filologia celtica

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1 F. Motta Introduzione alla storia della lingua e della letteratura irlandese medioevale Nella loro lunga storia i Celti hanno visto grandi fortune e subito smacchi altrettanto grandi. Cominciamo dalle fortune. I Celti sono l’etnia che nell’antichità ha occupato il territorio europeo (e non solo europeo) più vasto perché popoli celtici sono stanziati dalle sponde dell’Atlantico alle pianure danubiane, passando per Spagna, Francia, Belgio, buona parte della Germania, l’Italia settentrionale e di qui, attraverso la penisola balcanica e la Tracia, fino all’Asia minore. In secondo luogo, vista la loro distribuzione massiccia e diffusa sul continente, possono essere considerati a pieno titolo il primo popolo “europeo” e quindi fu giusto intitolare la grande mostra veneziana sui Celti di qualche anno fa “La prima Europa”. Ancora: le grandi letterature europee hanno tratto da quelle celtiche, più o meno profondamente rielaborandoli, alcuni dei più corposi e importanti cicli, temi, figure leggendarie e favolistiche che le caratterizzano e per rendersi conto di questo debito letterario e culturale nostro nei confronti dei Celti basterà pensare a cosa sarebbe la cultura europea senza il ciclo bretone e la tavola Rotanda, Artù, Mago Merlino, Morgana, Lancillotto, Tristano, Isotta. E poi ci sarebbero da ricordare quella particolare architettura di epoca imperiale e medievale diffusa in Francia e che viene detta gallo- romana proprio per sottolinearne la inconfondibile componente celtica; l’oreficeria celtica continentale e insulare; le tecniche e i motivi decorativi dei Celti antichi e medievali in cui molti studiosi di storia dell’arte rintracciano a ragione le fonti d’ispirazione per il Liberty. Infine, altro motivo di vanto “postumo” per i nostri Celti potrebbe a buon diritto essere rappresentato dalle periodiche e sempre più fitte riscoperte e revivals del celtismo, dai falsi ossianici di Macpherson fino a Tolkien e (perché no?) e ad Asterix, senza dimenticare le “reintroduzioni”, quasi sempre inconsapevoli, di qualche tradizione come, ad esempio, quella di Halloween che altro non è che la cristianizzazione di Shamain, la festa d’inizio dell’anno celtico in cui avveniva l’incontro fra i due mondi, terreno e divino: una festa portata in America dagli

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Page 1: Filologia Celtica

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F. Motta

Introduzione alla storia della lingua e della letteratura irlandese medioevale

Nella loro lunga storia i Celti hanno visto grandi fortune e subito smacchi

altrettanto grandi. Cominciamo dalle fortune.

I Celti sono l’etnia che nell’antichità ha occupato il territorio europeo (e non

solo europeo) più vasto perché popoli celtici sono stanziati dalle sponde

dell’Atlantico alle pianure danubiane, passando per Spagna, Francia, Belgio,

buona parte della Germania, l’Italia settentrionale e di qui, attraverso la

penisola balcanica e la Tracia, fino all’Asia minore. In secondo luogo, vista la

loro distribuzione massiccia e diffusa sul continente, possono essere

considerati a pieno titolo il primo popolo “europeo” e quindi fu giusto

intitolare la grande mostra veneziana sui Celti di qualche anno fa “La prima

Europa”. Ancora: le grandi letterature europee hanno tratto da quelle celtiche,

più o meno profondamente rielaborandoli, alcuni dei più corposi e importanti

cicli, temi, figure leggendarie e favolistiche che le caratterizzano e per

rendersi conto di questo debito letterario e culturale nostro nei confronti dei

Celti basterà pensare a cosa sarebbe la cultura europea senza il ciclo

bretone e la tavola Rotanda, Artù, Mago Merlino, Morgana, Lancillotto,

Tristano, Isotta. E poi ci sarebbero da ricordare quella particolare architettura

di epoca imperiale e medievale diffusa in Francia e che viene detta gallo-

romana proprio per sottolinearne la inconfondibile componente celtica;

l’oreficeria celtica continentale e insulare; le tecniche e i motivi decorativi dei

Celti antichi e medievali in cui molti studiosi di storia dell’arte rintracciano a

ragione le fonti d’ispirazione per il Liberty. Infine, altro motivo di vanto

“postumo” per i nostri Celti potrebbe a buon diritto essere rappresentato

dalle periodiche e sempre più fitte riscoperte e revivals del celtismo, dai falsi

ossianici di Macpherson fino a Tolkien e (perché no?) e ad Asterix, senza

dimenticare le “reintroduzioni”, quasi sempre inconsapevoli, di qualche

tradizione come, ad esempio, quella di Halloween che altro non è che la

cristianizzazione di Shamain, la festa d’inizio dell’anno celtico in cui avveniva

l’incontro fra i due mondi, terreno e divino: una festa portata in America dagli

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immigrati irlandesi e di là reintrodotta, or sono non molti anni, in Europa. Ma

ora sto parlando dello Halloween “pubbistico” (nel senso che spesso si

celebra nei pub), discotecaro e consumistico cui ci ha abituato la TV di questi

ultimi anni perché, a dire il vero, io sarei propenso ad attribuire certe usanze

che per Ognissanti troviamo in varie vallate alpine e appenniniche più a quel

retaggio antichissimo che non a questi stucchevoli e provinciali recuperi.

Ma, come dicevo, nella storia dei Celti si registrano anche singolari rovesci di

fortuna e non mi riferisco solo alle battaglie e alle guerre perdute (via via

contro Romani, Anglo-Sassoni, e poi Inglesi e Francesi) ma a qualcosa di

ancor più insidioso per la sopravvivenza di un popolo: l’ignoranza diffusa

sulla sua identità. Tanti, troppi, anche fra persone di buona cultura non sanno

chi furono (e sono tuttora) davvero i Celti o hanno le idee molto confuse in

proposito. C’è chi crede, ad esempio, che i Celti rappresentino un ramo -

importante quanto si vuole ma pur sempre un ramo-, dei Germani o che

celtiche siano solo le popolazioni antiche, quelle sconfitte o assimilate dai

Romani: e sbagliano entrambi perché, da un lato, “celtico” è un concetto

etno-linguistico autonomo e i contatti che ci sono stati con il mondo

germanico sono avvenuti fra due etnie distinte, mentre, dall’altro, se è vero

che non esistono più né Galli, né Celtiberi, né Galati, né Leponzi, sono

celtiche optimo iure anche tutte quelle comunità che in epoca medievale,

moderna e contemporanea parlavano o addirittura parlano tuttora una lingua

celtica come oggi nel Gaeltacht irlandese, nel Galles, in Scozia, in Bretagna e

fino al secolo scorso e al XVIII rispettivamente nell’Isola di Man e in

Cornovaglia.

Ma, forse, il fraintendimento più curioso (e spiacevole per i poveri Celti) è

quello di cui essi furono vittima molti anni fa proprio a Pisa, quando la

Facoltà di Lettere e Filosofia chiese al Ministero della Pubblica Istruzione

(allora, in epoca pre-autonomia questa era la via obbligata per accendere un

nuovo insegnamento universitario) l’istituzione di una cattedra di Filologia

celtica e gli alti burocrati, supremi custodi del sapere accademico italiano,

risposero con una bella lettera al Consiglio di Facoltà in cui dicevano che

certamente si trattava di un’eccellente idea e che volentieri avrebbero

consentito che l’Università di Pisa potesse fregiarsi di una tale cattedra ma,

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allo stesso tempo, che non capivano perché la richiesta venisse dalla Facoltà

di Lettere e non da quella di ..........Medicina! Dopo un momento di

comprensibile stupore in Consiglio fu subito chiaro da cosa era stato

generato l’equivoco: il fatto è che celtico (come, del resto il suo quasi

sinonimo gallico) era fino a qualche anno fa un aggettivo comunemente

associato al sostantivo morbo per indicare quella malattia di cui ci fecero

regalo le truppe discese in Italia nel 1495 al seguito di Carlo VIII di Francia

per l’assedio di Napoli, la sifilide, insomma, non a caso detta anche mal

francese (ma dai Francesi, naturalmente, mal napolitain!); del resto, qualcuno

anche qui ricorderà che il reparto dermosifilopatico dell’Ospedale Militare di

Livorno si chiamava appunto Padiglione Celtico!

Certo, oggi le cose sono cambiate e, grazie soprattutto ad alcune iniziative

espositive di grande risonanza come quella di Palazzo Grassi sopra ricordata

del 1991, al consolidamento della celtistica in alcune Università italiane, alla

pubblicazione di ottime sintesi storiche o archeologiche (ma anche alla

benemerità attività di associazioni culturali locali come Terra Insubre di

Varese o Capodanno Celtico di Milano che fanno buona divulgazione) i livelli

dell’informazione di base sui Celti si sono decisamente alzati. Ma certo non si

può dire che una soddisfacente informazione sulla cultura celtica sia ormai

alla portata di tutti, per cui anche un corso universitario come questo, a

prescindere dall’argomento specifico che ne forma l’ossatura portante, non

può non iniziare cin qualche informazione di base

***

Innanzitutto, come già accennato, “celtico”, non diversamente da

“germanico”, “slavo”, “baltico”, ecc. è un concetto prima di tutto linguistico,

nel senso che prima di poter qualificare con tale etichetta questo o quel

popolo o comunità, bisogna essere certi che questa parli (o abbia parlato)

una lingua celtica: non c’è molta diversità, da questo punto di vista, con un

qualsivoglia testo, del quale non ci sogneremmo mai di dire che è celtico (o

germanico o slavo) se non è scritto in una lingua appartenente a una di

queste sottofamiglie indoeuropee. La storia e l’archeologia possono dare

contributi preziosi per la conoscenza dei Celti ma non possono mai avere

l’ultima parola in un’eventuale questione di attribuzione etnica giacché è

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noto, da un lato, che spesso gli storici classici confondono fra Celti e

Germani o che la cultura La Têne (così chiamata dal nome di un villaggio

sulle sponde del lago di Neuchȃtel dove alla metà dell’800 fu scoperto un

importante sito dell’età del ferro con caratteristiche originali), pur costituendo

il risvolto archeologico di grandissima parte della celticità, non è patrimonio

esclusivo di genti celtofone, giacché da un lato la cultura lateniana fu in parte

adottata anche da popolazioni parlanti altri idiomi (ad esempio, i Piceni) e,

dall’altro, esistono popolazioni parlanti lingue sicuramente celtiche che

presentano facies archeologiche non lateniane, come in Celtiberia o nell’area

lepontica.

