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- Pratica delle asana e del pranayama nell’armonizzazione dei cinque strati sottili dell’uomo - E’ sconsigliabile pertanto esperire nel pranayama con pratiche fai da tè, senza il supporto di un insegnante competente e senza un’adeguata preparazione nelle parti di Yama, Niyama e Asana. Premesso questo e ribadito il concetto che respiro e prana sono in rapporto tra loro ma sono diverse, è assolutamente utile che una persona interessata ad un miglioramento del suo stato di salute, intraprenda una via di conoscenza e di esperienza su come respirare correttamente. Questo vale sopratutto per le persone che subiscono quotidianamente le conseguenze dello stress, quando la consapevole osservazione di come si respira diviene importante per riprendere il controllo. Se respiriamo profondamente, armonizzando le inversioni tra inspiro ed espiro, non eseguiamo una tecnica di pranayama, ma di fatto immettiamo energia sottile nel nostro corpo. Questa operazione, estremamente benefica sempre, ma sopratutto sotto stress, non influisce sui flussi delle correnti praniche corporee e non ha controindicazioni. Anche la tecnica di respirazione a narici alterne è molto utilizzata per il suo effetto calmante e riequilibrante sul sistema nervoso e va eseguita con inspiri ed espiri regolari. Nello Yoga questa pratica è denominata nadi-shodhana ovvero nadi-shuddi (Figura 15 in questa pagina e figura 16 a pagina 55) e viene considerata una tecnica preliminare di riequilibrio e purificazione delle nadi che anticipa pratiche più evolute di pranayama e dharana (concentrazione). Figura 15 - Nadi-shodhana (primo inspiro eseguito sempre dalla narice sinistra)

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Page 1: Figura 15 Nadi-shodhana - INSEGNANTI YOGA Boni - Yoga e stress (1) .pdf · - Astrazione dei sensi ( Pratyhara ) e Yoga interno ( Samyama ) nell’apprendimento delle tecniche d’osservazione

- Pratica delle asana e del pranayama nell’armonizzazione dei cinque strati sottili dell’uomo -

E’ sconsigliabile pertanto esperire nel pranayama con pratiche fai da tè, senza il supporto di un insegnante competente e senza un’adeguata preparazione nelle parti di Yama, Niyama e Asana. Premesso questo e ribadito il concetto che respiro e prana sono in rapporto tra loro ma sono diverse, è assolutamente utile che una persona interessata ad un miglioramento del suo stato di salute, intraprenda una via di conoscenza e di esperienza su come respirare correttamente. Questo vale sopratutto per le persone che subiscono quotidianamente le conseguenze dello stress, quando la consapevole osservazione di come si respira diviene importante per riprendere il controllo. Se respiriamo profondamente, armonizzando le inversioni tra inspiro ed espiro, non eseguiamo una tecnica di pranayama, ma di fatto immettiamo energia sottile nel nostro corpo. Questa operazione, estremamente benefica sempre, ma sopratutto sotto stress, non influisce sui flussi delle correnti praniche corporee e non ha controindicazioni. Anche la tecnica di respirazione a narici alterne è molto utilizzata per il suo effetto calmante e riequilibrante sul sistema nervoso e va eseguita con inspiri ed espiri regolari. Nello Yoga questa pratica è denominata nadi-shodhana ovvero nadi-shuddi (Figura 15 in questa pagina e figura 16 a pagina 55) e viene considerata una tecnica preliminare di riequilibrio e purificazione delle nadi che anticipa pratiche più evolute di pranayama e dharana (concentrazione).

Figura 15 - Nadi-shodhana (primo inspiro eseguito sempre dalla narice sinistra)

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Figura 16 - Nadi-shodhana (secondo inspiro eseguito dalla narice destra)

La pratica concreta di pranayama inizia quando si introducono tecniche di ritenzione del respiro per tempi più o meno prolungati, tra inspiro ed espiro e viceversa. Pertanto, se ad esempio integriamo la tecnica di respirazione a narici alterne con intervalli progressivamente più lunghi di sospensione fra inspiro ed espiro, andiamo già ad influire in modo apprezzabile sui flussi delle correnti praniche del nostro corpo. Quindi, qualunque tecnica di ritenzione del respiro, durante una pratica di pranayama, assume nello Yoga, la denominazione di kumbhaka. Le tecniche relative a queste materia sono tanto affascinanti quanto ricche di definizioni. In merito a ciò i termini puraka e recaka indicano la inspirazione e l’espirazione, mentre una fase di kumbhaka accompagnata da puraka e recaka viene definita sahita kumbhaka. Invece, l’esecuzione del pranayama, così come scritto da Patanjali nel sutra II,49, va interpretata come kevala kumbhaka, che prevede l’utilizzo prolungato del kumbhaka, con l’eliminazione delle fasi di puraka e recaka. Questa tecnica molto delicata, che consente allo yogin il controllo del prana, diviene l’elemento essenziale del pranayama per accedere agli stati di coscienza superiori di dharana (concentrazione), dhyana (meditazione) e samadhi (supercoscienza). Nel pranayama, il kumbhaka racchiude però in sè stesso due aspetti estremamente importanti che è doveroso enfatizzare: non è soltanto l’elemento essenziale di manipolazione del prana, ma diviene la fonte stessa di rischio insita nel pranayama.

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- Pratica delle asana e del pranayama nell’armonizzazione dei cinque strati sottili dell’uomo -

Per questa ragione, prima di esperire in simili pratiche, si raccomanda di servirsi sempre del supporto di un Insegnante qualificato. Nello stesso modo si ritiene essenziale la padronanza e l’esperienza negli esercizi di asana . Patanjali scende ulteriormente nei dettagli delle tecniche pranayama nel sutra II,50, sottolineando che il respiro può essere trattenuto “all’esterno” dopo l’espirazione, “all’interno” dopo un inspiro, ovvero fermato in una “posizione” diversa. Questo determina ciò che viene sottinteso dall’autore come “i tre tipi di pranayama”. Un altro aspetto che viene considerato, è il luogo dove questa pratica viene eseguita, il quale sarà anche influenzato dalle condizioni climatiche. Il terzo fattore citato nel sutra è il tempo, che potrebbe non riguardare solo la durata delle tre fasi respiratorie, ma anche la stagione in cui la pratica viene eseguita, la quale influenzerà pure il regime alimentare. Il quarto fattore è in riferimento al numero di cicli di quel particolare tipo di pranayama in una seduta ed il numero di sedute praticate nel periodo considerato. Infine vengono sintetizzati col termine “prolungato e sottile” i risultati che occorre perseguire attraverso una lunga e disciplinata progressione della pratica: il kumbhaka dovrà diventare gradualmente prolungato e senza alcun sforzo, perchè possa trasformare un processo esterno di controllo del respiro, in una gestione consapevole del soffio vitale in pranamayakosha. Quello che invece viene definito come pranayama reale è contenuto nel sutra II,51. Esso viene qualificato come “quarta varietà” e trascende i movimenti ed i ritmi del respiro. Nel kevala kumbhaka lo yogin esperto utilizza le correnti praniche nelle nadi per dirigerle deliberatamente dove intende modificare gli stati di coscienza. Questa condizione potrebbe anche svilupparsi naturalmente durante il corso di una pratica di pranayama, che viene finalizzata da Patanjali come prerequisito all’Antaranga Yoga. Quest’ultima raggruppa gli Stadi superiori della Disciplina, prima fra tutti la dharana ovvero la concentrazione. I risultati della pratica di pranayama sono poi riassunti sinteticamente nei sutra II,52 e II,53. La padronanza delle tecniche di controllo del prana permette allo yogin di avvicinare il corpo fisico ai corpi più sottili, attivando i centri psichici, venendo a contatto quindi con la loro luminosità ( “...grazie a lui si dissolve lo schermo della luce” ). Questa capacità acquisita ci permette soprattutto di formare immagini vivide in uno spazio mentale chiamato Chidakasha, ne impedisce il loro offuscamento, permette una loro opportuna manipolazione e prepara la mente alle successive pratiche di dharana e dhyana ( “...e si ha la capacità della mente di concentrarsi” ).

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In conclusione, nelle pratiche in palestra, asana e pranayama, possono essere viste come discipline complementari ed essenziali per accedere agli stadi successivi nello Yoga Reale. Tuttavia, già da sole sono molto importanti per ritrovare l’armonia interiore fra “corpo e spirito” che disperdiamo in condizione di stress. La seduta di pranayama dovrà seguire una progressione armonica con caratteristiche e finalità generali tali da: - Introdurre tecniche che sblocchino le energie in modo che possano circolare - Eseguire tecniche che catturano ed accumulano energia - Eseguire tecniche che facilitano l’equilibrio delle energie e la loro distribuzione - Concludere con tecniche che finalizzino le energie catturate in sushumna, la nadi

pricipale Per crescere nello Yoga e scongiurare altri presupposti alla condizione stressogena, un buon allievo dovrà sempre integrare queste pratiche coi contenuti etici e morali di Yama e Nyama.

