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FONDAZIONE IFEL
Rassegna Stampa del 20/03/2013
INDICE
IFEL - ANCI
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
«Tocca a Monti agire subito»8
20/03/2013 Avvenire - Nazionale
Enti locali in pressing: «azioni clamorose» per riuscire a sbloccare il Patto di stabilità9
20/03/2013 Il Tempo - Nazionale
L'innovazione scuote la Capitale10
20/03/2013 Il Tempo - Roma
Accordi coi fornitori e sconti sui prodotti per l'infanzia. La cura-Guarino11
20/03/2013 ItaliaOggi
brevi12
20/03/2013 L Unita - Nazionale
I tagli di Boldrini e Grasso13
20/03/2013 L Unita - Nazionale
Boccata d'aria per le aziende: rimborsi Iva di 1,2 miliardi15
20/03/2013 Corriere dell'Umbria
Spesa corrente e investimenti, Terni è tra i venti capoluoghi italiani più virtuosi16
20/03/2013 La Padania - Nazionale
MACROREGIONE Un progetto istituzionale per l'Europa futura17
IL TEMA DEL GIORNO
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Un testo già scritto da Bruxelles19
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Subito i pagamenti dei Comuni20
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Cofinanziamenti Ue: target di spesa più alti senza il «patto»22
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
«Saldare il conto con le imprese entro 3 mesi»24
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
In edilizia, sanità e Ict il 90% dei crediti26
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
«Debiti Pa, Tesoro pronto al decreto»28
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Comuni e province, taglio alla francese30
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Giarda insiste: via le Province31
20/03/2013 La Stampa - Nazionale
Soluzione spagnola per i crediti delle imprese32
20/03/2013 Il Messaggero - Nazionale
Iva, dal fisco in arrivo 1,2 miliardi di rimborsi33
20/03/2013 Il Messaggero - Nazionale
Imprese e prestiti, spiragli di ripresa34
20/03/2013 Avvenire - Nazionale
«Fondi alle imprese siamo già al lavoro»35
20/03/2013 Avvenire - Nazionale
E Giarda tira le somme sui tagli alla spesa37
20/03/2013 Il Manifesto - Nazionale
295 miliardi di nuovi tagli «entro il 2014»38
20/03/2013 ItaliaOggi
Province, tagli finti che pesano39
20/03/2013 QN - La Nazione - Nazionale
«La spending review avrebbe fatto risparmiare mezzo miliardo»40
ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Abi: sofferenze in aumento a 126 miliardi42
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Alle banche Ue servono 112 miliardi43
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Fondazioni, vince chi diversifica45
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Quel brutto pasticcio per l'euro47
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Cdp e Bei pronte a sbloccare i finanziamenti per Brebemi48
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Cipro boccia il salvataggio europeo50
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Istituti di credito nelle mani Bce52
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Offerta a Putin: gas e banche per gli aiuti53
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Squinzi: prelievo forzoso pericoloso precedente Guai a toccare i risparmi54
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Dalle azioni ai conti come giocare in difesa55
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Sale la tensione sulle Borse: giù i bancari57
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
L'Europa perde sui mercati se cambia le regole in corsa59
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
L'euro cade a 1,287 sui timori anti-Ue60
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Banche, c'è l'accordo Ue sulla vigilanza61
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Il fattore «d» frena l'occupazione63
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Lo Statuto che voleva Marco Biagi64
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Grasso e Boldrini si riducono lo stipendio del 30%66
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
L'anagrafe «seleziona» i dati67
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Incompatibilità anche ai prescritti69
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Produzione, timidi segnali di risveglio70
20/03/2013 La Repubblica - Nazionale
La strada dei negozi spariti71
20/03/2013 La Repubblica - Nazionale
Sicilia, addio alle Province regge l'asse Crocetta-grillini74
20/03/2013 La Repubblica - Nazionale
Bilanci bancari in profondo rosso75
20/03/2013 La Repubblica - Nazionale
Gas, Passera in pressing sull'Authority "Le bollette devono scendere già ad aprile"76
20/03/2013 La Stampa - Nazionale
BANCHE, SERVE PIÙ VIGILANZA EUROPEA77
20/03/2013 Il Messaggero - Nazionale
Padoan: «Nessun contagio per l'Italia ma serve un altro accordo sul debito»78
20/03/2013 Il Giornale - Nazionale
DIECI MOTIVI PER CUI QUESTA EUROPA È IDIOTA79
20/03/2013 Libero - Nazionale
Della Valle spacca Rcs «Azioni ai giornalisti»81
20/03/2013 Il Foglio
Un mercato unico Euro-atlantico. Ecco l'arma per la ripresa82
20/03/2013 Il Tempo - Nazionale
Passi in avanti per l'avvio dell'unione bancaria84
20/03/2013 ItaliaOggi
L'impoverimento dell'Italia e l'arricchimento tedesco85
20/03/2013 ItaliaOggi
Salvi gli stati, ma ko le imprese86
20/03/2013 ItaliaOggi
Equitalia, procedure di vetro88
20/03/2013 ItaliaOggi
Acconto Imu 2013, vietato deliberare in ritardo89
20/03/2013 ItaliaOggi
Smaltimento rifiuti, da pagare l'Iva sulla Tia90
20/03/2013 ItaliaOggi
Successione, scudo anti-fisco91
20/03/2013 ItaliaOggi
Il food in credito di 9 mld92
20/03/2013 ItaliaOggi
No di Cipro ai diktat europei93
20/03/2013 Quotidiano di Sicilia
Dichiarazioni Ici/Imu, visure catastali e certificati anagrafici i servizi più richiesti inrete
94
GOVERNO LOCALE E AREE METROPOLITANE
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
La crisi affonda l'industria del Sud96
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Ripartiamo dalle tante eccellenze industriali98
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
L'Ilva sceglie la solidarietà per uscire dal tunnel99
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Termini Imerese punta sulla produzione di bioenergia100
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Più competitivi con il Pumas101
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Boccia: «L'Italia riparte solo col manifatturiero»104
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Milano promuove le aziende hi-tech105
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Tre scenari per Bridgestone106
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Imprese tessili: «Aumenti dal primo al secondo livello»107
20/03/2013 Il Sole 24 Ore
Milano e Venezia si ripensano108
20/03/2013 Libero - Nazionale
E Burlando non dà soldi ai borghi delle Cinque Terre110
20/03/2013 Libero - Nazionale
La Liguria ha una miniera da 600 miliardi111
La posizione dei Comuni. Il presidente Anci Graziano Delrio «Tocca a Monti agire subito» Gianni Trovati
MILANO
«Il Governo Monti può e deve fare il decreto che sblocca i pagamenti, perché ne abbiamo bisogno
immediatamente. Altrimenti provvederemo noi stessi, autorizzando i ragionieri a sbloccare le risorse».
Il presidente dell'Anci Graziano Delrio è chiaro nello spiegare che per i sindaci il tempo è scaduto, e non c'è
spazio sui balletti di competenze che pure stanno emergendo: «Le prime reazioni - sottolinea Delrio - non mi
rendono ottimista, perché vedo che ancora c'è esitazione nell'assumersi in pieno le proprie responsabilità».
Anche per questo i sindaci si troveranno domani a Roma al teatro Capranica, di fronte a Montecitorio, per
tornare nuovamente a farsi sentire e per indicare i tempi, brevissimi, nel passaggio dalle riflessioni ai fatti.
Nello stesso tempo, in una strategia su più fronti, l'Anci ha chiesto un incontro ai nuovi presidenti delle
Camere, Laura Boldrini e Pietro Grasso, per chiedere di calendarizzare subito una mozione sul via libera alle
risorse. Se tra consultazioni e passaggi di testimone i tempi dovessero allungarsi, ai primi di aprile i sindaci
indicheranno il giorno in cui tutte le Giunte saranno chiamate ad approvare in contemporanea le
autorizzazioni ai ragionieri per sbloccare le risorse.
L'urgenza, insomma, è la parola chiave, anche perché l'apertura europea va incontro a ciò che i Comuni
denunciano da anni. «Questa evoluzione - sostiene Delrio - dimostra che l'errore non è tanto nelle regole
europee, quanto nella loro declinazione italiana. Per questa ragione, affrontata l'emergenza degli arretrati,
occorre risolvere i problemi strutturali del Patto di stabilità: un compito, naturalmente, del nuovo Governo».
Da questo punto di vista, il tema è quello dell'uscita degli investimenti dai vincoli, in linea con la golden rule
(pareggio di bilancio e tetto all'indebitamento) che Delrio chiede dal giorno stesso della sua elezione a
presidente dell'Anci, nell'ottobre 2011. «Lo stesso vincolo europeo costituzionale - argomenta Delrio - chiede
il pareggio di bilancio, non gli avanzi come accade con il nostro Patto di stabilità. Se non si interviene, la
regola europea sui tempi di pagamento è destinata a restare lettera morta».
@giannitrovati
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20/03/2013 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 8
Enti locali in pressing: «azioni clamorose» per riuscire a sbloccare il Pattodi stabilità DA MILANO DAVIDE RE S « e, come sembra, il governo nelle prossime ore sbloccherà definitivamente la situazione» relativamente al
Patto di stabilità, «bene». In alternativa, domani i sindaci si riuniranno a Roma «per prendere posizioni anche
clamorose su questo tema». Matteo Renzi sindaco di Firenze picchi i pugni sul tavolo, segnalando
nuovamente il "paradosso" in cui si trovano molti enti "virtuosi". Ovvero avere i soldi in cassa, ma non poterli
spendere, perché si sforerebbero i vincoli imposti appunto dal Patto di stabilità. Una fatto che grida
"vendetta", secondo gli amministratori locali, soprattutto perché quei denari servirebbero a pagare i fornitori
(aiutando le imprese) o per fare investimenti. E la misura è colpa in ogni angolo o punto dell'Unione europea,
istituzione dal quale discende l'applicazione di questo strumento di amministrazione dei bilanci pubblici. Gli
enti locali nostrani vanno quindi in pressing sul governo, chiedendo di intervenire. «Quello che mi colpisce -
aggiunge Renzi - è che mentre si parla e si discute di massimi sistemi, basterebbe un piccolo gesto per dare
una mano all'economia». Anche il governatore del Veneto, Luca Zaia interviene nel dibattito. E lo fa con
durezza: «O il governo, vista l'apertura dell'Ue, allenta il patto di stabilità o la Regione Veneto, se Comuni e
Province la seguiranno, è pronta a sfondarlo». Secondo il presidente del Veneto l'allentamento del patto di
stabilità «può valere fino a 2 miliardi di euro, che aiuteranno il rilancio dei consumi. Sembra ci siano 70
miliardi di allentamento del patto di stabilità. Spero che il governo che abbiamo e ha pieni poteri lo allenti e
dia modo quindi a Regioni, Province e Comuni di pagare, perché noi abbiamo 1,3 miliardi fermi in cassa e i
fornitori che aspettano. Se invece da Roma non arriveranno provvedimenti noi siamo pronti a sfondare patto,
se ci sarà un fronte unito, da destra a sinistra, senza colore politico, perché - conclude Zaia - è una battaglia
di civiltà». La sintesi delle istanze degli enti locali la propone l'Anci. Il presidente dell'associazione, Graziano
Delrio, propone una ricetta. Lo fa scrivendo ai ministri dell'Economia e dell'Interno, Vittorio Grilli e Anna Maria
Cancellieri. «Innalzare il limite stabilito dal decreto legislativo 267/2000 per le anticipazioni di tesoreria, come
soluzione temporanea per risolvere un problema diffuso tra i Comuni», chiede Delrio, spiegando come
«l'attuale periodo di crisi economica e le modifiche al regime fiscale comunale stanno creando forti sofferenze
di cassa per gli Enti locali». I Comuni, dice ancora Delrio «rischiano di non poter far fronte a pagamenti
indifferibili. Il ricorso all'anticipazione di cassa fissa il massimo della anticipazione ai tre dodicesimi delle
entrate correnti. La richiesta dell'Anci è quella di portare tale limite ai cinque dodicesimi, fino a settembre
2013. Tale modifica fornirebbe di certo ai Comuni una maggiore capacità di far fronte alle difficoltà del
momento».
20/03/2013 14Pag. Avvenire - Ed. nazionale(diffusione:105812, tiratura:151233)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 9
SPECIALE TECNOLOGIE L'innovazione scuote la Capitale Quarta edizione per Smau Roma all'insegna di giovani ed eccellenza Valerio Maccari Oltre 5.000 visitatori attesi e più di 100 novità tecnologiche per imprese e pubbliche amministrazioni. Torna a
Roma Smau Business: la quarta edizione apre oggi a Roma, per una due giorni all'insegna dell'innovazione e
dell'eccellenza. Tante le tecnologie da toccare con mano: dagli ultimi tablet Windows 8 agli ultrabook più
d'avanguardia, dalle soluzioni cloud per PMI a quelle di office automation. E ancora, sistemi domotici per
dialogare con la casa, sistemi di monitoraggio per i lavoratori che svolgono attività potenzialmente pericolose,
un portale per l'adozione di cani, software per lo yoga a distanza e piattaforme online per accrescere al
propria "influenza" sul web. Oltre alla presenza delle aziende leader delle tecnologie della comunicazione, tra
cui Cisco, Fujitsu, Intel, Lenovo, Microsoft, Sap,Telecom, Vodafone, i visitatori della fiera potranno accedere a
una nuova area: la R2B Roadshow, dedicata a prototipi e idee di business innovative e una selezione di
progetti volti a fornire supporto allo sviluppo delle città intelligenti. «L'obiettivo di questo nuovo progetto»,
spiega Pierantonio Macola, Amministratore Delegato di Smau, «è quello di innescare un vero "Cambiamento
Culturale" che porti ad una piena comprensione circa le potenzialità delle tecnologie digitali e della ricerca».
L'edizione 2013 di Smau Business Roma ospiterà, oggi, anche il Premio Lamarck, realizzato dal gruppo
Giovani Imprenditori di Confindustria come riconoscimento alle startup che hanno saputo ideare e sviluppare
nuovi progetti, in qualsiasi settore - dalla medicina, alla biologia, dalla chimica all'aerospazio, dall'industrial
design alla robotica - adattandosi alle mutate condizioni ambientali. Sotto i riflettori anche le città intelligenti: il
Premio Smart City Roma verrà assegnato alle esperienze e ai progetti più innovativi del Centro Italia in tema
di città intelligenti. Sono 23 i finalisti, tra cui i comuni di Firenze, Terni, l'Aquila, Livorno. Due le candidature di
Roma, sia nella veste di Roma Capitale che provinciale. L'argomento smart cities sarà affrontato anche
all'interno dell'Arena Smart City - Cluster Nazionali. Che presenterà, in collaborazione con Anci, un calendario
di laboratori da 50 minuti ciascuno in cui verranno messe a confronto le esperienze di differenti regioni,
provincie e comuni hanno realizzato progetti simili, in tema di agroalimentare, smart community e turismo. Tra
le novità di Smau 2013 anche Research to Business Lazion, l'area dedicata al mondo della ricerca
industriale. Un punto di incontro tra laboratori, centri di ricerca e startup di tutta Italia e i manager delle
imprese e delle pubbliche amministrazioni, che potranno scegliere tra progetti innovativi e nuovi modelli di
business per dare una svolta "hi-tech" alla propria attività.
23 I finalisti Del premio Smart City assegnato ai progetti più innovativi
INFO Smau Business Oggi e domani la mostra dedicata alla tecnologia sbarca alla Nuova Fiera di Roma
Foto: Successo Attesi oltre 5000 visitatori tra curiosi e addetti ai lavori
20/03/2013 24Pag. Il Tempo - Ed. nazionale(diffusione:50651, tiratura:76264)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 10
Farmacap Svolta del nuovo direttore per ridurre i conti e internalizzare i servizi. Paolo Dominici (Uil-Fpl): «Idipendenti pagano una gestione scellerata» Accordi coi fornitori e sconti sui prodotti per l'infanzia. La cura-Guarino Protesta Oggi dalle 12 alle 15 presidio dei lavoratori sotto la sede dell'azienda Qualcosa si ta muovendo in Farmacap, l'azienda farmasociosanitaria del Campidoglio che, tra le altre cose,
gestisce le farmacie comunali. La cura-Guarino sta dando i propri frutti. Il nuovo direttore generale ha infatti
avviato una vera e propria spending review per eliminare le spese improprie e reinvestire le risorse
comunque esigue - nei servizi al cittadino. La svolta in Farmacap - con l'avvicendamento del management - è
stata decisa dal vicesindaco Sveva belviso dopo una lunga inchiesta de Il Tempo e la dura battaglia
sindacale portata avanti dalla Uil-Fpl di Roma e dal suo segretario provinciale e responsabile organizzativo
Paolo Dominici. L'azienda con la nuova direzione ha stipulato accordi commerciali con le ditte fornitrici per
offrire ai cittadini pressi competitivi. Un'iniziativa che ha reso possibile l'adesione alla campagna di sconti sui
prodotti per l'infanzia nelle farmacie comunali idata dal ministero per la Cooperazione internazionale e
integrazione e dall'Anci. Le vendite stanno andando molto bene, con un aumento del lavoro dovuto
all'incremento del volume d'affari che renderà necessaria una riorganizzazione del lavoro. La Uil-Fpl ha
chiesto di aumentare l'organico in alcune farmacie e trasferire il personale vicino alla propria abitazione,
reinserendo il pagamento dei buoni pasto. Resta da risolvere il problema delle rapine, con il sindacato che ha
sollecitato il collegamento alla Sala sistema Roma e ha scritto al prefetto che avere maggior controllo del
territorio. Un punto su cui la nuova direzione sta lavorando sodo è quello che riguarda l'internalizzazione dei
servizi sociali dati all'esterno. Una decisione sollecitata più volte dai sindacati. L'azienda si sta occupando
della formazione degli operatori per la gestione del Telesoccorso nelle ore diurne, ma tale servizio presto
potrebbe essere affidato al personale interno anche nelle ore notturne, estendendolo non solo agli anziani ma
anche a tutte le altre categorie «fragili». Sono state inoltre avviate le procedure per la restituzione agli anziani
degli apparecchi di Telesoccorso riparati. Resta il tema della scarsità delle risorse e degli esigui finanziamenti
tuttora messi a disposizione dal Campidoglio per la Teleassistenza. Per questo e per capire quando verrà
firmato il contratto di servizio tra Roma Capitale e la Farmacap, la Uil-Fpl ha chiesto un incontro al
vicesindaco Belviso. «La situazione di Farmacap era stata portata a dei limiti intollerabili dice Paolo Dominici -
Una situazione che ora stanno pagando i lavoratori. Il nuodo direttore Guarino ha parlato spesso di soldi
pubblici spesi in modo improprio. Lo invitiamo a portare tutto all'attenzione della Corte dei conti, così da
sollevare i dipendenti da responsabilità non loro». Intanto per protestare «contro la mancata attuazione delle
promesse del Comune sul rifinanziamento e potenziamento dei servizi, per denunciare la precaria situazione
economica e il disagio dei dipendenti, per avere certezze sul mantenimento dei servizi e sulla conservazione
della natura pubblica dell'azienda» i lavoratori hanno organizzato per oggi un presidio sotto la sede Farmacap
dalle 12 alle 15. A renderlo noto Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil. Una protesta alla quale aderiscono
Peciola e Azuni (Sel) e Barbera (Prc). Dan. Dim.
20/03/2013 2Pag. Il Tempo - Roma(diffusione:50651, tiratura:76264)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 11
brevi Via libera alla Finanziaria 2013 della Sardegna. Il documento è stato approvato ieri dalla nuova Giunta di Ugo
Cappellacci, la terza dal suo insediamento nel 2009, che lavorerà senza alcuna indennità, solo un compenso
simbolico di un euro a ciascun assessore. Il disegno di legge sarà trasmesso al Consiglio regionale entro
questa settimana per avviare l'iter di approvazione in Aula. Snodo della manovra, la riscrittura del Patto di
stabilità con una norma unilaterale da parte della Regione che punta a recuperare dal 2013, con un nuovo
braccio di ferro con il governo centrale, oltre 900 milioni di euro attualmente bloccati dai vincoli di spesa. Una
parte delle risorse, si tratta di un pacchetto da 100 milioni di euro, serviranno per la restituzione dell'Imu,
attraverso un contributo pari a quanto pagato, alle famiglie che hanno un reddito Isee inferiore a 20 mila
euro.Si è intascato i soldi dei creditori delle procedure fallimentari che curava, riuscendo a mettere da parte in
quattro anni un patrimonio immobiliare di 31 appartamenti oltre a ingenti disponibilità finanziarie. Il nucleo di
Polizia tributaria della Guardia di finanza di Rimini ha arrestato Daniele Balducci, 48 anni, noto
commercialista riminese, segretario dell'Ordine dei commercialisti, presidente della Commissione per i
rapporti con l'autorità giudiziaria nonché membro della commissione provinciale vittime d'usura. «Innalzare il
limite stabilito dal dlgs 267/2000 per le anticipazioni di tesoreria, come soluzione temporanea per risolvere un
problema diffuso tra i comuni». È questa la richiesta contenuta nella lettera che il presidente dell'Anci,
Graziano Delrio ha inviato al ministro per l'economia, Vittorio Grilli e al ministro dell'interno, Anna Maria
Cancellieri. Dopo aver ricordato che «l'attuale periodo di crisi economica e le modifiche al regime fiscale
comunale stanno creando forti sofferenze di cassa per gli enti locali», Delrio sottolinea il rischio che in tale
situazione i comuni «rischiano di non poter far fronte a pagamenti indifferibili». «Il ricorso alla anticipazione di
cassa», spiega, «fissa il massimo della anticipazione ai tre dodicesimi delle entrate correnti. La richiesta
dell'Anci è quella di portare tale limite ai cinque dodicesimi, fino a settembre 2013».
20/03/2013 29Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 12
I tagli di Boldrini e Grasso I presidenti incontrano i capigruppo: ridurre le spese delle Camere. E si decurtano lo stipendio del 30%Bersani prepara la sua proposta di governo. Oggi le consultazioni di Napolitano, venerdì l'incarico CATERINA LUCI ROMA Grasso e Boldrini accelerano: subito i tagli dei bilanci del Parlamento. Incontrano i capigruppo, avviano
l'esame della possibile riduzione delle spese e annunciano che si decurteranno lo stipendio del 30%.
All'esame anche una revisione dei regolamenti. Intanto Bersani prepara la sua proposta di governo con
ministri di alto profilo. Oggi, con i presidenti delle Camere, Napolitano avvia le consultazioni che dovrebbero
andare avanti fino a domani. Probabilmente già venerdì il Capo dello Stato potrebbe dare l'incarico al leader
del Partito democratico. CIARNELLI COLLINI ZEGARELLI A PAG. 6-7 Si cambia, davvero. Si inizia da lì
dove è più profond a l ' i n s o f f e r e n z a d e g l i elettori e dove è più facile, immediato. Dai costi della
politica. La pensano allo stesso modo i due presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso e
tutti e due si sono ridotti del trenta per cento i loro compensi e hanno annunciato tagli i costi della vita
parlamentare. Ieri la presidente della Camera è andata a Palazzo Madama (a piedi), per un incontro di due
ore con il suo corrispettivo del Senato. I due hanno parlato delle priorità e si sono trovati d'accordo. Sobrietà
della politica, riduzione dei costi di Palazzo Madama e Montecitorio e riforma dei regolamenti parlamentari:
non si può più aspettare. Dopo l'incontro a due sia Grasso che Boldrini hanno illustrato le «linee guida» alle
conferenze dei capigruppo che si sono tenute contemporaneamente al Senato e alla Camera. In serata è
uscito un comunicato congiunto: «I due presidenti di Camera e Senato hanno concordato sull'esigenza di
avviare da subito un piano di tagli e razionalizzazione delle spese del Parlamento, per raggiungere risparmi
significativi». Come arrivarci sarà illustrato nelle prime riuonioni degli uffici di presidenza. Grasso e Boldrini
hanno deciso di «adottare da subito una significativa riduzione delle attribuzioni ad essi spettanti, per un
importo complessivo del trenta per cento». Una «analoga riduzione sarà proposta per i titolari delle altre
cariche interne in tema di indennità di ufficio e di altre attribuzioni attualmente previste, alcune delle quali
potrebbero essere del tutto soppresse, quali ad esempio i fondi per spese di rappresentanza». Ma l'obiettivo
è arrivare a un taglio del 50%, e riguarderà anche le segreterie particolari di chi ricopre cariche istituzionali.
Durante l'esordio a Palazzo Madama con i neocapogruppi, Grasso, come ha riferito Luigi Zanda,
neopresidente dei senatori Pd, «ha fatto un accenno molto rilevante, politicamente significativo, alla necessità
di contenere ulteriormente i costi della macchina del Senato. Materia, questa, di competenza dell'ufficio di
presidenza», che verrà definito giovedì prossimo. È Vito Crimi del M5S ad aggiungere che «il presidente ha
introdotto per primo l'argomento della riduzione dei costi della politica», a partire da sé. È molto positivo
aggiunge- che Grasso abbia accolto le nostre sollecitazioni di dare velocità ai lavori parlamentari, a
prescindere della formazione del governo. Tutti i gruppi sembrano d'accordo. Renato Brunetta,
neocapogruppo Pdl alla Camera: «Si è convenuto, seguendo una traccia della presidente Boldrini, di
considerare sia i costi degli eletti (ossia i deputati, ndr ) che del personale attivo e di quello in quiescienza,
oltre che i costi delle strutture». Risparmi «visibili» con «marcatura dell'orecchio» che «Boldrini ha suggerito
di destinare alla ricerca», conclude il capogruppo. Un grande segno di discontinuità con il passato, commenta
il capogruppo di Sel Gennaro Migliore al termine della riunione - e il primo è che questa presidente ha
sostenuto il ripristino di una sobrietà maggiore per l'esercizio delle nostre funzioni». La conferenza dei
capigruppo della Camera ha chiesto alla presidente Laura Boldrini di invitare il governo a riferire non solo sul
Consiglio europeo, ma anche su Cipro e sul braccio di ferro con l'India sui marò. La capogruppo del M5S
protesta, trova inutile affrontare questi temi invece che far partire l'attività del Parlamento, e contesta la
decisione di Pd, Pdl, Scelta civica, Misto e Sel sul fatto che l'attività di commissioni permanenti e bicamerali
non possa avviarsi senza la costituzione del nuovo governo. E sul voto negli uffici di presidenza, domani, i
Cinque stelle chiariscono: vogliono che venga votato il loro candidato ma non intendono votare gli altri. Una
20/03/2013 1Pag. L Unita - Ed. nazionale(diffusione:54625, tiratura:359000)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 13
lettera a Grasso e Boldrini è partita da Graziano Del Rio, presidente dell'Anci per chiedere «un breve incontro
per poter illustrare le gravi e urgenti questioni» che riguardano i Comuni.
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Boccata d'aria per le aziende: rimborsi Iva di 1,2 miliardi L'Agenzia delle Entrate annuncia il pagamento immediato da parte del ministero dell'Economia . . . Ora siattende lo sblocco dei 70-120 miliardi di debiti pregressi della Pa nei confronti delle imprese MASSIMO FRANCHI ROMA Una piccola boccata d'ossigeno. In arrivo oltre un miliardo di rimborsi Iva per le imprese. L'Agenzia delle
entrate annuncia in una nota che nelle prossime settimane saranno rimborsati i crediti Iva spettanti a oltre
4.300 imprese, per un importo complessivo di circa 1,2 miliardi di euro, messi a disposizione dal ministero
dell'Economia. «Con questa nuova iniezione di liquidità - si legge in una nota - la somma complessiva
rimborsata in questi primi mesi del 2013 a imprese, artigiani e professionisti arriverà a ben 2,5 miliardi di
euro». Una goccia nel mare rispetto agli 70-120 miliardi (a seconda delle ipotesi) che le imprese vantano nei
confronti della pubblica amministrazione. Ma di certo un piccolo passo avanti per queste imprese molte delle
quali rischiano di fallire nel giro di giorni a causa del cosiddetto credit crunch: hanno crediti con lo Stato e gli
enti locali, ma le banche non prestano loro neanche un euro per andare avanti. La certificazione dei crediti
voluta dal ministro Corrado Passera è miseramente fallita sotto il peso delle lungaggini burocratiche
consentendo in sei mesi il pagamento di soli 3 miliardi. Nei giorni scorsi Anci (Comuni) e Conferenza delle
Regioni hanno lanciato una mobilitazione dicendosi pronte a sforare il patto di stabilità pur di pagare gli 8
miliardi che sono già a loro disposizione. In questi giorni poi la Commissione europea ha dato il via libera
formale all'Italia per il pagamento dei debiti pregressi attraverso l'emissione di nuovi titoli di Stato. Bruxelles
ha riconosciuto che se lo Stato italiano utilizzerà questa modalità per pagare i debiti con le aziende non
scatterà la procedura di infrazione per avere sforato il limite del deficit (3% fissato dai parametri di
Maastricht). L'Unione europea ha invitato il governo italiano a proporre un piano di pagamento senza
rischiare che ciò comporti la violazione del Patto. L'ipotesi è quella di attivare pagamenti per 40-50 miliardi in
due anni. I debiti della Pa verso le aziende sono debiti già iscritti in bilancio e quindi contabilizzati nel debito
pubblico. Pagando le imprese con titoli di Stato (che poi potrebbero rivendere sul mercato), lo Stato non
avrebbe un esborso immediato di cassa e quindi la misura non impatterebbe sul deficit mantenendo invariato
il debito pubblico. Ieri sul tema si è fatta sentire anche la Cgia di Mestre. «Ma per consentire lo sblocco è
necessario un provvedimento d'urgenza che l'esecutivo attuale - prosegue Bortolussi non può realizzare, in
quanto è in carica solo per gli affari correnti». La Cgia, inoltre, si chiede: «Perché la Commissione europea ha
consentito all`Italia di pagare gli arretrati della Pa solo adesso? Non è che chi in passato aveva il compito di
pressare l'Unione europea non l'ha fatto con la dovuta determinazione, visto che la Spagna nel 2012 ha
ricevuto il via libera per pagare ben 27 miliardi alle proprie aziende e noi solamente 3 milioni?».
20/03/2013 11Pag. L Unita - Ed. nazionale(diffusione:54625, tiratura:359000)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 15
Spesa corrente e investimenti, Terni è tra i venti capoluoghi italiani piùvirtuosi A B TERNI Il Comune di Terni è tra i primi 20 capoluoghi di provincia italiani più virtuosi che tengono sotto
controllo laspesa corrente (quella destinata alla gestione amministrativa e dei servizi e agli stipendi dei
dipendenti) e tra i primi 25 per spesa in conto capitale (quella finalizzata in gran parte agli investimenti). E'
quanto emerge dai dati pubblicati recentemente dall'Ifel (Istituto per la Finanza e le Economie Locali),
fondazione dell'Anci ( http://www. fondazioneifel.it/I-numeri-deiComuni/I-numeri-dei-comuni ). I dati, tratti dai
conti consuntivi raccolti dal ministero dell'Interno, pongono infatti Terni al 20 posto tra i 109 capoluoghi di
provincia, con una spesa corrente pro-capite di 833,3 euro, rispetto alla media nazionale di 889,0 euro a
persona (+8% circa rispetto alla nostra città). "Questi dati - commenta il sindaco Leopoldo Di Girolamo -
confermano quanto da noi ripetutamente sostenuto sia nelle relazioni ai bilanci previsionali che ai consuntivi.
Abbiamo cioè messo in atto un controllo rigoroso e costante della spesa corrente, che si è tradotto - come ha
già sottolineato il vicesindaco Paci nei giorni scorsi - in oltre 15 milioni di euro di risparmio in questi ultimi 4
anni, e al contempo abbiamo operato la scelta politica di utilizzare il massimo delle risorse liberate in favore
degli investimenti. Risorse che vanno a sostenere l'economia cittadina".
20/03/2013 48Pag. Corriere dell'Umbria(diffusione:21210, tiratura:34012)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 16
MACROREGIONE Un progetto istituzionale per l'Europa futura >«Spero si possa aprire un dialogo con Errani e Burlando per iniziare a mettere assieme tutto il Nord» LucaZaia: «Nel segno della continuità e della contiguità. A luglio nell'Euregio entrerà l'Istria ma auspico entri anchela Slovenia» Il Governatore "minaccia" Roma: «Vista l'apertura dell'Ue, o si allenta il patto di stabilità o siamopronti a sfondarlo, se Comuni e Province ci seguiranno» Nicola Leoni «Macroregione significa costruire un progetto istituzionale. Non è un progettino da partito, qui stiamo
parlando di una cosa seria e spero si possa iniziare un dialogo con Errani e Burlando per iniziare a mettere
assieme tutto il Nord». È l'auspicio del presidente del Veneto Luca Zaia per quando riguarda l'allargamento
della Macroregione del Nord. Cosi facendo secondo Zaia ci sarebbe «continuità e contiguità, ci vediamo
l'Europa del futuro, quella delle macroaree, gli Stati Uniti d'Europa con un modello cantonale. Quindi il futuro
si espande oltre i confini nazionali. A luglio nell'Euregio entrerà l'Istria ma auspico entri presto anche la
Slovenia». Forte di queste prospettive solide e positive il governatore veneto si rivolge con decisione a Roma,
dove invece la situazione è invece debole e precaria. «0 il governo, vista l'apertura dell'Ue, allenta il patto di
stabilità o la Regione Veneto, se Comuni e Province la seguiranno, è pronta a sfondarlo»: è la minaccia di
Zaia, secondo cui per il Veneto l'allentamento del patto di stabilità «può valere fino a 2 miliardi di euro, che
aiuteranno il rilancio dei consumi». «Sembra ci siano 70 miliardi di allentamento del patto di stabilità - ha
spiegato - Spero che il governo che abbiamo e ha pieni poteri lo allenti e dia modo quindi a Regioni, Province
e Comuni di pagare, perché noi abbiamo 1,3 miliardi fermi in cassa e i fornitori che aspettano». «Se invece
da Roma non arriveranno provvedimenti - ha ammonito - noi siamo pronti a sfondare patto se ci sarà un
fronte unito, da destra a sinistra, senza colore politico, perché - ha spiegato Zaia - è una battaglia di civilità».