Vediamo allora queste lingue celtiche, cominciando da quelle che erano

parlate sul continente europeo negli ultimi secoli dell’era antica, quella della

maggiore diffusione dei Celti. Il gallico è senz’altro quella più importante per

diffusione (Gallia Transalpina e Cisalpina, parte della Germania e della

Svizzera) e ampiezza di documentazione diretta (iscrizioni) che va dal III sec.

a.C. al II-III (forse addirittura IV) d.C. e indiretta (toponimi, voci di sostrato nei

dialetti gallo-romanzi). Il leponzio (da alcuni considerato una variante arcaica

e periferica del gallico) era parlato in Val d’Ossola, aree intorno alle due

sponde del lago Maggiore e Canton Ticino come ci testimoniano poco meno

di duecento iscrizioni (dal VII sec. al II a.C.) fin, la gran parte delle quali,

purtroppo, assai brevi e in frammenti e costituite per lo più da nomi propri. Il

galatico era la lingua di quei Galli che passarono nel III sec. a.C. in Asia

Minore fondandovi il regno della Galazia (corrispondente in parte all’attuale

Turchia) e che dovette sopravvivere a lungo prima di soccombere al greco

visto che ancora S. Girolamo ci dice che ai suoi tempi era ancora parlato ma

di cui conosciamo solo glosse in autori classici e nomi di persona. Infine, il

celtiberico è la lingua celtica di alcune centinaia di iscrizioni in una sorta di

semisillabario iberico o in alfabeto latino comprese in un arco cronologico dal

III al I sec. a.C. provenienti dal centro della Spagna. Tutte queste lingue, dette

appunto lingue celtiche antiche o continentali furono, in momenti e con tempi

diversi, comunque soppiantate in epoca imperiale dal latino (e, nel caso del

galatico anche dal greco). Vorrei far notare già a questo punto (ma ritornerò

più avanti sull’argomento perché di importanza cruciale) che rispetto un arco

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cronologico e una arealità così ampi come quelli pertinenti ai Celti antichi le

testimonianze scritte lasciate da questi sono numericamente insignificanti

(siamo abbondantemente al di sotto del migliaio fra quelle galliche, leponzie,

celtiberiche), non arrivando neppure a interessare tutte le aree europee che

altri indizi linguistici (in primis la toponomastica) ci assicurano essere state

occupate dai Celti. Inoltre, queste testimonianze scritte consistono in

iscrizioni votive, funerarie, marchi di proprietà o di fabbrica, calendari,

formule magiche, brevi testi scherzosi e pochi altri tipi mentre non abbiamo

neppure un testo che possa essere definito “letterario” e sono rarissimi e

limitati alla celticità ispanica e a un’iscrizione gallica a Vercelli, entrambi spia

di contatto con il mondo romano) i documenti di tipo giuridico e politico.

Avremo occasione di ritornare più avanti durante il corso sull’oralità come

caratteristica tipica della cultura celtica antica ma ora, prima di concludere

questa rapida informazione sulle lingue celtiche continentali, occorre

precisare che le nostre informazioni su di esse non si limitano alle epigrafi

scritte dai Celti stessi ma ne abbiamo anche testimonianza indiretta, vale a

dire elementi e sopravvivenze in altre tradizioni linguistiche e in diversi settori.

Queste fonti indirette sono rappresentate in primo luogo dalle glosse di autori

classici, cioè quelle numerose voci che gli autori latini e greci ci dicono

essere impiegate dai Celti, come il gallo-lat. ambactus “servo” (la parola che,

attraverso successive mediazioni germaniche e francese è alla base del

nostro ambasciata), o il galatico drunemeton “tempio”. Un’altra fonte

indiretta di conoscenza del celtico antico sono le tante parole che il latino ha

preso in prestito dal gallico come gladius, lancea, carpentum; di queste,

molte delle quali entrate nelle lingue romanze: mi limito qui a ricordarne solo

alcune francesi e italiane (in molti casi ricorrono in entrambe le lingue):

cervoise “birra” (attraverso il lat. cervisia dal gallico kurmi, come lo spagnolo

cerveza), crème, grève, if, quai, cavallo, carro, benna, brigante, camicia,

braca, drappo allodola, betulla, segugio, garrese, paiolo, ecc. Altre voci di

origine gallica sono quelle cosiddette di sostrato, cioè quelle parole che,

anche se non necessariamente impiegate nel latino standard sono penetrate

in quello regionale e di qui in italiano, in francese e nei vari dialetti gallo-

romanzi: bresc. bénola “donnola”, ven. bar “cespuglio”, emil. bèga “ape”, it.

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sett. brolo, broletto, lig. crösa “viottolo”, mil. cròppa “sudiciume, tartaro delle

botti” che muove da un gall. *krouppā. confrontabile con parole britanniche

dallo stesso ambito semantico.

Infine, altra fonte importantissima di informazione indiretta sulle lingue

celtiche antiche è costituita dalla toponomastica, giacché sono di derivazione

gallica una grandissima parte dei nomi di città e regioni europee: Parigi (e

Lutetia), Londra, Lione, Berry, Brouges, Auvergne, Leyda, Coimbra, Vienna,

Ivrea, Milano, Brescia, Verona, Senigallia, Cadore ,ecc. cui si affiancano quelli

seriali composti con le parole o formanti celtiche come –dunum

“fortezza” (Verdun, Induno, ecc.), -ako- (in Francia sono i toponimi in –ac

come Larzac, Banassac, in Italia quelli in –ago come Assago, Legnago ), e

forse (la questione è oggi assai dibattuta) –ate, il suffisso che faceva dire a

Mario Soldati che i Lombardi sono così gentili da dare del “Voi” perfino….. ai

paesi: Malnate, Novate, Alzate, ecc.

Queste sono dunque le nostre fonti, dirette e indirette, per la conoscenza

delle lingue dei Celti antichi: non è granché, è vero, e nulla di neppure

paragonabile alla nostra documentazione in altre lingue antiche come il

sanscrito, l’iranico, il latino o il greco; è altrettanto vero, però, che negli ultimi

decenni, grazie a importantissime scoperte epigrafiche e archeologiche si è

registrato un notevole incremento di testi che, se non ne hanno ancora

modificato lo status di Restsprachen (come noi glottologi chiamiamo le

lingue di attestazione frammentaria), hanno consentito comunque un

notevole incremento delle nostre conoscenze sul lessico e la grammatica del

gallico e del celtiberico. Ma veniamo agli “altri Celti”.

***

Sconfitti e/o assimilati sul continente, i Celti restano nelle isole britanniche

dove, anche dopo l’invasione sassone dell’Inghilterra mantengono per tutto il

Medioevo e anche oltre non solo l’Irlanda e la Scozia ma anche importanti

enclaves come il Galles e la Cornovaglia; ed è dalla Britannia sotto pressione

anglo-sassone che provengono fra il V e il VI sec. d.C. quei Celti nell’antica

Armoricia, la regione della Francia nord occidentale che per tale ragione fu

detta Bretagna. E con questo siamo all’altro grande settore delle lingue

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celtiche, detto insulare perché quelle lingue erano (e in alcuni casi sono

tuttora) parlate nelle isole britanniche.

Di queste l’irlandese è di gran lunga la più importante sia perché ha dato vita

alla letteratura celtica più ampia e diversificata sia perché, dato che è

fortemente conservativa, presenta il maggiore interesse anche per il

glottologo comparatista: non a caso il nostro Graziadio Isaia Ascoli e i primi

studiosi di lingue celtiche (Zeuss, Ebel, Windish, Zimmer, Strachan, Rhys) si

dedicarono appunto soprattutto all’irlandese.

Ma qui occorre fare una digressione perché l’Irlanda è anche l’unica area

celtica ad avere elaborato un proprio specifico alfabeto, laddove i Celti

continentali si servirono, a seconda delle aree dove entrarono in contatto con

culture alfabetizzate, di quelli greco, iberico, nord-etrusco e latino mentre

Gallesi, Cornici e Bretoni non conobbero altro che quello latino. In Irlanda,

invece, prima dell’alfabeto latino fu in vigore l’alfabeto ogamico, quel

complicato sistema scrittorio la cui invenzione la tradizione irlandese fa

risalire al dio Ogma (certamente imparentato con Ogmios, l’Ercole gallico di

cui parla Luciano di Samosata) e che fu utilizzato fra il V ed il VII secolo (con

inizi, forse, già dal IV e prosecuzioni tarde e "scolastiche" in vari mss. assai

posteriori) per redarre brevi e stereotipe iscrizioni funerarie. Iscrizioni in

ogamiche si trovano anche nelle colonie gaeliche del Galles e di Scozia (qui

l’alfabeto ogamico servì anche per redarre le iscrizioni nella lingua dei Pitti, a

tutt’oggi incomprensibili) e sull’isola di Man. In questa scrittura, realizzata

con l'intaglio di tacche e di puntini lungo lo spigolo di una pietra, i valori

alfabetici sono dati dal raggruppamento numerico e dalla collocazione degli

intagli: le quindici consonanti si raggruppano in tre serie di tacche (ogni serie

è costituita da un minimo di una ad un massimo di cinque) disposte

perpendicolarmente a destra, a sinistra e trasversalmente rispetto a quella

linea di riferimento, mentre le vocali sono rappresentate da punti (ancora da

uno a cinque) scalpellati sullo spigolo vivo. Non a caso, però, ho parlato di

“elaborazione” e non di “invenzione” perché l’ogam non nacque come

alfabeto ma come codice non scrittorio (probabilmente digitale, visto il ruolo

cardine svolto dal numero cinque) di comunicazione fra iniziati di cui non ci è

rimasta nessuna testimonianza diretta (se ne fa invece menzione nelle saghe,

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come vedremo nell’appendice) perché inciso su materiale deperibile e di cui

e al di là della "morfologia" dei segni impiegati, che sono appunto quelli

precedenti, diventò un vero e proprio sistema alfabetico in virtù di un

complesso rapporto fra riflessione autonoma sul sistema fonologico

irlandese e assimilazione dell'insegnamento grammaticale di Donato e

Prisciano. Come impiego pratico, l’ogam rimase circoscritto al solo uso

sepolcrale, con testi brevissimi e stereotipi (in pratica si tratta di epitaffi

costituiti dalla sola formula onomastica, mono- o plurimebre, al genitivo,

dove è sottinteso qualcosa "(tomba) di X " e la sua diffusione, in pratica,

restò limitata all'Irlanda sud-occidentale, sì che sarebbe sbagliato, a

proposito dell'ogam epigrafico, parlare in termini di alfabeto nazionale

irlandese. La definizione potrebbe invece andar bene per un altro tipo di

impiego di quell’alfabeto, il cosiddetto ogam "scolastico", conservato con la

sua chiave, i nomi delle “lettere”, ecc. in vari mss. tardi e che costituiva

materia di insegnamento nelle scuole per poeti fino al XIV secolo, ma senza

più alcuna funzione pratica: è grazie a tale tradizione "scolastica" che l'ogam

non ha mai conosciuto le vicende della decifrazione e che, in tempi recenti, è

assurto, in talune pubblicazioni per dilettanti e nell'oggettistica per turisti, ad

emblema della cultura irlandese più antica, con una delle tante operazioni di

revival tanto fortunate quanto, nella sostanza, storicamente infondate.

Dopo il periodo delle iscrizioni ogamiche l’irlandese è attestato a partire

dall’ottavo secolo in glosse per dar luogo, nei secoli successivi, ad un’ampia

letteratura fatta di racconti epici e mitologici in prosa (fissazione e

rielaborazione delle storie tradizionali trasmessi fino ad allora oralmente),

trattati giuridici, opere storiche e annalistiche, racconti di viaggi meravigliosi,

vite di santi, composizioni poetiche di natura religiosa, liriche naturalistiche e

amorose, ecc.; oggi è parlato da circa un centinaio di migliaia di persone

delle zone occidentali e nordoccidentali dell'isola (Gaeltacht).

Lo scozzese, impiegato oggi da non più di 70.000 individui nelle isole Ebridi e

negli Highlands, è l'evoluzione della forma linguistica importato da coloni

irlandesi nel V sec. d. C ed è attestato a partire dal XVI secolo con l'antologia

poetica di Sir James Mac Gregor e continua con opere di traduzione in

prosa, liriche e con un'abbondante produzione di canzoni popolari e ballate

Page 9: Filologia Celtica

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rielaborazioni del patrimonio tramandato fino ad allora oralmente,

conosciuto nel circuito culturale europeo soprattutto tramite i falsi ossianici

di Macpershon.