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- Astrazione dei sensi ( Pratyhara ) e Yoga interno ( Samyama ) nell’apprendimento delle tecniche d’osservazione e controllo dei flussi mentali -

ASTRAZIONE DEI SENSI (PRATYAHARA) E YOGA INTERNO (SAMYAMA) NELL’APPRENDIMENTO DELLE TECNICHE

D’OSSERVAZIONE E CONTROLLO DEI FLUSSI MENTALI

Nel capitolo dedicato alla NATURA DELLA MENTE E PERCORSO YOGA abbiamo affermato che la mente umana è all’origine di moltissimi problemi perchè per sua natura è la sede di un processo involontario di: impressioni in continuo mutamento che nascono tramite i nostri organi sensoriali e che ci arrivano dal mondo esterno; memorie del nostro vissuto che galleggiano nella mente; immagini mentali che la nostra immaginazione connette ad un possibile futuro. Le memorie o ricordi del nostro passato e le immagini intellettive che derivano dalle anticipazioni sul nostro futuro, sono aspetti mentali che non hanno una relazione diretta con la realtà che è intorno a noi; mentre le impressioni derivanti dal contatto diretto con la nostra realtà, attraverso i sensi, coinvolgono senz’altro quella che nella filosofia del Sankya e nella psicologia Yoga viene definita come manas, la mente ordinaria. Quando una persona è sotto stress, esiste un grande coinvolgimento della mente ordinaria perchè essa stessa è a contatto con gli elementi esterni che originano il problema. E’ interessante poter affermare che quando la mente vuole entrare in contatto col mondo esterno, possa mettere in moto i sensi per poi ritrarli a piacimento quando il manas decida di svolgere funzioni prettamente intellettuali, rivolgendosi alla mente superiore. Questa affermazione credo sia vera solo parzialmente, perchè se da un lato la mente ordinaria può servirsi della vista e restare incantata davanti ad un tramonto da sogno, diviene molto più problematico disconnettersi dal mondo esterno e mantenere focalizzato lo stesso tramonto in pieno traffico cittadino. Per avere accesso alle motivanti esperienze di dharana e dhyana nello Yoga superiore, questa rottura completa delle connessioni col mondo esterno è necessaria e praticabile con la tecnica di pratyahara. Il mondo esteriore e le influenze fisiche del nostro corpo, che percepiamo con gli organi di senso, vanno eliminate per concentrarsi unicamente nella propria mente. Nello Yoga, il pratyahara si colloca a metà fra le tecniche che lavorano sul piano fisico-energetico ed il piano mentale. Il termine indica distacco, isolamento dei sensi, astrazione, affrancamento dalle influenze esterne e il rendersi immuni da quelle interne. Una pratica efficace di pratyahara è Antar Mouna, che indica testualmente silenzio interiore. Questo è quanto proporrò come trattamento elettivo per le forme stressogene. Pratyahara essenzialmente è la capacità della mente di ritirarsi in se stessa, libera da ogni influenza esterna.

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Patanjali tratta il pratyahara nel Sadhana Pada degli Yogasutra: II, 54 – Sva-visayasamprayoge citta-svarupanukara ivendryanam pratyaharah

Il pratyahara o astrazione è, per così dire, l’imitazione della mente da parte dei sensi mediante il ritrarsi dai propri rispettivi oggetti.

II,55 – Tatah parama vasyatendriyanam Segue allora il dominio assoluto sui sensi. Il ritrarsi dai propri sensi, anche in condizioni di buona salute fisica, non è cosa comune agli uomini, ma diventa una pratica essenziale per gli allievi che mirano ad esperienze superiori. Ashtanga Yoga fornisce una tecnica progressiva che parte con l’allontanamento, tramite yama e nyama, delle turbe emotive dovute alle imperfezioni morali della propria natura; rimuove con gli asana le perturbazioni che nascono dal corpo fisico; armonizza il flusso del prana che circola nel corpo energetico col pranayama; allena lo yogin a rimuovere col pratyahara le fonti di disturbo mentale che emergono dagli organi sensoriali. Si è giunti così al compimento delle tappe esenziali del bahir-anga Yoga ovvero lo Yoga esterno. La pratica dello Yoga superiore o Samyama ed i benefici che da esso derivano, inizia con questi presupposti, anche se alcune esperienze dimostrano che vi sono persone già dotate di particolari predisposizioni che li esentano, almeno parzialmente, dal sottoporsi alla cinque discipline che abbiamo trattato sino ad ora. L’esperienza della dharana (concentrazione) comincia così, con la mente ritirata in se stessa senza interferenza alcuna nè dal corpo e nemmeno dall’esterno. L’esercizio efficace esige, secondo Patanjali, la padronanza delle pratiche che lo hanno preceduto. Chi avrà integrato questa preparazione potrà aspirare alle pratiche sottili più elevate. III, 1 – Desa-bandhas cittasya dharana

La concentrazione è il confinarsi della mente entro un’area mentale limitata (oggetto della concentrazione)

III, 2 – Tatra pratyayaikatanata dhyanam Il flusso ininterrotto (della mente) verso l’oggetto (scelto per la meditazione) è la contemplazione. III, 3 – Tad evarthamatra-nirbhasam svarupa-sunyam iva samadhih La medesima (contemplazione), quando vi è consapevolezza unicamente

dell’oggetto della meditazione e non di se stessa (della mente) è il samadhi III, 4 – Trayam ekatra samyamah I tre, presi insieme, costituiscono il samyama Ciò che distingue la dharana dal concetto di concentrazione semplice è che la prima esige uno sforzo consapevole per confinare la mente dentro all’area ristretta, dove esiste soltanto l’oggetto della concentrazione. La mente viene come accompagnata a restringere il suo perimetro, viene confinata in una “sfera limitata” che prende la forma dell’oggetto sul quale si concentra.

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- Astrazione dei sensi ( Pratyhara ) e Yoga interno ( Samyama ) nell’apprendimento delle tecniche d’osservazione e controllo dei flussi mentali -

Anche in questa condizione essa, che per sua natura si muove ma non può essere costretta ad arrestarsi su un oggetto qualsiasi per un tempo indefinito, agirà in un territorio di limitata libertà, deviando leggermente sui diversi aspetti dell’oggetto stesso. Sarà soltanto quando la mente verrà penetrata da un oggetto estraneo o privo di rilievo col primo, che potremo ritenere interrotta la dharana. Concentrarsi su di un oggetto non significa tuttavia conoscerne la sua natura essenziale. Questo aspetto viene rafforzato dal fatto che il nostro intelletto avrà una visione dell’oggetto offuscata dall’illusione del nostro pregiudizio su di esso. Dharana è un esercizio che porta la mente preparata in uno stato di estremo silenzio e lascia per lungo tempo una piacevole sensazione di calma interiore e di armonia. Il raggiungimento di tale stato in breve tempo potrebbe far credere di averne acquisita padronanza, in realtà sarà la costanza dei risultati e la sensazione di essere in grado di progredire ulteriormente, la conferma migliore. Gli ostacoli da affrontare per governare il processo della concentrazione sono principalmente di quattro tipologie e comprendono: - OSTACOLI FISICI ed ENERGETICI: sono le tensioni del corpo ovvero, i dolori che

distraggono la mente richiamando su di essi pensiero ed energia. - OSTACOLI EMOZIONALI: le perturbazioni come la rabbia, la paura, l’aggressività, la

gelosia. - OSTACOLI MENTALI: la velocità dei pensieri; l’assenza dei risultati; le distrazioni;

le preoccupazioni.

Prenderemo consapevolezza della vera natura della mente e ci renderemo conto che è come “un cavallo selvaggio mai domato”. Per questo impareremo all’occorrenza a ricorrere ai possibili rimedi con: PERSEVERANZA – Dovremo far tesoro dei nostri errori e perfezionare ulteriormente le

tecniche Yoga. PROGRESSIONE – Sceglieremo esercizi semplici e di breve durata per passare ai più

lunghi e complessi CONOSCENZA DELLA MENTE INCONSCIA – Le vie dove la nostra mente si dirige. SVADHYAYA – Lo studio delle scienze rivolte alla Liberazione; studio delle scritture e

recitazione dei mantra; autoanalisi della propria esistenza PRATYAHARA – La pratica dell’astrazione, ovvero del ritiro dei sensi dalle influenze esterne ed interne, attraverso la partica di antar mouna,

il silenzio interiore. AUTOCONVINZIONE – Useremo la ripetizione di formule positive e la fede, armandoci

del coraggio e della forza dello scalatore che aspira alla vetta perchè sà che esiste e che lui può raggiungere.

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“ La Sadhana implica il fatto che voi abbiate già considerato profondamente i misteri della vita e abbiate fissato un certo obiettivo. L’obiettivo deve essere molto chiaro. E’ molto meglio dire con chiarezza: “ Io voglio raggiungere la realizzazione di Dio”. E’ molto meglio se avete un obiettivo nella vita che sia la mente che l’intelletto possono afferrare e comprendere. Se c’è una tale chiarezza la mente si può fissare e focalizzare con grande definizione. Altrimenti la sadhana verrà fatta solo tiepidamente. A meno che non vi sia quella grande intensità di desiderio, quell’acuta brama nel cuore, allora non ci sarà entusiasmo e intensità nella sadhana. Quindi i santi continuamente enfatizzano su mumukshutva, ardente desiderio per la Liberazione. La vita è sostenuta dal cibo. Ma il desiderio per il cibo sorge solo se c’è fame. Se non c’è appetito, una persona si allontana dal cibo. Quando sente una gran fame, costei non ha pace finchè questa fame non è saziata. La ricerca scientifica è stimolata da questo tipo di fame. Gli scienziati possono essere nei loro laboratori giorno e notte cercando di raggiungere dei risultati. Essi hanno questa potente fame interiore per nuove conoscenze e scoperte. Nello stesso modo, nel mondo spirituale c’è questa grande fame, un grande desiderio interiore che è il fattore fondamentale per il Raggiungimento. Se questo c’è, tutte le altre cose verranno trattate in un modo o nell’altro e voi procederete in avanti e verso l’altro. Se non c’è, se è mancante o se non è della miglior qualità e intensità, non importa quanto yoga, pranayama, japa e studio delle scritture o ogni altra pratica spirituale possiate fare, il progresso sarà a piccoli passi. Gesù ha detto: ”Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia.” Considerate le parole fame e sete. Questo grande desiderio è il fattore fondamentale della ricerca. Se questo è assente, non importa quanto vi sforzate, cercate e ricercate, vi sembra di non arrivare da nessuna parte. Lo sforzo rimane improduttivo. Sri Ramakrishna usava andare di fronte all’altare della Madre Divina e dire: “ Madre, qui c’è la conoscenza, qui c’è l’ignoranza, offro ambedue ai tuoi Sacri Piedi, non voglio nessuno dei due. Dammi soltanto pura devozione ai Tuoi Sacri Piedi di loto. Oh Madre, porta via ogni cosa, io voglio solo quella pura devozione che desidera Te e Te soltanto.” Egli avrebbe offerto a Lei ogni cosa, dicendo che non desiderava nulla. Chiedeva soltanto una pura devozione per i Suoi Piedi di loto. Questo ci conduce ad una grande verità della vita spirituale. Quello che compiace di più l’Essere Supremo, quello che infallibilmente attira la grazia del Divino, è questa fame e sete del cuore umano, mumukshutva, quell’ardente desiderio del cuore umano per Dio e Dio soltanto ad esclusione di tutte le altre cose. Questo è il fattore essenziale nel sentiero e nella vita spirituale. Possiate voi avere fame e sete di giustizia! Possano la grazia e le benedizione della Madre Divina concedervi tutto quello che è essenziale per fare della vostra vita un successo completo! ( Mumukshutva di Sw Chidananda ) Virgilio scrisse: “ Possono, perchè sanno di poterlo fare!”