«Da soli non lo faremo mai, perché se sfondando il patto da soli abbiamo due guai: il taglio dei trasferimenti e
la denuncia per danno erariale». Zaia ha detto quindi di aspettarsi che «da Roma agiscano alla svelta: per
usare una metafora calcistica - ha spiegato dopo aver ribadito la sua solidarietà alla protesta dell'Anci-siamo
già ai calci di rigore, non ai supplementari». «Monti, vista la preparazione che vanta - ha concluso - deve
allentare il patto di stabilità subito». Per il governatore del Veneto «su questo tema l'Italia è una repubblica
della banane, già la Spagna lo ha fatto, adesso tocca a noi». Zaia lancia quindi un appello ai parlamentari
della sua regione: «Per l'elezione del presidente del Senato il Sud ha fatto squadra: c'è il Veneto che ha
bisogno di una difesa con tutti i mezzi, non possiamo ancora soffrire a causa degli sprechi del Sud». E Zaia
ha annunciato: «scriverò una lettera a parlamentari per chiedere che finisca lo scempio di sprechi paurosi in
giro per l'Italia mentre a noi si chiede di tagliare: siamo passati da una spesa libera da 1,6 miliardi del 2010 a
950 milioni del 2013: vuol dire 40% di risposte in meno ai cittadini vuol dire meno sanità, meno servizi, meno
aiuti ai lavoratori e imprese, non è più possibile continuare cosi ». E per finire riguardo al bilancio regionale
veneto: «Sono le ore topiche e nevralgiche. L'assessore Ciambetti, con i capigruppo stanno chiudendo. Ore
decisive quindi per un provvedimento importante e vedere che un'amministrazione che si occupa dei problemi
della gente è un segnale importante».
Foto: • Il Governatore della Regione Veneto, Luca Zaia
20/03/2013 9Pag. La Padania - Ed. nazionale(tiratura:70000)
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IFEL - ANCI - Rassegna Stampa 20/03/2013 17
L'ITALIA DEI PAGHERÒ Un testo già scritto da Bruxelles Guido Gentili Guido Gentili
Un decreto pro-crescita. L'ultimo atto del Governo Monti, l'esecutivo che ha fatto del raccordo con l'Europa la
sua bandiera, ce l'ha già scritto Bruxelles. Non c'è da inventarsi alcunché, dopo che la Commissione Ue, con
la lettera dei vicepresidenti Olli Rehn e Antonio Tajani, ha dato disco verde allo sblocco dei pagamenti della
Pubblica amministrazione. A Roma non resta che agire, con la presentazione al Consiglio dei ministri di un
testo legislativo che va ben oltre la pur indispensabile boccata d'ossigeno al sistema delle imprese.
Cominciare a rimettere in circuito, già in primavera, una quota importante di quella liquidità (più di 70 miliardi
certamente) oggi viva solo sulla carta, significa infatti porre la prima pietra per l'agognata ripresa. Nel
momento in cui i dati continuano da un lato a segnalare un calo (-2,84%) dei prestiti bancari a famiglie ed
imprese non finanziarie e, dall'altro, un aumento delle sofferenze bancarie lorde, arrivate a 126,1 miliardi.
Ma non solo. La riattivazione di questa leva risponde a un elementare criterio di legalità e giustizia. Non era
tollerabile oltre, in un Paese per di più in recessione profonda, che lo Stato, lo stesso che impone una
pressione fiscale strabordante e offre in molti casi servizi inefficienti, non onorasse gli impegni presi con i suoi
fornitori. Di sfiducia e insicurezza ne circolano anche troppa in giro, come dimostra ampiamente il caso-Cipro
nel quale l'Europa è tornata ad immergersi. Anche da questo punto di vista lo sblocco dei pagamenti della
Pubblica amministrazione può rivelarsi dunque salutare per un'Italia che boccheggia, frastornata dal
rincorrersi delle parole cui non seguono i fatti.
Ora il ministro dell'Economia Vittorio Grilli, come spiega nell'intervista al Sole 24 Ore, assicura che la svolta è
a portata di mano, che il piano è pronto, che insomma dopo l'ultimo vaglio del presidente del Consiglio, ciò
che è dovuto alle imprese può essere dato. L'impegno preso è serio e non c'è ragione di dubitarne. Anche se
questa vicenda dei pagamenti dello Stato auto-bloccanti insegna che non bisogna mai abbassare la guardia.
Il problema è stato prima quasi sottovalutato, poi ritenuto insolubile per l'opposizione - in molti casi presunta,
dell'Europa - infine avviato sui binari di una soluzione a colpi di decreti e circolari. A maggio 2012 veniva così
praticamente annunciato dal Governo che lo Stato avrebbe cominciato a pagare i suoi debiti in autunno. In
estate sarebbe infatti partita la certificazione dei crediti, e con le foglie dagli alberi sarebbero caduti anche i
debiti dalla Pubblica amministrazione. Ma sappiamo come è andata, nel marzo 2013: male, malissimo. Tra
decreti e circolari, ministeri, ispettorati, ragionerie centrali e territoriali, uffici di bilancio, piattaforme di gestione
telematica, procedure online, resistenze attive e passive, riserve e rinvii. A gennaio risultavano sbloccati 3
milioni su oltre 70 miliardi. E diciamo "oltre" non a caso, perché non sappiamo ancora oggi a quanto
ammonta davvero il dovuto dallo Stato perché è lo Stato stesso a non saperlo.
Alla fine, è stata così l'Europa, in fondo, a metterci con le spalle al muro dopo aver verificato che l'Italia era
nelle condizioni di poter chiedere di mettersi in regola senza gravare sul debito pubblico. Ci ha detto «ok,
potete pagare, non c'è infrazione» e ci ha invitato a presentare subito a Bruxelles il piano operativo per
l'ultimo sì formale. E ora il Re, cioè lo Stato italiano, è nudo. Serve un decreto, subito, nulla di più.
twitter@guidogentili1
20/03/2013 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 19
L'Italia bloccata I PAGAMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Subito i pagamenti dei Comuni Liberi dal Patto di stabilità 9-10 miliardi - Ue spinge per piano da 40 miliardi nel primo anno LE PROCEDUREIl provvedimento allo studio punta anche a superare l'impasse tecnica legata alla piattaforma per lacertificazione dei crediti Carmine Fotina Carmine Fotina
ROMA
Il via libera europeo a un piano italiano per il pagamento dei debiti della Pa ha rimesso in moto in poche ore
una macchina che sembrava ingolfata. I ministeri direttamente coinvolti ragionano su un possibile decreto, i
cui aspetti tecnici non costituirebbero un ostacolo: il nodo è semmai legato all'evoluzione politica dei prossimi
giorni. Ad ogni modo, dopo il via libera Ue arrivato con la dichiarazione congiunta dei vicepresidenti della
Commissione Ue Tajani e Olli Rehn, si dovrebbe partire in tempi strettissimi dai Comuni, sbloccando
pagamenti finora incagliati dal Patto di stabilità per almeno 9 miliardi. Per il resto della Pa, il piano si
completerà intervenendo attraverso l'emissione di titoli di Stato.
La «due diligence»
Tutte le opzioni in campo dovranno muovere da una definizione chiara dello stock. Partendo dalle stime di
Banca d'Italia per il 2011, e considerando un aumento fisiologico nel 2012, si sfiorerebbe la cifra di 80 miliardi
di euro. Da Bruxelles spingono per sbloccare almeno 40 miliardi già nel primo anno e fanno capire che l'Italia
dovrà comunicare un ammontare certo dei debiti da smaltire nel biennio, con la possibilità di spalmare il piano
in tre annualità solo se il conteggio ufficiale dovesse crescere ulteriormente superando addirittura quota 100
miliardi. Ci sarà insomma bisogno di un'accurata "due diligence", che potrebbe essere affidata a una sorta di
task force mista governo-Regioni-enti locali.
La proposta italiana
I contatti sull'asse Roma-Bruxelles sono ormai frequenti da settimane, in parallelo con il pressing via via
crescente delle imprese (il tema oggi sarà sul tavolo del direttivo di Confindustria). Anche ieri ci sarebbe stata
l'occasione di fare il punto tra Tajani e Enzo Moavero Milanesi, che da ministro per gli Affari europei sta
seguendo da vicino il dossier. Moavero sarebbe favorevole a un intervento in tempi rapidi ed è possibile che
già la prossima settimana il governo italiano porti a Bruxelles una prima proposta, da considerare come la
base per un provvedimento che potrebbe vedere la luce subito dopo Pasqua. Sulla tempistica influirà però
certamente l'evoluzione del quadro politico, ovvero l'andamento delle consultazioni del Quirinale in
programma da domani e l'esito dell'incarico a formare un nuovo governo. Calendario alla mano, se si
dovesse rispettare l'obiettivo di intervenire in un paio di settimane, potrebbe toccare al governo in ordinaria
amministrazione, con uno dei suoi ultimissimi atti, oppure, nel caso in cui l'attuale stallo politico sarà
sbloccato velocemente al primo tentativo, al nuovo esecutivo con una delle sue primissime mosse.
Doppia strategia
Gli uffici tecnici di Roma e Bruxelles continueranno a lavorare in stretto contatto a prescindere
dall'evoluzione politica. Da un lato, si prospetta la sterilizzazione del patto di stabilità interno per consentire ai
Comuni di pagare subito 9-10 miliardi di arretrati. Dall'altro, si valutano emissioni finalizzate di debito
pubblico, in sostanza - spiegano fonti di Bruxelles - dovrà trattarsi di titoli di Stato dedicati, con un vincolo di
utilizzo degli introiti per il pagamento delle imprese creditrici. Il Tesoro è già al lavoro su questo capitolo:
mentre per la spesa in conto capitale si potrebbe agire subito con una deroga al Patto di stabilità interno
liberando le risorse dei Comuni, per la spesa corrente si pensa di utilizzare la leva dei titoli di Stato. In
particolare, una parte dello stock di debiti relativi alla spesa in conto capitale sarebbe rimborsata cash, il
restante potrebbe essere coperto direttamente con i titoli.
20/03/2013 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 20
Certificazione «vincolante»
Il sistema della certificazione dei crediti attraverso la piattaforma elettronica del Tesoro finora non ha
funzionato. Secondo il censimento che risale a circa un mese fa, i soggetti abilitati sulla piattaforma
elettronica sono appena 1.227, di cui oltre 900 sono Comuni del Centro-Nord e solo 70 sono enti del servizio
sanitario. In vista del nuovo piano di smaltimento, l'intenzione del governo sarebbe quella di semplificare al
massimo il sistema, con possibili documentazioni ex post. Oppure, rilevano dal ministero dello Sviluppo
economico, con una modifica da inserire nell'eventuale decreto, rendendo la certificazione vincolante
attraverso la definizione di tempi precisi entro i quali registrarsi e di eventuali sanzioni.
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NOI E GLI ALTRI L'impatto sull'economia reale European payment index 2012 Percentuale di imprese che
dichiara problemi di liquidità dovuti ai ritardati pagamenti Regno Svezia Unito Spagna Slovenia Slovacchia
Romania Portogallo Polonia Norvegia Paesi Bassi Lituania Lettonia Italia Irlanda Ungheria Grecia Germania
Francia Finlandia Estonia Danimarca Rep. Ceca Cipro Bulgaria Belgio Austria
I nodi
LE RISORSE Possibili 40 mld nel primo anno
Fonti della Commissione europea indicano in 40-50 di miliardi la possibile prima tranche del piano. Per circa
9 miliardi di pagamenti dei Comuni bloccati, potrà bastare una «deroga» al Patto di stabilità, ormai
percorribile dopo l'apertura di Bruxelles. Per smaltire l'arretrato relativo alle spese in conto capitale, il Tesoro
punta all'emissione di titoli di Stato.
I TEMPI L'accelerazione
Il Tesoro potrebbe mettere a punto nei prossimi giorni uno schema di intervento. Al dossier lavora anche
Enzo Moavero Milanesi, ministro per gli Affari europei, che già la prossima settimana potrebbe presentare
una proposta a Bruxelles. Un provvedimento del governo potrebbe concretizzarsi dopo Pasqua, molto
dipenderà anche dall'evoluzione del
quadro politico.
LE PROCEDURE Certificazione da semplificare
Va reso più efficiente il sistema della certificazione dei crediti. L'intenzione del governo sarebbe quella di
semplificare al massimo il sistema, con possibili documentazioni ex post. Oppure, rilevano dal ministero dello
Sviluppo economico, con una modifica da inserire nell'eventuale decreto, rendendo la certificazione
vincolante per le Pa, anche con eventuali sanzioni.
LA PAROLA CHIAVE Patto stabilità interno
L'indebitamento netto della Pubblica amministrazione costituisce uno dei principali parametri da controllare
sulla base del Patto di stabilità interno. Dal 1999 ad oggi l'Italia ha formulato il proprio Patto di stabilità interno
esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali.
20/03/2013 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 21
Cofinanziamenti Ue: target di spesa più alti senza il «patto» DOPPIA MANOVRA DI BARCA Il ministro ha preparato il decreto per allentare il patto ma ha ancheannunciato ai Governatori obiettivi di spesa più serrati Giorgio Santilli
ROMA.
Non c'è in preparazione soltanto il decreto legge che svincolerà dal patto di stabilità interno i cofinanziamenti
nazionali ai fondi strutturali Ue. Nella stessa direzione - e per chiudere il cerchio dell'accelerazione della
spesa dei fondi comunitari - c'è anche l'innalzamento dei target di spesa per gli anni 2013 e 2014. Da una
parte si mettono, quindi, le amministrazioni regionali e locali in condizioni di spendere più velocemente senza
più i vincoli del patto di stabilità interno, dall'altra si impongono loro obiettivi di spesa più ambiziosi.
È questa la manovra cui sta lavorando il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, che ha già
presentato ai Governatori la settimana scorsa la volontà di innalzare i target, in modo da accelerare la spesa
che altrimenti si concluderebbe con una consistente quota nell'ottobre 2015 e potrebbe godere di alcune
deroghe pesanti soprattutto per i progetti di grandi infrastrutture. L'obiettivo è ridurre queste deroghe e
spingere perché già nel biennio 2013-2014 cresca la spesa programmata, ora che i primi risultati di
accelerazione si sono già visti con il rendiconto 2012.
Per il resto si conferma che la prima bozza del decreto legge è pronta e potrebbe andare - insieme alla
partita sui pagamenti della Pa alle imprese - al Consiglio dei ministri la prossima settimana, quando le
istruttorie tecniche saranno completate.
L'obiettivo del provvedimento è anzitutto quello di liberare dai vincoli del patto di stabilità interno i 12 miliardi
di cofinanziamenti nazionali che ancora restano da spendere da qui all'ottobre 2015. Sono 2,6 miliardi nel
2013, 4,6 miliardi nel 2014, 5,1 miliardi nel 2015: è il 39,7% dei 31 miliardi di investimenti complessivamente
finanziati dai fondi strutturali Ue che restano da fare nei prossimi trenta mesi all'interno della programmazione
2007-2013.
Non è ancora chiaro che quota di questi 12 miliardi di cofinanziamenti saranno effettivamente svincolati dal
patto di stabilità. Non sarà comunque una quota trascurabile. La direzione di marcia è comunque segnata
(anche le istruttorie tecniche su questo fronte sono state completate). Il provvedimento è, d'altra parte, in
linea con la lettera recapitata personalmente dal premier Monti al Presidente del Consiglio Ue e ai capi di
stato riuniti a Bruxelles il 14 e 15 marzo scorso. Negli «ulteriori margini di flessibilità» del Patto che possono
consentire di creare crescita e posti di lavoro a un'Italia in piena regola con i conti, Mario Monti mette al primo
posto proprio «la quota di cofinanziamento nazionale per i fondi strutturali, in modo da sbloccare gli
investimenti pubblici produttivi, per progetti in linea con le priorità concordate in sede Ue».
Barca lavora da tempo all'accelerazione della spesa Ue e alla "liberazione" di queste risorse dal patto di
stabilità interno: una prima esperienza in tale senso fu fatta con la prima manovra del Governo Monti, il
«decreto salva-Italia». Allora furono liberati, con l'articolo 3 del decreto legge, tre miliardi di cofinanziamento
nazionale dai vincoli del patto di stabilità: un miliardo per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014. Un
successo di velocizzazione, visto che la quota per il 2012 è stata "tirata" al 100% dalle Regioni interessate.
In quel caso «per compensare gli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento netto» che si venivano a
creare fu istituito presso il ministero dell'Economia un «fondo di compensazione per gli interventi volti a
favorire lo sviluppo», con una dotazione esattamente pari alla somma liberata dal patto. Lo stesso percorso
dovrebbe essere seguito anche in questa occasione, con un rifinanziamento di quel fondo da parte
dell'Economia.
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LE RISORSE
20/03/2013 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 22
12 miliardi
Cofinanziamenti
L'obiettivo del provvedimento è di liberare dai vincoli del patto di stabilità interno i 12 miliardi di
cofinanziamenti nazionali che ancora restano da spendere da qui all'ottobre 2015.
2,6 miliardi
La ripartizione
Sono 2,6 miliardi nel 2013, 4,6 miliardi nel 2014, 5,1 miliardi nel 2015.
39,7%
La quota
È la percentuale del totale di 31 miliardi di investimenti complessivamente finanziati dai fondi strutturali Ue
che restano da fare nei prossimi trenta mesi all'interno della programmazione 2007-2013.
20/03/2013 2Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 23
INTERVISTA Roberto Zuccato Presidente di Confindustria Veneto «Saldare il conto con le imprese entro 3 mesi» AGIRE SUBITO «Il Governo presenti un piano a breve. Parte delle risorse ci sono e poi titoli di Stato» Nicoletta Picchio ROMA
«Non possiamo restare sulla graticola per altri sei mesi senza fare niente. C'è bisogno che arrivi al più presto
un segnale, più si aspetta e peggio è». Roberto Zuccato guarda i numeri dell'economia del Veneto, quel
modello del Nord-Est che ha fatto scuola e che è stato uno dei traini dell'economia italiana: disoccupazione al
7,1%, con la stima che possa arrivare al 9% se si considera che parte dei lavoratori in cassa integrazione
straordinaria e in deroga non rientreranno in azienda. La dinamica imprenditoriale è ferma, se si pensa che le
aziende che chiudono non sono compensate da nuove aperture.
Da un mese è presidente di Confindustria Veneto, e in questo ruolo riprende la battaglia che aveva già
avviato come numero uno degli industriali di Vicenza: bisogna dare liquidità alle imprese e rilanciare gli
investimenti. E quindi dare il via al pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione e ai progetti di
infrastrutture, applicando in modo flessibile le regole del Patto di stabilità.
Dall'Unione europea è arrivata questa apertura: il pagamento dei debiti pregressi della Pa non è una
violazione del Patto di stabilità. «Bisogna agire subito, il governo deve presentare un piano in tempi brevi in
modo che nel giro di tre mesi arrivino i soldi alle imprese», dice Zuccato. Le risorse, continua Zuccato, in
parte ci sono, in parte si possono trovare con emissioni di titoli di Stato.
Presidente Zuccato, nei giorni scorsi lei ha anche appoggiato la possibile iniziativa delle tre Regioni del Nord,
Veneto, Lombardia e Piemonte, di sforare, facendo massa critica. A questo andrebbe aggiunta a suo parere
una emissione di titoli di Stato?
Per trovare risorse adeguate si potrebbe pensare ad una emissione straordinaria di obbligazioni dello Stato
la cui copertura andrebbe garantita dalla Bce. In questo modo si attenuerebbero anche eventuali tensioni
sullo spread e sui mercati internazionali. Oggi siamo in emergenza, interventi ordinari non bastano, bisogna
prendere misure coraggiose e straordinarie.
Anche in un territorio dinamico come il Veneto la crisi sta provocando danni
pesanti?
Abbiamo un'alta percentuale di aziende che esportano, circa il 20% della Regione, l'export nel 2012 è
aumentato del 10,5%, quindi stiamo risentendo meno di altre zone d'Italia. Ma la crisi ormai ha inciso sul
tessuto imprenditoriale, che è stremato, e sugli stili di vita. La Pubblica amministrazione che non paga i conti
ha generato a catena un problema di insolvenza anche tra privati. Di fatto il modello Nord-Est come lo
conoscevamo noi non esiste più.
La liquidità è il problema principale?
In questa fase sì, anche se in Veneto ci sono alcuni istituti di piccole e medie dimensioni, come alcune
banche popolari, che hanno dato alle imprese affidamenti superiori rispetto a quelli medi del sistema. Si tratta
di rimettere in moto gli investimenti, di creare una maggior fiducia che oggi certamente manca. Ma la
mancanza di liquidità non riguarda solo il rapporto con le banche: ci sono appunto i pagamenti da parte del
pubblico, i rimborsi dell'Iva.
Pagamenti della Pubblica amministrazione, ma anche un rilancio degli investimenti pubblici, sia per le attività
produttive sia per le infrastrutture: quali sono le urgenze?
Il proseguimento con la massima priorità della Pedemontana, la conclusione della terza corsia della A4
Venezia-Trieste, la realizzazione dell'alta capacità tra Milano e Venezia, un'opera importante per l'intero
paese. La stasi degli investimenti pubblici si è risentita soprattutto nel settore delle costruzioni, che sta
soffrendo in modo particolare.
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 24
Quali sono gli handicap principali che limitano la competitività delle imprese?
Innanzitutto la pressione fiscale sia sulle imprese che sul lavoro; poi il costo dell'energia, che è molto più alto
rispetto alla media dei nostri concorrenti, e la burocrazia che ritarda anche quelle poche iniziative di
investimento delle imprese.
La situazione politica certo non aiuta la fiducia in questo momento ...
Le imprese per investire hanno bisogno di certezze. Dovrebbe esserci una presa di coscienza da parte dei
partiti per sostenere un governo di coalizione che dia stabilità al paese e che faccia interventi immediati.
Invece c'è amarezza, preoccupazione. In alcuni rammarico per l'atteggiamento del Movimento 5 Stelle che si
nega al confronto politico. Ecco perché c'è la forte richiesta ai partiti di tirare fuori il paese dallo stallo, non si
può più aspettare.
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Foto: Al vertice. Roberto Zuccato
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I settori in sofferenza. Sui dispositivi medici il primato dei tempi di liquidazione (283 giorni), nell'informationtechonology 240 giorni e nelle costruzioni una media di 226 giorni In edilizia, sanità e Ict il 90% dei crediti L'ALLARME Parisi (Confindustria Digitale): «Le aziende che servono agli investimenti della Pa non possonoessere lasciate in queste condizioni» Andrea Biondi Mauro Salerno Sara Todaro Andrea Biondi
Mauro Salerno
Sara Todaro
È nell'edilizia, nella sanità e nell'information technology che i debiti della Pa provocano i danni maggiori alle
imprese. È in questi settori, infatti, che vengono consumati gran parte del debito complessivo (più o meno il
90%: oltre 60 miliardi di euro su 71). Settori nei quali, peraltro, anche i tempi di liquidazione sono da record.
L'edilizia
Spetta alle costruzioni la poco invidiabile "palma" di settore industriale peggio pagato d'Italia. Lo stock dei
crediti vantati delle imprese nei confronti delle Pa ha raggiunto quota 19 miliardi, di cui 12 a carico delle
amministrazioni locali. Una cifra monstre, che vale quasi il 27% dei 71 miliardi di debito della Pa con le
imprese. E non basta, perché gli edili sono tra gli imprenditori costretti ad aspettare più a lungo il saldo di una
fattura. L'anno scorso l'Ance, l'associazione nazionale di categoria, ha calcolato che in media le imprese
hanno dovuto aspettare 226 giorni, cioè otto mesi per ottenere il pagamento dei lavori eseguiti. Numeri in
teoria destinati a ridursi a un massimo di 30-60 giorni con le nuove regole della direttiva europea. Ma finora
nulla è cambiato.
Un quadro negativo che alla luce delle ultime novità potrebbe nascondere una prima notizia positiva. È infatti
quello delle costruzioni il settore che potrebbe beneficiare di più dell'apertura di Bruxelles sull'uscita dei
mancati pagamenti dai vincoli di bilancio europei. Secondo i dati Ance ben 4,7 miliardi dei 19 totali sarebbero
già disponibili in termini di cassa ma bloccati dal patto di stabilità. Si tratta di risorse, relative al pagamento di
lavori già eseguiti, che l'ok dell'Europa permetterebbe di iniettare subito sul mercato con un beneficio
immediato per imprese fiaccate da anni di crisi e restrizione del credito. A questi vanno aggiunti altri 8,6
miliardi per nuovi lavori ancora da avviare da parte di Comuni e Province, rimasti finora incagliati a causa del
patto.
La sanità
Oltre 5 miliardi di crediti insoluti per dispositivi medici che vanno dalle siringhe alle grandi apparecchiature
diagnostiche e fatture all'incasso dopo 283 giorni; circa 4 miliardi di fatture in sospeso e tempi di pagamento a
211 giorni per le forniture farmaceutiche; tempi ancora più lunghi - 220 giorni la media - e un arretrato di
almeno 34 miliardi nei confronti delle imprese di servizi tra cui figurano gli appalti per mense e lavanderie. In
più pagamenti col contagocce alle farmacie e alle strutture convenzionate. È così che il Ssn arriva a
totalizzare i circa 40 miliardi di debiti verso i fornitori segnalati anche nell'ultima rilevazione della Corte dei
conti sulla finanza regionale del 2011.
L'ultimo allarme in materia lo ha lanciato Assobiomedica, con l'aggiornamento dei tempi di pagamento al 31
gennaio: il 60% dei crediti riguarda Regioni con tempi di pagamento superiori a 200 giorni; ma si aspetta oltre
900 giorni in Molise e Calabria. Inoltre il 76% dei crediti si concentra nelle Regioni sottoposte a Piani di
rientro, protette anche nel 2013 dall'impignorabilità.
«Le imprese sono soffocate dal credit crunch - denuncia il presidente di Assobiomedica, Stefano Rimondi -
speriamo che il nuovo Governo risponda al più presto dando ossigeno alle imprese». «Finora abbiamo avuto
tante parole ma pochi fatti - conferma Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria -. Le aziende però
hanno bisogno di liquidità per far ripartire l'economia. I soldi per pagarle vanno trovati».
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L'information technology
«Abbiamo fatto una recente survey fra i nostri associati. Ebbene, il ritardo medio si attesta sui 240 giorni».
Otto mesi di ritardo sono un dato incontrovertibile per Stefano Parisi, che da presidente di Confindustria
Digitale, l'associazione delle aziende italiane dell'Ict, parla di situazione ormai insostenibile per l'Ict italiano.
Un settore sul quale i ritardi di pagamenti da parte della Pa pesano come un macigno, «visto che molte delle
imprese creditrici sono piccole e devono gran parte del loro business proprio alla pubblica amministrazione».
Per molte di queste aziende - soprattutto quelle fornitrici di sistemi - incassare il dovuto diventa una
questione di vita o di morte». In ballo, secondo le stime, ci sarebbero 3 miliardi di euro incagliati. «Come
dimostrano i dati Assinform (si veda altro articolo a pagina 37) il settore è in questo momento in sofferenza. Si
stanno perdendo ricavi e manodopera», dice Parisi per il quale però non è solo la situazione di difficoltà a
dover spingere la Pa a un comportamento più fair. «Con l'Agenda digitale - spiega - si impone un nuovo e
rinnovato rapporto fra Pa e imprese. E questo rapporto non può non basarsi sulla corretta gestione dei
pagamenti». Del resto, in gioco c'è una cosa importantissima, che è «la modernizzazione del Paese. E se
l'amministrazione pubblica dovrà investire, non può non considerare che le aziende che servono ai suoi
investimenti non possono rimanere a lungo in questo stato di mancati pagamenti».
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I CREDITI INCAGLIATI 19 miliardi
Edilizia e costruzioni
Il settore vanta la maglia nera di comparto peggio pagato d'Italia. Lo stock dei crediti vantati delle imprese
nei confronti delle Pa ha raggiunto quota 19 miliardi. In media le imprese edili aspettano circa otto mesi per
ottenere il pagamento dei lavori eseguiti
40 miliardi
Sanità
È il totale dei debiti del Ssn verso i fornitori, che vantano, tra l'altro, un arretrato di 34 miliardi per servizi tra
cui figurano gli appalti per mense e lavanderie, con tempi di pagamento che arrivano a 220 giorni in media
3 miliardi
Ict
È il totale delle somme incagliate nel settore. Il ritardo medio nei pagamenti si attesta sui 240 giorni
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L'Italia bloccata INTERVISTA AL MINISTRO DELL'ECONOMIA «Debiti Pa, Tesoro pronto al decreto» Grilli: dopo il sì dell'Ue andremo veloci. Gli enti potranno pagare subito, da noi controlli solo ex post IL PATTOINTERNO Previsto l'allentamento una-tantum del patto, i Comuni che hanno fondi in cassa potranno usarli LENUOVE EMISSIONI Andremo sul mercato per poi girare la liquidità alle amministrazioni, ma pagheremoanche con titoli Fabrizio Forquet Fabrizio Forquet
«Abbiamo lavorato da un anno per sbloccare i debiti della pubblica amministrazione con i fornitori e abbiamo
costruito, con la disciplina di bilancio, la possibilità di avere il via libera della Commissione. Ora quel via libera
c'è e io non vedo ragioni per non procedere con un provvedimento d'urgenza». Vittorio Grilli, a meno di
sorprese, lascerà a breve la scrivania che fu di Quintino Sella, ma nella sua stanza al primo piano del
ministero dell'Economia non c'è ancora traccia di scatoloni.
Farete un decreto? «Da parte mia non vedo ostacoli. Il ministero dell'Economia è pronto. Certo, ci sono
ancora molti aspetti tecnici da definire. E la decisione sullo strumento da adottare non tocca a me. Ma se è
vero che siamo davanti a un'emergenza, e io credo che sia vero, è giusto partire prima possibile. Ci stiamo
lavorando con la massima urgenza, poi toccherà al presidente Monti decidere quando spingere il bottone».
Il governo è in ordinaria amministrazione, ma in piena emergenza economica il concetto di amministrazione
ordinaria, definito in modo vago dalla dottrina costituzionale, non può essere interpretato (e non lo fa
certamente il Quirinale) in modo restrittivo. Perciò tutti guardano a Monti perché, dopo le aperture di
Bruxelles, intervenga immediatamente per avviare il pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche dei
debiti verso le imprese, un tassello fondamentale per far fronte al credit crunch e ristabilire un flusso
ragionevole di liquidità nel sistema economico.
Il pressing della Confindustria, in questo senso, dura da mesi, il Governo ha adottato più di un
provvedimento, ma finora i risultati sono stati modesti. Su uno stock di debito che, secondo le stime
prudenziali della Banca d'Italia si aggira intorno ai 70 miliardi, ne sono stati pagati ad oggi solo alcuni milioni.
Il timore che si possa ancora perdere tempo è alto.
«Non si è perso tempo. La scarsa solidità delle nostre finanze, e l'impossibilità di ricorrere a un uso diretto
del bilancio, ci hanno costretto a cercare strade impervie. Ma se oggi la Commissione ci dà margini più ampi
sulla valutazione di questi debiti ai fini del conteggio del deficit e sul debito, ciò avviene perché in questo anno
abbiamo messo ordine nei nostri conti, fino all'uscita dalla procedura di deficit eccessivo». Ci sarà il cambio di
passo? «Ora possiamo mettere in campo risorse dirette, quindi non vedo difficoltà insormontabili
nell'intervenire con urgenza. Ovviamente servirà anche un consenso ampio del Parlamento, perché un
eventuale decreto dovrà comunque essere convertito in legge dal Parlamento. Qui si tratta di cambiare,
anche se solo una tantum, i saldi di bilancio. Non è un'operazione banale».
Il rischio è che la burocrazia e le resistenze nella pubblica amministrazione possano ancora una volta
rallentare, rinviare, bloccare il processo di liquidazione dei debiti. A cominciare dal problema della
certificazione dei crediti che andranno effettivamente pagati. «In questo senso la piattaforma per la
certificazione che abbiamo messo su in questo anno ci tornerà utile. Ma soprattutto voglio precisare che da
parte del Tesoro non verranno messi inutili ostacoli o complicazioni burocratiche. Sarebbe assurdo chiedere
alle amministrazioni di mandare milioni di fatture al Tesoro. Loro sanno chi sono i loro fornitori e potranno
pagarli direttamente. Da parte nostra ci sarà un controllo ex post non ex ante. Nessuno avrà più alibi».
Resta la questione di come verranno reperite le risorse per i pagamenti. Si ricorrerà a emissioni di titoli del
Tesoro? Saranno le singole amministrazioni ad andare sul mercato? Si ricorrerà ancora una volta alla Cassa
depositi e prestiti? Forse è il caso di fare chiarezza su questo. «Andiamo con ordine. Tra i pagamenti,
innanzitutto, ci sono le spese per investimento dei Comuni. Si tratta di circa 10 miliardi sui 70 totali stimati. In
questo caso molto spesso le risorse ci sono, i Comuni le hanno. Si tratta, quindi, semplicemente di
20/03/2013 1.3Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 28
permettere loro di spenderle, attraverso un allentamento del Patto di stabilità interno. Cosa che ora, dopo il sì
della Commissione, possiamo fare. Ci sono poi i debiti legati alla spesa corrente delle amministrazioni in
sofferenza di cassa. In questo caso dobbiamo provvedere ad approvvigionarci, attraverso l'emissione di titoli
di Stato, di liquidità da riversare agli enti interessati. Ma potremo anche pagare alcuni debiti direttamente con
titoli di Stato. Non credo invece nel ricorso alla Cdp. È un soggetto privato, fuori dalla Pa, non ha senso
usarla per pagare debiti che non sono suoi».
La Commissione ha dato il via libera, ma come reagirà il mercato davanti a queste nuove emissioni di titoli di
Stato? «Non potrà che reagire positivamente. Stiamo facendo un'operazione di trasparenza. Eppoi in questo
modo, dando liquidità alle imprese e rafforzando indirettamente il sistema creditizio, possiamo contribuire a
rilanciare la crescita e quindi a rafforzare il denominatore nel rapporto tra deficit/debito e Pil. Teniamo insieme
crescita e rigore».
