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AA. V V. FIGURE ADELPHI ANE CRISTINA CAMPO, FURIO JESI, JACOB TAUBES, SIMONE WEIL f

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AA. VV.

FIGUREADELPHIANE

CRISTINA CAMPO, FURIO

JESI, JACOB TAUBES,SIMONE WEIL

f

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SULLE ORME

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IndiceGnosi e gnosticismo: appunti per una definizione

(Luigi Walt)....................................................5Arimane e la Gemeinwesen (Claudio Dettorre-

Omar Wisyam)..............................................36Il suicidio di Simone Weil e la machine intellet-

tuale (Stefano Borselli)................................46Nota sui tre saggi seguenti.................................58La rivoluzione postmoderna (Angelo Vigna)....62Cristina Campo e la «Tradizione» primordiale

(Gianni Rocca)............................................102Furio Jesi: un «curioso» intellettuale di sinistra

(Gianandrea Torre).....................................175Uno studioso singolare (Leandro Piantini).....252

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Gnosi e gnosticismo: appuntiper una definizione*

(Luigi Walt)

M Verso una definizione storica

on è facile fornire una definizioneunivoca di «gnosi». Il termine, no-

toriamente, deriva dal greco gnôsis, «cono-scenza», e viene spesso impiegato per de-signare un insieme composito di dottrine,di natura mistico-sapienziale e iniziatica,che sarebbe stato condiviso da alcuni mo-

N

* Il Covile n°775, novembre 2013. Fonte e ©:www.letterepaoline.net. Questa voce è statapubblicata il 16 dicembre 2008 in Sillabario.

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vimenti religiosi definiti appunto «gnosti-ci», sorti in epoca tardo-ellenistica nellezone mediorientali dell’Impero romano.

L’etichetta include sistemi diversissimifra loro, dei quali in realtà sappiamo benpoco. La ricostruzione storica dello gno-sticismo, almeno fino al ritrovamento del-la biblioteca di Nag Hammadi (1945), èdipesa infatti in massima parte dall’esamedi testimonianze polemiche, tratte dalleopere dei grandi eresiologi cristianidell’antichità (principalmente: Ireneo diLione; Clemente di Alessandria; Origene;l’autore dell’Elenchos; Epifanio di Salami-na; ma anche autori non cristiani come Po-rfirio, e altri). Pertanto, c’è chi proponeaddirittura di rifiutare, in sede storico-scientifica, l’utilizzo stesso del termine

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«gnosticismo», per il semplice fatto chemolti autori, attualmente annoverati fragli «gnostici», non si designarono maicome tali.1

Le testimonianze dirette, come abbia-mo detto, sono piuttosto scarse. Una granmassa di testi è andata perduta. Ma non èesclusa la possibilità di scoprirne altri, ri-spetto a quelli che possediamo al momen-to. Un po’ come è accaduto per il famige-rato Vangelo di Giuda, sul quale avevamosoltanto scarne informazioni. Un domani,chissà, potrebbero spuntare dalle sabbie ilVangelo dei quattro punti cardinali, citatodal vescovo Maruta (†420) nel suo De

1 Vedi J.—D. Dubois, M. Tardieu, Introduion àla littérature gnostique, Cerf, Paris 1986, pp. 21–37.

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Sana Synodo Nicaena, o il Libro dei Si-moniani menzionato dalle Costituzioniapostoliche (6,16).2

Il dibattito sulla «gnosi» è tuttora aper-tissimo, e si presenta estremamente ra-mificato. Anche per quel che riguarda leorigini stesse dello gnosticismo: si va dagliormai sparuti difensori dell’ipotesi di A.von Harnack, che nel secolo scorso inter-pretò la «gnosi» come un episodio di «elle-nizzazione acuta» del cristianesimo, finoa quanti suppongono al contrario un’origi-ne orientale e giudaica, non ellenica o cri-stiana, per questo fenomeno: la religiosità

2 Va detto comunque che la voce polemica dei pa-dri della Chiesa, confrontata con le scoperte ar-cheologiche degli ultimi anni, si è spesso dimo-strata attendibile.

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degli gnostici si sarebbe basata, secondocostoro, sull’affabulazione mitica esull’indagine misteriosofica, piú che sullaspeculazione filosofica.3

Gli storici parlano sia di pre-gnostici-smo, in base alla pre-esistenza di temi emotivi che confluiranno solo in seguito neisistemi gnostici, sia di proto-gnosticismo,in base all’esistenza di correnti (apocalitti-ca giudaica, Qumran, mondo iranico, pla-tonismo e orfismo, etc.) in cui si trovereb-bero già tutti gli elementi assiali dei siste-mi del II secolo: per un bilancio della que-stione, si può consultare il volume di E.

3 In proposito, si leggano gli studi di G. Stroum-sa, Hidden Wisdom. Esoteric Traditions and theRoots of Christian Mysticism, Brill, Leiden-NewYork-Köln 1996.

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Yamauchi, Pre-christian Gnosticism. ASurvey of the Proposed Evidences.4

Una distinzione molto utile, quella fra«gnosi» e «gnosticismo», è stata abbozzatanel corso di un Colloquio di studi tenutosiin Italia, a Messina, nel 1966:

Per evitare un uso indifferenziato deitermini gnosi e gnosticismo, sembrautile identificare, con la cooperazio-ne dei metodi storico e tipologico, unfatto determinato, lo «gnosticismo»,partendo metodologicamente da uncerto tipo di sistemi del II secolo d.C.(…). Lo gnosticismo delle sètte del IIsec. implica una serie coerente di ca-ratteristiche che si possono riassume-re nella concezione della presenza

4 Wipf & Stock, Grand Rapids-London 1983.

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nell’uomo di una scintilla divina, cheproviene dal mondo divino, che è ca-duta in questo mondo sottomesso aldestino, alla nascita e alla morte, eche deve essere risvegliata dalla con-troparte divina del suo Io interioreper essere finalmente reintegrata.5

Non ogni «gnosi», quindi, può essereconsiderata «gnostica» (autori decisa-mente ortodossi, come Clemente Alessan-drino o Massimo il Confessore, parlanotranquillamente di una «gnosi» cristiana).I tratti salenti dello «gnosticismo», espostischematicamente, sarebbero allora i se-guenti: a) la presenza di un complesso

5 Le origini dello gnosticismo. Colloquio di Messina13–18 aprile 1966, cur. U. Bianchi, Brill, Leiden1967, pp. XX-XXII.

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schema mitologico-cosmologico fondatosull’idea di «caduta» (rottura originaria diun ordine divino del cosmo, talora coinci-dente con la creazione del mondo sensibi-le ad opera di un demiurgo), cui corri-sponderebbe sul piano antropologico b)un acceso dualismo tra mondo materiale emondo spirituale e c) l’idea di un patrimo-nio sapienziale esclusivo, trasmissibile pervia esoterica, in grado di condurre il grup-po ristretto che lo possiede alla salvezza ealla liberazione dai lacci della vita carna-le.

Un ulteriore tratto, tipico delle dottri-ne gnostiche, è ravvisabile nella mescolan-za di elementi provenienti da tradizionireligiose eterogenee, spesso amalgamatisenz’alcuna pretesa di coerenza. Molto

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frequente, infine, è una rigida classifica-zione dell’umanità secondo tre categorie:gli spirituali (o pneumatici, ossia coloroche posseggono la «gnosi» e sono già re-denti), gli psichici (ossia gli uomini che,con l’aiuto dei «perfetti», possono accede-re alla «gnosi») e gli ilici (nei quali predo-mina la hyle, cioè la materia, e che perciòsono destinati alla dissoluzione). Oltre alconsueto richiamo ad insegnamenti nasco-sti, che sarebbero stati impartiti segreta-mente a personaggi della storia biblica odelle origini cristiane.

Tutte queste caratteristiche, con le do-vute variazioni, si ritrovano lungo l’arcodella storia religiosa occidentale, in varimovimenti marginali, dall’antichità sinoall’epoca moderna. Per saperne di piú, si

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potranno leggere i seguenti volumi intro-duttivi, facilmente reperibili per il lettoreitaliano: I. P. Culiano, I miti dei dualismioccidentali. Dai sistemi gnostici al mondomoderno;6 G. Filoramo, L’attesa della fine.Storia della gnosi;7 H. C. Puech, Sulle trac-ce della Gnosi.8 Da maneggiare con caute-la, invece, sono le pagine divulgative maassai poco equilibrate di Elaine Pagels.

Fra le raccolte di testi gnostici in tra-duzione, si possono segnalare quelle ap-prontate da L. Moraldi (cur.), La Gnosi eil mondo: raccolta di testi gnostici9 e da M.

6 Trad. it., Jaca Book, Milano 1989.7 Laterza, Roma-Bari 1983.8 Trad. it. Adelphi, Milano 1985.9 TEA, Milano 1988.

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Simonetti (cur.), Testi gnostici in linguagreca e latina.10

M Verso una definizione storico-filosofica

l termine «gnosi», per sua naturasfuggente e bisognoso di chiarimenti, è

oggi reso ancor piú problematico dalla di-sinvoltura con cui viene impiegato in am-bito filosofico, soprattutto a partire da mo-delli interpretativi certamente fecondi,ma non privi di una qualche ambiguità.Tra i casi piú lampanti possiamo citarequello di Hans Jonas, che per primo haproposto di leggere fenomeni moderni,come l’esistenzialismo e il nichilismo, alla

I

10 Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, Mila-no 1993.

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luce delle antiche dottrine gnostiche;11 odi Jacob Taubes, che da Jonas ha trattol’idea di far interagire il potenziale sovver-sivo della gnosi tardo-antica con alcunestrategie filosofiche del mondo contem-poraneo, operando un continuo e aporeti-co passaggio da un piano «storico-genealo-gico» a un piano «strutturale».12

Sia Jonas che Taubes condividono l’i-dea che la «gnosi», nel suo contesto origi-nario, abbia rappresentato sostanzialmen-te un grido di protesta nei confronti di unmondo dominato dal fatum o dal nomos

11 Cfr. ad es. Lo gnosticismo, trad. it. SEI, Torino1991, pp. 335–355.

12 Vd. Messianismo e cultura. Saggi di politica teolo-gia e storia, trad. it. Garzanti, Milano 2002, pp.223–253 e pp. 311–400.

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— un mondo che, nello stile mitologicodei movimenti gnostici, veniva percepitocome soggetto al funesto dominio di po-tenze ostili, ad esempio nella forma di unrigido determinismo astrologico.

Ora, l’immagine del mondo, cosí comesi sarebbe configurata in epoca modernanei vari «miti» del sapere scientifico o del-la tecnica, avrebbe nuovamente ottenuto,in quanto totalità, una compiutezza diquesto genere: massimamente con il de-terminismo della scienza o delle ideologiepolitiche, contro il quale, dal roman-ticismo in poi e con differenti configura-zioni, si sarebbe quindi organizzata la pro-testa delle arti. Secondo Taubes, in parti-colare, questa rinnovata reazione «gnosti-ca» del mondo moderno sarebbe inevita-

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bilmente nichilista, dato che, pur mante-nendo lo sguardo sulla negazione del-l’Ordine, non riuscirebbe a raggiungereun appiglio trascendente da cui giudicar-lo.

Queste intuizioni di Jonas e Taubes,seppure con premesse ed esiti del tutto di-versi, trovano riscontro anche nell’analisidi altri pensatori contemporanei, che han-no avuto il pregio di riflettere sul temacon un maggiore distacco critico. È ilcaso, ad esempio, di Eric Voegelin, che haimpiegato la chiave «gnostica» per inter-pretare tutta la vicenda politico-filosoficadel mondo moderno (e non soltanto la rea-zione ad esso: si vedano i saggi Wissen-schaft, Politik und Gnosis, München 1959,e, in trad. it., Il mito del mondo nuovo. Sag-

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gi sui movimenti rivoluzionari del nostrotempo13); o dell’italiano Emanuele SamekLodovici, autore di un prezioso volumesui riverberi della «gnosi» nella culturacontemporanea (Metamorfosi della gnosi.Quadri della dissoluzione contemporanea).14

Entrambi gli autori qualificano col ter-mine «gnosi» una sorta di micidiale av-versario della visione classico-cristiana delmondo. È sintomatico, in tal senso, chegli unici due miti partoriti in modo asso-lutamente originale dalla modernità sia-no stati allora quelli di Faust e del Golem:due sfide lanciate alla potestà creativa diDio e alla razionalità metafisica, in nomedi un’auto-fondazione simbolica dell’uma-

13 Rusconi, Milano 1970.14 Ares, Milano 1979.

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no. In proposito, qualcuno ha suggerito diguardare alla «gnosi» moderna come al ri-sultato di un’esperienza «orfica». Comeha fatto notare Vittorio Mathieu:

Qual è, infatti, la colpa di Orfeo? Èdi compiere il suo atto prima che Eu-ridice abbia raggiunto la superficiedella terra; dunque, prima che siastata colpita dai raggi del sole, cioèda una luce che dà naturalmente lavita. Ciò che l’intelletto vede — esia pure l’intelletto di un vate — de-v’essere anzitutto vivificato da un’al-tra luce. Euridice non tornerà allaluce senza essere ritornata natura.L’intelletto non cancella la differen-

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za tra la vita e la morte, e a rendervive le ombre non basta lo sguardo.15

Il demoniaco dell’arte moderna, cui èdedicata la fine analisi di Mathieu, consi-sterebbe allora in una tentazione intellet-tuale, demiurgica: punto di arrivo idealedi una simile operazione sarebbe la cancel-lazione della differenza tra ciò che è artifi-ciale e ciò che è reale. Semplificando il di-scorso di Mathieu, potremmo quindiaffermare che appaiono operanti, nel mon-do moderno e contemporaneo, due «gno-sticismi» estetici, apparentemente di se-gno opposto:

15 La voce, la musica, il demoniaco, Milano 1983, p.10.

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Il primo, che potremmo definire «pro-meteico», tenderebbe all’identificazio-

ne piana di linguaggio e realtà. Come nellaparabola del musicista Adrian Leverkühn,protagonista de Il Door Faustus di Tho-mas Mann, a dominare in esso sarebbe unasorta di pelagianesimo estetico:

1.

la presunzione di produrre noi la na-tura per farne il veicolo della salvez-za, in luogo di attendere l’ispirazio-ne come una grazia, e di accettarecon umiltà quello che ci viene dato.16

La tentazione di Leverkühn è demiurgi-ca, mira alla sovranità sull’esistente attra-verso la ricostruzione intellettuale dellarealtà con la musica, in particolare con la

16 Ibid., p. 55.

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sua estrema «razionalizzazione», offertadal sistema dodecafonico, che rappresente-rebbe un superamento della barriera tra ar-tificiale e naturale, «l’ambiguità elevata asistema» (come osservava lo stesso Mann,ne Il Door Faustus).17 Ma se nel Faust diGoethe la tentazione di Mefistofele nongarantiva una reale possibilità di riprodur-re artificialmente la natura, tale possibili-tà apparirebbe plausibile all’artista delNovecento. Come nel surrealismo, assi-steremmo all’incontro fatale fra gli impul-si piú bassi e «automatici» dell’uomo euna coscienza di sé essenzialmente «razio-nalista», improntata cioè ad una ragionedi tipo strumentale e doxastico, senzaaperture nei confronti della trascendenza.

17 Trad. it. Mondadori, Milano 1968, p. 68.

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L’altro sarebbe uno gnosticismo «no-minalista», e troverebbe il suo centro

di gravità nella rottura, consumatasi se-condo George Steiner tra il 1870 e il 1930,del «patto» tra realtà e linguaggio. Talerottura, costituendo «una delle poche rivo-luzioni autentiche dello spirito occiden-tale», fornirebbe la definizione stessa dellamodernità.18 Da allora sarebbe iniziatal’epoca del dopo-parola, di cui la cosiddet-ta «morte di Dio», con una formula al-quanto abusata, non sarebbe altro che unadelle tante articolazioni. Alla progressivadissoluzione del sistema tonale in musica,corrisponderebbe in poesia l’esperienza diun Mallarmé o di un Rimbaud. La parola

2.

18 Vere presenze, trad. it. Garzanti, Milano 1992,pp. 95–96.

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«fiore» — afferma Mallarmé — è l’absentede tous bouquets, non si trova in nessun maz-zo di fiori: è il sigillo di un’assenza, una te-nue sonorità, un segno vuoto. La lingua di-rebbe se stessa, e nient’altro.

Non è difficile intuire cosa possa acco-munare queste due tipologie di «gnosi»: èlo smarrimento dell’idea di realtà, perché

se non si percepisce la realtà del mon-do, allora si disgrega l’unità dellacoscienza universale e, di conseguen-za, anche l’unità della persona co-sciente di sé. Il punto-istante, chenon è nulla, pretende di essere tutto;al posto della legge della libertà re-gna il capriccio del destino.

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Questa annotazione di Pavel Florenskij19

lascia intravedere in quale modo una visio-ne «illusionistica» del mondo risulti per-fettamente compatibile con una rinnovatavisione «gnostica».

Il pensiero gnostico muove infatti daun dualismo irriducibile, dalla supposizio-ne di una frattura insanabile tra divino eumano, quando non mira ad una loro a-stratta unificazione. La moralità dellognostico è improntata cosí ad un senso dielezione e di ostilità nei confronti delmondo, donde derivano due posizioni soloa un primo sguardo contrarie: quella asce-tica e quella libertina.

19 Tratta da Il valore magico della parola, trad. it.Medusa, Milano 2001, p. 95.

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Il vertice cui si può giungere è al massi-mo «la pace, non la luce», come nell’em-blematica conclusione del popolare ro-manzo Il Maestro e Margherita di MichailBulgakov, ennesima e non casuale varia-zione del mito faustiano: una pace fredda,che non scalda il cuore dell’uomo e nontrasfigura la terra, dominata dall’infelici-tà esistenziale e dall’assenza di realtà. Gliartisti e i filosofi che, pur sentendosi «libe-ri», contribuiscono alla diffusione di una si-mile visione del mondo, consapevolmenteo meno, agiscono in completo asservimen-to a un progetto che viene da lontano:bisognerebbe almeno avvertirli.

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M Verso una definizione teoretica

a migliore definizione di «gnosi»che sia stata finora offerta, da un

punto di vista teoretico, proviene dalle pa-gine di un sacerdote romano, Ennio Inno-centi, autore estraneo ai grandi circuiti edi-toriali (pubblica prevalentemente in pro-prio). Da qualche anno, Innocenti sta la-vorando a un progetto ambizioso: una sto-ria universale della «gnosi», vista cometentazione ricorrente della cultura occi-dentale (ovviamente da un punto di vistacattolico). L’esplorazione di Innocenti,che reca un titolo già di per sé eloquente(La gnosi spuria), considera il fenomenonelle sue varie trasformazioni storiche,

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dalle origini a Hegel. Per il momentosono usciti tre volumi.20

Concludiamo quindi queste note con ladefinizione di «gnosi» proposta dal nostroautore, al principio dell’opera:

L’Apostolo Paolo, scrivendo ai cristia-ni di Roma, offre loro il criterio inter-pretativo della storia universale: essa,innegabilmente, indica una decaden-za del valore umano e la causa di taledisgrazia è un difetto d’apprezza-mento dell’Infinito (e questo difetto ècolpevole perché all’uomo non man-ca il potere intellettuale del giustogiudizio). Non riconoscendo l’Infi-nito per quel che è, l’uomo sbaglia

20 L’osservazione si riferisce al 2008. Un quartovolume, interamente dedicato al Novecento, èapparso nel 2011.

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anche nella stima di se stesso: da quidiscendono tutti gli altri suoi errori.L’Apostolo sottolinea che l’uomo ini-zia il suo processo conoscitivo (gnosi)dalla sfera sensibile, ma assurge — dilí — fino alla realtà suprema: la suaconoscenza giunge proprio alla infini-ta perfezione della Divinità (mediata-mente, come abbiamo rilevato). Ap-proda, dunque, all’Infinito almenoquanto basta per apprezzarlo come as-solutamente trascendente tutte leperfezioni limitate, ma — qui è la col-pa da cui derivano tutti i suoi mali —egli non riconosce all’Infinito quelche gli spetta; tentando di diminuirel’Infinito, finisce per annientare sestesso. Il prevalere dell’uomo sul bru-to è fondato sulla superiorità della co-noscenza di cui l’uomo è capace: egli,

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infatti, è il solo essere, su questa ter-ra, che si domandi il perché del vive-re, cercandolo fin sopra le stelle. Po-tere immenso, ma non immune dagravi errori.Nell’interpretare la realtà due soltan-to sono i giudizi sull’essere: l’essere,infatti, o è dall’intelligenza umana in-terpretato come partecipazione, op-pure è interpretato come caduta. Sianel primo che nel secondo giudiziole conseguenze sono di grandissimaimportanza e tali da influenzare tut-to il vivere umano. L’essere è par-tecipato da una fonte sapiente, liberaed amante: l’Infinito Iddio. Egli, pie-nezza di coscienza bontà e bellezza,partecipa il suo essere amando gli es-seri che crea, ordinandoli in una col-laborazione che rispecchia la sua

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perfezione, cui tutti — e l’uomoconsapevolmente e liberamente —tendono. L’essere, invece, cade, pri-mordialmente e necessariamente, dauna oscurità inconscia innominabileinforme ed indeterminata, e tale ca-duta, che comporta la degradazionee la differenziazione degli esseri, de-v’esser riassorbita nell’unità indiffe-renziata del tutto. Nella prima inter-pretazione l’uomo s’innalza per donodivino. Nella seconda, invece, l’uo-mo s’illude d’erigersi immedesiman-dosi nel tutto.Vi sono altre caratteristiche che diffe-renziano inconfondibilmente questidue tipi di gnosi: la prima suppone lairriducibilità fra essere e non essere,Dio e gli esseri creati, lo spirito e lamateria, la verità e l’errore, il bene e

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il male; la seconda no. Inoltre: nellaprima ordine, gerarchia, obbedienzasono le direttive che discendono daipresupposti; nella seconda il caos,l’anarchia, l’individuo eslege sonoarmonici con le premesse. Ancora: laprima progredisce aprendosi al donoe all’influsso divino; la seconda ma-turando la consapevolezza di sé e del-la propria fonte (or ora indicata: ca-duta e degradazione). La prima gno-si la chiamiamo «pura», la seconda«spuria». Solo di quest’ultima qui cioccupiamo. Essa è rintracciabile neidocumenti scritti di molti popoli findall’antichità.21

Luigi Walt

21 La gnosi spuria, vol. I, Sacra Fraternitas Auriga-rum in Urbe, Roma 1993, incipit.

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Arimane e la Gemeinwesen*

(Claudio Dettorre-Omar Wisyam)

«La dialettica moderna consiste nel-l’incredibile abilità di predicare il Benedel Male»

è un libro che conclude defi-nitivamente gli anni Settantain Italia. Un libro di una di-

sperazione perfetta, quindi poetica, il cuisottotitolo recita:

C’non avere piú nienteda perdere piú nienteda sperare piú niente da temere.

* Il Covile n°775, novembre 2013.

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Si tratta di La casa di Arimane di Domeni-co Ferla, pubblicato nel gennaio 1979 dal-le edizioni Erba voglio.

Domenico Ferla, con lo pseudonimoanagrammato di Nicomede Folar aveva cu-rato nel 1976, con Dettori, l’edizioneitaliana de Il capitale totale (edizioni De-dalo) — una raccolta di testi di JacquesCamatte proposta con un altro titolo, Capi-tale e Gemeinwesen, rifiutato dall’editore— e scritto «per Programma Comunista al-cuni saggi che piacquero ad Amadeo Bor-diga», come si legge in quarta di coperti-na.