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- Astrazione dei sensi ( Pratyhara ) e Yoga interno ( Samyama ) nell’apprendimento delle tecniche d’osservazione e controllo dei flussi mentali -

La concentrazione ha diverse forme: può essere di tipo VISIVO, UDITIVO e TATTILE. I risultati ai quali conduce il praticante diligente sono tutti positivi ed interessano principalmente i sistemi organici del corpo, la forza fisica, il sistema immunitario, inoltre è in grado di ripristinare una gerarchia del funzionamento mentale (chitta shuddhi o purificazione mentale). La dharana è potenzialmente in grado di armonizzare i nostri sistemi organici con quelli psicologici e favorire lo sviluppo intuitivo. “ Le nostre facoltà mentali quasi sempre sono disperse, ma quando sono concentrate, e qui stà uno dei primi aspetti della concentrazione, possono incidere profondamente sui nostri programmi mentali, possono agire potentemente, possono bruciare le scorie che ci impediscono esperienze di coscienza più profonde” ( Yoga Mentale: tratto dalla lezione di Eros Selvanizza in data 8 aprile 2006 ) Quando lo yogin sarà in grado di padroneggiare una pratica di dharana, per passare al gradino successivo dovrebbe lavorare principalmente sull’eliminazione delle distrazioni. Queste portano dei pensieri intrusi nella sfera mentale che ospita l’oggetto della meditazione. Ciò significa potersi concentrare sull’oggetto senza alcuna interruzione, per tutta la durata della pratica. E’ dunque l’apparire occasionale delle distrazioni (pensieri intrusi) all’interno di una pratica di meditazione, a costituire la differenza fra la dharana ed il dhyana o contemplazione. In quest’ultimo stato, la coscienza verrà in contatto col contenuto della mente che equivale all’oggetto della contemplazione per un periodo prolungato. Nello Yoga questo contenuto assume il nome di pratyaya, la quale identifica più in generale il contenuto totale della mente in un dato momento. In conclusione, in un esercizio meditativo, la contemplazione diventa tale in presenza di una condizione di continuità del pratyaya, ovvero con la mente circoscritta sul solo oggetto della dharana, senza presenza di alcuna distrazione o pensiero intruso. Poichè l’aspetto fondamentale nel processo meditativo è il raggiungimento di un perfetto silenzio mentale con tecniche che si avvalgono inizialmente dei corpi fisici ed energetici, viene da sè che non può esistere una mente immobile in un corpo in movimento. Questo significa che l’assoluta immobilità corporea è il prerequisito necessario al raggiungimento del fine. La pratica costante degli asana, anche se posizionati soltanto al terzo gradino dell’ashatnga Yoga, sarà la migliore garanzia per preparare il corpo a pratiche di immobilità molto prolungate.

II, 46 – stira-sukham asanam La positura (dovrebbe essere) stabile e comoda.

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Anche l’assunzione dei cibi e delle bevande di chi aspira alla realizzazione del processo meditativo, sarà un punto importante da trattare. Mangiare correttamente è fondamentale per il corpo: per questo è raccomandata sempre la moderazione nell’assunzione del cibo e di tutte le sostanze che, come l’alcool e gli stupefacenti, portano ad alterare gli stati di coscienza. Il processo meditativo che porta al dhyana è il fine ultimo che spalanca le porte al mistero del Samadhi, della Supercoscienza, dell’incontro col proprio Sè e con la Conoscenza Universale. Questa esperienza trascende la conoscenza dell’uomo perchè si colloca in un piano esistenziale fuori dalla realtà. Il samyama è dunque quella parte dello Yoga superiore che include una progressione di ritiro mentale, sempre più sottile e statico, che comprende gli stadi di dharana, dhyana e samadhi, realizzati in un processo meditativo eseguito in piena immobilità posturale. III, 5 – Taj-jayat prajnalokah Se lo si padroneggia (il samyama), (si ha) la luce della coscienza superiore ( Vibbuti Pada - Yogasutra di Patanjali ) Cartesio diceva: “ Penso, quindi sono “. Patanjali ha scritto: “ Non penso, quindi sono “ “ L’arte di essere riguarda sopratutto il mondo interno. Quando siamo con noi stessi, ci accorgiamo di essere in uno stato meditativo quando la parola diviene un sacrificio, quando si ritiene il parlare superfluo. Riconosciamo la bontà dello stato meditativo quando non abbiamo bisogno di nulla, quando non c’è davanti a noi passato o futuro, quando non ci sono barriere di spazio, quando non ci sentiamo separati da qualcuno, quando è sufficiente allargare la nostra coscienza e percepire che tutti gli esseri sono presenti. “ ( Eros Selvanizza - Lezione di yoga mentale - Aprile 2007 )

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- Il mantra OM -

IL MANTRA OM Nella tradizione dello Yoga il mantra OM è il più sacro e rappresentativo dei suoni recitati. E’ considerato dalle antiche scritture e dai Maestri di meditazione il suono primo che ha dato origine alla creazione. Una vibrazione primordiale indifferenziata che conduce al Brahman, a Dio, all’origine di ogni cosa esistita, presente e futura.

Deriva dall’originale mantra induista AUM, dove la “A” rappresenta lo stato della coscienza di veglia, la “U” lo stato della coscienza di sogno, la “M” lo stato della coscienza del sonno. La parola OM è il quarto stato, quello della coscienza suprema. Esso proietta nella dimensione del silenzio, dell’ascolto, della ritrovata armonia. Il Mandukya Upanishad (400 – 200 a.C.) è il testo delle antiche scritture sanscrite che parla della AUM in 12 versetti, esponendo con ricchezza di dettaglio, quanto il suo stato latente racchiuda in sè tutte le potenzialità.

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“ OM. Questo mondo eterno è tutto: ciò che era, ciò che è e ciò che sarà, e ciò che è al di là nell'eternità. Tutto è OM. Il Brahman è tutto e l'Atman è Brahman. L'Atman, il Sé, ha quattro stati o condizioni. Il primo è la vita nello stato di veglia della coscienza che si muove verso l'esterno, che gode dei sette elementi grossolani esteriori. Il secondo è la vita nello stato di sogno della coscienza che si muove all'interno, godendo dei sette elementi sottili interiori nella sua stessa luce e solitudine. Il terzo è la vita nello stato di sonno della coscienza silenziosa dove la persona non ha desideri né sogni. Questa condizione di sonno profondo è quella di unità, un ammasso di coscienza silenziosa fatta di pace e che gode della pace. Questa coscienza silenziosa è onnipotente, onnisciente, il sovrano interiore, la sorgente di tutto, l'inizio e la fine di tutti gli esseri. Il quarto stato è quello dell'Atman nel suo stato più puro: la vita risvegliata della coscienza suprema. Non è né coscienza esteriore né coscienza interiore, né semi-coscienza, né coscienza di sonno, né coscienza e neppure incoscienza. E' l'Atman, lo stesso Spirito, che non può esser visto o toccato, che è al di sopra di ogni distinzione, al di là del pensiero e ineffabile. L'unione con lui è la prova suprema della sua realtà. E' la fine dell'evoluzione e della non-dualità. E' pace e amore. Questo Atman è la Parola eterna OM. E' composto da tre suoni: A, U, e M, che sono i primi tre stati di coscienza, e questi tre stati sono i tre suoni. Il primo suono, A, è il primo stato, della coscienza di veglia, comune a tutti gli uomini. Lo si trova nelle parole Apti, 'conseguire', e Adimatvam, 'esser primo'. Colui che conosce questo ottiene in verità la realizzazione di tutti i suoi desideri, e primeggia in tutte le cose. Il secondo suono, U, è il secondo stato, della coscienza del sogno. Lo si ritrova nelle parole Utkarsha, 'che si eleva', e Ubhayatvam, 'entrambi'. Colui che conosce questo accresce la tradizione della conoscenza e ottiene equilibrio. Nella sua famiglia non nascerà mai qualcuno che non conosca il Brahman. Il terzo suono, M, è il terzo stato, della coscienza del sonno. Lo si ritrova nelle parole Miti, 'misura', e nella radice Mi, 'finire', che dà luogo ad Apiti, 'il fine ultimo'. Colui che conosce questo misura tutto con la mente e ottiene il Fine ultimo. La parola OM come suono unico è il quarto stato della coscienza suprema. E' al di là dei sensi ed è la fine dell'evoluzione. E' non dualità e amore. Va con il suo sé verso il supremo Sé colui che conosce questo. “ ( Mandukya Upanishad; 700 – 300 a.C.)

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- Il mantra OM -

Quella che segue è ancora un’altra importante interpretazione della preziosità del mantra OM e della missione contemporanea dello yogi nel mondo:

“E’ necessario che ci siano a Gantotri degli Yogi che raccolgono l’OM che sorge dal Gange e dalla montagna.

Per mormorare l’OM, per meditare l’OM, per scomparire fin dal più profondo di sè nell’OM. Ed è necessario che ci siano degli yogi e dei monaci profondamente umani nelle città e nelle campagne in cui vivono gli uomini; per raccogliere l’OM che fanno i motori e i veicoli, e la folla degli uomini che corrono ai loro piaceri e ai loro affari. Per raccoglierlo, purificarlo e compierlo nel silenzio della loro anima. Poichè il compito dello yogi è quello di condurre ogni cosa dal tempo all’eternità, dal divenire all’Essere, dall’esterno all’Interno. Come il grande sacerdote della solitudine, il grande sacerdote della folla, che libera questa folla dalla solitudine che essa porta nel suo seno. Lo yogi che è presente a tutto, libero da tutto.

Il Gange passa e non si arresta mai. Come lo yogi, come il samnyasin dell’India che non si deve fermare in nessun posto. Per avanzare il fiume si appoggia sulla roccia ma non vi si attacca.