@fabrizioforquet In percentuale del Pil Debito e deficit *Al netto delle misure una tantum e della componente
ciclica; **al lordo dei prestiti diretti alla Grecia, della quota di pertinenza Italia Efsf (non comprende gli aiuti
previsti per la ricapitalizzazione del settore bancario spagnolo) e del programma Esm per gli anni dal 2010
al2015 Fonte:Nota aggiuntiva al Documento di economia e finanza 2012 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Indebitamento netto -4,6 -3,9 -2,6 -1,6 -1,5 -1,4 Indebitamento netto strutturale* -3,6 -3,6 -0,9 0,2 -0,2 -0,5
Debito pubblico (lordo sostegni)** 119,2 120,7 126,4 127,1 125,1 122,9
Foto: «Nessun ostacolo a un decreto». Il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli
20/03/2013 1.3Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL MONITO DELL'OCSE PER SANARE I CONTI Comuni e province, taglio alla francese Ridurre drasticamente il numero dei comuni ed eliminare le province. Tra le numerose misure che nel
rapporto presentato ieri l'Ocse suggerisce alla Francia per tagliare in modo strutturale la sua gigantesca
spesa pubblica c'è anche questa, che affonda il dito in una piaga storica del Paese. Quella della costosa, e
spesso inefficiente, moltiplicazione dei livelli amministrativi territoriali. Un'indicazione che vale per la Francia
ma ha il sapore di un invito più generale a tutti i Paesi che si trovano in una situazione simile e che da tempo,
com'è il caso dell'Italia, stanno discutendo dello spinoso argomento. Che Parigi debba affrontare anche
questo tema - oltre a quelli della sanità e delle pensioni - per mettere mano a una riduzione della sua spesa
pubblica (la seconda d'Europa dopo la Danimarca, al 56% del Pil, rispetto al 49,5% medio dell'Eurozona e al
45,3% della Germania) è evidente. In Francia ci sono 36.700 comuni, con una media di 1.800 abitanti, a
fronte dei 5.500 in Europa. Ma anche 101 dipartimenti (le province, appunto), creati nel 1789, la cui necessità
è alquanto dubbia. Una prima iniziativa su questo terreno è stata realizzata già dal Governo di Nicolas
Sarkozy, con il taglio di 400 tribunali su 1.200. E un'altra riflessione è in corso sulle sottoprefetture: ben 239.
D'altronde i numeri confermano che l'aumento della spesa registrato in questi ultimi anni (e dei dipendenti
pubblici, pari al 23% del totale) è interamente imputabile ai livelli locali. Il ministro dell'Economia Pierre
Moscovici ha cautamente commentato di essere favorevole alle strutture intercomunali. Ma nel Paese del
cumulo dei mandati elettivi e del mito del pubblico impiego le resistenze sono fortissime e la strada sembra
ancora molto lunga.
20/03/2013 10Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Rapporto spending review. Il ministro: combattere le inefficienze è possibile, margini di risparmio ridotti sugliincentivi alle imprese Giarda insiste: via le Province IL CAPITOLO SICUREZZA Il dossier: ricalibrare la spesa territoriale per i servizi delle forze di polizia, «inMolise un carabiniere costa il triplo di un collega della Lombardia» Marco Rogari Marco Rogari
ROMA
Nella pubblica amministrazione «affrontare i fattori di inefficienza non è impossibile». Ad esserne convinto è
il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda. Che nel suo ultimo rapporto sulla revisione della
spesa indica, pur senza voler fornire proposte operative, la strada al prossimo governo per dare maggiore
spinta al processo di spending review: far scattare subito i tagli delle province; riqualificare la spesa per
investimenti con un processo decisionale di «elevata qualità» (programmazione, valutazione e tempi di
realizzazione delle opere pubbliche); ricalibrare, soprattutto a livello territoriale, la spesa per la sicurezza.
Su quest'ultimo fronte il rapporto segnala che l'andamento della spesa per alcuni aspetti «non trova
spiegazione statistica». Un carabiniere del Molise, ad esempio, costa il triplo di uno della Lombardia.
I margini per aggredire gli sprechi, insomma, restano ampi, ma non per quel che riguarda la revisione degli
incentivi alle imprese. Il rapporto fa anzitutto presente che su questo versante la spesa risulta in calo da
diversi anni. E poi sottolinea che, con l'adozione del piano Giavazzi, risultano eliminabili per il 2012 (ma con
valenza 2014) trasferimenti per 4,7 miliardi con importi inferiori ai valori di cassa misurati nel 2011. Ma
essendo questi trasferimenti in gran parte impegnati, il risparmio si ridurrebbe, almeno nel biennio 2013-2014,
a poco più di 1 miliardo (589 milioni nel 2013 e i 572 milioni nel 2014).
Giarda fa anche presente che i nuovi interventi di spending review resteranno comunque condizionati da due
fattori: la spesa per il debito e quella per le pensioni. Una spesa, quest'ultima, che continuerà a crescere,
seppure a ritmo contenuto, nonostante gli effetti della riforma Fornero.
Il rapporto, di cui fanno parte 13 lavori curati dallo stesso ministro e da altri tecnici che spaziano dalle spese
per le province a quelle dell'Arma dei Carabinieri, della Polizia e del ministero dell'Interno, parte
dall'andamento delle uscite. Tra il 2008 e il 2012 la spesa totale al netto degli interessi in termini reali si è
ridotta del 3,8%, la spesa per consumi pubblici del 7,7% e la spesa in conto capitale del 24,7%. Nello stesso
periodo il blocco del turn over ha prodotto una riduzione delle retribuzioni reali dei dipendenti pubblici del 5
per cento.
Giarda conferma che con la riforma delle province il risparmio potenziale ottenibile è pari a circa 370,5
milioni, ma includendo anche gli enti con più di 2 milioni di abitanti il risparmio può arrivare a 535 milioni,
come già stimato nei mesi scorsi. Il rapporto presenta un nuovo mini-dossier sulle province, in aggiunta a
quello divulgato alla fine del 2012, nel quale si evidenziano gli effetti positivi di un'accelerazione della riforma.
Una grande fetta del rapporto è assorbita dall'andamento delle uscite collegate al capitolo sicurezza, che a
livello territoriale presenta aspetti non facilmente decodificabili. Come quello della spesa pro-capite per i
servizi forniti dalle forze di polizia che passa dai 25,5 euro della provincia di Bergamo ai 358 euro della
Provincia di Isernia. Per non parlare delle anomalie nella spesa per la locazioni degli immobili: «È il caso - si
legge nel rapporto - del comando della Polizia stradale di Crotone che registra una spesa per addetto di
44.961 euro mentre la media nazionale è di 2.547 euro». Nel dossier si sottolinea poi che «occorrerebbe
giustificare la rilevazione di voci di spesa in assenza di personale organico ed effettivo: è questo il caso - si
osserva - della Polizia di frontiera, che registra spese per immobili e personale in comandi in cui non figurano
agenti» riconducibili a questa struttura (Massa, Lecce, Cosenza, Oristano, Ravenna, Parma).
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20/03/2013 14Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 31
TEMPI PIÙ RAPIDI DOPO IL VIA LIBERA DELL'EUROPA AL SALDO DEI DEBITI DELLO STATO E DELLEPUBBLICHE AMMINISTRAZIONI Soluzione spagnola per i crediti delle imprese Il ministro Passera prepara un decreto per imitare Madrid che ha pagato tutto in 5 mesi In teoria si può farecon l'esecutivo attuale Ma per alcuni tecnici serve un nuovo Dpef RAFFAELLO MASCI ROMA A sbloccare il debito che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti del sistema delle imprese potrebbe
arrivare la «soluzione spagnola». Dopo che l'Europa, due giorni fa, ha dato il via libera politico all'operazione,
i tecnici del ministero dello Sviluppo economico hanno individuato lo strumento tecnico per passare alle vie di
fatto. Ricordiamo che le imprese italiane vantano crediti certificati dallo Stato e dagli enti locali per almeno 70
miliardi, per cui la notizia che queste pendenze potrebbero essere saldate in tempi rapidi ha fatto germogliare
le migliori speranze, specie in questa incresciosa stagione di credit crunch. Dunque - è l'idea del team di
economisti che collabora con Corrado Passera - si potrebbe fare da noi come in Spagna dove, in soli 5 mesi,
si è passati dal promettere di pagare all'effettivo incasso da parte dei creditori. Quasi un miracolo. Lì, in
Spagna, il debito era di circa 35-40 miliardi, la maggior parte dei quali (27) a carico degli enti locali.
L'operazione è iniziata nel mese di marzo 2012 e i soldi sono arrivati in tasca agli imprenditori all'inizio
dell'estate. Una rapidità lodevole, inserita - peraltro - nelle disposizioni dei due decreti che il governo ha
emanato alla bisogna. Gli enti locali spagnoli hanno avuto un mese per predisporre l'elenco completo delle
fatture non pagate e questo elenco è stato poi integrato da certificazioni individuali delle singole aziende che,
per questo, hanno avuto a disposizione 15 giorni. Tempi contingentati, dunque, con pesanti sanzioni per i
funzionari pubblici che non avessero rispettato le scadenze e in un mese e mezzo il quadro del dare e
dell'avere era chiarissimo. Fatti i conti, alle imprese non sono stati richiesti oneri particolari per ottenere il
pagamento, salvo la rinuncia agli interessi: veniva saldato tutto e subito, ma solo il debito in senso stretto.
Dove hanno preso i soldi le amministrazioni locali? Glieli ha dati lo Stato con un finanziamento decennale, a
fronte del quale - però - l'ente locale si impegnava ad attuare per l'intera durata del finanziamento stesso, un
piano di assestamento di bilancio, che preveda anche il rimborso del prestito ottenuto. Insomma si pagano i
debiti alle aziende ma si risana, al tempo stesso, la finanza locale. È possibile esportare questo modello
anche all'Italia? La risposta è sì, e noi, peraltro, ci siamo portati avanti col lavoro, in quanto la certificazione
dei debiti esiste già da almeno sei mesi e sappiamo chi deve pagare e chi deve riscuotere. Ma c'è il problema
della «sede vacante» (chiamiamola così) a palazzo Chigi. Può un governo dimissionario fare un'operazione
così complessa? Ieri, sulla Stampa, il sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo faceva notare come solo
il Documento di programmazione economica consentirebbe di disporre tutte le procedure per il pagamento
dei debiti, ma questo documento non può essere approntato da un governo dimissionario. I solerti economisti
di Passera, però, fanno notare come basterebbe un decreto ad hoc del governo (forse due decreti, ma poco
cambia) per procedere speditamente, e questi strumenti possono essere emanati anche da un esecutivo
dimissionario. Poi, beninteso, entro 60 giorni il decreto deve essere convertito in legge. Ma - è la domanda
che si pongono al ministero - se Monti si presentasse alle camere con una misura che restituisce il dovuto
alle imprese, chi si prende la responsabilità di bocciarla? Tuttavia l'osservazione di Polillo resta: l'instabilità
politica potrebbe mandare alle ortiche anche una cosa del genere.
Foto: In difficoltà
Foto: Imprese e artigiani vantano crediti per circa 70 miliardi nei confronti della pubblica amministrazione
20/03/2013 26Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 32
economia Iva, dal fisco in arrivo 1,2 miliardi di rimborsi IL CASO ROMA Un miliardo e 200 milioni di rimborsi Iva per 4.600 imprese. La piccola boccata d'ossigeno per
l'imprenditoria italiana viene annunciata dall'Agenzia delle entrate. Più liquidità quindi per le imprese visto che
dall'inizio dell'anno ad oggi i soldi tornati agli imprenditori in forma di rimborsi fiscali ammontano a 2,5 miliardi.
Ma mentre c'è chi gioisce, o almeno tira un pò il fiato, per altri il problema è sempre lo stesso: i pagamenti in
ritardo della pubblica amministrazione. Debiti per i quali però si intravede una soluzione a livello europeo. Si
tratta infatti per rendere questa eventuale spesa fuori dai calcoli dei parametri europei consentendo così una
maggior flessibilità ai partners. Italia in primis. Sull'argomento molti gli interventi anche ieri: per allentare il
patto di stabilità e consentire il pagamento dei debiti accumulati dalla pubblica amministrazione, dice il
sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo, serve un governo nella pienezza dei suoi poteri. A sua volta il
sottosegretario allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, spiega che anche in ordinaria amministrazione l'attuale
governo potrebbe intervenire sui debiti della Pa nei confronti delle imprese, ma sarebbe meglio se a farlo
fosse «un governo con pieni poteri». La stessa posizione viene espressa dalla Cgia di Mestre: «Per il bene
delle imprese, e quindi per l'economia di tutto il Paese, si formi subito un governo che consenta, tra le altre
cose, il pagamento degli oltre 70 miliardi di euro di crediti che le aziende italiane vantano nei confronti della
pubblica amministrazione». Secondo il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, non c'è invece bisogno di
un nuovo governo: quello attualmente in carica possiede infatti tutti gli strumenti necessari per assumere i
provvedimenti del caso.
20/03/2013 19Pag. Il Messaggero - Ed. nazionale(diffusione:210842, tiratura:295190)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 33
economia Imprese e prestiti, spiragli di ripresa La produzione torna in positivo a fine gennaio (+0,8%) RALLENTA IL CALO DEI FINANZIAMENTI (-1,2%)MENTRE SI IMPENNANO I DEPOSITI (+7,3%) Roberta Amoruso LA STATISTICA ROMA Forse è ancora presto per parlare di inversione di rotta per credito e imprese. Ma
qualcosa si muove davvero, se come dice l'Abi diminuisce la velocita di caduta dei prestiti a febbraio (l'1,2%
contro l'1,5% di gennaio) e si alleggerisce il costo dei finanziamenti alle imprese. Timidi segnali di una
boccata di ossigeno che arriva anche dalla produzione industriale: a gennaio, dati Istat alla mano, si registra il
rialzo mensile più forte da agosto 2011, il primo aumento congiunturale dopo quattro cali di fila (quello di
dicembre era stato pari allo 0,2%). LA SPINTA DELL'ALIMENTARE Il primo mese dell'anno segna infatti un
incremento dello 0,8% della produzione industriale su dicembre. Ma c'è ancora molta strada da fare solo per
rivedere i livelli di inizio 2012: il calo annuale arriva infatti al 3,6%, il diciassettesimo ribasso consecutivo. Ma
anche in questo caso gli spiragli di ripresa ci sono, a giudicare dall'attenuarsi della discesa tendenziale. In
quasi un anno e mezzo di segni meno, la flessione di gennaio (anno su anno), dice l'Istat, è anche quella più
contenuta da dicembre 2011. Analogo discorso per il dato annuo grezzo per il quale l'Istituto di statistica
registra una riduzione più lieve (-0,6%). A segnare il recupero di gennaio su dicembre sono i beni di consumo
(+2,7%) e quelli intermedi (+1,8%), a fronte della flessione per l'energia (-1,8%) e per i beni strumentali (-
1,4%). Ma è la fotografia anno su anno a confermare dove ha lasciato più il segno la crisi. A fronte della
crescita per il settore alimentare, bevande e tabacco (+4,8%), per la fabbricazione di computer, prodotti di
elettronica ed ottica, apparecchi elettromedicali, strumenti di misurazione e orologi (+3,7%), e per le industrie
tessili, abbigliamento, pelli e accessori (+3,5%) soffrono le fabbricazioni di coke e di prodotti petroliferi raffinati
(-14,2%). Ma anche la fabbricazione di mezzi di trasporto (-14,0%) segna il passo. PIÙ OSSIGENO AL
CREDITO E' il rapporto mensile dell'Abi, invece, a scattare l'ultima fotografia sui prestiti (1.917 miliardi di
euro) che rallentano la velocità di caduta a febbraio. E mentre i finanziamenti a famiglie e imprese scendono
del 2,8% (stesso valore di gennaio) a causa del calo degli investimenti, si riduce al 3,5% (dal 3,6%) il tasso
sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese (il tasso per l'acquisto di abitazioni è invece al 3,73% dal
3,70% del mese precedente). La crisi continua, poi, a lasciare il segno sull'aumento delle sofferenze
bancarie, arrivate a quota 63,9 miliardi con quelle lorde a 126,1 miliardi (+17,5%). E se il rapporto fra le
sofferenze nette e impieghi totali è sempre pari al 3,4% a gennaio (2,6% a gennaio 2012), i valori sono
ancora lontani dai massimi degli anni '90. E' sempre l'Abi, infine, a mettere agli atti il maggior incremento dei
depositi da novembre 2008, saliti a febbraio di quest'anno del 7,3% (1195 miliardi di euro). Mentre per la
raccolta complessiva si parla di un calo del 2,6% (a 1.759 miliardi) frenata dal calo delle obbligazioni (-6%).
La produzione industriale I prestiti delle banche (21 giorni lavorativi a novembre 2012) Andamento del monte
prestiti in miliardi di euro e variazioni mensili rispetto a un anno prima 1.468 +1,2% gen gen 1600 1500 1400 -
0,6% -3,6% +0,8% miliardi FEB 2011 1.511 miliardi miliardi Indice grezzo 1.494 +6,2% FEB 2012 FEB 2013 -
2,8% Indice corretto (dati destagionalizzati) L'ULTIMO ANNO MESE PER MESE
20/03/2013 19Pag. Il Messaggero - Ed. nazionale(diffusione:210842, tiratura:295190)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 34
L'USCITA DALLA CRISI l'intervista «Fondi alle imprese siamo già al lavoro» Il ministro degli Affari Europei accelera dopo il via libera della Ue: «Interverrà già questo esecutivo» Lamaggiore flessibilità sui bilanci è riservata soltanto ai Paesi vicini al pareggio strutturale E noi siamo traquesti» Moavero: via anche agli investimenti, ora l'Italia raccoglie i frutti del rigore ROMA NICOLA PINI Siamo pronti a iniziare a pagare i debiti della Pa verso le imprese. E anche ad avviare nuovi investimenti
produttivi. Il ministro degli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi non sembra affatto l'esponente di un
governo al capolinea. Dopo la disponibilità di Bruxelles a riconsiderare le maglie dei rigore sui conti assicura
che l'esecutivo è pronto subito a fare la sua parte. Pensiamo che già questo governo, con l'accordo del
Parlamento, possa procedere in tempi rapidi per cogliere la doppia opportunità concordata in sede europee.
Dopo il Consiglio europeo della scorsa settimana e l'intervento della Commissione Ue è possibile intervenire
tanto sul pagamento dei debiti commerciali della Pubblica amministrazione tanto sull'avvio di nuovi
investimenti produttivi a sostegno della crescita e dell'occupazione. In queste ore siamo impegnati per partire
appena possibile con azioni concrete in entrambi i campi». Il ministro non entra nello specifico degli strumenti
e delle risorse che potranno essere mobilitate. Ma conferma che questo governo ha la volontà di intervenire
già nelle «prossimissime settimane». «Con il ministero dell'Economia stiamo facendo le valutazioni
necessarie e subito porteremo in Parlamento i provvedimenti del caso». Ovviamente, la natura e la tempistica
degli interventi dipenderà anche da quando maturerà il varo del prossimo esecutivo Secondo Moavero,
l'ultimo vertice Ue sancisce un cambio di clima che ha cominciato a maturare già nella seconda parte del
2012. «L'approccio è cambiato. Europa non significa cieco rigorismo e austerità totale. Ora c'è più attenzione
alla crescita economica e alla sofferenza sociale, oltre che alla disciplina dei bilanci. È una svolta alla quale il
governo ha contribuito con la sua azione già a partire dalla primavera del 2012. E oggi l'Italia grazie agli sforzi
sostenuti da tutti i cittadini può cominciare a raccogliere i frutti del suo percorso virtuoso di risanamento e
approfittare della maggiore flessibilità sui conti pubblici recepita da Bruxelles». In che modo signor ministro?
«Le conclusioni dell'ultimo Consiglio Ue del 14 marzo hanno ribadito in termini più compiuti quali sono i criteri
per poter effettuare nuove spese per contrastare la recessione e incrementare la crescita senza violare il
Patto di stabilità. Nuovi investimenti produttivi sono consentiti ai Paesi che hanno il deficit sotto il 3% e
tendono verso il pareggio di bilancio, purché il deficit nominale non superi il 3% del Pil. L'Italia è tra i Paesi
che possono fruire di questi margini. Questo è il riconoscimento di un percorso virtuoso compiuto grazie
all'impegno dell'intero Paese. Questo spazio di azione ce lo siamo conquistato sul campo». Quali prospettive
concrete si aprono? Si potranno immettere nuove risorse pubbliche a sostegno dell'economia purché si tratti
di investimenti oggettivamente produttivi, cioè tali da garantire crescita e non solo spesa corrente, secondo il
giudizio della stessa Commissione Ue. Si tratta di un'opportunità ben diversa da quella di un semplice rinvio
dei tempi prescritti per ridurre il deficit. In questo caso infatti i mercati possono valutare che accelerando il
superamento della crisi con nuovi investimenti si garantisce una possibilità in più per raggiungere il pareggio
di bilancio. Nello specifico stiamo pensando, per esempio, alla quota di cofinanziamento nazionale ai Fondi
strutturali europei, cioè a progetti già definiti a livello Ue destinati a incrementare la competitività e la
creazione di posti di lavoro». Poi c'è il tema più sentito dalle imprese, i crediti verso la Pa. Investimenti e
rimborso dei debiti andranno di pari passo? In una certa misura sì. Gli investimenti grazie al riconoscimento
dei maggiori margini di manovra sul deficit strutturale, il rimborso dei crediti grazie ai margini sul debito
pubblico. Nel calcolare l'impatto del pagamento dei debiti commerciali sull'indebitamento complessivo di uno
Stato Bruxelles potrà valutare le "circostanze attenuanti" della necessità di sostenere la crescita. Anche
questo conferma la svolta verso un'applicazione razionale delle regole di disciplina fiscale per le quali ci
siamo battuti in Europa». Quanto si potrà restituire alle imprese dei 70 miliardi di arretrato e quando? Stiamo
lavorando in queste ore e per serietà non voglio dare cifre e scadenze prima che il governo abbia fatto tutte le
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 35
valutazioni. Ma interverremo molto presto».
Foto: Enzo Moavero
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 36
la relazione E Giarda tira le somme sui tagli alla spesa Il ministro Piero Giarda ha pubblicato uno studio sulla spending review avviata dal governo Monti. È una basedi partenza per successivi interventi di razionalizzazione Un carabiniere in Molise costa il triplo di un carabiniere in Lombardia: è una delle tante anomalie rintracciate
dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, che pubblica uno studio sulla spending review
avviata dal suo governo. Studio che ha lo scopo di costituire una base di partenza per successivi interventi di
razionalizzazione. Come, ad esempio, quello sulle Province. Se il decreto fosse infatti stato convertito e non
stoppato in Parlamento i risparmi possibili sarebbero potuti arrivare a oltre mezzo miliardo di euro. Di contro
però, i circa 10 miliardi di risparmi individuati dal rapporto Giavazzi in termini di minori trasferimenti alle
imprese, si ridurrebbero in appena 1 miliardo. Il rapporto analizza vari aspetti della spesa pubblica ed arriva a
due conclusioni. La prima, più ottimistica è che «nella Pubblica Amministrazione affrontare i fattori di
inefficienza non è impossibile». Ma c'è anche da tener conto, ad esempio, che esistono due vincoli fortissimi
alla possibilità di intervento: la spesa per il debito e quella per le pensioni che rappresentano «un importo che
pone vincoli straordinari alla flessibilità di gestione e adattamento della risposta pubblica alle domande
provenienti dall'economia». Ecco in sintesi alcune sollecitazioni che arrivano dal rapporto. Taglio agli stipendi
pubblici. Nei quattro anni dal 2008 al 2012 la spesa totale al netto degli interessi in termini reali si è ridotta del
3,8%, la spesa per consumi pubblici del 7,7% e la spesa in conto capitale del 24,7%. Nello stesso periodo il
blocco del turn over ha portato a una riduzione delle retribuzioni reali dei dipendenti Pa del 5%. I risparmi con
riforma province. Con la riforma delle province il risparmio potenziale ottenibile è pari a circa 370,5 milioni. Ma
includendo anche le province sopra i 2 milioni di abitanti il risparmio può arrivare a 535 milioni. Trasferimenti
alle imprese. I trasferimenti eliminabili secondo la definizione dello studio del professor Giavazzi, analizzati in
termini di cassa, possono essere individuati, in termini di stanziamenti, sul bilancio di previsione di
competenza dello Stato per gli anni 2012, 2013 e 2014. Risultano per il 2012 trasferimenti eliminabili per 4,7
miliardi con importi inferiori ai valori di cassa misurati per il 2011. Ma il problema è che molti di questi
trasferimenti sono già impegnati. Quindi il risparmio si ridurrebbe a poco più di 1 miliardo. Forze dell'ordine. Il
rapporto Giarda prende in esame i costi di Polizia, Vigili del Fuoco, Capitanerie e Carabinieri. Per questi ultimi
la spesa per abitante presenta una elevata variabilità interregionale. Il massimo dei costi complessivi per
abitante (nel Molise) è pari a circa tre volte il valore minimo (in Lombardia).
Foto: Piero Giarda
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SPENDING REVIEW Il rapporto presentato dal ministro Giarda 295 miliardi di nuovi tagli «entro il 2014» Dall'eliminazione di 35 province si risparmierebbero tra i 370 e i 535 milioni: una goccia nell'oceano Roberto Ciccarelli Da una «spending review» ci si aspetterebbe il taglio delle spese improduttive dello Stato. Tanto per fare un
esempio: i 10 miliardi di euro destinati all'acquisto di 90 cacciabombardieri F35, oppure il rimborso per i
farmaci di «marca». In Italia, come nel resto dell'Europa meridionale, invece no. La via dell'austerità passa
per un nuovo taglio alla spesa pubblica da 295 miliardi di euro. È il risultato del rapporto (consultabile su
rapportiparlamento.it) presentato ieri dal ministro per i rapporti con il parlamento Pietro Giarda secondo il
quale si deve continuare a tagliare 135,6 miliardi di euro della «spesa inutile» per beni e servizi, 122,1 miliardi
di stipendi, 24,1 di trasferimenti alle imprese e contributi alla produzione oltre a 13,2 di «contributi alle famiglie
e alle istituzioni sociali». Fino a oggi, le manovre correttive - cioè i tagli - intraprese dal governo Monti hanno
sottratto alla spese corrente dello Stato 7,8 miliardi di euro e a quelle degli enti locali (comuni, province e
regioni) 13,3 miliardi di euro.
Ammonta dunque a 21,1 miliardi il tesoretto di risparmi accumulato da Monti in 400 giorni di governo. In
questo conteggio, basato su fonti ufficiali, bisogna considerare anche i 71 miliardi che lo Stato non eroga alle
imprese e ad altri fornitori, una forma indiretta di «spending review» decisa unilateralmente per amministrare
meglio l'insolvenza indotta dai criteri imposti dalla Commissione Europea attraverso il Fiscal Compact. Una
decisione che ha fatto insorgere Confindustria, il Presidente della Repubblica e tutti i partiti.
Nessuno fino ad oggi si è soffermato sull'eredità che il governo Monti lascerà al prossimo, se e quando sarà
formato. Pur ammettendo che la regola capestro dei »tagli lineari» non è proprio il massimo, nel suo rapporto
al parlamento Giarda è chiaro: bisogna continuare a «risparmiare» sulla spesa sanitaria (33,1% della spesa),
sui trasferimenti agli enti locali già taglieggiati dal patto di stabilità interno (24,3%); sulle retribuzioni dei
dipendenti pubblici (oggi è al 5%, da incrementare impedendo l'assunzione dei precari e stringendo la cinghia
del turn-over); sui costi dello Stato e sugli enti previdenziali (37,4%) e, ancora più inquietante, proseguire i
tagli su «università e altri enti locali» di un altro 5,2%. Tra il 2008 e il 2012 a scuola e università sono stati
tagliati all'incirca 10 miliardi, un solido contributo al taglio del 3,8% della spesa pubblica. Ma, non basta,
evidentemente.
Giarda sostiene che questo salasso dovrebbe essere praticato «entro il 2014». Con tutta evidenza, non potrà
essere praticato dal governo ancora in carica, ma dal prossimo che rischia di sbattere contro un muro. Da un
lato avrà la crisi sociale esplosiva, dall'altro lato il dovere di rispettare il pareggio di bilancio che è stato
approvato in costituzione. Insomma non c'è scampo senza un cambio delle regole a livello europeo. Intimorito
da questo scenario devastante, Giarda auspica una maggiore «collaborazione» tra lo Stato e gli enti locali i
quali però restano sul piede di guerra e non accetteranno di farsi mettere al collo una pietra per annegare
definitivamente. Il ministro esclude anche la via di un aumento delle tasse dopo l'Imu, dato che ha una diretta
conseguenza sul Pil che nel 2013 diminuirà di almeno 1,7%, con una disoccupazione superiore al 12%. Tutto
questo mentre la spesa previdenziale «continuerà a salire» nonostante la riforma Fornero. In altre parole, il
governo dei tecnici si è andato a infilare in un vicolo cieco, ma continua a percorrere la via salvifica dei tagli
alla spesa pubblica, sperando che questa sia la soluzione per risollevare la domanda interna e gli
investimenti, quando invece è la strada più sicura per prolungare la depressione economica in cui è piombato
il paese. Il rapporto quantifica, una volta di più, le ricette futuribili che mandano in sollucchero tutti i populismi,
fuori e dentro il parlamento: da un eventuale taglio delle province da 86 a 51 si risparmierebbero tra i 370 e i
535 milioni di euro, una goccia nell'oceano dell'austerità. Giarda avverte anche le imprese: lo Stato può
tagliare 4,7 miliardi di trasferimenti. Lo dice il «piano Giavazzi». Altro nome di famiglia (bocconiana) che
assicura la certezza del default.
20/03/2013 6Pag. Il Manifesto - Ed. nazionale(diffusione:24728, tiratura:83923)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 38
SPENDING REVIEW/ Il rapporto Giarda: il costo di un carabiniere va da 59 a 176 Province, tagli finti che pesano Sopprimendole tutte un risparmio di 535 milioni di euro SIMONA D'ALESSIO Una sforbiciata (rimasta, però, soltanto sulla carta) alle province tratterrebbe nelle casse dello stato italiano
circa 370,5 milioni che, includendo anche quelle sopra i due milioni di abitanti, salirebbero a quota 535. E,
poiché i costi di produzione dei servizi «si caratterizzano tutti per cifre più elevate nei territori con un minor
numero di abitanti», lo stanziamento pro-capite per i Carabinieri passa dai 59 euro in Lombardia ai 69 del
Veneto, arrivando a 150 in Calabria, 164 in Sardegna e 176 in Molise, ma a pesare è anche la «propensione
all'illegalità» di determinate aree del nostro paese. Eppure, qualche passo in avanti sulla strada del
contenimento della spesa pubblica totale si profila, visto che, dal 2008 al 2012, si è ridotta del 3,8% al netto
degli interessi. È una carrellata di buoni propositi sulla possibilità di lottare (e vincere) contro le inefficienze
nella pubblica amministrazione il rapporto sulla spending review pubblicato ieri sul sito del ministero per i
rapporti con il Parlamento, che secondo il titolare Piero Giarda potrà servire in futuro per «avviare la dialettica
tra le strutture di governo e i responsabili della gestione dei singoli servizi per la formulazione di proposte di
riordino della loro organizzazione produttiva», finalizzate anche al risparmio delle risorse erogate. I cordoni
della borsa, in base a quanto emerge dallo studio, potrebbero essere stretti in misura più consistente e valida:
ad esempio, nel quadriennio 2008-2012 il blocco del turn over ha già portato a una diminuzione delle
retribuzioni reali dei dipendenti pubblici del 5%, però il ministro avrebbe preferito si intervenisse con
«programmi e attività, anziché con riduzioni generalizzate» di alcune categorie economiche come i salari, gli
acquisti e gli investimenti, che «eludono il giudizio politico» e considerano prevalentemente «la fattibilità di
breve periodo». Malgrado l'entrata in vigore della riforma delle pensioni (legge 214/2011), contenente
provvedimenti «significativi», l'esborso previdenziale continuerà a crescere in valore assoluto; la spesa
pubblica italiana, infatti, è «nel suo totale molto elevata per gli standard internazionali, e la sua struttura
presenta profonde anomalie rispetto a quella rilevata» in altre nazioni. Inoltre, gli stanziamenti per la fornitura
di servizi pubblici e per il sostegno di individui e imprese in difficoltà finanziaria si confermano sì «inferiori alla
media dei paesi Ocse», tuttavia le nostre uscite per interessi passivi e per pensioni si rivelano superiori. La
copertura finanziaria per il servizio prestato dalle forze dell'ordine, poi, restituisce un ritratto inconsueto della
penisola, caratterizzata da una «elevata variabilità interregionale», per cui le unità operative dell'Arma dei
Carabinieri costano in media per abitante 109 euro con punte di 164 in Sardegna e 176 in Molise, zone meno
popolose della Lombardia, dove ci si ferma a 59 euro; stesso discorso per la Polizia, che grava sulla
collettività per 25,5 euro ad abitante nella provincia di Bergamo, e per ben 358 in quella di Isernia, mentre il
valore medio nazionale si attesta sui 85,8 euro. Pesa come un macigno sull'analisi la mancata conversione
del decreto legge 188/2012 sul riordino delle province e delle città metropolitane: il risparmio potenziale
ottenibile sarebbe potuto arrivare ad oltre mezzo miliardo di euro. Meno cospicuo, invece, il «tesoretto» che
sarebbe potuto derivare dai cosiddetti «trasferimenti eliminabili» destinati alle imprese secondo la definizione
dell'economista Francesco Giavazzi, consulente del premier Mario Monti, considerando che per lo scorso
anno ammonterebbero a 4,7 miliardi con importi inferiori ai valori di cassa misurati per il 2011. Una grossa
fetta risulta già «impegnata», ne sarebbe rimasto poco più di un miliardo.
20/03/2013 28Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 39
I CONTI DI GIARDA «La spending review avrebbe fatto risparmiare mezzo miliardo» ROMA UN CARABINIERE in Molise costa il triplo di un carabiniere in Lombardia (59 contro 170 euro): se si
fanno i conti in rapporto agli abitanti. È una delle tante 'anomalie' rintracciate dal ministro per i Rapporti con il
Parlamento, Piero Giarda (foto Newpress), in uno studio sulla spending review. Studio che è costituire una
base di partenza per successivi interventi. Come, ad esempio, quello sulle Province (che se cancellate del
tutto farebbero risparmiare 535 milioni). Se il decreto fosse stato convertito e non stoppato in Parlamento i
risparmi possibili sarebbero potuti arrivare a oltre mezzo miliardo di euro. Di contro però, i circa 10 miliardi di
risparmi individuati dal rapporto Giavazzi in termini di minori trasferimenti alle imprese, si ridurrebbero ad
appena 1 miliardo. Il rapporto analizza vari aspetti della spesa pubblica ed arriva a due conclusioni. La prima,
più ottimistica è che «nella Pa affrontare i fattori di inefficienza non è impossibile». Ma la spesa per debito e
pensioni «pone vincoli straordinari». IL RAPPORTO Giarda prende in esame tra l'altro i costi di Polizia, Vigili
del Fuoco, Capitanerie e Carabinieri. Per questi ultimi la spesa per abitante presenta una elevata variabilità
interregionale: Si passa dai 59 euro per abitante in Lombardia ai 69 euro del Veneto, ai 164 euro per abitante
in Sardegna, ai 176 euro del Molise, ai 150 euro per abitante della Calabria e ai 136 euro del Trentino Alto
Adige. Il massimo dei costi complessivi per abitante (nel Molise) è pari a circa tre volte il valore minimo (in
Lombardia).