Il mannese è (o, meglio, era) il dialetto dell'isola di Man il cui primo

documento è la "Ballata di Manannan", poema risalente al XVI sec. nel quale

si narra la storia dell'isola partendo dalle origini leggendarie (Manannán è il

dio pagano gettato in mare dall'arrivo di San Patrizio in Irlanda), mentre gli

altri testi, tutti posteriori al XVII sec., consistono soprattutto in traduzioni della

Bibbia e in libri di preghiere. Del mannese possiamo fornire (caso abbastanza

raro negli studi linguistici) la data esatta di estinzione e abbiamo addirittura la

foto del suo ultimo parlante, il pescatore Ned Maddrell morto nel 1974.

L'irlandese, lo scozzese e il mannese (questi ultimi due assai più vicini fra

loro che non al primo) costituiscono il gruppo gaelico (Gael è il nome

dell'Irlanda in irlandese moderno, mentre quello medievale era Goidel, da cui

la variante goidelico per il glottonimo).

A parte un paio di testi dei II sec. d. C. assai controversi, reperiti nel

santuario di Minerva Sulis a Bath e scritti, con ogni verosimiglianza in una

sorta di “britannico comune”, il gruppo britannico o brittonico (Brython è il

nome gallese degli abitanti della Britannia) è costituito da tre dialetti. Il gallese

ancora oggi parlato nel Galles, presenta, dopo le prime glosse del IX sec.,

una letteratura copiosa fatta di poemi epici come il Canu Aneirin o il Canu

Talieisin, redatti a partire dal XII sec. ma frutto anch'essi, come in Irlanda,

della fissazione in manoscritto di racconti e miti di epoca precristiana, poesia

elegistica e di corte, annali, trattati giuridici, traduzioni di testi religiosi, ecc.

Da segnalare che la poesia gallese è stata la più importante ed ancora oggi la

più fiorente nelle letterature in lingua celtica; per la fase antica e media del

gallese è diffusa anche l'etichetta di cimrico (Kymru è il nome del Galles in

gallese). Il bretone rappresenta l'evoluzione del britannico importato sul

continente da Britanni sospinti dalla pressione degli invasori angli e sassoni

ed è ancora oggi parlato in Bretagna (per lo più da persone anziane dedite

all'agricoltura e alla pesca delle quali si ignora il numero) con una notevole

varietà di dialetti e, all'interno di questi, numerose varianti locali. I suoi primi

documenti sono glosse in manoscritti latini a partire dal IX sec. mentre

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l'epoca medioevale vede il fiorire di drammi religiosi (i “Misteri”), testi poetici

di varia natura (rari quelli in prosa), traduzioni ed adattamenti di testi francesi,

ecc. . A partire dal XVII sec. si hanno testi teatrali, canzoni popolari,

componimenti poetici e in prosa di varia natura , vite di santi. Il cornico,

infine, è un dialetto britannico assai più vicino al bretone che al gallese, sì che

di fronte a glosse del IX sec. si resta talvolta incerti circa l'attribuzione. Il

primo documento certamente cornico, il Vocabularium Cornicum (circa

1200), è un glossario cornico-latino basato su uno latino- antico inglese

mentre dal XV sec. si datano poemi e drammi scenici a soggetto religioso e

svariate vite di santi. Il cornico è estinto verso la fine del XVIII secolo e i

ripetuti tentativi di riportarlo in vita da parte di associazioni varie o singoli

intellettuali, negli ultimi due secoli, denunciano più l'attaccamento alle proprie

radici culturali che non la reale possibilità di un recupero.

Nel loro complessole letterature scritte in lingue celtiche insulari, pur traendo

origine da un lunghissimo periodo di trasmissione orale, si configurano come

tradizioni ricche di documentazione, articolate in numerosi generi e tematiche

e fondamentalmente conservative e unitarie nei nuclei narrativi e mitici

fondamentali, ma anche, per certi versi, di grande innovazione e originalità,

come è il caso, tanto per fare un esempio, della lirica di contemplazione della

natura, un genere che ebbe nell’Irlanda del IX e X secolo una delle prime

manifestazioni nella letteratura europea, come ampiamente ignorato dalla

comparatistica. Anche se ampie e importanti, le letterature scritte in

irlandese, scozzese, gallese, bretone, ecc. non avrebbero avuto, tuttavia, il

ruolo che loro spetta nella letterature e nella cultura occidentali se fossero

rimaste confinate a quel tipo di documentazione giacché, al contrario, il

grosso di quei temi e di quelle tradizioni letterarie è stato filtrato attraverso

altre lingue e tradizioni che celtiche non sono. I bardi celtici rimasti operanti

per lungo tempo in Irlanda anche dopo la cristianizzazione e relegati nel

Galles dalle invasioni sassoni ebbero lunghi secoli a disposizione per

rielaborare in maniera indipendente gli uni dagli altri il fondo antico e unitario

di tradizioni, miti e leggende celtiche finché non avvenne un fatto destinato a

imprimere una svolta epocale nella cultura europea. Con l'assunzione da

parte dei Normanni della sovranità sulla Bretagna e poi sull'Inghilterra le due

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sponde divennero culturalmente unite e nelle corti dei signori normanni si

rielaboraronono e si misero per iscritto le storie udite dai bardi gallesi. E' da

questa tradizione che nasce (oltre gli altrettanto famosi lais bretoni) la

celeberrima Matière de Bretagne di Chrétien de Troyes, cioè tutta quella

massa di romanzi e di storie che hanno come protagonisti Artù, Merlino,

Morgana, Parsifal e Tristano e che conobbero innumerevoli continuazioni nel

corso dei secoli un po' in tutta Europa, Italia compresa, subendo

inevitabilmente profondi rimaneggiamenti ed evidenti processi di

cristianizzazione, sotto i quali, tuttavia, continuano a scorgersi gli originari

tratti celtici unitari: nomi, luoghi d'azione, prerogative e vicende di gran parte

dei personaggi di quei racconti si ritrovano, infatti, puntualmente, nei

componimenti in lingua irlandese o gallese.

Ma, anche prescindendo da questo ulteriore sviluppo di temi e cicli narrativi

celtici in letterature in lingue non celtiche (sviluppo che tipologicamente si

avvicina a tanti altri episodi, soprattutto continentali, di conservazione per

fonte indiretta di elementi della celticità linguistica e culturale), si impone con

tutta evidenza un dato che rischia, se non spiegato, di avere del paradossale.

E’, infatti, solo apparentemente paradossale il fatto che le lingue celtiche

insulari (o medioevali), ancorché parlate in aree geografiche assai più

circoscritte, abbiano dato vita a ampie e articolate letterature mentre nulla di

neppure paragonabile si è verificato su quell’amplissima parte del continente

europeo dove erano parlate quelle antiche. La spiegazione del fatto che i

Celti delle isole, detto molto alla buona, abbiano scritto tanto di più dei loro

predecessori continentali, stanziati dall’Atlantico alle pianure danubiane,

l’Italia settentrionale e l’Anatolia, non può esaurirsi nella banale constatazione

che le lingue celtiche insulari hanno avuto un periodo di impiego assai più

lungo (e in alcuni casi sono addirittura tuttora in vita) di quelle continentali, sì

da rendere a priori probabile, una sproporzione documentale orientata in quel

modo. Voglio dire che il gallico, ad esempio, ha avuto certamente una vita più

breve dell’irlandese ma, insomma, non così breve da impedire che nei suoi

(almeno) sei secoli di impiego dopo che in alcune zone della Gallia si era

appreso a scrivere e prima della sua estinzione completa spuntasse un solo

testo letterario. La ragione della differenza deve essere più profonda e, per

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semplificare, la descriverei in questo modo: i Celti continentali appresero da

altre popolazioni un alfabeto, quelli insulari una cultura. Detto più

esplicitamente: i Celti del continente, ogni volta che appresero da altri (Greci,

Etruschi, Latini) a scrivere, applicarono la nuova risorsa esclusivamente a

quegli impieghi pratici e circoscritti cui facevo sopra riferimento (quando non

addirittura imitativi delle tipologie epigrafiche degli “altri”) e, per così dire, non

“fecero in tempo” o non vollero comunque rinunciare alle fondamenta orali

della loro cultura né compiere il salto fondamentale che avrebbe consentito

loro il trasferimento allo scritto del patrimonio letterario celtico antico. Tale

salto fondamentale avvenne invece nelle isole, dove ancor prima che

all’apprendimento di un alfabeto si addivenne all’idea stessa che potesse

essere affidato allo scritto ciò che fino ad allora era stato affidato all’oralità. E

se si considera che la cultura “straniera” che portò insieme a quell’idea

l’alfabetizzazione era quella latina, diffusasi di pari passo con la

cristianizzazione dell’isola, si comprende anche come la vera differenza fra

l’alfabetizzazione dei Celti del continente e quella dei Celti insulari sia una

differenza fra il grado di prestigio dei fattori che le determinarono. Ma su tutto

ciò avremo occasione di tornare più volte durante il corso, sia quando

esamineremo testi continentali che quando analizzeremo i più complessi (e

interessanti) documenti irlandesi e gallesi.

***

Vediamo ora alcuni dei tratti linguistici comuni fra tutte queste lingue che

consentono di parlare di una famiglia celtica all’interno della grande famiglia

indoeuropea:

1) perdita della consonante p iniziale e intervocalica: cfr. lat.

pater, ant. ind. pitā : gallico atrebo (dat. pl.), irl. athir “padre”:

lat. nepos, ant. ind. napāt, alb. nip : irl. níae, corn. noi “nipote”;

questo è il fenomeno che spiega, fra l’altro, il nome di Milano

che non è *Miplano perché il suo antecedente Mediolanum,

denuncia una pronuncia a sostrato gallico di quella che in zone

libere da quell’influsso sarebbe stato *Medioplanum;

Page 13: Filologia Celtica

13

2) trasformazione della e lunga indoeuropea in i lunga: cfr. lat

rēx : irl. rí, cimr. rhí, gall. -r īx, nei nomi propri come

Vercingetorix, Albiorix (e, naturalmente, Asterix);

3) trasformazione della o lunga non finale indoeuropea in a lunga:

cfr. lat. dōnum, gr. dōron :irl dán, cimr. dawn (il digramma

<aw> indica appunto una o lunga); lat. nōtus, gr. gnōtós : irl.

gnáth, cimr. gnawd.

4) trasformazione della o lunga indoeuropea di sillaba finale in u

lunga: cfr. lat sorōr : irl. siur, lat. ferō :irl biur o la desinenza

indoeuropea di acc. pl. -ōs (lat. amicōs) rispetto a –u del

celtico

Altri esempi si potrebbero fare, ancora tratti dal livello fonetico ma esistono

isoglosse celtiche (meno significative e esclusive, comunque) anche per il

livello morfologico, mentre è assolutamente impossibile ricostruire una

sintassi celtica comune. Di un certo significato anche un buon numero di

vocaboli esclusivamente celtici, ma, a proposito di lessico, il fatto più

importante è certamente l’alto numero di vocaboli che il celtico ha in comune

con il germanico, relativi soprattutto all’ambito della guerra, dei suoi

strumenti e delle sue conseguenze (cfr. ant. irl. bág : ant. isl. bagr “battaglia”;

ant. irl. slacc : got. slahan “spada”; gall. gaison : ant. isl. geirr “giavellotto”;

cimr. budd : med. a. ted. büte “bottino”, ecc.), i quali vocaboli costituiscono

la conferma più eloquente di quanto già potevamo intuire dall’archeologia, e

cioè l’elaborazione di una tecnologia militare comune fra le popolazioni

celtiche e quelle germaniche insediate sulle due sponde del Reno. Troppo

lontano ci porterebbe dilungarci qui su tali aspetti, i quali saranno, tuttavia,

puntualmente esaminati ogni volta se ne darà l’occasione nel commento di

un testo.