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Così passa lo yogi nel mondo in mezzo agli uomini, senza mai essere trattenuto da nessuno. Nessuna bellezza lo trattiene perchè il bello verso cui si dirige è al di là di ogni bellezza. E nessuna gioia mai lo trattiene perchè vi è una gioia al di là di ogni cosa, che ogni gioia cerca di rivelare, ma che mai esprimerà. Così passa lo yogi attraverso tutti i pensieri che sorgono nel suo cuore, perchè il mistero che lo sospinge è al di là di ogni pensiero, ed egli si affretta senza mai riposare per raggiungere questo mistero. Ma lo Yogi è anche il letto immobile del Gange, lo strato di roccia su cui scivola il fiume. Egli è fermo per sempre, acala. Lo yogi è radicato al fondo del suo essere, al centro dell’Essere. Oltre il pensiero. Alla sorgente stessa del pensiero, dov’è Brahman.

OM. “

( Henri Le Saux – Una messa alle sorgenti del Gange )

Il bija mantra OM recitato ad alta voce (vacika japa) coinvolge l’atto respiratorio ed è in grado di modulare un certo tipo di “fisiologia della respirazione”.

La sua vibrazione vocale produce zone di risonanza nella gabbia toracica e nel cranio, interessando i livelli emozionali ed intuitivi della personalità. La recita mentale (manasika japa) diviene anche strumento di interiorizzazione e di purificazione. OM armonizza il corpo con l’inconscio ristrutturando una personalità frammentata.

La OM è la migliore espressione per inviare e ricevere un saluto.

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- Il lavoro sulle tre cupole -

IL LAVORO SULLE TRE CUPOLE

Nel processo di perfezionamento delle tecniche che conducono ad orientare la coscienza da livelli grossolani a stati trascendenti, dobbiamo anche considerare e riorganizzare la coesistenza armonica di tre aspetti generali che ci caratterizzano nelle sfere istintive, emozionali ed intuitive. Prima di intraprendere quindi le tecniche che dalla consapevolezza dell’io ci portano all’incontro col Sè, dovremo coordinare questi tre caratteri della nostra personalità creando una condizione di equilibrio. In zone diverse del corpo umano, trovano forma tre cupole che sono anatomicamente rappresentate dal diaframma, dagli apici polmonari e dalla volta cranica. Lo Yoga della tradizione identifica questi tre livelli come luoghi particolari dove guidare una tecnica specifica chiamata appunto lavoro sulle tre cupole. La prima cupola è la sede dell’hara, la vita istintuale. Essa rappresenta la componente tamasica del nostro corpo, il nostro aspetto inerziale che coinvolge i centri energetici più vicini al radicamento a terra, i nostri istinti di sopravvivenza e di riproduzione. Eseguendo su di essa un esercizio meditativo, con il supporto iniziale di un insegnante, saremo in grado di integrare, in noi, tutti gli aspetti di base dei quali noi siamo costituiti, come ad esempio i livelli del regno minerale, vegetale e animale. Il recupero completo della consapevolezza sull’organicità del nostro corpo sarà fondamentale, soprattutto nell’esecuzione delle pratiche samyama nei piani mentali, in quanto ogni meditazione dovrà essere sempre radicata nella realtà del nostro corpo. L’hara risiede nel ventre, qualche centimetro al di sotto ed all’interno dell’ombelico. Costituisce il centro del corpo umano, il luogo dove siamo stati alimentati prima di venire al mondo. Con la nascita noi abbiamo interrotto questo legame fisico con la nostra madre naturale, ma un legame sottile ci lega per sempre, secondo la filosofia induista, con la Madre Universale: la Shakti, la cui immagine è simbolicamente rappresentata dalla figura seguente:

Essa esprime l’energia vitale: la potenza che scaturisce dalla divinità Siva che trasforma l’energia potenziale in un atto creativo, attraverso il corpo sottile di pranamayakosha. La pratica di interiorizzazione nell’addome salderà un equilibrato collegamento con Lei.

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L’esercizio consiste nel portare i ritmi corporei del nostro respiro e del battito cardiaco nell’addome, nell’Hara, dove si uniscono il nostro baricentro fisico ed i punti di forza del diaframma in appiattimento respiratorio, armonizzando ogni impulso del cuore con la recita mentale del mantra OM. Questa interiorizzazione determinerà la coincidenza in un unico punto, di diversi elementi: - Il baricentro del corpo. - Il centro respiratorio dinamico. - Il ritmo del respiro. - Il ritmo del cuore. - La OM mentale. L’effetto sinergico risultante ci condurrà all’Unione coi ritmi cosmici, con la Madre Cosmica e l’energia che Lei rappresenta. La pratica di questo esercizio permetterà di smorzare l’eccesso di ragione, entrando dunque in Unità coi ritmi fisiologici e con la forza primordiale (kundalini) che trae origine nella parte viscerale dell’uomo. La seconda cupola è la sede della sfera emozionale, collocata nell’area toracica al centro del petto. Essa è il luogo che conosce il cuore come ricettacolo dei turbamenti e “risuonatore emozionale” verso ogni cellula del nostro corpo, attraverso le sue qualità elettriche. Questo centro di comunicazione generale verso ogni parte del corpo, é utilizzato in questa pratica di concentrazione per comunicare ad ogni organo un profondo messaggio di forza, di pace e di luce, orientando l’armonizzazione delle singole parti. Poichè la sfera emozionale delle persone occupa il corpo mentale inferiore (manomayakosha) ed il corpo mentale superiore (vijnanamayakosha), l’esercizio sarà in grado di agire su due strati sottili del corpo e condurre ad una profonda senzazione di pace. “ La particolarità dello Yoga è che, mentre normalmente il cuore riceve

e subisce le emozioni che vengono suscitate in noi, nelle pratiche yogiche noi possiamo suscitare delle emozioni e, attraverso la proprietà elettrica del cuore, trasmetterla a tutte le cellule. “ ( Eros Selvanizza – Yoga Mentale - dicembre 2005 )

Lo Yoga attribuisce infatti ad ogni piccola parte del corpo una propria coscienza cellulare. Riconosce ad ogni organo e ad ogni sistema organico una coscienza organica e sistemica. E così, come viene riconosciuta al nostro sistema cardiocircolatorio ed al cuore una propria coscienza ed un suo corpo emozionale, si giunge alla coscienza dell’io dove tutti i precedenti livelli sono armonicamente integrati fra loro. Diversamente dalla psicologia occidentale, nella filosofica dello Yoga la coscienza dell’uomo non è che una piccola componente della grandiosa coscienza universale di cui facciamo parte.

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- Il lavoro sulle tre cupole -

All’interno di quest’infinito universo pensante, ognuno ha un proprio ruolo, un proprio compito ed un’inconsapevole ma divina destinazione. “ Se potete immaginare l’intera luce degli infiniti universi, consideratela una piccola scintilla nell’intera luce di Brahma. Colui che vive nella

suprema coscienza non vive nella coscienza cosmica, perchè la coscienza cosmica è una limitazione della suprema coscienza. Il cosmo è rappresentato da questi innumerevoli miliardi di universi che non possono essere contati dalla mente individuale, ma solo dalla mente divina. Le onde dell’oceano non possono essere contate da noi che stiamo sulla spiaggia, ma solo dall’oceano della coscienza. In una singola goccia di questo oceano sono racchiusi gli innumerevoli miliardi di universi e tutta la loro luce. La coscienza cosmica è la coscienza di questa goccia, che è il samprajnata-samadhi, il samadhi inferiore. “

( Swami Veda Bharati – Il messaggio degli Yogi dell’Himalaya )

Nella pratica meditativa sulla seconda cupola è necessario stabilire una corretta comunicazione emozionale ad ogni cellula del nostro corpo. Per realizzare questo ci serviremo del cuore e del suo ritmo, armonizzandolo col ritmo del respiro. La tecnica utilizza immagini mentali che creano le sensazioni da integrare: - Un’emozione di pace e di serenità, evocata dall’immagine di un lago di montagna

al tramonto. Un’evocazione di silenzio e di calma che è radicata in noi, che ci arriva dai nostri padri e dalle generazioni che ci hanno preceduti. Quella pace e quella serenità che proviamo quando, immersi nella natura, assistiamo al magico momento del tramonto, quando ogni essere vivente si tacita preparandosi al riposo.

- Una sensazione di forza, richiamata dall’immagine di una grande quercia, che sfida il tempo e la spinta del vento, con la maestosità del suo grande tronco. Essa vince la forza di gravità coi lunghi rami della sua imponente chioma verde. Avvertire la forza dentro è sempre importante nelle difficoltà della vita. La grande quercia suscita istintivamente questa rassicurante sensazione di calma e di forza.

- Una percezione di gioia, visualizzando il sole che riappare splendente dopo una tempesta e rinfrange i suoi raggi nel cielo sopra noi, regalandoci lo stupefacente spettacolo di un arcobaleno a tutto campo.

Per ognuna di queste visualizzazioni, lasceremo crescere la corrispondente emozione. La affideremo allo spazio che circonda il nostro cuore, affinchè questo possa propagarle verso ogni parte più piccola del corpo, nella coscienza delle nostre cellule, diffondendole attraverso i ritmi: il battito del cuore ed il ciclo del respiro.

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La pratica della seconda cupola utilizza dunque: - Immagini che evocano sentimenti positivi di calma, di forza e di gioia. - La migrazione mentale delle immagini dallo spazio chidakasha (dietro la fronte)

all’area al centro del petto. - L’utilizzo del cuore, con tutte le proprietà che la tradizione gli riconosce, per

diffondere questi sentimenti positivi al nostro corpo. - L’impiego del ritmo cardiaco e del ritmo respiratorio come mezzo trasmissivo della

sensazione evocata. La pratica della seconda cupola, anche in virtù di quanto esposto nel capitolo a pagina 11, è una “grande magia” per le persone stressate, perchè agisce con grande efficacia sul riequilibrio della sfera emozionale, che è sicuramente fra quelle più coinvolte in tali circostanze. Questa tecnica di interiorizzazione e di rotazione delle emozioni, partendo da una visualizzazione iniziale, nasce dalla conoscenza antica trasmessa dai grandi Maestri di Yoga. Attualmente è impiegata in occidente, in diversi trattamenti di guarigione, con risultati importanti e statisticamente dimostrabili. La terza cupola è la sede della sfera intuitiva, identificata fisicamente con la volta cranica. In modo rappresentativo è il cielo fisico del nostro cervello e della nostra mente. E’ il luogo dove in occidente si suole affermare abbia sede la coscienza umana quale evoluzione e prodotto del nostro cervello fisico.