20/03/2013 26Pag. QN - La Nazione - Ed. nazionale(diffusione:136993, tiratura:176177)
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IL TEMA DEL GIORNO - Rassegna Stampa 20/03/2013 40
Nel mese di febbraio leggero calo (3,5%) del tasso sui nuovi finanziamenti alle imprese Abi: sofferenze in aumento a 126 miliardi I FLUSSI Fra depositi e obbligazioni resta positivo il trend della raccolta: il balzo è del 2,6% tendenziale L'Abi:segnale di fiducia Rossella Bocciarelli
ROMA
La recessione picchia duro sui bilanci bancari sotto forma di aumento delle sofferenze: una grandezza che,
come si sa, cresce con un certo lag temporale rispetto al manifestarsi della crisi economica. Così l'ultimo
outlook mensile dell'Abi dice che a gennaio le sofferenze nette hanno toccato quota 63,9 miliardi mentre
quelle lorde sono arrivate a 126,1 miliardi (+17,5% tendenziale), in crescita di 1,2 miliardi rispetto al mese
precedente. Il rapporto fra le sofferenze nette e gli impieghi totali è pari a 3,4% a gennaio, lo stesso valore di
dicembre 2012, mentre era il 2,6% a gennaio 2012. Si tratta di livelli elevati, ammette il direttore centrale,
Gianfranco Torriero «ma siamo ancora lontani dai massimi degli anni '90. Prevediamo un aumento ma non
c'è ancora allarme». Per la verità, in gennaio in valore assoluto le sofferenze nette risultano in leggera
diminuzione (700 milioni in meno rispetto ai 64miliardi e 635 milioni di dicembre 2012) forse per effetto delle
pulizie di bilancio di fine anno e per le svalutazioni dei crediti sollecitate con una costante moral suasion dalla
Banca d'Italia.
Lo stesso rapporto di Palazzo Altieri, peraltro, mette in evidenza il fatto che la qualità del credito continua a
peggiorare essenzialmente per via di un ciclo economico che non accenna ancora ad attenuare i suoi rigori e
del conseguente peggioramento delle condizioni finanziarie delle imprese. L'Abi cita i dati del Cerved
secondo i quali nell'ultimo anno si è registrata un'accelerazione dei mancati pagamenti con 47mila società
protestate (+8,8% rispetto al 2011 con un incremento del 45% rispetto all'ultimo anno pre-crisi ovvero il
2007). Si tratta - scrive l'Abi - del peggior risultato degli ultimi anni, con una situazione in netto peggioramento
nel Centro-Sud.
In rapporto al totale impieghi le sofferenze lorde sono pari al 6,4% a gennaio 2013, in crescita dal 5,4% di un
anno prima. Rispetto al periodo pre-crisi, è stato netto il peggioramento della qualità del credito, specie con
riguardo alle piccole imprese: da giugno 2008 a gennaio 2013 il rapporto sofferenze lorde/impieghi del settore
privato é più che raddoppiato, passando da 3% a 7,4%; in aumento e sempre elevato è stato il livello del
rapporto per le famiglie produttrici: dal 7% a quasi il 12 per cento. Quanto alla dinamica degli impieghi,
l'outlook di febbraio conferma la tendenza cedente: i prestiti totali si sono collocati a 1.917,3 miliardi di euro,
segnando una variazione annua del -1,2% (dal -1,5% del mese precedente). Invece i finanziamenti a famiglie
e imprese hanno mostrato in febbraio una flessione tendenziale del 2,84%(era stata pari a -2,79% il mese
scorso).
Per i tassi da registrare la limatura all'insù per i mutui sull'acquisto delle abitazioni (dal 3,70% al 3,73% nella
media tra tassi fissi e variabili) mentre il tasso sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è sceso al
3,50% (dal 3,62%).
Anche se l'ammontare totale dei prestiti rimane nettamente superiore alla raccolta (pari a 1.759 miliardi)
quest'ultima mostra nel complesso, fra depositi e obbligazioni, una dinamica positiva (+2,6% tendenziale a
fabbraio). È un segno di fiducia verso le banche, si fa osservare. Ma forse è anche un segno di questi tempi
d'incertezza, che spingono i risparmiatori a tenersi liquidi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
20/03/2013 21Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 42
Credito. Migliora lo scenario: i gruppi europei hanno già rastrellato 86 miliardi di euro con una riduzione delpatrimonio mancante del 43 per cento Alle banche Ue servono 112 miliardi Eba: scende il fabbisogno dei grandi istituti europei per raggiungere i parametri di Basilea 3 IL COMITATOSecondo i dati a giugno 2012 le 101 maggiori istituzioni del mondo risultano sottocapitalizzate per 208 miliardidi euro Leonardo Maisano LONDRA. Dal nostro corrispondente
Eppur si muovono e con maggior energia di quanto ipotizzato. A procedere più speditamente del previsto per
consolidare la propria struttura patrimoniale sono le maggiori banche del pianeta. Lo ha statibilito uno studio
del gruppo di Basilea impegnato a fermare l'istantanea dello stato del sistema creditizio mondiale alla fine del
giugno dell'anno scorso.
Se le regole di Basilea 3 fossero entrate in vigore in quella data, le 101 maggiori istituzioni del mondo
sarebbero risultate sottocapitalizzate complessivamente per 208 miliardi di euro. Tanto? Molto meno di
quanto appariva necessario alla fine del 2011 quando all'appello mancavano quasi 400 miliardi di euro. In
altre parole in sei mesi i maggiori istituti di credito continentali hanno consolidato il proprio stato patrimoniale,
riducendo il gap del 47 per cento, avvicinandosi così agli standard previsti molto più rapidamente di quanto
impone la marcia di avvicinamento al 2019 quando le nuove norme saranno in vigore.
A fine giugno il core capital medio era stato calcolato all'8,5% in un quadro che ha visto gli stessi istituti
accumulare 380 miliardi di euro di profitti dopo le imposte nel periodo 2011-2012. Rassicura anche la leva
media che a fine giugno era al 3,8% rispetto al 3% che Basilea 3 richiede nel rapporto equity/debito. E tanto è
bastato agli esperti del gruppo che ha prodotto la ricerca per salutare con soddisfazione lo sforzo che
«banche e regolatori hanno effettuato per la raccolta dei dati» e sembra di capire anche per i risultati
dell'esercizio.
Lo studio conferma quanto sia centrale, inevitabilmente, il cotè bancario europeo del calcolo sul patrimonio
delle maggiori banche. Più di metà dei 208 miliardi di euro mancanti, infatti, sono da attribuire a 44 istituti
europei.
Lo studio del Gruppo di Basilea va infatti declinato con l'esercizio svolto parallelamente e diffuso ieri dal
l'Eba, European banking authority che ha sede a Londra ed è guidata dall'italiano Andrea Enria. Per
l'esattezza alla fine del giugno 2012 le maggiori banche europee risultavano sottocapitalizzate per un totale di
112,4 miliard di euro, cifra che, una volta raccolta, consentitrebbe a tutte di centrare il target finale Basilea 3,
ovvero un core 1 capital ratio del 7 per cento.
Per essere in linea con la tabella di marcia che impongono i regolatori le maggiori banche europee dovranno
raccogliere entro il 2015 3,7 miliardi di euro: tanti basterebbero per collocarle al target minimo del 4,5%,
destinato poi a progredire verso l'obiettivo del 7% del 2019.
Anche nel caso europeo, dunque, la marcia di avvicinamento verso la «full implementation» si annuncia
rapida e positiva, nonostante le banche dell'Unione europea e non abbiano fatto slittare l'adozione graduale
dei nuovi standard dal gennaio 2013 al gennaio 2014. Dalla fine del dicembre del 2011 gli istituti dell'Unione,
infatti, hanno rastrellato 86 miliardi di euro con una riduzione del patrimonio mancante del 43 per cento. Nel
comunicato diffuso insieme con il documento che illustra il terzo esercizio di monitoraggio effettuato dal l'Eba,
Andrea Enria, e i suoi collaboratori hanno sottolineato la dinamica che ha portato a un netto miglioramento
dell'assetto finanziario delle banche.
«Si tratta prevalentemente di un incremento del capitale, piuttosto che una riduzione dell'attivo ponderato al
rischio». In ogni caso una dinamica virtuosa che sospinge sempre più verso l'obiettivo prefissato: rafforzare le
banche e metterle nella condizione di riuscire ad assorbire perdite impreviste senza doevr ricorrere ad aiuti
pubblici.
20/03/2013 21Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 43
Lo studio non entra nello specifico dei singoli istituti, ma si limita a tracciare il quadro complessivo del
settore. È noto però che l'esercizio dell'Eba ha preso in esame due banche italiane nel gruppo delle maggiori:
Unicredit e Intesa. Entrambe, affidandosi ai numeri diffusi con i risultati di fine anno, sono già allineate ai
nuovi standard imposti dai regolatori di Basilea.
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LA PAROLA CHIAVE Basilea 3 Basilea 3 è una riforma pensata per rafforzare gradualmente (sarà a regime nel 2019) la struttura
patrimoniale delle banche. Comporta l'aumento della qualità e della trasparenza del capitale e la copertura
dei rischi. Basilea 3 mira ad aumentare il capitale che l'istituto di credito tiene da parte «per sicurezza»
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INCHIESTALa crisi delle banche e i conti degli enti Fondazioni, vince chi diversifica Nel 2013 cedola da 251 milioni ai grandi soci di Intesa e UniCredit LE CIFRE Con attivi per 52,8 miliardi leFondazioni hanno erogato 15,6 miliardi in dieci anni Nel 2011 hanno ricapitalizzato le banche per 1,27 miliardi Marco Ferrando
Una maxi-cedola da 205 milioni solo per le prime cinque Fondazioni socie di Intesa, un'altra da 46,5 per i
primi tre azionisti italiani di UniCredit. Il 2012 non segna certo il ritorno del sereno sui bilanci delle banche -
dalla nube degli avviamenti si è passati a quella delle rettifiche sui crediti - ma per le Fondazioni, tutto
sommato, poteva andare anche peggio. Soprattutto per quelle di UniCredit, reduci da un anno a bocca
asciutta, il 2011, e da un aumento di capitale che all'inizio del 2012 le ha viste iniettare, da sole, un miliardo di
risorse fresche.
Tra gli enti, però, nessuno si fa grandi illusioni. Gli anni d'oro, quando dalle banche - era il 2008 - arrivavano
quasi tre miliardi di dividendi, difficilmente torneranno. Negli ultimi quattro anni, infatti, il contributo delle
banche conferitarie sui ricavi delle Fondazioni si è progressivamente ridimensionato: 2,9 miliardi nel 2008,
600 milioni nel 2009, mezzo miliardo nel 2010 e nel 2011, con grosse differenze tra una banca e l'altra.
Morale: «La diversificazione del rischio è fondamentale», ripete a Il Sole 24 Ore Giuseppe Guzzetti,
presidente di Fondazione Cariplo e dell'Acri.
Chi dalla teoria ha saputo passare alla pratica, ci ha guadagnato. La Compagnia di San Paolo, ad esempio,
primo azionista di Intesa - che peraltro ha remunerato i soci anche l'anno scorso - si è tolta le maggiori
soddisfazioni con il 63% del patrimonio investito fuori dalla banca: nel 2012 ha reso il 7% (ma la componente
azionaria è arrivata al 18), più del 3,4% garantito dalla banca lo scorso anno. Discorso analogo in Cariplo,
dove la cedola da 40,7 milioni staccata da Intesa rappresenta meno di un terzo delle erogazioni previste per il
2013, «perché i 5,5 miliardi di patrimonio investiti altrove ci permettono di avere ampi margini di manovra,
dice ancora Guzzetti.
A ben guardare, perché possa funzionare appieno «la diversificazione deve essere duplice», spiega Davide
Tinelli, ad di Fondaco Sgr, costituita nel 2002 per assistere nell'asset management alcune Fondazioni, tra cui
Compagnia di Sanpaolo, Cariparo, Carisbo, Cuneo e Roma: «Oltre alla diversificazione tra quota bancaria e
non bancaria, su quest'ultima occorre costruire un portafoglio sufficientemente differenziato, che guardi ai
fattori di rischio al di là delle asset class consentendo di compensare i rischi interni e quelli collegati alla
banca». Con queste avvertenze, sul medio periodo oggi una Fondazione può ambire a un rendimento medio
del 5%, comunque superiore al 2,7% della media registrata dagli enti nel 2011, assumendo rischi sopportabili
per una istituzione.
Dunque chi diversifica vince. E chi può, accelera nel processo di alleggerimento della partecipazione nella
banca: l'ha fatto, ad esempio, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino a fine 2012. Nell'ambito dell'ultimo
aumento di capitale aveva sottoscritto derivati di copertura che tra l'altro prevedevano la graduale limatura
della quota nel caso in cui il titolo della banca fosse salito al di sopra di determinate soglie: la circostanza si è
verificata, l'ente si è ritrovato dal 3,8 al 2,5% e ha colto l'occasione per diversificare il patrimonio. Potrebbe
farlo a breve anche Fondazione Carige, che nel caso di un eventuale aumento di capitale della banca, sta
valutando seriamente - facendo anche di necessità virtù - l'ipotesi di diluire la propria quota, attualmente di
poco superiore al 47 per cento. Anche se, fanno notare da Genova, dal 2007 l'investimento nella banca - in
cui è impiegato circa il 90% del patrimonio - ha reso sempre più del 6%, con una media di 65 milioni di
dividendi annu.
L'ultima fotografia scattata dall'Acri calcola in 52,8 miliardi il totale degli attivi facenti capo alle Fondazioni,
che tra il 2000 e il 2011 (ultimo bilancio disponibile) hanno distribuito risorse per 15,6 miliardi, accantonatoo
1,8 miliardi nei fondi di stabilizzazione delle erogazioni e solo a cavallo del 2011 hanno versato 1,27 miliardi
alle banche conferitarie nell'ambito degli aumenti di capitale. Ma intanto, sottolinea l'Acri, l'exit strategy è in
20/03/2013 22Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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corso: c'è Fondazione Mps, infatti, vittima e carnefice della crisi della banca con la sua quota di controllo, ma
ci sono anche 18 enti (su un totale di 88) che non hanno più alcuna partecipazione e altri 53 che hanno quota
minoritarie. Le partecipazioni di maggioranza, invece, restano appannaggio di 14 Fondazioni, cui la legge
consente di restare soci di riferimento in virtù delle piccole dimensioni delle banche e dei legami con il
territorio di appartenenza.
E comunque, c'è da dire, uscire non è sempre facile. Soprattutto di questi tempi, con le banche sottovalutare
in Borsa, o per lo meno su valori decisamente inferiori a quelli di carico delle Fondazioni. Che quindi, piuttosto
che svalutare, preferiscono mantenere in pancia. Sperando in tempi migliori.
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IL PESO DI UNA CRISI Quel brutto pasticcio per l'euro di Martin Wolf Di Martin Wolf
Un cammello, si dice, è un cavallo disegnato da una commissione. È una battuta ingenerosa verso i
cammelli, che sono animali ben adattati al loro non facile habitat. Lo stesso, ahimé, non si può dire per i
programmi di salvataggio dell'Eurozona. L'intervento proposto a Cipro, ieri respinto dal Parlamento di Nicosia,
non aiuterà Eurolandia a uscire senza traumi dalle sue crisi a catena. Anzi, questo pasticcio è l'esempio più
eclatante di come non devono essere gestiti i problemi del settore finanziario e del debito sovrano.
Il governo di Cipro è al tempo stesso fortemente indebitato e responsabile di un settore bancario troppo
grande per essere salvato. Le banche sono a un passo dal tracollo. Ma è la Bce che ha staccato la spina
minacciando di non accettare i titoli di Stato ciprioti come garanzia per un supporto di liquidità. Le banche
devono essere ricapitalizzate, e non può farlo il governo da solo.
Non c'è alternativa alla nazionalizzazione del credito? Sì: una ricapitalizzazione diretta delle banche da parte
dell'Eurozona (per cui la somma necessaria è cosa da poco). Se l'unione bancaria fosse già stata pronta e
funzionante, è quello che sarebbe successo. Ma non è così, presumibilmente perché i Paesi del nocciolo
duro non vogliono essere costretti a intervenire in soccorso di sistemi bancari malgestiti, come quel rifugio
offshore per capitali russi che è il sistema bancario cipriota. L'unione bancaria non arriverà prima che venga
fatta piazza pulita degli errori passati e prima che vengano creati nuovi meccanismi.
Molti insistono sul fatto che qualsiasi tassazione dei depositi è un furto. Questa è una sciocchezza: una
banca non è un forziere. Una banca è un gestore di attività, con una limitatissima capitalizzazione, che fa una
promessa, quella di restituire ai depositanti i loro soldi su richiesta e secondo il loro valore: promessa che non
sempre può essere mantenuta senza l'assistenza di uno Stato solvente. Chiunque presta denaro alle banche
di questo dev'essere consapevole. È inconcepibile che le banche - un'attività finanziaria che comporta dei
rischi - possano operare senza alcun rischio di perdite almeno per alcune categorie di prestatori. In caso
contrario, il debito delle banche non è altro che debito dello Stato. Non si può consentire che un'attività
privata giochi d'azzardo in questo modo con i soldi dei contribuenti, questo è evidente.
Tutto questo suscita grossi timori. Il primo riguarda l'accordo stesso. La decisione di colpire i depositi
garantiti è un grosso errore. Ma la decisione di statalizzare certi depositi non è stata un errore. Per quanto
impopolare possa essere, è indispensabile un sistema di risoluzione delle crisi bancarie che trasformi questa
cosa in realtà, a Cipro e non solo. Un altro timore è legato al fatto che la tassa colpisce indiscriminatamente,
senza distinguere tra banca e banca, disincentivando perfino i grandi depositanti a monitorare la solvibilità del
loro istituto. Ma il timore più grande viene da The Banker's New Clothes, il libro di Anat Admati di Stanford e
Martin Hellwig del Max Planck Institute. Le banche hanno una capacità di assorbimento delle perdite talmente
limitata che sono sempre sull'orlo del disastro.
L'Eurozona deve rendere il settore creditizio molto più robusto, incrementando enormemente i requisiti
patrimoniali, oppure deve mettere insieme i bilanci degli Stati e irrigidire la regolamentazione, per garantire
una vigilanza adeguata su tutta l'Eurozona e un adeguato supporto da parte delle finanze pubbliche. La cosa
spaventosa non è che la minuscola Cipro sia finita nei guai, ma che dalla minuscola Cipro nascano pericoli
più ampi. Le banche sono pericolose ovunque, ma in Eurolandia continuano a costituire una minaccia per la
sopravvivenza. Tutto questo deve cambiare, e molto in fretta.
© THE FINANCIAL TIMES LIMITED 2013
Il testo è uno stralcio dell'articolo
di Martin Wolf. La versione integrale (nella traduzione di Fabio Galimberti)
è online su www.ilsole24ore.com
20/03/2013 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 47
Infrastrutture. Alla firma il maxi prestito da 1,6 miliardi di euro per l'autostrada Cdp e Bei pronte a sbloccare i finanziamenti per Brebemi Garanzia di Sace per le quote erogate alla società progetto Cheo Condina Il maxi prestito da 1,6 miliardi per Brebemi, l'autostrada che accorcerà i tempi di percorrenza tra Milano e
Brescia, sarebbe ormai alle strette finali grazie all'intervento di Cassa Depositi e Prestiti e di Bei. Il dossier
potrebbe essere esaminato dal consiglio di amministrazione di Cdp che oggi approverà il bilancio 2012 o, in
alternativa, in una nuova riunione convocata per aprile. Il via libera dell'istituto presieduto da Franco
Bassanini sarebbe, di fatto, l'ultima puntata di una telenovela durata quasi tre anni e che, alla fine, solo grazie
a un complesso marchingegno finanziario vedrà garantita la "bancabilità" dell'autostrada controllata dal
tandem Intesa Sanpaolo-Gavio. Prima di dare l'ok finale all'operazione, Cdp vorrebbe inoltre sufficienti
garanzie sulla realizzazione dell'allaccio tra la nuova Tangenziale Esterna di Milano (anch'essa in fase di
realizzazione) e Brebemi, senza il quale la funzionalità della stessa Brebemi risulterebbe molto penalizzata.
La struttura del finanziamento, secondo quanto riportato da Radiocor, vedrà Cdp e la Banca europea per gli
investimenti fornire una provvista complessiva vicina a 1,6 miliardi. Nel dettaglio, Cassa erogherà
direttamente a Brebemi 760 milioni e dirotterà altri 70 milioni scarsi al consorzio di banche italiane (Intesa
Sanpaolo, Unicredit, Mps, Centrobanca e Ubi), già esposte sul prestito ponte da 540 milioni concesso negli
anni scorsi e che ha permesso, con l'equity da 520 milioni, di completare il 60% circa dell'infrastruttura. Bei,
invece, fornirà agli istituti italiani circa 600 milioni e finanzierà direttamente Brebemi per il restante
ammontare. Cdp e Bei verranno garantite da Sace per le quote erogate alla società di progetto, mentre il
consorzio di banche si assumerà il rischio di progetto per le quote di loro competenza.
Per chiudere il finanziamento, a cui negli ultimi mesi hanno lavorato intensamente Francesco Bettoni e Duilio
Allegrini, rispettivamente presidente e direttore generale di Brebemi, sarà comunque necessario fornire
garanzie sulla realizzazione della nuova Tangenziale esterna milanese (Tem), senza la quale Brebemi non
avrebbe un allaccio diretto con il traffico in uscita da Milano. Il dossier è spinoso perché Tem è alle prese con
un aumento di capitale di difficile realizzazione, ma che secondo indiscrezioni potrebbe essere sbloccato
grazie a un intervento diretto dei costruttori privati nella società di progetto, che fa capo a una holding
partecipata da Milano Serravalle (32,8%), Autostrade per l'Italia (26,4%) e Asam (15,4%). Proprio i contrasti
nella controllante hanno già ritardato un'opera da 1,7 miliardi che ha forti esigenze di equity e di un massiccio
prestito bancario. Di qui l'ipotesi di ricapitalizzare direttamente la società progetto che vede tra i propri
azionisti costruttori come Impregilo, Pizzarotti, Coopsette, Cmb, Unieco e Cmc.
Nel frattempo, ieri, sempre in tema di infrastrutture, la Guardia di Finanza ha perquisito gli uffici di Assago
della società Pedemontana, controllata dalla Serravalle (di cui è azionista principale la Provincia di Milano
attraverso Asam). La motivazione sarebbe una presunta turbativa d'asta avvenuta per l'affidamento del lotto 2
della Pedemontana, aggiudicata ormai da oltre un anno all'austriaca Strabag, che in questo momento stava
ultimando il progetto esecutivo.
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I NUMERI1,6 miliardi
Il finanziamento
Il maxi finanziamento che verrà erogato grazie a Cassa Depositi e Prestiti e Bei per la realizzazione della
nuova autostrada tra Milano e Brescia (Brebemi) è di 1,6 miliardi di euro
760 milioni
Il ruolo di Cdp
La Cassa Depositi e Prestiti erogherà direttamente a Brebemi 760 milioni e dirotterà altri 70 milioni scarsi al
consorzio di banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, Centrobanca e Ubi), già esposte sul prestito
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ponte da 540 milioni concesso negli anni scorsi e che ha permesso, con l'equity da 520 milioni, di completare
il 60% circa dell'infrastruttura.
600 milioni
L'impegno della Bei
Bei fornirà agli istituti italiani circa 600 milioni di euro e finanzierà direttamente Brebemi per il restante
ammontare
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La crisi dell'Eurozona IL QUINTO SALVATAGGIO Cipro boccia il salvataggio europeo Il prelievo forzoso sui depositi respinto in Parlamento - Nicosia ora tratta con Mosca UN NO UNANIMERespinto il progetto di prelevare 5,8 miliardi dai conti correnti L'Eurogruppo: «La nostra offerta resta valida» Roberto Bongiorni
LIMASSOL. Dal nostro inviato
È un no secco, che non lascia spiragli. E che prelude a un futuro oscuro. Una bocciatura, che ora rende più
credibili le voci di un possibile accordo tra Nicosia e Mosca, il quale, tuttavia, potrebbe in parte ipotecare le
promettenti riserve di gas di Cipro.
Il Parlamento di Nicosia ha respinto il piano concordato con la Ue e il Fmi che prevedeva un prelievo forzoso
sui depositi bancari ciprioti - per un valore complessivo di 5,8 miliardi di euro - in cambio di un prestito di 10
miliardi in modo da salvare la più piccola economia dell'Eurozona dalla bancarotta: 36 i voti contrari, 19 le
astensioni sui 56 seggi, un parlamentare era assente. In serata una nota dell'Eurogruppo ha ribadito, tuttavia,
la sua offerta a Nicosia.
Dunque anche il partito del neo presidente cipriota Nicos Anastasiades, il sostenitore del prelievo forzato, ha
ceduto. Poteva fare ben poco con i suoi 20 seggi. Anche con i suoi alleati, il partito Diko (8 seggi) non
avrebbe raggiunto la maggioranza. Il malcontento verso quello che è vissuta dai ciprioti, ma anche da molti
politici, come un ricatto, un'imposizione da parte dei falchi europei, Finlandia, Olanda, ma soprattutto
Germania, ha dunque prevalso. Qui, a Cipro, alla domanda se si è favorevoli o meno al prelievo, si ottiene
quasi sempre la stessa risposta. Condita da imprecazioni contro il cancelliere Angela Merkel, così frequenti
quasi fossero un intercalare.
Ma quale soluzione per salvare Cipro da un default che rischia di avere gravi ripercussioni sugli altri Paesi in
difficoltà dell'Eurozona?
Tutto è sospeso, paralizzato. Bloccati gli sportelli bancomat, almeno fino a giovedì. Ferma la Borsa, congelati
i conti correnti, per evitare una emorragia insostenibile. Non è dunque passata nemmeno la linea del
compromesso: in principio si era parlato di un prelievo del 9,9% sui conti superiori a 100mila euro e del
6,75% su quelli inferiori. Ieri il Governo aveva messo a punto alcune modifiche con l'obiettivo di rendere il
prelievo più progressivo e meno doloroso per i ceti più poveri, come peraltro raccomandato anche
dall'Eurogruppo: esenzione per i depositi bancari fino a 20mila euro, tassazione al 6,75% per i conti tra 20 e
100mila euro e al 9,9% per i depositi oltre i 100mila. Restavano da trovare i 300 milioni - stima della Banca
centrale cipriota - che sarebbero venuti a mancare risparmiando dal prelievo i depositi più piccoli. Ma il
Parlamento ha detto no anche a questo.
Sta prevalendo, dunque, la linea russa. Secondo indiscrezioni, il ministro delle Finanze cipriota Sarris oggi a
Mosca - sembra accompagnato da una delegazione Ue di alto livello - avrebbe una proposta: in cambio di
una tassa compresa tra il 20 e il 30% sui depositi russi nelle banche cipriote, cedere una quota della futura
società energetica cipriota a Mosca e ulteriori benefici strategici nel settore del gas a Gazprom. «Una mossa
azzardata visto che le riserve di gas non sono ancora commerciabili. Siamo ancora alla fase di esplorazione.
E che comunque compromette una risorsa strategica nazionale», ha precisato da Nicosia una fonte del
settore bancario cipriota che ha voluto mantenere l'anonimato.
Grazie alla sua tassazione Cipro è l'isola felice dei russi. I loro depositi - tra quelli in banche cipriote delle
imprese russe e l'esposizione delle banche russe - ammonterebbero a circa 30 miliardi su un totale di 75. Il
che spiega la dura reazione del presidente Vladimir Putin che ha definito il prelievo «ingiusto, poco
professionale e pericoloso». E che ha spinto Mosca a valutare di non estendere più, come prima ventilato, la
scadenza del prestito di 2,5 miliardi di dollari concesso a Cipro nel 2011.
Il denaro contante sta divenendo il maggior motivo di preoccupazione. Non solo per i ciprioti. Ma anche per
gli stranieri che risiedono nell'isola. Il volo partito dal Regno Unito, con un milione di euro in contanti destinato
20/03/2013 5Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 50
ai militari britannici e alle loro famiglie, è un segnale da non sottovalutare.
Lo stesso, in assenza di alcun accordo, vale per la liquidità a disposizione del Governo: «Ci sarebbe un
quantitativo sufficiente per pagare i salari pubblici fino a maggio, grazie un anticipo sulle licenze per
l'esplorazione dei blocchi di gas da parte di Eni e Total per circa 200 milioni, più un incerto ammontare
prestato al governo dai fondi pensioni degli enti economici», ha precisato la fonte bancaria.
Tutto resta molto confuso. Ma qualunque decisione verrà assunta, l'assalto agli sportelli da parte dei
correntisti, quando le banche riapriranno, è quasi scontato. Il governatore della Banca centrale cipriota,
Panicos Demetriades avrebbe riferito che potrebbero esser prelevati in pochi giorni 7,5 miliardi, il 10% dei
depositi bancari. Un'emorragia che il già mal ridotto sistema bancario dell'ex isola felice non può permettersi.
Intanto comincia a serpeggiare tra i ciprioti un pericoloso interrogativo: perché restare nell'euro?
© RIPRODUZIONE RISERVATA LARECESSIONE DELL'ECONOMIA Il Pil, variazione percentuale annua I
numeri di Cipro ISENZALAVORO Tasso di disoccupazione, in percentuale (*) Previsioni Ce, autunno2012
Fonti:Commissione europea; Morgan Stanley Research; Eurostat -4 -2 0 2 4 6 2006 2005 2008 2007 2009
2010 2011 2012* 2013* 2014* 0 5 10 15 20 25 30 2000 Grecia Cipro 2002 2004 2006 2008 2010 2012
Foto: La protesta. Migliaia di manifestanti si sono riuniti ieri a Nicosia, davanti al Parlamento di Cipro, per
contestare il prelievo sui depositi bancari proposto dal Governo nell'ambito del piano Ue di salvataggio
Foto: LA RECESSIONE DELL'ECONOMIA Il Pil, variazione percentuale annua
Foto: I SENZA LAVORO Tasso di disoccupazione, in percentuale
20/03/2013 5Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Il ruolo chiave dell'Eurotower. Francoforte disposta ad offrire liquidità a patto che le banche restino solvibili Istituti di credito nelle mani Bce LE CONDIZIONI Senza un accordo con la Ue è improbabile che la Banca centrale europea tenga aperto ilcanale dei prestiti ancora a lungo Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
La bocciatura della tassa sui depositi bancari da parte del Parlamento cipriota ha proiettato la Banca centrale
europea al centro della scena nella gestione della crisi.
A questo punto, dipende infatti dalla Bce la sopravvivenza del sistema bancario dell'isola e in particolare di
due dei suoi istituti più importanti. L'Eurotower ha diffuso ieri sera un breve comunicato, in cui si dichiara
«impegnata a fornire liquidità per quanto necessario» al sistema bancario di Cipro, «all'interno delle regole
esistenti». Quest'ultima espressione è tutt'altro che formale, dato che le regole della Bce prescrivono che è
possibile fornire liquidità solo a banche che siano, appunto, illiquide, e non insolventi, il che, secondo diversi
osservatori, è il caso di alcuni istituti ciprioti.
La fornitura di liquidità funziona attraverso la Banca centrale nazionale, con il cosiddetto sportello Ela
(Emergency liquidity assistance), per i casi più gravi. Ma la Bce ha il potere di interrompere questa
erogazione in qualsiasi momento, se ritiene che una banca sia ormai in uno stato di insolvenza. Nel caso di
Cipro, nel corso del negoziato per il salvataggio, la Bce avrebbe fatto presente al Governo di Nicosia che per
poter evitare che le sue banche ricadessero in questa fattispecie c'era bisogno appunto del bailout. Con gli
aiuti ora in sospeso, a causa del disaccordo sulla tassa sui depositi bancari, è improbabile che la Bce voglia
continuare a tenere il canale della liquidità di emergenza per le banche cipriote aperto ancora molto a lungo.
Secondo una fonte, il limite massimo per poter continuare a contare sull'appoggio della Bce, è la riapertura
degli sportelli, al momento prevista per domani, quando, in mancanza di un'intesa per il salvataggio,
l'insolvenza delle banche cipriote diventerebbe quasi certamente inevitabile per effetto della fuga dai depositi.
D'altra parte, è possibile che la Bce voglia evitare di staccare l'ossigeno alle banche di Cipro, mettendo in
moto una catena di eventi dagli effetti imprevedibili e con ogni probabilità pesantissimi non solo per l'isola ma
per la stabilità di tutta l'unione monetaria.
La nota diffusa dall'Eurotower ieri sera indica anche che la Bce si mantiene in contatto con gli altri membri
della cosiddetta troika, cioè la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale. È proprio questo
ruolo nella troika, a Cipro come negli altri Paesi dell'Eurozona in difficoltà, che è finito nel mirino delle
polemiche. Ruolo troppo politico, sostengono i "puristi", che catapulta la banca centrale in discussioni di
squisita spettanza dei Governi e che la allontana dal suo mandato di stabilità dei prezzi e vanno al di là
persino delle questioni di semplice stabilità finanziaria. Anche per questo, il consiglere della Bce responsabile
per i negoziati europei a fianco del presidente Mario Draghi, il tedesco Joerg Asmussen, aveva tenuto a
mettere in chiaro, dopo la maratona negoziale di questi giorni, che la Bce non aveva avuto alcun ruolo nello
stabilire la suddivisione dell'onere della tassa fra i diversi gruppi di depositanti, una decisione eminentemente
politica. E nel suo comunicato di ieri sera, la Bce ha evitato di entrare nel merito della decisione del
Parlamento cipriota, limitandosi a dire di averne «preso nota». Espressione che l'Eurotower usa quando una
situazione la mette in estremo imbarazzo, come è avvenuto di recente con la ristrutturazione delle
"promissory notes" del Governo irlandese. Il caso cipriota, seppur di dimensioni molto minori, rischia però di
avere ripercussioni più pesanti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA SU INTERNET Dopo Cipro rischia anche la Slovenia Presto l'Unione
Europea potrebbe dover soccorrere un altro Paese membro della moneta unica: la Slovenia. Anche lì, come
a Cipro, la situazione più allarmante riguarda il settore bancario, alle prese con sofferenze pari al 20% del Pil.
Il rapporto tra prestiti bancari e Pil è salito dal 40% nel 2003 al 92% nel 2011.
