti nelle rispettive righe avranno la stessa frequenza di precessione mentre righe contigue avranno frequenza di precessione diverse e di conseguenza fasi diverse.Al momento della disattivazione del gradiente la frequenza dei protoni tende a ristabilirsi mentre l’effetto del defasamento si mantiene.Da qui di capisce il perché del nome del gradiente.

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Fig 23 Sequenza di eventi generati dal gradiente di codifica di fase con (A)situazione della matrice prima dell’attivazione del gradiente (B)variazione

delle frequenze di precessione con conseguente defasamento lungo le righe della matrice in seguito all’attivazione del gradiente (C)ripresa della

frequenza originaria (65 Mhz) con mantenimento del defasamento in seguito a disattivazione del gradiente

La terza fase è detta codifica di frequenza rappresentata dall’attivazione del gradiente di codifica di frequenza o di lettura, nel caso specifico Gz, che porta ad un variazione della frequenza dei protoni lungo le colonne della matrice.In questo modo ogni punto della matrice invierà un segnale con una propria frequenza in una determinata condizione di fase riuscendo a discriminare la provenienza dello stesso.

Fig 24 Variazione della frequenza di precessione su colonne contigue in seguito alla disattivazione del gradiente di frequenza ed attivazione di quello

di lettura

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Riassumendo le varie fasi possiamo dire che contemporaneamente all’attivazione del gradiente di selezione di strato viene inviato l’impulso RF il quale viene assorbito solo dai protoni che rientrato nel range di frequenze scelte.A questo punto viene attivato il gradiente di codifica di fase che mi permette la codificazione della riga della matrice. Una volta spento il precedente si attiva il gradiente di codifica di frequenza che mi permette di codificare le colonne della matrice; contemporaneamente avviene l’acquisizione del segnale a cui seguirà l’elaborazione.Per questo motivo viene chiamato gradiente di lettura.

C’è da dire che il processo di codifica di frequenza è estremamente veloce infatti in una solo TR si riesce a codificare tutte le colonne della matrice, mentre la codifica di fase è estremamente lenta riuscendo ad analizzare una sola riga in un TR.Si può ovviare utilizzando sequenze turbo o acquisizioni ultra rapide come la EPI.

1.5 Tempi di acquisizione

Il tempo di acquisizione (TA) necessario a produrre le immagini MRI è un parametro essenziale da considerare parallelamente alla qualità delle stesse, visto anche il continuo incremento della richiesta di esami MR.Per calcolare il tempo di acquisizione della singola slice devo considerare tre fattori principali:

TA = TR x Nx x Nex

TR è il tempo di ripetizione che intercorre fra due sequenze di impulsi contigui, necessario ai protoni per recuperare la MML ed essere in grado di assorbire nuovamente energia dall’impulso successivo.Tale fattore è imprescindibile ed è funzione del tipo si sequenza usata oltre che del tipo di pesatura di immagine richiesto.

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Nx rappresenta il numero di linee della matrice codificate in fase, essa influenza il tempo di acquisizione in quanto, nelle tecniche convenzionali di acquisizione (escluse le tecniche turbo-MRI ed EPI) ogni linea della matrice viene codificata in un intero TR.Questo significa che aumentando la dimensione della matrice, diminuendo cioè le dimensioni del pixel, per esempio passando da 128x128 a 256x256, aumenta il tempo di acquisizione che nello specifico raddoppia lasciando invariato gli altri parametri.In questo caso parallelamente all’incremento del TA si ha un incremento della risoluzione spaziale di immagine.

Nex è il numero di ripetizioni in codifica di fase rappresentante il numero di volte che ogni riga della matrice viene acquisita.Questo fattore nelle sequenze di base generalmente è compreso tra 1 e 4.All’aumentare del Nex aumenta il TA anche se parallelamente assisto ad un incremento del SNR.

Da ciò si capisce che non esiste una combinazione dei tre fattori giusta o sbagliata ma solo una corretta pesatura delle conseguenze che la modificazione dei parametri comporta in base alle necessità diagnostiche.

Una delle tecniche di acquisizione migliori che consente di avere il recupero dei tempi morti è detta 2DFT nella quale viene effettuata una acquisizione multi-sezione.Nella pratica di risonanza, dopo aver inviato il primo impulso nella sezione attivata dai gradienti di codifica di slice, è necessario attendere un certo tempo per l’acquisizione del segnale che generalmente è attorno a 100 msec e soprattutto il tempo TR che invece si aggira tra 500 e 1500msec.Questo significa che dopo l’acquisizione dell’impulso avrei un tempo morto di 1400msec che invece tale tecnica sfrutta.Infatti dopo l’acquisizione del segnale nella prima sezione si attiva il gradiente di codifica di slice che seleziona la fetta successiva procedendo all’invio dell’impulso e la ricezione del segnale e cosi via per le sezioni successive fino a che il TR è terminato.

Supponendo quindi che il tempo di acquisizione di ogni linea sia di 100msec con un TR di 1500msec con la tecnica 2DFT riesco ad

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analizzare una linea di 14 sezioni oltre a quella iniziale per un totale di 15 slice con una notevole risparmio di tempo.Nella pratica non vengono acquisite slice adiacenti tra loro ma alternativamente tutte quelle pari e dopo quelle dispari per evitare che modificazioni del profilo di sezione possano portare a sovrapposizione e quindi ad artefatti.