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- Il lavoro sulle tre cupole -

Nella concezione orientale la coscienza ci è data invece dal nostro legame con l’Universo. Essa si serve delle complicatissime funzioni del nostro cervello per potersi manifestare. E’ questo legame che ci unisce all’Infinito; e tanto più siamo in grado di percepirlo, tanto più ci identificheremo come una particella cosciente, all’interno di un immenso universo pensante, dove il Dio della nostra tradizione ne è il grande regista. Questo integra così il concetto di coscienza individuale e coscienza universale, espresso nel capitolo precedente. Nel lavoro sulla terza cupola si procede attraverso una pratica di interiorizzazione della nostra massa cerebrale ed una sua attivazione fisica. Si possono utilizzare per il secondo scopo due tecniche di pranayama chiamate kapalabhati e bastrika, che sono in grado di alternare in modo superiore alla norma il volume dell’irrorazione cerebrale. Il passo successivo è la rievocazione di immagini tranquillizzanti per raggiungere una fase di rilassamento. Possiamo servirci ad esempio dell’immagine di un gatto che dorme, completamente abbandonato nella sua cuccetta, ed osservare il nostro respiro. Prenderemo poi coscienza del battito cardiaco all’interno del nostro encefalo: dall’esterno verso l’interno, concentreremo il ritmo cardiaco nell’area I indicata dalla Figura 17. Qui sincronizzeremo il mantra OM col ritmo del cuore ed espanderemo questo impulso all’area cerebrale II, analogamente alle onde concentriche che si propagano nell’acqua. Utilizzando la stessa tecnica di concentrazione del ritmo cardiaco e del mantra OM, progrediremo nelle attivazioni dell’area III (la corteccia cerebrale), dell’area IV (la zona del bulbo) e dell’area V (ajna chakra – il terzo occhio, al quale vengono attribuite le sottili qualità intuitive dell’uomo). Area III Area V Area II Area I Area IV

( Figura 17 )

Nella terza cupola si attuano dunque quelle pratiche tendenti al rilassamento del cervello fisico affinchè, attraverso la sua migliorata funzione, la Coscienza possa esprimersi nella sua massima manifestazione. La tecnica è un utilizzo raffinato della visualizzazione, dei ritmi e del mantra OM mentale. Essa ci libera dagli stati di tensione cerebrale, conseguenti allo stress ed alla stanchezza fisica, che limitano la distribuzione del sangue (e dell’ossigeno) nella zona più nobile del corpo. La pratica prevede l’attivazione di ogni area per due minuti circa.

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I RIMEDI CONTRO LO STRESS

Nei capitoli precedenti abbiamo analizzato l’effetto dello stress sull’uomo, con una disamina dettagliata delle possibili conseguenze sulla salute. Abbiamo inoltre affermato che l’interpretazione soggettiva dello stimolo indotto dall’evento stressogeno, determina la caratteristica, l’intensità e la durata della cascata neuro-endocrina prodotta per far fronte all’evento. Sono state mostrate tavole che dimostrano gli insulti che lo stress può produrre; esso si manifesta sotto forma di tensioni sul piano fisico, energetico, emozionale e psichico. Abbiamo anche trattato sinteticamente alcuni aspetti della disciplina Yoga, trovando le conferme che, questa scienza della tradizione, interagisce con diversi aspetti sottili dell’uomo. Una seduta di Yoga può lavorare su più piani e può assumere una valenza psico-somatica ovvero somato-psichica. E ancora in merito allo stress, se il nostro corpo potesse esprimersi verbalmente a fronte di un’offerta di cortisolo, risponderebbe sicuramente: “ Cortisolo? Si grazie, ma solo all’occorrenza!”. Chi pratica con competenza la Yoga, può affrontare lo stress con un approccio assolutamente strutturato, perchè possiede importanti strumenti di controllo sul corpo fisico-energetico, sul piano emozionale e sul piano psichico. Iniziamo dai presupposti di carattere generale, necessari al mantenimento dello stato di benessere che assicuri una buona aspettativa di vita: ATTIVITA’ FISICA EQUILIBRATA – Il nostro corpo adulto è progettato per muoversi durante il giorno e rigenerarsi nel sonno per circa 6 - 7 ore: la fase depurativa inizia nel riposo, dalle prime ore della notte e termina al mattino. L’attività fisica dovrebbe essere continuativa ma non faticosa, ovvero “aerobica”. E’ bene camminare almeno mezz’ora al mattino e mezz’ora alla sera a passo veloce. Nelle passeggiate osservare il respiro spontaneo, l’aria fresca che entra e che esce dalle nostre narici, i diversi profumi. Ricerchiamo il tapas nella nostra camminata. Contiamo i nostri passi, con un’andatura simmetrica, il collo rilassato, lo sguardo orizzontale rivolto in avanti. Possiamo ricercare un luogo molto ampio, senza ostacoli, sperimentando la straordinaria senzazione del cammino senza l’utilizzo visivo. Ringraziamo il nostro Dio alla fine di ogni camminata, perchè ci ha concesso l’uso delle nostre gambe ed il meraviglioso mondo delle immagini: alcune persone, meno fortunate di noi, vivono private di questi doni e sanno condurre tuttavia una vita dignitosa e di grande esempio. E’ utile riabituarsi a fare le scale, usare auto e moto solo in caso di necessità; rispettare i ritmi biologici veglia–sonno; utilizzare il nostro tempo libero per attività dinamiche. Una sequenza particolarmente efficace, che è approvata da tutte le scuole di Yoga, è suryanamaskar (il saluto al sole: sequenze da 1 a 12 nelle pagine 74-78). Strutturato in una concatenazione di dodici positure, coordinate da profonde respirazioni e ritezioni, è considerato il più completo degli esercizi di scioglimento. Esso risveglia il tono nel corpo fisico ed il prana nel corpo energetico.

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- I rimedi contro lo stress -

SEQUENZA DI SURYANAMASKAR – IL SALUTO AL SOLE

1 – Pranamana / Rechaka ( Espiro )

2 – Hasta-uttana / Puraka (Inspiro) 3 – Padahasta / Rechaka (Espiro)

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4 – Ashvasanchalana / Puraka (Inspiro)

5 - Adho Mukha Svanasana / Kumbhaka (Ritenzione)

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- I rimedi contro lo stress -

6 – Ashtanga Namaskar / Rechaka (Espiro)

7 – Bhujanga-asana / Puraka (Inspiro)

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8 - Adho Mukha Svanasana / Kumbhaka (Ritenzione)

9 – Ashvasanchalana / Kumbhaka (Ritenzione)

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- I rimedi contro lo stress -

10 – Padahasta/Rechaka (Espiro) 11 – Hasta-uttana/Puraka (inspiro)

12 – Pranamana / Rechaka (Espiro)

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CORRETTA ALIMENTAZIONE – Và organizzata in tre pasti principali giornalieri e due integrativi, con un intervallo minimo di tre ore per la digestione. Se non vi sono allergie, è necessario adottare una grande varietà di alimenti e consumare molte verdure, di almeno quattro colori diversi, prima o durante l’assunzione del cibo nei pasti principali. L’apporto calorico dipende da molti fattori: oltre alle vitamine ed ai minerali, dobbiamo rispettare le linee guida delle Kcalorie che indica il 15% di proteine da diverse fonti; 25% di lipidi; 60% di carboidrati complessi, semplici ed integrali. E’ necessaria una masticazione accurata per una corretta pre-digestione dei carboidrati e per la frantumazione del cibo. Teniamo inoltre conto del fatto che 1gr.di proteine vale 4,1 kcal; 1 gr. di lipidi equivale a 9 kcal; 1 gr. di carboidrati corrisponde a 4 kcal. Un esempio di piatto sano della nostra tradizione, è senz’altro “ pasta e fagioli “. Per chi è di media corporatura, l’alcool assunto non deve superare i quaranta grammi in un giorno, distribuendolo nei pasti pricipali. L’idratazione è importantissima per tutto il metabolismo e lo smaltimento delle tossine. Si può valutare la propria alimentazione osservando la qualità della digestione e della funzione intestinale; la qualità/quantità dell’evacuazione e della diuresi: quest’ultima deve mantenersi fra 1,5 – 2 litri nelle 24 ore. Infine, occorre rendersi responsabili di raggiungere e mantenere il proprio peso forma. Alle donne, la natura concede una maggiore massa grassa rispetto ai maschi, questo è in controtendenza rispetto alle mode occidentali degli ultimi decenni. Il peso è strettamente legato alla morfologia individuale che distingue tre pricipali caratteristiche corporee: i longilinei, i normolinei ed i brevilinei

Entriamo ora in modo più specifico nel nostro argomento. Gli allievi che intraprendono l’esperienza dello Yoga per arginare i problemi dovuti allo stress, devono abituarsi gradualmente all’atteggiamento di osservazione, essere cioè “testimoni di se stessi”, perchè ciò produrrà grandi frutti. Questo atteggiamento è tapas (austerità): controllo della postura, controllo del respiro, controllo dello stato mentale, controllo del comportamento. Col tempo il subconscio integrerà tale atteggiamento, trasformandolo in semplice automatismo. E’ necessario credere fermamente che occorre un’opera paziente di ristrutturazione della propria personalità e delle proprie abitudini per minimizzare gli stimoli dello stress. Coloro che approcciano lo Yoga è consigliabile acquisiscano alcune conoscenze che servono da premessa a tutte le pratiche:

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- I rimedi contro lo stress -

- Evitare il “fai da tè” finchè non ci sarà esperienza adeguata. - Usare particolare cautela nelle pratiche intense di pranayama, dove si eseguono

tecniche di kumbaka, cioè di ritenzione del respiro. - Nelle pratiche si respira normalmente con le narici, che devono essere libere. - Lo Yoga non è competitivo: è controproducente forzare gli asana nelle pratiche. - Prestare attenzione ai messaggi del corpo negli esercizi di piegamento, estensione e

torsione del rachide nei punti chiave, come il lombo-sacrale ed il cervicale. - I legamenti ed i menischi delle ginocchia sono sensibili alle torsioni. - Negli asana si applica la regola delle tre A: Adapt – Accomodate – Adjust. - Anche la nostra mente ha le sue posture. - Una respirazione armonica, lenta, con la durata dell’espiro lunga almeno quanto un

inspiro, ha la proprietà di quietare l’agitazione mentale. - Un muscolo contratto non dev’essere allungato perchè subirebbe uno stiramento. - E’ sconsigliato mangiare prima di una pratica. - Lo Yoga è silenzio: un allievo diligente predilige l’ascolto dell’Insegnante. - L’abbigliamento dev’essere comodo e consono ad un ambiente condiviso con altri. Le persone stressate hanno più di altre l’esigenza di semplificare la propria vita e trovare un equilibrio fra la staticità e l’iperattività; dovrebbero vivere cioè le proprie giornate in una condizione di “sattvicità” e di pienezza, dove tuttavia il superfluo è stato tolto in tutti gli aspetti quotidiani. Il diagramma che segue mostra infatti quanto sia importante essere focalizzati sui propri compiti, dopo aver fissato gli obiettivi della vita, per giungere ad uno stato di equilibrio.