20/03/2013 5Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Il ruolo decisivo della Russia Offerta a Putin: gas e banche per gli aiuti IL TESORO DELL'ISOLA Fanno gola ai russi (e non soltanto) i giacimenti scoperti nel 2011: l'estrazionedovrebbe partire entro il 2020 Antonella Scott
M entre ieri a Nicosia il Parlamento di Cipro cercava disperatamente di trovare un futuro all'isola,
seppellendo poi compatto il piano di salvataggio messo a punto a Bruxelles, il ministro delle Finanze Michalis
Sarris volava a Mosca: la soluzione potrebbe nascondersi lì. Nel luogo da cui provengono i capitali - più o
meno opachi - che vanno a formare il grosso dei depositi che Ue e Fmi intendevano tassare, decisione che
ha mandato Vladimir Putin su tutte le furie: ingiusta, poco professionale e pericolosa, ha detto il presidente
russo. A cui nessuno da Bruxelles, protesta il Cremlino, aveva chiesto un parere, nonostante il doppio filo -
un'esposizione stimata in 31 miliardi di dollari - che lega la Russia a Cipro, malgrado siano oligarchi russi
quelli che dovrebbero pagare il prezzo più alto, e malgrado sia stata proprio Mosca a concedere un primo
bailout, due anni fa: 2,5 miliardi di euro, un prestito in scadenza nel 2016 e che le autorità di Cipro sperano di
ristrutturare.
Ma poiché il salvataggio europeo annaspa, Mosca ne approfitta. Secondo una fonte governativa cipriota, il
ministro Sarris - che è arrivato nella capitale russa accompagnato da una delegazione di uomini d'affari ma
anche, secondo l'agenzia Ria Novosti, dal ministro dell'Energia Ghiorgos Lakkotripis - avrebbe presentato ai
russi una proposta stranamente simile alle indiscrezioni che circolavano in questi ultimi giorni, e
sospettosamente gradevole per le orecchie moscovite. Si potrebbe chiamarla "tasse in cambio di gas".
L'offerta prevede di imporre sì un'imposta pesante - del 20-30% - sui depositi russi nelle banche cipriote:
colpendo così gli oligarchi e i faccendieri che con i loro capitali messi al riparo dal fisco e le loro società
offshore di facciata faticano a raccogliere simpatia perfino in Russia. In cambio, Mosca otterrebbe una quota
nella futura compagnia energetica con cui Cipro conta di sviluppare i giacimenti di gas scoperti a Sud
dell'isola nel 2011, e altri «benefici aggiuntivi». Agli investitori russi verrebbero poi offerte posizioni di controllo
nei board delle banche cipriote. Uno di loro, Dmitrij Rybolovlev, già detiene una quota del 9,7% in Bank of
Cyprus, il che lo rende il principale azionista non societario nella principale banca del Paese.
«Impossibile parlarne finché non conosciamo i dettagli - si schermisce Dmitrij Peskov, portavoce di Putin -. È
una situazione complessa e senza precedenti, e non capiamo che cosa stia succedendo». Nei giorni scorsi
un canale cipriota, Sigma Tv, aveva accennato a un'offerta avanzata da Gazprom: aiuti finanziari al sistema
creditizio in cambio di licenze nei giacimenti del Mediterraneo che potrebbero cominciare a estrarre gas entro
il 2020. Il monopolio russo smentisce, ma potrebbe comunque andare in questa direzione la via d'uscita
alternativa alla trojka europea di cui parlavano ieri sera i deputati di Nicosia. A meno che la delegazione
europea «d'alto livello» attesa oggi a Mosca (potrebbe farne parte il commissario agli Affari economici Olli
Rehn) non riesca a trovare una soluzione comune, superando l'irritazione dopo quello che l'ambasciatore
russo alla Ue, Vladimir Chizhov, ha definito «esproprio forzato». «La Ue - dice l'ex ministro delle Finanze
russo Aleksej Kudrin - dovrebbe cercare una soluzione insieme alla Russia, non unilateralmente. Perché in
questo caso, la Russia sarà meno accomodante».
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 53
La crisi dell'Eurozona CIPRO E INVESTIMENTI Squinzi: prelievo forzoso pericoloso precedente Guai a toccare i risparmi Da europeista convinto il presidente di Confindustria esprime fortissima preoccupazione sulla situazione aCipro DEPOSITI NEL MIRINO «I risparmi dei cittadini sono un tesoro di ogni singolo Stato e, pertanto, vannoassolutamente difesi» LINEA UNITARIA Lettera ai presidenti delle Confindustrie europee per condividere unaposizione comune sulle misure allo studio Nicoletta Picchio
ROMA
Un altolà alla ricetta proposta dalla Ue per Cipro: guai a toccare i risparmi. Giorgio Squinzi, presidente di
Confindustria, ieri ha messo nero su bianco questo suo allarme. Un comunicato ufficiale, in cui ha anche
annunciato di aver scritto una lettera ai presidenti delle Confindustrie europee per condividere una posizione
comune.
Squinzi ha sottolineato nelle prime righe di essere un «europeista convinto», parole che ripete da sempre,
prima ancora di essere nominato alla guida degli industriali. Ma poi, subito dopo, ha espresso una «fortissima
preoccupazione» per ciò che sta accadendo a Cipro.
«I risparmi dei cittadini sono il tesoro di ogni singolo Stato», ha rimarcato il presidente di Confindustria nel
comunicato. Per questo motivo «vanno assolutamente difesi».
Ecco quindi che «l'eventuale decisione di un prelievo forzoso sui depositi bancari, proposto dalla Ue al
governo cipriota, creerebbe un pericoloso precedente che trasformerebbe l'Europa in matrigna».
Vista l'importanza e la dimensione europea dell'argomento il presidente di Confindustria ha deciso di inviare
una lettera ai colleghi delle Confindustrie europee, per tenere sul tema una linea comune. Già in passato la
Confindustria italiana si è fatta promotrice di iniziative in sintonia con le altre organizzazione dei paesi Ue.
Per esempio, a settembre dello scorso anno la Confindustria italiana, quelle tedesche Bda-Bdi, la spagnola
Ceoe, la francese Medef, in vista del consiglio direttivo della Bce che si sarebbe tenuto il giorno successivo,
hanno messo nero su bianco una dichiarazione congiunta dal titolo «In Europa and the Euro we trust»,
firmata dai direttori generali delle organizzazioni, per lanciare un appello all'Europa, chiedendo di potenziare
la competitività dell'economia e rilanciare l'imprenditorialità, con politiche orientate al mercato e con riforme
strutturali.
Non è la prima volta, quindi, che si fa fronte comune e la linea europeista della Confindustria italiana è
condivisa anche dalle altre organizzazioni imprenditoriali. Ciò non toglie che la mossa sui risparmi abbia
creato fortissima preoccupazione. Oggi sarà uno dei temi affrontati sia nel comitato di presidenza, sia nel
consiglio direttivo, che si concentreranno sulla situazione economica e sullo sblocco dei pagamenti della
Pubblica amministrazione.
Obiettivo è incalzare il governo a fare presto un provvedimento che riporti liquidità nelle aziende e possa
ridare slancio di conseguenza agli investimenti.
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Foto: LAPRESSE
Foto: Il leader degli industriali. Giorgio Squinzi
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 54
Il Dizionario Dalle azioni ai conti come giocare in difesa Gianfranco Ursino
Torna la tensione sui mercati finanziari e, puntualmente, riafforano nella mente dei risparmiatori le
preoccupazioni sul destino dei lori investimenti. Lo scossone questa volta è arrivato non dalla Grecia, ma
dalla vicina Cipro. Un Paese con un Pil di appena 17,8 miliardi di euro, pari a poco più di un centesimo di
quello italiano, che ha riportato il caos sui mercati finanziari globali riportando alla ribalta il cosiddetto «effetto
farfalla» noto nella teoria del caos: una farfalla che batte le ali a Cipro può generare un tornado anche in
Giappone. A mettere sotto pressione i listini di tutto il mondo e i diversi strumenti finanziari a 360° è il prelievo
forzoso sui conti correnti detenuti sulle banche cipriote, richiesto dall'Unione Europea per aiutare il sistema
finanziario cipriota ad uscire dal tunnel. Una soluzione inedita rispetto ai quattro precedenti salvataggi finora
attuati per Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda, che potrebbe mettere in discussione uno dei capisaldi su cui
ruota il sistema finanziario, ovvero la tutela dei depositi custoditi in banca.
© RIPRODUZIONE RISERVATA A
AZIONE
La reazione dei listini azionari e, in particolare, gli scossoni sui titoli bancari sono il termometro più sensibile
degli umori del mercato sull'evoluzione della crisi finanziaria. Il fatto che gli istituti di credito siano i più grandi
detentori di titoli di Stato li rende vulnerabili alle prospettive di tenuta della moneta unica. In questi casi la
ruota dei settori gira maggiormente verso i settori più difensivi e il più possibile anti-ciclici, come le bevande o
i farmaceutici. Anche se i sottoscrittori di azioni, in quanto portatori di capitale di rischio, devono sempre
ricordare che la rivalutazione del loro investimento non è mai assicurata. Le azioni rappresentano una
frazione del capitale sociale di una società e la loro remunerazione è legata all'andamento economico della
società emittente, che per le quelle negoziate in Borsa si riflette (almeno in teoria) sulle quotazioni del titolo.
C
CONTO CORRENTE
Se n'è parlato più volte negli ultimi anni, ma è bene ribadirlo: nel caso estremo che la propria banca dovesse
fallire, il denaro depositato è garantito dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), che opera a
garanzia dei clienti di tutti gli istituti di credito (quelli di credito cooperativo ne hanno uno analogo). In caso di
liquidazione coatta e amministrativa di un istituto di credito, il Fondo interviene garantendo al depositante
liquidità per un valore massimo di 100mila euro, entro 20 giorni lavorativi. Questa garanzia è estesa ai clienti
degli istituti di credito italiani, delle loro succursali nei Paesi dell'Unione europea, nonché delle succursali in
Italia delle banche comunitarie e delle banche extracomunitarie consorziate. I conti correnti postali, pur non
aderendo al Fidt, sono garantiti dallo Stato e il rischio per il risparmiatore è dunque legato alla solvibilità del
Tesoro, in analogia a quello che si corre sui BoT. L'attuale mossa sui conti correnti ciprioti, però, anche se
tecnicamente diversa, riporta alla memoria quanto successo in Italia nel 1992 con il prelievo forzoso varato
dal governo tecnico Amato del 6 per mille. Soluzioni che in ogni caso rischiano di creare tra la popolazione
crescente avversione all'Eurozona.
C
CONTO DEPOSITO
Un conto di deposito non è altro che un conto corrente bancario, limitato nelle proprie funzionalità, che ha
l'unico scopo di fruttare interessi più elevati sul patrimonio "investito" rispetto ai conti correnti tradizionali.
Anche i conti di deposito sono garantiti dalla tutela del Fitd. Attraverso il conto deposito la banca acquista la
proprietà delle somme depositate dal cliente, obbligandosi a restituirle a richiesta (deposito libero) o a una
certa data (deposito vincolato). Buona parte dei conti di deposito esistenti non ha costi e tra quelli vincolati a
36 mesi attualmente si riesce a spuntare un rendimento lordo annuo del 5% secondo i dati rilevati e pubblicati
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su "Plus24", il settimanale dedicato al risparmio e agli investimenti in edicola ogni sabato con "Il Sole 24 Ore".
Nella ricerca di qualche centesimo di rendimento in più, occorre però prestare attenzione alle "offerte civetta":
in molti casi i rendimenti più alti vengono da offerte promozionali valide solo per i nuovi clienti, per un periodo
di tempo definito, un importo limitato e a condizioni ben precise.
F
FONDO COMUNE D'INVESTIMENTO
Con la partecipazione a un fondo comune il risparmiatore affida una determinata somma di denaro "nelle
mani" di società che svolgono per professione l'attività di gestione dei risparmi. Con l'acquisto di quote che
rappresentano il valore della propria partecipazione al fondo, il risparmiatore lascia che altri, più esperti,
svolgano proficuamente (si spera), con i suoi soldi e nel suo esclusivo interesse, la difficile attività di acquisto
e vendita di valori mobiliari. Le somme guadagnate nell'esercizio di quest'attività, tolte le provvigioni che i
gestori e i distributori, in primis, prelevano a titolo di compenso per l'attività svolta, sono ripartite fra i
sottoscrittori del fondo in proporzione alla quota di partecipazione di ciascuno. E sebbene i fondi comuni non
riparino dal rischio dell'altalenante andamento dei mercati, permettono di separare il patrimonio investito dal
rischio default in capo alla società che li gestisce. Il fondo è quindi una gestione collettiva dei risparmi e in
funzione dei valori mobiliari verso i quali indirizza maggiormente gli investimenti, viene classificato in una
delle macro categoria (azionari, bilanciati, obbligazionari, di liquidità e flessibili) che presentano diversi gradi
di rischio/rendimento. Ma anche di costi. Nel cogliere le opportunità di diversificazione offerte dai fondi
comuni occorre quindi selezionare i prodotti (o meglio i gestori) che hanno dimostrato di offrire un valore
aggiunto all'investitore nel corso del tempo. E per orientarsi nella scelta, prima della sottoscrizione è sempre
bene leggere il prospetto informativo e i rendiconti semestrali del fondo per capire dove il gestore investe ed
eventualmente porre all'intermediario le domande per sciogliere tutti i dubbi che si hanno al riguardo. Anche
quelli che possono sembrare
i più banali.
T
TITOLI DI STATO E OBBLIGAZIONI
Il possessore di un'obbligazione governativa o societaria/ bancaria diventa creditore dell'emittente e ha diritto
di ricevere il rimborso a scadenza dell'importo previsto dal regolamento
del prestito più una remunerazione a titolo di interesse, sulla base di un tasso fisso o variabile. In questi casi
per il risparmiatore i punti di riferimento sono tanti, prospettive dello Stato/azienda con il suo grado di
indebitamento, il rating, e nel caso delle imprese private la proprietà e anche la forza del settore in cui
operano con prevalenza. Per il sottoscrittore oltre al tasso di interesse offerto deve essere considerata la
quotazione su mercati trasparenti e l'entità dell'emissione, che anche in situazioni di mercato difficili come
quelli attuali, garantiscono prezzi sempre più coerenti di quelli delle obbligazioni non quotate.
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La crisi dell'Eurozona LA GIORNATA SUI MERCATI Sale la tensione sulle Borse: giù i bancari Pesa l'incertezza su Cipro: Piazza Affari -1,59% - L'Eba: agli istituti Ue serviranno altri 112 miliardi LATENDENZA Finanziari sotto pressione in tutto il Vecchio Continente Lo spread fra BTp e Bund risale a 338punti base, il divario della Spagna a 369 Maximilian Cellino
I mercati faticano a prendere le misure all'affaire Cipro e le reazioni nervose di ieri (dopo quelle altrettanto
contrastanti di lunedì) sono una testimonianza evidente della difficoltà degli operatori a valutare l'impatto del
salvataggio e l'eventuale effetto «contagio» nel resto d'Europa. Fino a metà giornata i rischi sembravano da
minimizzare, come peraltro continua a sostenere la maggior parte degli analisti finanziari che si sono
pronunciati dopo l'annuncio della decisione del prelievo forzoso sui conti correnti: le Borse europee
«galleggiavano» non lontane dai valori della vigilia così come l'euro, Wall Street apriva in rialzo e la forbice di
rendimento fra i titoli di Stato italiani e tedeschi si manteneva pressoché invariata.
Nel pomeriggio la nuova svolta: gli investitori iniziano di nuovo a vendere euro (che scenderà poi ai minimi
da novembre sul dollaro, come si legge nell'articolo sotto), le azioni europee e i titoli di Stato «periferici»,
trovando rifugio nel «solito» Bund. Tutto avviene quando sul mercato iniziano a diffondersi le voci di un
probabile voto contrario del parlamento cipriota al piano di salvataggio (e quelle, poi smentite, delle dimissioni
del ministro delle Finanze Michael Sarris). Chi iniziava già a valutare come poco influente sul resto d'Europa
la decisione sui depositi si ritrova quindi di fronte a una nuova fase di incertezza derivante dall'assenza,
almeno per il momento, di un «piano B».
Così si può probabilmente spiegare il ritorno dell'avversione al rischio, che ha finito per far risalire i
rendimenti del decennale italiano fino al 4,72% (e lo scarto con la Germania a 338 punti base), quelli spagnoli
al 5,03% (spread a 369); per provocare la discesa dell'euro fino a un minimo di 1,2844 dollari e il passo
indietro delle Borse. Madrid ha ceduto il 2,13%, Milano l'1,59%, Parigi l'1,18% e Francoforte lo 0,75%, con i
bancari in tensione (-2% l'indice settoriale europeo) nel giorno in cui fra l'altro i «test» dell'European banking
authority rivelano a livello continentale ancora un fabbisogno di capitale di oltre 112 miliardi di euro per
soddisfare i requisiti di Basilea 3.
Il fatto che poi all'ufficializzazione del «no» al piano di salvataggio da parte del parlamento di Nicosia (giunta
quando imercati europei erano già chiusi) gli investitori abbiano reagito in maniera apparentemente
contraddittoria (hanno riacquistato l'euro, facendolo risalire dai minimi di giornata) dimostra in fondo quanto
poco chiare siano le idee sulla situazione cipriota, che a questo punto si muove sempre più in territorio
«inesplorato». La Bce, da parte sua, ha immediatamente preso atto della decisione e confermato «l'impegno
a garantire la liquidità necessaria entro il quadro delle regole previste», ma nessuno ha idee chiare su quali
saranno le prossime mosse.
Anche per questo la giornata di oggi (nella quale inizieranno oltretutto anche le consultazioni per la
formazione del governo italiano) si preannuncia di nuovo all'insegna della massima incertezza. A distogliere
l'attenzione, almeno momentaneamente, potrebbe essere l'esito della riunione della Federal Reserve con le
indicazioni sulla politica monetaria Usa. In attesa di possibili novità sul «quantitative easing», New York ha
preferito la prudenza: l'S&P 500 ha ceduto lo 0,24% e il Nasdaq lo 0,26%.
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IL test dell'Eba sulle banche
A pagina 21 L'andamento dei mercati 9/11/11 Lunedì Ieri Ieri Differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato
decennali rispetto al Bund. In punti base LO SPREAD Italia 575 408 Spagna 200 300 400 500 600 700 Italia
Spagna 167 31 369 338 Andamento dell'indice Ftse Mib DUE GIORNI A PIAZZA AFFARI 15600 15700
15800 15900 16000 16100 9:00 Piazza Affari apre con un crollo del 2,8%: pesano i timori per la crisi di Cipro
17:30 Dopo una giornata di tensioni, Piazza Affari lima le perdite e cede lo 0,85% 17:30 Piazza Affari chiude
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 57
ancora in rosso, zavorrata dalle banche 14:00 Vengono pubblicati i dati Eba sulle necessità di capitale per le
banche Ue. Sale l'incertezza sulle sorti di Cipro 10:00 Borse deboli in attesa del sì al piano per Cipro 15:30
Indiscrezioni su una riunione dell'Eurogruppo: Milano recupera in parte
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L'ANALISI L'Europa perde sui mercati se cambia le regole in corsa Isabella
Bufacchi Unico, speciale, irripetibile: sono questi gli aggettivi che Olli Rehn, il commissario europeo per gli
affari economici e monetari, utilizzò presentando ai mercati il PSI sulla Grecia, l'operazione del "private sector
involvement" che infliggeva un mostruoso haircut al 75% sui titoli di Stato greci. «Mai più toccare i privati»,
promise. Fu comunque un precedente grave, una macchia indelebile: l'attivazione del fondo salva-Stati Efsf,
questa la morale della favola, non metteva i sottoscrittori dei titoli di Stato dell'Eurozona al sicuro dal rischio di
perdere il capitale. Tant'è che dal primo gennaio di quest'anno tutti i nuovi titoli di Stato emessi nell'area
dell'euro includono nel prospetto le Cacs, le clausole di azione collettiva che stabiliscono le modalità di
coinvolgimento dei privati nel caso di ristrutturazione del debito pubblico. E poi addirittura in corsa i prestiti
concessi alla Grecia sono stati ritoccati con l'Ois (l'Official sector involvement).
Gli stessi aggettivi, «unico», «speciale», sono serviti ora a Bruxelles per impacchettare il salvataggio di Cipro
con un prelievo forzoso sui depositi presso le banche cipriote, ieri sera naufragato in Parlamento.
Al di là di come andrà a finire il varo di una maxi-tassa una tantum sui correntisti di Cipro, i mercati hanno già
avuto la conferma del loro peggiore incubo: nell'Eurozona tutto è possibile, le regole si scrivono per essere
stracciate (e questo vale anche per Maastricht), le promesse si fanno per essere infrante, i taboo sono eretti
per essere distrutti. Salvataggio che viene, certezza che va. Nell'Eurozona i depositi bancari fino a 100.000
euro erano stati formalmente garantiti dopo il crack Lehman: salvo eccezioni, casi speciali e unici,
evidentemente. Anche per la Spagna, a ben guardare, l'aiuto è stato eccezionale: le banche sono state
ricapitalizzate con un prestito del meccanismo di stabilità Esm allo Stato, senza però attivare la procedura di
aiuto al paese, senza Fmi. E l'Irlanda ora tenta di ottenere in maniera retroattiva quello che è stato concesso
alla Spagna.
In questo castello di carte di regole europee, finora le obbligazioni bancarie senior sono risultate a prova di
default: ha perso soldi tramite haircut "solo" chi ha acquistato i titoli di Stato greci, le obbligazioni bancarie
subordinate irlandesi e spagnole, forse chi ha un deposito o conto corrente a Cipro. Ma sulle certezze
europee, e così sui bond bancari senior, i mercati oramai sono scettici, diffidenti, prevenuti. Al prossimo
salvataggio sovrano, sotto il cappello del "caso unico" chissà quale altra diavoleria si inventeranno gli
europei: così l'euro di indebolisce, le Borse calano, gli spread si allargano.
Ecco, questa è in definitiva la perdita più grave tra tutte. L'Europa rischia di perdere la fiducia dei mercati
sulla tenuta delle regole e dei principi fondamentali dell'Eurozona. Non basta "salvare" Stati e banche in
difficoltà: è altrettanto importante il "come". Lo scudo anti-spread e le Omts per ora funzionano come armi
deterrenti solo perchè fanno sognare i mercati a occhi aperti e non sono entrate nei loro peggiori incubi.
@isa_bufacchi
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Valute. L'indice Zew positivo non ha influito L'euro cade a 1,287 sui timori anti-Ue LO SCENARIO La divisa unica, ai minimi dal novembre 2012, resta però la prima moneta usata nelpagamento degli scambi commerciali mondiali Vittorio Carlini
L'euro, ieri, per quasi tutta la seduta ha danzato attorno a quota 1,2960. Un po' sopra, e un po' sotto. Poi,
verso le 15.30 ha virato nettamente verso il basso. Alla fine della giornata la divisa unica, dopo aver toccato
un minimo intraday di 1,2844, ha chiuso le contrattazioni a 1,2879 sul dollaro. Il calo è stato dello 0,6%
rispetto a lunedì scorso. Una discesa che ha riportato le lancette delle quotazioni al novembre del 2012.
Al di là del valore delle quotazioni, che cosa però ha spinto le vendite sull'euro? La risposta, a ben vedere, è
nel concretizzarsi del «no» del parlamento di Cipro al piano di salvataggio dell'Eurogruppo. Il programma,
com'è noto, prevede una cifra complessiva di 19,7 miliardi. Un valore, in termini assoluti, non così alto. E che,
però, per circa 5,8 miliardi dovrebbe essere costituito dal prelievo forzoso sui depositi bancari. Ebbene, è
proprio quest'ultimo aspetto che ha indotto al «no» il parlamento di Nicosia. Uno stop di fronte al quale i
mercati hanno reagito con le vendite, basandosi su di un ragionamento articolato in diverse fasi. Quali? È
presto detto. In primo luogo è la rottura del patto "tacito" che rendeva intoccabili i conti correnti dei singoli
risparmiatori. Certo, è ben vero che su 68,3 miliardi di depositi a Cipro ben 20,8 sono intestati a soggetti non
residenti in Eurolandia. Cioè, evidentemente, i soldi provengono spesso da uomini d'affari (per esempio
oligarchi russi) che hanno voluto sfruttare le agevolazioni fiscali di Nicosia. E, tuttavia, l'estensione del
prelievo a tutti i depositi costituisce il passaggio del "Rubicone" che rischia di coinvolgere i denari di tutti i
rispamiatori, non solo ciprioti. Il pericolo, ed questo è il secondo passaggio del ragionamento degli investitori,
è infatti quello di costituire un precedente da applicare anche agli altri Paesi dell'Eurozona. Un evento che, se
si verificasse, da un lato darebbe molti problemi al sistema bancario dell'Ue; e, dall'altro, porterebbe ulteriori
consensi ai movimenti anti-euro. In molti ieri, nelle sale operative, facevano notare come le fazioni politiche
contro la divisa unica, dall'Italia alla stessa Germania, stanno prendendo sempre più piede. E questo, nella
già delicata situazione di un Europa in recessione, è un fattore fortemente destabilizzante. Molto più rilevante
del singolo elemento numerico-contabile legato al salvataggio di Cipro. E che, peraltro, cancella gli altri
market mover.
La riprova? È arrivata dall'indice tedesco Zew. L'indicatore, che misura le aspettative della comunità
finanziaria sull'attività economica in Germania, in marzo è salito a 48,5, rispetto a 48,2 di febbraio. Un dato
ben superiore alle attese che, di solito, avrebbe dato una bella spinta all'insù agli asset denominati in euro.
Così, invece, non è stato. Per l'appunto, almeno ieri, hanno rilevato le paure sulla tenuta politica di
Eurolandia.
Quell'unione monetaria la cui divisa, comunque, resta ancora su livelli elevati. Secondo l'indice BigMac, che
misura la capacità d'acquisto, l'euro è infatti sopravvalutato del 12%. «Una situazione -dice Antonio
Cesarano, capo del market strategist di Mps capital services - conseguenza di una precisa situazione: la
moneta unica è la prima divisa al mondo utilizzata per i pagamenti negli scambi commerciali. Evidentemente,
paesi come la Cina vogliono ridurre la loro esposizione al dollaro».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il cambio Dollari per euro 1,37 1,35 1,33 1,31 1,29 1,27 1,25 Nov Dic Gen
Feb Mar
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La crisi dell'Eurozona LE REGOLE PER LA FINANZA Banche, c'è l'accordo Ue sulla vigilanza Consiglio e Parlamento europei trovano l'intesa di massima sul controllo del credito IL CASO-NICOSIA Lacrisi cipriota mostra quanto l'idea di una unione bancaria sia tuttora ostaggio degli interessi nazionali Beda Romano
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Dopo tre mesi di intense trattative, Consiglio e Parlamento hanno trovato ieri qui a Bruxelles un accordo di
massima sul trasferimento della vigilanza bancaria dagli stati membri alla Banca centrale europea. Una prima
sofferta intesa era stata raggiunta dai 27 in dicembre. Pur parziale, la riforma è un passaggio essenziale nella
trasformazione della zona euro in una unione bancaria, anche se la gestione della crisi cipriota sta mettendo
drammaticamente in dubbio il processo di integrazione europea.
«La vigilanza unica - ha detto ieri in un comunicato il ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan,
presidente di turno dell'Ecofin - è un elemento cruciale dell'unione bancaria e un passaggio chiave nel
tentativo di spezzare il circolo vizioso tra bilanci bancari e bilanci sovrani». La centralizzazione della
sorveglianza bancaria presso la Bce, che riguarda principalmente i 17 Paesi della zona euro ma non solo, è
propedeutica alla ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del meccanismo europeo di stabilità Esm.
L'obiettivo è di evitare che il denaro vada a pesare sui debiti nazionali. I governi si sono impegnati a decidere
le linee-guida della ricapitalizzazione diretta delle banche entro metà anno. Il compromesso annunciato ieri
riguarda in particolare il controllo del Parlamento: i deputati avranno un ruolo importante nella nomina del
presidente e del vice presidente del consiglio di sorveglianza alla Bce. L'intesa conferma anche l'equilibrio tra
Paesi zona euro e Paesi extra zona euro trovato a suo tempo dai 27.
L'accordo tra Parlamento e Consiglio giunge però in un momento delicatissimo, mentre la crisi cipriota
mostra quanto l'idea di una unione bancaria sia ostaggio degli interessi nazionali. La scelta di tassare i conti
correnti ciprioti pur di chiedere al Paese un contributo al salvataggio delle banche nazionali ha creato una
crisi politica nell'isola, e messo in dubbio l'idea di una strategia europea sulla garanzia comune dei depositi,
un altro tassello dell'unione bancaria.
La vicenda cipriota sta quindi provocando enorme incertezza, non solo sulla permanenza dell'isola nella
zona euro, ma anche sul futuro stesso dell'unione bancaria. Al di là degli ultimi eventi ciprioti, il compromesso
sulla vigilanza bancaria prevede che solo gli istituti più importanti - circa 150, vale a dire tra gli altri quelli con
attivi per oltre 30 miliardi - saranno sorvegliati dall'istituto monetario. La maggioranza delle banche rimarranno
sotto il controllo nazionale, salvo scelta contraria da parte della Bce.
Proprio ieri parlando a Francoforte, il presidente della Bce Mario Draghi ha messo l'accento ancora una volta
sulla frammentazione del settore bancario in Europa: «Ha comportato una trasmissione irregolare dei tagli ai
tassi d'interesse alle famiglie e alle imprese della zona euro». Il banchiere centrale ha confermato che
l'istituto monetario sta studiando possibili riforme al sistema di collaterale da utilizzare nelle operazioni di
rifinanziamento della Bce per renderlo più efficiente.
Dopo l'accordo di ieri sulla sorvegianza creditizia, Parlamento e Consiglio devono ancora trovare un'intesa
sul ruolo dell'Autorità bancaria europea (nota con l'acronimo inglese EBA) che continuerà a regolamentare il
mercato unico. Il compromesso raggiunto sulla vigilanza bancaria dovrà essere ora approvato sia dall'Ecofin
che dall'assemblea parlamentare. Secondo la stessa Bce, ci vorrà circa un anno perché l'istituto monetario
possa essere in grado di vigilare pienamente sulle banche di cui sarà responsabile.
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Il progetto Area extra euro Banche centrali nazionali Banche centrali nazionali Istituti di credito Istituti di
credito Bce EBA Esm A regime dal 1 marzo 2014 VIGILANZA Può intervenire anche prima del marzo 2014
POLITICA MONETARIA Stato VIGILANZA diretta su 200 banche sistemiche* Responsabilità dei controlli
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nazionali VIGILANZA sulle altre 5.800 banche POLITICA MONETARIA Ricapitalizzazione diretta VIGILANZA
VIGILANZA Gli Stati non euro della Ue possono aderire alla vigilanza Bce L'Eba resta l'authority del mercato
a 27 in coordinamento con la Bce
LA PAROLA CHIAVE Vigilanza bancaria
La vigilanza bancaria accentrata è uno dei pilastri dell'unione bancaria che i Paesi dell'Eurozona stanno
cercando di mettere in piedi. Gli altri due pilastri sono il sistema di garanzia europea dei depositi e un'autorità
europea di risoluzione per i fallimenti bancari. Tra i principali obiettivi della vigilanza bancaria c'è quello di
impedire che da crisi di singoli intermediari scaturiscano situazioni di instabilità del sistema
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Il convegno internazionale di Modena Il fattore «d» frena l'occupazione OLTRE IL GENDER GAP Tiziano Treu: «Le donne faticano ma è in atto un processo di integrazione europeadella contrattualistica che Biagi aveva studiato e a cui si era ispirato» Ilaria Vesentini L'Italia è al terz'ultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile e nelle ultime posizioni della
classifica mondiale del gender gap sul mercato del lavoro, vicina a Senegal e Corea. Questo ritardo è stato al
centro del convegno internazionale dedicato a Marco Biagi dalla Fondazione dell'Università di Modena e
Reggio Emilia intitolata al giuslavorista.
Dalla due giorni di Modena, focalizzata sulle dimensioni transanazionali delle relazioni di lavoro, è emerso
che «anche sul mercato del lavoro è in atto un processo irreversibile e positivo di europeizzazione, che Biagi
aveva studiato e al quale si era ispirato», ha affermato il senatore Tiziano Treu, che nel processo volontario di
integrazione della contrattualistica nelle grandi multinazionali vede un tassello fondamentale dell'integrazione
comunitaria. «L'Europa si costruisce anche sui contratti transnazionali non obbligatori, con buone prassi
come quelle di Unicredit o Siemens presentate qui a Modena, che dimostrano come i Consigli aziendali
europei siano un modello da allargare per la gestione delle crisi e per organizzare processi partecipativi nelle
fasi di crescita», sottolinea Treu.
Sotto la lente anche la differenza salariale tra uomini e donne. Il divario è del 16% nell'area Ocse e in Italia è
accentuato tra le fasce di lavoratrici più istruite e tra quelle meno istruite, con una netta polarizzazione. In
questo quadro di ritardi, emerge però l'eccellenza emiliano-romagnola, da cui il giuslavorista assassinato ha
tratto linfa e ispirazione. Se nella Ue a 27 l'Italia supera di poco Malta e Grecia nell'occupazione femminile
con un tasso che non arriva al 50%, lontano da quell'oltre 70% dei Paesi scandinavi ma anche di Germania e
Austria, la via Emilia è un'eccezione.
Spiega l'assessore regionale al Lavoro e alla formazione, l'economista Patrizio Bianchi: «Qui c'è una vasta
tradizione di presenza femminile nel lavoro, superiore agli standard di Lisbona. Un fattore al quale va
aggiunto l'alto livello di formazione, istruzione e qualificazione, oltre alla tenuta del settore dei servizi alla
persona, dove è più forte la presenza delle donne rispetto a settori, come quello delle costruzioni, fortemente
in crisi, storicamente a predominanza maschile. Ciò non distoglie l'attenzione dal gender gap, tema nazionale
che si accompagna al prolungarsi della crisi». In Emilia-Romagna - e questo è un effetto paradossale della
recessione - l'occupazione femminile ha raggiunto il 61,3%. Il terziario, meno penalizzato rispetto al
manifatturiero, colpisce pesantemente l'occupazione maschile, meno quella femminile. Ma le lavoratrici in
Italia continuano a essere tagliate fuori dai ruoli dirigenziali e, allo stesso tempo, sono le donne italiane a
essere più interessate dalla precarietà.
Ieri, anche Bologna ha ricordato Biagi. Il sindaco Virginio Merola ha reso omaggio al giuslavorista, nella
piazzetta Biagi, a pochi metri da dove il docente fu ucciso 11 anni fa: «Bologna non lo dimentica: ricordare
significa assumere impegni precisi e noi siamo impegnati a portare avanti quelle riforme che Marco
proponeva e che sono sempre più attuali per i nostri giovani e il mercato del lavoro».