Oltre questi tratti che individuano una famiglia celtica all’interno di quella

indoeuropea esistono anche differenze fra le varie lingue celtiche che

consentono vari, possibili raggruppamenti. Un tempo aveva molto credito fra

gli studiosi (ed era anche ciò che si imparava alle lezioni di Glottologia e di

Filologia celtica) che la divisione fondamentale era fra celtico-Q e celtico-P,

cioè fra il gruppo gaelico che conserva (e poi velarizza) l’antica labiovelare

Page 14: Filologia Celtica

14

sorda idoeuropea (si tratta del suono iniziale dell’italiano questo) e il gruppo

britannico che invece la labializza: cfr. irl. og. MAQI (gen.) : cimr. map “figlio”;

irl. cethair : cimr. pedwar “quattro”, ecc.) ma oggi è si considera tale

isoglossa strutturalmente banale (come ci insegna il linguaggio infantile che

alterna in continuazione nelle stesse parole suoni labiovelari e labiali), senza

contare il fatto che le nuove testimonianze celtiche continentali (galliche e

leponzie, soprattutto) forniscono dati contraddittori, cioè oscillazioni nella

stessa lingua (e talvolta nella stessa parola) parola fra varianti con labiovelare

conservata e forme che labializzano.

D’altro canto non si è ancora riusciti a elaborare altri criteri che consentano di

tracciare una dialettologia celtica più convincente di quella, abbastanza

banale, che divide le lingue celtiche fra insulari e continentali Per esempio si

può dire che mentre le lingue celtiche insulari si caratterizzano, nella sintassi,

per l’ordine Verbo-Soggetto-Oggetto, quelle continentali presentano, almeno

nei documenti più antichi) quello Soggetto-Oggetto- Verbo, oppure che

mentre le lingue celtiche insulari hanno il fenomeno della lenizione

(indebolimento articolatorio delle consonanti intervocaliche) quelle

continentali non ce l’hanno. Ma è intuitivo che una dialettologia siffatta dice

poco perché, in pratica distingue fra lingue più antiche e lingue più recenti:

nulla ci assicura cioè, che le lingue celtiche continentali, se fossero vissute

più a lungo avrebbero sviluppato gli stessi fenomeni (o fenomeni analoghi) a

quelli delle lingue insulari. Per convincerci a tale disposizione intellettuale

dovrebbe bastare l’osservazione di altri fatti che si interpretano da soli, come,

ad esempio, la caduta nelle lingue celtiche insulari delle sillabe finali,

conservate invece in quelle continentali: è chiaro che qui siamo di fronte a un

processo solo insulare perché ha avuto inizio solo dopo la fine delle lingue

celtiche antiche e addirittura successivamente al periodo ogamico (dove tali

sillabe sono mantenute): chi potrebbe seriamente istituire una dialettologia

celtica su tali basi, che sarebbero le stesse su cui si fonderebbe chi ne

volesse tracciare una italiana comparando il veneziano di oggi con il siciliano

del Trecento?

Concludo questa sommaria informazione sugli aspetti più propriamente

linguistici rimandando alla tabella in appendice dove sono i riportati i nomi

Page 15: Filologia Celtica

15

dei numerali ordinali da “primo” a “decimo” rispettivamente in gallico,

irlandese e cimrico e che servirà a far apprezzare, da un lato il carattere più

arcaico del gallico (dove sono assenti non solo la lenizione o la perdita delle

sillabe finali, come abbiamo visto, ma anche altri fenomeni presenti in

irlandese e cimrico come la sincope di vocale interna) rispetto alle altre due

e, dall’altro, le vistose differenze che da un fondo celtico comune si sono

sviluppate dando vita alle unità discrete concretamente attestate, le quali

unità, beninteso, in altri casi sono restate coralmente fedeli a quel fondo

comune: si noti, ad esempio, la spirantizzazione del nesso kt (graficamente

resa in gallico con <xt >, con <cht >in irlandese e approdata alla

vocalizzazione in cimrico), nei nomi per “settimo” e “ottavo”: un fenomeno

panceltico, dunque, che è alla base anche delle forme francesi lait e nuit,

rispettivamente da NOCTEM e LACTEM del latino, ma di un latino regionale,

pronunciato “alla gallica”, dove esisteva quella spirantizzazione dell’elemento

velare del nesso, poi approdata, come in cimrico, alla vocalizzazione.

***

Questa introduzione (e tutto il corso) potrebbero intitolarsi a buon diritto Le

lingue e la cultura celtiche perché, con il contrasto fra plurale e singolare, ho

voluto subito dichiarare che rispetto alla parentela fra le varie lingue celtiche,

forte e innegabile, è senz’altro ancora più forte e innegabile è l’unitarietà della

cultura celtica: noi ritroviamo nell’Irlanda e nel Galles medioevali istituzioni,

leggi, temi letterari, tradizioni e financo tratti della vita religiosa identici o

quasi a quelli descritte dagli autori classici per i Celti antichi o desunte da

altre fonti (come quelle iconografiche) a questi relative. Una motivazione

appena esauriente di simile affermazione rischia di tradursi in pagine e

pagine e pagine di citazioni da testi o da studi specialistici, tante sono le

esemplificazioni che se ne potrebbero addurre a conferma; sarà più

ragionevole dunque operare, nel corso, una drastica selezione affatto

personale ma che reputo comunque già sufficiente almeno a dare l’idea di

quanto appena affermato circa il carattere fortemente unitario e conservativo

della cultura celtica, colto ai suoi diversi livelli (materiale, sociale,

intellettuale).

Page 16: Filologia Celtica

16

A un aspetto di questa ho in qualche modo già accennato quando, a

proposito del rapporto fra oralità e scrittura, ho sottolineato come, se le

manifestazioni e le conseguenze dell’approccio alla seconda furono

inevitabilmente diverse per i Celti del continente e per quelli delle isole in

conseguenza della diversità delle rispettive storie, la prima dimensione è

invece comune a entrambi e quindi, può essere assegnata senza esitazione

alla fase celtica comune. Restano qui da fare solo una precisazione e da dare

alcune ulteriori informazioni. La precisazione consiste nella rimozione del

vecchio pregiudizio sull’interdizione druidica della scrittura fondato su un

famoso passo cesariano: Magnum numerum versuum ediscere dicuntur (scil.

Druides). Itaque annos nonnulli vicenos in disciplina permanent. Neque fas

esse existimant eas litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis

privatisque rationibus Graecis literis utantur (De bello Gallico 6.14). Qui come

in tanti altri luoghi dell’opera cesariana, la stringatezza della prosa non deve

trarre in inganno impedendoci di distinguere fra ciò che rappresenta

descrizione neutra e oggettiva della realtà e sua interpretazione. Cesare è

certamente ben informato e riferisce correttamente quando parla del gran

numero di versi che i Druidi erano tenuti a imparare a memoria e del fatto

che, in conseguenza di tale mole di materiale, l’apprendistato poteva durare

anche vent’anni, così come è nel giusto quando informa che, invece, per le

cose pratiche era impiegata la scrittura (nella fattispecie quella greca e anche

ciò è vero, come abbiamo visto), come, del resto, aveva già direttamente

informato in 1.29 quando riferisce che nel campo degli Elvezi erano state

rinvenute tavolette scritte in caratteri greci dove erano elencati gli effettivi in

grado di combattere e, a parte, donne, vecchi e bambini :

In castris Helvetiorum tabulae repertae sunt litteris Graecis confectae et ad

Caesarem relatae, quibus in tabulis nominatim ratio confecta erat, qui

numerus domo exisset eorum qui arma ferre possent, et item separatim, quot

pueri, senes mulieresque.

Al contrario, Cesare prende una bella cantonata quando, nel primo passo

sopra riportato, parla espressamente di interdizione della pratica druidica per

ciò che riguarda la “letteratura” (neque fas esse ea literis mandare) giacché,

non si trattava affatto di proibizione ma semplicemente di attaccamento alle

Page 17: Filologia Celtica

17

forme e alle tecniche tradizionali di conservazione e trasmissione della

cultura, di cui Cesare doveva pur essere al corrente se, poco più avanti, fra le

possibili ragioni di quella interdizione avanza (in sintonia col ben noto

racconto del Fedro platonico sulla diffidenza del Faraone dinanzi

all’invenzione della scrittura presentatagli dal dio Toth) quella del timore dei

Druidi di indebolire –fornendo loro un sussidio così potente- le capacità

mnemoniche dei discepoli. L’errore cesariano consiste dunque nello

scambiare, a proposito dell’atteggiamento dei Druidi nei confronti della

scrittura, una mancanza di reale necessità con un presunto pericolo e un

guasto delle virtù intellettuali, da esorcizzare, allora, con un’esplicita

interdizione. Del resto un Romano, profondamente immerso in una

dimensione che oserei chiamare “grafocentrica”, non poteva assolutamente

capire le vere ragioni per cui fra i Galli proprio il ceto intellettuale

rappresentato dai Druidi non si servisse della scrittura e aveva bisogno di

trovare un motivo grave –la proibizione, appunto- per spiegare (prima di tutto

a se stesso) quell’assenza. Un errore speculare a quello commesso nel

secolo scorso da un grande celtista francese che per spiegare l’assenza di

testi letterari in gallico sosteneva in tale lingua erano un tempo esistiti

migliaia di testi scritti che ci avrebbero tramandato un’amplissima letteratura

(comprendente anche qualcosa di analogo alle odi di Pindaro) se un

malvagio destino non ce li avesse fatti perdere tutti: non voglio essere così

malizioso da pensare che in questo autore affiori anche quel sentimento di

forte attaccamento alla componente non latina delle proprie origini che è un

po’ di tutti i francesi (i quali non a caso amano parlare di Nos ancêtres les

Gaulois), ma è indubbio che a fondamento di una spiegazione così

improbabile per la perdita di tutti (sottolineo “tutti”) i tesori della letteratura

gallica scritta c’è lo stesso pregiudizio grafocentrico appena visto in Cesare,

anche se rovesciato, pregiudizio secondo cui la spiegazione dell’assenza di

letteratura scritta in Gallia deve stare in un fatto comunque assai grave come

un’esplicita proibizione o un gigantesco incendio.