11

Pressure, performance and stress

Melhuish 1978

FrustrazioneRabbiaStress internoBassa autostimaNoiaApatiaLetargia

Hypo-stress

FlowStimolazioneSfidaEnergiaFocalizzazione

Eu-stress

SfinimentoDisorientamentoParalisiCinismoMalessere e malattia

Hyper-stress

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E’ consigliabile scrivere una Dichiarazione di Intenti, dove si esprimono con sincerità le aspirazioni e gli impegni che si intendono assumere verso se stessi e verso gli altri, in coerenza con Yama e Nyama. Per realizzare questo ribadisco l’utilità delle forme di focalizzazione come il sankalpa, (proponimento), che è un coerente impegno con se stessi, utilizzato nelle sequenze di rilassamento profondo in shavasana (positura del cadavere – Figura 10 di pagina 48) come lo Yoga Nidra e Shavayatra (viaggio attraverso il corpo): esso ha una grande potenza perchè è un pensiero che tende a diventare forza operativa e ci concentra sulle mete personali.

“ Chi conosce la propria meta può decidere. Chi decide trova serenità. Chi trova serenità si sente sicuro. Chi è sicuro può riflettere. Chi riflette può migliorare.”

( Confucio )

Questo atteggiamento mentale crea i presupposti alla rimozione dei “Nove ostacoli che determinano la distrazione secondo Patanjali”, come scritto nel Samadhi Pada sessione I I, 32 – Tat-pratisedhartham eka-tattvabhyasah

Per rimuovere tali ostacoli (occorre) applicarsi intensamente su un’unica verità o Principio

Chi è stressato, inoltre, tende a subire passivamente un chiacchierio mentale (citta-vrtti) molto vivace e affollato di pensieri disfunzionali che conducono a cattive abitudini. Per questo sarebbe necessario sviluppare, da subito, l’osservazione interiore per dominare su essi, applicando un insegnamento del Sadhana Pada: II, 33 – Vitarka-badhane-pratipaksa-bhavanam

Quando la mente è turbata da pensieri scorretti, la ponderazione costante sugli opposti (costituisce il rimedio).

Abbiamo detto inoltre che lo stress si manifesta sotto forma di tensioni sul piano fisico, energetico, emozionale e psichico. Queste tensioni sono spesso inconscie e quelle più profonde sono potenzialmente in grado di condurre alle specifiche patologie. - Nello Yoga le tensioni sul piano fisico si sciolgono con la pratica degli asana - Le tensioni sul piano energetico, (che resta la connessione fra il corpo fisico e quello mentale), vengono allentate col pranayama.

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- I rimedi contro lo stress -

- Per la guarigione del piano emozionale, occorre fondersi in armonia con le astensioni e le osservanze di yama e niyama e con le pratiche delle tre cupole, privilegiando la seconda. - La conoscenza acquisita nelle esperienze sui primi tre corpi sottili o kosha, permetterà di svolgere il nostro lavoro per allentare successivamente le tensioni sul piano psichico, attraverso le pratiche di concentrazione o dharana che necessitano l’acquisizione preliminare del pratyahara, l’astrazione dei sensi. L’esperienza suggerisce dunque di lavorare sempre prima sul piano fisico generale, per allentare le tensioni localizzate in varie parti del corpo. Possiamo iniziare con positure semplici ma efficaci, che prevedano prima lo scioglimento e l’allungamento del rachide, e successivamente l’esecuzione di ardha-matsyendrasana (posizione del Maestro Matsyendra-Figura 8 a pagina 47) e pascimottanasana (positura della pinza-Figura 4 a pagina 45) con un’accurata osservazione del respiro. Una sequenza particolarmente strutturata è il lavoro fatto sui tre plessi (quello della gola, del plesso solare ed il plesso sacrale), attraverso una precisa sequenza che includa dei relax intermedi con la respirazione diaframmatica in vajrasana (posizione seduta sui polpacci - Figura 11 a pagina 49). Tuttavia la sequenza che ha condotto ai risultati migliori è la serie Rishikesh, citata a pagina 43, che dura circa trenta minuti. Questa sequenza, insegnata nell’ashram del Maestro Swami Shivananda a Rishikes, è particolarmente consona alle esigenze dei praticanti occidentali, perchè di durata modesta e meno impegnativa sul piano fisico. In queste sequenze, chi è in accumulo di stress, deve mantenere la consapevolezza sugli asana, che devono essere vissuti in uno stato di stabilità e di comodità (stira-sukham). E’ molto importante terminare ogni seduta con pratiche di rilassamento in shavasana (positura del cadavere – Figura 10 di pagina 48) come shavayatra o yoga nidra, mantenendo tuttavia la sufficiente vigilanza per non essere vinti dal sonno. Gli allievi, che nel lavoro sul corpo tramite gli asana, avranno acquisito confidenza con l’uso del respiro, dovranno approfondire in modo esaustivo questo argomento. Esiste infatti un legame molto stretto fra lo stato emotivo ed il respiro, e le tecniche respiratorie diverranno uno strumento straordinario per il controllo dello stress e dei flussi mentali. Coloro che avranno appreso le pratiche di osservazione del respiro, saranno poi in grado di poterne controllare le fasi, i ritmi e le intensità, accedendo così col pranayama a stadi superiori di apprendimento e di benessere.

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Lo stress solitamente tende a contrarre il muscolo diaframma, che è preposto alla fase attiva dell’inspiro. Ne consegue che chi è sotto tensione vivrà un ritmo respiratorio alterato e con molte pause. Si raccomanda pertanto: - La respirazione diaframmatica in vajrasana (posizione seduta sui polpacci - Figura 11 a pagina 49) per almeno 10 minuti, tre volte al giorno, con l’utilizzo del bija/ajapa mantra “so - ham“ in fase “ inspiro – espiro “.

Il bija/ajapa mantra è la ripetizione ciclica di un fonema non recitato verbalmente che diviene uno strumento di purificazione del corpo mentale. So-ham è il suono naturale (dhvami) del respiro che non si esprime attraverso il linguaggio.

- La pratica di kapalabhati (cranio lucente), tecnica di purificazione delle nadi che integra, con gli asana precedenti, l’azione di rimozione delle tensioni residue.

- La pratica in forma completa di nadi-shodana-pranayama (Figure 15; 16 nelle

pagine 54; 55) che utilizza il respiro a narici alternate, con il supporto del pollice e dell’anulare della mano destra, per chiudere delicatamente in modo alterno le narici.

Questi esercizi vanno appresi ed eseguiti con la massima concentrazione, avendo cura di mantenere una posizione seduta, stabile, confortevole, con la colonna vertebrale eretta e che rispetti le lordosi e le cifosi fisiologiche

= 0 = 0 = 0 = 0 = 0 = 0 = 0 =

Siamo giunti così alle pratiche di trattamento delle tensioni sul corpo mentale che interpreta gli stimoli esterni come spiacevoli o pericolosi, attivando i meccanismi di adattamento che possono originare le condizioni di “hypo ovvero hyper stress”. Ci accomodiamo in posizione seduta, con la schiena eretta, concentrati sul flusso dell’aria nelle narici, e ci prepariamo alla pratica di pratyahara, che permette di portare il centro d’attenzione dall’esterno verso l’interno, come spiegato ad iniziare da pagina 58. Utilizzeremo perciò la tecnica di Antar Mouna per creare un affrancamento generale da tutte le influenze esterne ed interne, esplorando una ad una le manifestazioni dei nostri sensi, manifestazioni che non dovremo respingere ma semplicemente integrare, come il suono della nostra sveglia che diventa domestico per la mente. Osserveremo chidakasha, lo spazio dove si manifesta la coscienza, senza intervenire.

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- I rimedi contro lo stress -

Useremo la volontà per introdurre un’immagine negativa: osserveremo senza giudicare questo evento che ci induce a sofferenza. E’ solo con uno sforzo che un brutto evento non ancora superato, può essere emotivamente spogliato della sua energia sul nostro piano mentale. Guarderemo ancora in chidakasha, individuando i pensieri ricorrenti: col supporto dell’immobilità e della volontà li cancelleremo volontariamente. La nostra mente sarà spogliata del superflo: in questa fase potremo percepire il flusso dei pensieri residui in chidakasha e spegnerli sul nascere. Solo allora porteremo in quello spazio l’oggetto della nostra concentrazione per esperire, dentro al samyama, nelle pratiche meditative di dharana e dhyana. Da quel momento la qualità della nostra esperienza interiore dipenderà dalla positura e dalla modalità del respiro; sarà guidata dalla Coscienza e supportata dall’immobilità: “ L’osservazione è possibile solo se vi è un aspetto immobile, e l’immobilità corporea aiuta a scoprire questo schermo interiore. L’immobilità è un elemento di trasformazione. Possiamo utilizzare esempi che appartengono alla natura per comprendere questi fenomeni. Nell’occhio del ciclone vi è calma, perfetta immobilità. I cicloni appartengono alle esperienze umane, sono inevitabili momenti di tempeste interiori ma dovrebbero essere accompagnati da questo occhio o punto di immobilità in cui vi è calma. Spesso invece subiamo questi eventi o cicloni senza riposare nel centro di noi stessi. Nella Meditazione dovremmo scoprire l’immobilità all’interno dell’agitazione. L’occhio del ciclone è quella parte di noi che è immobile e che realmente non è toccata dall’avvenimento. Bisogna tuffarsi nel Sé, al centro del ciclone, nell’immobilità, non nell’Io perché rimanendo nell’Io siamo nella periferia di noi stessi quindi nel ciclone. La funzione dello spettatore è l’osservazione nell’immobilità. Mantenere la coscienza centrale vigile vuol dire avere sempre davanti a sé l’obiettivo, essere come la montagna che punta sempre verso l’alto o come il fuoco orientato. Una parte di noi deve essere orientata, coscienza centrale, in modo da permetterci di comprendere meglio la realtà della coscienza periferica. Quando muoviamo un braccio o osserviamo i pensieri vi è una parte di noi che osserva, “giudica”, l’immobilità quindi è un elemento di discriminazione. La coscienza centrale è coscienza di trasformazione, di lode, di discriminazione. La concentrazione è l’elemento essenziale per poter tenere la coscienza centrale nella immobilità.