Fig 25 Sistema di acquisizione Multislice (2DFT)

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2.0 IMMAGING DI PERFUSIONE

2.1 ASPETTI GENERALI

Le tecniche di perfusione in risonanza magnetica sono estremamente complesse ed in continua evoluzione.Volendo dare una definizione generale di perfusione potremmo dire che rappresenta l’apporto di sangue ai tessuti, identificabile con il movimento microscopico coerente del materiale nutritivo ed in particolare dell’acqua libera.Lo scopo di tale studio è quello di quantizzare i parametri emodinamici al livello microvascolare con l’utilizzo o non di mezzo di contrasto, ricercando delle anomalie di ipo od iper-perfusione, fondamentali per individuare patologie anche indirettamente legate al flusso.La perfusione può essere applicata alla quasi totalità dei distretti corporei anche se trova la sua principale applicazione al livello cerebrale.Negli ultimi 25 anni, lo studio funzionale della fisiologia e fisiopatologia

del sistema nervoso centrale era di appannaggio di metodiche nucleari (PET - tomografia ad emissione di positroni / SPECT - tomografia ad emissione di singoli fotoni).

Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di nuove tecniche di Risonanza Magnetica, (MR perfusion imaging) basati sullo studio del passaggio del sangue nella rete vascolare cerebrale, si ha la possibilità di quantificare i parametri emodinamici cerebrali (flusso ematico regionale - CBF – e volume ematico regionale- CBV). Tale possibilità è di decisiva importanza sia per la diagnosi clinica di alcune patologie cerebro-vascolari che per l’imaging funzionale.

E’una delle migliori tecniche per visualizzare patologie microvascolari in fase acuta come le ischemie grazie alla migliore risoluzione spaziale e temporale, alla assenza di radiazioni ionizzanti presenti in altre tecniche come la SPECT o la PET sommata alla non invasività ed al relativo risparmio economico rispetto alle tecniche di medicina nucleare.Uno studio microvascolare in questo caso è essenziale in quanto la patologia ischemica in fase acuta non si accompagna ad una alterazione del flusso macroscopico studiato con tecniche tradizionali di RMN.

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Fig 26 : Confronto tra esame di perfusione in PET (sn) e RM (dx)

NOTA: Attualmente, eccetto le controindicazioni assolute per portatori di oggetti metallici e circuiti elettronici legate al CMS, non sono ben chiari e provati gli effetti

dannosi da parte del CMS e delle onde RF, potendo fare attualmente riferimento esclusivamente al SAR (W/Kg) il quale è indice del riscaldamento della struttura

biologica per effetto delle onde RF.Il limite è stabilito per 2 SAR per ogni mezz’ora di esame.

Quindi il vantaggio legato all’assenza di radiazioni ionizzanti potrebbe essere annullato da esiti di future ricerche.

Da un punto di vista generale, essendo il sangue un tessuto in continuo movimento (salvo i casi di stasi ematica), lo spostamento degli spin, in un certo intervallo di tempo, all’interno della struttura mi genera un abbattimento del segnale a causa della perdita di coerenza di fase per desincronizzazione dei gradienti, per un effetto detto Time of Flight nel quale lo stesso spin (nelle sequenze spin – echo) si trova in posizione diversa tra l’invio dell’impulso a 90° e quello a 180° rendendo impossibile la cessione dell’echo.Ciò può essere evitato utilizzando sequenze come le GE che hanno un unico impulso. Inoltre va ricordato la presenza del moto turbolento che è tanto più probabile quanto maggiore è la velocità del flusso e la irregolarità endoteliale.

Inoltre devo fare una distinzione netta fra le tecniche atte allo studio della macrocircolazione sanguinea, con utilizzo di sequenze particolari come T.O.F. e ricostruzioni MIP, con le quali si studiano le pareti vasali per la presenza di patologie occlusali macroscopiche, dalle tecniche invece atte a studiare la microcircolazione sanguinea, come la perfusione appunto.

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Questo naturalmente implica una netta differenza nella meccanica del flusso sanguineo che risulta relativamente più palpabile, anche dal punto di vista di calcolo, per il reparto macrovascolare.Considerando un unico condotto rappresentante una arteria di media-grande dimensione, inserendo all’interno di esso una certa concentrazione di tracciante a velocità nota rappresentante il contrasto, ed andando a misurare il segnale RM nel tempo potrei chiaramente conoscere il tempo impiegato da tracciante a percorrere tutto il condotto e l’eventuale diluizione dello stesso nel comparto sanguineo.

Il tempo di percorrimento sarà proporzionale al volume del condotto potendo calcolarmi il flusso rappresentato dal rapporto tra il volume ed il tempo, mentre la diluizione nel comparto ematico con allargamento del picco di segnale sarà dovuto ad un eventuale flusso turbolento e quindi alla presenza di una ostruzione comunque presente nel vaso in esame.

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Nel caso dello studio microvascolare avremo una fitta rete di condotti interconnessi per cui lo studio del segnale all’ingresso e all’uscita della rete è utile ancora allo studio del flusso ma diventa molto più complesso in quanto un allargamento del picco di segnale potrebbe essere causato dall’ostruzione di una qualsiasi porzione della rete.

2.2 Parametri di misura della perfusione

Da un punto di vista operativo, la perfusione è definita come la quantità di sangue rilasciata ad un voxel in un certo intervallo temporale, ed è misurata mlsangue/min/gtessuto oppure, nel caso dello studio encefalico, in unità CBF (ml / 100g di tessuto/min). Dato che la perfusione avviene a livello capillare, essa possiede proprietà fisiche che sono notevolmente differenti da quelle del flusso "coerente” dei grandi vasi. Il moto perfusivo è assimilabile ad un flusso microscopico incoerente, inteso come somma di molti flussi coerenti distribuiti in maniera casuale. In altre parole, quindi, la perfusione è un moto pseudo-diffusivo.