I «poemi manichei» che rapporto man-tengano con la Gemeinwesen è fatto curio-so e interrogativo.

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La casa di Arimane è «il mondo rettodal male», poeticamente il Mondo è «CasaReale di Arimane», «Reggia di Arimane»,e presuntuosa cosa è parlare di Arimane,sapersi «in Casa dell’Impiccatore a parlaredella corda che tutti quanti c’impicca»(l’unica immagine del libro, ad aprire lacollezione di versi, è quella di un disegnoa penna di Dirk Barendsz degli anabattistiimpiccati a Münster). La lirica maggiore,e l’ultima, è «La Forca». In essa si dice:

Io constatonella realtàun irriducibile dualismoil Male da una parte ciò che èe non dovrebbe esseredall’altra parte il Bene verso il qualeaspira il nostro vero Io. Dunque

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il Male non è solo deficienza del Bene il Male è una realtàopposta al Bene positivamente.

Se il male è «positivamente irriducibi-le» e «irriducibilmente positivo», il bene«non può essere questa realtà», ma il «so-gno e illusione» che hanno sostenuto «glieretici davanti alla morte».

Di nullac’è da disperare congediamocifiniamo di morirefacciamola finitaquesta nostra morteche chiamiamo vita.

Dunque non si tratta che di lasciarsimorire:

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è bello lasciarsi morire di famesi muore lentamentetranquillamentecome si spegne una candela.

Il digiuno, scrive il poeta, «ti rende li-bero e lucido»; ma l’ultimo verso del li-bro, sarcastico, chiude: «se non fosse perlo smog che respiri».

Una delle liriche piú brevi è quella cheoffre i versi al sottotitolo e s’intitola«Niente». In questa si dice che

è certo che chi vincesarà sempre il peggiorel’ultimo secoloè il piú tirannicoè il piú calamitoso

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da ciò consegue che per «morir lieti» sideve aver perso ogni speranza e ogni timo-re; giacché il «MALE è eterno», come siconclude «Tre corone», e «il Bene è ito infumo» («Due Principi»).

Nicomede Folar è personaggio in alcu-ne delle liriche:

pervenutoa quel punto della vitain cui comincia a declinare, a la VitaContemplativa mi sonoda le Azioni del Mondo ritirato, quasida tempesta in porto, sicuroporto contro i Maliche, vivendo, potrebberosopravvenire.

In «Trofeo di antica Guerra» scrive che

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Quel che mi rese attonito sopra modofu il vedereche ciascuno nasce per morire

dopo aver confessato d’essere «semprestato avido di Sapere», perché il farsi «ot-timi» altro non è che «molto odiare ilMale» e «molto conoscere» («Albigesi»).

La prima poesia contiene un invito chenon è il lasciarsi morire, o meglio, che loprecede, laddove è scritto «aportez leboucal — del moscatel e la Canapa / India-na». Essi serviranno a sopportare tempora-neamente il mondo ove domina «l’ottimi-smo militante»; e dove, in effetti,

il pessimismo anarchicoo il dualismo gnosticoovvero la dialetticanegativa sarebbe impopolare.

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Infine, «Tale / è l’Uomo»: «l’AnimaleUomo». «Morta Materia»: la specie che siriproduce e si moltiplica, perché «il cazzoè la passione / predominante nella SpecieUmana» («Due Principi»), e che altrettan-to gode nel distruggere «il bioma universa-le» («tutta la terra / vive nella guerra»),poiché

Sempre i Mortaliuccidono e si uccidono, annoiandol’Universo»questo è il «morbo della Specie Uma-na»

(«la Specie Homo Insipiens»):

una sola OUSIA malvagia,una sola UMANA NATURA

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divisa in due giuridiche Persone:il Maschio e la Femmina

(«Fu»).

Nella poesia «Simbolo di Fede», Dome-nico Ferla scrive:

Io credo in una sola Specie UmanaMadre e creatricedi tutti i Mali sia spiritualisia materiali,e all’unico suo Figlio, il Lavoro,e ai Sacrifici umaniper cui l’Umanitàsi costituisce in Comunitàper la Realizzazione idealedell’Assoluto Male. E cosí sia.

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Curioso è l’accenno alla «Comunità»;ma la Gemeinwesen di Camatte è scompar-sa? Il comunismo del bordighista Ferla(ovvero Folar) sciogliendosi nell’inno adArimane (quello analogo di Leopardi ri-mase incompiuto) si era dissolto davverosenza residui?

Omar Wisyam

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Il suicidio di Simone Weil ela machine intellettuale*

(Stefano Borselli)ntorno alla figura di Simone Weil siinstaurò, fin da subito dopo il suici-dio e con le migliori intenzioni, una

machinerie22 intellettuale che riuscí ad o-scurare, insieme ai fatti, gli stessi scritti ele effettive volontà manifestamente espres-se dalla filosofa. Questa cancellazione del-le evidenze di realtà approda oggi anche su

I

* Il Covile n°784, gennaio 2014.22 Com’è noto, il termine è di Augustin Cochin.

Per un proficuo uso delle categorie cochinianesi veda Pietro De Marco, «L’opposizione e le so-ciétés de pensée» in Il Covile N° 194, febbraio2004.

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Wikipedia, con sfumature diverse nelle va-rie lingue. Le ragioni della disinformazio-ne furono senz’altro le piú nobili. Attoriprincipali ne furono gli amici piú stretti:23

Simone Pétrement, la prima biografa,Maurice Schumann e Simone Deitz, laquale anni dopo si mise a raccontare, sen-za un’ombra di prova né di credibilità, diun fantomatico battesimo in articulo mor-tis. I seri studi successivi di Gabriella Fioried Augusto Del Noce, pur portando con-tributi importanti alla conoscenza dellavita e del pensiero weiliano, hanno conser-vato come un velo di pudicizia intorno aifatti, ricordati senza mai menzionare la

23 D’altronde la reticenza-falsificazione da partedi familiari ed amici è consueta nei casi di suici-dio.

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chiarificatrice e necessaria parola endura.È sorta cosí l’immagine di una Weil in-certa, ferma davanti alla porta della Chie-sa, quando tutti i suoi scritti ultimi mostra-no chiaramente che essa fosse lí non perconvertirsi al cattolicesimo, ma al fine diconvertire la Chiesa al pensiero cataro-weiliano, del quale non dubitava.24 Per ri-costruire il suo pensiero è oggi imprescindi-bile il decisivo lavoro sui Quaderni condot-to da Fabio Brotto25 al quale rimandiamo:Questa la concisa introduzione:

24 Come chiaramente intese padre Guérard DesLauriers, nella sua risposta alla Lettera a un re-ligioso.

25 Fabio Brotto, Rileggendo Simone Weil, edizioniIl Covile, 2011. In rete a www.ilcovile.it.

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Rileggo i Quaderni di Simone Weil,nell’edizione Adelphi. La letturadella Weil in questi anni mi ha datomolto, forse per la sua immensa di-stanza in alcune cose (la ritengouna grande catara, e io sono avversoal catarismo), e per la sua vicinan-za in altre, lontananza e vicinanzaintrecciate.

Qui sotto un primo, minimale, inqua-dramento.

M Weltanschauung

Se consideriamo l’accezione cristianadella parola «martire»» — ossia lasua derivazione originaria — sappia-mo che il bonzo [che si dette fuocodavanti alle TV] non può essere con-

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siderato martire. Perché il martiryon— la «testimonianza» in greco —non può mai essere autoimmolazio-ne. I cristiani divengono martiri soloquando sono uccisi da carnefici, chespesso ricevono dalle loro sante vitti-me benedizioni e preghiere perfinodurante la morte. Mai e poi mai il cri-stianesimo ha accettato il suicidio.26

Il martire cristiano vive la vita finoin fondo, la ama sino al momento incui il carnefice non gliela toglie.27

Il Consolamentum era il sacramentobattesimale dei Catari. [...] Secondoalcuni casi conosciuti dell’ultimo pe-

26 Vedi Il Covile N°670 e segnatamente le osserva-zioni di G. K. Chesterton.

27 Roberto Dal Bosco, Contro il buddismo , Fede &Cultura, 2012, pp. 130–131.

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riodo del Catarismo, quando un mala-to grave riceveva il Consolamentum edera certo di essere vicino alla morte,poteva decidere di iniziare volonta-riamente un digiuno consistente nel-l’astinenza totale dal cibo e dall’ac-qua, chiamato endura, che era una for-ma estrema di negazione di sé e di se-parazione dal mondo materiale, cheper la concezione catara era domina-to dal male. Era convinzione diffusache questo sacrificio finale avrebbe as-sicurato la riunificazione dell’animacon il Dio del bene.28

28 Wikipedia italiano, voce «Consolamentum».

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M Gli ultimi mesi

Il 15 aprile 1943 viene trovata svenutanella sua camera ed è condotta in ospe-dale. Affetta da tubercolosi, aggravatadalle privazioni che aveva deciso diimporsi, muore il 24 agosto29 nel sana-torio di Ashford, fuori Londra, spe-gnendosi serenamente, nel sonno.30

La deposizione della dottoressaHenrietta Broderick, primaria delGrosvenor, fu la seguente (cosí la ri-porta il giornale): «Al suo arrivo, laprofessoressa Weil era del tutto per-suasa che saremmo riusciti a guarirla.

29 Si noti che tra la prima ospedalizzazione e lamorte passarono piú di quattro mesi. Simoneebbe tempo per prepararsi e prepararla.

30 Wikipedia italiano, voce «Simone Weil»

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Giudicammo che la sua tubercolosinon si presentava in fase avanzata eperciò, nutrendosi bene, la malataaveva buone possibilità di guarigio-ne. Il dottor Roberts del MiddlesexHospital di Londra già mi aveva in-formata in una sua lettera del fattoche la professoressa Weil si lasciavamorire di fame e ripeteva senza tre-gua che bisognava mandare il suocibo ai prigionieri di guerra france-si... Reputo che la sua morte sia dovu-ta a collasso cardiaco in seguito a in-debolimento causato dalle privazio-ni, e non da tubercolosi polmonare.Il verdetto del coroner è stato quellodi ‹suicidio in situazione di turbamen-to mentale›». Il certificato ufficialedi morte, che era stato emanato inAshford il 27 agosto dal vice-coroner

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della contea, Mr A.K. Mowll, parladi: «Cedimento cardiaco dovuto a in-debolimento del miocardio, a suavolta causato dalle privazioni e dallatubercolosi polmonare. La defuntasi è condannata e uccisa rifiutando dimangiare, mentre l’equilibrio dellasua mente era disturbato»31

31 Gabriella Fiori, Simone Weil. Biografia di unpensiero, Garzanti, 1981, pp. 9–10. Il riferimentoal rapporto del Coroner è assente nella voce «Si-mone Weil» di Wikipedia italiana (la piú lunga tratutte e la maggiormente controllata da ambientiintellettuali affini ai creatori della machinerie) chesi limita a dar notizia che «Nello stesso giorno, ilTuesday Express titolò in prima pagina: ‹Professo-ressa francese si lascia morire di fame› (French pro-fessor starves herself to death)»: un articolo di gior-nale è ben meno autorevole del rapporto di un Co-roner.

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M La professione religiosa

Sulla cartella di accettazione al Gro-svenor, lo spazio riservato a Religionerimane in bianco, per volontà della pa-ziente.32

M L’infatuazione per il catarismo

Da parecchio tempo infatti mi sentoattratta dalle teorie dei catari, pursapendo poche cose sul loro conto.33

[…] Non sono mai riuscita a capire

32 G. Fiori, cit., p. 10. Wikipedia english, indif-ferente alla volontà della Weil, scrive nel profiloriassuntivo: «Religion. Christian convert».

33 Questa lettera è del gennaio 1941, in seguito laWeil ne saprà di piú sui catari: nel luglio del-l’anno successivo scriverà due saggi sull’argo-mento, sempre colmi di ammirazione.

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come uno spirito ragionevole possapensare al Jahvè della Bibbia e al Pa-dre del Vangelo come a un solo e me-desimo essere. L’influenza dell’anti-co Testamento e quella dell’imperoromano, la cui tradizione è stata ri-presa dal papato, sono a mio avviso ledue cause essenziali della corruzionedel cristianesimo. […] Soltanto essi[i catari] sono sfuggiti a quella gros-solanità di spirito e bassezza di cuoreche il dominio romano ha diffuso suvasti territori e che costituiscono an-cora oggi elementi determinanti del-l’atmosfera europea. C’è nei mani-chei qualcosa in piú del pensiero anti-co, per lo meno di quello che noi co-nosciamo: alcune concezioni splendi-de […] Ma ciò che fa del catarismouna specie di miracolo è il fatto che

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si trattava di una religione e nonsemplicemente di una filosofia.34

§ 17. La tradizione manichea è unadi quelle ove si può essere sicuri ditrovare la verità se la si studia conmolta pietà e attenzione.35

Stefano Borselli

34 Lettera a Déodat Roché del 23 gennaio 1941, in:Simone Weil, L’amore di Dio, Borla, 1968, p.133.

35 Simone Weil, Lettera a un religioso del novem-bre 1942, Borla, 1970, p. 28.

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Nota sui tre saggi seguenti

Dal marzo 2002 al giugno 2003 la rivi-sta Studi Cattolici, Ares edizioni, pubblicòtre articoli fortemente correlati e che rap-presentarono come un completamento deGli Adelphi della dissoluzione, l’importantepamphlet di Maurizio Blondet che semprela Ares aveva dato alle stampe nel 1994. Itre saggi, che ripubblichiamo grazie alla cor-tesia di Cesare Cavalleri, direttore di StudiCattolici, recano tre diverse firme, probabil-mente tutte di fantasia. In particolare: il pri-mo, «La rivoluzione postmoderna», SCn°493, marzo 2002, era firmato Angelo Vi-gna, ma ormai è noto che era opera di Piero

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Vassallo; il secondo «Cristina Campo e la‹Tradizione› primordiale», SC n°496, giu-gno 2002, è firmato Gianni Rocca; e il terzo«Furio Jesi: un ‹curioso› intellettuale di sini-stra», SC n°508, giugno 2003, è a nome diGianandrea Torre. Noi siamo quasi certiche dietro Torre e Rocca vi sia una solopersona, uno studioso di vaglia che scegliel’anonimato solo per rifuggire dalla socie-tà dello spettacolo. Al terzo saggio abbia-mo pensato di far seguire un brano trattoda un bel lavoro sullo studioso torinesepubblicato da Leandro Piantini dieci anniprima di quello di Torre. Sembra che an-che Piantini avesse letto con una certa in-quietudine il romanzo di Jesi, come testi-moniano le rassicuranti parole in chiusu-ra: «Faremmo però torto all’intelligenza di-

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sincantata di Jesi se prendessimo tropposul serio le sue fantasie». Parole che, percontrasto, richiamano alla mente quelledi Giaime Pintor il quale dichiarò che lavo-rando alla traduzione del Vathek, (altroromanzo «fantastico») di William Beck-ford si era reso conto di quanto facesserosul serio i preromantici inglesi. N

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La rivoluzione postmoderna*

(Angelo Vigna)o storico che volesse datare l’ini-zio dell’età postmoderna non po-trebbe tenersi lontano da quel ro-

vente 1943 che fu teatro della polemica traJean Paul Sartre e Georges Bataille intor-no al predominio, nelle numerose correntidell’ateismo contemporaneo, della speran-za umanistica o degli incentivi al pessimi-smo oltreumano.36

L

* Il Covile, n°812, settembre 2014. Fonte e ©:Studi Cattolici, n°493, marzo 2002.

36 Su Georges Bataille cfr. la ponderosa raccolta disaggi di Pietro Palombo, Tra Hegel e Nietzsche:Georges Bataille e l’eccesso dell’essere, Annali dellaFacoltà di Lettere e filosofia dell’Università di

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Nelle pagine della rivista Cahiers duMidi, Bataille, sulla traccia dei surreali-sti,37 di Léon Šestov38 e di Alexandre Kojè-

Palermo, Palermo 2001. In questo eccellentelavoro di ricerca, l’autore analizza impietosa-mente l’amalgama di filosofemi tracotanti e mi-stici furori che rappresenta l’ammodernamentoe la propalazione degli incubi gnostici, usati perattirare la ragione nella pazza rivolta contro séstessa.

37 Jacob Taubes ha dimostrato l’analogia dell’a-narchismo surrealista e della «mancanza nichili-sta di mondo della gnosi tardoantica». La dimo-strazione taubesiana, pertanto, è svolta a partiredall’esperienza gnostica del mondo: nel lin-guaggio gnostico, cosmo vuol dire anche ordinee legge, «ma il segno che questi vocaboli possie-dono in greco viene invertito. L’ordine divental’ordinamento rigido e ostile, la legge diventa lalegislazione tirannica e malvagia. [...] Il limite

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ve,39 aveva beffeggiato i santoni della sini-stra umanitaria indicando la fatale conver-genza dei princípi della filosofia hegeliana(ancora considerata «vertice speculativo

che nello schema cosmologico antico era ga-rante dell’ordine armonico, nell’esperienza gno-stica diventa la barriera esteriore che bisognasuperare. Il concetto di Aldilà, dunque, nel lin-guaggio gnostico possiede un significato eviden-te. L’Aldilà è il luogo del Dio oltremondanoche è concepito come un contro-principio rispet-to al mondo. I predicati gnostici di Dio — inco-noscibile, innominabile, indicibile, illimitato,non esistente ecc. — sono predicati negativi. De-vono essere intesi come negazione del mondo edeterminano polemicamente l’opposizione delDio oltre mondano nei confronti del mondo».Cfr. Jacob Taubes, Messianismo e cultura. Saggidi politica, teologia e storia, Garzanti, Milano2001, p. 227.

38 Léon Šestov (1866–1938) fu autore di un saggio

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della modernità») con le ebbre e disperatesuggestioni di Nietzsche (allora giudicatoalla stregua d’ispiratore dionisiaco del nazi-smo). L’annessione e la riforma dellamentalità politeista40 di Nietzsche e di

(L’idea del bene in Tolstoi e Nietzsche) che, se-condo Pietro Palumbo, influenzò profondamen-te Bataille. Nel saggio in questione, Šestov, cheprofessa un dualismo teologico d’improntamarcionita, riabilita l’irrazionalismo immorali-stico e fa di Nietzsche un paladino della verafede (concepita come antitesi all’imperio dellaragione e della morale).

39 Nelle lezioni tenute alla Sorbona tra il 1933 e il1938, Alexandre Kojève ha dimostrato che«l’antropologia di Hegel è una filosofia dellamorte [...] Sapere assoluto hegeliano e ac-cettazione cosciente della morte concepita comeannichilimento completo e definitivo, fannotutt’uno»

40 Gli dèi, nella teoria weberiana, sono le potenze

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Weber da parte di un esponente della sini-stra estrema, quale Taubes, erede dellesuggestioni magico-qabbalistiche che cir-colavano tra i precursori dell’espressioni-smo e del surrealismo,41 costituisce, ap-punto, l’inizio del «postmoderno», l’etànella quale Giovanni Paolo II ha contem-plato l’insorgere della cultura di morte,Lucio Colletti l’affermazione della filo-sofia della disperazione, Augusto Del Noce

impersonali e metaumane, il perenne conflittodelle quali domina la scena del mondo. Nell’ope-ra di Weber come in quella di Nietzsche l’oriz-zonte è completamente invaso e dominato dalpregiudizio deterministico.

41 Sulle influenze esoteriche nella critica della civi-lizzazione occidentale cfr. l’ampia nota intro-duttiva di Elettra Stimilli a Jacob Taubes, Mes-sianismo e cultura, op. cit., pp, 15 ss.

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il dominio di un’ideologia di genere i-naudito, il totalitarismo della dissoluzione,un forsennato attacco alla creazione. Diconseguenza si può convenire con PietroPalumbo quando sostiene che Bataille,«postfilosofo non accademico», ha gioca-to un ruolo molto importante nel contestodella filosofia contemporanea, in quanto«presenta un impianto teorico esplicita-mente riferito insieme a Hegel e a Niet-zsche».42

In quest’orizzonte di sintesi, la logoradialettica del padrone e dello schiavo è so-stituita da un conflitto metafisico che op-pone la libera fantasia all’ordine naturale,la creazione alla salvezza, il pneuma al no-mos. Alle categorie della scienza economi-

42 Pietro Palombo, op. cit, p. 41.

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ca succedono le categorie della metafisicagnostica: gli autori della nuova sinistra, in-fatti, non hanno adeguato Hegel al poli-teismo di Nietzsche, ma, al contrario, han-no immerso l’anticristianesimo coribanti-co (e dissolutorio) di Nietzsche nelle ac-que gnostiche, che Rosenkranz dimostròessere soggiacenti a Hegel.43

M Nietzsche & qabbala.

l rabbino apostata della tradizione bi-blica Jacob Taubes, che ha trapianta-A

43 Per «gnosticismo» s’intende qui il dualismo teo-logico che contempla il conflitto tra il Dio crea-tore e giusto e il Dio redentore e buono. Dovebuono è antitetico a giusto. La formulazionepiú coerente dello gnosticismo, pertanto è quel-la di Marcione.

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to le intuizioni di Bataille nella culturasessantottina, era evidente che il mito poli-teista non poteva reggere il confronto conl’esperienza religiosa della Bibbia. Di quiil problema di rettificare la strategia del-l’ateismo rivoluzionario, problema cheTaubes risolse combinando il politeismodi Nietzsche con l’interpretazione ma-gico-qabbalistica della Bibbia.44

44 Taubes, seguendo le teorie di Oskar Goldbergsul mito, giustificava la trasgressione della leg-ge imposta dal Dio giusto: «La filosofia di Gold-berg può attestare solo che dobbiamo mangiareancora una volta all’albero della conoscenza perritornare nella condizione dell’innocenza. Per-ché questa è la legge del processo irreversibiledella storia della conoscenza»: cfr. «Dal cultoalla cultura», in Messianismo e cultura, cit. p.122.

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Taubes, pertanto, ha definito il nuovoprotagonista della rivoluzione

Sé trascendente e acosmico presentenell’uomo, un centro acosmico del-l’io, un’interiorità ultima e irrelatache corrisponde al Dio oltremon-dano. L’idea del pneuma come inti-ma trascendenza dell’uomo fonda nel-la gnosi tardoantica una nuova ideadi libertà che, per quel che riguardale sue conseguenze mondane, porta aun anarchismo e a un libertinismomorale. L’uomo pneumatico è unhomo novus, per cui la legge e la sa-pienza del mondo non sono piú vin-colanti. Lo gnostico pneumatico è ildandy dell’antichità.45

45 Jacob Taubes, «Note sul surrealismo», in Mes-sianismo e cultura, cit., pp. 227–229. Piú avanti

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La consacrazione nietzschiana ha cau-sato la sostituzione del lavoratore con ildandy, e del rivoluzionario in tuta blu conil rivoltoso da salotto, che rivolge la suaprotesta poetica

contro il decadimento della naturadovuto alla scienza e alla tecnologia,conseguenza di un sapere che è pote-re e che, in quanto dominio e vio-lenza, può essere esercitato solo suuna natura disincantata.46

(p. 248), Taubcs, rispondendo a un’obiezionecritica di Hans Blumenberg, sottolinea «il risen-timento e l’aggressività della gnosi nei confron-ti degli ordinamenti vigenti».