Infine, prima di abbandonare definitivamente questo tema cruciale del

carattere orale della cultura celtica più antica bisogna forse chiarire meglio in

base a quali elementi noi siamo legittimati a desumerlo -sì da farcelo

Page 18: Filologia Celtica

18

considerare appunto celtico comune- anche per i Celti medieovali delle isole

che pure, al contrario dei loro antecessori continentali, hanno affidato, come

abbiamo visto più sopra, il loro patrimonio letterario a una grande quantità di

manoscritti. Sono varie e di diversa natura le ragioni della nostra certezza in

proposito. Intanto c’è la particolare scalatura cronologica fra le tipologie di

testi scritti in lingue celtiche insulari. Lasciando da parte il periodo delle

iscrizioni ogamiche irlandesi (il quale presuppone, comunque, anch’esso un

periodo di impiego non scritto del codice) i primi documenti scritti che

appaiono, tanto in irlandese che in bretone, cornico e cimrico sono glosse e

commenti a testi religiosi latini e tale resta la tipologia fondamentale per

lungo tempo mentre solo in epoca di molto successiva cominciano ad

apparire testi letterari veri e propri appartenenti alla tradizione indigena come

i racconti mitologici e le saghe che descrivono però una società ancora

interamente pagana: farò qui solo pochi esempi in tal senso attinenti

l’ideologia e la vita materiale (ma altri scaturiranno più o meno esplicitamente

da quanto vedremo concretamente durante il corso). Nella letteratura del

Medioevo irlandese, i cui primi manoscritti risalgono a epoca ormai

pienamente cristiana la formula di giuramento tradizionale Tongu do día

toinges mo thúath “giuro sul dio su cui giura il mio popolo” rimanda

chiaramente, con la rappresentazione di un’Irlanda divisa in popoli veneranti

ciascuno un proprio dio, al lontano passato pagano dell’isola. Lo stesso

scarto fra epoca di redazione di testi e quella della dimensione ideologica

che questi conservano si ha nella definizione di un re irlandese come “re in

terra” che si incontra talora nell’epica, per esempio a proposito di

Conchobar, re dell’Ulster che da questo punto di vista può ben essere

accostato a quel Maricco che –racconta Tacito- per farsi re dei Galli Boi e

condurli alla rivolta contro Roma dovette anche proclamarsi dio. Allo stesso

modo nell’Irlanda cristiana non si combatteva certamente più dai carri da

guerra, né si tagliavano più le teste ai nemici uccisi pensando che lì

risiedesse il loro valore, né, infine, si vedevano più e da tempo ormai,

guerrieri nudi “vestiti” solo del torques, la collana maschile celtica di cui ci

parlano gli autori romani a proposito dei Galli e che possiamo ammirare in un

gran numero di esemplari (alcuni splendidi e in oro) nei musei di mezza

Page 19: Filologia Celtica

19

Europa e ornare il collo del Galata morente capitolino: ebbene, per ognuno di

questi tre tratti troviamo abbondanza di testimonianza nelle saghe epiche e

nei racconti mitologici irlandesi, benché, come ormai dovrebbe essere stato

abbondantemente chiarito, la redazione scritta di questi testi sia avvenuta in

data molto successiva alla scomparsa di quelle credenze e di quelle usanze.

Infiniti altri esempi si potrebbero fare di conservazione, direi quasi

“sottovuoto”, di elementi della vita materiale e intellettuale ma credo sia

ormai sufficientemente chiaro cosa voglio sottolineare nel discorso che sto

facendo: per essere poi travasata nello scritto bisogna che quella tradizione

celtica precristiana –come dovrebbe essere perfino superfluo precisare-

fosse in qualche modo sopravvissuta e tramandata più o meno intatta fino al

momento in cui ci si adattò definitivamente all’idea di metterla per iscritto e

l’unico mezzo per tale conservazione non può essere stato che l’oralità.

Ma a dimostrazione dell’origine orale di tanta letteratura celtica insulare

parlano anche altri fatti, di cui mi limito a ricordarne solo alcuni, tratti da

quella irlandese che è la più adatta a fornire chiari esempi in tal senso. E,

comunque, quanto non sarà detto in questa sede, si troverà il modo di

illustrare a proposito di questo o quel testo che leggeremoIl primo è ricavato

dalla struttura testuale dell’epica, il secondo le forme concrete e i contenuti

ideologici di certi componimenti poetici: in entrambi i casi si vedrà

confermata quella non corrispondenza fra il momento della prima redazione

scritta da un lato e l’epoca della loro prima elaborazione orale seguita da

una lunghissima stagione di trasmissione, parimenti orale, dall’altro.

L’epica irlandese, i cui primi manoscritti sono tutti di molto posteriori la

penetrazione del mezzo scritto che accompagnò l’affermazione del

Cristianesimo, è tutta in prosa e ciò rappresenta se non un unicum un tratto

abbastanza singolare nel panorama delle altre tradizioni indoeuropee. I

racconti epici irlandesi assomigliano più a sceneggiature di film che non a

romanzi: descrizioni di paesaggi ridotte al minimo, a zero quelle dei caratteri

dei personaggi, solo monotone successioni di avvenimenti intercalati da

dialoghi ridotti all’osso, il tutto finalizzato a “mandare avanti” il racconto e a

costruire l’arida intelaiatura che, di fatto, coincide con la trama stessa della

storia. Ogni tanto, però, ecco che questa noiosissima lettura è interrotta da

Page 20: Filologia Celtica

20

ampi squarci poetici in cui gli dei e gli eroi pronunciano incantesimi, esortano

al combattimento, si abbandonano a magniloquenti esaltazioni del proprio e

altrui valore o altro: il tutto in una veste linguistica talora di difficile

comprensione, in quella forma di poesia celtica precristiana, cioè, in cui la

dimensione poetica è data unicamente dall’ allitterazione e dall’uso abnorme

di metafore (tipologicamente analoghe alle kenningar dell’epica germanica) e

che precedette quella isosillabica e rimata introdotta su imitazione

dell’innologia tardo-latina. Ora, io credo che la ragione di una simile

alternanza fra ampie zone di calma piatta e picchi improvvisi nella struttura di

questi testi –un’alternanza che la prassi manoscritta irlandese marcava

facendo precedere a quei brani “poetici” la dizione retoiric (spesso

abbreviata in r.), prestito dal latino rhetorice “alla maniera dei sapienti”- si

spieghi proprio col fatto che quei racconti conobbero, prima di essere fissati

per iscritto, una lunghissima fase in cui erano appresi, tramandati ed

elaborati oralmente. Se non è ancora chiaro cosa voglio dire pensiamo a

cosa sarebbe successo, se, poniamo il caso, la messa per iscritto della

Divina Commedia o dell’Orlando Furioso –che in tale exemplum fictum

possiamo a piacer nostro immaginare tanto come frutto di geniale invenzione

poetica individuale quanto come prodotto finale di una collettiva e lunga

elaborazione- fosse avvenuta dopo secoli e secoli di recitazione e di

trasmissione orale da parte di cantori professionisti, selezionati con un

severo apprendistato e da un lungo allenamento della memoria. Senza

sottovalutare né la diligenza professionale né le capacità mnemoniche di

questi immaginari rapsodi e dei loro maestri e anzi facendo loro credito delle

più raffinate mnemotecniche apprese nelle migliori scuole che si possano

immaginare, è facile prevedere che, alla fine di questa plurisecolare fase di

trasmissione orale e quando qualcuno si decidesse finalmente a mettere nero

su bianco quelle opere, questo qualcuno si accorgerebbe che ne domina,

magari anche interamente, ormai però solo la trama, ma delle migliaia e

miglia di versi in cui questa si realizzava testualmente ne ricorda solo alcune

centinaia, selezionate in base ai più vari criteri (vividezza descrittiva, efficacia

espressiva, popolarità dei personaggi di cui si parla, ecc.). A questo punto

per il nostro immaginario e volenteroso primo redattore della Commedia e

Page 21: Filologia Celtica

21

dell’Orlando sarebbe pressoché inevitabile scrivere un testo in prosa

intervallato da quei più o meno numerosi brani poetici che la memoria sua e

dei suoi predecessori ha miracolosamente preservato e che per ciò stesso

costituiscono il centro della sua attenzione e il vero “tesoro” da salvare

definitivamente, ora che egli dispone di un mezzo, la scrittura, ben più

potente di quelli impiegati dalle generazioni precedenti. Proseguendo ancora

nel nostro scenario immaginario, è molto probabile che il lettore di qualche

secolo dopo si troverebbe davanti a qualcosa di molto diverso dalla

Commedia e dall’Orlando che conosciamo e strutturalmente molto simile,

invece, a certi sussidi didattici che usavano quando andavo a scuola io e

che di un poema ci fornivano una scarna trama e i brani più noti: la nostra

Commedia e il nostro Orlando immaginari, insomma, sarebbero testi che

alternano poesia e prosa e dove la prima continua a essere usata per quegli

episodi e momenti di ispirazione lirica la cui forma –poetica, appunto-, è

giunta più o meno intatta attraverso i secoli grazie a una trasmissione orale

che è riuscita a conservare molto ma non tutto (o, se preferiamo, ha voluto

operare tale selezione giacché, come sappiamo, l’arte di ricordare è

soprattutto l’arte di dimenticare). Così, tanto per essere chiari, ci troveremmo

a godere come i nostri predecessori dei versi della preghiera alla Vergine,

dell’incontro con Farinata, dell’invettiva contro l’Italia, della pazzia di Orlando,

del viaggio di Astolfo sulla luna (e a nostro gusto possiamo immaginare tutti i

salvataggi che vogliamo), ma dovremmo accontentarci per tutto il resto di

una trama essenziale e scarna che serve unicamente a cucire fra loro quei

brani e a contestualizzarli: ebbene, io credo che la ragione della particolare

struttura dei poemi epici irlandesi alternanti prosa e poesia non sia molto

diversa da quella che abbiamo messo a fondamento del nostro exemplum

fictum. Del resto, anche il fatto che quegli squarci poetici nei testi epici in

prosa vengano contrassegnati nei manoscritti come quelli fatti “alla maniera

dei sapienti (v. oltre) denuncia una chiara consapevolezza negli stessi

amanuensi di trovarsi di fronte alla preziosa conservazione di “merce”

diversa e di ben altro valore di quella che al contrario erano ormai costretti a

trascrivere in forma prosastica e riassuntiva.

Page 22: Filologia Celtica

22

Ma se dall’epica volgiamo lo sguardo almeno verso altri due generi letterari

sono abbondanti gli ulteriori esempi della stessa sopravvivenza in testi scritti

di elementi della cultura dell’oralità. Il primo di questi generi è rappresentato

dalla posia eulogistica classica, quella che canta le lodi di principi, di

guerrieri, di santi (e figure comunque importanti della Chiesa irlandese) o di

poeti stessi: nonostante questa sia per la massima parte fondata su

isosillabismo e rima –i quali si affermarono in Irlanda per imitazione

dell’innologia latino cristiana- conserva in modo frequente quegli stessi

elementi strutturali della poesia di epoca precristiana, quali l’allitterazione, le

assonanze, le figure etimologiche, l’uso della kenning, gli stessi elementi,

cioè, tipici degli squarci poetici dei testi epici in prosa e che abbiamo già

ricordato essere retaggio di una poesia celtica precristiana esclusivamente

orale (a sua volta eredità, in ultima analisi, della poesia di epoca indoeuropea

comune), il tutto a restituirci una lingua poetica orale, concepita cioè per

essere soprattutto ascoltata.