Fig 27 : Rappresentazione schematica del complesso microvascolare

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Il valore CBF nella sostanza grigia di un soggetto sana è mantenuta entro limiti molto ristretti attorno a 50-60ml/100g/min; valori inferiori possono identificare patologie ischemiche, mentre valori superiori possono identificare patologie ipervascolarizzanti come tumori.Essenzialmente considerando un sistema ideale rappresentato da un tubo, inserendo una sostanza ed andando a misurare il tempo impiegato dalla stessa nel fuoriuscire dall’altro capo, conoscendo il volume del tubo posso calcolarmi facilmente il flusso rapportando il volume del tubo stesso con il tempo impiegato a percorrerlo.Viceversa conoscendo il flusso ed il tempo posso calcolarmi il volume del tubo.Lo stesso succede nella perfusione cerebrale nella quale al posto del tubo abbiamo i capillari e la sostanza in questione può essere il semplice sangue oppure il mezzo di contrasto.

Il CBF quindi rappresenta la quantità di sangue che percorre una determinata quantità di tessuto nell’unità di tempo

L’altro parametro fondamentale nella perfusione cerebrale è il CBV che invece rappresenta la quantità di sangue che è presente in un certo volume in un determinato istante.

I due parametri sopra citati, nella maggior parte dei casi, hanno una relazione direttamente proporzionale nel senso che l’aumento dell’uno implica l’aumento dell’altro.Esistono però dei casi come nell’ischemia acuta nei quali i parametri possono divergere infatti, in questo caso, ad una riduzione del CBF a causa di una diminuzione del flusso corrisponde un aumento del CBV a causa della dilatazione del letto vascolare come risposta alla diminuzione della quantità di sangue circolante.

Un ulteriore parametro è rappresentato dall’ MTT definito come il rapporto tra il CBV ed il CBF corrispondente quindi al tempo di circolo.

Esistono tanti altri parametri che possono essere diversamente utilizzati per ottenere immagini RM soddisfacenti e contenenti le informazioni necessarie come il tempo di picco, tempo di arrivo, FWHM etc.Di tali parametri saranno identificate le caratteristiche generali successivamente.

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2.3 Utilizzo dei MDC nella perfusione cerebrale

Lo studio perfusivo del SNC può essere applicato sia con l’utilizzo di mezzo di contrasto (MDC) che senza di esso.

La tecnica con MDC detta DSC (dynamic susceptibility contrast) sfrutta il contrasto esogeno quale il chelato di Gadolinio per il quale è presente una notevole pratica clinica essendo usato come contrasto paramagnetico nelle tecniche di studio anatomo-patologico tradizionali di RMN.La caratteristica di tale sostanza è quella di ridurre sia i tempi T1 delle strutture a diretto contatto generando una iperintensità di segnale nelle sequenze T1 pesate che i tempi T2, ad alte concentrazioni, generando una ipointensità nelle sequenze T2 pesate.

La tecnica senza MDC è detta ASL-PE (arterial spin labeling – perfusion immaging) e sfrutta il contrasto endogeno quale i protoni delle molecole di acqua del sangue arterioso.Questi vengono “marcati” con degli specifici impulsi RF perturbandone la naturale magnetizzazione, seguendone il successivo comportamento.Naturalmente essendo l’acqua considerata libera di perfondersi nelle strutture extravascolari, una variazione della perfusione microvascolare genera una variazione della quantità di acqua scambiata e quindi una diversa dinamica del segnale RMN con possibilità di discriminare le zone ipoperfuse da quelle normalmente perfuse fino a quelle iperperfuse.

Fig 28 : Immagine ASL con campo 1,5T

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La ASL a sua volta sottende tutta una serie di varianti che il medico può usare a suo piacimento a seconda delle situazioni: Tra queste riconosciamo in particolare la ASL CONTINUA e PULSATA.Nella prima gli impulsi RF sono prolungati nel tempo permettendo di avere il miglior contrasto di immagine, nella seconda gli impulsi sono brevi e ripetuti generando una riduzione del SNR a favore di una diminuzione del tempo i acquisizione.

Fig 29 : Confronto fra ASL continua ed ASL pulsata

Esistono molte altre varianti in fase di sperimentazione come la Fiera, Picore, Quipss etc delle quali non è prevista una trattazione in questo testo.

Il metodo ASL è molto interessante in quanto evita la somministrazione di mezzo di contrasto che può essere, in casi rarissimi, pericoloso in caso di intolleranza da parte del paziente, di contro le immagini che si ottengono hanno un SNR inferiore rispetto alla tecnica DSC sommato al fatto che per ottenerle sono necessari circa 10 minuti contro il minuto di quelle ottenute con MDC.E’ doveroso dire che tali tecniche sono attualmente in studio ed è ipotizzabile che il metodo ASL sarà migliorato.

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Tecnica DSC: La base di tale tecnica risiede nello studio dinamico del segnale tramite sequenze veloci con alta risoluzione temporale durante il passaggio in bolo del MDC nel comparto vascolare cerebrale.In questo studio non viene sfruttata la capacità del MDC di ridurre i tempi T1 in quanto tale azione è ristretta ai protoni delle molecole di acqua a diretto contatto con il Gadolinio stesso impedendo uno studio dei tessuti al di fuori del vaso a causa della BEE funzionante che impedisce al contrasto di diffondersi con il moto diffusivo delle molecole di acqua.In questo caso il MDC si comporta similmente ad un tracciante non diffusibile.

Considerando che solo il 4% del volume del voxel è definito dalla componente intravascolare, non potendo studiare la componente extravascolare avrei un segnale insufficiente per fare una studio affidabile.

Per questo motivo viene sfruttata la componente di modifica T2 che per alte concentrazioni di MDC supera la componente T1.Il mezzo di contrasto quindi viene iniettato in bolo di modo che mantenga per un tempo sufficiente una alta concentrazione al livello vascolare.Il vantaggio di sfruttare la modifica T2 è che per alte concentrazioni di MDC si ha una riduzione del T2 che non si limita alle strutture intravasali ma anche alla componente extravasale che mi rappresenta il 96% circa del segnale riuscendo ad ottenere informazioni sufficienti.Il principio di perdita del segnale dovuto alla presenza di alta concentrazione di MDC paramagnetico è la microscopica azione defasante nei confronti degli spin circostanti per suscettibilità magnetica, definita come la capacità di una sostanza di modificare il campo magnetico nel quale viene introdotta.C’è da sottolineare che la suscettibilità magnetica in T2 è fortemente influenzata dall’intensità del CMS essendo direttamente proporzionale ad essa; ciò fa capire che con campi di 1,5 T o superiori si riesce ad aumentare il SNR rispetto ad un magnete 0,5 T che richiede una maggior quantità di MDC per ottenere immagini con buon SNR.