( Eros Selvanizza sulla Immobilità – ISFIY Milano - marzo 2007 )

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La progressione meditativa nell’esecuzione di una pratica di concentrazione visiva avrà i seguenti passaggi: - Quietare il corpo: posizione comoda; postura corretta; sensazione di pesantezza del

corpo appoggiato sul tappeto. - Quietare il respiro. - Osservare il grado di equilibrio (sattvicità) della mente: attenuare le onde mentali. - Osservazione esterna dell’oggetto. - Creazione dell’immagine interna in chidakasha. - Connessione dell’oggetto con l’inconscio. - L’aspetto creativo sarà il prodotto della concentrazione visiva effettuata. Le raccomandazioni e le tecniche sopra descritte, porteranno sicuramente alcuni cambiamenti delle abitudini e degli stili di vita delle persone sottoposte a stress. E’ importante per questo che oltre ad avvalersi inizialmente dell’aiuto di un Insegnante qualificato, si lavori sulle pratiche fisiche e mentali più consone ad ognuno, affinchè lo sforzo profuso lasci sempre un senso di pace e di tranquillità alla fine di ogni esperienza. Esiste inoltre una pratica breve, suggerita da Swami Veda Bharati al Convegno FIY di Viareggio del 2004, che è di grande efficacia se applicata più volte in un giorno, prendendosi un breve intervallo di tempo. Essa è un rimedio straordinario che consiglio a chiunque, perchè riporta la mente in uno stato di duraturo equilibrio e ascolto: “ Sono in un luogo di pace in posizione seduta, comoda, dolce e confortevole...

La mia colonna vertebrale diritta, il mento leggermente rientrato.

Chiudo dolcemente gli occhi… prendo consapevolezza del mio corpo… delle sue tensioni. Inspiro dolcemente… espiro delicatamente, a lungo… Il respiro diviene un’onda ritmica, costante: inspiro ed espiro, nessuna ritenzione... inspiro ed espiro…

L’attenzione è ora al mio viso, alle sue tensioni, inspiro e poi espiro… rilasso… lascio tutto. Percepisco il mio sorriso interiore… rilasso il mio viso… tutte le parti del corpo.

La mia attenzione è nello spazio situato dietro la fronte, inspiro… ed espiro… inspiro… espiro… e nessuna parola nella mente...

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- I rimedi contro lo stress -

Percepisco il soffio delle narici, il contatto del mio respiro con le narici… l’aria fresca che entra delicatamente, l’aria tiepida che esce dolcemente: inspiro: (“So…”), espiro: (“Ham…”), inspiro: (“So…”), espiro: (“Ham…”), inspiro: (“ So…”), espiro: (“Ham…”): e così… io sono Quello. Soavemente, delicatamente, dolcemente elimino la pausa tra i due respiri… inspiro armonicamente ed espiro lentamente…lentamente... Un’onda dolce, soave, continua … e nessuna parola nella mente.

Ora scelgo il nome di Dio, in accordo con le mie Tradizioni e respirando penso allo stesso Nome. Inspiro ed espiro… lo stesso pensiero, lo stesso Nome... mentre inspiro e mentre espiro: nessuna pausa… e l’aria che fluisce dolcemente... attraverso le mie narici...

Osservo com’è la mente… e il soffio… e il Nome: un unico flusso unificato... una corrente di calma... un fiume che cresce... Un’onda dolce e soave dell’anima Divina che dimora in me... e lo stesso Nome nella mente... sentendo il contatto del soffio nelle narici....

Porto nell’area del mio cuore questa sensazione sottile... e lentamente..., soavemente..., dolcemente apro gli occhi... ed osservo il silenzio della mia mente pacificata...

( Meditazione tratta dagli insegnamenti di Swami Veda Bharati ) Contemplazione significa “nessuna parola nella mente”; è sereno riposo in un luogo di pace, dove ritrovo il mio Sé in una dimensione senza spazio e senza tempo, soltanto circondato da Luminosa Presenza. Cartesio diceva: “ Penso, quindi sono “. Patanjali ha scritto: “ Non penso, quindi sono “ “ L’arte di essere riguarda sopratutto il mondo interno. Quando siamo con noi stessi, ci accorgiamo di essere in uno stato meditativo quando la parola diviene un sacrificio, quando si ritiene il parlare superfluo. Riconosciamo la bontà dello stato meditativo quando non abbiamo bisogno di nulla, quando non c’è davanti a noi passato o futuro, quando non ci sono barriere di spazio, quando non ci sentiamo separati da qualcuno, quando è sufficiente allargare la nostra coscienza e percepire che tutti gli esseri sono presenti. “ ( Eros Selvanizza - Lezione di yoga mentale - Aprile 2007 )

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ISHVARA PRANIDHANA ( L’ABBANDONO A DIO )

Ci sono momenti nella vita dove prevale la sensazione che il rispetto di ogni rigore morale e sociale, ogni impegno profuso, ogni solidarietà sentita col cuore, ogni seme messo a dimora, sembrano non mostrare alcun risultato. Sono momenti dove il nostro ego mette a confronto le nostra semina con quella delle persone che abbiamo vicino e riflettiamo sul contenuto di giustizia delle nostre aspettative. Quei periodi di depressione motivazionale coincidono con momenti di distacco da persone amate, da problemi di salute, da eccessivo interesse della mente verso oggetti sbagliati o periodi di insufficente azione. Ci si sente frustrati, stanchi, un pò vecchi: il tempo scorre e non sappiamo quanto ci sarà ancora concesso in questo ciclo di vita terrena alla quale siamo tuttavia attaccati. Dentro subiamo l’inganno della sensazione che è troppo presto per tirare i remi in barca ed è troppo tardi per intraprendere nuove strade. E’ allora, che vestiti di umiliante mediocrità, realizziamo facilmente che ci si sente vecchi quando i rimpianti della nostra vita superano i nostri sogni. E non vè nulla di patologico in questo: siamo semplicemente “uomini”. Questi momenti importanti, dove chi esperisce con la sofferenza sente “di toccare il fondo” sono anche grandi opportunità di cambiamento. Lo stress può condurre a tutto questo e l’eperienza dello Yoga è sempre, a mio avviso, una buona medicina. Il contatto col proprio Insegnante, coi propri compagni di corso, la conoscenza di questa antica Cultura filosofica e religiosa, che ci riportano alle tradizioni, sono una grande medicina. L’esperienza degli asana, del pranayama, dell’astrazione, della meditazione nel samyama, sono un grandissimo supporto. Ci sono altre strade che si possono percorrere, se siamo disposti ad usare ogni ostacolo come punto di appoggio per elevarci. Se siamo persone competitive, perchè il mondo in cui viviamo ci porta a questo, lavoriamo con la buona fede perchè la nostra vittoria divenga anche la vittoria del nostro avversario. Elevandoci interiormente, noteremo meno persone vicino a noi, ma dobbiamo restare sereni, agendo con austerità e realismo nella realizzazione dell’unione. Scriviamoci una dichiarazione di intenti personali e meditiamo spesso su questi, recitando un sankalpa (proponimento). Abbandoniamo la paura di sentirci soli: siamo soli perchè i nostri sensi ci ingannano, nella realtà siamo in continuo scambio di flussi e vibrazioni con tutto ciò che ci circonda, a partire dall’aria che respiriamo. Se seguiamo la via della realizzazione non saremo mai soli. L’uomo non è mai solo, ha sempre un Angelo accanto a Sè che lo accampagna. E’ la stessa presenza che hanno avvertito alcuni grandi scalatori, quando in solitaria si sono arrampicati oltre gli ottomila, in mezzo al cielo, sempre più vicini a Dio e svuotati di ogni energia per poter sopravvivere. Spogliati ormai di tutto, come le rocce granitiche che li circondano immobili a quelle quote e sfidano gli insulti delle intemperie ogni giorno, ogni notte, da migliaia di anni. E’ la stessa presenza che hanno intuito i Santi ed i grandi Saggi Meditatori che la storia dell’uomo ci riporta. Anche loro, spogli di ogni cosa, raccolti nell’immobilità.

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- Ishvara pranidhana ( l’abbandono a Dio ) -

Possiamo scegliere di togliere dalla nostra vita tutto ciò che non serve più. Possiamo benissimo fare a meno delle “sovrastrutture mentali” e delle cose che ci appesantiscono, impedendoci di volare come un aliante: esso non ha il motore e sfrutta soltanto le correnti del vento che la natura fornisce da sola al suo pilota. Un processo di crescita è una progressione di semplificazione e di analisi spietata di se stessi e dei propri limiti nel campo da gioco della solidarietà verso gli altri e dell’amore per la natura. Nello Yoga, il termine Isvara-pranidama indica un totale abbandono alla Volontà Divina, con lo stesso atteggiamento del credente che partecipa amima e corpo alla recita del Pater Noster: “ fiat voluntas tua ... “ Questa non è più una richiesta d’aiuto affinchè vengano forniti gli intuiti necessari per realizzare i propri scopi, bensì una rinuncia al proprio ego con una progressiva fusione della propria volontà con la volontà di Isvara (del Signore). Quando un uomo comune orienta la coscienza verso questa posizione, accetta spontaneamente la credenza che non esista nessun’altra volontà importante al mondo se non quella Divina. L’uomo accoglie di sottomettersi serenamente a questa volontà, anche se l’esperienza che lo ha portato alla realizzazione di ciò potrebbe non essere affatto piacevole. Nonostante la formula estremamente essenziale del testo, Patanjali parla di Isvara Pranidhana nel Samadhi Pada e anche nel Sadhana Pada degli yogasutra: I, 21 – Tivra-samveganam asannah

Esso ( il samadhi ) è vicinissimo a coloro il cui desiderio ( del samadhi ) è grandemente intenso.