46 Ivi. Quali varianti alla figura del dandy auto-distruttore, la cultura postimoderna propone ilnomade (descritto nelle memorie pederastichedi Bruce Chatwin), il drogato (rappresentato

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Taubes ha chiarito che, nella rivoltacontro il mondo della scienza moderna,agisce «la grande proiezione del Sé non-mondano, che ha scoperto di essere rivolu-zionario».47

Ora i superstiti lettori di Karl Marx (ilbarbuto pensatore di Treviri, che nel1848 pubblicò il manifesto ultimamenteritrattato da Valter Veltroni), ricordanoche a fondamento dell’ideologia progressi-sta stava un rovente disprezzo per la natu-ra incontaminata e per quell’Arcadia pasto-rale che manda in estasi gli ecodandy.

nel dramma di Giovanni Testori, In exitu) e ildepravato-martire (autorappresentato da PierPaolo Pasolini e commentato dallo Zigaina).

47 Ibidem, p. 233.

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Marx, per definire la natura quale fuprima dell’intervento della scienza moder-na, fece uso d’una metafora che stravolge-va l’idea di innocenza primordiale e distupore contemplante; «La carezza impu-ra dell’asinaro alla pastora». L’ingratitudi-ne dell’ateo manifesta in tal modo il di-sprezzo per il creato puro.

Il mondo creato, l’arcadia avvolta dal-la natura senza storia, agli occhi di Marxnon rappresentava nulla di interessante edi poetico. L’avversione al Creatore, per-tanto, si prolungava nell’oltraggio chel’albagia del lavoratore-demiurgo rivolge-va al mondo dell’asinaro e della pastora.Il senso della storia progressista, nella me-tafora marxiana, aveva origine dalla ribel-lione di fronte allo spettacolo della natura

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incontaminata. Infatti il progressismo co-munista, nella versione originaria, era do-minato dalla volontà di contaminare,violentare, scomporre chimicamente e rifa-re industrialmente gli elementi terrestri.

Si può affermare, senza tema di smenti-ta, che il «progetto» fondamentale delcomunismo contemplava la frenetica acce-lerazione del comando biblico («Domina-te la terra») e il suo rovesciamento nellarivoluzione atea dell’homo faber (l’operaioproletario) inteso a sovvertire — dissolve-re e coagulare — la natura semplice.

La rivoluzione marxiana aveva il tim-bro di quella ferocia innaturale che He-gel aveva già intravisto nello sguardo cor-rusco e iroso del lavoratore-distruttore.48

48 Alla costellazione mistica del lavoratore-distrut-

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La dialettica del progresso narraval’avventura «divina» di una collera primor-diale, che rifaceva il mondo per distrugger-lo e rigenerare sé stessa.

Nell’immaginario del progressismoclassico, il mondo nuovo era rappresenta-to dalle ciminiere chimiche e dai maglitecnologici, che avvelenavano, percuote-vano e incendiavano la natura — questomondo: la scena dell’immediatezza arcadi-ca — per dissolverlo e coagularlo. Demoli-re la realtà e ricrearla a somiglianza delsogno ideologico, ecco il riassunto illumi-nistico compiuto da Marx.

tore appartiene anche l’operaio descritto dal pri-mo Jünger e da Evola.

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M Scientismo & naturalismo.

n dandy, o un ecologista estremo,che fosse apparso davanti a Marx, a

Lenin o a un comunista non trasformatodalla rivoluzione culturale, avrebbe merita-to l’accoglienza che si presta alla figuraesecrabile e meschina del profeta del re-gresso o del distruttore della ragione. Nonè un caso che gli eco-romantici, i dandyprofondi, che trasmisero la loro vita cori-bantica a Walther Darré e al III Reich ger-manico, siano diventati automaticamentemortali nemici dell’Unione sovietica.

U

La guerra piú sanguinosa del Nove-cento, infatti, fu combattuta dagli alfieridi due errori contrapposti e apparentemen-te irriducibili: lo scientismo fanatico dei

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sovietici e il naturalismo neopagano deinazisti.

Gli ideologi nazisti, traendo le conse-guenze estreme dall’ostilità (di Wagner,Nietzsche, Jung e Heidegger) nei con-fronti sia della tradizione biblica che di-sponeva il dominio dell’uomo sul mondo,sia dell’Occidente che quel dominio ave-va attuato anche se in modo disordinato,diedero principio a un neopaganesimo in-tegralmente reazionario e squisitamenteregressivo.

Per questo è lecito affermare che l’attodi nascita dell’ecologismo di sinistra, cer-tifica il passaggio dell’ideologia comu-nista dal campo ambiguo e interlocutoriodell’umanesimo scientifico e positivo di

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Marx ed Engels a quello rigoroso e luci-damente folle del naturalismo nazista.

Costruiti sul comune fondamento del-l’apostasia dalla tradizione biblico-apo-stolica — cuore pulsante della Chiesa in-defettibile —, marxismo e nazismo entraro-no in conflitto a causa di una diversa inter-pretazione del concetto di progresso comeallontanamento dalla rivelazione biblica:per i marxisti il progresso (ateo) dovevapassare per la via (ascendente) della scien-za indirizzata all’umanizzazione della na-tura; per i nazisti, invece, doveva percorre-re la via (discendente) della scienza in-clinata alla naturalizzazione dell’uomo.49

49 Nella discesa lungo questo piano inclinato è sta-ta decisiva la spinta al delirio che i pensatori na-zisti ricevettero dalle suggestioni magiche trave-

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Finalmente gli opposti indirizzi del-l’apostasia moderna si ritrovano nellatendenza degli ecologisti a regredire pa-cificamente. I nemici della scienza umani-stica e i distruttori della ragione, inutil-mente avvistati da Lukács e da PierreNeville,50 hanno perso la guerra e vintoil dopoguerra. Il tribunale della culturaha promosso a pieni voti i pensieri a mon-

stite da scienza che erano diffuse da autori comeCarl Jung e Rudolf Steiner.

50 Secondo Taubes, Pietre Neville, protagonistadella prima secessione surrealista, «ha espressotutti gli argomenti possibili contro le conseguen-ze nichiliste, anarchiche ma anche libertine chederivano dalle premesse surrealiste e ha seguitola strada del partito comunista, che ha conside-rato come una chiesa». Cfr. Messianismo e cultu-ra, cit., p. 237.

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te dei crimini condannati a Norimberga,il marxismo è stato travolto e affossatodal dandismo gnostico dei «nazisti spiri-tuali e no violenti». Simone Weil, RenéGuénon, Carl Jung, Alexandre Kojève,Walter Benjamin, Ernst Bloch, TheodorAdorno, Herbert Marcuse, Georges Ba-taille, Pierre Klossowskij, Hans Jonas eJacob Taubes hanno rimosso Lukács epreparato il terreno propizio all’instau-razione del delirio neopagano.

Intorno al 1968, a sinistra s’instauradefinitivamente un pensiero naturalisticoche riduce la via ascendente dei comunistialla via discendente e reazionaria tracciatadagli econazisti. Da allora un nuovo e piúvero Marx accompagna la sinistra reazio-naria che ha invertito la marcia del pro-

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gresso. In questo scenario si alza l’accen-to paradossale sul grido — «Bush in sinto-nia col papa» — scolpito nel titolo di unquotidiano comunista51 per sottolineare laconvergenza di Bush con la scelta papistaa favore della politica per lo sviluppo eco-nomico. Nella lingua del progressismo ag-giornato, il titolo significa che l’oscuranti-sta Giovanni Paolo II convince il reaziona-rio Bush a procedere sulla bieca via del pro-gresso. L’oppio dei popoli diventa il moto-re del progresso. Una bestemmia, fino al

51 Il Manifesto, venerdí 30 marzo 2001. Dal lorocanto i rifondazionisti hanno iniziato il 2002proponendo la liquidazione della memoria diLenin. La liquidazione, forse, non è estraneaalla nuova frontiera dell’ideologia: Lenin fu unaccanito critico dei cascami romantici conserva-ti nell’opera di Hegel.

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1968; oggi una dura (e totalmente incom-presa) lezione di storia impartita ai rifon-datori.

La verità, sfuggita dal seno del comu-nismo profondo, è che il baluardo dell’i-deale umanistico di progresso è costitui-to dal Vaticano. Il tentativo comunistadi rovesciare la Bibbia è fallito nel mo-mento in cui il nazismo ritornante (inav-vertitamente?) ha rettificato il marxi-smo, costringendo i suoi epigoni (a co-minciare dal rivoluzionario culturaleLin Piao per finire al popolo di Seattle eagli anti-global) a camminare con i piedidell’ideologia contadina impiantata nelsalotto surreale. Un colpo mortale alfondamento teoretico del progressismomarxista.

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Lucio Colletti osservava acutamen-te che nei saggi pubblicati nel 1965 daLin Piao per giustificare la rivoluzioneculturale

il soggetto della rivoluzione non era piú laclasse operaia, il proletariato di fabbrica.Lo spostamento dell’epicentro rivoluziona-rio dai paesi industrializzati a quelli del sot-tosviluppo aveva fatto emergere un sog-getto nuovo: i contadini, le plebi rurali; unsoggetto non solo estraneo alla tradizionemarxista, ma a cui almeno il marxismo clas-sico si era spesso mostrato ostile.52

Incominciava quella stagione delle tor-bide ambiguità e delle collusioni umbrati-li tra «sinistra scientifica» e «destra ludi-

52 Lucio Colletti, Tramonto dell’ideologia, Later-za, Bari 1986, p. 10.

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co-mistica» che ebbe per emblema grotte-sco la frangia nazimaoista.53

La cultura di sinistra cominciò a gioca-re a mosca cieca con l’illuminismo e il ro-manticismo e a oscillare penosamente trameriggi scientifici con ebbrezze massive,e crepuscoli ecologici, delibati nei salottidell’oligarchia.

Di qui la doppiezza ideologica che, at-traverso la lettura dell’opera anfibia diWalter Benjamin,54 persuaderà Jacob

53 I teorici della neodestra e i banditori del nazi-maoismo (per esempio Enzo Dantini) in questatrasformazione hanno apprezzato una confer-ma degli argomenti critici (di Nietzsche, Spen-gler ed Evola) contro la «civilizzazione».

54 Per quanto riguarda la personalità di Benjamine la vasta rete delle sue amicizia e frequentazio-ni mistiche e postmoderne (Arendt, Scholem, Blo-

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Taubes a fare propri gli stati d’animo anti-tecnologici e antiumanistici di Nietzsche,Max Weber, Heidegger e Carl Schmitt e aimmergersi nelle inconfessabili profonditàmarcionite del nazismo segreto.55

ch, Wiesengrund, Adorno, Buber, Horkheimerecc.), cfr. le note di Jean Selz e la cronologiadella vita e delle opere curata da Fabrizio Desi-deri, in appendice a Sull’hascisch, Einaudi, Tori-no 1996.

55 Al proposito si deve sempre ricordare che. nellaRiflessione sulla Shoah (1997), Giovanni Paolo IIha dimostrato che le lontane origini, del razzi-smo germanico si trovano nell’eresia di Marcio-ne, che sosteneva la separazione di Cristo dalDio dell’Antico Testamento e predicava un di-sprezzo verso patriarchi e profeti, deragliantenel delirio teologico: Cristo sarebbe disceso agliinferi non per trarre i santi dell’antichità ebraicama i pagani trasgressori della legge, a comincia-re da Caino e dai sodomiti.

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M L’esteta capovolto.

el 1943, Sartre, che nella figuradel pensiero oltreumano credeva di

riconoscere la fonte dell’odiato autoritari-smo, s’indignò e per difendere l’identitàdel progressismo dalla contaminazione di(presunta) destra inventò di bel nuovo laguerra tra il panteismo bianco (l’ateismodella sinistra razionale) e il panteismonero (l’ateismo della destra irrazionale edecadente).

N

Nel fervore della polemica Sartre ab-bandonò ogni cautela «a futura memo-ria», e nella trilogia romanzesca Le che-min de la liberté si spinse a tal punto da as-sociare lo stato d’animo del nazista a quel-lo di una languida e appiccicosa checca.

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Era uno scoperto tentativo di linciaggio:nell’esteta capovolto, che deambulava daun vespasiano militare all’altro, tripudian-do e gongolando per il maschio spettacoloofferto dalle sfilate hitleriane a Parigi, siriconosceva facilmente la doppia vita dimolti personaggi dell’ambiente frequenta-to da Bataille.

La spietata prosa di Sartre affondava ilrasoio nel cuore di una sinistra ancora re-frattaria alla trasgressione omosessuale.Ma l’esito del duello con Bataille era se-gnato: il Sessantotto dimostrerà in via,definitiva che il panteismo nero esercitaun’attrazione irresistibile sul panteismobianco. Il vento dei distruttori della ragione(romantici, esistenzialisti, psicoanalisti)stava mettendo a soqquadro quelle cate-

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gorie illuministiche, che Lukács aveva di-feso disperatamente.56

Herbert Marcuse, coniugando la rivo-luzione ora sul paradigma coribantico di

56 Isaiah Berlin nelle conferenze del 1965, ora rac-colte nel volume Le radici del romanticismo,Adelphi, Milano 2001, ribalta completamentela tesi di Lukács e afferma che l’illuminismo (eal proposito cita Kant), il romanticismo (e alproposito cita Fichte) e l’esistenzialismo (e alproposito cita Sartre) condividono l’opinione se-condo la quale il mondo non ha alcun sostegno:«L’universo in realtà è una sorta di vuoto, in cuinoi e soltanto noi esistiamo e facciamo quel chec’è da fare, di qualunque cosa si tratti, e siamoresponsabili di ciò che facciamo». Con trentacin-que anni di ritardo su Berlin, il guru dei neoillu-ministi italiani, Eugenio Scalfari, giunge allestesse conclusioni, tracciando una linea di pen-siero che congiunge Spinoza a Diderot e Spi-noza-Diderot a Nietzsche, per celebrare la di-

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Nietzsche, ora sul principio tanatofilo diFreud, ha risolto il conflitto immaginarioe pretestuoso tra il «bianco» e il «nero»:

Hegel sostituisce all’idea del progres-so l’idea di uno sviluppo ciclico che,bastante a sé stesso, si svolge nella ri-

struzione della ragione. Di qui ha inizio una fe-stosa scorribanda attraverso Leopardi, Schopen-hauer e Nietzsche: «I passi dello Zibaldonedove si parla del rapporto tra la verità, l’illusio-ne, l’azione, la morte, il nulla, configurano unpensiero di altissima profondità. Non so seSchopenhauer lo conoscesse quando scrisse ilsuo Mondo come volontà e rappresentazione pochianni dopo, né se lo conoscesse Nietzsche quan-do scrisse la genealogia della morale... ma è cer-to che il nucleo filosofico leopardiano costitui-sce uno dei cardini del pensiero moderno». Cfr.Eugenio Scalfari, Attualità dell’Illuminismo,Laterza, Bari 2001, p. 122.

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produzione e consumazione di ciòche è.57

La storia delle furibonde involuzioniculturali a sinistra, infine, ha dato piena-mente la ragione a Bataille. Il disprezzodi Sartre però non era privo di argomenti.Il pensiero e la vita di Bataille erano espo-sti a un’aura viziosa, non indenne dagliinflussi del nazismo documentato dal sag-gio di Scott Lively, The pink swastíka —Omosexuality in the nazi party (FounderPublishing Corporation, Keiser Oregon,1977). Nessuno poteva negare seriamentel’ispirazione omosessuale della mitologianazista o nascondere che Hitler aveva pra-ticato assiduamente gli ambienti della

57 Herbert Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Tori-no 1968, p. 147.

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Vienna bisessuale prima di ottenere il po-tere grazie alle violenze praticate da squa-dre d’azione, le S.A., che si erano date laforma tebana di una milizia di pederasticonclamati e autocertificati.58

In uno scenario degno della Caduta de-gli dei o di In exitu, la pederastia, con lasua segreta tensione antivitale e con il suoseguito di violenze, diventa emblema del-l’apostasia moderna nella fase terminale.L’ateismo, deposti gli ammennicoli della

58 È probabile che Mussolini, che era solito defini-re Hitler «quel degenerato sessuale», possedesseun dossier sui trascorsi del führer. È però singo-lare e documentata l’imbarazzante assenza direazioni germaniche alla pubblicazione sui quoti-diani fascisti di articoli che commentavanol’omicidio di Dollfuss intitolando A Vienna do-mina un cricca di omosessuali assassini.

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scienza illuminata e le insegne della rivo-luzione comunista, si converte alla meranegazione della cultura «borghese», ab-bandonandosi senza ritegno al travestiti-smo e all’orgia drogastica.

Qui il non senso promuove l’oscura-mento iniziatico della ragione e l’ebbrezzaconsacra la caduta della volontà nel giocoinutile e nel furore sacrilego. I testi batail-leani piú famosi, L’ano solare, La paternitàanale, Storia dell’occhio, La parte maledetta,sono semplici variazioni sul ternadell’ateo moderno in cammino verso il nul-la abitante nei luoghi dell’indecenza e del-la dissoluzione. Infine, l’opera teoretica diBataille, Il limite dell’utile, pubblicatadall’editore milanese delle «squisitezze»crepuscolari (Adelphi), conferma, se fosse

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necessario, che l’esito dell’ateismo mo-derno è la riduzione dell’uomo a cosa danulla. Il programma batailleano — tra-sformare l’economia dell’utile nell’econo-mia ineconomica del dono (il potlacht) — èun espediente retorico («dono» è bella ecoinvolgente parola, «utile» ha un suonosciatto, «utilitarismo» ha un basso profilomorale), insufficiente a nascondere l’in-tenzione di eliminare ogni traccia di finali-smo dall’orizzonte dell’agire umano.L’espressione dal timbro catara «econo-mia del dono», in Bataille significa consa-crazione dell’uomo allo scialo e all’ecces-so capriccioso, che si rovescia fuor di séper esaltare l’effimero e il «mistico» nulla.

Il postmoderno «essenziale», dunque,propone la sepoltura dell’umanità nel pri-

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mitivismo, attraverso un totalitarismo del-la dissoluzione che Bataille definisce «lin-guaggio del misticismo» e «profonda incli-nazione per l’orrore». Il vero volto delsuperuomo è dunque il bestione di vichia-na memoria.

M Il mito marcionita.

urante il 1968, Jacob Taubes, in ar-rampicata sui fumi della sofistica,

tentò di nascondere l’inclinazione alla bar-barie che la nuova sinistra aveva ricevutoda Nietzsche, proponendo la distinzionetra la rivoluzione nazista (che intende di-struggere le sovrastrutture borghesi per li-berare il potenziale barbarico soggiacen-te) e la rivoluzione ulteriore del Sessantot-

D

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to, che intende procedere oltre il comuni-smo sovietico sulla via (cinese) dell’e-mancipazione umana.

In questa prospettiva, Taubes, l’ultimoe piú radicale fra gli intellettuali della sini-stra, proponeva un aggiornamento acroba-tico della rivoluzione illuminista:

Oggi sembra che i teorici della rea-zione siano gli ideologi del progressotecnologico, mentre i teorici dell’il-luminismo esercitano un’azione cri-tica per salvare il concetto di progres-so dalla stretta della tecnologia.59

È evidente che Taubes considera.l’oppressione tecnologica alla stregua di

59 Cfr. «Cultura e ideologia», in Messianismo ecultura, cit., p. 307.

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un’aggiornata metamorfosi del nomosdettato dalla teologia monoteista. La viadi liberazione, pertanto, deve seguire lalinea di un ateismo ancora piú radicale diquello marxista, un ateismo capace dicolpire il cuore di quella illusione tecnolo-gica, che sostituisce la realizzazione fan-tastica dell’essenza umana (che non possie-de alcuna realtà).60

L’accertamento di tale esigenza indi-rizza Taubes allo gnosticismo marcionita,una mitologia arcaicizzante che

vive ribellandosi alla dottrina mono-teistica del potere e della creazionedel Dio oltremondano. Nella prote-sta della gnosi tardoantica si manife-sta anche il riconoscimento dei limiti

60 Ibidem, p. 309.

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che la religione rivelata ha posto trail Dio creatore e la creatura.61

Il mito gnostico («che arriva dallezone periferiche dell’ebraismo delle origi-ni, dalla Samaria, la Siria, la Transgiorda-nia e Alessandria» ed è perciò carico disuggestioni primitive)62 rappresenta unateismo piú radicale di quello degli illu-ministi e di Marx perché afferma la supe-riorità dell’uomo sul Dio rivelato:

Nel mito gnostico il dominatore delmondo e suo demiurgo viene istruitocon seguenti parole: noli mentiri Jal-

61 Cfr. «Il mito dogmatico dalla gnosi», in Messia-nismo e cultura, cit., p. 324. Il saggio è statoscritto da Taubes nel 1971.

62 Ibidem, p. 325.

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dabaoth, est super te pater omnium pri-mus Anthropus.63

Se non che l’appropriazione della mito-logia arcaica, custodita dall’ebraismo ete-rodosso, avvicina la rivoluzione taubesianaalla vera fonte del nazismo, l’odio marcio-nita contro il Dio d’Israele. Questo odiosacro, che domina la filosofia di ArthurRosenberg, giustifica infatti qualunque tra-sgressione della legge mosaica, (compresol’omicidio. Il progetto di una rivoluzioneulteriore in tal modo naufraga misera-mente: Taubes è diventalo il faro grotte-sco di un editore polimorfo, Roberto Calas-so, che spaccia la merce prodotta dagli or-

63 Ibidem, p. 327.

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fani di Lin Piao a uso e consumo degli or-fani di Röhm e degli ascari di Cacciari.

Come aveva previsto GiambattistaVico, i concetti dell’umanesimo ateoscendono nella fossa dei serpenti: nell’ulti-mo orizzonte dell’hegeliana «morte diDio», la batailleana morte della ragione sicompone con la guerra dichiarata da LinPiao e Taubcs alla tecnologia. Il «bestio-ne» della Scienza Nuova è la figura che sisvela apertamente nell’apologia del disuti-le, dove, a proposito del nichilismo «guer-riero» interpretato dal tebano Ernst Jün-ger, si dichiara:

Voglio mostrare che esiste un’equi-valenza tra la guerra, il sacrificio ri-tuale e la vita mistica: è Io stesso gio-

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co di estasi e di terrori in cui l’uomosi congiunge ai giochi del cielo.64

Angelo Vigna

64 La frase venne citata da Elémire Zolla nel ne-crologio di Jünger pubblicato sul Corriere dellasera il 15 febbraio 1988.

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Cristina Campo e la«Tradizione» primordiale*

(Gianni Rocca)ul numero di dicembre 1957 diTempo Presente, la rivista culturalediretta da Nicola Chiaromonte e I-

gnazio Silone, il trentunenne Elémire Zol-la, che di lí a poco avrebbe dato alle stam-pe Eclissi dell’intellettuale e con esso attira-to la curiosità delle élites culturali, invita-va i lettori a volgere l’attenzione sulla«squisita deliquescenza della vita e del suonativo impulso», sull’«atmosfera squisita[...] pur nella torbidezza degli ambienti e

S

* Il Covile n°814, settembre 2014. Fonte e ©:Studi Cattolici, n°496, giugno 2002.