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A B C

A) E’ il caso dell’assenza di MDC in cui lo spostamento delle molecole di acqua e dei nutrienti è all’equilibrio e non si generano delle interazioni spin-spin tali da giustificare una variazione dei tempi T2

B) E’ il caso della presenza di bassa concentrazione di MDC presente dopo circa 4-5 minuti dall’immissione in bolo, in cui le interazioni sono limitate al vaso generando una diminuzione dei tempi T1 delle molecole vicine a quelle del Gadolinio. Il campo magnetico non risulta sensibilmente variato.

C) E’ il caso della presenza di alta concentrazione di MDC corrispondente all’immissione in bolo dello stesso, in questo caso abbiamo una variazione sufficiente di campo magnetico tra l’interno e l’esterno del vaso tale da generare un defasamento dei protoni nel processo diffusivo delle molecole di acqua dall’interno del vaso verso l’esterno e viceversa determinando una diminuzione dei tempi T2 con conseguente riduzione del segnale.

Lo studio di perfusione può essere inficiato da una alterazione della BEE con una conseguente infiltrazione del MDC nella regione extravascolare che ricordiamo rappresenta il 96% della struttura del voxel contro il 4% della componente intravascolare.Tale effetto genera una forte riduzione del tempo T1 della struttura nervosa con conseguente incremento del segnale che controbilancia la riduzione del segnale per l’effetto T2, in questo modo si rischia di visualizzare delle zone nervose come fortemente ipoperfuse o addirittura con perfusione assente quando in realtà non lo sono.Esistono in questo caso degli algoritmi di post-processing che permettono di limitare o annullare tale problema fornendo anche dei valori di permeabilità che aiutano a capire le condizioni reali di danneggiamento della BEE.

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Alla base della misurazione dell’emodinamica cerebrale è il rapporto tra la variazione del segnale RM nel tempo e la concentrazione di MDC nel tempo all’interno del voxel.Tale calcolo può essere fatto considerando che esiste una stretta relazione tra segnale del voxel e concentrazione di MDC presente in quell’istante conseguentemente un confronto fra il segnale ottenuto prima dell’arrivo del MDC, durante e dopo la diluizione è sufficiente a stabilire la variazione di segnale correlabile a sua volta al volume ematico e quindi al flusso stesso.Tutto ciò è lecito considerando che la variazione di segnale sia attribuibile esclusivamente al MDC.

Fig 30 a : Fig 30 b :

Il grafico “1” si rifà alla variazione del segnale RM nel tempo all’interno di una ROI selezionata sull’immagine acquisita.

Nella zona A si ha il segnale prima dell’arrivo del contrasto (fase basale), B rappresenta il segnale nell’istante di arrivo del contrasto, limite spesso non ben definibile, C rappresenta l’abbattimento del segnale dovuto all’istante di massima concentrazione del MDC (Fase vascolare), D è il momento di ricircolo del MDC che aumenta nuovamente di concentrazione in seguito alla prima diluizione, E è il segnale in seguito alla diluizione definitiva il quale si mantiene comunque inferiore per circa 5 minuti rispetto a quello iniziale a causa della presenza di una concentrazione di MDC sufficiente a generare una leggera suscettibilità magnetica tra comparto intra ed extravasale.

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Nel grafico “2” invece viene posto non il segnale in funzione tempo ma l’inverso del segnale (1/T2) di modo che la curva vada a rappresentare l’andamento della concentrazione di MDC nel tempo in quella regione selezionata.Chiaramente la curva presenta un picco e non un minimo come nel caso precedente ed i vari punti A – B – C rappresentano rispettivamente l’arrivo del mezzo di contrasto, il picco di concentrazione dello stesso e l’ampiezza del picco a metà altezza rispetto al suo massimo.Quest’ultimo rappresenta un parametro di flusso quale l’ FWHM.

E’ necessario precisare che il segnale risultante è fortemente influenzato dal tipo di acquisizione che viene fatto legato soprattutto alla sequenza utilizzata.

2.4 Tecniche di acquisizione di immagine

Come abbiamo detto quindi è fondamentale il tipo di acquisizione utilizzato il quale deve essere necessariamente veloce per avere una buona risoluzione temporale che mi consenta di studiare il mio distretto durante la variazione di concentrazione del MDC.In genere la tecnica di acquisizione scelta è la EPI sia GE che SE questo perché mi permette di ricostruire in un unico TR l’intera immagine analizzando tutte le linee dell’immagine rappresentate dalla codifica di fase.Naturalmente la pesatura deve essere T2 nel caso delle SE e T2* nel caso delle GE. Come sopradetto è essenziale ridurre al minimo i tempi di acquisizione prestando sempre attenzione alla qualità di immagine, infatti la tendenza per velocizzare la sequenza sarebbe quella di utilizzare TR molto brevi di 500msec o addirittura inferiori, ma in questo caso avrei una eccessiva pesatura dell’immagine in T1 che mi degraderebbe l’immagine, per questo motivo sono consigliati dei TR di circa 1 sec o meglio 1,5 sec per conciliare velocità e qualità.

La scelta della sequenza si ha tra le EPI SE e GE, in generale si può affermare che la tecnica SE è maggiormente specifica per il sistema cerebrale anche se abbiamo una leggera diminuzione del SNR sommata alla maggiore quantità di MDC richiesta.