Perfino la preghiera cristiana (le cosiddette loriche irlandesi), come vedremo,

ripete moduli pagani risalenti all’epoca prescrittoria, ad esempio invocando,

tramite ossessive ripetizioni, tanto le forze della natura che le figure della

nuova religione: anche qui la dipendenza da una cultura dell’oralità è duplice,

vale a dire sia sul piano del contenuto che della forma. Ma qui voglio aprire

una parentesi su una questione che sto studiando in questo periodo e che

attiene ad un nuovo, possibile esempio di presenza e persistenza celtiche

nella cultura europea: si tratta della preghiera dei Templari alla Vergine,

recentemente portata alla luce da Barbara Frale, nella quale io ritrovo

l’andamento enumeratorio tipico delle loriche :

"Santa Maria, madre di Dio, piissima, gloriosa, santa genitrice di Dio,

preziosa e sempre vergine Maria, salvezza di chi è alla deriva,

consolazione di chi spera, tu che conforti e difendi chi si pente dei suoi

peccati, dona a noi consiglio e difesa; e proteggi l'ordine religioso tuo, che fu

fondato dal beato Bernardo tuo santo confessore con altri uomini buoni della

Santa Chiesa di Roma, e dedicato a te, santissima e gloriosissima. Te

imploriamo umilmente, concedi la libertà per il nostro ordine, con

Page 23: Filologia Celtica

23

l'intercessione degli angeli, degli arcangeli, dei profeti, degli evangelisti,

degli apostoli, dei martiri, dei confessori, delle vergini,

Come vedremo, quest’ultimo elenco di potenze invocate a protezione è

sorprendentemente simile se non identico a quello della lorica di S. Patrizio.

Ma tutto questo lungo discorso sul rapporto fra oralità e scrittura aveva preso

le mosse da una necessità di motivare la nostra affermazione circa l’unitarietà

e la conservatività della cultura celtica, unitarietà e conservatività che

risaltano in primo luogo dalle forme e dai contenuti dei testi redatti nelle

diverse lingue celtiche, ma anche, accanto a questi, da altre dimensioni

comunicative. Innnazitutto, la sfera religiosa, dove pure, sia dai testi che dalle

fonti iconografiche che dalle informazioni degli autori latini e greci, si ricavano

le stesse linee di continuità: pochi esempi basteranno a motivare quanto

appena affermato. La massima divinità celtica è quella che troviamo in

Irlanda come Lug e la cui festa si celebrava il primo di agosto: questa

compare anche in Galles (Lleu), Gallia (Lugudunum è il nome antico di Lione)

e in Celtiberia (dove il graffito rupestre di Peñalba de Villastar lo celebra

espressamente). Motivi mitologici e frammentarie informazioni sulle divinità

pagane (Lug, Dagda, Nuadu, Ogma) dell’isola troviamo soprattutto in due

opere irlandesi, il Lebor Gabála Hérenn e il Cath Maige Tuired, così come

conosciamo, ad esempio, la già ricordata formula di giuramento tradizionale,

tongu do día toinges mo túath “giuro sul dio su cui giura la mia tribù”, che

allude certamente a divinità pagane, anche se è conservata in testi letterari di

epoca ormai pienamente cristiana. Né la generale e profonda rielaborazione

in senso cristiano si spinge fino a impedire il riconoscimento in alcune

importanti figure della pietà irlandese le trasfigurazioni di rappresentanti

altrettanto illustri della vecchia religione come è il caso, ad esempio, di santa

Brigitta, cui nella tradizione letteraria e nella pietà popolare viene anteposto

solo S. Patrizio e che, in un inno, è chiamata addirittura “la Madre di Gesù”,

con una significativa identificazione con la Madonna. Ebbene, Brigitta, a

differenza di Patrizio, non ha realtà storica (le sue biografie sono molto tarde

e contraddittorie) ma rappresenta la trasformazione in santa cristiana di

un’antica divinità celtica, la stessa che nelle epigrafi latine di Britannia

Page 24: Filologia Celtica

24

compare come Brigantia e che, come questa, si lascia agevolmente

etimologizzare come “colei che sta in alto”; le storie della sua vita associano

poi Brigitta al carro del sole, alle nubi nel cielo mattutino (“le vacche bianche

dalle orecchie rosse” delle quali sole ella da piccola voleva il latte!), al

passaggio dal buio alla luce e dalla notte al giorno: si tratta, insomma, con

ogni certezza della manifestazione irlandese e celtica dell’ancor più antica

divinità indoeuropea dell’Aurora, poi in Irlanda integrata dal cristianesimo fra i

rappresentantii della nuova religione .

Bisognerebbe poi accennare alla figura del druido, centrale tanto nella Gallia

che nell’ Irlanda precristiana, figura allo stesso tempo gerarchizzata per gradi

di iniziazione e totalitaria per competenze: sacerdote, giudice, medico,

storico, poeta che esercita le sue molteplici attività tramite la parola e il cui

patrimonio di conoscenze viene conservato e tramandato oralmente (e qui

Cesare era andato vicino a cogliere la realtà quando ci dice che le scuole

druidiche duravano vent’anni).

Altri fatti di continuità culturale sono l’identità lessicale fra la festa irlandese

di Samain e il nome di mese Samonios del calendario gallico di Coligny o la

valenza sacrale del “centro topografico” che traspare dall’associazione fra i

nomi di luoghi come Mediolanom (quasi una ventina in Europa) e Mide

(Irlanda) e i racconti storico-mitologici che li riguardano.

Infine, sul piano “istituzionale”, mi sia consentito ricordare la figura del

briugu, quel ricco signore cui le leggi irlandesi medievali imponevano di

dispensare ospitalità illimitata a chiunque si presentasse alla sua porta,

proprio come quell’Ariamne galata che invitò a pranzo tutti i Galati per un

anno intero. Anzi, per la precisione,“dichiarò di invitare” (come ci dice Filarco

attraverso Ateneo), con un istruttivo parallelismo con la parola irlandese che

si analizza appunto come “il dichiarante”: ma possiamo star sicuri che tanto

nella Galazia del III sec. a.C che nell’Irlanda antica quella dichiarazione -là

espressamente menzionata, qui implicata dall’etimologia del titolo- avesse

valore performativo e di assunzione formale di un impegno assolutamente

vincolante per una cultura come quella celtica antica dove le “cose

importanti” si dicevano.

Page 25: Filologia Celtica

25

APPENDICE

Testi

I numerali celtici

gallico irlandese cimrico

cintuxos cetnae kyntafallos aile eiltritos trys trydydpetuarios cethramad pedwyrydpinpetos cóiced pymhetsuexos seissed chwechetsextametos sechtmad seithvetoxtumetos ochtmad uythvetnametos nómad nawetdecametos dechmad decvet

I nomi dei popoli celtici antichiCeltae,Galli,Celtiberi,Belgae,Britanni,Hiberni,Leponti,Volcae,

Allobrogae, Arverni, Aremorici, Haedui, Bituriges, Scot(t)i

I nomi dei paesi e dei popoli celtici medioevali

Ériu GoídilAlba GoídilMannin ManninCymru Brython, CymryKernow Kerny

Page 26: Filologia Celtica

26

Breizh Breizh, Bretons, Armoricains

CELTICO CONTINENTALE

Leponzio (alfabeto nord-etrusco)

1) (Vergiate)

pelkui pruiam teu karite iśos karite palam

2) (Davesco)

slaniai uerkalai pala

tisiui piuotialui pala

3) (Mezzovico)

kuaśoni pala terialui

4) (Carcegna)metelui maeśilaui uenia metelikna aśmina krasanikna

5) (Ornavasso)

latumarui sapsutai pe uinom natoś

6) (Prestino)

uvamokozis plialeθu uvltiauiopos ariuonepos siteś tetu

7) (Castelletto Ticino)

χosioiso

8) (Como)

plioiso

9) (Como)

sekezos

10) (Carona)

zaśu poininos kopenatis tonoiso

11) (Como)

a e v

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27

Page 28: Filologia Celtica

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Gallico (alfabeto nord-etrusco)1) (Novara)

tanotaliknoi kuitos lekatos anokopokios setupokios

eśanekoti anareuiśos tanotalos karnitus

2) (Vercelli)

FINIS CAMPO QUEM DEDIT ACISIUS ARGANTOCOMATERECUS

COMMVNEM DEIS ET HOMINIBUS ITA VTI LAPIDES IIII STATUTI

SUNT

akisios arkatokomaterekos tośokote atom teuoXtom

koneu

3) (Todi, faccia "lokan" )

… C]OISIS DRVTI F [F]RATER EIVS [M]INIMVS LOCAV[I]<T> [ST]

ATVITQV<E>

[at]eknati truti[k]ni [kar]nitu lokan ko[i]sis [tr]utiknos

(faccia " artuaś ")

… COI]SIS DRVTEI F FRATER EIVS MINIMVS LOCAV IT ET STATVIT

ateknati trutikni karnitu artuaś koisis trutiknos

4) (Oleggio)

rikanas

Page 29: Filologia Celtica

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Gallico (alfabeto greco)

1) (Cavaillon)

KABIROS OUINDIAKOS

2) (Vaison) SEGOMAROS OUILLONEOS TOOUTIOUS NAMAUSATIS EIROU BELESAMI SOSIN NEMETON

3) (Orgon, Bouches-du-Rhône)

OUEBROMAROSDEDETARANOUBRATOUDEKANTEM

4) (Glanum)

MATREBOGLANEIKABOBRATOUDEKANTEN

5) (Nîmes)

]ARTAROSILLANOUIAKOSDEDEMATREBONAMAUSIKABO

6) (Saint Germain-Sources-Seine)

DAGOLITOS AUOOUT

Gallico (alfabeto latino su pietra)

1) (Ventabren)

Page 30: Filologia Celtica

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VECTIT[ BIRACI[

2) (Coudoux)

BOVDILATIS LEMISVNIA

3) (Naintré)

RATIN BRIVATIOM FRONTU TARBETISONIOS IEVRV

4) (Genouilly)

ELVONTIV IEVRV ANEVNO OCLICNO LUGVRIX ANEVNICNO

ANEOUNOS EPOEI (alfabeto greco)

6) (Autun)

LICNOS CONTEXTOS IEVRV ANVALONNACV CANECOSEDLON

7) (Auxey)

ICCAVOS OPPIANICNOS IEVRV BRIGINDONI CANTALON

8) (Alise-Sainte-Reine)

MARTIALIS DANNOTALI IEVRV SOSIN CELICNON VCVETE ETIC GOBEDBI DVGIIONTIIO VCVETIN IN ALISIA

Gallico (alfabeto latino su instrumentum)

1) (Caudebec-en-Caux))

REXTUGENOS SVLLIAS AVVOT

2) (Bourges)

BUSCILLA SOSIO LEGASIT IN ALIXIA MAGALU

3) (Banassac)

lubi rutenica onobia

tiedi ulano celicnu

4) (Lezoux)

Page 31: Filologia Celtica

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ieurui rigani rosmertiac

5) (Autun)NATA VIMPI CURMI DA

6) (Sens)GENETA IMI DAGA VIMPI

7) (Saint-Révérien)MONI GNATHA GABI BVĐĐVTTON IMON

8) (Autun)GENETA VIS CARA

9) (Autun)TAVRINA VIMPI

10) (Auxerre)NATA VIMPI POTA VINUM

11) (Langres)SALVE TU PVELLA

Gallico (alfabeto latino. Testi magici)

1) (Chamalières) andedíon uediíumí diíiuion risunartiu mapon aruerniíatim lopites

sníeθθic sos brixtía anderon c lucion floron adgarion aemilíon paterin

claudíon legitumon caelion pelign claudío pelign marcion uictorin

asiatícon aθθedillí etic secoui toncnaman toncsií meíon tonsesit buetid

ollon reguccambion exops pissíiummítsoccantí rissuis onson bissíet

luge dessummiíis luge dessummiíis luge dessummiíis luxe

2) (Hospitalet-du-Larzac)

insinde se bnanom brictom in eianom anuana sananderna brictom

uidluias uidlu[ tigontias so adsagona seuerim tertionicnim lidssatim

liciatim eianom uoduoioderce lunge …utonid ponc nitixsintor sies

Page 32: Filologia Celtica

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duscelineatia ineianon anuana esi andernados brictom banona flatucias

paulla dona potitius iaia duxtir adiegias potita matir paullias seuera

duxtir ualentos dona paullius adiega matir alias potita dona primius

abesias

3) (Marcello di Bordeaux)