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delle situazioni», sul «raffinato disordi-ne»65 della prima opera narrativa di Law-rence Durrell, sodale di Henry Miller efrequentatore dello gnosticismo antico,dal titolo Justine, allora da poco uscita aLondra per la eliotiana Faber and Faber,in seguito inclusa nel piú noto quadritticoAlexandria Quartet. Due numeri dopo,sempre su Tempo Presente, Zolla segnala-va ai lettori la «feconda opera» di MirceaEliade Forgerons et Alchimistes, e l’idea dellavoro ivi espressa, ben diversa da quellaalienante del mondo moderno, privata deisuoi momenti erotici e cosmici, e viva inve-ce nei procedimenti degli antichi alchimi-sti. In essi infatti, secondo Zolla,

65 Tempo Presente, Roma, dicembre 1957, pp.806–807.

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l’esperienza cosmica faceva tutt’unocon l’opera lavorativa, che era parte-cipazione e propiziazione di eventi na-turali-cosmici, nascita-morte-trasf-ormazione dell’universo

e «l’esperienza sessuale parimenti impre-gnava ogni atto del lavoratore», sicché

l’amore rituale che accompagnal’opera georgica, i misteri cantati edanzati che la propiziano non sonomomenti accessori, ornamentali, maparte integrante.66

Marcuse, di lí a poco, avrebbe assentito.Su Paragone, la rivista letteraria diretta daAnna Banti, nel numero di agosto 1960,poco prima quindi della pubblicazione di

66 Tempo Presente, Roma, febbraio 1958, p. 986.

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Volgarità e Dolore (1961) e dell’antologiaI Mistici dell’Occidente (1963), che avreb-be acquistato a Zolla credito negli ambien-ti «tradizionalisti» a lui già attenti, l’al-lora eclettico docente di letteratura ameri-cana pubblicava un saggio su Moby Dick diMelville, intitolato «Melville e l’abbando-no dello Zodiaco». In esso, dopo aver ar-bitrariamente interpretato come atto di so-domia iniziatica l’episodio in cui il prota-gonista Ishmael, alloggiando in una locan-da, si vede costretto per un disguido a con-dividere la camera e il letto con il canni-bale polinesiano Queequeg (successiva-mente suo compagno di viaggio a bordodel leggendario Pequod), Zolla si concede-va una digressione sul significato di talepresunta iniziazione:

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L’incesto o l’omosessualità è l’atto vieta-to dal fas e dallo ius civile, non già dalloius naturale, non ancora proscritto nelle società di spigolatori promiscui che hannoper divinità il cane, non già illecito nellostrato piú profondo della psiche. [...] Lasapienza misterica antica scongiuraval’apparizione di codeste visioni che vannocontro la natura civile con un atteggia-mento senza pa nico e senza ipocrisia. Adun grado inferiore questo esorcismo ope-rava cosí: l’atto abominevole è simbolo divita sciolta da leggi, di vita creativa spon-tanea, di vita vivente dotata di tutta la for-za della vita animale, perciò lo si osa perprepararsi a cose immani ed eccelse e ri-schiose, talché i maghi di certe tribú sidanno forza e potere interiore grazie adatti contro natura, chi si accinge in gene-re a cose straordinarie giace con la sorella

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o con la madre. Ad un grado superiore, insocietà non piú di cacciatori, ma di civiliagricoltori, si forma una sapienza reli-giosa che interpreta in modo rovesciato,per speculum in aenigmate, le visioni di attiabominevoli, e medita il rapporto tral’uomo e l’animale che è simile a quellotra l’uomo e Dio, e considera gli accop-piamenti mostruosi simili a quelli per cuiDio visita l’uomo e lo converte, inverten-do i movimenti naturali del cuore. Il so-prannaturale è innaturale (anche se nonvale l’inverso).

Qui Zolla citava un passo dai quaderni diSimone Weil.

Tutte le unioni con le quali Zeusprocrea i fanciulli mediatori sono il-legittime. Ruolo dell’adulterio nel-la mescolanza medievale di amore e

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mistica. Idea che l’unione di uomoe Dio sia qualcosa di essenzialmen-te illegittimo, contro natura, so-prannaturale. Qualcosa di furtivo esegreto,

e continuava:

Porsi di là del giogo sociale delle leg-gi e simbolicamente per rappresenta-zione ex contrario il matrimonio dellasorella, le nuptiae chimicae solis et lu-nae. La conversione alla vita fluidadell’abbandono vuole che ci si liberida tutti i vincoli meccanici [...] e cisi arriva rovesciando la natura civiledell’uomo con un atto che è altrettan-to contrario ad essa quanto il ritornoalla promiscuità del lo jus naturale.67

67 Paragone, Firenze, agosto 1960, pp. 18–19.

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Nel 1969, poco prima della pubblicazionedi Che cos’è la Tradizione? (1971), libro chesarebbe divenuto un punto di riferimentoper tanti alle prese con lo psichismo col-lettivo della contestazione, Zolla davavita a Conoscenza religiosa, una rivista dedi-ta a scandagliare le manifestazioni dellagnosi nelle tradizioni religiose pressochédi ogni latitudine. Dei dotti e suggestivicontributi basti, a mo’ di esempio, quelloapparso sul numero monografico dell’ago-sto 1978 a opera di Peter Lamborn Wil-son, islamista americano, il quale presenta-va in versione inglese (con traduzione initaliano di Zolla) un antico componimen-to persiano sulla pederastia, intitolato Con-templation of the Unbearded, contempla-zione del (fanciullo) imberbe. Lamborn

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Wilson, che collaborò per diversi numerialla suddetta rivista, negli anni ’80 e ’90sarebbe divenuto noto in un contesto diver-so, quello dei centri sociali, per i qualiavrebbe scritto alcuni testi di successo.Tra questi se ne possono ricordare due,pubblicati negli Stati Uniti: T.A.Z. Tem-porary Autonomous Zones, firmato con lopseudonimo di Hakim Bey (in Italia tra-dotto dalle edizioni Shake, vicine al cen-tro sociale Leoncavallo) e Scandal. Es-says in Islamic Heresy, uno studio su sele-zionate zone d’ombra dell’eterodossiaislamica, in cui spicca un capitolo centra-le, «The witness game: Imaginal yoga & sa-cred pedophilia in persian sufism», sulla pra-tica, appunto, della pedofilia mistica nelsufismo iraniano. Incipit del libro, a indi-

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care presumibilmente vecchi debiti sa-pienziali, quattro parole: «Dedicated toElémire Zolla».68 Com’è dunque facile ve-rificare andando a rileggere i testi, l’ideacreatasi per lo piú negli anni ’60 — e incertuni viva ancora oggi — di uno Zollaprimo periodo, per cosí dire, vicino al cri-stianesimo o esponente di un tradizionali-smo religioso convergente con esso, fu ungrave quanto grossolano fraintendimento.Anzi, un vero e proprio abbaglio. Postoquesto, però, può rimanere, e legittima,una domanda: se l’ispirazione di Zolla fufin dall’inizio quella resa esplicita ed evi-dente ormai da una ventina d’anni, vale adire dionisiaco-shivaita, come poté con-

68 Peter Lamborn Wilson, Scandal. Essays in Isla-mic Heresy, Autonomedia, New York 1988, p. 6.

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ciliarsi con un interesse per le cosiddetteciviltà del commento, il medioevo tolkie-niano, l’Imitazione di Cristo, la Messa disan Pio V? Se l’ispirazione di Zolla fu findall’inizio quella che nell’ultimo La Filo-sofia Perenne lo ha visto porre l’attenzionesul tema, tipicamente shivaita, della sper-matofagia nella lirica del naturista beatGary Snider, quale fu il senso dell’opposi-zione di codesto autore allo tsunami ses-santottino, opposizione capace, per dipiú, di conquistare menti non puerili dellacultura di destra e cattolica? Quale, in bre-ve, il senso della sua difesa della «Tradi-zione», parola capace di riassumere comepoche, in quegli anni, il senso di una batta-glia culturale di molti?

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M Che cos’è la «Tradizione»?

n’indicazione per rispondere aquello che sembrerebbe a prima vi-

sta un paradosso, la troviamo sulla quartadi copertina della recente ristampa di Checos’è la Tradizione? fatta da Adelphi, in cuisi legge:

U

… Che cos’è la tradizione? Solo RenéGuénon è riuscito a restituire al ter-mine il suo senso pieno, di conoscen-za primordiale a cui dobbiamo inqualche modo ricongiungerci se vo-gliamo avere nozione di ciò che è.69

Solo René Guénon quindi, il sommo dotto-re in scienze sacre e massoniche, sembra

69 Elémire Zolla, Che cos’è la Tradizione?, Adel-phi, Milano 1998, quarta di copertina.

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poter essere una guida adeguata in questoàmbito, ragion per cui a lui ci rivolgiamoper avere chiarimenti. E, in particolare, auna delle sue opere piú note, Il Regno del-la quantità e i segni dei tempi, che offre pa-gine interessanti per la nostra questione.Nell’ultimo capitolo di questo libro, «Lafine di un mondo», Guénon, dopo aver dis-sezionato con la solita distesa e cartesianaprosa la decadenza del mondo moderno,la sua progressiva solidificazione e la suaconsequenziale disgregazione, fa alcunepuntualizzazioni sul senso di questo pro-cesso ormai giunto in prossimità del suoapparentemente letale nadir:

Gli argomenti che abbiamo trattatonel corso di questo studio descrivonoin generale quelli che, secondo l’e-

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spressione evangelica, si possonochiamare i «segni dei tempi», cioè indefinitiva i segni precursori della «fi-ne di un mondo» o di un ciclo; questaappare come la «fine del mondo»,senza restrizioni né specificazioni disorta, solo per coloro che non vedo-no niente oltre i limiti di questo ciclostesso, errore di prospettiva certo pie-namente scusabile, ma che nondime-no conduce a conseguenze spiacevoliper gli eccessivi ed ingiustificati ter-rori che ingenera in chi non sia suffi-cientemente distaccato dall’esistenzaterrestre; ed è sottinteso che sonoproprio costoro, a causa della ristret-tezza delle loro vedute, che troppofacilmente si lasciano convincere daquesta concezione erronea. Per la ve-rità, data l’esistenza di cicli di durata

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assai diversa contenuti in certo qualmodo gli uni negli altri, è un fattoche possono esserci diverse «fini delmondo», e che la stessa nozione puòsempre essere analogicamente appli-cata a tutti i gradi e a tutti i livelli,ma è evidente che la loro importanzaè molto ineguale, come i cicli stessi acui si riferiscono; e a questo proposi-to è doveroso riconoscere che quellada noi presa in esame qui è incon-testabilmente di maggior portata dimolte altre, poiché rappresenta lafine di un intero Manvantara, cioèdell’esistenza temporale di quellache si può propriamente chiamareun’umanità...».

Posta la propria visione ciclica del mon-do, quindi, Guénon non sminuisce la reale

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portata del momento — la fine di un inte-ro Manvantara, il ciclo di un’intera uma-nità— eppure, dopo aver condotto il letto-re a una consapevolezza estrema di tuttociò, lo invita a un’inaspettata serenità.Poco piú avanti spiega perché:

Da un lato, se questa manifestazioneviene presa semplicemente in se stes-sa senza riportarla ad un insieme piúvasto, tutto il suo cammino, dall’ini-zio alla fine, è evidentemente una«discesa» o una «degradazione» pro-gressiva, ed ecco quello che può esse-re chiamato il suo aspetto «malefi-co»; ma da un altro lato, questa ma-nifestazione, vista nell’insieme di cuifa parte, produce risultati che hannoun valore realmente «positivo»nell’esistenza universale, e occorre

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che il suo sviluppo prosegua fino allafine, ivi compreso lo sviluppo dellepossibilità inferiori dell’«età» oscu-ra, affinché l’«integrazione» di que-sti risultati sia possibile e diventi ilprincipio immediato di un altro ci-clo di manifestazione: ed è questoche costituisce il suo aspetto «benefi-co».

Chiaro, anche se forse non immediato,l’assunto sottostante: la disintegrazionedel mondo, o «sviluppo delle possibilitàinferiori dell’età oscura», visto all’internodi un processo ciclico è sí allontanamentomassimo dallo stato primordiale, ma allostesso tempo punto piú vicino al suo ripri-stino, cosí come disegnando una circon-ferenza il punto terminale di essa viene a

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coincidere con quello iniziale. O comespiega meglio Guénon stesso:

Dal punto di vista particolare di quelche dovrà essere distrutto, essendo lasua manifestazione compiuta e comeesaurita, tale fine è naturalmente cata-strofica «nel significato etimologicoin cui questo termine evoca l’idea diuna caduta» improvvisa ed irrimedia-bile; ma d’altra parte, dal punto di vi-sta secondo cui la manifestazione, nel-lo sparire come tale, si trova ricon-dotta al suo principio per tutto ciòche essa ha di esistenza positiva, que-sta stessa fine appare, al contrario,come il raddrizzamento in virtú delquale, come abbiamo detto, nonmeno istantaneamente tutte le cose

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vengono ristabilite nel loro «statoprimordiale».

E dato tutto ciò, non è difficile evincereuno degli arcana della «metafisica» guéno-niana: per ricongiungersi allo stato pri-mordiale, un cammino iniziatico o unocontroiniziatico, uno di reazione o uno didissoluzione, uno attraverso il tradizionali-smo à la De Maistre o uno attraverso loyoga tantrico, sono di per sé perfettamen-te equivalenti, preferibili l’uno rispettoall’altro a seconda del punto del ciclo incui ci si trovi. L’unica cosa che conta è ilriassorbimento della ciclicità nel suo statoprimordiale, il quale, si noti bene, non èun edenico inizio, uno stato di purezza eperfezione dell’essere, ma, al contrario,qualcosa di assolutamente antitetico a

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esso: una negazione assoluta dell’essere,un abissale, appunto, non-essere. Un prin-cipio da cui l’essere — compresa la suaforma perfettissima, Dio — e la manifesta-zione derivano come errori, illusorie gene-razioni, le quali solo in un ritorno allaloro origine possono trovare metafisicocompimento. Ovvero, come riassume convelata sinteticità sempre Guénon:

In un primo momento abbiamo parla-to come se i due punti di vista «be-nefico» e «malefico» fossero in qual-che modo simmetrici; ma è evidenteche ciò non sussiste e che il secondoesprime esclusivamente qualcosa diinstabile e di transitorio, mentre ciòche rappresenta il primo ha solo uncarattere permanente e definitivo, di

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modo che l’aspetto «benefico» nonpuò prevalere alla fine, mentrel’aspetto malefico sparisce completa-mente non essendo altro che un’illu-sione inerente alla «separatività». Sol-tanto che, a questo punto, non si puòpiú parlare propriamente di «benefi-co» e di «malefico» come di due ter-mini essenzialmente correlativi checaratterizzano un’opposizione chenon esiste piú: come tutte le opposi-zioni essa appartiene esclusivamentead un certo campo relativo e limita-to, una volta superato il quale restasoltanto ciò che è e che non può nonessere né essere diverso da ciò che è;se si vuole andare fino in fondo allarealtà dell’ordine piú profondo, sipuò affermare in tutto rigore che «lafine di un mondo» non è mai e non

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potrà mai essere altro che la fine diun’illusione.70

Ora, se si tiene presente che il mondo —la manifestazione — è per Guénon unamera illusione che, in quanto tale, deve es-sere riassorbita nel principio della negazio-ne dell’essere, e che da tale principio (infi-nito—abisso) un altro ciclo, un’altra illu-soria manifestazione sarà automati-camente generata, diventa comprensibilecome la «metafisica» guénoniana si sveli,al fondo, un puro culto della negazione,della distruzione. E che, posti tali fonda-menti, la Tradizione a cui si rifà Guénonin tutta la sua opera, coincida pressochéperfettamente, per esempio, con la tradi-

70 René Guénon, Il Regno della Quantità e i Segnidei Tempi, Adelphi, Milano 1982, pp. 267–270.

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zione shivaita in India,71 con quella dellaGrande Madre nel mondo mediterraneo,o, per rimanere all’interno di canoni di ri-ferimento biblici, con quella del Ser-pente, di Caino, Sodoma et alii.

Tali, allora, furono la «Tradizione» eil «tradizionalismo» per Elémire Zolla. Etali furono per la figura che non a caso fupiú di ogni altra legata a Zolla sentimen-talmente e intellettualmente — dalla finedegli anni ’50 alla metà degli anni ’70,cioè Cristina Campo. Come per lo Zollaprimo periodo, infatti, anche per Cristina

71 Non è un caso che uno dei massimi, recenti di-vulgatori dello shivaismo in Occidente, AlainDaniélou, ha sigillato il suo magistrale Shiva eDioniso con un richiamo propiziatorio a RenéGuénon e alla sua Tradizione.

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Campo il presunto anelito spirituale el’opposizione alla modernità, miscelati inun «intransigente e aristocratico tradizio-nalismo cristiano» che l’ha resa a suomodo celebre, altro non furono che ladifesa e il tentativo di ricongiungimento auna Tradizione che, lungi dall’essere quel-la cristiana o un’altra comunque con essacollegata, fu quella di cui ci ha magi-stralmente edotti Guénon. La biografiadella Campo dal titolo Belinda e il Mostro,scritta dalla giovane giornalista CristinaDe Stefano e da poco uscita presso Adel-phi (Milano 2002, pp. 224, Euro 16, 50),aiuta a focalizzare questo orientamentoprofondo della scrittrice, offrendo diversispunti di riflessione, dei quali qui ne se-gnaliamo alcuni.

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M La «Tradizione» di Cristina.

elle belle pagine del libro in que-stione, leggiamo che la ventenne

Cristina Campo, nella Firenze della metàdegli anni ’40, nutre la sete di assolutocon il vuoto zen della Murasaki, l’anelitoantivitale di Rilke e di Hofmannsthal.Leggiamo soprattutto, però, che neglianni appena successivi, mentre sono al suofianco religiosi come i serviti R. Turoldo eP. Vannucci, e mentre la Bibbia è fra lesue letture, fa già l’incontro con uno deipensieri che piú segneranno la sua forma-zione: quello di Simone Weil. Incontro fa-tale, spiega la biografa («Cristina legge epenetra il pensiero della filosofa, lo ab-braccia senza riserve»; «Per tutta la vita

N

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terrà accanto a sé i suoi libri, da leggeresoprattutto la sera, prima di addormentar-si, ‹come pane sacramentale›»)72 sí da por-tarla oltre la semplice ammirazione, finoa forme di vero e proprio mimetismo. Ap-punto per questo, secondo noi, sarebbevalsa la pena richiamare alcune idee por-tanti della pensatrice francese (su cui laDe Stefano invece non si sofferma), senzauna corretta comprensione delle quali èdifficile capire Cristina Campo, che a essesi rifà costantemente. Noi lo facciamo,seppur velocemente, affidandoci alle pagi-ne della maggior biografa della Weil, cioèSimone Pétrement:

72 Cristina De Stefano, Belinda e il Mostro. Vitasegreta di Cristina Campo, Adelphi, Milano2002, p. 52.

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1) Dio è un’entità assente e opposta allacreazione, nella quale vige, invece, un or-dine malvagio o legge di necessità:

Ciò che è essenziale del catarismo,come dello gnosticismo, è che la sepa-razione fra Dio e Mondo è piú pro-fonda di quanto appaia nel cristiane-simo ordinario, piú profonda soprat-tutto di quanto non sembri insegnarel’Antico Testamento. (Per mondo icatari, al pari di Giovanni, in-tendevano sia il carnale che il socia-le). Gnostici e catari distinguevanoDio dal mondo, non solo nel sensoche Dio è personale […] neppuresolo nel senso che c’è una differenzainfinita fra Creatore e creatura, manel senso che Dio è veramente al dilà del mondo, cioè, in qualche modo,

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assente dal mondo; e che questo è pri-ma di tutto l’impero delle potenze,delle forze. Quando dicevano, conlinguaggio mitico, che il Creatore esovrano del mondo è distinto dalvero Dio, pur essendo stato tratto dalui, in qualche modo, intendevanodire che il mondo ha la propria leggee gli avvenimenti mondani non sonodiretta espressione della volontà divi-na, espressione del Bene. Simoneaffermerà che, per creare, Dio si è ri-tirato da una parte di se stesso e hafatto posto alla necessità. Su questopunto, essenziale, ella dunque si ac-corda con il catarismo e lo gnostici-smo, pur adoperando un’immaginediversa.73

73 Simone Pétrement, La Vita di Simone Weil,

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2) In Dio convivono un aspetto perso-nale e uno impersonale:

L’essere fuori dal mondo, l’esser cioètrascendente, significa semplice-mente che Dio è personale? Nonsembrerebbe. Tanto piú che, in alcu-ni testi, [Simone] dice che in Diocoesistono, al contempo, un aspettopersonale e uno impersonale. NellaPersonne et le Sacré, parla del benesuperiore che è impersonale. In Y a-t-il une dorine marxiste? affermache certi buddihisti, che escludono lanozione di un Dio personale, si sonotuttavia elevati fino alla vita mistica.La fede, di cui lei vuole definire inquesto scritto l’essenziale, è certa-

Adelphi, Milano 1994, p. 513.

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mente quella che è comune a tutti imistici.74

3) La creazione (come visto anche so-pra) è un ritirarsi di Dio, quindi una cadu-ta, un precipitato negativo:

La creazione non è consistita in unestendersi di Dio, ma in un suo ritirar-si. Egli non ha creato, al di fuori disé, degli esseri che prima non esiste-vano, estendendo cosí l’àmbito diesercizio del suo potere; al contrario,ha lasciato fuori di sé un àmbito cheprima era in lui, e dove ormai eglinon interviene piú o interviene solo acerte condizioni. Un àmbito o piutto-sto due: quello in cui egli non inter-viene, cioè il mondo, che egli ha affi-

74 Ibidem, pp. 619–620.

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dato alla sua necessità; e quello incui interviene solo a certe condizio-ni, vale a dire le anime degli esseripensanti. Nell’uno e nell’altro Diostesso si è limitato.

Aggiunge poco dopo sempre la Pétrementche, è bene ricordarlo, fu annoverata a suotempo tra i piú autorevoli studiosi di gno-sticismo:

Si trova forse il raro esempio di unateoria analoga in Isaac Luria, un cab-balista del XVI secolo, e soprattuttonel suo discepolo Hayyim Vital. [...]Forse è possibile individuare qual-cosa di simile anche negli Oracoli cal-dei, testi del II secolo che apparten-

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gono probabilmente allo gnosti-cismo cosiddetto pagano.75

4) Essere creato, per l’uomo, è simul-taneamente peccare, e l’io dell’uomo è ap-parenza menzognera:

Il peccato originale non è qualcosadi diverso dalla creazione, qualcosache sarebbe venuto in seguito: non losi può separare dalla creazione. Èl’esistenza stessa del singolo esserepensante ad essere colpevole. Perquesta ragione Simone Weil, parlan-do della necessaria rinuncia dellapersona a se stessa, la definisce conun termine forte: decreazione. Dio,ritirandosi, ci ha permesso di esiste-re, l’ha fatto per amore, ma affinché

75 Ibidem, pp. 623–624.

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per amore rinunciassimo spontanea-mente all’essere che egli ci ha dato.Cos’è in definitiva questo essere cheegli ci ha dato? È un vero essere? Si-mone dice piú volte che l’io in realtàè niente, che l’essere dell’uomo è unnon-essere.76

5) La tradizione mosaica e la sua conti-nuazione nel cattolicesimo romano, oltread avere corrotto il «cristianesimo origina-rio» (formulato nella dottrina dello gno-stico Marcione), sono state tra le piú gravisciagure per l’umanità, per aver combattu-to lo spirito di Canaan e i culti mediterra-nei riconducibili alla religio della GrandeMadre: «Non ho mai potuto capire», dicedirettamente la Weil,

76 Ibidem, pp.624–625.

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come sia possibile a una mente ragionevoleconsiderare lo Yahweh della Bibbia e il Pa-dre invocato nel Vangelo, come un solo emedesimo essere. L’influenza dell’Antico Te-stamento e quella dell’Impero romano, dicui il papato continua la tradizione [quindinon certo l’Impero romano di Nerone edEliogabalo] sono, a mio parere, le due causeessenziali della corruzione del cristianesimo.