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La scelta della sequenza è maggiormente influenzata dal tipo di patologia da studiare e dalla inquadratura clinica soggettiva del medico.Nella maggior parte dei casi viene usato il sistema multi-slice che permette l’acquisizione di più slice all’interno dello stesso TR aumentando ancora l’efficacia del sistema EPI.Nulla vieta di fare delle acquisizioni con tecnica NON – EPI soprattutto nelle macchine che non posseggono i requisiti meccanici per poter svolgere tale acquisizione.

Tali caratteristiche sono:

- Tempo di salita o Slew-rate : definito come il tempo impiegato dal gradiente per raggiungere il massimo rendimento (20 – 30 mT/m/sec)

- Potenza : definita come la massima variazione del gradiente magnetico nell’unità di tempo (10 – 40 mT/m)

Quindi l’EPI è il caso limite dell’acquisizione di più linee durante un intervallo TR. L’acquisizione può avvenire ad impulso singolo (single shot), per cui, con un unico TR, attivando e disattivando opportunamente i gradienti di fase e di lettura, viene riempito completamente tutto il k spazio. In questo caso il numero di echi nell’echo train corrisponde proprio al numero di linee del k-spazio e quindi dell’immagine finale.In realtà, attualmente, la EPI e le sequenze da essa derivate includono anche la possibilità di acquisire immagini in più shot (più impulsi RF), coprendo così il k spazio in modo segmentato e/o interallacciato. Sarà dunquecompito dell’operatore decidere se è preferibile ottenere immagini moltovelocemente a discapito dell’SNR e di artefatti più o meno sostanziali o acquisire immagini con maggior ripetizioni d’impulsi RF.La modalità di riempimento del K spazio utilizzata nella EPI single shot è quella alternata detta a “serpente”.

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NOTA: Ricordiamo che il K spazio è rappresentato da una matrice bidimensionale di dati numerici che contengono le informazioni in fatto

di risoluzione spaziale, risoluzione di contrasto etc, i quali una volta rielaborati da un complesso algoritmo matematico basato sulla

antitrasformata di Fourier portano alla formazione dell’immagine finale di interfaccia.

Quindi ogni punto della matrice del K spazio contiene informazioni sulla intera immagine e non per il singolo pixel corrispondente dell’immagine rielaborata; per tale motivo i dati contenuti nel K spazio vengono detti

RAW-DATA cioè dati grezzi.

I tempi di scansione sono compresi tra 40 e 100 msec per ogni sezione riuscendo ad avere una alta risoluzione temporale a scapito della risoluzione spaziale che non può essere paragonata alle immagini ottenute con modalità di acquisizione standard; questo perché la massima matrice ottenibile attualmente in acquisizione è di 128 x 128.

Naturalmente la qualità di immagine legata alla risoluzione spaziale è influenzata dal tipo di sequenza sfruttata; nel caso delle EPI – SE dopo l’impulso a 90° sono presenti i successivi impulsi a 180° che bilanciano la disomogeneità di campo legata ai gradienti rendendola meno sensibile agli artefatti da disomogeneità di campo rispetto alle EPI – GE nelle quali dopo l’impulso a 90° non sono presenti impulsi di rifocalizzazione ma agiscono direttamente delle oscillazioni ultrarapide del gradiente di codifica di frequenza che genera una serie di multipli echi di gradiente, ciascuno separatamente codificato in fase da rapide accensioni del gradiente di fase.

Per un corretto svolgimento dell’esame al fine di ottenere un compromesso tra qualità di immagine e tempo di acquisizione è consigliabile utilizzare tali parametri tecnici di riferimento per le EPI-SE:

- TR compreso tra 1500 e 2000 msec per ottenere immagini ben pesate in T2/T2*

- TE compreso tra 50 ed 80 msec- FOV standard del cranio compreso tra 200x200 mm e 250x250

mm- Matrice compresa tra 64x64 e 256x256 anche se quella ottimale è

di 128x128 per la maggior parte delle apparecchiature - Tikness compreso tra 5 e 10 mm

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- Gap scelto sulla base generalmente del tikness e stabilito come 1/10 di tale valore. Quindi se utilizziamo uno spessore si strato di 10mm il gap è di 1mm. La scelta viene fatta per evitare interferenze al livello di immagine.

- Numero di sezioni stabilito tra 5 e 15 a seconda delle esigenze ricordando che un maggior numero di sezioni richiede un incremento del TR con un peggioramento del SNR.

- NEX pari ad 1 trattando di una modalità EPI.

Per quanto riguarda le EPI-GE:

- Flip Angle compreso tra 30 e 45°- TR compreso tra 600 e 650 msec- TE pari a 30 msec- FOV di 220x220 mm- Matrice di 128x128- Tikness di 8 mm- Slices comprese tra 15 e 20- NEX pari ad 1

2.5 PREPARAZIONE DEL PAZIENTE

Il paziente in possesso della richiesta medica correttamente compilata deve essere informato sul procedimento tecnico al quale sarà sottoposto firmando il questionario preliminare all’esecuzione dell’esame nel quale vengono evidenziate tutte le possibili controindicazioni assolute tra cui:

- Portatori di Pace Maker- Protesi dotate di circuiti elettronici- Clips o corpi estranei ferromagnetici- Circuiti elettrici e/o pompe di infusione per la cura del dolore- Gravidanza specie nel primo trimestre- Protesi al cristallino o al complesso uditivo con componente

ferromagnetica (generalmente impiantati prima degli anni 90)

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e le controindicazioni relative tra le quali:

- Claustrofobia- Protesi endomidollari- Stent – spirali – filtri endovascolari impiantati meno di 6 settimane

prima all’esame di RM- Dispositivi intrauterini- Tatuaggi

E’ opportuno togliere il trucco in particolare se la richiesta è per uno studio del comparto testa collo in quanto le particelle ferromagnetiche di quest’ultimo possono aderire al magnete provocando problemi al livello di immagine, togliere eventuali protesi removibili ed oggetti metallici (collane, monete, orecchini, occhiali, spille per i capelli), spogliare il paziente di modo che rimanga solo con gli slip, fornendogli un camice di tnt o di cotone e delle soprascarpe.