(Ha collaborato Natascia Ronchetti)
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2002-2013, 11 ANNI DOPO Lo Statuto che voleva Marco Biagi Il ddl di Sacconi: meno norme e più contrattazione tra le parti Giorgio Pogliotti
«Meno legge e più contrattazione tra le parti»: è questa, in estrema sintesi, la filosofia ispiratrice del progetto
"Statuto dei Lavori" di Marco Biagi. «Il nucleo redatto da Biagi il 14 febbraio del 2002 in un computer del
ministero del Lavoro - ricorda l'ex ministro Maurizio Sacconi - mirava alla creazione di un testo unico di poche
norme, riferite a diritti universali e inderogabili da applicare a tutti i rapporti di lavoro, rinviando la definizione
delle restanti tutele alla libera contrattazione collettiva o individuale, se certificata».
L'attuazione del progetto di Marco Biagi è affidata ad un disegno di legge delega che lo stesso Sacconi ha
depositato ieri al Senato, in concomitanza con le cerimonie per l'undicesimo anniversario dell'assassinio del
giuslavorista bolognese da parte delle Br. «Il documento redatto da Marco Biagi che ho integrato - spiega il
senatore del Pdl - è affiancato da un pacchetto di misure urgenti per l'occupazione». Questa iniziativa
legislativa, per Sacconi, rappresenta un modo per onorare concretamente il pensiero di Marco Biagi.
Entrando più nel dettaglio, il Ddl contiene una delega al governo per adottare entro sei mesi uno o più decreti
legislativi per il riordino in un testo unico della disciplina delle tipologie contrattuali. L'auspicio del senatore del
Pdl è che, complice la crisi che sta avendo pesanti ricadute occupazionali, questa possa essere la volta
buona. «La realizzazione dello Statuto dei Lavori all'epoca fu bloccato da un clima non favorevole - ricorda -,
nella scorsa legislatura ho fatto un altro tentativo consegnando una bozza alle parti sociali affinché venisse
recepita.
L'idea di base dello Statuto dei Lavori consiste nel passaggio dal rigido centralismo regolatorio che punta alla
definizione di soluzioni uniformi, alla libera e duttile regolazione lasciata alla libera contrattazione. Può essere
esercitata a livello collettivo e di prossimità, ma anche individuale, mediante la valorizzazione delle sedi di
certificazione attivate proprio dalla legge Biagi».
Con lo Statuto dei Lavori si passa da una «regolazione "pesante" che risente degli assetti produttivi propri
della vecchia economia» ad una «regolazione in grado di adattarsi alle diverse situazioni». Per tutti i
lavoratori (non solo per i dipendenti), viene fatto salvo un nucleo fondamentale di diritti basici applicabile a
«tutti i rapporti di lavoro a prescindere dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro e dalla
qualificazione del contratto come autonomo, subordinato, associativo o atipico». Del resto, sottolinea la
relazione d'accompagnamento al Ddl, «al lavoro stabile e per una intera carriera si contrappongono oggi
sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate e
diversificate».
In questa prospettiva, secondo Sacconi, va letto l'articolo 8 del decreto legge n. 138/2011 sul sostegno alla
contrattazione di prossimità, peraltro oggetto di un referendum abrogativo promosso dalla sinistra radicale,
che consente ai sindacati più rappresentativi di realizzare attraverso contratti aziendali o territoriali intese su
materie riguardanti l'organizzazione del lavoro e della produzione anche in deroga a norme di legge e ai
contratti nazionali. Il Ddl propone anche il potenziamento degli istituti della certificazione e dell'arbitrato per
offrire «un adeguato sostegno alla libera determinazione negli accordi individuali», con l'obiettivo di
assicurare «una tempestiva risoluzione sussidiaria di ogni conflitto secondo equità». Introduce, inoltre, diritti
promozionali per favorire l'occupabilità, con particolare riferimento alla formazione.
Le misure che viaggiano con i tempi dell'attuazione della delega, saranno affiancate da un pacchetto di
proposte di più rapida realizzazione per far fronte all'emergenza lavoro: «Proponiamo la detassazione dei
primi contratti permanenti per i giovani, con riferimento soprattutto all'apprendistato - aggiunge Sacconi -
insieme alle modifiche alla legge Fornero per abrogare gli irrigidimenti normativi introdotti nelle tipologie
contrattuali e tornare agli istituti della legge Biagi. Proponiamo anche di ampliare la detassazione del salario
di produttività e di dare più impulso al welfare sussidiario favorendo la conciliazione attraverso l'incentivazione
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di nidi familiari e aziendali».
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I RICONOSCIMENTIDue tesi premiate a Roma
Al termine del convegno dedicato alla memoria del giuslavorista Marco Biagi, che si è svolto ieri a Roma nel
Palazzo della Cooperazione, Adapt e il ministero del Lavoro hanno premiato due tesi. La prima, una tesi di
laurea, è di Alessia Santamaria (Università del Sannio), dedicata al tema delle rappresentanze sindacali nei
luoghi di lavoro; la seconda è una tesi di dottorato, realizzata da Lilli Casano (Università di Catania) sui
modelli di flessibilità e l'occupabilità in Italia e in Francia.
20/03/2013 10Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Il nuovo Parlamento. La scelta dei due presidenti alla prima riunione dei capigruppo: le ore di lavoro devonopassare da 48 a 96 Grasso e Boldrini si riducono lo stipendio del 30% IL «CONTROLLO» DEL M5S «È giunta l'ora di rendicontare le caramelle»: rappresentanti negli uffici dipresidenza per essere «controllori dei conti» IL NODO COMMISSIONI La capigruppo a Montecitorio: avviodelle attività solo dopo la costituzione del governo. Cinque stelle contrari Nicola Barone Nicola Barone
ROMA
Sarà un caso e non certo solo l'effetto degli anatemi di Grillo ma qualcosa comincia a vedersi quanto a costi
della politica. I presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, hanno deciso di adottare da
subito un taglio dei propri emolumenti per un importo complessivo del 30 per cento. Analoga riduzione sarà
proposta per i titolari delle altre cariche interne in tema di indennità di ufficio e di altre attribuzioni attualmente
previste, alcune delle quali potrebbero essere del tutto soppresse come ad esempio i fondi per spese di
rappresentanza.
Ancora, i presidenti appena eletti vogliono che le Camere lavorino cinque giorni su sette per un totale di 96
ore a settimana. Dal canto suo, anche la conferenza dei capigruppo della Camera si è come accodata: nella
prima riunione di legislatura, ha deciso di avviare uno studio per giungere a una riduzione delle spese di
Montecitorio e cambiare le regole interne di funzionamento.
Diventare «veri e propri controllori dei conti» nel Palazzo è da sempre l'obiettivo primo in lista per i grillini.
Questo passa in concreto per una rappresentanza nelle Commissioni bicamerali, le giunte e gli uffici di
presidenza di Camera e Senato. Già di primo mattino sul blog di Beppe Grillo si snocciola l'elenco delle
invocazioni. «Vogliamo essere protagonisti del rinnovamento che abbiamo promesso in campagna
elettorale». E dunque «partecipare alle decisioni che si prendono al chiuso delle stanze dei bottoni, per
rispetto della volontà popolare». Con espressione inequivocabile - e in risposta ad alcune preoccupazioni sul
conto dei Cinque Stelle - si dice che è finalmente giunta l'ora di «rendicontare le caramelle». Poi, a dar ancor
più evidenza al concetto, conferenza stampa convocata ad hoc dalla portavoce del M5S a Montecitorio
Roberta Lombardi. Senza però paradossalmente concedere spazio alle domande dei cronisti, andati su tutte
le furie.
Al vertice del MoVimento sono ore febbrili spese a definire la linea in vista delle scadenze politiche e nelle
trattative per le principali cariche di governo degli organismi parlamentari ancora vacanti. La delegazione del
M5S è attesa al Quirinale per le consultazioni domani mattina alle 9,30. Sul Colle saliranno, oltre ai
capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi, anche Beppe Grillo e probabilmente il cofondatore Gianroberto
Casaleggio.
Sul fronte interno, in diretta streaming, ieri l'assemblea del gruppo alla Camera ha ufficializzato l'elezione di
Roberta Lombardi a presidente. Con il consueto metodo della "graticola" è stato poi eletto il palermitano
Riccardo Nuti a vicepresidente vicario dei deputati del M5S. Tra tre mesi sostituirà Lombardi alla guida del
gruppo di Montecitorio per i successivi tre mesi, anche se con un artificio burocratico la prima resterà
formalmente «presidente» per evitare di cambiare periodicamente il responsabile legale. Il regolamento
interno del M5S prevede, infatti, che l'incarico sia svolto a rotazione ogni tre mesi. Dal M5S è arrivato poi il
nome di Luis Alberto Orellana per la vicepresidenza di Palazzo Madama mentre Laura Bottici è la candidata
al ruolo di questore.
Il nodo delle commissioni è la ragione dei contrasti già visti con il resto dei partiti. Al termine dell'incontro dei
capigruppo a Montecitorio, tutte le formazioni convengono sul fatto che l'attività di queste non possa avviarsi
senza la costituzione del nuovo governo. Ma non Roberta Lombardi.
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20/03/2013 13Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 66
Lotta all'evasione. Oggi l'incontro tra gli operatori e l'agenzia delle Entrate sul decreto attuativo L'anagrafe «seleziona» i dati Monitoraggio escluso per fondi pensione, crediti e finanziamenti IL PROBLEMA SCUDO Possibili chiarimentisugli obblighi relativi ai conti correnti su cui sono stati depositati i fondi esteri «scudati» Giorgio Costa
L'incontro di oggi tra le banche e l'agenzia delle Entrate dovrebbe essere l'ultimo tassello prima del via libera
finale con la firma del direttore dell'agenzia delle Entrate. Così, finalmente, vedrà la luce il decreto attuativo
della super anagrafe dei rapporti finanziari, uno degli atti di maggior rilievo attesi dalle Entrate. Si tratta di
andare a integrare con i rispettivi valori (vedi saldi iniziali e finali, movimentazione, eccetera) le liste
anagrafiche già presenti da tempo nella Anagrafe dei conti. Tali valori saranno forniti a far tempo dal 2011.
Per contro sono ancora in lista d'attesa, anche se confermate, le proroghe per spesometro e beni ai soci,
altre tematiche di primario interesse per le imprese e in ultima analisi per i contribuenti.
Resta inteso che le banche e gli intermediari finanziari dovranno inviare, opportunamente codificati secondo
le indicazioni del l'Agenzia, tutti i movimenti finanziari anche se - si veda Il Sole 24 Ore del 15 marzo scorso -
quelli che interessano effettivamente il fisco sono i numeri che provano un patrimonio del soggetto e non
quelli, pure codificati, che di fatto non portano a dedurre la creazione di nuova ricchezza. In questo senso, di
fatto sono insignificanti per il Fisco i depositi chiusi, le garanzie, i crediti, i finanziamenti, i versamenti al fondo
pensione, i patti compensativi, i finanziamenti in pool e la partecipazione. D'altra parte, invece, i valori rilevanti
sono, ad esempio, quelli relativi alla movimentazione del conto corrente (con i saldi iniziali e finali), ai depositi
titoli, alle gestioni patrimoniali e ai certificati di deposito. Senza trascurare - e questo non può non porre dubbi
sul senso dei dati richiesti - il numero di accessi alla cassetta di sicurezza. Come dire che un numero di
operazioni di cui non si conosce comunque il contenuto (si può trattare anche di un'alternanza di gioielli
indossati) rappresenta un valore interessante per la formazione delle liste selettive di controllo.
E poi ci si augura che oggi arrivi anche una parola definitiva in materia di conti correnti aperti a seguito dello
scudo fiscale. Infatti, fermo restando che gli intermediari erano tenuti a inviare all'agenzia delle Entrate
l'anagrafica del conto corrente o dei depositi su cui finivano i capitali scudati secondo le indicazioni contenute
nelle circolari 32/E del 2006 e 18/E del 2007 emanate dall'allora ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, ora
si pone il problema se di quei conti si debba anche indicare la consistenza: e questo avverrebbe pur
essendovi la segretazione del conto garantita dal Fisco e ulteriormente certificata dal pagamento dal bollo
speciale previsto dal decreto Salva-Italia. Oggi gli operatori del mondo del credito - ma anche i cittadini
interessati dall'operazione - si aspettano un'indicazione chiara e rispettosa da una parte degli obblighi fissati
dalla legge ma anche della segretezza che lo Stato aveva a suo tempo dichiarato. Si ricorda che in sede di
segnalazione anagrafica viene rilevata la tipologia del conto e non anche la sua eventuale secretazione: con
il provvedimento di cui si tratta, vertendo esso sui valori contenuti nel conto, si dovrebbe capire se la
secretazione può viceversa farsi valere autorizzando perciò l'intermediario a non fare segnalazioni ulteriori.
Gli adempimenti previsti dal decreto attuativo dell'anagrafe tributaria diventeranno operativi a partire dal 31
ottobre 2013 per i dati relativi all'anno 2011. Per quel che riguarda, in particolare, la super anagrafe tributaria
le banche attendono di sapere con esattezza quali saranno i loro compiti, che sono di particolare importanza
per la rete informativa che il Fisco metterà in piedi proprio partendo dai conti correnti; e questo non per
svolgere le consuete attività ispettive ma per creare le liste di selezione dei contribuenti da controllare. Una
serie di operazioni che prevedono forti investimenti in software da parte delle banche che però, come più
operatori del settore confermano, faticano a quantificare in quanto entrano nel "calderone" delle spese per
burocrazia e affini. Peraltro, l'obbligo riguarderà tutti gli intermediari finanziari (banche, Poste italiane, imprese
di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio e società di gestione del risparmio) chiamati
a segnalare i dati identificativi dei rapporti finanziari, compreso il codice univoco, dei propri clienti (persone
fisiche e non che ne hanno disponibilità, inclusi gli eventuali cointestatari).
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 67
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Le regole
01 | I DATI DA INVIARE
Il decreto attuativo della super anagrafe dei rapporti finanziari, uno degli atti di maggior rilievo attesi dalle
Entrate, prevede si debbano integrare con i rispettivi valori (vedi saldi iniziali e finali, movimentazione,
eccetera) le liste anagrafiche già presenti da tempo nella Anagrafe dei conti stessi. Tali valori saranno forniti,
entro il 31 ottobre prossimo, a far tempo dal 2011
02 | VALORI RILEVANTI
I valori rilevanti per il Fisco sono quelli relativi alla movimentazione del conto corrente (con i saldi iniziali e
finali), ai depositi titoli, alle gestioni patrimoniali e ai certificati di deposito. Di fatto, quelli che indicano quelle
operazioni che mostrano una accresciuta ricchezza
03 | DATI NEUTRI
Sono insignificanti per il fisco i depositi chiusi, le garanzie, i crediti, i finanziamenti, i versamenti al fondo
pensione, i patti compensativi, i finanziamenti in pool e la partecipazione. Valori che non dimostrano
l'avvenuta creazione di ricchezza
04 | IMPATTO DELLO SCUDO
Resta acquisito il fatto che gli intermediari erano tenuti a inviare all'agenzia delle Entrate l'anagrafica del
conto corrente o dei depositi su cui finivano i capitali scudati secondo le indicazioni contenute nelle circolari
32/E del 2006 e 18/E del 2007 emanate dall'allora ministro delle Finanze, Vincenzo Visco. Adesso però si
pone il problema se di quei conti si debba anche indicare la consistenza. E questo avverrebbe pur essendovi
la segretazione del conto garantita dal fisco e certificata dal pagamento dal bollo speciale
20/03/2013 17Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Anticorruzione e Pa. Le istruzioni della Civit Incompatibilità anche ai prescritti IL PRINCIPIO I tempi lunghi dei processi non cancellano una condanna precedente Resta lo stop all'accessoa uffici e commissioni Gianni Trovati Gianni Trovati
MILANO
La prescrizione di una condanna nei primi gradi di giudizio non cancella le incompatibilità dettate dalla legge
anticorruzione: di conseguenza, chi è per esempio incappato in una condanna per un reato contro la pubblica
amministrazione e poi ha visto chiudersi il proprio iter giudiziario per questioni di calendario, si vede
comunque chiudere le porte delle commissioni di concorso, di quelle collegate agli appalti e degli uffici
finanziari.
L'incompatibilità non riguarda solo chi ha maturato condanne come dipendente, perché la nozione di
«pubblici ufficiali» richiamata dalla legge riguarda anche sindaci e assessori.
I due chiarimenti arrivano dalla Civit, la commissione per l'indipendenza e l'integrità delle amministrazioni
pubbliche, che in questo modo risponde a un quesito di un ente pubblico. Il caso prospettato alla
commissione disegna in realtà una storia processuale più complicata, in cui l'interessato si era visto
condannare in primo e secondo grado per abuso d'ufficio, prima che la Cassazione annullasse la sentenza e
la Corte d'appello arrivasse alla sentenza di non doversi procedere per l'intervento della prescrizione.
Il punto fondamentale, però, è dato dai princìpi generali indicati dalla commissione per illustrare il fatto che,
anche in un caso come questo, il sistema di incompatibilità introdotto dalla legge anti-corruzione funziona in
pieno. L'articolo 1, comma 46 della legge 190/2012 (anticorruzione)blocca una serie di nomine per chi abbia
ricevuto una condanna, «anche con sentenza non passata in giudicato», per un reato contro la pubblica
amministrazione (capo I, titolo II, libro II del Codice penale).
La sentenza di non doversi procedere a causa della prescrizione, spiega la commissione, non può in sé
«essere considerata come una sentenza di condanna», ma non impedisce che «precedenti condanne,
venute meno per intervenuta prescrizione, possano assumere rilievo». Il fatto è che la legge anticorruzione
vieta l'accesso a una serie di compiti delicati «per ragioni di opportunità e cautela» e in questa chiave tenere
conto anche delle condanne pronunciate all'interno di iter processuali poi sfociati nella prescrizione «non
contrasta con il principio costituzionale di presunzione d'innocenza».
Anche chi ha vissuto un iter processuale di questo tipo, quindi, viene interessato dalle griglie alzate dalla
legge anticorruzione: in particolare, l'incompatibilità riguarda le commissioni di concorso (in tutti i ruoli, anche
con compiti di segreteria) per il reclutamento di personale nelle Pubbliche amministrazioni, quelle relative agli
appalti di lavori, forniture e servizi, oltre agli organismi che decidono la concessione di sovvenzioni o
«vantaggi economici di qualunque genere». Ai condannati è preclusa inoltre la possibilità di avere ruoli
direttivi negli uffici finanziari e in quelli che si occupano di acquisti.
@giannitrovati
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Istat. A gennaio l'indice destagionalizzato dell'attività industriale segna una crescita dello 0,8%: è il primoaumento dopo quattro cali di fila Produzione, timidi segnali di risveglio Corretta per gli effetti del calendario la variazione su base annua è ancora negativa: -3,6% I COMPARTIAnalizzando l'andamento dei settori la tendenza non è univoca: in terreno positivo alimentari e tessile,cedono i mezzi di trasporto Rossella Bocciarelli
ROMA
Una piccola sorpresa in positivo dai dati relativi alla produzione industriale di gennaio: l'Istat rileva infatti una
variazione mensile dello 0,8 dell'indice destagionalizzato. Su base annuale e corretto per gli effetti di
calendario, l'indice diminuisce ora "soltanto" del 3,6% (la variazione tendenziale era stata pari a -7,4% in
dicembre). Gli esperti fanno rimarcare, tuttavia, che l'Istat ha appena rivisto tutta la serie dei dati sulla
produzione industriale: in tal modo anche la variazione media del trimestre novembre-gennaio è inferiore alle
attese ed è pari a -1,9 per cento. L'Istat, diffondendo i dati con la base di riferimento aggiornata, rileva quindi
il primo aumento congiunturale dopo quattro cali di fila, visto che dicembre è stato rivisto al ribasso (-0,2%).
Se si esamina la dinamica per settori la tendenza è tutt'altro che univoca: gli indici corretti per gli effetti di
calendario segnano in gennaio una variazione tendenziale positiva per il solo raggruppamento dei beni di
consumo (+0,8%). Diminuzioni significative si registrano invece per i beni intermedi (-6,0%) e per il comparto
dell'energia (-5%) mentre i beni strumentali registrano una riduzione più contenuta (-4,5%) I maggiori
contributi alla riduzione tendenziale dell'indice generale della produzione industriale calcolato sui dati grezzi,
annota l'Istat, vengono dalla componente dei beni intermedi (-0,9 punti percentuali) e da quella dell'energia (-
0,7 punti percentuali).
Se invece si considerano le variazioni mensili, mettendo a confronto gennaio con dicembre, l'indice
destagionalizzato registra aumenti congiunturali per i raggruppamenti dei beni di consumo (+2,7%) e dei beni
intermedi (+1,8%), mentre l'Istat segna diminuzioni per l'energia (-1,8%) e, in misura più contenuta, per i beni
strumentali (-1,4%). Scendendo più nel dettaglio dei singoli settori d'attività economica, su base annua i
comparti caratterizzati dai maggiori tassi di crescita sono: le industrie alimentari, bevande e tabacco (+4,8%),
la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica ed ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di
misurazione e orologi (+3,7%), le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (+3,5%). Invece tra i settori
in calo, quelli che a gennaio registrano le diminuzioni tendenziali più ampie sono la fabbricazione di coke e
prodotti petroliferi raffinati (-14,2%) e la fabbricazione di mezzi di trasporto (-14,0%). All'interno di quest'ultimo
comparto, l'Istat fa notare come per gli autoveicoli si rilevi un ribasso dell'1,6%.
Nonostante il dato positivo di ieri, gli economisti tendono a ritenere che la tendenza produttiva sia destinata a
rimanere debole in questo primo scorcio dell'anno, sulla base anche di quanto registrano indagini sulla fiducia
delle imprese: lo stesso indicatore dell'Istat in febbraio ha registrato un miglioramento molto modesto, mentre
l'indice Pmi manifatturiero ha continuato a scendere.
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Foto: - Fonte: Istat
20/03/2013 35Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 70
R2 Viaggio tra vetrine spente e saracinesche abbassate di una delle vie di Torino dove muore il commercio.Paradigma della crisi nazionale La strada dei negozi spariti JENNER MELETTI TORINO C'era il rumore leggero delle saracinesche ben oliate che si alzavano girando una chiavetta. C'erano
i saluti allegri fra chi cominciava una giornata di lavoro. «Buongiorno, buona giornata». Le eleganti ragazze
del negozio con abiti da duemila euro e i più anziani commessi della rivendita di pantofole si incontravano con
i ragazzi pronti a passare la giornata cuocendo hamburger e patate fritte. Adesso c'è troppo silenzio, in via
Amendola. Troppe serrande sono state abbassate per l'ultima volta. Sono state tolte anche le insegne. Via il
nome dalle tre vetrine di Trussardi, via un nome antico, Vindigni, dove i torinesi andavano a comprare l'abito
della festa. «Prossimamente aprirà enoteca», annuncia un cartello. Spente e rottamate le friggitrici e le
piastre del Burger King, che un tempo attirava giovani anche dalle periferie, perché era il primo fast food
aperto nella città dei Savoia.
Adesso, per conoscere «chi c'era qui», devi chiedere all'uomo che porta fuori il cane o alla commessa della
tabaccheria.
«Dietro quelle serrande c'erano le calzature Modenesi. Sì, erano specializzati in pantofole e in scarpe
classiche». Quando una strada entra in crisi - anche se è fra le più famose in una città che da secoli compra
e vende - chi sta ancora bene ha voglia di andarsene, perché una vetrina chiusa danneggia quella che resta
aperta. (segue dalla copertina) TORINO Un centro Tim ha trovato un'altra strada, si è trasferita anche l'ottica
Cavalli. Arrivi in piazza Cln e anche qui ci sono i buchi neri. Se ne sono andati la profumeria Piera Giordano,
il Plaisir che vendeva tutto per "la salute del corpo", e anche "Pantaloni e pantaloni". Svolti in via Roma- la via
Condotti di Torino - e vedi i segni lasciati dalle insegne divelte. "Affittasi", annuncia un grande cartello su
quello che era il negozio di Cartier. Chiuse le vetrine sfavillanti di due gioiellerie, Fasano e Palmerio, dove
migliaia di torinesi avevano comprato le fedi per il matrimonio e lasciato gli occhi sugli altri gioielli.
«E stiamo parlando - raccontano Antonio Carta e Morena Sighinolfi, presidente e direttore della
Confesercenti sotto la Mole - delle strade più ricche della città. Immagini cosa succede nelle periferie». I
numeri parlano chiaro. Nei soli due mesi di gennaio e febbraio nel capoluogo il saldo fra aperture e chiusure è
stato di meno 231 per i negozi e meno 250 per le «somministrazioni», vale a dire bar, ristoranti, pizzerie,
kebab... Ogni giorno 15 serrande non vengono rialzate. «In centro la crisi è provocata dal caro-affitti e dal
fatto che i clienti sono attratti dai grandi centri commerciali che, da gennaio, hanno deciso di restare aperti
tutte le domeniche». La vicenda degli affitti in centro ricorda la favola della rana di Fedro, che si gonfiava per
sembrare grossa come un bue. I proprietari dei muri hanno continuato ad aumentare i prezzi - in via Roma e
dintorni 150 ma anche 200 euro al metro quadro ogni mese, e così per 100 metri si debbono pagare fino a 20
mila euro - con il risultato di avere centinaia di proprietà «scoppiate» e senza reddito. «Ormai solo i grandi
marchi - dice Antonio Carta - riescono a resistere in centro. I negozi appartengono per il 90 per cento ad
assicurazioni e banche che - mi ha spiegato un loro dirigente - preferiscono lasciarli sfitti piuttosto di
abbassare i prezzi, per "non deprimere il mercato". Fino al 2011 c'erano tante chiusure ma il numero di chi
apriva era superiore. Questo perché i genitori, con la liquidazione della Fiat e la pensione, costruivano un
posto di lavoro per il figlio, aprendogli un negozietto o una videoteca. Ora quei soldi sono finiti. E migliaia di
operai in cassa integrazione, con il 30 per cento di reddito in meno, non possono certo fare investimenti:
fanno fatica a fare la spesa». Le strade con le serrande bloccate ci sono «anche perché alcuni commercianti
hanno fatto degli errori». «C'è stato qualche collega - racconta Franco Orecchia della Vestil, negozio di
abbigliamento di tre piani in piazza Statuto - che per ridurre i costi ha abbassato la qualità. Ed ha pagato
caro. Se unoè abituatoa cenare in un buon ristorante, con la crisi non va al fast food. Torna al ristorante, ma
solo quando se lo può permettere. Così succede nell'abbigliamento. Se sei servito bene, compri meno capi
ma non cambi negozio». Diciassette dipendenti più quattro della famiglia. «Qui trovi abiti da 480 a 3.500 euro.
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Solo per la taglia 50, ad esempio, lei può scegliere fra 200 pantaloni diversi. Investire nell'offerta è un obbligo:
il cliente che non trova ciò che vuole va a cercarlo da un'altra parte». Vetrine illuminate dal 1957 ma aperte al
nuovo. «Al secondo piano ho un angolo dedicato a pasta, salse e vino di alta qualità. È un'offerta che
funziona nelle librerie. Perché non provare anche noi?».
C'è anche chi, pur puntando sulle eccellenze, si deve arrendere. «In tutta la mattinata - dice Luciano
Ferrarese, con mini market in via Cibrario - ho incassato 40 euro. Ho frutta e verdura biologiche e anche se
siamo a marzo i primi meloni di Mantova. Le colombe pasquali sono di pasticceria. Fino a due anni fa in
questi giorni le avevo esaurite, quest'anno non ne ho venduta una». Luciano Ferrarese, negli anni buoni, si è
comprato i muri.
«Anche senza pagare l'affitto, devo chiudere. Con gli incassi troppo magri, uso la mia pensione per pagare le
spese generali. E me ne vado senza "liquidazione", perché la licenza con la legge Bersani non si vende ma si
riconsegna gratis in Comune. L'avevo comprata nel 1985, con 50 milioni di lire. Allora avrei potuto comprarmi
due piccoli appartamenti. Ma non oso lamentarmi, c'è chi sta peggio. Vedo dei miei ex clienti che all'alba
vanno a cercare nei cassonetti...».
«Lo spartiacque - dicono Antonio Carta e Morena Sighinolfi della Confesercenti - arriverà a Pasqua. Se non
ci sarà una ripresa dei consumi, altre centinaia di saracinesche si abbasseranno in pochi giorni.
Sarà un disastro. Noi curiamo i bilanci delle imprese e nell'ultimo anno abbiamo rilevato un dato allarmante:
non chiudono solo le aziende con problemi - mutui troppo alti, esposizioni bancarie, merci sbagliate - ma
anche quelle finanziariamente sane e con una buona clientela. Questo significa che le famiglie stanno
davvero finendo i soldi: hanno rinunciato prima al voluttuario (scarpe, jeans ...) poi agli alimentari, con tagli
alla carne, alla verdura, al pesce. Ora chiudono bar e pizzerie: devi fare i conti prima di andare a prenderti un
caffè».
C'è chi la crisi la può pesare a quintali. «Prima vendevo - racconta Luigi Frasca, titolare della "Bottega della
carne, Da Natalino" - due mezzene di vitello piemontese, 260 - 270 chili l'una - alla settimana.
Adesso ne vendo solo una. Chi vendeva una mezzena, ora vende un quarto. I miei genitori e i miei nonni con
la macelleria si compravano le case e le macchine e facevano studiare i figli. Noi facciamo fatica a stare in
piedi». A Porta Palazzo, nella galleria Umberto I, Gianni Berteti dice di avere cambiato mestiere. «Vendo
profumi ma soprattutto faccio lo psichiatra. Vengono in bottega colleghi e clienti che mi raccontano che così
non si può andare avanti, che se devi scegliere fra la pastasciutta e un profumo ovviamente scegli il cibo. Si
sta qui a parlare e il registratore di cassa resta muto».
Qualche serranda è chiusa (un ristorante, il negozio del primo cinese arrivato a Torino...) e le altre vetrine
sono ancora illuminate. Ma nessun passo di cliente viene a disturbare il silenzio nella galleria. ©
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Milano
Più temporary shop e bio e crescono gli stranieriSe in città regge il quadrilatero della moda, dove nei cortili degli antichi palazzi nascono caffè e bar di stile,
l'anno scorso hanno chiuso 1462 tra negozi e pubblici esercizi, altri 129 nei primi due mesi di quest'anno. Ma
quello che preoccupa gli addetti è che rallentano le nuove iscrizioni, e tra chi apre sono sempre di più gli
stranieri.
«Ora sono il 26% delle imprese al dettaglio, dal 2000 ad oggi, invece, i titolari italiani sono calati del 20%:
3.000 imprese», sottolinea la Confcommercio. Si moltiplicano, in centro, i temporary shop, escamotage per
vendere evitando i contratti di affitto lunghi e costosi. Sul fronte del cibo hanno chiuso ristoranti modaioli
mentre cresce la voglia di bio
Roma
Bar e alimentari serrati le griffe si moltiplicanoLa capitale ha decisamente la maglia nera delle chiusure con 3508 esercizi che hanno abbassato per sempre
la saracinesca nel 2012, dicono i dati della Camera di Commercio, altri 356 da gennaio. La maggior parte
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sono negozi, 2648, soprattutto abbigliamento e piccoli alimentari, ma anche i pubblici esercizi: 860 bar e
ristoranti. Tra questi locali storici come Cesaretto, in via della Croce, frequentato dal mondo del cinema negli
anni d'oro, mentre in tutto il centro, anche a causa degli affitti astronomici, c'è l'assalto delle griffe
internazionali che prendono il posto di storiche botteghe. Come Louis Vuitton, che ha aperto un megastore al
posto di un negozio di lane in piazza San Lorenzo in Lucina
Firenze
Nasce la fidelity card per sconti di quartiereA Firenze chiudono le botteghe e negozi di antica tradizione nel capoluogo toscano, e lasciano il posto ai
grandi marchi, alle griffe internazionali capaci di pagare affitti a molti zeri. Ad esempio, lo storico negozio di
calzature Raspini verrà sostituito da Prada. Per combattere la crisi cresce l'inventiva e così, partendo dall'idea
dei negozianti del mercato di Sant'Ambrogio, allargandosi fino a tutto il rione, è nata la fidelity card di
quartiere, con sconti applicati dagli alimentari al farmacista, come fossero un unico supermercato.
Nel 2012 sono stati 593 i negozi che hanno cessato l'attività, mentre 129 erano pubblici esercizi.
Tra gennaio e febbraio 2013 altre 69 chiusure
Rovigo
Il corso vietato alle auto via il 30% degli eserciziMaglia "grigia" per Rovigo che con il 29% di negozi chiusi segue Cagliari come città più desertificata d'Italia
nel primo bimestre 2013 (dati Confesercenti). Nel 2012 a Rovigo si erano ritirati 77 commercianti, di questi 53
avevano negozi e 24 bar o ristoranti. Il genere dei negozi che abbandonano? Dall'abbigliamento alla
bigiotteria, fino dall'ottica e alle gelaterie, una crisi che sembra coinvolgere quasi la totalità dei settori
commerciali. Per molti commercianti una causa di tanta desolazione è anche da imputare alla chiusura del
corso principale alle auto, tanto che si sono rivolti direttamente al sindaco per protestare
Cagliari
Uno su tre non ce la fa reggono le mega cateneCagliari è una città tristemente da Guinness, per quel che riguarda i negozi chiusi. Uno su tre abbassa la
saracinesca. Nella città sarda, nel 2012, per la Camera di Commercio Milano che ha studiato la situazione
nazionale, hanno abbandonato l'attività 289 attività commerciali di cui 219 negozi e 70 tra bar e ristoranti.
Nella città dove i negozi spariscono come fantasmi nel primo bimestre 2013 si sono ritirati il 31% dei
commercianti. Serrande chiuse in strade come via Garibaldi, via Manno e Largo Carlo Felice. La causa è
legata sicuramente gli affitti che, nel centro vanno dai 1500 ai 12 mila euro Resistono solo le catene
commerciali nazionali e internazionali. A faticare di più sono le piccole e medie superfici
Palermo
Contro le super locazioni zona franca dalle tasseNelle strade del centro storico di Palermo, da via Bandiera a corso Vittorio, giorno dopo giorno chiudono
botteghe, negozi storici e le serrande abbassate sono ormai la maggioranza. L'anno scorso tra crisi e caro
affitti hanno chiuso 934 negozi di cui 148 bar e ristoranti, altri 113 nel primo bimestre 2013.