Continua la Pétrement:

[Simone] pensa che il catarismo sia stato inEuropa «l’ultima espressione viventedell’antichità preromana». Prima della con-quista romana, un medesimo pensiero, e-spresso in forme diverse, viveva «nei misterie nelle sette iniziatiche dell’Egitto e dellaTracia, della Grecia, della Persia». [...] «Èda questo pensiero che è scaturito il cristiane-simo; ma solo gli gnostici, i manichei, i cata-

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ri sembrano esservi rimasti veramente fede-li»,77

per cui, come ricordato da P. Perrin,

Israele [leggi la tradizione mosaica]era veramente la cittadella di tutte lesue [di Simone] opposizioni, il nododi tutte le sue resistenze.78

6) Il medioevo cataro è stato il verticedella civiltà cristiana, l’umanesimo unasua oscura contraffazione:

La rinascita dell’XI e del XII secoloè stato l’autentico Rinascimento.[...] L’altro Rinascimento, quello fal-so, ha ben presto prodotto l’Uma-nesimo; [...] fra il vero e il falso Ri-

77 Ibidem, p. 509.78 Ibidem, p. 532.

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nascimento, che cos’era accaduto?«Molti crimini ed errori. Il criminedecisivo è stato probabilmente l’as-sassinio del paese occitanico sul cuisuolo noi viviamo».79

7) La figura di Cristo è da inserirsi nel-la tradizione celebrata da Guénon, vivatrasversalmente nei culti cananei, dionisia-ci, shivaiti o taoisti. In particolare Cristoè da leggersi come la controfigura di Shi-vaDioniso (citiamo stavolta dal testo dellaWeil, Lettera a un Religioso):

… Baal e Astarte erano forse figuredel Cristo e della Vergine;80

79 Ibidem, p. 578.80 Simone Weil Lettera a un Religioso, Adelphi, Mi-

lano 1996, p. 17.

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Tutte le Dee madri dell’antichità,come Demetra e Iside erano figuredella Vergine;81

Le cerimonie dei Misteri di Eleusi edi Osiride erano considerate sacra-menti nel senso in cui noi oggi li in-tendiamo. E forse erano veri sacra-menti, dotati della stessa virtú del bat-tesimo o dell’eucaristia, virtú chetraevano dal medesimo rapporto conla Passione del Cristo.82

In ogni caso, non si può dire con cer-tezza che il Verbo non abbia avutoincarnazioni anteriori a Gesú, e cheOsiride in Egitto, Krsna in Indianon siano da annoverare tra queste;83

81 Ibidem, p. 24.82 Ibidem, p. 19.83 Ibidem, p. 21.

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Se un indú crede che Visnu è il Ver-bo e Shiva lo Spirito Santo, e che ilVerbo è stato incarnato in Krsna e inRama, prima di incarnarsi in Gesú,con quale diritto gli si rifiuterà il bat-tesimo?;

Il Cristo ha dato inizio alla sua vitapubblica cambiando l’acqua in vino.L’ha terminata trasformando il vinoin sangue Egli ha cosí mostrato la suaaffinità con Dioniso Lo stesso valeper le parole: «Io sono la veravite».84

Idee, queste, che la Weil — e di rifles-so la Campo — ha espresso con un lin-guaggio della classica tradizione cristiana,84 Ibidem, p. 23.

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fornite quindi di non pochi fraintendimen-ti. Come insegnava infatti l’autorevole rab-bino marcionita Jacob Taubes,85 il lin-guaggio degli gnostici è spesso decifrabilesolo se si ha presente che il suo segno vie-ne invertito rispetto all’uso originario, percui, per esempio, espressioni come graziao amore soprannaturale, in chiave gnosti-ca — ed è il caso della Weil e della Cam-po — vengono a indicare il pneuma e il su-peramento dell’ordine creaturale propridegli eresiarchi dei primi secoli.

85 A proposito l’articolo di Angelo Vigna, La rivo-luzione postmoderna, sul numero di marzo 2002di questa rivista.

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M T. S. Eliot & Joë Bousquet.

rasferitasi a Roma alla fine del1955, mentre su indicazione di Igna-

zio Silone si interessa alla figura di Char-les de Foucauld e dei piccoli fratelli dellacarità, la Campo si interessa al «cri-stianesimo tradizionalista» di T. S. Eliot:«Il mio Thomas» scrive, «detestato ed a-mato, dove si mischia come in nessun al-tro, sapore di vita e di morte...»;86 «...C’ètanto di Simone, in quei versi; ma questo,s’intende, nessuno l’ha mai notato».87 Èlo stesso periodo in cui, in una delle suemissive all’amica Margherita Pieracci —la Mita delle lettere pubblicate da Adel-

T

86 Cristina Campo, Lettere a Mita, Adelphi, Mila-no 1999, p. 17.

87 Ibidem, p. 18.

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phi — la Campo informa costei dell’arri-vo dalla Francia dell’epistolario tra Simo-ne Weil e Joé Bousquet, appartato intellet-tuale surrealista, cultore ossessivo dell’o-scenità e soprattutto della sodomia, vistacome via eminentiae al Divino:

E una corrispondenza importantissi-ma: Simone il grande angelo terribi-le, ma Bousquet un Giacobbe cosídolce, gaio e vivente.88

Aggiunge Mita in margine a questa lette-ra:

Bousquet ha lasciato un corpus con-siderevole di opere in versi e in prosae, certo non meno importanti agli oc-chi di C. [Cristina], un meraviglioso

88 Ibidem, p. 40.

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esempio, in tempi cosí inquieti, di di-gnità e di coraggio.89

M Il mito della Grande Madre.

empre nei primi anni romani, l’amicaGabriella Bemporad, germanista e

figlia dell’editore Enrico Bemporad, pre-senta alla Campo Ernst Bernhard, lo psi-canalista tedesco, di probabili ascendenzefrankiste, quindi estremamente espertonell’infiltrare l’ambiente cattolico roma-no, che, allievo di Jung, ne ha introdottola dottrina in Italia e che, in contatto congli ambienti letterari della capitale — manon solo — svolge un lavoro clinico-cul-turale di grande portata: «Nel suo studio

S

89 Ibidem, p. 318.

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passa un’intera generazione di intellettua-li italiani», scrive la De Stefano.90

Il fine di questo lavoro è esposto daBernhard in uno dei suoi rari interventipubblici, che esce sul numero di agosto1961 di Tempo Presente, intitolato «Il Pro-blema della Grande Madre. Problemi e

90 Belinda e il Mostro, op. cit., p. 64. Tra questi sipossono citare Giorgio Manganelli, FedericoFellini, Attilio Bertolucci, Bobi Bazlen, BiancaGarufi, Cesare Pavese. Sull’importanza di Bern-hard nella vicenda di quest’ultimo e sul lavoroculturale fatto in quegli anni attraverso la casaeditrice Astrolabio Ubaldini, da lui fondata e di-retta, cfr Maurizio Blondet, Gli Adelphi delladissoluzione, Edizioni Ares, Milano 20014. Del-la presenza di Bernhard durante i preparatividel progetto Adelphi, ha dato conto recente-mente lo stesso Roberto Calasso, sulla rubricaStorie del sito web www.adelphi.it.

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Possibilità della Psicologia della GrandeMadre in Italia». In questo articolo Ber-nhard dà una lettura in chiave analiticadella realtà socioculturale del nostro Pae-se, vedendo in essa la presenza sotterra-nea dell’antico culto della Grande Madremediterranea:

La chiave che ci permette di svelarel’enigma dell’anima italiana, è laconstatazione che in Italia regna laGrande Madre mediterranea, la qua-le, nonostante le molte civiltà sovrap-postesi, non ha perduto nei millenniné di potenza, né d’influenza.

Per Bernhard lo stesso cattolicesimo portain nuce questa presenza:

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Il titolo di Pontefice Massimo per ilPapa, derivato dal passato etrusco, èrestato nella Chiesa romana quale se-gno significativo di questa soprav-vivenza della civiltà etrusca nellaChiesa Romana, come del resto illato «occulto» della Grande Madre,la sua facoltà d’accogliere l’oltre-mondano, il miracolo, la magia e i fe-nomeni sincretistici in generale, chedai tempi degli etruschi vive intattanell’anima popolare italiana, ha datoalla Chiesa Romana i profondi soste-gni a cui poterono radicarsi salda-mente i suoi tratti «magici». Questicostituiscono uno speciale fascino del-la Chiesa cattolica e contribuisconograndemente alla sua vitalità e allasua popolarità in Italia.

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Problematico, però, in questa sopravvi-venza della Grande Madre nel cattolicesi-mo italiano, è, secondo Bernhard, il fattoche questa presenza è stata eccessiva-mente spiritualizzata:

Quando gli ebrei nei territori limi-trofi al deserto vennero in contattocoi culti matriarcali e impararono aconoscere le grandi madri mediterra-nee e i loro culti orgiastici di fecondi-tà, essi si difesero dalla seduzione adabbandonare il loro padre celestemercé una rigorosa morale sessuale,che li protesse dalla fascinazione del-la Grande Madre. Col cristianesimo[...] la difesa contro l’aspetto orgia-stico della Madre mediterranea fuconservata. Ciò ha nobilitato e spiri-tualizzato la Madre mediterranea nel

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cristianesimo e posto l’aspetto dellasanta verginità della Grande Madrein posizione centrale. Ma il lato istin-tivo e passionale di essa,

sottolinea il discepolo di Jung,

non venne estinto: esso continua a vi-vere sotterraneo e la scinde in luce eombra nella santa madre-vergine(madre, sorella, figlia, sposa) e nellaprostituta.

Lo sforzo da compiere in Italia, allora, sa-rebbe quello di far riemergere questo latonotturno, e non solo all’interno del catto-licesimo:

Dovunque, nella vita pubblica,nell’arte e nella scienza, nella politi-ca e nella religione, nel costume e

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nelle usanze, ma prima di tutto nellapsicologia e nel destino del singolo,la Grande Madre deve essere resa tra-sparente con la sua luce e la sua om-bra,

sí che

in armonica compiutezza possa di-schiudere tutte le sue ricchezze.

Un sorta di rinascimento magico e cana-neo, quindi, che avrebbe trovato in Simo-ne Weil una fiera sostenitrice, e che difattitrova da parte della Campo una risposta al-tamente positiva. Scrive la sua biografa:

Cristina ammira Bernhard, lo consi-dera una specie di mago, un tauma-turgo.91 Le piace la sua capacità di

91 L’attrazione per il rapporto fra mistica e sensua-

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leggere la mano e consultare IChing, la sua abilità nel disegnare,per ogni paziente, la Casa del cielo.[...] Grazie a lui approfondisce i te-sti di Jung, che a Firenze ha solo sfio-rato. [...] A Bernhard manda gli ami-ci piú cari, come Gianfranco Dra-

lità, per il trapasso di questa in quella, che è unadelle note dominanti del cristianesimo dellaCampo, richiama fortemente l’attenzione postada Bernhard sui tratti «magici» della Chiesa ro-mana, interpretati come retaggio ancestrale del-la Grande Madre. Scrive la De Stefano: «[Cristi-na] incantata dai gesti e dalle forme della devo-zione popolare, che nella loro fisicità — toccarele reliquie, baciare le immagini sacre, cammi-nare in ginocchio nei santuari —mantengonouna traccia dell’antica sensualità, del misterodei cinque sensi «gettati al largo, fuori del cor-po»» (Ibidem, p. 137).

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ghi,92 che diventerà uno dei dirigentidella società junghiana. Da Bern-

92 Gianfranco Draghi, come si legge, fu uno degliamici piú cari di Cristina Campo. Con lui l’autri-ce, a inizio anni ’50, fondò un supplemento cul-turale al Corriere dell’Adda intitolato La PostaLetteraria, e con lui, Ignazio Silone e MarioLuzi condivise nel medesimo periodo la sco-perta del pensiero di Simone Weil. Di Draghi illettore può consultare la raccolta di racconti In-verno/Carnevale, pubblicati a piú riprese neglianni ’50, nella cui seconda parte in stile lando-lfiano, tra lordure e blasfemie, si potrà im-battere in lirismi come questo: «‹La quintessen-za della realtà, signori colleghi e amabile pub-blico, care puttane e giovani pederasti, la pu-dica realtà, la cui volonterosa essenza si formanell’attimo stesso del bello› declama nell’assolol’omino dalla fulva capigliatura, ‹è questo no-

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hard impara il fascino della spirituali-tà orientale....93

E anche negli anni successivi, come testi-monia l’epistolario con Margherita Pierac-ci, la Campo si rifarà spesso alla figuradell’analista berlinese. Alla fine deglianni ’50 la Campo inizia a frequentarel’abbazia benedettina di Subiaco. Nel me-

stro stesso passo, processione›, ‹Agnus Dei quitollis peccata mundi, dacci la pace che ricer-chiamo [...] noi embrioni inesistenti, noi fugaciombre fantasime e aborti, anime immaginatesenza senso, noi sforzatori di puerpere mori-bondi, chiusi occhi capo secco infantile mostro,vergogna di padri disonorati...›». Cfr Gianfran-co Draghi, Inverno/Carnevale, Claudio Lom-bardi Editore, Milano 1990, p. 140. Tutti glialtri e piú interessanti lirismi sono, per questio-ni di decenza, irriferibili.

93 Belinda e il Mostro, op. cit., p. 65.

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desimo periodo inizia la sua relazione conElémire Zolla, «forbitissimo angry youngman anglo-torinese»94 e da poco sposatocon la poetessa Maria Luisa Spaziani, dacui rimane attratta giudicandone l’intelli-genza «abbagliante»,95 ovvero, come scri-ve l’autrice in una lettera, «di gran lungala piú notevole che abbia incontrato nellanostra generazione».96 Intenso è il rappor-to umano che ne scaturisce:

Accanto al compagno lei — cosípoco abituata alle mediazioni — im-para che si può accettare l’unadell’altro la parte sconosciuta, fan-

94 Ibidem, p. 99.95 Ibidem, p. 94.96 Ibidem, p. 92.

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ciullesca, ferita. La parte tenebrosache chiede solo di venir liberata,97

e alta la sintonia intellettuale:

È difficile capire cosa si trasmetta dalei a lui, e cosa nell’altro senso. Sinutrono, in quegli anni, delle stesseletture.98

Ovviamente fa capolino, fra gli autori diriferimento, il nome di Guénon.

Assistono la Campo, durante questianni di travaglio spirituale e di maturazio-ne di un «tradizionalismo» sempre piúmarcato, oltre a Elémire Zolla, anche«mistici» come Bobi Bazlen, RobertoCalasso, Guido Ceronetti, Pietro Citati e

97 Ibidem, p. 99.98 Ibidem, p. 114.

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altri che ritroveremo in parte nell’innercircle della casa editrice Adelphi, in partefra i collaboratori di Conoscenza religiosa.

M Una strana difesa della liturgia.

n concomitanza con i lavori del Conci-lio Vaticano II, cresce l’attenzione di

Cristina Campo per il mondo bizantino,in particolare per la «spiritualità» dell’or-todossia russa e del Monte Athos. Il moti-vo di questa scelta, che ha suggestionatomolti, è spiegato dalla Campo piú volte:

I

Frequentare le Chiese orientali miha confermato (se ce ne fosse stato bi-sogno) che la liturgia è l’archetiposupremo del destino e non solo del de-stino dei destini, quello di Cristo, ma

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del destino semplicemente. È, percosí dire, la suprema fiaba, alla qualenon si può resistere.99

E la fiaba, nella visione della Campo, conil suo cammino che «s’inizia senza speran-za terrena»100 ha un preciso significato:

La caparbia, inesausta lezione dellefiabe è dunque la vittoria sulla leggedi necessità, il passaggio costante adun nuovo ordine di rapporti e as-solutamente niente altro, perché asso-lutamente niente altro c’è da impara-re su questa terra101

99 Ibidem, p. 139.100 Cristina Campo, Gli Imperdonabili, Adelphi, Mi-

lano 1987, p. 32.101 Ibidem, p. 34.

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scrive la Nostra, con un esplicito riferi-mento a Simone Weil, alla legge di neces-sità di cui sopra, e al suo relativo, necessa-rio superamento.

Logico che, con un tale riferimento difondo quello di Simone Weil, appunto —la Campo si trovi particolarmente ispiratadal Monte Athos, «ultima cittadellaperfetta rimasta ancora sulla superficie diun globo infetto»,102 ambiente tradi-zionalmente ostile al papato e all’umanesi-mo cristiano, oltre che spesso nei secoli ca-nale privilegiato per la penetrazione dellagnosi nel mondo cristiano. Da perfettaathonita, tra l’altro, Cristina si ritrova sul-le scalinate di San Pietro a parlare conl’amico Sergio Quinzio del mistero del so-

102 Lettere a Mita, op. cit., p. 276.

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glio di Pietro violato e della presenza diSatana nella città eterna. Come ricorda ilmusicologo di casa Adelphi, Mario Borto-lotto:

Questa ragazza credeva molto nellapresenza a Roma di questi nuclei disatanisti; inutile dire che la centraledi questa presenza era il Vaticano, echi era il satanista per eccellenza?Sua Santità evidentemente.103

Ma come Zolla, che pur visitando il Mon-te Athos e avendo tra i personaggi di riferi-mento Rasputin e Florenskij, trova ampiospazio di lavoro, in quegli anni, tra intel-lettuali e religiosi cattolici, cosí la Campotrova la possibilità di rimanere in contatto

103 Belinda e il Mostro, op. cit., p. 145.

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con la «guénoniana Tradizione» anchelontano dalla immota spiritualità dellaTerza Roma. Nella battaglia in difesa delrito e della liturgia cattolico-classica, incui si getta con passione e tenacia, stringerapporti con una rimarchevole serie di per-sonalità ecclesiali:

Il mio telefono squilla soltanto achiamate di Cardinali, Vescovi, pre-lati, Abati e preti — ma devo direche sono la gente meno noiosa delmondo quando parlavo con gli scrit-tori, che deserto!...104

scrive a Mita, il 27 novembre 1967. Evi-dentemente, dello zelo liturgico dellaCampo non a tutti è chiaro l’orientamento

104 Ibidem, p. 145.

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di fondo,105 che l’autrice lascia balenare inuno scritto apparso su Conoscenza religiosanel 1971, e ora raccolto nel volume GliImperdonabili, dove, parlando dei colloquitra san Francesco di Sales e una claustralea cui Dio si è rivelato nei misteri del san-gue e dell’acqua, scrive:

Ogni sillaba di quei colloqui, chel’umile ragazza riferisce nel suo am-

105 E da sottolineare, a scanso di ulteriori equivoci,che la difesa della liturgia classica operata dallaCampo muoveva sí da argomentazioni spesso le-gittime, ma mirando a diffondere nel clero e neifedeli — spesso disorientati e turbati dai cambia-menti in corso — uno stato d’animo da fine delcattolicesimo tout court. Fine che, in sintoniacon gli schemi guénoniani, avrebbe dovuto apri-re le porte al ritorno di culti piú vicini alla pri-mordiale Tradizione.

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mirabile, antiquato francese, fa fre-mere. Dio sa se una meditazione diquesto genere predisponga agli acco-stamenti avventurosi, ma il ricordodello Shiva distruttore e rigenera-tore vi è qualche volta irresistibi-le.106

Ed evidentemente non a tutti è nota, ochiara nel suo significato, la passione chein quello stesso periodo Cristina Camponutre per la poetessa americana Djuna Bar-nes, celebratrice dell’atrocità e della la-scivia, che Zolla nel suo ultimo La Filo-sofia Perenne accosta all’indagatore delneopaganesimo rinascimentale Joan Pe-tru Coulianu107 e al marchese De Sade, in

106 Gli Imperdonabili, op. cit., p. 237.107 Finito ucciso nel ’91 in una latrina della Divinity

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quanto a luce ispiratrice per le proprie ri-cerche. Scrive la De Stefano:

Cristina Campo e Zolla sono tra i po-chi che conoscono Djuna Barnes, inItalia. Lui ne ha scritto sul Corrieredella Sera, lei sul Giornale d’Italia.Entrambi seguono da vicino le tratta-tive del suo agente con gli editoriitaliani [...]. Dopo molte esitazioni,Cristina si decide a scriverle. Lemanda il suo saggio Gli Imperdonabi-li, che — le spiega nella lettera di ac-compagnamento — è tutto centratosu una lunga citazione da The An-tiphon. [...] Le confessa la sua am-mirazione: «I suoi libri non mi abban-donano mai. Erano e sono dei com-

School dell’università di Chicago, in circostan-ze mai chiarite.