I, 22 – Mrdu-madhydhimatratvat tato ‘pi visesah. Un’ulteriore differenziazione sorge in ragione della lieve, media ed intensa

( natura dei mezzi impiegati ). I, 23 – Isvara-pranidhanam va.

Ovvero dell’abbandono a Dio. II, 32 – Sauca-samtosa-tapah-svadhyayesvara-pranidhanani niyamah

La purezza, l’appagamento, l’austerità, lo studio di sé e l’abbandono all’Isvara (attenzione verso Dio) costituiscono le osservanze.

II, 45 – Samadhi-siddhir Isvara-pranidhanat L’atteggiamento del samadhi (deriva) dall’abbandono a Dio. Appare sorprendente in effetti come, nonostante una trattazione così profonda della psicologia umana e dello studio delle scienze che portano alla Liberazione, l’autore citi ben tre volte, in punti diversi del testo, la via dell’abbandono al Signore; ed ancora: nel capitolo II, viene indicata come una componente della via dell’azione. E’ implicita dunque, in tutto questo, la convinzione di Patanjali che Isvara Pranidhana costituisca un percorso alternativo per realizzare la stessa meta della severa disciplina Ashtanga Yoga.

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Lo scopo è la liberazione finale o kaivalya, trattata nella sessione Kaivalya Pada degli yogasutra. L’abbandono ad Isvara è un processo dolce e continuo di sottomissione della propria volontà a quella Suprema. E’ l’amorevole devozione della Bhakti come via di liberazione, secondo le scritture della bagavad gita: “ Non importa quale forma divina il devoto desidera adorare con fede: questa fede io la confermo in lui, rendendola incrollabile “ ( Bagavad Gita – Jnana-vijnana Yoga - Lo Yoga della Conoscenza e della Realizzazione – Canto VII, 21) “ Colui che mi venera col Bhakti Yoga , soltanto costui, trascesi i guna, si identifica con il Brahman “ ( Bagavad Gita – Guna-trya-vibhaga Yoga - Lo Yoga della distinzione fra i tre guna - Canto XIV, 26) Così, anche ad ogni uomo di fede posto dinnanzi agli stimoli dolorosi o gradevoli dell’esistenza, potrà essere concessa la libertà di scegliere il proprio percorso di vita abbandonandosi al Dio della propria tradizione religiosa, nella scoperta del proprio Sè. “L’abbandono produce frutto e tutto questo avviene nella preghiera, nell’immobilità, nel silenzio“ La vita è come un fiume che nasce dalla profondità della terra e diventa sorgente. Esso scorre su di un letto solido ma le sue acque continuamente mutano. E’ un continuo cambiamento nella immobilità e come ognuno sa, ogni fiume ha la sua destinazione. Auguro ad ogni Donna e ad ogni Uomo che oggi cercano nel Se’ la propria destinazione, di riconoscere nel viaggio la Bellezza e l’Amore dietro ad ogni forma. La giovane vita di un Uomo somiglia al fluire incessante di un torrente a primavera: ha in sé la vitalità ed il vigore di chi conosce il percorso e la sua destinazione. Immagino la piena maturità come un grande lago azzurro nel quale si specchia la luna piena nelle silenziose notti di quiete. Nel cammino della maturità, il silenzio e la quiete diventano così il sogno e la destinazione. Om Shanti

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- Ishvara pranidhana ( l’abbandono a Dio ) -

Valerio

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio con affetto: il Corpo Docenti e tutto il Personale di Supporto dell’Istituto Superiore Formazione Insegnanti Yoga di Milano che mi hanno accompagnato verso un cammino di crescita attraverso la discipina dello Yoga, la conoscenza di me stesso, la vicinanza e la solidarietà dei miei Compagni e Compagne di corso; il Dottor Carlo Guglielmo, primo ispiratore e Maestro nella cultura dell’equilibrio attraverso l’approccio macrobiotico; la nostra Insegnante Susi Stefanini, per la gentile disponibilità e l’indispensabile supporto nella stesura di questa tesi; il mio Insegnante Loris Lavezzari ed i miei compagni del gruppo Yoga di Parma, coi quali ho appreso e condiviso i

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- Ringraziamenti -

primi profondi insegnamenti e le pratiche di questa disciplina; il mio collega ed amico Dino Brusco che ha curato le immagini degli asana proposti. Sono amorevolmente grato ai miei cari genitori che mi hanno dato la vita, alla mia Famiglia, a Dario, Adriana e Rita, per la pazienza, i dialoghi, le motivazioni, l’affetto e l’amore che da loro ricevo, nei tempi e nei luoghi di pace che ci è ancora concesso condividere in questa esistenza.

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GLOSSARIO

ACTH - Ormone Adrenocorticotropo Pag. 11 ADH - Antidiuretic hormone – vasopressina Pag. 14 CRT - Corticotrophing Releasing Hormon Pag. 11 DNA - Acido Desossiribonucleico Pag. 12 FSH - Ormone follicolo-stimolante Pag. 14 GH - Ormone somatotropo Pag. 14 HPA - Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene Pag. 11 LH - Ormone gonadotropina luteinizzante Pag. 14 MSH - Melanocyte-stimulating hormone Pag. 14 OXITOCINA - Contrazione muscolatura dell’utero e dotti lattiferi Pag. 14 PRL - Prolattina Pag. 14 PVN - Porzione Parvocellulare Nucleo Paraventricolare Ipotalamica Pag. 12 SNC - Sistema Nervoso Centrale Pag. 10 TSH - Ormone tireotropo Pag. 14

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- Indice immagini delle positure -

INDICE IMMAGINI DELLE POSITURE

Ardha-Matsyendrasana – Posizione del Maestro Matsyendra Pag. 47

Bhujangasana - Positura del serpente ( o del cobra ) Pag. 46 Dhanurasana - Positura dell’arco Pag. 47 Halasana - Positura dell’aratro Pag. 44 Matsyasana - Positura del pesce Pag. 45 Mahamudra - Il grande sigillo Pag. 25 Maitryasana - Positura seduta su appoggio Pag. 51 Nadi Shodhana - Riequilibrio e pulizia (shuddi) delle nadi maggiori Pag. 54 Pasimottanasana - Positura della pinza Pag. 45 Sarvangasana - Positura della candela Pag. 44 Shavasana - Positura del cadavere Pag. 48 Shalabhasana - Positura della locusta Pag. 46 Sukhasana - Positura facile Pag. 50 Suryanamaskar - Saluto al sole Pag. 74 Siddhasana - Positura perfetta – Positura di realizzazione Pag. 50 Vajrasana - Positura del diamante – Positura del fulmine Pag. 49 Viparita Karani - Atto del capovolgersi Pag. 48

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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- Andrè Van Lysebeth, Imparo lo Yoga, Ugo Mursia, 1975

- Anne-Marie Esnoul, Bhagavadgita, Feltrinelli, 2007

- Carlo Guglielmo, Il Grande Libro dell’Ecodieta – L’arte dell’equilibrio – Corpo, mente ed

alimentazione, Edizioni Mediterranee, 2005 - D.A. Clark – A.T. Beck – B.A. Alford, Teorie e Terapie Cognitive della Depressione

Ediz. Italiana a cura di Marco L. Bellani / Eugenia Trotti - Ediz. Masson 2001

- Doralice Lucchina, Stress e pratica yogica, Lezione di Asana ISFIY Milano, marzo 2006

- Doralice Lucchina, Gli Equilibri, Lezione di Asana ISFIY Milano, ottobre 2006

- Eros Selvanizza, I Kosha, Lezione Yoga Mentale ISFIY Milano, ottobre 2004

- Eros Selvanizza, Le Tre cupole, Lezione Yoga Mentale ISFIY Milano, maggio 2005

- Eros Selvanizza, Stress, Lezione Yoga Mentale ISFIY Milano, maggio 2006

- Eros Selvanizza, La Filosofia dei Klesa-Lo Stress, Lezione di Asana ISFIY Milano, febbraio 2006

- Francesco Bottaccioli, Psiconeuro Immunologia, Edizioni Red, 2003.

- Francesco Rovetto e Lino Rossi, Psicologia Giuridica: La valutazione del danno – Beatrice Armenzoni: L’attualità del Disturbo post-traumatico da stress, Santa Croce s.a.s, 2005

- Guido Da Todi, Introduzione alla Bhagavad Gita,

- H. David Coulter, Anatomy of Hata Yoga, Timothy McCall, M.D. 2002

- I. K. Taimni, La Scienza dello Yoga - Commento agli yogasutra di Patanjali, Ubaldini,

1970 - Giuseppe Spera, La lucerna dello Hata-Yoga (Hatayoga-pradipica), Manganelli, 2006

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- Indice immagini delle positure -

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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- Massimo Vinti e Piera Scarabelli, Ishvara Pranidhana, Lezione presso ISFIY del 18.2.2007

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fondamentale dello Yoga Sutra, Mimemis, 2006

- Michela Turci, Stress, Lezione di Anatomia sullo Stress c/o ISFIY Milano, marzo 2006 - Michela Turci, Sistema Nervoso Centrale, Lezione di Anatomia c/o ISFIY Milano, febbraio

2007 - Niels Birbaumer, Psicofisiologia Clinica, Imprimitur, 1996

- Robert M. Sapolsky, Perchè le zebre non si ammalano d’ulcera, McGraw-Hill , 1999

- Thomas Cleary, Il libro degli insegnamenti di Lao-Tzu, Oscar Mondadori, 1999 - Thibodeau GA & Patton KT, Anatomia e Fisiologia, Editrice Ambrosiana, Milano 2005