..Item ipso oculo clauso qui carminatus erit,patentem perfricabis et ter

carmen hoc dices et totiens spues : in mon dercomarcos axatison: scito

remedium hoc in huiusmodi casibus esse mirificum

Una frase in gallico

Vita di San Sinforiano (V sec. d.C)

nate nate Synforiane mentobeto to divo

Galatico

Galatas, excepto sermone graeco, quo omnis oriens loquitur, propriam linguam paene habere quam Treviros(S. Gerolamo, Comm. Epist. Galat., 2.3)

droungos, markan, trimarkisia, adarkos

Ambitouti, Tectosages,Trocmi, Tolistobogii

Drunaimeton, Agitorigiaco, Eccobriga, Ipetobrogen

Boussorigios, Temrogeios, Ouendeinos

Ateuritus, Brogorix, Boudoris, Kassignatos, Cintaretus,

Page 33: Filologia Celtica

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Page 34: Filologia Celtica

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Celtiberico (semisillabario iberico)

1) Ibiza)tirtanos abulokum letontunos ke belikios

2) (Parigi)lubos alizokum aualo ke kontebias belaiskaz

2) (Botorrita I)A.1. tirikantam berkunetakam tokoitoscue sarnikio kue sua kombalkez nelitomA.2. nekue [u]ertaunei litom nekue taunei litom nekue masnai tizaunei litom soz aukuA.3. arestaio tamai uta oskues stena uerzoniti silabur sleitom konskilitom kabizetiA.4. kantom sankilistara otanaum tokoitei eni: uta oskuez boustomue koruinomueA.5. makasiamue ailamue ambitiseti kamanom usabituz ozas sues sailo kusta bizetuz iomA.6. asekati ambitinkounei stena es uertai entara tiris matus tinbituz neito tirikantamA.7. eni onsatuz iomui listas titas zizonti somui iom arznas bionti iom kustaikosA.8. arznas kuati ias ozias uertatosue temeiue robiseti saum tekametinas tatuz someiA.9. enitouzei iste ankios iste esankios uze areitena sarnikiei akainakubosA.10. nebintor tokoitei ios ur antiomue auzeti aratimue tekametam tatuz iom tokoitoskueA.11. sarnikiokue aiuizas kombalkores aleites iste ikues ruzimuz abulu ubokum

B.1. lubos kounesikum melnunos bintis letontu litokumB.2. abulos bintis melmu barauzanko lesunos bintisB.3. letontu ubokum turo bintis lubinaz aiu berkanticumB.4. abulos bintis tirtu aiankum abulos bintis abulu louzokumB.5. uzeisunos bintis akainaz letontu uikanokum suostunosB.6. bintis tirtanos statulikum lesunos bintis nouantutazB.7. letontu aiankum melmunos bintis useizu aiankum tauro [bin]/tisB.8. abulu aiankum tauro bintis letontu letikum abulos bintisB.9. [ ]ukontaz letontu esokum abulos bintis

Page 35: Filologia Celtica

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Celtiberico (alfabeto latino)

1) (Peñalba de Villastar) ENIOROSEI VTA TIGINO TIATVMEI TRECAIAS TOLVGVEI ARAIANOM COMEIMV ENIOROSEI EQVOISVIQVE OGRIS OIOCAS TOGIAS SISTAT LVGVEI TIASO TOGIAS

2) (Peñalba de Villastar)

TVLLOS CALOQ TVRRO G

3) (Peñalba de Villastar)

TVROS CARORVM VIROS VERAMOS

Iscrizioni della Lunigiana (alfabeto nord-etrusco)

1) (Zignago)mezunemuśos

2) (Aulla)

Page 36: Filologia Celtica

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vemetuvis

Lusitano (alfabeto latino)1) (Lamas de Moledo)RUFINVS ET TIRO SCRIPSERVNT VEAMINICORI DOENTI ANGOM LAMATICOM CROVCEAI MACA REAICOI PETRANOI RADOM PORCOM IOVEAS(?) CAELOBRICOI

2) (Cabeço das Fráguas)OILAM TREBOPALA INDO PORCOM LAEBO COMAIAM ICONA LOIMINNA OILAM VSSEAM TREBARVNE INDI TAVROM IFADEM REVE

3) (Santa Maria de Ribeira)

CROVGIN TOVDADIGOE RUFONIA SEVERI

Pittico (alfabeto ogamico)1) (Burrian, Orkney) URRACT C[E]RROCCS

2) (Cunningsburgh,Shetland) EHTECONMORS

3) (Lunnasting,Shetland) E]TTECUHETTS : AHEHHTTANNN : HCCVVEVV : NEHHTONN

CELTICO INSULARE

Britannico antico

1) (Bath)

l u c i u m i o c i t t i m e d i u … . . x s … u i b e c … t r a c e o s

estaidimaui…..tittlemacatacimluci…………2) (Bath)

adixoui deiana deieda andagin vindiorix cuamin

Page 37: Filologia Celtica

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Cumbrico

Leges inter Brettos et Scotos (1124 – 1153)

galnes (cfr. cimr. galanas “ostilità”)

mercheta (cfr. cimr. merch “figlia”)

celchyn (cfr. cimr. cylch “circolo”

Gallese(dal Canu Aneirin)

Gwyr a aeth gatraeth gan’wawr

dygymyrrws eu hoeth eu hauyanawr

Gododin gomynnaf oth blegytYg gwyd cant en aryal en emwytA guarchan mab dwywei da wrhytPoet yno en vn tyno treissytEr pan want maws mor trinEr pan aeth daear ar aneirinMi neut ysgaras nat a gododin

Page 38: Filologia Celtica

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Bretone

1) (un Natale)

Neuse ez conceuas a scler hon Saluer en e quer mam

dr’ez voo dezy profeciet gant Proffeted a het cam ez deuzyeplen da laouhenat da peochat lignez Adam

2) (un Natale)

Map un merch guerches, hon caressnessaf hs y pechet pur ganet quentaff,deuet eo don prenaff ha da bezaff den. Joaplen en effau, quehelaou laouen

Antico cornico

dal Vocabularium Cornicum

tat pater faedermam mater môdormab filius sunumuch filia dohtornoi nepos neuam o d e r e b a b a r ϸ mam

matertera môdrige

impoc l. cussin

osculum coss

nef celum heofenmor mare sâepen caput hêafodda bonum gôdhethen avis fugelmarch equus hors

Page 39: Filologia Celtica

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Scozzese

Incantamenti per guarire i cavalli azzoppati

1) Char Bride machMaduinn mhoch,Le caraid each;Bhris each a chas,Le uinich och,Bha sid mu seach,Chuir i cnamh ri cnamh,Chuir i feoil ri feoil,Chuir i feithe ri feithe,Chuir i cuisle ri cuisle;Mar a leighis ise sinGun leighis mise seo.

2) Chaidh Criosd a machMaduinn moch,Fhuair e cas nan each’Nan spruilleach bog;Chuir e smior ri smior,Chuir e smuais ri smuais….…. Mar a leighis Righ nam buadh sinIs dual gun leighis e seo,Ma ’s e thoil fein a dheanamh.A uchd Ti nan dul,Agus Tiur na Trianaid.

Mannese

(dalla Ballata di Manannan)

Manannan beg va Mac Y Leirr

Shen yn chied er ec row rieau ee

Agh my share oddym’s cur-my-ner

Cha row eh hene agh Anchreestee

Page 40: Filologia Celtica

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Irlandese

Iscrizioni ogamiche

1) (Ballintaggart)

MAILAGNI

2) (Ballycnock)

GRILAGNI MAQI SCILAGNI

3) (Ballycnock)

CLIUCOANAS MAQI MAQI-TRENI

4) (Glennawillen)

COLOMAGNI AVI DUCURI

5) (Ballintaggart)

TRIA MAQA MAILAGNI CURCITTI

6) (Ballintaggart)

NETTA LAMINACCA KOI MAQQI ERCIAS MUCOI DOVINIAS

7) (Rushens East)

ALATTOS CELI BATTIGNI

8) (Ballycnock)

ANM MEDDOGENI

L’ogam nell’epica:

Ogum i llia, lia úas lecht

Scríbthair a ainm n-ogaim

Page 41: Filologia Celtica

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Poesia antica

Brani in retoiric (dagli Scéla Mucce Meic Dathó)

And asbert Cet:‘Fochen Conall,

cride licce,londbruth loga,

luchair ega,guss flann fergefo chích curad

créchtaig cathbúadaig’

Et dixit Conall:‘Fochen Cet,

Cet mac Mágach, magen curad,cride n-ega,ethre n-ela,

err trén tressa,trethan ágach,

caín tarb tnúthach,Cet mac Mágach’.

Page 42: Filologia Celtica

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Inno a San Patrizio

Admuinemmar noéb Patraic

prímapstal Hérenn

airdirc a ainm n-adamrae

bréo batses genti;

cathaigestar fri druídea dúrchridi

dedaig díumsachu

la fortacht ar Fíadat findnime

fonenaig Hérenn íatmaige,

mórgein.

Guidmit do Patraic primapstail

donnesmarr in brithemnacht

do mídutrachtaib demnae ndorchaide.

Día lenn

la itge Patraic primapstail

Page 43: Filologia Celtica

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Amra Choluimb Chille

Día, Día do-rrogus

ré tías ina gnúis

culu tre néit.

Día nime, nim-reilge

(5) i llurgu i n-égthiar

ar múichthe[o] méit.

Día már mo anacol

de múr teintide,

diudercc dér.

(10) Día fírien fírfocus,

c[h]luines mo donúaill

do nimíath nél.

Lorica di San Patrizio

Atomriug indiu

niurt gráid Hiruphin;

Page 44: Filologia Celtica

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i n-aurlattaid aingel

i frestul archaingel

i frescisin esséirgi ar chenn fochraicce

i n-ernaigdib úasalathrach

i tairchetlaib fáthe

i praiceptaib apstal

i n-iressaib foísmedach

i n-enccai noebingen

i ngnímaib fer fíríen.

Atomriug indiu

niurt nime

soilsi gréine

étrochtai ésci

áini thened

déini lóchet

lúaithi gaíthe

fudomnai maro

tairismigi thalman

cobsaidi ailech…

… Tocuirir etrum indiu inna huli nertso

fri cach nert n-amnas fristaí dom churp ocus dom anmain

fri tairchetla saebḟáthe

fri dubrechtu gentliuchtae

fri saebrechtu eretecdae

fri imchellacht n-idlachtae

fri brichtu ban ocus gobann ocus druad

fri cach fiss arachuili corp ocus anmain duini…

Page 45: Filologia Celtica

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Lirica

Ho un annunzio per voi

Scél lem dúib:dordaid dam;snigid gaim;ro fáith sam.

Scél lem dúib:dordaid dam;snigid gaim;ro fáith sam.

Gáeth ard úar;ísel grían;

gair a r-rith;ruirthech rían.

Rorúad rath;ro cleth cruth;ro gab gnáth

giugrann guth.

Ro gab úachtetti én;

aigre ré;é mo scél.

Page 46: Filologia Celtica

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Io e il bianco Pangur

Messe ocus Pangur Bán,cechtar nathar fri saindán:

bíth a menma-sam fri seilgg,mu menma céin im saincheirdd

Caraim-se fos, ferr cach clú,oc mu lebrán, léir ingnu;

ní foirmtech frimm Pangur Bán:caraid cesin a maccdán.