E davanti a questa situazione l'Associazione libera impresa sta portando avanti l'idea di convincere il
comune a creare una zona franca dalle tasse per rivitalizzare gli affari. E sempre più spesso si ripetono le
degustazioni offerte dai commercianti per attirare l'attenzione del comune e dei cittadini sulla necessità di una
zona pedonale per far rinascere il commercio
PER SAPERNE DI PIÙ www.confesercenti.it www.camcom.gov.it
Foto: LE SARACINESCHE Alcune strade "svuotate" nel centro di Torino, in basso a destra via Amendola
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La riforma Sicilia, addio alle Province regge l'asse Crocetta-grillini Cancellate le elezioni. Il presidente: vince il nostro modello EMANUELE LAURIA PALERMO - Il modello Sicilia resiste anche nelle sabbie mobili dell'Assemblea regionale, tradizionale teatro
di imboscate e franchi tiratori: l'asse fra la maggioranza di centrosinistra guidata da Rosario Crocetta e i
grillini fa passare la legge che abolisce le Province. Mentre a Roma continua l'onda lunga delle polemiche sul
contributo dei "traditori" di M5S all'elezione del neo presidente del Senato Pietro Grasso, a Palermo «5 stelle»
e Pd superano insieme in aula la prova di sei voti segreti e producono una riforma che, per una volta, pone
l'isola all'avanguardia.
Rosario Crocetta incassa un successo non facile. Si era spinto avanti, il presidente, annunciando tre
settimane fa in tv, nel salotto domenicale di Giletti, l'imminente abolizione delle nove Province siciliane.
Omettendo di aggiungere che, per raggiungere un risultato del genere, sarebbe servita non solo una delibera
di giunta, ma una legge approvata dal riottoso Parlamento di Palazzo dei Normanni. E il primo testo varato
dal governo regionale di Crocetta era stato pure bocciato informalmente dal commissario dello Stato, l'organo
che giudica la costituzionalità delle leggi siciliane. Alla fine il presidente si «accontenta» di una riforma che
non cambia subito le cose ma indica una direzione precisa: vengono cancellate le elezioni di fine maggio ed è
stabilito che al posto delle Province nascono (o meglio ritornano, visto che sono previsti dallo Statuto
siciliano) i liberi consorzi dei Comuni. Organismi che non saranno più figli delle urne, ma avranno vertici
scelti, al loro interno, dai sindaci dei territori interessati. Ora l'Ars avrà tempo sino al 31 dicembre per dare
contenuti, attraverso una normativa specifica, al provvedimento. Nel frattempo le attuali Province saranno
commissariate. Risparmio stimato: 10 milioni di euro subito (il costo di giunte e consigli), 50 a regime.
L'ostruzionismo del centrodestra, che si è manifestato attraverso interventi-fiume e un continuo ricorso al
voto segreto, si è dissolto nello scrutinio finale: 53 sì, 28 no e un astenuto. Decisivo, con ogni probabilità, il
consenso dei 15 consiglieri grillini. «È stata una nostra vittoria», dice Giancarlo Cancelleri, il capogruppo di
M5S che ricorda come «fino a qualche tempo fa gli intenti di governo e opposizione si limitavano a un
semplice rinvio del voto. Abbiamo sparigliato le carte - afferma Cancelleri - e alla fine Crocetta ha preso in
considerazione la nostra proposta». Il presidente frena («è una vittoria di tutti») ma ammette che «i grillini
stanno dando un sostegno concreto alle riforme.
L'Italia oggi ci guardava: siamo il primo governo a fare una legge del genere». È una collaborazione ormai
stabile, quella di Crocetta e dei grillini che, pur rifiutandosi di far parte della maggioranza di centrosinistra, in
Sicilia stanno contribuendo a scrivere l'agenda della «giunta della rivoluzione», per usare l'autodefinizione del
presidente. Finora M5S si era però limitato a orientare le mosse di Crocetta attraverso mozioni d'aula: la più
importante quella che ha portato la giunta a chiedere al governo americano la sospensione dei lavori del
Muos, il sistema satellitare di Niscemi. Ieri il «modello Sicilia» ha approvato la prima, vera, legge (oggi uno
scontato voto finale). Ed è una legge che, per dirla con il senatore Beppe Lumia, il parlamentare più vicino a
Crocetta, «lancia un segnale al Paese. Proveniente proprio da una regione che è stata sempre considerata
patria di sprechi e cl ientelismo». © RIPRODUZIONE RISERVATA PER SAPERNE DI PIÙ
http://palermo.repubblica.it http://www.ars.sici l ia.i t
Foto: Il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta
Foto: IL TERRITORIO La ripartizione geografica delle 9 province siciliane
20/03/2013 10Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 74
Bilanci bancari in profondo rosso Forti svalutazioni e sofferenze record dopo il diktat Bankitalia. Male i conti Bpm e Carige Il cdg di PiazzaMeda vara le linee guida per la nascita della spa. Genova aumenta il capitale VITTORIA PULEDDA MILANO - La pesante "moral suasion" di Bankitalia sugli accantonamenti a fronte dei prestitie sulla cura
dimagrante dei dividendi (in caso di bilanci in perdita) si è abbattuta con la violenza di un tifone sui bilanci
bancari e il segno rosso è sempre più diffuso.
Ieri è stata la volta di Bpm (-429,7 milioni la perdita netta consolidata rispetto ai 614 di un anno fa) e di
Carige (63,2 milioni il rosso consolidato contro l'utile di 169 milioni del 2011) mentre la Popolare di Sondrio ha
dovuto rettificare il tiro rispetto a quanto aveva già comunicato a fine dicembre e ora «rileva un possibile
scostamento tra la previsione relativa al dividendo» e all'utile netto formulato a suo tempo. In rosso anche il
Credito Valtellinese (322 milioni la perdita) che di conseguenza non distribuirà cedole ai soci. Del resto, oltre i
moniti di Bankitalia, ieri l'Eba ha ricordato che se Basilea 3 entrasse in vigore adesso (c'è tempo per il
rafforzamento entro il 2019) le banche europee dovrebbero aumentarei mezzi propri di altri 112,4 miliardi di
euro mentre l'Abi ha reso noto che le sofferenze lorde in Italia sono ancora salite in gennaio, a 126,1 miliardi.
Tornando a Piazza Meda, la Bpm ha approvato un bilancio consolidato che risente di pesanti
accantonamenti prudenziali sui crediti, svalutazioni degli avviamenti e oneri straordinari relativi al Fondo di
solidarietà (per gli esuberi) mentre l'attività tipica, senza le voci straordinarie, è stata più che positiva: il
risultato di gestione "normalizzato" infatti risulta in crescita del 66,1%. Anche in questo caso, hanno pesato le
indicazioni emerse dalla verifica ispettiva di Bankitalia, mentre aumenta il margine di interesse (+4,2%). Ma il
consiglio di gestione di Bpm ha approvato anche altre misure corpose, a partire dall'aumento di capitale da
500 milioni (per ripagare i Tremonti bond) il cui avvio è atteso entro il prossimo ottobre (e che ha già un
consorzio di garanzia per l'eventuale inoptato). Inoltre, il cdg ha varato le linee guida del progetto di
trasformazione della Bpm in spa, seppur stemperata da alcuni elementi di cooperazione. I dipendenti infatti
avranno diritto all'assegnazione gratuita di azioni Bpm attraverso un aumento di capitale riservato (fino ad un
massimo del 10%) inoltre è prevista la creazione di una Fondazione onlus riservata ai dipendenti e
pensionati, che avrà una dotazione iniziale di 10 milioni e ogni anno potrà contare su un contributo pari al 5%
degli utili della banca (e inoltre potrà nominare tre consiglieri del cds su 15, mentre altre due liste di
minoranza eleggeranno complessivamente altri tre consiglieri).
Più contenuto il rosso di Carige, su cui pesano le controllate assicurative (che chiudono con un rosso di 151
milioni dopo gli accantonamenti per riserve sinistri chiesti dall'autorità di vigilanza).
La banca ha anche approvato un rafforzamento del capitale per complessivi 800 milioni, da realizzarsi entro
il 31 marzo 2014. La delega all'aumento sarà chiesta confidando tuttavia che l'importo reale da eseguire «sia
il più possibile contenuto» grazie al piano di dismissioni. E infatti in primis si cercherà di vendere le due
assicurazioni (valore stimato tra 4 e 600 milioni), partendo peraltro dal ramo danni. Entro il primo semestre
insieme agli advisor Leonardo & Co e Mediobanca verrà fatta la ricognizione degli altri asset vendibili,
essenzialmente gli immobili e la quota nell'Autostrada dei Fiori. Ove non bastasse si realizzerà nel primo
trimestre 2014 un aumento di capitale fino ad arrivare a 800 milioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA
COSTRUZIONI
20/03/2013 24Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)
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Il retroscena Il ministro chiede uno sconto per i consumatori con la prossima revisione in base al decreto"Cresci-Italia" Gas, Passera in pressing sull'Authority "Le bollette devono scendere giàad aprile" Il piano di riduzione in più tappe, che porta a un risparmio del 6-7% nel 2013, non convince del tutto ilgoverno LUCA PAGNI MILANO - Tra gli addetti ai lavori c'è chi sostiene che il ministro lo faccia per cercare visibilità, magari in vista
di un qualche prossimo incarico politico, grazie a un tema quanto mai popolare.
Ma non è passato inosservato il pressing con cui Corrado Passera ha chiesto - in più di una occasione - un
taglio alle bollette dal gas. Anzi, l'ex numero uno di Intesa Sanpaolo, ora titolare del ministero dello Sviluppo
economico, si è detto convinto che già con la prossima revisione trimestrale della componente variabile della
bolletta del metano i consumatori pagheranno di meno.
Il che dovrebbe avvenire dal primo di aprile. «Anche grazie alle liberalizzazioni del mercato del gas varate
con il decreto CresciItalia, dal prossimo trimestre si avranno risparmi in bolletta», ha dichiarato Passera
presentando solo pochi giorni fa la Strategia energetica nazionale, proprio il documento che il governo Monti
lascia al prossimo esecutivo con le indicazioni per abbassare i costi dell'energia del paese.
Il pressing del ministro è tutto sulle spalle dell'Autorità per l'Energia. Non è sfuggito il fatto che quello del
ministro sia una sorta di invasione di campo. Anzi, così la stanno vivendo gli uomini dell'authority guidata da
Guido Bortoni, cui spetta il compito della revisione trimestrale per le bollette di elettricità e metano. Ma lo staff
del ministro si dice altrettanto convinto di essere nel giusto. «Stiamo facendo prevalere le nostre ragioni».
Ma cosa sta accedendo? In effetti, il decreto citato da Passera impone all'Autorità di rivedere la
composizione della bolletta del gas, calcolando il costo della materia prima non più secondo i prezzi delle
fornitura di lungo periodo (i cosiddetti contratti take or pay) ma secondo il prezzo del mercato "giornaliero"
(contratti spot). Il perché è presto detto: anche in Italia i prezzi spot si sono quasi allineati a quelli del resto
d'Europa, permettendo così un risparmio che potrebbe ribaltarsi sulle bollette. Per la verità, l'Authority ha già
fatto sapere che si andrà in questa direzione, ma con una riforma in tre tappe, che porterà a un primo
risparmio del 6-7% sulla bolletta nel corso del 2013, pari a un risparmio medio per famiglia di 90 euro. Tra
aprile e settembre, per esempio, il peso dei contratti spot passerà dal 5 al 20%. Per poi passare al 100% a
partire dal primo ottobre. E qui si spiegano le pressioni di Passera: a quanto pare considera troppo prudente
l'atteggiamento dell'Autorità, in quanto i risparmi effettivi non potranno che concretizzarsi soltanto con il
prossimo inverno. Ma tutto fa pensare che, per ora, il ministro di debba accontentare. © RIPRODUZIONE
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Foto: AL MINISTERO Corrado Passera, ex ad Intesa, guida lo Sviluppo economico
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BANCHE, SERVE PIÙ VIGILANZA EUROPEA STEFANO LEPRI E'una zuffa sull'orlo del burrone, tipica scena da film americano di serie B, questa che si apre tra il
Parlamento cipriota e le autorità europee. CONTINUA A PAGINA 30 SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Forse i
danni sull'Italia e sugli altri Paesi deboli dell'euro potranno essere contenuti. Però è evidente che non si può
andare avanti a governare l'unione monetaria così: da responsabilità mal ripartite e da strumenti di governo
insufficienti escono compromessi maldestri seguiti da grotteschi scaricabarile, ripensamenti, azzardi vari.
Mettiamo le cose in chiaro: Cipro non ha nessuna intenzione di abbandonare l'euro - ammesso e non
concesso che una uscita non catastrofica sia possibile - perché fuori dall'euro perderebbe il suo ruolo di
paradiso finanziario capace di attrarre capitali sospetti specie dalla Russia. E se la Germania rilutta a
soccorrere più di tanto un Paese dove i depositi bancari si erano magicamente raddoppiati in cinque anni, dal
2006 al 2011, non è facile darle torto. A Cipro, Paese assai meno ricco dell'Italia, i depositi nei forzieri delle
banche sono, rapportati alla popolazione, pari a oltre una volta e mezzo i nostri. Non era affatto assurdo
accollare in parte il risanamento dell'isola a questi ingentissimi capitali di provenienza oscura. Era però iniquo
e crudele estendere il prelievo ai piccoli risparmi dei ciprioti stessi, nella formula ora rigettata da tutti che era
uscita dal vertice europeo. Speriamo che la burrasca nel Mediterraneo orientale non sia tanto forte da
affondare le navi, temibile però abbastanza da far mutare rotta. Innanzitutto, le autorità nazionali di un Paese
dell'unione monetaria non devono più avere il potere di regolare a proprio piacimento il sistema bancario,
lasciando che si lanci in speculazioni sfrenate come in Irlanda fino al 2008, oppure che calamiti capitali da
riciclare in euro come Cipro fino a ieri. Qui Berlino purtroppo predica bene ma razzola male. Giusto rifiutare di
soccorrere con denaro europeo banche spagnole o cipriote la cui sorte è ancora decisa dalle complicità
nazionali tra potere politico e poteri economici, ma allora perché rinviare la supervisione comune della Bce,
perché soprattutto ostinarsi a esentarne le banche locali tedesche, per nulla più pulite di quelle traballanti di
ce r t i Paes i debo l i? A l t ro che Europa c rude le , qu i occor re p iù Europa p ropr io se
vogliamosottrarciallecrudeltàreciprochetraStatitroppopiccoliperresistere alle mostruose distorsioni della
finanza. Il voto del Parlamento di Nicosia fa sospettare che una maggioranza dell'elettorato cipriota voglia
conservare al Paese il ruolo di paradiso finanziario, dannoso a tutto il resto dell'area. Nello stesso modo gli
irlandesi preferiscono pagare più tasse di tasca loro che alzare l'aliquota di favore sui profitti delle imprese,
con la quale si sono attirate a Dublino le sedi di tante multinazionali, sottraendo gettito fiscale a tutto il
continente. Gli indignati di tutto il mondo affibbiano a vari organi tecnocratici la colpa di far prevalere gli
interessi dell'1% più ricco su quelli del 99% della gente. Non è esatto. Di frequente lo strapotere della finanza
passa purtroppo attraverso legittime decisioni democratiche di istituzioni ormai inadatte a governare
economie globalizzate. Il modo più sano, meno doloroso e forse anche meno costoso di intervenire sarebbe
di portare sotto controllo europeo le pericolanti banche cipriote, rinsaldandole con capitale dell'Esm (il
Meccanismo europeo di stabilità): ma non esistono le leggi, non esistono i poteri perché questo possa essere
realizzato. Sarebbe ridicolo se davvero intervenisse la Russia.
20/03/2013 1Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)
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primo piano Padoan: «Nessun contagio per l'Italia ma serve un altro accordo suldebito» «NON CI SONO RISCHI PER I CONTI CORRENTI DEGLI ITALIANI IL DEBITO DEL TESORO PERQUANTO ELEVATO RESTA SOSTENIBILE» Umberto Mancini L'INTERVISTA ROMA «Nessun rischio contagio da Cipro per l'Italia. Ma ora dopo la bocciatura del piano di
salvataggio e del prelievo forzoso bisognerà trovare una soluzione diversa». Non ha dubbi Pier Carlo
Padoan, capo economista e vice segretario generale dell'Ocse, che dà un messaggio inequivocabile ai
mercati e ai risparmiatori. Eppure l'ipotesi di un intervento sui conti correnti, bocciato in extremis dal
Parlamento cipriota ma voluto da Ue e Fmi, aveva sollevato timori di una possibile estensione della misura ad
altri paesi in crisi. Ora torna tutto in alto mare? «La decisione del Parlamento di Cipro cambia la situazione.
Ora, credo, bisognerà cercare un altro accordo per rendere il debito sostenibile, con una distribuzione diversa
dei costi». Altrimenti? «Altrimenti, visto che la prima soluzione indicata non è passata, si potrebbe profilare
l'ipotesi di un default, di una situazione cioè fuori controllo». Con quali conseguenze? «Una situazione da
valutare. Di certo servirà un piano severo». E i riflessi per l'Italia «Non c'è nessuna ragione per credere che
sia possibile un effetto contagio nell'eurozona». Ma così la situazione s'ingarbuglia, secondo lei non si rischia
un nuovo caso Grecia? «La situazione di Atene è stata fin dall'inizio sottovalutata e si è perso fin troppo
tempo per individuare una soluzione. Se fossero stati decisi interventi immediati probabilmente l'impatto
sarebbe stato meno forte e traumatico». Al di là delle decisioni del Parlamento di Cipro, la novità del prelievo
forzoso, anche se al momento congelata, ha fatto salire la tensione sull'isola e anche sui mercati europei. «E'
vero. Ma, ripeto, non c'è nessun rischio per i conti correnti degli italiani. Il rischio di un contagio era ben più
marcato a metà della scorsa estate, poi con le decisioni assunte dalla Bce, ovvero con il paracadute voluto
dal presidente Mario Draghi per contrastare gli attacchi verso i Paesi maggiormente indebitati, la situazione è
tornata sotto controllo». Ci sono però ancora tensioni sullo spread tra Btp e Bund tedeschi e sui titoli bancari?
«Almeno fino a ieri le oscillazioni mi sono sembrate minime. Fisiologiche direi. Vediamo dopo la bocciatura
che cosa accadrà». Qualche malizioso fa notare con una certa evidenza che il prelievo forzoso, circa 6
miliardi, sarebbe stato quasi pari all'esposizione delle banche tedesche verso Cipro. Può essere vero?
«Quando c'è la ristrutturazione di un debito c'è ovviamente una redistribuzione dei costi relativi. Qualcuno
deve sopportare le conseguenze del salvataggio. Non so quanto siano esposte le banche tedesche, pare
invece certo che molti conti a Cipro appartengano a soggetti extracomunitari, soprattutto di nazionalità
russa». Grazie al paracadute di Draghi possiamo stare tranquilli? «I timori di possibili interventi sui conti
correnti sono fuori luogo, ragionevoli ma non realistici. La vera domanda a cui rispondere è se il debito
dell'Italia è sostenibile. E la risposta è che la situazione è pienamente sostenibile, sotto controllo. Certo, è
necessario che il Paese continui a crescere, a svilupparsi perché è solo in questo modo che si possono
onorare i debiti. Pertanto va proseguita la strada delle riforme avviate, puntando allo sviluppo e alla crescita
dell'economia e dell'occupazione». Bisogna accelerare anche sul fronte dell'Unione bancaria? «Questo è un
tema importante. Proprio il caso Cipro deve spingere in direzione di una completa unione bancaria in Europa,
a cominciare dai meccanismi di assicurazione dei depositi».
Foto: Pier Carlo Padoan vicesegretario Ocse
20/03/2013 13Pag. Il Messaggero - Ed. nazionale(diffusione:210842, tiratura:295190)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 78
Cipro boccia la «rapina» ai conti correnti DIECI MOTIVI PER CUI QUESTA EUROPA È IDIOTA Nicola Porro Il caos cipriota si farà sentire nei prossimi anni. Non tanto per le grandezze in gioco, quanto per le modalità
imposte dai ministri finanziari europei. Il problema non è più la crisi delle banche, ma la soluzione individuata.
Vediamo per punti l'elenco delle sciocchezze commesse. A un'impresa che commette un errore, in un
sistema di mercato, viene spazzata via. Regola che non si applica alle banche. Esse ne sono ormai
consapevoli e dunque prendono rischi che per un imprenditore normale sarebbero folli. Le banche cipriote
sono oggi nel fango per un semplice motivo. Hanno investito gran parte dei depositi dei propri correntisti in
titoli greci. Ciò che è chiaro anche a un bambino, non lo è per un manager bancario. Alla prima elementare
spiegano che non conviene mettere le uova tutte nello stesso cesto: se cade, si rompono tutte. Ebbene, le
banche di Cipro hanno massicciamente investito in obbligazioni greche e dunque subito il recente taglio
imposto proprio dai salvataggi europei. Geni. B Cipro ha un'economia che vale 18 miliardi di euro l'anno;
poco meno della metà del Pil dipende dal settore finanziario; a Nicosia ci sono depositi bancari per circa 70
miliardi di euro, di cui la metà sono di stranieri non residenti. La dipendenza di Cipro dall'economia bancaria è
superiore a quella che era per l'Irlanda (altra sommersa e poi salvata dalla Ue). Le banche prestano quattrini
che hanno raccolto. In giro segue a pagina 25 De Palo e Parietti alle pagine 24-25 dalla prima pagina (...) per
il mondo una parte di questa raccolta avviene attraverso obbligazioni e strumenti simili e per un'altra parte
attraverso i depositi bancari. A Nicosia il rapporto è tutto sbilanciato verso i depositi; di obbligazioni in giro ce
ne sono circa 3 miliardi di euro. Non pensate che questa sia un'attività criminale. Autorità internazionali (il
comitato di Basilea tra le altre) sta consigliando agli istituti di tutto il mondo di aumentare la quota di depositi
rispetto a prestiti sul mercato. Lungimiranti. C In questo contesto i cervelloni europei varano un piano di
salvataggio di Cipro pari al suo Pil, ma pretendono che il governo dell'isola tassi i depositi bancari a livelli di e
s p r o p r i o (6,75% per i depositi fino a 100mila euro e 9,9% per quelli superiori): 10mila euro di imposta una
tantum su un deposito di centomila euro. Legando il salvataggio di un'economia a questa tassa si rivoluziona
un principio fondante del nostro sistema basato sul credito bancario. Fino a ieri vi era una gerarchia dei rischi
finanziari ben chiara a chiunque. Le azioni sono le attività più rischiose, seguono le o b b l i g a z i o n i e
ultimi i depositi bancari. D Nel 2008, causa crisi americana dei subprime, in Europa si diffonde il panico
bancario: il rischio è la corsa alla sportello. Non ci si fida più della solidità della propria banchetta. Che ti
inventano i nostri accorti politici? La garanzia sui depositi fino a 100mila euro (che in Italia già esisteva da un
pezzo). Il messaggio è chiaro: state buoni, quei quattrini non ve li tocca nessuno, non correte a ritirare soldi
allo sportello. Dopo un lustro i medesimi politici non si fanno scrupoli a tosare il 10 per cento della nostra
ricchezza custodita in banca. E I depositi bancari sono frutto (fino a prova contraria) del risparmio accumulato
al netto delle imposte pagate sui propri redditi. Non si creano da soli. Il principio per cui l'Europa e l'Italia li
hanno tutelati e garantiti (certo solo fino a 100mila euro) non è una graziosa concessione statalista, ma nasce
dall'esigenza di canalizzare il risparmio in banca e attraverso questa reimpiegarlo nell'economia. Il tutto si
basa sulla fiducia. Adombrare una tassazione espropriativa sui depositi ha dunque effetti macroeconomici
ben superiori al pareggio di bilancio che gli eurocrati cercano. Si vuole risolvere un problema contingente, un
raffreddore, con una cura di lungo periodo e inadeguata, una chemioterapia. F L'ipotesi di queste ore di
rendere la tassa sotto 100mila euro più bassa e quella sopra 100mila euro più gravosa, mantenendo il gettito
atteso di 5,8 miliardi di euro, non cambia il copione. Il principio viene comunque violato. I risparmiatori,
ricordava Einaudi, hanno memoria di elefanti e gambe di lepre. Singapore ringrazia. Ridurre l'imposta per i
patrimoni più bassi non ha inoltre alcuna giustificazione etica: non sta scritto da nessuna parte che il proprio
conto corrente, inteso come cash depositato in banca, sia una proxi della propria ricchezza. G Tassando i
depositi bancari di Cipro si tassano gli oligarchi russi. Che hanno, si dice, 35 miliardi a Cipro. Interessante
questione razziale: russo, oligarca, dunque mafioso o almeno riciclatore. Non si può ovviamente escludere,
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 79
ma neanche affermare con tanta certezza. E a quel punto non sarebbe stato più sano azzerare il loro
investimento azionario (i russi sono anche azionisti delle banche cipriote) e dunque rispettare il corretto
funzionamento della gerarchia dei rischi finanziari? Tanto più che gli investitori russi sono andati a Cipro
(primo Stato che li ha accolti allo scioglimento dell'unione sovietica) attratti dalla solidità dell'euro. Una
credibilità che oggi viene irrimediabilmente persa. H Il parlamento cipriota ha votato contro questa misura.
Così come il fronte europeo sembra oggi meno granitico. Ma il danno è stato fatto. Se l'Italia o lo Spagna
(che ha avuto ingenti aiuti bancari senza alcun taglio ai depositi) dovessero trovarsi in una condizione
disperata, chi ci garantisce che non verrebbe adottata una ricetta simile? i ministri finanziari europei di oggi?
Alla promessa di un politico non ci crede neanche babbo natale, per di più se è stato già colto una volta con
le mani nella marmellata. Tenete a mente questo numeretto: 8mila miliardi di euro, quattro volte il nostro
debito pubblico. È la ricchezza degli italiani. Di cui una gran parte depositata in banca. I Che a Cipro qualcosa
non girasse per il verso giusto si sapeva dal 25 giugno dell'anno scorso, quando il Paese chiese i primi aiuti.
Solo oggi la storia precipita: i mercati tremano, l'euro ha raggiunto i suoi minimi. Per la crisi delle banche? Ma
va: piuttosto per la soluzione trovata. Tanto che in questi sei mesi, dall'annuncio del problema di Nicosia fino
al 17 marzo quando è stato rivelato il piano di tassazione dei depositi, mercati europei ed euro sono cresciuti.
J Eurocrati e politici ciprioti sarebbero da imbavagliare. Si sono comportati come quel killer che avverte la
propria vittima. Hanno annunciato l'esproprio bancario senza prima averlo approvato in Parlamento. Già che
c'erano potevano affidare la comunicazione a Cappuccetto rosso.
Foto: IN TENSIONE Mario Draghi, presidente della Bce [Ansa]
20/03/2013 1Pag. Il Giornale - Ed. nazionale(diffusione:192677, tiratura:292798)
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L'imprenditore torna alla carica Della Valle spacca Rcs «Azioni ai giornalisti» Mr. Tod's: il «Corriere» sciolga il patto di sindacato Bordata su Bazoli: rinunci alla presidenza di Intesa NINO SUNSERI Rottamazioni in via Solferino. Vanno in cenere le trattative con la proprietà del «Corriere della Sera» e i
giornalisti proclamano due giorni di sciopero (oggi e domani). Annuncio di chiusura anche per il salottino dei
grandi azionisti: Diego Della Valle, uscito un anno fa dando un calcio alla poltrona, chiede che la stanza
venga sprangata per sempre. Fuori i suoi quindici ospiti. Primo fra tutti, secondo il patron della Tod's,
Giovanni Bazoli che, a 80 anni, farebbe bene anche a rinunciare alla presidenza di Intesa. Rottamazione per
l'«arzillo vecchietto» e «i suoi compari» che controllano un sistema di potere ramificato e autoreferenziale.
«Individui che non hanno fatto meno danni al Paese della politica della quale, fra l'altro, sono stati spesso
ispiratori e sostenitori». Della Valle parla a «Repubblica». Sullo sfondo l'agitazione dei giornalisti che
respingono il piano di ristrutturazione: l'azienda ne vuole mandare a casa 110 su 360 e togliere i benefit agli
altri. Pensa anche alla chiusura delle sedi estere. Gli azionisti guardano perplessi: devono cacciare 400
milioni di aumento di capitale. Ha senso in queste condizioni? Un passaggio delicatissimo su cui, con la
consueta aggressività irrompe il patron della Tod's. «Rcs è un buon esempio di come non devono essere
gestite le aziende». Per Della Valle il patto di sindacato va sciolto a favore di nuovi azionisti «disposti ad
investire quello che serve e a guidare l'azienda assumendosene responsabilità e rischi». Ovviamente il patron
della Tod's ha già il portafoglio pronto. Possiede il 9% del gruppo editoriale e non ha mai pesato. Ora è il
momento di passare all'attacco di fronte al moltiplicarsi dei problemi. Ha i soldi e la voglia di impossessarsi de
«il Corriere della Sera». Bazoli, invece, pensa ad una fondazione cui conferire la proprietà. Un disegno
difficile contro il quale Della Valle si scaglia con veemenza: «Sento nell'aria che qualcuno sta tentando di far
credere ai giornalisti di essere il dominus della situazione Rizzoli, per cercare magari di intimorire le persone
che ci lavorano o di averle più disponibili». Un'apertura verso i giornalisti in sciopero: «Trovo corretto che
venga destinata una quota di azioni ai dipendenti». Sullo sfondo i traffici fra la galassia Fiat, Mediobanca,
Generali e la dinastia dei Botin, azionisti del Santander. Ma soprattutto ex proprietari di Recoletos (filiale
spagnola madre di tutte le disgrazie). Hanno venduto la casa editrice alla Rcs poco tempo dopo averla
comprata dagli inglesi di Pearsons con una manovra che ricorda molto da vicino l'operazione Antonveneta
con Mps. Nel frattempo Ana Botin è consigliere di Generali, azionista di Rcs. A fare da advisors Mediobanca
e Lazard di cui è responsabile un altro membro della dinastia. Una girandola da far venire il mal di testa. Ma
Rcs ha il debito alla gola.
Foto: Diego Della Valle vuole aprire il capitale Rcs a nuovi investitori (Fotogramma)
20/03/2013 23Pag. Libero - Ed. nazionale(diffusione:125215, tiratura:224026)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 81
Un mercato unico Euro-atlantico. Ecco l'arma per la ripresa PERCHÉ BRUXELLES PUNTA TUTTO SULL'ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO CONWASHINGTON.PARLA IL COMMISSARIO DE GUCHT Bruxelles. Liberalizzare la circolazione di merci e servizi attraverso l'oceano Atlantico è al momento la
strategia più adatta per agganciare la ripresa economica. Con l'Unione europea che fatica a uscire dalla più
grave crisi dagli anni 30 a oggi, e lo spirito riformatore che s'affievolisce nei diversi stati membri, infatti, un
accordo di libero scambio con gli Stati Uniti è quanto di più concreto circoli nei palazzi di acciaio e vetro di
Bruxelles, sicuramente più di decine d'impegni un po' vaghi presi finora ai vertici intergovernativi dell'Ue.
Certo, un "Free trade agreement" del genere non avrebbe effetti immediati, né assicurerebbe l'automatico
riequilibrio delle economie all'interno dell'Eurozona - ha fatto capire il commissario al Commercio Karel De
Gucht intervenendo nel fine settimana a un seminario dello European Journalism Centre cui il Foglio ha
partecipato - ma fornirebbe una boccata d'ossigeno all'Europa. "Il commercio è importante per l'Europa, anzi
è necessario - dice il belga De Gucht - Nel 2011 e nel 2012 ha sostenuto le sorti dell'Unione generando da
solo un tasso di crescita dello 0,6 per cento, e quindi attutendo gli effetti della recessione". Non solo: "La
bilancia commerciale europea è sostanzialmente in pareggio, importazioni ed esportazioni si equivalgono. Se
sommiamo manifattura, servizi e agricoltura, il nostro surplus è di 400 miliardi di euro nel 2011, esattamente
quanto ci occorre, per esempio, per pagare gas, petrolio e altre materie prime minerali che siamo costretti a
importare". Nel febbraio scorso il lavoro dietro le quinte di De Gucht e della sua controparte americana, Ron
Kirk, ha portato così alla dichiarazione congiunta del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, del
presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, e del presidente del Consiglio Ue, Herman Van
Rompuy, e all'ufficializzazione dell'avvio del negoziato tra Bruxelles e Washington "per un partenariato
transatlantico su commercio e investimenti". Secondo uno studio indipendente commissionato dall'esecutivo
dell'Ue - ricorda De Gucht - a regime le esportazioni europee crescerebbero del 28 per cento, e in definitiva
"un accordo ambizioso potrebbe portare guadagni economici per 119 miliardi di euro all'anno per l'Ue e di
circa 95 miliardi per gli Stati Uniti. Ciò vale mezzo punto di pil aggiuntivo all'anno". La classica rimozione delle
tariffe, tra due economie mature e integrate come quelle a cavallo dell'Atlantico, non sarà in realtà il piatto
forte dell'intesa. Innanzitutto si tratterà di aprire i mercati d'investimenti, servizi e appalti pubblici. Ricordando
per esempio, si legge nei documenti della Commissione, che "le aziende europee la cui attività dipende dagli
appalti pubblici rappresentano il 25 per cento del pil e 31 milioni di posti di lavoro". Se il mercato degli appalti
a stelle e strisce si spalancasse davvero, magari sulla scorta di quanto concesso dal Canada che è in
trattative molto più avanzate con Bruxelles, le opportunità non sarebbero poche. In secondo luogo, bisognerà
appianare differenze regolatorie e ostacoli non tariffari, tra cui le norme relative ad ambiente o sicurezza. De
Gucht ci tiene a precisare che non ci saranno cambiamenti alla legislazione restrittiva dell'Ue su materie
sensibili come gli organismi geneticamente modificati (ogm) e gli ormoni per animali, ma poi lascia intendere
che qualche concessione a un ambiente meno regolamentato come quello americano andrà pure fatta. Il
settore delle auto è quello che il suo staff porta sempre come esempio, visto che sarà anche tra quelli che si
avvantaggerà di più dall'accordo: ha senso che un'auto costruita e testata per gli standard di sicurezza in
Europa debba essere nuovamente testata in terra americana? O che un motore costruito negli Stati Uniti ed
esportato per assemblare un'auto in Europa debba sottostare a dazi? Chiedete a Sergio Marchionne, ad del
gruppo transatlantico FiatChrysler: risponderà che un accordo di libero scambio sarebbe una manna dal
cielo. Idem per le Case tedesche, alcune delle quali hanno da tempo fabbriche negli Stati Uniti (come
Volkswagen e Bmw), mentre meno contente - osservano gli analisti - potrebbero essere le concorrenti
francesi. A Bruxelles si ragiona già sulla "tempistica ottimale" per chiudere l'intesa: una volta che il Consiglio
dei 27 capi di governo avrà approvato le "direttive di negoziato" proposte dalla Commissione, cioè entro
l'estate, saranno sufficienti "due anni" per limare ogni divergenza tra Bruxelles e Washington, questo
20/03/2013 3Pag. Il Foglio(diffusione:25000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 82
l'obiettivo (non ufficiale) cui punta la Commissione. "I benefici per Stati Uniti ed Europa non saranno realizzati
a spese di altri partner globali, anzi". E' il caso della Cina, anche se oggi "non è il momento di discutere un
accordo di libero scambio con Pechino che esita perfino a garantire il libero accesso degli investimenti". E se
si avvantaggiasse troppo Berlino? Diverso, e più politicamente sensibile, il discorso sulla distribuzione di
vantaggi e svantaggi all'interno dell'Ue. "Le resistenze all'accordo nascono dalle differenze tra stati: alcuni
sono in surplus, come la Germania, altri in deficit - prosegue De Gucht - Inoltre, mentre i benefici saranno
piuttosto diffusi, gli svantaggi saranno concentrati in alcuni settori precisamente localizzati". Ciò detto, "questo
accordo di libero scambio, più di altri dello stesso genere, offrirà benefici che sarà possibile distribuire
equamente. Gli Stati Uniti infatti sono un mercato dove la certezza del diritto è massima, perciò aperto a tutti i
concorrenti". Toccherà ai paesi membri, dunque, saper cogliere le occasioni di espansione. De Gucht fa
l'esempio di Portogallo e Spagna, paesi aiutati da programmi ufficiali dell'Ue (Madrid solo per il settore
bancario), che già oggi starebbero guadagnando in produttività e migliorando la loro bilancia commerciale:
"Nel lungo periodo, però - ammette De Gucht che pure non fa mistero di essere sostenitore di una cura fatta
di austerity e riforme per i paesi del Mediterraneo - la riduzione del costo del lavoro non è la soluzione.