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pagni duri, come può immaginare: èda quando ho cercato di tradurreThe Antiphon, nel quale ho fallitoper la mia ignoranza, che desidero es-sere una scrittrice e poetessa miglio-re. Nell’estate del 1969 Zolla si recanegli Stati Uniti e riesce ad incontra-re Djuna Barnes a New York. Cristi-na non può affrontare il viaggio ma lisegue da lontano, come le accadesempre piú spesso con le persone chele sono care. Negli anni successivicontinua a scrivere a Djuna Barnes.Le racconta della sua scoperta dellareligione, della guerra per la difesadella liturgia latina, per la quale rie-sce anche a strapparle una firma su

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un appello di intellettuali del1971...108

M Il misterioso Andrea Emo.

on tutti, però, si lasciano fuorviaredai rituali e dai paramenti sacri del-

la Campo. C’è anche chi decifra con insoli-ta sicurezza la natura di quello zelo. Nel1972, dopo la pubblicazione de Il flauto eil tappeto, giunge alla scrittrice, dall’alto,uno speciale imprimatur sotto forma dilettera di ammirazione per il lavoro svol-to, di entusiasmo per «il passaggio di que-sto astro nei nostri squallidi cieli».109 Vie-ne da un lettore sconosciuto, ma non

N

108 Belinda e il Mostro, op. cit., pp. 147–148.109 Ibidem, p. 161.

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certo qualsiasi: Andrea Emo, destinatoprobabilmente a rimanere uno dei casi piúsingolari e rilevanti nella storia della filo-sofia italiana del ’900. Nato nel 1901 dal-l’antica famiglia veneziana degli Emo Ca-podilista, allievo di Giovanni Gentile,Emo «non ha attività pubbliche, madall’età di diciassette anni non ha fatto al-tro che studiare filosofia».110

Ritiratosi a vita superappartata, divisatra la dimora palladiana di Rivella, vicinoa Padova, e quella romana, Palazzo Maz-zei, Emo spende l’intera vita in una rigoro-sa e ascetica solitudine contemplativa: «Ilpensare», come si legge in un ricordo scrit-to da un amico,

110 Ibidem, P. 161.

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nella sua tragicità pura e talvolta op-primente fino a non essere sostenibi-le, è stato la vera vita di Emo, alconfronto della quale l’altra, l’esi-stenza, sembra non essere stata cheun mero supporto biologico.111

Ed essendo quello di Emo «un perpetuopensare che si scrive»,112 il risultato sonoquasi quarantamila fitte pagine di appuntilasciate alla sua morte, di cui due assaggisono stati pubblicati alcuni anni fa, con iltitolo Il Dio negativo e Supremazia e male-dizione:

I quaderni erano il suo vero e unicoluogo: qui egli poteva abbandonare

111 Andrea Emo, Il Dio negativo, Marsilio, Venezia1989, p. 252.

112 Ibidem, p. 252.

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ogni amabilità e affabilità, cancellareogni distacco e scrupolo, dimettereogni soavità e riserbo; qui e soltantoqui si liberava quello di cui non si po-teva parlare, quello che non può esse-re oggetto di conversazione e di dialo-go, e invadeva ogni pagina, e ogniriga, perché costituiva la sorgentenon esauribile del suo pensiero, delsuo sentimento del mondo, della suapercezione della vita: il negativo, lamorte, il nulla, le tenebre.113

Fisso nella contemplazione di un princi-pio metafisico superiore e antitetico al-l’essere, un non-essere appunto (in questosenso «Dio negativo»), Emo è invaso daun orrore non solo per il mondo moder-

113 Ibidem, pp. 253–254.

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no, ma per la creazione stessa, illusoriagenerazione del principio negativo, a cuiguarda con una furia nichilista che può ri-cordare, per intensità, quella di un AlbertCaraco:

Tutto ciò che è, è una presenza crea-ta da una negazione; e questa pre-senza è un essere, è tutti gli esseri,che non dovrebbero mai dimenticarsidi questa origine, che non dovrebbe-ro mai credersi una realtà immediata.[...] La presenza trattata oggettiva-mente si corrompe come un ca-davere. E noi siamo pieni di odori ca-daverici.114

Il nulla è terrificante, ma non è maipreoccupante e terrificante come

114 Ibidem, p. 38.

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l’essere. Il nulla è la salvezza nei con-fronti dell’essere — l’essere che è laperdizione.115

Il battesimo nel nulla è la porta dellavita eterna; il battesimo nel nulla èl’unica consacrazione della vita. Maperché la vita ha bisogno di con-sacrazione? Il fatto che la consacra-zione è necessaria alla vita, dimostrache essa è qualcosa di assurdo, di ter-ribile, di maledetto — è l’assolutodel male, anzi peggio. Forse sono for-tunati coloro che non sentono il biso-gno della consacrazione, della serie-tà; coloro che non sentono l’orroredella vita.116

115 Ibidem, p. 31.116 Ibidem, p. 50.

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Stupirà forse qualcuno che Emo vedacome portatore di tale visione lo stesso cri-stianesimo:

Il Dio nascosto, il Dio negativo, ègià implicito nel cristianesimo, reli-gione antichissima che ha origine in-sieme all’uomo; religione del Dio sa-crificato che, per la logica stessa del-la sua situazione diviene religione delDio che si sacrifica, cioè che si nega.Il Dio la cui attualità ed atto e realtàè il negarsi. Ed a sua immagine e so-miglianza sono gli uomini e il mon-do;117

e che la fede divenga strumento per rove-sciare l’obbrobrioso presente:

117 Ibidem, p. 39.

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La fede è essenzialmente una negazio-ne implicita della realtà. La realtà èper tutti una prigione: ma, fortunata-mente, una prigione male custodita.Ora, la fede insegna a negare questemuraglie, insegna il modo di fuggir-le, ecc. La scienza è invece un’affer-mazione di questa realtà; il modoche essa ci insegna di liberarci dallarealtà è appunto quello di affermarela realtà. La fede invece vuole inse-gnarci a fuggire la realtà, insegnan-do a negarla...118

Idee che suscitano una certa impres-sione, ma che non suonano come nuove.In esse, infatti, si riconosce chiaro il river-bero di un mondo antico, solo apparente-

118 Ibidem, p. 5.

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mente tramontato, del cui sacro fuocoEmo è stato a suo modo una vestale: quel-lo dell’oligarchia veneziana. Ma, chiare,anche altre assonanze: quelle con Massi-mo Cacciari, per esempio, che attinge almedesimo lascito «dogale», ma anchequelle con Guénon, con il «cristianesimo»di Simone Weil e quindi di Cristina Cam-po. Non per niente tra costei ed Emo na-sce una stretta amicizia: «Faceva telefo-nate lunghissime a mio marito», ricordala vedova di Emo, Giuseppina Pignatelli,«ogni tanto veniva a trovarci con ElémireZolla. Era una donna di rara eleganza...».Scrive la De Stefano:

Fra le carte di Andrea Emo sonoconservate molte lettere a CristinaCampo. Lei gli regalava dei libri, i

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suoi libri — William Carlos Wil-liams, Simone Weil — talvolta gli fa-ceva visita.119

Un legame degno di nota, se si pensa alvoluto, radicale isolamento di Emo dalmondo della cultura ufficiale, eccettuatisporadici incontri con Ugo Spirito e unrapporto con Alberto Savinio. Del resto, aindicare l’importanza che Cristina Campoebbe per questo speciale filosofo, c’è unaltro particolare a suo modo eloquente.Nell’infinito, decennale monologo regi-strato da Emo nei suoi quaderni, e in cui,come viene riportato, «non un solo libro ècitato, non un incontro, non un evento»,c’è un unico momento in cui tale graniticaconcentrazione s’interrompe. È a metà di

119 Ibidem, pp. 161–162.

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un lungo testo, dove l’autore scrive: «Emorta, Cristina Campo è morta».120

M Epilogo.

ppurati quindi la natura della reli-giosità di Cristina Campo e il suo

carisma raro per la mistificazione, nonstupisce che codesta autrice sia oggi innal-zata a icona dall’ambiente letterario al-l’interno del quale visse e operò. Di frontea tali immagini sacre, tuttavia, a noi sem-bra per una volta opportuno, e non contra-rio al dogma, un atteggiamento di sana ico-noclastia.

A

Gianni Rocca

120 Il Dio negativo, op. cit., p. 252.

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Furio Jesi: un «curioso»intellettuale di sinistra*

(Gianandrea Torre)el discusso articolo La rivolu-zione postmoderna, apparso sulnumero di marzo 2002 di que-

sta rivista a firma di Angelo Vigna, l’auto-re sosteneva la tesi di una metamorfosi del-la gnosi marxista a partire dalla fine deglianni ’70, manifestatasi con un passaggioda posizioni «progressiste» a posizioni «re-gressive», informate queste al disprezzodella ragione, al culto della natura e del-l’eros (anche e soprattutto sodomitico),

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* Il Covile n°816, ottobre 2014. Fonte e ©: StudiCattolici, n°508, giugno 2003.

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alla diffusione di stati d’animo irrazionalie antiumani. Posizioni riconducibili, quin-di, a quel «neopaganesimo integralmentereazionario e squisitamente regressivo», aquel particolare uso della scienza, «in-clinata alla naturalizzazione dell’uo-mo»,121 e a quel culto dell’eros «virile»,che furono crismi della gnosi nazista comedi quella antica. A tale riguardo Vigna fa-ceva l’esempio del rabbino sessantottino Ja-cob Taubes (scoperto e lanciato in Italiada Adelphi con La teologia politica di sanPaolo), singolare guru della contestazionetedesca che propose alla «nuova» sinistrateutonica, come nuova immagine di rivolu-

121 Angelo Vigna, «La rivoluzione postmoderna»,Studi cattolici, n. 493, marzo 2002, p. 214. [Orain Il Covile N° 812. N.d.R.].

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zionario, non piú la figura dell’operaio se-dizioso in tuta blu, ma un’altra dai conno-tati piú antichi: quella dello gnostico deiprimi secoli, che Taubes raffigurava comeun sorta di dandy dell’antichità, rivoluzio-nario «pneumatico» la cui sovversione sitraduceva in antinomismo, trasgressionesessuale e in avversione per le facoltà razio-nali dell’uomo. Gnostico che Taubes, poi,focalizzava nella figura di Marcione, l’ere-siarca del secondo secolo definito da sanPolicarpo «primogenito di Satana», chepredicò un forsennato odio per il Diod’Israele e la sua Legge, celebrò «Cristo»come liberatore dal giogo del Padre, venu-to al mondo per riscattare cainiti e sodo-miti e che — testi alla mano — fu una del-le matrici del peculiare Christentum di

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Houston Stewart Chamberlain, DietrichEckart, Alfred Rosenberg e molti altrinumi del nazionalsocialismo tedesco. Mauna conferma ancor piú interessante dellatesi di Vigna, sempre nell’àmbito della sini-stra colta e contestatrice degli anni ’60 e’70, la si può trovare in Italia, nella pro-duzione di un autore che, passato in om-bra dopo la prematura scomparsa nel1980, è stato riproposto negli ultimi annida case editrici come Mondadori, BollatiBoringhieri, Einaudi e Quodlibet (etichet-ta minore, quest’ultima, a cui si deve si-gnificativamente la pubblicazione di uncarteggio fra Jacob Taubes e Carl Sch-mitt): Furio Jesi.

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M Una meteora senza luce.

ato a Torino nel 1941 da famigliadell’ebraismo «laico», egittologo a

quindici anni con un saggio pubblicatosull’americano Journal of near EasternStudies, in seguito antichista errabondoper il Mediterraneo, germanista, indaga-tore irrequieto dei rapporti fra mito e lette-ratura, saggista iperprolifico e cattedrati-co di letteratura tedesca a trent’anni puravendo interrotto gli studi regolari dopola prima liceo, Jesi fu — come anche po-chi dati biografici lasciano capire — unasorta di meteora sulla scena culturale ita-liana: fulmineo nel passaggio, in evidenzaper l’originalità, ammirato per la rara cul-tura e tuttavia, come ogni tanto accade

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con siffatti corpi celesti, frainteso nelladirezione, sia all’interno che all’esternodella propria area politico-culturale.

Cosí — tanto per fare un esempio — loha ricordato, ancora dopo tanti anni, il po-litologo schmittiano Alessandro Campi inun’introduzione a un saggio sull’indo-europeista Georges Dumézil (studioso cheJesi tradusse e con cui ebbe diretti contat-ti):

Per la destra intellettuale italiana —tradizionalista e radicale — FurioJesi rappresenta un’autentica ossessio-ne. Fazioso oltre ogni sopportabile li-mite, Jesi è stato anche, indubbiamen-te, uno degli studiosi piú minuziosi emetodologicamente piú ferrati delcosiddetto pensiero ‹tradizionale› Il-

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luminista coltissimo, ha dedicatogran parte della sua ricerca a denun-ciare gli «abusi» ideologici a suo giudi-zio perpetrati dalla cultura di destra— tradizionale, conservatrice, fasci-sta, nazista, nazionalista — nei con-fronti delle culture sapienziali.122

Valutazione sostanzialmente ribadita an-che da una voce di differenti connotazioniideologiche, quella dell’austriaco HansThomas Hakl, studioso di esoterismo, coe-ditore della rivista in lingua tedesca Gno-stika, che nel suo recente, documentatostudio sulla storia della junghiana fonda-zione Eranos, ad Ascona, ha parlato di

122 Jean Claude Rivière, Georges Dumézil e glistudi indoeuropei, Il Settimo Sigillo, Roma 1993,p. 22.

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«un puro razionalismo illuminista del piúimpegnato marxista Jesi».123 Quando, inrealtà, Furio Jesi fu ben altro. Dietro la fa-ziosità e l’appassionata presa di posizionepolitica, infatti, difficilmente il lettoreche si addentrasse negli scritti di questostudioso troverebbe disquisizioni su Marx,Engels, Trockij o Gramsci. Troverebbesemmai (e, dato non irrilevante, già inscritti dei primi anni ’60) un ininterrottodialogo con la Romantik tedesca, con Rai-ner Maria Rilke, con il circolo poetico diStefan George, in generale con i rappresen-tanti di quella Germania segreta (titolo diun libro di Jesi) che il Lukács dei primianni ’50 fulminò come distruttrice della

123 Hans Thomas Hakl, Der verborgene Geist vonEranos, Scientia Nuova, Gaggenau 1989, p. 45.

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ragione e propiziatrice tout courtdell’avvento del nazismo. Per quanto ri-guarda l’appellativo di illuminista, poi,questo potrebbe essere adeguato se inter-pretato come fu dallo stesso Jesi, che nelsuo studio Mitologie intorno all’illumini-smo, in capitoli come «La morale del sa-crificio umano», «Il simbolismodell’impiccagione», «Eros e utopia», spa-ziando nei parallelismi e nei richiami traAline e Valcour di De Sade, Luce del sessodi Maria de Naglowska, Zanoni di LordEdward Bulwer Lytton, dimostrò che sedi lumi si vuol continuare a parlare in rife-rimento alla stagione culturale di fine’700, bisogna pensare a quella peculiareluminosità a cui alluse John Milton —uno che se ne intendeva — nel primo li-

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bro del Paradise lost parlando di «darknessvisibile». E che, come sostenuto nel capi-tolo iniziale «Il miracolo secondo ragio-ne», se di razionalismo illuminista si vuolspecificamente parlare, è prima di tuttoalla scuola cabalistica di Yitzachàq Luria,al messianesimo antinomico degli ebreiapostati Shabbetày Zeví e Jakob Frank (dicui vedasi oltre) e al loro influsso carsicosu Kant e soci, che bisogna far riferimen-to.

Lungi dall’essere un distaccato analistadi mitologie e religioni antiche, un disse-zionatore di esoterismo e saperi tradiziona-li a fini politicamente demistificatori, Jesifu, con libri come appunto Germania se-greta, Mitologie intorno all’illuminismo oLetteratura e mito, Esoterismo e linguaggio

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mitologico, Cultura di destra, L’accusa delsangue, e altri, uno dei primi intellettualiin Italia a svelare e a promuovere quellametamorfosi esaminata da Vigna nel suoarticolo, ovvero il ricongiungimento dellacosiddetta cultura di sinistra con fonti gno-stiche che furono proprie anche del terzoReich germanico, fonti che Jesi sintetizza-va con il nome di «religione della morte».Una dichiarazione d’intenti insolitamenteesplicita e riassuntiva a riguardo, Jesi lafece nel 1965, all’indomani della pubblica-zione di Germania segreta, in una lettera auno degli autori piú importanti per la suaformazione intellettuale, cioè Kàroly Ke-rényi:

Caro Professor Kerényi [...] Ella miscrive che il lavoro da me iniziato sul-

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le sopravvivenze di miti nella Germa-nia del ’900 non può «essere condot-to a termine con giustizia». Nonsono proprio sicuro che giustizia tra-duca interamente Gerechtigkeit, macredo che con qualche approssimazio-ne, il concetto sia il medesimo. Pensodi essere cosciente dei pericoli insitinell’accostare intimamente — comemi propongo di fare — una vicendadi orrore e di morte: il contagio di untale genere di male trova sempre fa-cile terreno dentro di noi. Ma poichéio stesso, per vivere operando, mi tro-vo nella necessità di trovare qualchechiarezza in quella parte di me che èpiú affine o meno difesa nei confrontidelle forze oscure agenti nella trage-dia tedesca, potrei sperare di compie-re un’opera catartica. «[...1 Se mi è le-

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cito ricorrere a un paragone lettera-rio, la mia situazione attuale assomi-glia a quella dei personaggi di De-mian di Hesse: un atteggiamento difronte al divino o all’extraumano chenon esclude in esso la parte piú terrifica,di orrore e distruzione.124 Per questoebbi a scriverLe in passato che po-nevo qualche dubbio sulla possibilitàe l’efficacia di una «guarigione del-l’uomo». Se analizzo piú fredda-mente possibile la mia posizione, vi ri-trovo una sorta di fatalismo (nel qua-le riconosco la mia eredità ebraica) di-nanzi alle colpe di cui l’uomo è capa-ce, unito a una forma di «compren-sione» nei confronti dei colpevoli:comprensione che — lo so — potreb-

124 Le parole in corsivo sono nostre.

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be essere considerata colpa essa stessa,come complicità. Anche di fronte alnazifascismo, di cui odio le azioni,conservo una sorta di comprensioneper ciò che vi è di umano nei suoi rap-presentanti. Il concetto della respon-sabilità personale mi sembra qualcosadi empirico, che vale ai fini del mante-nimento della vita nel mondo, mache non ha implicazioni metafisiche.E giusto che Hitler e i suoi complicisiano stati puniti: altrimenti la vitanon avrebbe potuto sopravvivere. Macredo di riconoscere, nell’opera diHitler, qualcosa che trascende le re-sponsabilità umane; credo insommache il vero colpevole degli orrori delnazismo non sia stato l’uomo Hitler,ma quella forza temibile quanto gliangeli di Rilke, che si è servita di

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quell’uomo, invadendo la sua volon-tà. Con questi presupposti mi accingoall’opera di cui Le scrissi. Mio scopoè il porre in evidenza come forze oscu-re — ciò che in Demian è Abraxas —abbiano agito nella vicenda dellaGermania moderna, servendosi di uo-mini, i quali appaiono ormai ai nostriocchi solo piú come veicoli di orrore.Ciò mi consente di spiegare come ta-luni influssi di quelle forze — chesono insieme orride e meravigliose, epacificanti — abbiano condotto altriuomini — non per questo «meritori»,come non «colpevoli» mi appaiono in

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profondità i nazisti ad opere di bellez-za.125

Spiegazione quest’ultima a cui Jesi sidedicò con zelo non solo in Germania se-greta, ma in tutta la sua produzione, comesi può vedere, per esempio, da uno deisuoi ultimi testi uscito nel 1979, vale adire Cultura di destra.

M Dal massacro la bellezza.

ella prima parte di questo denso eatipico saggio di cultura politica,

Jesi dava infatti una pudica dimostrazionedi quell’assunto espresso diversi anni pri-

N

125 Furio Jesi, Kàroly Kerényi, Demone e mito, car-teggio 1964–1968, Quodlibet, Macerata 1999,pp. 5051.

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ma al riverito maestro ungherese. Dopoaver premesso la sostanziale estraneità delfascismo italiano a un’autentica religionedella morte,126 l’ormai affermato enfant

126 «Sembra paradossale dirlo, perché il fascismoha fatto evidentemente scialo di materiali mito-logici; ma la tecnicizzazione delle immagini mi-tiche [...] eseguita dal fascismo italiano mostraprecisamente tutte le caratteristiche di una fon-damentale freddezza, non partecipazione, con-sumo anziché devozione: caratteristiche armoni-che con un radicale rifiuto o almeno con una ra-dicale ignoranza del quid di segreto implicitonella produzione mitologica, qualunque sia lasua forma. Il linguaggio mitologico del fascismoitaliano — a differenza da quelli di altri settoridella destra europea — è quasi esclusivamenteessoterico: è fatto di ‹trovate› anziché di ritualinel vero senso della parola». Cfr Furio Jesi,Cultura di destra, Garzanti, Milano 1993 (1979),p. 32.

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prodige della germanistica italiana prende-va in esame alcuni esempi di fascismi aquesto riguardo piú qualificati: il Terciospagnolo del generale José Millàn Astrayy Terreros (ma pure qui, con le dovuteriserve) e soprattutto la romena «Guardiadi Ferro» di Corneliu Codreanu, movi-mento alle cui spalle, scriveva sempreJesi,

si trovano gli intellettuali del tradi-zionalismo, i profeti e i martiri volon-tari del ritorno a una cultura e a unareligione in cui il cristianesimo gre-co-ortodosso si mescola con l’esoteri-smo non cristiano del tardo ’800, el’appello al presunto «orfismo» degliantichi traci, il richiamo a rituali«cosmici» di approccio ai «segreti del

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mondo», si congiungono con l’apolo-gia razzista del genuino uomo rome-no, plasmato dal paesaggio della ter-ra, e con l’offensiva contro l’usura,contro gli ebrei, contro gli «Occi-dentali»;127

movimento la cui analisi, quindi, «permet-te di giungere, seguendo i fili, al centrodella cultura mitteleuropea dei primi de-cenni del secolo».128 E uno dei fili seguitida Jesi era la figura di un celebre studiosoe supporter a suo tempo dei legionari rome-ni: lo storico delle religioni Mircea Elia-de, il quale, oltre a esibire nel 1937 vi-branti toni antisemiti sulla rivista romenaBuna vestire,

127 Ibidem, p. 36.128 Ibidem, p. 37.

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si considerò in lutto, quando Corneliu Co-dreanu fu ucciso (30 ottobre 1938), e conpari coerenza non vide nulla di obbrobrio-so nel rappresentare all’estero, come addet-to culturale, il governo romeno che nel-l’estate del 1942 firmava con il delegato diEichmann, Gustav Richter, l’accordo perla deportazione di tutti gli ebrei romeninei campi di sterminio.129

Dopo aver delineato le contiguità tra laGuardia di Ferro ed Eliade, Jesi passava amettere in luce un passo del diario di que-st’ultimo capace di aprire uno spiraglio su«segreti» comuni sia allo storico romenosia al movimento di Codreanu: una compo-nente esoterica all’insegna sí della religio-

129 Ibidem, p. 38.

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ne della morte, ma di una variante del tut-to speciale. Scriveva infatti Eliade:

Sfoglio oggi il mio trattato di storiadelle religioni, soffermandomi soprat-tutto sul lungo capitolo sugli dèi delcielo; mi chiedo se il messaggio segre-to del libro sia stato capito, «la teolo-gia» implicata nella storia delle reli-gioni cosí come viene da me decifra-ta e interpretata. Nondimeno il sensone risulta abbastanza chiaro: i miti ele «religioni», in tutta la loro varie-tà, sono il risultato del vuoto lasciatonel mondo per essersi Dio ritirato,trasformato in deus otiosus e scompar-so dall’attualità religiosa. Dio — piúesattamente l’Essere supremo —non ha piú alcun ruolo nell’«espe-rienza religiosa» dell’umanità primi-

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tiva. E stato soppiantato da altre for-me divine: divinità attive, fecondatri-ci, drammatiche, ecc. Sono tornatosu questo processo in altri studi. Masi sarà capito che la vera religione ini-zia solo quando Dio si è ritirato dalmondo? Che la sua «trascendenza» siconfonde e coincide con il suo eclis-sarsi?...130

Al che commentava Jesi:

L’antisemita Eliade ha costruito tut-to il suo Trattato come un’architettu-ra che cela ed esibisce al tempo stes-so, al proprio centro, quale «messag-gio» ma «messaggio segreto», una dot-trina peculiarmente ebraica. È la dot-trina con cui la Qabbalà, a partire in

130 Ibidem, p. 42.

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special modo da Yitzachàq Luria(15341572), diede risposta al proble-ma della creazione dal nulla.131

Ragion per cui, concludeva sempre Jesi,

si poteva rilevare la sconcertantecoincidenza fra l’apparato mitologi-co e teologico di un gruppo antisemi-ta, e una dottrina peculiare della tra-dizione mistica ebraica.132

Coincidenza ancora piú marcata ed evi-dente, poi, se preso in considerazione quelramo della «mistica» ebraica che piú radi-calmente trasse le conseguenze dalle posi-zioni di Luria:

131 Ibidem, p. 44.132 Ibidem, p. 45.

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La dottrina dell’esilio di Dio in séstesso, del «ritirarsi» di Dio, non èstata soltanto oggetto di discussioneo di fede in ristretti circoli di misticiebrei. Elaborata anche come rispostadella cultura religiosa ebraica alla ca-tastrofe dell’espulsione dalla Spagnache si configurava come accentuazio-ne o ripetizione dell’esilio dalla Pa-lestina, questa dottrina drammatizza-va in termini cosmogonici la condi-zione degli ebrei esiliati e nello stes-so tempo esprimeva «il sentimentodella tensione tra i due poli dell’esi-lio e della redenzione», tanto dapreludere al «passo decisivo verso ilmessianismo». Il passo fu compiutonel XVII e nel XVIII secolo daicosiddetti falsi messia, ShabbetàyZeví e il suo successore Jakob Frank,

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protagonisti di un movimento misti-co e millenaristico eterodosso (se dieterodossia si può parlare nell’àmbi-to dell’ebraismo) che interferí comecomponente spesso sotterranea nelgioco di rapporti fra illuminati e illu-ministi entro la cultura europea delSettecento. Quanto ora importa sot-tolineare è l’atteggiamento degli «e-retici» shabbatiani e frankisti nei con-fronti della legge: gli uni e gli altri,infatti, furono soprattutto assertoridel valore rituale del comportamen-to antinomico, dunque della delibera-ta infrazione della legge. Se l’anticalegge, la Torà, la legge sacra e totaliz-zante tanto da escludere come blasfe-ma l’esistenza di una legge profana,corrisponde a un mondo o a un «re-gno» prossimo alla sua fine, la missio-

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ne del messia (e, sul suo esempio, deiseguaci) deve consistere nell’infrazio-ne della legge che, come atto rituale,accelererà l’avvento della legge e del«regno» nuovi. Si infrange la vec-chia legge cosí come Dio si ritrae inesilio «da sé in sé stesso»: ma Dio si«ritira» affinché possa avere luogo lacreazione, il messia infrange la leggeaffinché possa avvenire l’epifania del-la nuova legge [...]. Tanto piú alta èla dignità messianica, tanto piú gra-ve dev’essere la colpa commessa.[Per cui] questi elementi, relativi auna delle espressioni della culturaebraica che agirono piú incisivamen-te nell’Europa del Seicento e del Set-tecento, e che lasciarono maggior me-moria di loro soprattutto nell’Euro-pa orientale, possono servirci [...]