Ó ru biam, scél cen scís,innar tegdais, ar n-óendís,táithiunn, díchríchide clius,ní fris tarddam ar n-áthius.

Gnáth, h-úaraib, ar gressaib galglenaid luch inna línsam;os mé, du-fuit im lín chéin

dliged n-doraid cu n-dronchéill.

Fúaichaid-sem fri frega fála rosc, a n-glése comlán;fúachimm chéin fri fégi fismu rosc réil, cesu imdis.

Fáelid-sem cu n-déne dulhi n-glen luch inna gérchrub;hi tucu cheist n-doraid n-dil

os mé chene am fáelid.

Cia beimmi a-min nach réní derban cách a chéle:

maith la cechtar nár a dán;subaigthius a óenurán.

h-É fesin as choimsid dáuin muid du-ngní cach óenláu;

du thabairt doraid du gléfor mo mud céin am messe.

Page 47: Filologia Celtica

47

Il piccolo uccello

Int én bec

ro léic feit

do rinn guip

glanbuidi:

fo-ceird faíd

ós Loch Laíg,

lon do chraíb

charnbuidi.

Page 48: Filologia Celtica

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Campanella armoniosa

Clocán binn

benar i n-aidchi gaíthe:

ba ferr lim dul ina dáil

indás i n-dáil mná baíthe.

Page 49: Filologia Celtica

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Il merlo che chiama dal salice

Int én gaires asin t-sail

álainn guilbnén as glan gair:

rinn binn buide fir duib druin:

cas cor cuirther, guth ind luin.

Page 50: Filologia Celtica

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Guardate innanzi a voi

Fégaid úaib

sair fo thúaid

in muir múaid

milach.

Adba rón

ríabac rán,

rogab lán

linad

Page 51: Filologia Celtica

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La mia celletta a Túaim Inbir

M' airiuclán h-i Túaim Inbir barr edin

ní lántechdais be séstu

cona rétglannaib a réir

cona gréin, cona éscu.

Gobbán du-rigni in sin

(co n-écestar dúib a stoir);

mu chridecán, Día du nim,

is hé tugatóir rod-toig.

Tech inná fera flechod,

maigen 'ná áigder rindi;

soilsidir bid hi lugburt

os é cen udnucht n-imbi.

Page 52: Filologia Celtica

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Il piccolo Gesù

Ísucán

alar lium im dísiurtán;

cía beith cléirech co lín sét,

is bréc uile acht Ísucán.

Altram alar lium im thig,

ní altram nach dóerathaig

Ísu co feraib nime,

frim chride cech n-óenadaig.

Ísucán óc mo bithmaith:

ernaid, ocus ní maithmech.

In Rí con-ic na uili

cen a guidi bid aithrech.

Ísu úasal ainglide,

noco cléirech dergnaide,

alar lium im dísirtán,

Ísu mac na Ebraide.

Maic na ruirech, maic na ríg,

im thír cía do-ísatán,

ní úaidib saílim sochor:

is tochu lium Ísucán.

Canaid cóir, a ingena,

d' fir dliges bar císucán;

Page 53: Filologia Celtica

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atá 'na phurt túasucán

cía beith im ucht Ísucán.

Andare a Roma

Teicht do Róim:

mór saído, becc torbai;

in rí chondaigi hi foss

manimbera latt ní fogbai

Page 54: Filologia Celtica

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Addio all’Irlanda

Fil súil n-glais

fégbas Éirinn dar a h-ais;

noco n-aceba íarmo-thá

firu Érenn nách a mná.

Page 55: Filologia Celtica

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E’ lui il mio cuoricino

Cride hé

daire cnó

ocán hé

pócán do

Page 56: Filologia Celtica

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O Dorchaide dalla figura bellicosa

A Dorchaide delbchathaig,

a deol thressa tromthoraig

a mind marcṡlúaig muinchoraig

a meic chorprúaid Chonchobair

Page 57: Filologia Celtica

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Il re di Campofresco

Rí Achaid Úir ibairdraignig

crathaid in lúin lethanmerlig

oconn mai gin muiredruimnig

Laigin ina lebargemlib.

Page 58: Filologia Celtica

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Per San Findbarr di Cork

Bairri bréo bithbúadhach

búaid mbetha brethadbail

ruithen réil rathamra

ruithniges Ébermag

lia lúagmar lainderda

ní lúad nach liuin

Éo órda ilchrothach

húasliu cach caíncumtach

aire ard ollairbrech

ernes cach n-olladlaic

do buidhnib balc Banba

barr broga Briuin.

Page 59: Filologia Celtica

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Inno a Santa Brigitta

Brigit bé bithmaith,

bréo órdai óiblech;

donfé don bith ẛlaith,

in grén tind tóidlech.

Ronsóera Brigit

sech drungu demna;

roróena remunn

cathu cach thedme.

Dorodba indiunn

ar colno císu;

in chr óeb co mbl áthaib,

in mátahir ĺsu.

Ind firóg inmain

co n-orddon adbil

be sóer cach n-inbaid

lam nóeb do Laignib.

Lethcholba flatha

la Patraic prímda

in tlacht úas lígaib

ind rígan rígda.

Robet íar sinit

ar cuirp hi cilicc;

Page 60: Filologia Celtica

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dia rath ronbróena,

ronsóera Brigit.

O Illustre Amorgein

A Amorgein ánmoltaig

ara fésser márfodla

ferbae filed féith.

Furim sensamaisc

ar déin dronchori.

Dligid boin mbáninláeg

ar maín sáer sétnatha.

Síasi lulgach lánmesaib

ar lérláidi léirigther.

Ech dá bó belfotach

lúath a réim, ar ardemain

biaid bó fo caínchethair

ar anair n-ilchoraich.

Cóic baí cacha mórnatha

nad ecressa ceramna

carpat cumaile cachae anamna

L’ho udito

Ro-cúala

ní tabair eochu ar dúana;

do-beir a n-í as dúthaig dó,

bó.

Ro-cúala

lasin cách légas libru

intí ainges in mbidbaid

is é fesin as bidbu

Page 61: Filologia Celtica

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E’aspro il vento stanotte

Is acher in gaíth innocht,

fufúasna fairggae findẛolt.

ni ágor réimm mora minn

dond láechraid lainn úa Lothlind.

(e qualche secolo dopo, a Killaloe….) :

THURGRIM RISTI KRUS THINA

BENDACHT AR TOROQRIM

Page 62: Filologia Celtica

62

Con chi andrà a letto stanotte?

Ní fetar

cía lassa fífea Etan

acht ro-fetar Etan bán

nícon fífea a hóenurán

Le “Triadi” (dalle Istruzioni per Cormac)

Trí caindle forosnat cach ndorcha: fír, aicned, ecna.

Trí ségainni Hérenn : fáthrann , adbann a cruit , berrad aigthe

Page 63: Filologia Celtica

63

Trí fuiric thige degduni : cuirm, fothrucud, tene mór.

Trí dorchæ ná dlegat mná do imthecht : dorcha cíach, dorcha aidche,

dorcha feda.

Trí túa ata ferr labra : túa fri forcital, túa fri hairfitiud, túa fri procept .

Tréde neimthigedar cruitire: golltraige, gentraige, súantraige .

Trí aithgine in domuin: brú mná , uth bó, ness gobann.

Trí sóir dogníat dóeru díb féin : tigerna renas a déiss , rígan téite co

haithech, mac filed léces a cheird.

Trí gena ata messu brón: gen snechta oc legad, gen do mná frit íar mbith

fir aili lé, gen chon foilmnich.

Epica

dagli Scéla Muicce Meic Dathó:

Page 64: Filologia Celtica

64

Boí rí amrae for Laignib, Mac Dathó a ainm. Boí cú occo. Im-díched in cú

Laigniu huili. Ailbe ainm in chon, ocus ba lán Hériu dia airdircus in chon.

Do- eth ó Ailill ocus ó Meidb do chungid in chon. Immalle dano táncatar

ocus techta Ulad ocus Conchobair do chungid in chon chétna. Ro-ferad

fáilte friu huili, ocus ructha cuci-sium isin mbruidin. Is {s}í sin in chóiced

bruden ro- boí i nHérinn isind aimsir sin, ocus bruden Da-Derg i crích

Cúalann ocus bruden Forgaill Manaich ocus bruden Me[i]c Da-Réo i

mBréfni ocus bruden Da-Choca i níarthur Midi. Secht ndoruis isin

bruidin ocus sechtsligeda trethe ocus secht tellaige indi ocus secht cori.

Dam ocus tinne in cach coiri. In fer no-t{h}éged iarsint sligi do-bered in

n- aél isin coiri, ocus a-taibred din chétgabáil, iss ed no-ithed. Mani-

tucad immurgu ní din chéttadall ni-bered a n-aill. Ructha trá na techta

ina imdai cuci- sium do airiuc thuile dóib ríasíu do-berthae a mbiad dóib.

Ro-ráidset a n-athesca. ‘Do chungid in chon do-dechammar-ni’ ol techta

Connacht ‘.i. ó Ailill ocus ó Meidb ; ocus do-bértar tri fichit cét lilgach hi

cétóir ocus carpat ocus da ech bas dech la Connachta, ocus a

chommaín cinn bliadna cen- mothá sin.’ ‘Dia chungid dano do-

dechammar-ni ó Chonchobur’ mol techta Ulad; ‘ocus ni messa

Conchobar do charait ocus dano do thabairt sét ocus indile, ocus a

chomméit cétna a túaith, ocus biaid degcaratrad de.’

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Alla maniera di Adelung: Il Pater Noster in gallese, bretone, scozzese e irlandese

Ein Tad yn y nefoedd,sancteiddier dy enw;deled dy deyrnas;gwneler dy ewyllys,ar y ddaear fel yn y nef.Dyro inni heddiw ein bara beunyddiol;a maddau inni ein troseddau,fel yr ŷm ni wedi maddau i'r rhai a droseddodd yn ein herbyn;a phaid â'n dwyn i brawf,ond gwared ni rhag yr Un drwg.[Oherwydd eiddot ti yw'r deyrnas a'r gallu a'r gogoniant am byth. Amen.]

Hon Tad a zo en neñv,Hoc’h anv bezet santelaet,Ho rouantelezh deuet dimp,Ho polontez bezet graetWar an douar evel en Neñv,Roit dimp hiziv hor bara pemdeziek,Pardonit dimp hor pec’hedoùEvel ma pardonomp d’ar reO deus manket ouzhimp.Ha n’hon lezit ket da gouezhañ en temptadur,Met hon diwallit diouzh an droug.

Ar n-Athair a tha air nèamh,

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Gu naomhaichear d'ainm.Thigeadh do rìoghachd.Dèanar do thoilair an talamh mar a nithear air nèamh.Tabhair dhuinn an-diughar n-aran làitheil.Maith dhuinn ar fiachan,amhail a mhaitheas sinnedar luchd-fiach.Sàbhail sinn bho àm na deuchainne,agus saor sinn o olc.

Ar nAthair, atá ar neamhGo naofar d'ainmGo dtaga do ríocht, Go ndéantar do thoil,Ar an talamhMar a níthear ar neamh.Ár n-arán laethúil tabhair dúinn inniu,Agus maith dúinn ár bhfiacha,Mar a mhaithimidne dár bhféichiúna féin,Agus ná lig sinn i gcathú,Ach saor sinn ó olc. Amen