E’ buona abitudine analizzare la superficie corporea del paziente con il metal detector in dotazione per scongiurare pericoli legati a corpi metallici dimenticati.

Il paziente viene posto supino sul tavolo di RM, con gli arti superiori lungo il corpo o comunque in una posizione comoda che faciliti l’immobilità, la testa viene posta all’interno della bobina dedicata allo studio dell’encefalo detta “HEAD COIL” (bobina volumetrica di quadratura munita di preamplificatore) ed immobilizzata con delle bande di contenzione per impedire movimenti, in particolare se il paziente è poco o non collaborante.Sopra la bobina può essere montato uno specchietto che permette al paziente di vedere fuori dal gantry una volta inserito al suo interno, espediente particolarmente utile nel caso in cui il paziente dia dei cenni di agitazione.

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Fig 31 : Fasi di posizionamento del paziente

Gli viene fornito un campanello da premere nel caso di malore e viene informato sui forti rumori che sentirà (si possono eventualmente fornire degli auricolari isolanti) e sulla possibile sensazione di calore derivante dall’interazione delle onde RF con il corpo e soprattutto in seguito alla somministrazione del MDC.

Si richiede l’immobilità assoluta per tutta la durata dell’esame.Il centraggio laser viene individuato al livello del nasion.

Viene preparato l’iniettore di MDC per il successivo studio.

2.6 Esecuzione dell’esame

Dopo aver inserito i dati del paziente viene pianificata l’indagine sulla “SARVEY” svolta sui tre piani di studio quali sagittale, coronale ed assiale.Prima di uno studio di perfusione generalmente viene fatto uno studio standard dell’encefalo rappresentato dalle sequenze di base quali:

- Sagittale SE in T1- Sagittale TSE in T2- Assiale SE in T1- Assiale SE – DUAL- Assiale FLAIR- Eventuali coronali- Assiale DWI

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Tale elenco è di riferimento ricordando che la scelta delle sequenze è molto variabile in funzione del medico radiologo.

Flair DWI

Di competenza tecnica è il posizionamento del pacchetto di studio sui vari piani facendo riferimento a dei reperi anatomici standard quali:

- Linea Bicommessurale : rappresenta una linea immaginaria che unisce la commissura cerebrale anteriore con quella posteriore. Parallelamente ad essa viene posizionato il pacchetto assiale dell’encefalo di modo da comprendere tutta la fossa cranica posteriore (cervelletto compreso) fino alla volta cranica. Nella pratica a causa della scarsa qualità della sarvey è difficile individuare la linea sopradetta quindi facciamo riferimento alla linea che unisce lo splenio anteriore al ginocchio del corpo calloso.

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- Base del quarto ventricolo : parallelamente ad essa viene posizionato il pacchetto coronale di modo da comprendere le strutture anatomiche richieste dal tipo di esame.

- Piano sagittale mediano : parallelamente ad esso viene posizionato il pacchetto sagittale di modo da comprendere le strutture encefaliche richieste.

A questo punto si passa alla fase di analisi perfusiva che, come già detto, può essere svolta sia senza che con MDC, nel caso si utilizzi MDC (stragrande maggioranza dei casi) deve essere decisa la modalità di immissione del MDC la quale è generalmente in bolo.

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Di conseguenza per ottenere i migliori risultati sia in fatto di velocità di immissione che di riproducibilità è necessario usare un iniettore automatico il quale deve essere armato sia con il boccettino del MDC sia con quello di fisiologica essenziale per spingere l’intera quantità di MDC in circolo.

Fig 32 : Iniettore automatico con interfaccia grafica

Nulla toglie all’operatore di svolgere una iniezione manuale anche se questa è una manovra più complessa che richiede più esperienza e manualità.

Fig 33 : Iniettore manuale a siringa

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Il tracciante esogeno può avere varie concentrazioni basti sapere che sono necessari almeno 0,1 mmol/Kg di massa corporea per ottenere delle informazioni anche se nella maggior parte dei casi si arriva fino a 0,3 mmol/Kg al fine di aumentare il SNR in particolare se vengono utilizzati magneti poco potenti di 0,5 T.La velocità di immissione è variabile attorno ai 5ml/sec seguita da circa 20cc di fisiologica per spingere la totalità del tracciante esogeno velocemente attraverso il vaso fino all’encefalo.Naturalmente deve essere controllato che sia stato posizionato dall’infermiere un ago di dimensioni sufficienti a sostenere il flusso impostato onde evitare spiacevoli inconvenienti (18 Gauge consigliati).

2.7 Fasi di acquisizione ed elaborazione

(A) Acquisizione dei dati grezzi(B) Costruzione delle curve segnale/tempo(C) Costruzione delle mappe di perfusione

(A) La prima fase dello studio riguarda l’acquisizione dei dati grezzi che andranno a formare il set di immagini della fase non contrastografica acquisito in modalità EPI senza MDC e della fase contrastografica acquisito nelle stesse condizioni in presenza del bolo contrastografico. Lo scopo di avere due set di immagini nelle due fasi diverse è quello di confrontarle e sovrapporle elettronicamente per aumentare al massimo il SNR ottenendo informazioni utili per uno studio iniziale di insieme oltre ad essere essenziali per le due fasi successive di elaborazione.L’acquisizione in fase contrastografica viene generalmente attuata 10 secondi prima della somministrazione del contrasto considerando che tra la somministrazione, il passaggio e la diluizione del bolo passano circa 15-20 secondi.La fase contrastografica può essere suddivisa in due porzioni cioè la fase basale durante la quale il bolo non è ancora giunto nel circolo cerebrale e la fase vascolare nella quale inizia l’abbattimento del segnale con il raggiungimento del picco.