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per avvicinarci alle paradossali coinci-denze fra gli autoritratti mistici deipersecutori e dei perseguitati. LaGuardia di Ferro ebbe il suo primoistante di genesi rituale nella prigio-ne di Vacaresti, quando vi si trovava-no rinchiusi Codreanu e alcuni com-pagni, e assunse come patronol’arcangelo Michele, la cui icona so-vrastava la porta della chiesa dellaprigione [...]. I legionari sono l’eser-cito dell’arcangelo Michele, «princi-pio attivo del bene e della luce eter-na in lotta con il male e le tenebre difuori e dentro di noi»; sono uominiche devono essere peccatori, dichiara-no «prendiamo sopra di noi tutti ipeccati di questa stirpe» e intendonoil martirio, la «testimonianza» a prez-zo del sangue, come la scelta di chi

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infrange la legge, esegue prestabilitiomicidi, ma non si sottrae alla puni-zione [...]. Là dove Dio è in esilio en-tro sé stesso, dove restano accessibiliunicamente forme subdivine —l’arcangelo — i giusti devono esserecolpevoli e devono uccidere [...], de-vono scegliere di essere martiri inquanto colpevoli».133

Ergo:

Di là dall’immagine dell’ebreo usu-raio, capitalista, ed estraneo alla stir-pe romena, s’intravede quelladell’ebreo come vittima rituale desi-gnata. Poiché i martiri devono esserecolpevoli, poiché la colpa per eccel-lenza (dunque la testimonianza piú

133 Ibidem, pp. 45–48.

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alta) deve essere l’uccisione, e l’omi-cidio è un rituale di accelerazione delnuovo regno (nuovo Reich) mediantela infrazione della legge, chidev’essere ucciso è anzitutto l’ebreoperché gli ebrei furono il popolo elet-to, il gruppo umano sacralmente le-gato a quel Dio che è il Dio, ma cheora si è ritirato dentro di sé: se il cri-stianesimo è l’avvento di un nuovoregno, dopo quello dell’Antico Testa-mento, l’accelerazione di questo av-vento, il suo adempimento, consistenel colpevole ma testimoniale uccide-re come vittime sacrificali coloro chefurono per eccellenza gli uominidell’antico regno. [...] «I miti e le re-ligioni [...] sono il risultato del vuo-to lasciato nel mondo per essersi Dioritirato»: atto religioso dalle fonda-

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menta o articolazioni mitologiche, èinnanzitutto l’uccisione dell’ebreo.Ma l’uccisione è un atto colpevole,come ogni possibile atto di vero mar-tirio, e il legionario uccisore vuoleanche essere ucciso [in una] strettaconcatenazione di azioni che può es-sere formulata come «uccidi e fattiuccidere» e «uccidi per essere ucci-so». Procedendo da queste periferieverso il centro della destra europeadella prima metà del Novecento —da Bucarest verso Berlino — si puòiniziare a intravedere qualcosa circale strutture di una religione dellamorte, fra le quali presumibilmenterientrerà il ritualismo dello stermi-nio degli ebrei come sacrificio «di

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fondazione» del nuovo regno o delnuovo Reich.134

Argomentare appassionato, che può es-sere riassunto ed esplicitato cosí: 1) Nel-l’antisemitismo novecentesco è possibilescorgere in profondità tratti comuni conuna mistica ebraica «eterodossa» (quellache passando per Yitzachàq Luria sfociain Shabbetay Zeví e Jakob Frank); è cioèpossibile vedere all’opera quelle forze chesono sí orride, ma allo stesso tempo mera-vigliose, pacificanti e meritevoli di essereriscattate nella loro bifronte bellezza.Conclusione quest’ultima che Jesi nontrasse apertamente nel brano riportato,ma che lasciò capire al lettore avveduto in

134 Ibidem, pp. 49–50.

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altre circostanze, per esempio prendendole difese del vituperato antisemita Eliadedi fronte al giudizio di Kerényi (il qualene faceva un autore triviale e di scarso inte-resse) fino a tradurre in italiano il suoYoga: immortalità e libertà, o esplicitandonel proprio epistolario la già d’altrondeevidente propria vicinanza a quella misti-ca ebraica «eterodossa» testé citata. 2) Ilcattolicesimo, in quanto vero Israele — in-nestato sul tronco di Abramo e i profeti,compimento della Tradizione del sacer-dozio mosaico — sarebbe dovuto essereevidentemente il secondo atto di questosacrificio di fondazione del nuovo Regnoo nuovo Reich. 3) Il nuovo Reich sarebbesorto all’insegna di un «vero cristianesi-mo», il quale — per Jesi come per Marcio-

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ne e i tanti suoi epigoni recenti, da JacobTaubes a Simone Weil a Pietro Citati aGuido Ceronetti, e altri ancora — nonpuò essere che antitetico al Dio «malva-gio» dell’Antico Testamento e alla suaLegge. La religio di un Cristo uccisore delPadre, il Jeohwa «crudele» e «antiecume-nico» in quanto nemico della «tollerantemitezza» e dello «splendore» dei culti diegiziani e cananei.

M L’uomo, animale da macello.

er i lettori renitenti a credere cheuna sensibilità ebraica e di sinistra

come quella di Jesi potesse essere nell’inti-mo attratta da fenomeni cruenti e «antide-mocratici» come il nazismo, si potrebbero

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aggiungere altri punti corruschi dell’ope-ra di questo studioso, lasciati passare a suotempo con eccessiva superficialità. Comein Letteratura e mito, laddove l’autore ri-chiama e fa suo il concetto esposto da Jo-hann Jakob Bachofen nel Saggio sul simbo-lismo funerario degli antichi, dei simboli«che riposano in sé stessi»,135 dei simboliin sé compiuti e non rimandanti ad altrarealtà che li trascenda se non alla morte(intesa questa come dimensione di nones-sere), specificando poi in Cultura di destrache

pochi simboli sono tanto esclusiva-mente riposanti in sé stessi come l’ico-na di Jack Lo Squartatore: icona non

135 Furio Jesi, Letteratura e mito, Einaudi, Torino1968, p. 17.

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solo britannico-vittoriana, ma anchegenuinamente tedesca da quandoFrank Wedekind la evocò nel finalede La Scatola di Pandora.136

O come nella raccolta di saggi Materialimitologici, in cui, parlando di Elias Canet-ti (altro autore ipertanatofilo assai caro aJesi, che ne tradusse in italiano Massa e po-tere) si possono leggere passi come questo:

Alla sopravvivenza della poesia e del-la mitologia in questo presente, e nonsolo in questo poiché non pare esserela prima volta che ciò accade, sembraappropriato, anche se forse non inmodo esclusivo, un terreno di coltu-ra che si conserva nutritizio e caldononostante i geli e le sterilizzazioni

136 Cultura di destra, op. cit. p. 26.

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dell’ora, grazie alle qualità dellamorte, che sono molteplici e in variomodo efficaci. Elias Canetti direbbeche il «mucchio di morti» (nel qualeio stesso riconosco l’unica rappresen-tazione della morte che mi sembrivera), mucchio di sostanze in decom-posizione, è un ideale terreno di col-tura.137

O come quest’altro:

Le «esagerate» equiparazioni di Ca-netti del comportamento del singolouomo e della massa umana con indi-vidui e gruppi di animali extrauma-ni, mentre non sono affatto esageratein quanto alla loro veridicità, finisco-

137 Furio Jesi, Materiali mitologici, Einaudi, Torino2001 (1979), p. 29.

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no per possedere un’eccessiva forzaespressiva [...]. Il potente finisce peressere un mostro semiferino. Canettiha il merito di dimostrare come quelmostro sia umano e vero nella misu-ra in cui è mostro [...] nel suo metter-si in bocca le vittime, masticarle, in-ghiottirle, digerirle, defecarne i resi-dui.138

O come uno scritto tra i piú inquietanti edemblematici di Jesi, pubblicato postumonel 1987: L’ultima notte. Presentato nellenote introduttive come «il frutto di ricer-che e fantasie intensissime»139 — cosa cheanche la data apposta alle poche, distillate

138 Ibidem, p. 320.139 Furio Jesi, L’ultima notte, Marietti, Genova

1987; avvertenza dell’editore.

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pagine del manoscritto, 1962–1970, sug-gerisce — trattasi di un racconto lungo,apparentemente surreale, avente per sog-getto un tema attentamente studiato dal-l’autore, quello dei vampiri, i funesti abi-tanti delle tenebre descritti cosí a inizionarrazione:

Si raccontava di loro che erano uo-mini morti sopravvissuti alla morte, iquali si nutrivano di sangue umanoper alimentare la loro durata pallidae notturna di fantasmi corporei. Manon era vero. Forse avevano volto diuomo, ma non erano mai stati uomi-ni. Di sangue umano s’erano semprenutriti per vivere giacché vita e nonmorte si sarebbe dovuta chiamare laloro durata, e valutavano l’uomo allastregua di un animale da macello.

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Da millenni, però, non osavano piúavvicinare gli uomini e dovevanounicamente cibarsi del sangue coagu-lato dei morti. Un tempo avevano do-minato la terra. Ora, ridotti a man-giatori di carogne, popolavano timo-rosi e furtivi gli spazi deserti, le ca-verne sui monti, i sotterranei e le ro-vine.140

Descrizione che Giuseppe Tardiola, tra ipochi critici ad aver posto una certa atten-zione a queste pagine, ha commentato cosí:

Non è [...] il «vampiro» della tradi-zione, quello che la letteratura eredi-ta dai racconti popolari e dai trattatidi Calmet e Sinistrari, a informare lafantasia di Jesi. I succhiatori di san-

140 Ibidem, p. 56.

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gue della nostra storia [L’ultima not-te] sono qualcosa di totalmente di-verso, provengono da altre dimensio-ni, da antiche mitologie lunari san-guigne, dal repertorio archetipico eiconografico delle società precristia-ne, da antropologie magico-misteri-che. Non sono «non spirati» maledet-ti, bensí demoni arcaici, figure dipantheon lontani che presiedono aifondamentali meccanismi della so-pravvivenza cosmica e che pertantoesigono sangue, la cui equivalenzacon la vita è stata in precedenza am-piamente sottolineata. Essi proven-gono dal Libro tibetano dei morti, daitesti cuneiformi mesopotamici (La-mashtu), dai piú antichi documentireligiosi dell’India (Vetala), dallepiramidi messicane (Huitzilopochtli,

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Tlaloc, Coatlicue: sole, pioggia, ter-ra), persino dai mari di Grecia, cosícari all’autore (Lamia) [...]. Da ogniparte del mondo tornano questi ine-diti «vampiri», per riassumere di per-sona la guida del pianeta cui loro do-narono la vita e che l’uomo sta por-tando alla distruzione.141

Scrive ancora Tardiola:

Demiurgi mitici di vita, sacerdotieletti di fertilità, esseri della notte-utero, della terra e del sangue, il se-gnale della loro riscossa è accoltocon gioia esplosiva dalla Natura, alungo vessata dalla stolida e distrutti-va arroganza degli umani,

141 Giuseppe Tardiola, Il vampiro nella letteraturaitaliana, De Rubeis, Roma 1991, p. 54.

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sí che

non è difficile riconoscere alla basedella missione rigeneratrice affidataai vampiri [anche] una semantica«ecologica»,142

all’insegna di una natura — precisiamonoi — dal volto di Gorgone, Kali Durga oKuan Yin, perenne ciclo di predazione edistruzione, in cui — esattamente com’eraper Elias Canetti o i romeni Mircea Elia-de ed Emiliu Cioranescu — vivere è caccia-re ed essere cacciati, uccidere ed essere uc-cisi. Racconto, quindi, che non può esseresemplicemente letto — come vorrebberoalcuni — a mo’ di lugubre divertissementletterario, magari per i toni parodistici

142 Ibidem, p. 55.

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presenti nella descrizione delle azionivampiriche. Anzi, proprio questi tonisono da prendere, paradossalmente, comesegnali di serietà: come spiegava Jesi nelsaggio «Parodia e mito nella poesia di Ez-ra Pound», nell’uso di una certa forma pa-rodica è da «riconoscere la presenza diun’antica commozione, le tracce di unamore contro cui si lotta»,143 o, come sem-pre Jesi scriveva all’amico Italo Calvinoin merito al racconto in questione:

Lei dice «prendere sul serio i vam-piri». Non creda che io non li abbiapresi sul serio: forse li ho presi trop-po sul serio, e quindi me ne sono dife-

143 Letteratura e mito, op. cit., p. 189.

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so con giochetti della piú spicciolaparodia.144

M Passaggio di testimone.

er cui, tornando alla tesi di Vigna,cioè del passaggio dell’ideologia co-

munista dal campo ambiguo e interlocuto-rio dello pseudo-umanesimo scientifico diMarx ed Engels a quello rigoroso e luci-damente folle del naturalismo [e neopa-ganesimo] nazista, si può allora sostenereche la figura di Furio Jesi abbia un valoreesemplificativo importante e meriti unarinnovata attenzione. Tuttavia, si deve ag-giungere, il suo valore non sta solo in ciòche essa ha direttamente prodotto (e di

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144 Cultura tedesca, op. cit., p. 102.

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cui qui abbiamo dato alcuni cenni), quan-to anche in ciò che essa ha «indicato»,nell’ambiente a cui ha virtualmente passa-to il testimone e la cui identità ci sembradeducibile da un passo autobiografico del-lo stesso Jesi, piú volte citato dai suoi glos-satori:

Parve allora di viaggiare sulle acquedel Nilo verso una remota infanzia,ben piú antica del tempo egizio. Ilpaesaggio solitario del fiume e del de-serto fu nuovamente l’ora del primouomo, cui l’uomo ritorna con mera-viglia commossa come alle profondi-tà di sé quotidianamente ignorate. Efu anche un andare verso la morte, ecioè verso il limite della distruzione

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che coincide con l’ora della na-scita.145

Proprio questo limite, però, non si situa inEgitto, ma porta verso il Sudan, precisa-mente verso la regione del Kordofan, sededi quel mitico regno di Kasch descritto daLeo Frobenius nei suoi studi etnologici eripreso poi dallo scrittore ed editore Rober-to Calasso come metafora centrale del suolibro piú importante, La rovina di Kaschappunto. Una pura coincidenza, certo, masuggestiva, perché effettivamentel’ambiente che ha continuato in Italia —e su ben altra scala — quelle iniezioni direligio mortis nella cultura di sinistra antici-pate da Jesi è stato proprio il gruppo di in-

145 Furio Jesi, Esoterismo e linguaggio mitologico,studi su Rainer Maria Rilke, p. 22.

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tellettuali raccoltosi attorno al marchioAdelphi e alla figura di Roberto Calasso.A testimoniarlo, piú dei rapporti di Jesicon Luciano Foà, Italo Calvino e altri per-sonaggi che fecero da trait d’union tra ilmondo di Einaudi e quello della neonataeditrice milanese, gli stessi maggiori inte-ressi del prismatico studioso dalla Roman-tik al vampirismo nell’opera di HeinrichHeine, dal finis Austriae a Rainer MariaRilke, da Thomas Mann a Mrolyi Keré-nyi, da Elias Canetti a Georges Dumézil,dallo Yoga a Martin Buber e alle aberra-zioni del cabalismo ebraico prima indica-te, da Carlos Castaneda ai culti isiaci, ecce-tera — che, in modi differenti, sono statitutti incastonati nel catalogo adelphianoe, grazie ad esso, hanno ottenuto a sinistra

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il crisma dell’ufficialità. Una continuazio-ne, quella di Adelphi, che però ha rappre-sentato un perfezionamento dell’imposta-zione di Jesi in almeno due sensi. Il primoè che se già il lavoro di quest’ultimo, nono-stante la denunciata «faziosità» politica, at-tirava la morbosa attenzione della destrapiú o meno paganeggiante, quello di Adel-phi è riuscito a saldare definitivamentequeste due anime (e non solo queste) appa-rentemente contrapposte. Il secondo èche se la religione dello swastika apparivanell’opera di Jesi in modo ancora velato,spesso reticente e prevalentemente sottoforme «spurie», Roberto Calasso ha inveceindicato chiaramente in essa e nella suadimensione originaria, lo shivaismo,146

146 Il «Cristo» di Marcione, infatti, come ha chiara-

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l’orizzonte spirituale della polimorfa equasi quarantennale produzione Adelphi.

M La religione dello «swastika».

ome spiegava l’autorevole studioso edivulgatore dell’argomento Alain

Daniélou — fratello del noto teologo ge-suita Jean esso è da intendersi come quellareligione antichissima, le cui origini si per-dono nella notte dei tempi, ma la cui co-dificazione si può far risalire al VI millen-nio, circa all’inizio del neolitico, come at-testano la comparsa nel medesimo periododei suoi simboli e dei suoi riti, quali il cul-

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mente spiegato Simone Weil (e di riflessoun’autrice come Cristina Campo) altro non èche l’avatar di Shiva/Dioniso.

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to del toro, del fallo eretto, del serpente,il labirinto e la croce uncinata o swastika.Difficile individuare un preciso luogod’origine vista la sua diffusione — dal sub-continente indiano alle propaggini atlan-tiche dell’Europa —, la quale ha lasciatotracce in una lunga serie di religioni suc-cessive, da quella dei celti, a quella dei cre-tesi, a quella degli adoratori della GrandeMadre nel mondo mediterraneo, a quelladei cananei, al «buddhismo» tibetano e viaelencando. Possibile però individuareluoghi in cui tale tradizione si è conser-vata in una sua purezza originaria: traquesti l’India dove, come scriveva Danié-lou con cognizione di causa,

si sono mantenuti senza interruzio-ne, dalla preistoria ai giorni nostri,

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la tradizione shivaita e i riti chechiamiamo dionisiaci147

e dove:

la profonda influenza dello shivai-smo sull’insieme del pensiero [sul-l’atteggiamento [...] verso gli anima-li, gli uomini e gli dèi, ha salvaguar-dato in gran misura [...] il rispettoper il Creatore e uno spirito di tolle-ranza fondamentale che altrove è per-sistito assai di rado. Dopo gli attac-chi mossigli dal Vedismo e dal Budd-hismo, poi dal puritanesimo islamicoe cristiano, lo shivaismo tende a rin-chiudersi in un certo esoterismo.

147 Alain Daniélou, Shiva e Dioniso, la religione del-la natura e dell’eros, Astrolabio Ubaldini, Roma1980, p. 32.

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Non lo si accosta facilmente. Le clas-si modernizzate dell’India fingono diignorarlo, ma ciò non ne intacca la vi-talità profonda. Lo shivaismo restaessenzialmente la religione del popo-lo, ma anche quella dei piú alti gradidell’iniziazione nel mondo hindu. Ineffetti non esiste vera iniziazione chenon sia shivaita. Tutti i culti esoteri-ci hanno carattere shivaita o dionisia-co.148

India segreta, quindi, che sarebbe la conti-nuazione diretta di un mondo prearianotestimoniato da centri della valle dell’In-do come MohenjoDaro e Harappa (oggiin territorio pakistano) distrutti fisicamen-

148 Ibidem, p. 18.

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te, ma non nella loro eredità spirituale, da-gli invasori ariani del XVIII sec. a.C.

Quali i punti fondanti di quella reli-gione dello swastika che Daniélou sintetiz-zava efficacemente come «religione dellanatura e dell’eros»? L’autore li esponecosí:

1) La creazione è una. I vari aspettidel mondo, dell’essere, della vita, delpensiero, della sensazione, sono ine-stricabilmente legati e interdipenden-ti.2) L’essere umano è uno. Non lo sipuò dividere in corpo, spirito e ani-ma. Non si possono dividere le fun-zioni vitali dagli elementi intellettua-li, le attività del corpo fisico da quel-li della mente.

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3) La vita è una. Non c’è separazionetra il mondo vegetale, l’animale el’umano.4) Gli dèi, gli spiriti sottili e gli esse-ri viventi sono stati originati daglistessi princípi, sono indissolubilmen-te legati.5) La verità è una. Non esistono unasapienza orientale e una occidentale,una scienza che si contrappone allareligione. Esse altro non sono cheforme diverse di una stessa ricerca.149

Punti su cui si fonda la via ascetica pro-pria dello shivaismo, ovvero il tantrismo:

Il metodo tantrico ha lo scopo di risveglia-re, utilizzare, controllare movendo dall’e-nergia avvolta nel centro di base, le ener-

149 Ibidem, pp. 227–228.

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gie potenziali che sono legate a tutte leenergie del corpo, funzioni digestive,escretorie, riproduttrici dell’animale uma-no che sono la base stessa della vita, maanche ai poteri latenti, percezioni sottilinon condizionate dallo spazio e dal tempo[...]; muove dai meccanismi fondamentalidell’essere vivente per risalire verso lefunzioni superiori, i meccanismi mentali,intellettuali e le aperture spirituali dell’es-sere umano per controllarli e superarli.Ogni tentativo d’esperienza che non ten-ga conto della natura dell’essere viventenella sua totalità è illusorio, il Kali Yuga,in cui un apparente sviluppo di certe facol-tà mentali corrisponde in realtà a una di-minuzione globale delle percezioni intuiti-ve, della forza vitale ed è di fatto una deca-denza che preannuncia la morte della spe-cie. Il divino è al di fuori dei limiti visibili

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dell’essere vivente, al di qua come al di làdel creato. Per oltrepassare le barriere checi imprigionano, per liberarci, avvicinarci[ad esso], possiamo prendere l’una o l’al-tra via. La via shivaita è la via tantrica, ta-masica, che utilizza come punto di parten-za le funzioni fisiche e gli aspetti apparen-temente negativi, distruttivi, sensualidell’animale umano, mentre la via sattvicausa come strumenti l’ascetismo, la virtú,l’intelletto [...] via [che] è ritenuta ineffi-cace nel Kali Yuga.150

Ancora:

Il desiderio represso genera la pesti-lenza, scriveva Ananda Coomaraswa-my in The dance of Shiva. La promi-scuità, la momentanea sparizione di

150 Ibidem, pp. 143–144.

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ogni limite, l’evocazione e la riattiva-zione orgiastica del caos primordialefavoriscono, cert forme d’estasi un ri-torno all’origine della vita, al princi-pio creatore, al divino.151

151 Ibidem, p. 146. Altrove leggiamo anche: «Peressere genuini, l’amore e l’ebbrezza del piaceredevono essere assolutamente privi di ragione.Non devono essere «utili», «normali», «confor-mi alle leggi» [...]. Solo l’amore adultero, anor-male o incestuoso è considerato puro, veramentelibero da ogni legame, e può dare un’idea diquell’esperienza dei mistici, cosí assurda, disin-teressata e distruttrice di ciò che è umano»; «nel-le sculture che ornano i templi sono perciò rap-presentati gli atti erotici piú complessi [...],sono comprese tutte le relazioni possibili tra uo-mini e donne, ma anche svariati rapporti tra per-sonaggi dello stesso sesso e tra esseri umani e ani-mali. Infatti, poiché è nella voluttà che realizzia-mo la natura divina nel modo piú immediato,

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Tantrismo e orgiasmo che però non sonorealtà ultime, ma vie per raggiungere piúalti misteri, di cui Daniélou ha dato qual-che anticipazione:

Il creatore è un Dio crudele che havoluto un mondo in cui nessuno puòvivere senza distruggere la vita, sen-za uccidere altri esseri viventi. Nes-sun essere può vivere senza divorarealtre forme di vita, vegetale o anima-le. E questo un aspetto fondamentaledella natura del creato. Tutta la vitadel mondo animale o umano non èche un’interminabile strage. Esisterevuol dire mangiare ed essere mangia-ti. L’uomo è ciò che egli mangia.

questa esperienza non dovrebbe avere limiti».Cfr. Alain Daniélou, L’erotismo divinizzato,Red edizioni, Como 1999, pp. 33–34 e 36.