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L’acquisizione continua per circa 1 minuto durante il quale vengono acquisiti i dati relativi alla modificazione della suscettibilità magnetica indotta dalla compartimentalizzazione del MDC.

Fig 34 : Sequenza EPI in fase vascolare (in seguito a contrasto)

(B) Dopo aver acquisito una sufficiente quantità di dati si passa alla seconda fase rappresentata dalla costruzione del grafico SEGNALE / TEMPO e/o CONCENTRAZIONE / TEMPO.Il primo è essenziale per una valutazione qualitativa intesa come presenza o assenza di patologie legate alla perfusione cerebrale, mentre il secondo è essenziale per una valutazione quantitativa della perfusione rappresentando la quantità di MDC in quella regione utile per stimare il volume ematico.

La costruzione delle curve viene applicato non all’intero encefalo ma alla ROI selezionata direttamente sull’immagine in quella zona dove gli studi precedenti ( assiali T1 – T2 – DP , DWI etc) fanno apparire delle anomalie.La ROI viene posizionata dopo aver controllato che l’acquisizione sia avvenuta in modo corretto in perfette condizioni tecniche legate al posizionamento e soprattutto all’assenza di movimento, fattore estremamente degradante in particolare per le rielaborazioni di immagine.

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Fase basale / Fase vascolare

Fig 35 : Differenza di segnale nella ROI

Per uno studio più completo e per limitare la possibilità di errore viene applicato uno studio comparativo posizionando una ROI nella regione contro-laterale rispetto a quella di studio.

In questo modo vengono realizzate 2 curve che testimoniano il diverso transito di MDC nella regione sana e quella eventuale affetta da patologia legata ad un diverso abbattimento del segnale dovuto alla diversa concentrazione di MDC oppure ad una traslazione del segnale causato da un ritardo del MDC.

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Fig 36 : Ritardo di segnale nelle ROI controlaterali

Per una ricostruzione corretta delle curve è necessario l’utilizzo di software dedicati che permettano di elaborare la variazione dinamica della tonalità di grigio assunta dalla ROI selezionata su tutte le immagini acquisite per quella serie (circa 40). Sarebbe infatti inutile una analisi statica puntuale delle singole immagini; conseguentemente il programma deve essere in grado di identificare la sequenza dinamica come un unico pacchetto di sequenze utili.Generalmente il software comprende una utilità necessaria per correggere eventuali artefatti sulle immagini, in particolare legati al movimenti del paziente per recuperare il lavoro evitando una ulteriore somministrazione di MDC che ricordiamo è relativamente dannoso per il paziente diventando, in alcuni rarissimi casi, fatale.

(C) A questo punto entriamo nella terza ed ultima fase dello studio legato alla rielaborazione di immagine con la creazione delle mappe di perfusione (CBV – CBF – MTT – etc).Tali elaborazioni riescono a fare un calcolo puntuale di quelli che sono i parametri essenziali come il volume ematico ed il flusso andando a generare delle immagini che potremmo definire di post-processing nelle quali viene evidenziata tramite una scala di grigi o meglio cromatica, la caratteristica scelta.

E’ buona abitudine riservare uno sguardo alle curve concentrazione/tempo le quali possono dare informazioni riguardo alla presenza di errori oltre all’osservazione diretta delle immagini grezze.

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Ricordiamo che gli artefatti come il movimento ma anche il mancato arrivo del MDC in bolo o la mancata acquisizione da parte della macchina di una parte di dati può essere molto dannosa specialmente in questa fase.

• Mappa CBV : E’ in assoluto la mappa più utile ed usata nella pratica per molte patologie oltre ad essere relativamente semplice da creare. Essa integra l’area sottesa dalla curva concentrazione /tempo all’interno di un intervallo ben definito precedentemente dall’operatore sulla curva stessa. Il punto di partenza dell’integrazione è definito dallo stato basale o meglio dall’inizio ed alla fine dello stesso i quali devono essere inseriti dal tecnico. Generalmente l’integrazione tende matematicamente all’infinito intesa come integrazione fino al termine dell’acquisizione EPI con l’intento di sfruttare anche il segnale dovuto al ricircolo del MDC per aumentare il SNR. Questo si verifica nella maggior parte dei casi tranne quando la BEE è compromessa, evenienza che necessita un precoce termine dell’intervallo di integrazione per evitare errori dovuti alla competizione degli effetti T1 sui T2. In definitiva ciò che otteniamo alla fine è una immagine con scala cromatica nella quale i colori sono proporzionali al CBV in ogni voxel.

Mappa CBV a gradazione e B/N

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Area integrata dal CBV

• Mappa CBF : Essa consente di stimare quello che è il flusso ematico all’interno della ROI misurato in “ml / 100g di tessuto/min”. La formula da cui si ricava matematicamente tale valore è:

rCBF = rCBV/MTT

In questo caso l’elaborazione è relativamente più complessa rispetto alla precedente, infatti è necessario specificare la funzione di input arterioso (AIF) la quale pone la variazione del segnale tissutale nel tempo. Tale funzione è essenziale per il calcolo del CBF e viene generata ponendo una o più ROI nella regione adiacente alla arteria principale che irrora la regione in studio, generalmente rappresentata dalla MCA.

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ROI

E’ molto importante porre le ROI-AIF adiacenti al vaso e non all’interno di esso per vari motivi fisici primo tra tutti la presenza di un basso segnale già nello stadio basale che viene ulteriormente abbattuto nella fase vascolare in modo non proporzionale alla concentrazione di MDC rischiando di avere degli errori. Oltre a questo ci sono una altra serie di motivi che, con la tecnologia attuale, non permettono un calcolo assoluto del flusso, quindi le mappe vengono chiamate rCBF (CBF relativo). L’altro parametro fondamentale per l’algoritmo di ricostruzione è il termine del primo passaggio di MDC in corrispondenza del quale viene interrotta l’elaborazione evitando disturbi derivanti dalla successiva fase di ricircolo.