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Ogni essere vivente si nutre di altri es-seri e diverrà nutrimento di altri esse-ri in un ciclo interminabile [...]. Shi-va spiega alla sua compagna: «nelmondo non c’è nessuno che non uc-cida. Chi cammina uccide coi piedimoltissimi insetti. Persino dormendosi possono distruggere delle vite. Tut-te le creature si uccidono tra loro.Nessuno può vivere senza uccide-re».152

Il principio fondamentale dello shivaismoè l’accettazione del mondo com’è, noncome vorremmo che fosse. Solo quando ac-cettiamo la realtà del mondo possiamo cer-care di comprenderne la natura, avvicinar-ci al Creatore, prendere il nostro postonell’armonia della creazione. Poiché nes-

152 Ibidem, p. 159.

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suno può esistere senza nutrirsi della vitadi altri esseri: dobbiamo assumercene la re-sponsabilità di fronte a noi stessi e difronte agli dèi che cosí hanno voluto [equindi J ritualizzare l’atto di ucciderecome l’atto di amore.153

In altre parole,

dicendo che gli dèi sono assetati delsangue delle vittime, non si fa, cheidentificarli con un mondo che èl’espressione della loro natura. Ci av-viciniamo a loro santificando l’attodi uccide.154

Ne consegue, scrive Daniélou.. che«il sacrificio dev’essere pubblico, co-sciente del suo valore e della sua cru-

153 Ibidem, pp. 159–160.154 Ibidem, p. 160.

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deltà […]. Uccidere è un atto sacro,come dare la vita,155

uccidere per vendetta rimane un attoodioso, malefico. Il sacrificio non po-trebbe essere una punizione o unavendetta. Non deve dare a nessuno lasoddisfazione di liberarsi di un im-portuno. Per essere efficace deve esse-re ripugnante156

e «il sacrificio umano è la forma piú altadi sacrificio».157 Ora, a indicare che lo shi-vaismo, questo culto dello sperma e delsangue, questa primordiale religione dellamorte come avrebbe scritto Jesi, sia quelpunto d’attrazione verso cui è orientata tut-

155 Ibidem, pp. 160–161.156 Ibidem, p. 164.157 Ibidem, p. 163.

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ta la produzione Adelphi — punto a cuiha alluso poco tempo fa Roberto Calassosulla rubrica Storie del sito www.adel-phi.it158 — non sono soltanto testi come

158 «In ogni caso l’idea che il nome indubbiamenteconteneva [cioè Adelphi] era quella di un grup-po legato da una qualche affinità che si proponedi pubblicare libri legati anch’essi da una qual-che affinità, tale da permettere di passare natu-ralmente, e quasi inevitabilmente, dall’unoall’altro [...]; l’esatto contrario di certe struttu-re editoriali concepite come imponenti costru-zioni divise in settori, dove si pensa a nutrireogni sorta di pubblico, dal piú basso al piú alto,ogni volta con metodi e allettamenti diversi. Lanostra idea invece si indirizzava a un lettoreignoto, che idealmente avrebbe dovuto essere at-tratto da tutti i libri della casa editrice. E unatraccia di quell’idea è implicita anche nel mar-chio, che avremmo scelto poco piú tardi». Cfr.Roberto Calasso, rubrica Storie, sul sito www.a-

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Il grande brivido del prima citato AnandaCoomoraswamy, Il regno della quantità e isegni dei tempi, L’uomo e il suo divenire se-condo il Vedanta, Introduzione allo studiodelle dottrine indú, Simboli della scienza sa-cra del grande mistificatore francese RenéGuénon (ripetutamente citato da Danié-lou come testimone della tradizione shi-vaita, e al cui riguardo vedasi l’articolo diGianni Rocca, «Cristina Campo e la ‹Tra-dizione› primordiale», sul numero di giu-gno 2002159 di questa rivista), Shiva,l’asceta erotico, Le origini del male nella dot-trina Indú di Wendy Doniger (allieva diMircea Eliade presso la Divinity Schooldell’università di Chicago ed ex collega

delphi.it.159 Ora in Il Covile N° 812. [N.d.R.]

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del tantrista romeno Ioan Petru Culianu,«sacrificato» in una latrina della stessauniversità nel 1991), Il mito psicologicodell’India antica di Maryla Falk, Miti esimboli dell’India di Heinrich Zimmer eLa presenza di Shiva di Stella Kramrischall’interno della collana piú prestigiosa escelta della casa editrice milanese, «Ilramo d’oro»; né sono solo Luce dei Tantradi Abhinavagupta, Iniziazione del «bud-dhista» tantrico Naropa, La liberazione invita di Vidyaranya, Le leggi di Manu sem-pre di Wendy Doniger nell’altrettantoprestigiosa collana «Biblioteca orientale»e gli altri testi esplicitamente shivaiti dis-seminati nel resto del catalogo, ma è lostesso Calasso a suggerircelo nel cuore del-

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la propria personale produzione, nellepagine centrali de La rovina di Kasch.

La percezione all’origine del sacrifi-cio è appunto che ogni cogliere è an-che un assassinare, che ogni sradica-mento, distacco da ciò che gli è con-nesso (e non è altro che, di passaggioin passaggio, il Tutto), è un’uccisio-ne. Ma la vita, se vuole perpetuarsi,esige che si colga qualcosa. Il sacrifi-cio avvolge il primo sradicamento, ilprimo distacco, l’originaria decisio(da caedo, il verbo dell’uccidere la vit-tima sacrificale con effusione di san-gue), in una delicata, sottilissima, im-mensa rete, che riconnette al Tuttola cavità della ferita, nel momento incui essa si apre. Si può cogliere anchesolo una spiga, ma il sommo accresci-

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mento di potenza si ha quando il co-gliere è anche un uccidere. Invece diuno stelo, sradicare il cuore ancorapalpitante, con la «farfalla di ossidia-na», dal tronco della vittima riversa:strappando quell’altra rete, che uni-sce il cuore al tutto del corpo, si èinondati da circa sei-sette litri disangue. È l’esuberanza della vita,che soltanto in quel sangue si promet-te perenne;160

la teoria del sacrificio fa ruotare tuttii gesti ripetibili e reversibili respiro,eros, musica — attorno ai due gestiirreversibili: mangiare e uccidere;161

160 Roberto Calasso, La rovina di Kasch, Adelphi,Milano 1983, p. 178.

161 Ibidem, p. 193.

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il sacrificio è inscritto nella nostrafisiologia: qualsiasi ordine, biologicoe sociale, è fondato su un’espulsione,su una quantità di energia bruciata,nella formulazione di Guénon, il sa-crificio riflette (e quindi inverte) ilsolve et coagula delle origini: ciò chenella creazione era stato diviso oratorna a riunirsi [...] di qui la coniun-io, la ierogamia, che si intrecciaagli atti del sacrificio: fondamento ri-tuale dell’intrecciarsi fra Eros e Tha-natos. Di qui il sentore di carneficinache è l’aura del sesso [...] un eros as-sassino, un’amorosa uccisione, l’ar-chetipo di ogni viaggio;162

delicatezza dei veggenti vedici: lecinque armi dell’assassinio sono og-

162 Ibidem, p. 198.

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getti di uso domestico: la scopa, labrocca dell’acqua. Per mostrare chel’assassinio penetra nel piú semplice,nel piú quotidiano, nel piú inconsa-pevole degli atti. Si spazza una stan-za, si strangola una vittima: la conne-xio fa risuonare un atto con l’altro;163

offrendo il sacrificio, noi accettiamo— pur dietro il sotterfugio della so-stituzione, che provvisoriamente cimantiene in vita — di essere un gior-no noi stessi divorati, se non dagli uo-mini da quegli dèi che sono gli ospitiinvisibili al banchetto: «uccidere èsempre uccidersi»;164 […] le Upani-sad165 sono insaziabili nell’attribuire

163 Ibidem, 199.164 Ibidem, 209.165 Va precisato, per non dare adito a ulteriori equi-

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il sacrificio a tutto: al respiro e all’ali-mentazione, all’eros, alla parola, algesto, perché il sacrificio è la solaforma che risponda, nelle vene, allavita: che la insegua nei suoi movi-menti, siano involontari o arbitrari,senza requie. La forma del sacrificioè latente nell’esistenza del sangue:

voci, che quando Calasso si riferisce alle Upa-nisad, i trattati conclusivi della tradizione vedi-ca, lo fa nel modo mistificatorio del proprio mae-stro Guénon, il quale cercò di spacciare la tradi-zione shivaita come omogenea alla scuola filo-sofica dell’Advaita Vedanta, basata appunto sul-le Upanisad, quando la prima si pone nella real-tà indú come la radicale negazione della secon-da. Ne seppe qualcosa Shankara, filosofo e massi-mo esponente dell’Advaita Vedanta, che per tut-ta la vita combatté le sette shivaite e la diffusio-ne dei loro culti di morte nell’India dell’VIII se-colo d.C.

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vita che si rinnova, ma per un certotempo, costruzione ininterrotta e ca-duca. E vita, ma non potrà mai rag-giungere la durata senza termine del-la trasparente linfa che circola neglidèi. Come il sangue viene ogni gior-no nutrito da oscure vittime, cosí lavita in genere esige quella costruzio-ne assassina che ogni giorno si rinno-va dinanzi al palo dei sacrifici.166

166 Ibidem, 214. A ciò si potrebbe aggiungere la pre-sentazione che Calasso ha scritto a una delle ul-time novità Adelphi mandate in libreria, Apollocon il coltello in mano, del francese Marcel De-tienne: «Secondo un perentorio asserto di Win-ckelmann, la rappresentazione di Apollo «esigelo stile piú elevato: un innalzamento al di sopradi tutto ciò che è umano». E questa canonizza-zione di Apollo — dio della luce, della ragionee della purezza — trova certo illustri riscontri

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Sono soltanto poche citazioni, ma chepossono comunque dare un’idea della sin-tonia, quando non della coincidenza, tracerti «misteri» editoriali e quelli veneratida personaggi come Jesi o Daniélou. Mi-steri che, è bene ribadirlo, non sono desti-

in numerose opere dell’antichità classica ed elle-nistica: a cominciare dalle Odi di Pindaro, percontinuare con i Dialoghi di Platone, fino agliInni di Callimaco. Tuttavia, dietro il volto lumi-noso e rassicurante si nascondono la lama insan-guinata di un coltello, l’impurità della malattiae la dissoluzione della morte Le tracce sono se-micancellate dal tempo, ma si scorgono ancora:innanzitutto nei riti e nelle pratiche religiose.Ma anche nella letteratura: dai poemi di Omerofino all’Orestea di Eschilo, ecco apparire unaltro Apollo, latore implacabile di pestilenze edi lutti, avido di stragi, compiaciuto dei suoi alta-ri cruenti, impastati di cenere, sangue e umori».

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nati a rimanere confinati in una dimensio-ne di «pura intellettualità» o di semplicelettura, come un lucido sguardo alla meta-morfosi dei costumi in atto, sotto il segnodi eros e natura, può facilmente dimostra-re, o come sempre Calasso ci ricorda, sta-volta nella sua ultima prova sull’opera diFranz Kafka, dove scrive:

L’ordine sociale si sovrappone all’or-dine cosmico [ricordando che pergli gnostici «cosmo» equivale a caose orgia sanguinaria] fino a coprirlo ea inghiottirlo. Ma ne conserva lamaestà e le articolazioni, pur cancel-landone la memoria. Mimetizzatoall’interno dell’ordine sociale, l’ordi-ne cosmico sussiste e continua ad agi-re. In fondo [quest’ultimo] non par-

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lava soltanto di astri e di sfere, ma dipotenze e di arconti e quelle potenzenon sono scomparse. Anzi, ora chenon vi sono piú nomi per evocarlepossono agire piú liberamente e sel-vaggiamente anche a viso aperto.167

E, dai visi di Erika e Omar, a quello di Rug-gero Jucker e simili, non è difficile trovareriscontri attuali a tale affermazione.

M Aperture al sottosuolo.

urioso — qualcuno potrà allorapensare in riferimento a quanto se-

gnalato — che con questi ambienti shivai-ti stringano sodalizio, oltre che sperrna-

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167 Roberto Calasso, K., Adelphi, Milano 2002, p.34.

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tofagi e tanatofili vari, anche ambienti ec-clesiali. La spiegazione del fenomeno la sipotrebbe chiedere, tra i tanti, a Enzo Bian-chi — figura aggiornata di monaco media-tico — la cui comunità religiosa, a Bosein provincia di Biella, si dimostra tra lepiú devote e sodali del mondo adelphianoe della cultura che da esso fluisce. Dalloshivaismo in abiti cristiani di CristinaCampo, su cui Bose ha ospitato un conve-gno nel 1997 e di cui alimenta fedelmentela memoria, al cabalismo hassidico diAbraham Joshua Heschel e Martin Buber;alla «mariologia» isiaca di Rainer MariaRilke, all’ortodossia esoterica di PavelFlorensky, tutti ospitati nel catalogo del-le edizioni Qiqajon della comunità diBose; alla necrofilia di Guido Ceronetti,

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con cui recentemente Enzo Bianchi ha«dialogato» sul problema del Male; al«tantrismo» del derviscio danzante al Hal-laj e del suo massimo commentatore, il cai-nita e spia francese Louis Massignon, illu-strati alla comunità di Bose nel maggiodello scorso anno da Pietro Citati; allateologia di Gregorio Palamas, attaccoall’umanesimo cattolico di san Paolo,sant’ Agostino, Dionigi Areopagita e sanTommaso, che bisognerà chiarire a fon-do; al Monte Athos, fin dall’inizio puntod’appoggio per ambienti «iniziatici» e por-tatore nei secoli di un furibondo odio anti-papale; a

Thomas Merton, [...] Isacco di Nini-ve, il grande siriano cantato da Bat-tiato, alla stele di Xian, strepitosa te-

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stimonianza del nestorianesimo cine-se, nella cui pubblicazione i monaci[di Bose] hanno battuto sul tempoperfino l’Adelphi,

come scriveva entusiasta su La Stampadel 23 settembre 2001 la «bizantinista», eseguace di James Hillman, Silvia Ron-chey. Domanda: che la tesi di Vigna sia daapplicare in ambienti del mondo sedicente«cattolico» oltre che «laico»? Che l’apertu-rismo a «sinistra» e lo slancio «progressi-sta» all’inseguimento del fantomatico«spirito del Concilio» si siano tramutatianche qui in apertura al sottosuolo e aisuoi venefici liquami? Chissà. Intanto, perla riflessione, si possono segnalare tre ar-ticoli della rivista bolognese Cristianesimonella storia, nel cui consiglio editoriale

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figura anche Enzo Bianchi e alla cui dire-zione siede lo storico della Chiesa Giusep-pe Alberigo, vero architetto dell’operazio-ne Bose e di altre dello stesso segno: En-rico Norelli, «Una ‹restituzione› di Mar-cione?», anno VIII, 1987; Gerhard May,«Marcione nel suo tempo», anno XIV,1993; Enrico Norelli, «Marcione lettoredell’epistola ai Romani», anno XV, 1994.

Gianandrea Torre

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Uno studioso singolare*

(Leandro Piantini)o ricordato prima l’interesse diJesi per l’uso che Mann faceva del-

l’astrologia:H

Pietre, metalli, colori, secondo ledottrine astrologiche, stabilivano traloro rapporti omologhi di quelli esi-stenti tra i pianeti.

Anche Jesi si è servito della sua sapien-za astrologica e lo ha fatto nel suo roman-zo fantastico L’ultima notte, in cui c è unapagina deliziosa e inquietante che descrive

* Fonte e ©: «La mente critica di Furio Jesi», inStudi Filologici, ed. Bibliopolis, XVI, 1993, pp.404–406.

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una «metamorfosi» cosmica, la congiunzio-ne astrale tra Venere e Saturno. Con unfare tra il solenne e l’ironico egli ha sapu-to raccontare un evento archetipico, rap-presentando in immagini concrete, che at-tingono alla sua incredibile sapienza esote-rica, la metamorfosi celeste che avvienenel momento piú drammatico del rac-conto, quando Dio decide di dare la vitto-ria ai vampiri nella guerra che li opponeagli uomini per il dominio sulla terra.L’asse del romanzo sta nella congiunzioneche esso stabilisce tra il cielo e la terra, trale epifanie cosmiche e la vita terrestre rap-presentata nella sua sostanza primordiale:il sangue, il suolo, la vita vegetale e la pu-trefazione. Mediante tale congiunzioneJesi vuoi rappresentare quel principio di

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«solidarietà» che esiste tra le forze oppo-ste della natura. Questa esigenza la trovia-mo anche in altri momenti del racconto:«gli edifici ripetevano sotto il sole e le stel-le le architetture segrete del muschi e del-le radici»;168 cosí pure nel rito del teatrod’ombre che l’artista Faraqàt (un’evidenteproiezione autobiografica di Jesi) fa condelle pelli d’animale sulle quali ha ripro-dotto i segni zodiacali; o nel motivo ricor-rente delle pozzanghere e del fango su cuisi proiettano le emanazioni delle stelle.

La descrizione della congiunzioneastrale ha la sacralità della rivelazione mi-tica. Ma secondo Jesi al poeta è consenti-to, oggi, non tanto l’accesso diretto al

168 F. Jesi, L’ultima notte, Genova, Marietti, 1987,p. 30.

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mito, quanto di esprimere il proprio «esse-re fuso» con la natura e con le forze miste-riose che operano in essa. Questa epifaniadel «segreto» Jesi l’ha evocata in un’altrapagina indimenticabile in cui racconta unsuo viaggio in nave sul Nilo.169 Esso fuper lui il viaggio verso «una remota infan-zia», e fu anche la rivelazione de

l’ora prima dell’uomo, cui l’uomo ri-torna con meraviglia commossa,come alle profondità di sé quotidia-namente ignorate. E fu anche un an-dare verso la morte, e cioè verso il li-

169 Il viaggio fu compiuto nel 1964 [N.d.R.].

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mite della distruzione che coincidecon l’ora della nascita.170 171

170 F. Jesi, Esoterismo e linguaggio mitologico, cit., p.22.

171 In quel testo un’altra annotazione ci ha ricorda-to H. P. Lovecraft e i suoi Miti di Cthulhu. Jesiparla (affascinato?) dei monumenti edificati daRamesse II ad Abu Simbel come «testimonianzedi una religione del potere, piú brutale di qualsia-si religione della morte, e tale da usare la reli-gione della morte per fingersi potere consacra-to. E quella stessa nave che risaliva il Nilo versoAbu Simbel, e che avrebbe potuto benissimo su-scitare miti egizi di navi sulle acque dell’aldilà,era di fatto, con tutto il suo mogano e il suo otto-ne lucido, ancora una delle sopravvissute, cheeran0 servite a portare le truppe inglesi di LordKitchener a reprimere la ribellione del Sudan.Se di mito si doveva parlare, in quell’occasione

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L’ultima notte ha come protagonisti ivampiri. Perché, c’è da chiedersi, essi sonovisti dal narratore in modo anomalo rispet-to all’immagine demoniaca e terrificanteche essi hanno sempre avuto nella lettera-tura vampirologica? Benché abitatori del-la terra e del sottosuolo e benché si nutra-no di sangue umano, i vampiri di Jesi sonocreature pacifiche e benefiche, difensoridella libertà e della tolleranza. Nella co-struzione allegorica del romanzo essi rap-presentano le forze primordiali della na-tura. E identificandoli con la «buona ter-ra», con la notte, con l’umido e con tuttociò che è vivo e pulsante, Jesi ha voluto at-

c’erano molti miti del potere che si affollavanoverso i confini nubiani, sotto le costellazioni».[N.d.R.]

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tribuire ad essi le risorse salvifiche delmito, rovesciando in fattore di vita e di ri-generazione le prerogative di crudeltà e didistruttività che l’immaginario popolareaveva sempre loro attribuito.

Jesi pubblicò nel 1973 un saggio im-portante, L’accusa del sangue, nel quale stu-diava un processo ottocentesco contro diEbrei di Damasco (uno dei tanti processidi quel genere), accusati di omicidio ri-tuale fatto allo scopo di impastare il paneazzimo necessario alla Pasqua con il san-gue cristiano. Accusa in base alla qualel’ebreo diventa appunto il «vampiro» pereccellenza, il mostro criminale.

È assai probabile, dunque, che con lametamorfosi che la figura del vampiro su-bisce nel suo racconto Jesi abbia voluto ro-

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vesciare «l’accusa del sangue» fatta al suopopolo, rendendogli simbolicamente giu-stizia, rendendo cioè umano e beneficoquell’«ebreo-vampiro» criminalizzato persecoli.

Ma è anche probabile che Jesi non ab-bia voluto proiettare sui vampiri nessunafigura storica determinata, bensí l’archeti-po del primitivo e del «diverso», alluden-do cosí ad antiche realtà mitiche nelle qua-li i sacrifici umani erano una «realtà divita», e si era tanto vicini «alla forza dellavita da poterla in certa misura manipola-re».172

172 F. Jesi, «L’accusa del sangue», in Comunità, ot-tobre 1973, n. 170, p. 296. Vedilo ora su F. Jesi,L’accusa del sangue, Morcelliana, Brescia, 1993.

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Faremmo però torto all’intelligenza di-sincantata di Jesi se prendessimo troppo sulserio le sue fantasie e cercassimo di sot-toporre i simboli che costellano L’ultimanotte ad un’esegesi troppo rigida. Essi sonomotivi appena abbozzati, «prove d’artista»,liberi giochi della fantasia, simbologie nel-le quali Jesi manifestava i propri «pensierisegreti: sono le confessioni di un uomo sin-golare che si sentiva, — come ha scrittoMarta Jesi in un bellissimo ricordo autobio-grafico — «poco uguale a tutti».173

Leandro Piantini

173 M. Jesi, «Memorie di Furio», in Immediati din-torni: un anno di psicologia analitica e di scienzeumane, 1989, Bergamo, Lubrina, p. 322.

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