Mappa CBF a gradazione

• Mappa MTT : Esso è un parametro relativamente facile da calcolare una volta eseguite le due precedenti in quanto matematicamente è il rapporto tra i due valori di volume e flusso:

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MTT=rCBV/rCBF

L’unità di misura dopo le dovute semplificazioni sarà in secondi.Graficamente rappresenta l’intervallo di tempo tra l’arrivo in bolo del MDC ed il picco di concentrazione:

MTT

Naturalmente essendo esteso a tutta l’immagine il valore di MTT sarà un valore medio che mi permette di comprendere il tempo medio impiegato dal MDC ad arrivare al picco B una volta arrivato in bolo corrispondente al punto A.L’MTT come tutte le mappe temporali è estremamente sensibili alle piccole variazioni di soglia che possono far apparire delle regioni alterate mentre nelle mappe CBF/CBV tali regioni non sono sottoposte ad alterazioni, come si può vedere nelle immagini seguenti.

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MTT rCBV rCBF

Mappa MTT a gradazione

• Mappa TTP : E’ indice del tempo necessario al MDC per raggiungere la massima concentrazione o se vogliamo tra l’iniezione ed il minimo di segnale registrato. E’ una mappa meno usata delle precedente ma efficace in alcuni casi specifici.

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TTP

Mappa TTP B/N e gradazione

Questi sono solo 4 dei possibili parametri su cui ci possiamo basare per la costruzione di mappe di perfusione.Generalmente in uno studio completo vengono utilizzate tutte le precedenti mappe o almeno le prime tre (rCBF – rCBV – MTT), in quanto, il loro confronto, consente di amplificare in modo diverso un

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certo parametro della perfusione sanguinea microvascolare individuando alterazioni magari non visibili con uno studio di flusso o di volume ma individuabili con uno studio temporale come l’MTT.Attualmente sono in studio altri parametri di studio al livello sperimentale che probabilmente saranno in grado di migliorare se non rivoluzionare lo studio di perfusione e funzionale in genere.Tra questi figurano gli studi di Compensazione del ritardo e dispersione basati sulla AIF, di ritardo del flusso e soprattutto studi che permetteranno il calcolo del diametro dei capillari contenuti nel voxel selezionato.Come già detto tali tecniche sono ancora al livello di studio anche se è ipotizzabile il loro utilizzo clinico nel prossimo futuro.

CONCLUSIONI

La tecnica di perfusione MR consente di apportare degli studi mirati al comparto cerebrale non possibili con le tecniche

convenzionali di RM e TC.

In particolare nello studio di patologia ischemica in fase acuta, nella quale il mancato apporto di sangue genera uno

stato di ipossia/anossia che porta, con una catena di eventi, ad un danno irreversibile.

Tra il verificarsi della caduta di perfusione ed il danno irreversibile è presente la cosiddetta finestra terapeutica nella quale è possibile intervenire per limitare od evitare il danno

stesso.

In questo caso entrano in gioco le tecniche di perfusione, diffusione e spettroscopia MR che assieme formano i

fondamenti della

risonanza magnetica funzionale (fMRI).

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Con esse è possibile individuare il mancato apporto di sangue fin dai primi minuti dell’evento con un analisi veloce e

dinamica; cosa che non sarebbe possibile con le tecniche convenzionali di MR e TC con le quali avrei delle modificazioni

di densità di immagine solo dopo le prime 12-24 ore, quando ormai il danno sarebbe allo stadio avanzato.

Gli studi usati nella stragrande maggioranza dei casi nel sospetto di patologia ischemica acuta sono la perfusione(PWI) e la diffusione(DWI) le quali confrontate riescono non solo ad

individuare la zona patologica da quella fisiologica ma riescono ad individuare anche la zona di penombra nella quale è presente tessuto colpito dalla patologia ma ancora in grado

di recuperare il danno in caso di riperfusione.

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio il mio relatore VITTORI LIVIO per l’assistenza datami nella stesura della tesi oltre che per la coerenza dimostrata nell’arco dei tre anni di studio all’interno del polo universitario ospedaliero senese.

Ringrazio il Dott.re PAOLO GALLUZZI per avermi fornito il testo necessario alla stesura .

Ringrazio ALESSANDRO BENICCHI per avermi fornito il testo necessario alla stesura.

Ringrazio tutti i componenti della casa Perozzi per l’aiuto datomi nell’arco dei 3 anni.

Ringrazio tutti i miei amici che mi hanno seguito in questi anni

ed in particolare ai componenti dell’Ass.ne I 4 GATTI di Boccheggiano

Un ringraziamento speciale va ai miei genitori Bartalini Enzo, Boddi Antonella, alle nonne

Brachini Anna Maria e Mori Mara per avermi permesso di conseguire la laurea grazie al

continuo supporto.

GRAZIE60

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BIBLIOGRAFIA

1) Alessandro Carriero; Stefano Colagrande; Maria Cova; Mario Ma scalchi; Valeria Panebianco; Gabriele Palonara; Tommaso Scarabino; Angelo Vanzulli

SYLLABUS RISONANZA MAGNETICA DI BASE (seconda edizione) (Poletto Editore)

2 ) A. Gregory Sorensen; Peter Reimer

IMMAGING DI PERFUSIONE CEREBRALE

(CIC edizioni internazionali – SCHERING)

3)Prof. Sergio Romano F.MAZZUCATO

ANATOMIA RADIOLOGICA TECNICA E METODOLOGIA PROPEDEUTICA ALLA DIAGNOSTICA MEDIANTE IMMAGINI2^ EDIZIONE

(Piccin Editore)

4) Dispense universitarie non coperte da diritti di autore

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