Piuttosto, attraverso investimenti in formazione, ricerca e sviluppo, occorre attrezzarsi per esportare prodotti
ad alto valore aggiunto". Il traguardo non è ugualmente distante per tutti, però. Non rischia forse quest'intesa
di premiare i grandi paesi esportatori, Germania in primis, che in molti casi hanno già visto aumentare
dall'inizio della crisi il loro saldo commerciale? De Gucht non conferma, ma risponde con diplomazia: "La mia
responsabilità riguarda il commercio estero. E' vero però che il lavoro di altre direzioni generali, come quella
per il Mercato interno che dovrebbe spingere gli stati sulla via delle liberalizzazioni di servizi e professioni (lo
suggerì nel 2010 il Rapporto di Mario Monti per Barroso), procede più a rilento. Dovremmo fare di più in
questo senso". Altrimenti, ma questo lo aggiungiamo noi, nemmeno un accordo di libero scambio con gli Stati
Uniti contribuirà a rendere più equilibrato il processo di aggiustamento (di conti pubblici e competitività) in
corso da mesi in Europa. Twitter @marcovaleriolp
20/03/2013 3Pag. Il Foglio(diffusione:25000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 83
Ue Accordo tra l'Europarlamento, la Commissione europea e i governi sulla creazione del supervisore unico Passi in avanti per l'avvio dell'unione bancaria Accordo raggiunto per un significativo passo avanti nella creazione dell'unione bancaria tra l'Europarlamento,
la Commissione europea e rappresentanti dei governi che compongono il Consiglio Ue. In particolare è stata
raggiunta l'intesa sul supervisore unico per le banche europee. I capi di Stato e di governo Ue avevano
acconsentito lo scorso anno alla creazione di un organismo di supervisione bancaria sotto l'egida della Banca
centrale europea. Le leggi gettano le basi per creare dopo il 2014 un fondo comune di garanzia sui depositi
bancari e un'autorità che avrà il potere di sciogliere e salvare le istituzioni finanziarie. L'accordo giunge a
pochi giorni dalla decisione dell'Eurogruppo di obbligare Cipro a un prelievo forzoso sui depositi delle banche
del Paese in cambio dell'erogazioni di aiuti per evitare il default. L'accordo tra il Consiglio europeo e
l'Europarlamento sulla supervisione unica bancaria «è un passo verso la costruzione di un'unione bancaria»,
ma quanto sta succedendo a Cipro dimostra che «non è ancora sufficiente». È il commento all'intesa
rilasciato dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, che ha ricordato come l'unione bancaria sia
necessaria per «ripristinare la fiducua economica nell'Europa e spezzare il circolo vizioso tra le banche ed i
bilanci nazionali». Un circolo vizioso che, secondo Schulz, «è ampiamente responsabile della recessione,
della povertà e della disoccupazione in molti Paesi». Il meccanismo di supervisione unica da affidare alla Bce
tuttavia non basta. «Gli angoscianti problemi che Cipro affronta - ha avvertito il presidente
dell'Europarlamento - dimostrano questo passo in sè sia insufficiente. Abbiamo bisogno di un meccanismo
unico di risoluzione» che affronti il problema del fallimento delle banche e di «uno schema di garanzia dei
depositi»: in assenza di questo, per il momento «dovremmo almeno armonizzare con urgenza gli schemi
nazionali». Anche il Parlamento Ue dice sì alla supervisione bancaria unica sotto la Bce, e con lo stesso
impianto con cui l'aveva definita l'Ecofin di dicembre. In base all'accordo definito all'Ecofin di dicembre, dal 1
marzo 2014 la Bce avrà il potere di monitorare tutte le banche della zona euro - e dei Paesi fuori dalla moneta
unica che aderiranno all'unione - con asset per almeno 30 miliardi di euro o che rappresentano il 20% del pil
del Paese. L'accordo raggiunto con il Parlamento Ue non modifica queste caratteristiche ma concede un
ruolo maggiore al Parlamento nella nomina del capo e del vice del Consiglio dei supervisori, il nuovo
organismo della Bce incaricato della sorveglianza. Inoltre, rafforza la protezione dei Paesi non-euro che
volessero partecipare alla supervisione.
Foto: Bce Il presidente Mario Draghi
20/03/2013 13Pag. Il Tempo - Ed. nazionale(diffusione:50651, tiratura:76264)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 84
Il modello preferito dalla Germania alla vigilia del voto L'impoverimento dell'Italia e l'arricchimento tedesco STEFANO CINGOLANI* Oggi a Cipro, domani a Roma? L'Eurogruppo ha escluso che il prelievo forzoso sui conti in banca possa
essere esteso ad altri Paesi. Eppure la domanda da brivido resta appesa sulla nostra testa come una spada
di Damocle. Alcune dure e chiare uscite di autorevoli esponenti del Modell Deutschland fanno capire che è
proprio quel che importanti ambienti economici e politici tedeschi pensano di propinare all'Italia. C'è stato
l'ukase di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: l'Italia non ha i titoli per chiedere un aiuto della Bce
se non prosegue sulla strada del rigore e delle riforme. E c'è la campagna sulla ricchezza degli italiani che
tambureggia sui giornali economici. Per spiegare che non siamo come la Grecia, più volte abbiamo
sbandierato la nostra ricchezza patrimoniale e finanziaria. Bene, bravi - replicano adesso i tedeschi - allora
pagate. Lo spiega Joerg Kramer, capo economista di Commerzbank e suggerisce anche come. La ricchezza
finanziaria italiana è pari al 175% del Pil, quella tedesca è solo al 125%. Una patrimoniale del 15% potrebbe
riportare il debito italiano sotto quota 100. L'imposta dovrebbe essere accoppiata a un prelievo straordinario
una tantum su depositi e titoli, insomma una cura Amato '92, ma ancor più amara. Il modello Cipro. Il tutto
sullo sfondo della propaganda anti-euro che fa proseliti tra economisti, industriali, banchieri, riuniti
nell'associazione Alternativa per la Germania.Il tam tam cresce e si fa assordante. Finora la Cancelleria
resiste. Anzi, preoccupata, lancia segnali accomodanti. Dice che l'Italia ha tutto il diritto di fare investimenti
produttivi in deficit se mantiene il disavanzo totale sotto il 3% e conferma il surplus al netto degli interessi. Ma
il voto s'avvicina e l'ordalia punitiva conquista gli elettori (non solo i conservatori). Dunque, la sindrome
cipriota non è affatto un esercizio di scuola. Del resto, la patrimoniale è scritta nel programma del Pd e la
chiedono gli stessi grillini. Dunque, i tedeschi saranno anche perfidi, però non si inventano nulla. È questa la
via d'uscita?La patrimoniale suscita naturalmente l'avversione dei ceti medio-alti. Economisti che, citando
Einaudi, non sono contrari, rammentano l'enorme difficoltà di acchiappare la ricchezza finanziaria, mobile di
per sé. «Il capitale è un ectoplasma», diceva Joan Robinson, musa del keynesismo di sinistra. Quanto agli
immobili, l'Imu è già una patrimoniale, dunque è difficile che possa esserne imposta un'altra. Alla fine della
fiera resta il prelievo forzoso sui risparmi e sui depositi bancari. Esattamente come a Cipro. Verrebbe pagato,
non dai ricchi che polverizzano i loro patrimoni in una miriade di società, ma dai cassettisti che hanno
comprato titoli Eni, Enel, Generali, o da quello che una volta si chiamava Bot people.E cosa riceverebbero in
cambio? La crescita, l'allentamento della stretta, la riduzione delle aliquote? In tal caso, potrebbe anche
diventare un patto vantaggioso, almeno nel medio periodo. No, otterrebbero la stessa politica di austerità,
precondizione per stare nell'euro, esattamente come dice Weidmann. Uno scambio ineguale tra
impoverimento dell'Italia e arricchimento della Germania che continua ad attrarre capitali in cerca di rifugio
sicuro, grazie all'euro forte, al merito di credito e alla deflazione salariale. A queste condizioni, a Roma ci
vorrebbe un governo che dicesse chiaramente no, ribaltando la frittata.Ci vorrebbe. Se non c'è, allora
comanda chi può e chi sa. La politica non ammette vuoti. Sarà per questo che anche Mario Draghi si sta
prudentemente spostando verso la Bundesbank?
20/03/2013 13Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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La Bce ha difeso il debito pubblico ma ha abbandonato a se stessa l'economia produttiva Salvi gli stati, ma ko le imprese Le banche tagliano i prestiti, mentre lo Stato non paga UGO BERTONE Da anni, come è comprensibile, l'attenzione generale è concentrata sul debito pubblico italiano. Minore
attenzione, almeno a livello dell'opinione pubblica, è stata dedicata al debito delle imprese pur salito alla
quota non tranquillizzante dell'85% del Pil. Una percentuale che contrasta con la montagna di cash
accumulata dalle imprese Usa presenti nell'indice S&P, ma anche con la situazione assai più robusta delle
aziende tedesche presenti nell'indice Dax. Senza dimenticare che, in entrambi i casi, il costo di finanziamento
reale per il sistema produttivo è inferiore di 3-4 punti percentuali.A fronte della rete protettiva che la Bce ha
steso a difesa del debito pubblico, poi, si segnala il vuoto di interventi sul fronte dell'economia produttiva: le
banche, a corto di capitali, hanno tagliato nel 2012 i prestiti alle imprese per 38 miliardi, un trend che tende ad
accelerare nei primi mesi del 2013; le amministrazioni pubbliche, tra lungaggini burocratiche (molti enti non
sono in grado di garantire la certificazione dei crediti prevista per legge) e limiti di cassa, continuano a non
pagare l'enorme debito accumulato verso le imprese, almeno 71 miliardi di euro.Si può spiegare così la
ragione dell'andamento dei listini: sul fronte del debito pubblico, i creditori si fidano della controparte
comunitaria, cioè la Banca centrale di Francoforte; a Piazza Affari, ormai scesa a poco più di 300 miliardi di
valore, cresce lo scetticismo sulla possibilità per molte imprese di far fronte all'indebitamento crescente senza
l'appoggio tradizionale del sistema bancario. Il risultato, solo all'apparenza sorprendente, è che la crisi politica
morde assai di più la componente privata dell'economia italiana che non la finanza pubblica. A conferma che
nessuno ormai può dirsi immune dal contagio.Nel migliore dei casi, vedi le navicelle del made in Italy del
lusso abbigliamento che continuano a mietere successi, sale il pressing dei grandi gruppi internazionali per
comprare quel che resta delle eccellenze del settore. Altrove, vedi Fiat, la terapia consiste nell'accelerare
l'approdo verso una realtà globale in cui, per scelta quasi obbligata, il ruolo dell'Italia verrà ridimensionato.
Alcune roccaforti inespugnabili, vedi le utilities, segnano il passo, come hanno dimostrato i conti, non
esaltanti, di Enel e di Telecom Italia. Non a caso, in questa cornice, sta diventando di moda l'ibrido, una
forma di finanziamento alle imprese a metà strada tra il capitale azionario e l'obbligazione. Uno strumento che
costa assai di più, ma ha due pregi: viene calcolato come capitale dalle agenzie di rating (quindi non fa salire
il costo delle obbligazioni normali); non sposta gli equilibri azionari, quindi non comporta esborsi per i soci di
maggioranza. Il guaio è che le società debbono accettare interessi ben più elevati: Telecom Italia ha chiuso
un ibrido, durata 60 anni, a poco meno dell'8%.Per carità, gli ibridi (come i derivati) non vanno giudicati farina
del demonio. Quando si tratta di finanziare un'acquisizione, come accadde nel 2006 per Lottomatica/Gtech o
potrebbe accadere per Fiat/Chrysler, l'ibrido presenta numerosi vantaggi, non ultimo quello di proteggere i
vecchi obbligazionisti dai rischi di un'operazione non brillante. Ma il discorso cambia se il ricorso all'ibrido
serve a sostituire altri canali di finanziamento o il mancato apporto nell'azionista.Certo, il quadro è, al solito, a
macchia di leopardo. I mercati mostrano di premiare le società che hanno scelto una strategia chiara di
crescita. In quei casi poco importa, come dimostra il caso Generali, il costo delle azioni di pulizia. Inutile
rinviare a nuovo, nella speranza di una ripresa che per ora non si vede, le inevitabili ristrutturazioni. Il balzo in
avanti del Leone di Trieste, assai ben comprato in Borsa, può essere la bussola per affrontare il problema dei
problemi: l'esigenza di ripulire e rafforzare il sistema bancario. I conti sono noti. Dopo cinque mesi di ispezioni
nelle 20 banche più importanti, la Banca d'Italia ha emesso il suo verdetto: per mettere al riparo il sistema dai
guasti prodotti dalla recessione, ci vogliono 21 miliardi a fronte di incagli, sofferenze e fallimenti dei clienti.
Non c'è stupirsi, di fronte a una cifra così imponente, che sia cresciuta la protesta strisciante nei confronti di
Ignazio Visco. Così si getta via il bambino con l'acqua sporca, tuonano i banchieri più coinvolti, cioè i piccoli e
medi (Intesa e Unicredit sono, parzialmente, al sicuro). Vero, ma via Nazionale ha ottime ragioni per tener
duro. Innanzitutto, la richiesta di andar a verificare la solidità delle banche italiane dopo anni di recessione,
20/03/2013 14Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 86
arriva dal Fmi, oltre che dall'Eba. Ed è una richiesta, alla vigilia delle trattative per l'Unione bancaria che
bisogna rispettare.Ci sono ottime ragioni per rafforzare la diga delle banche alla vigilia di mesi che potrebbero
essere tempestosi: 1) le banche italiane sono assai esposte (180 miliardi) sui titoli di Stato; 2) il downgrading
di Fitch sul debito pubblico potrebbe, a giorni, avere un effetto cascata sui bond di Intesa e Unicredit; 3) un
declassamento dell'Italia, che resta appesa alla A grazie all'agenzia canadese Dbrs, farebbe aumentare di
molto il costo della provvista presso la Bce; 4) Bankitalia preme e un adeguamento degli immobili in garanzia
e in portafoglio ai valori di mercato; 5) la nave già scricchiola. Accanto a istituti solidi ci sono due grandi
banche (Mps e Carige) «non investment grade», mentre cattive sorprese sono arrivate dal leasing di Ubi e
del Banco Popolare.In questo quadro, qualsiasi indugio rischia di aggravare la situazione. Per mettere il
sistema in sicurezza occorrono interventi tecnici e bilancistici, ma anche il ricorso agli aiuti di Bruxelles per
dare il via all'operazione pulizia: le partite incagliate devono finire, come già successo in Spagna, in una bad
bank. Bruxelles non potrebbe dire di no, visto che l'Italia si è impegnata per 125 miliardi nel finanziamento del
fondo comunitario Esm. Ma per ottenere il via libera occorre un governo operante e una volontà politica ben
definita. Far decollare una bad bank, infatti, significa intervenire a fondo sugli assetti del credito, a partire dal
caso Mps, ma non solo. Una scelta traumatica, destinata a tagliare il cordone che lega politica e credito. Ma
anche a liberare le risorse necessarie per ripartire.E, soprattutto, un segnale chiaro ai mercati che stavolta, al
di là di strepiti o show, in Italia si vuol fare sul serio. Basta, insomma, con le soluzioni ibride per guadagnare
tempo. O affidare le speranze di ripresa al mito dell'export, da solo insufficiente a far decollare un Paese delle
dimensioni dell'Italia.
20/03/2013 14Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 87
Tar Lazio accoglie il ricorso di un contribuente che aveva chiesto i dati sulle proprie cartelle Equitalia, procedure di vetro Accesso agli atti con i nomi dei funzionari in chiaro Accesso agli atti, e ai nomi dei responsabili dei procedimenti di Equitalia a tutto campo. Equitalia deve
indicare i nomi dei responsabili dei procedimenti relativi alle cartelle esattoriali quando, in sede penale, il
funzionario responsabile invoca la presenza di direttive superiori e non fornisce le informazioni. E non solo. Al
contribuente devono essere forniti tutti gli atti e i provvedimenti anche con estremi ignoti, gli atti e i documenti
dell'istruttoria relativi alle cartelle in capo al contribuenti, nonché tutti i documenti di prassi amministrativa
relativa alla richiesta del contribuente Che devono essere mostrati, o per usare il linguaggio tecnico, messi in
ostensione di fronte alla richiesta del contribuente. Insomma un diritto di accesso amministrativo a tutto
campo, quello riconosciuto dal Tar del Lazio, nella sentenza del 13 marzo 2013, numero 2660, con cui ha
condannato Equitalia dichiarando illegittimo il suo silenzio. Di più, il Tar ha concesso 30 giorni di tempo alla
società per la riscossione per preparare la documentazione richiesta e consegnarla al ricorrente. Una vera e
propria operazione trasparenza sulle cartelle esattoriali. Il Tar ha dunque accolto le richieste di un avvocato
che ha presentato ricorso contro il silenzio rifiuto di Equitalia (in particolare Equitalia Sud per la provincia di
Roma) sull'istanza di accesso con cui chiedeva di prendere visione e estrarre copia di tutta la serie di
documenti sottesi a una iscrizione ipotecaria per cartelle dal valore inferiore agli 8 mila euro. La richiesta era
legata alla preparazione della strategia difensiva del contribuente in contenzioso penale proprio a seguito di
una lite tributaria con Equitalia per le cartelle in questione. I giudici amministrativi innanzitutto rilevano che
l'accesso ai documenti è un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in giurisdizione
esclusiva e il cui giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza del diritto in questione piuttosto che la
verifica della sussistenza dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo. «Tanto che», dice la sentenza, «il
giudice può direttamente ordinare l'esibizione dei documenti richiesti, sostituendosi all'amministrazione». Per
il Tar, nella vicenda, esiste un interesse concreto, diretto e attuale del ricorrente all'ostensione richiesta per
«esigenze di difesa in giudizi che lo vedono direttamente coinvolto, sia nei confronti del responsabile
dell'iscrizione ipotecaria contestata sia in relazione a querela che ha ricevuto in relazione ai medesimi fatti».
Per i giudici la richiesta del contribuente non contrasta con gli orientamenti del diritto amministrativo nel senso
che la «giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che, ai sensi dell'art. 22 l. n. 241/90, il soggetto
che detiene la documentazione oggetto di istanza di ostensione non deve delibare la fondatezza della
pretesa sostanziale per la quale occorrano tali atti o sindacare sulla utilità effettiva di questi, in quanto il diritto
d'accesso è conformato dalla legge per offrire al titolare, più che utilità finali (caratteristica, questa, ormai
riconoscibile non solo ai diritti soggettivi, ma anche agli interessi legittimi), poteri autonomi di natura
procedimentale volti ad implementare la tutela d'un interesse (o bisogno) giuridicamente rilevante, per cui il
limite di valutazione della pubblica amministrazione sulla sussistenza d'un interesse concreto, attuale e
differenziato all'accesso ai documenti, che è correlativamente pure il requisito di ammissibilità della relativa
azione, si sostanzia solo nel giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno differenziato di
conoscenza in capo a chi richiede i documenti», I giudici dunque bocciano la linea di difesa di Equitalia sud in
ordine alla carenza di legittimazione attiva del ricorrente. Per il Tar infatti il ricorrente ha sufficientemente
chiarito nell'atto introduttivo di avere necessità della documentazione richiesta non nel giudizio tributario ma in
un giudizio in sede penale nei confronti del funzionario responsabile che invocava la presenza di direttive
superiori per procedere.©Riproduzione riservata
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 88
Acconto Imu 2013, vietato deliberare in ritardo Per l'acconto Imu 2013 fa da spartiacque la data del 23 aprile 2013. Termine ultimo utile per i comuni con i
conti in ordine per deliberare le nuove aliquote per l'appuntamento di giugno 2013. Se la delibera arriva in
ritardo è possibile che a giugno si dovranno usare le aliquote in vigore nel 2012 e rimandare il tutto al 2014
anche per il saldo 2013 di dicembre. È questo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi l'orientamento che
potrebbe prevalere nella stesura di un nuovo intervento di prassi del dipartimento delle finanze sulla
campagna Imu 2013. Accantonate, dunque, tutte le promesse elettorali, rimaste sulla carta, la macchina
organizzativa si è già messa in moto iniziando a verificare i tempi di approvazione delle delibere con i tempi di
approvazione concessi ai comuni non in regola con i conti e quelli invece in equilibrio.È previsto infatti un
doppio binario per i comuni che presentano conti in squilibrio e per i comuni con i conti in ordine in relazione
al calendario di approvazione delle delibere Imu.Nel primo caso i comuni hanno tempo fino al 30 settembre
2013 per deliberare sui propri conti e in merito anche all'Imu. Mentre i comuni con i conti in ordine devono
fare riferimento al termine del 23 aprile per approvare le eventuali correzioni alle aliquote. L'orientamento che
potrebbe essere recepito nella circolare del dipartimento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, in riferimento ai
comuni con i conti in squilibrio, che deliberano tra il primo maggio e il 30 settembre, è quello di andare a far
pagare a giugno con le aliquote Imu in vigore nel 2012 e a dicembre applicare una sorta di conguaglio
2013.Discorso diverso e con i tempi più stretti per i comuni con i conti in ordine. Per questi ultimi infatti
arrivare con una delibera successiva al 23 aprile sforando il termine del primo maggio significherebbe
precludersi la possibilità di applicare variazioni di aliquota per l'Imu 2013. Se ne riparlerebbe infatti nel 2014.
È questa una linea interpretativa che troverebbe il consenso della consulta dei Caf (centri di assistenza
fiscale) che per esigenze organizzative e rispetto ai tempi normativi prendono come riferimento la decorrenza
del 1° maggio per avviare la propria campagna di analisi delle delibere e preparazione dei bollettini di
versamento e assistenza ai contribuenti. Ma i nodi da sciogliere sulla campagna Imu 2013 non finiscono qui.
Intanto nel puzzle degli adempimenti sulla dichiarazione Imu manca all'appello il codice tributo per chi è
arrivato oltre il termine del 4 febbraio e vuole ravvedersi. Nella pratica dunque non è ancora possibile
applicare il ravvedimento operoso per la dichiarazione Imu. Resta poi sul tappeto un'altra questione non da
poco: alla consulta dei Caf sono arrivate segnalazione di comuni che vorrebbero far pagare l'Imu seconda
casa limitatamente alla stanza che il privato, nella propria abitazione dove ha la residenza, ha affittato. Non
considerando che ai fini Imu il requisito è quello della residenza e non quello reddituale.
20/03/2013 23Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 89
Smaltimento rifiuti, da pagare l'Iva sulla Tia Gli utenti del servizio di smaltimento rifiuti sono tenuti a pagare l'Iva sulla Tia, in quanto viene svolta un'attività
che deve essere remunerata con il pagamento di un corrispettivo. Il gestore del servizio, dunque, non è
tenuto al rimborso dell'Iva addebitata in fattura e pagata dall'utente. Lo ha affermato il Tribunale di Genova,
prima sezione, con la sentenza n. 90612 del 5 gennaio 2013.Secondo il Tribunale, le somme che l'Amiu di
Genova, concessionaria del servizio cittadino di gestione dei rifiuti urbani, incamera per lo smaltimento non
deve far perdere di vista che si sta parlando comunque di un'attività di «servizio pubblico» «che ha chiare
caratteristiche di imprenditorialità». Per il giudice ordinario, l'interpretazione contenuta nella pronuncia della
Corte costituzionale (sentenza 238/2009), secondo cui la Tia1 è parente prossima della Tarsu e quindi
partecipa della natura tributaria di quest'ultima, «è indubbiamente suggestiva: ma non decisiva». In realtà,
l'attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti viene svolta da un imprenditore che gestisce un servizio pubblico,
«non diversamente da quanto fanno altri concessionari comunali e pubblici che somministrano beni di non
inferiore utilità come ad es. l'acqua potabile o l'energia elettrica: addebitando l'Iva sulle loro prestazioni e
cessioni». La sentenza del Tribunale di Genova si discosta dall'orientamento giurisprudenziale che,
allineandosi alla pronuncia della Consulta, ha riconosciuto alla Tia1 la natura di tributo. Quindi, non soggetta
all'Iva. Con le sentenze 2320 e 3756/2012 la Cassazione ha ritenuto del tutto infondata la tesi sostenuta
dall'Agenzia delle entrate, che ha qualificato l'entrata comunale un corrispettivo e ha dato indicazioni ai
comuni di applicare l'Iva su Tia1 e Tia2 e, per l'effetto, di non rimborsare i contribuenti per quanto hanno
pagato negli anni precedenti alla sentenza della Corte costituzionale. Peraltro, considerata la sua natura
tributaria, la Tia1 non può essere riscossa con fatture o bollette, come se fosse un corrispettivo. Sempre la
Cassazione, con la sentenza 17526/2007, ha infatti stabilito che l'atto con cui viene richiesto il pagamento al
contribuente è, a tutti gli effetti, un provvedimento amministrativo che deve avere i requisiti di validità richiesti
dalla legge. È necessario, inoltre, che il destinatario sia posto in condizione di conoscere quanto richiesto e il
titolo che lo giustifica.
20/03/2013 26Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 90
CASSAZIONE/ Diventa più difficile per l'esattore la procedura di espropriazione Successione, scudo anti-fisco Comunione con altri beni? Quota del c/c impignorabile Più difficile per l'esattore la procedura di espropriazione dei beni caduti in successione. Equitalia non può
pignorare la quota del conto corrente bancario (ancora indiviso) del debitore se la massa ereditaria in
comunione comprende anche altri beni. È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n.
6809 del 19 marzo 2013, ha accolto il ricorso dell'intestatario di una quota di un conto corrente bancario
ricevuto in eredità. Insomma, fino a quando l'asse ereditario resta indiviso la procedura di espropriazione da
parte dell'esattore è davvero in salita. Questo perchè Equitalia potrebbe pignorare una quota che poi, in sede
di assegnazione, va a un altro erede. Infatti, ha spiegato la sesta sezione civile - 3, l'espropriazione forzata
dell'intera quota, spettante ad un compartecipe, dei beni compresi in una comunione, è certamente possibile,
ma limitatamente a tutti i beni indivisi di una singola specie (immobili, mobili o crediti), Inoltre, iniziata
l'espropriazione della stessa, il giudice dell'esecuzione può disporre la separazione in natura della quota
spettante al debitore esecutato, se questa è possibile, o, in caso contrario, ordinare che si proceda alla
divisione, oppure disporre la vendita della quota indivisa. Invece, ecco il passaggio risultato decisivo ai fini
della controversia, non è ammissibile l'espropriazione forzata della quota di un singolo bene indiviso, quando
la massa in comune comprenda più beni della stessa specie, perché, potendo, in sede di divisione, venire
assegnato al debitore una parte di un altro bene facente parte della massa, il pignoramento potrebbe non
conseguire i suoi effetti, per inesistenza nel patrimonio del debitore, dell'oggetto dell'esecuzione. Il caso
riguarda un pignoramento spiccato da Equitalia Friuli Venezia Giulia. L'esattore aveva avviato la procedura di
espropriazione a carico di un suo debitore che, nel frattempo, aveva ereditato, insieme ai fratelli, denaro del
conto bancario del padre e alcuni altri beni. La procedura era stata avviata ancora prima della divisione
dell'asse ereditario. Per questo il debitore aveva presentato opposizione. Il tribunale di Udine l'aveva respinta.
Contro questa decisione l'uomo ha presentato ricorso in Cassazione e, questa volta, con successo. La sesta
sezione civile, cui la causa è stata assegnata, ha accolto il gravame sostenendo che su una massa indivisa di
beni l'esattore non può spiccare il pignoramento. Ora la causa tornerà nuovamente a Udine, in tribunale,
dove i giudici dovranno mettere la parola fine al caso e decidere anche sulle spese concernenti il giudizio di
Cassazione. Anche la Procura generale della Suprema corte aveva sollecitato di accogliere il ricorso
dell'erede.
20/03/2013 27Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 91
Il debito dello stato verso fornitori è di 71 mld. Nella sanità è pari a 35 mld Il food in credito di 9 mld Le coop agro-forestali invece vantano 300 mln L'agroalimentare vanta crediti verso le pubbliche amministrazioni per 9 miliardi di euro circa. Il comparto
dell'edilizia è in credito verso lo stato per circa 19 miliardi. Ma è nella sanità che si accumula il debito più
pesante dello stato. Una cifra che oscilla tra i 30 e i 35 miliardi di euro vantati dalle imprese fornitrici verso le
regioni; quasi tutti a pesare sui bilanci delle aziende che lavorano con Asl e ospedali. Dopo il via libera della
Commissione Ue all'Italia per la messa a punto di un piano accelerato di pagamenti (si veda ItaliaOggi di ieri),
che consenta alle pubbliche amministrazioni di pagare le aziende fornitrici senza incappare in una procedura
di infrazione per sforamento del rapporto debito/pil, ItaliaOggi ha provato a ricostruire quanto le imprese e le
cooperative dell'agroalimentare vantano in termini di crediti non riscossi. A fornire le stime è stato Gabriele
Rotini, responsabile nazionale della Cna Alimentare, che ha anche quantificato il debito complessivo della
macchina statale per transazioni commerciali: «71 miliardi di euro», ha chiosato Rotini a ItaliaOggi. E
sull'agroalimentare ha aggiunto: «Il credito dei fornitori verso lo stato, complessivamente, è di almeno 9
miliardi di euro, in gran parte dovuto a forniture di prodotti alimentari agli enti locali per le mense scolastiche.
Dunque, di difficile quantificazione, per via della scomposizione territoriale dei dati». I numeri forniti dalla Cna
sull'alimentare non includono però i servizi di manutenzione gestiti da imprese agricole, come il gardening. A
riguardo, giunge in aiuto Fedagri Confcooperative, che stima i crediti vantati dalle cooperative agricole verso
la p.a. in «180-200 mln di euro, ma arrivano a 300 mln di euro, se si considera l'intero volume di crediti
vantato dalle coop riunite in Alleanza delle cooperative». E tra le coop dell'Alleanza che hanno contatti diretti
con la p.a. ci sono anche quelle di forestazione «che erogano servizi di manutenzione e gestione boschiva».
Il debito che lo stato accusa nei loro confronti, è stimato in 50-60 mln di euro.
20/03/2013 33Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 92
Dopo le proteste, ora Mosca potrebbe essere il cavaliere bianco in aiuto di Nicosia No di Cipro ai diktat europei Il parlamento ha bocciato l'ipotesi di prestito forzoso Dopo una giornata convulsa, che ha portato un altro terremoto sui mercati europei, con le borse in deciso
calo, così come l'euro e con lo spread Btp-Bund in deciso rialzo, il parlamento di Cipro ha deciso di
respingere, con un voto schiacciante (36 voti contrari, 19 astenuti e nessun voto a favore), il controverso
piano di salvataggio dell'Unione europea e con esso, quindi, il previsto prelievo forzoso dai conti bancari dei
ciprioti. Se i ciprioti (e non solo) tirano il fiato, dopo le paure dei giorni scorsi seguite all'annuncio di un
prelievo forzoso fino al 9,9% per i conti correnti oltre 100 mila euro, resta però del tutto irrisolto il nodo del
debito e dei finanziamenti dell'Europa (oltre 10 mld) in cambio del prelievo. Non è risolto neppure il
contenzioso con la Russia. Mosca ha molti interessi economico-finanziari (alcuni poco chiari) sull'isola e
l'annuncio del prelievo forzoso aveva sollevato pesanti critiche. Ieri è sceso in campo anche il presidente
Putin, contestando come «iniqua» l'iniziativa del governo cipriota. Non a caso, dei 91,5 mld di euro depositati
nelle banche dell'isola, ben 18,3 sono di cittadini russi. Ora, tuttavia, potrebbe essere proprio la Russia il
salvagente per la terza isola del Mediterraneo. Mosca ha già concesso, tempo fa, 2,5 mld per sostenere
l'economia di Nicosia e, fino a pochi giorni fa, erano in corso trattative per rimodulare il debito ed
eventualmente fornire altri 5 miliardi. Scampato il pericolo, ora Mosca potrebbe riprendere i colloqui,
chiedendo ulteriori garanzie a tutela dei suoi interessi sull'isola. Almeno quando potranno riaprire le banche,
chiuse fino a giovedì.Ieri è stata una giornata convulsa, con voci che si rincorrevano su una possibile uscita di
Cipro dall'euro, su un nuovo piano di prelievo forzoso più morbido o assente per i conti sotto i 20 mila euro,
su pressioni contrastanti da Bruxelles, dalla Germania e dal Fondo monetario, infine sulle dimissioni, forse
date, forse no, comunque non ratificate, del ministro delle finanze cipriota, Michalis Sarris, su un'astensione
generale sul voto da parte del parlamento cipriota.E mentre si attendono le prossime mosse della Ue,
diventano sempre più forti le critiche nei confronti dell'Eurogruppo. Ieri, il direttore della Frankfurter allgemeine
zeitung ha definito un «errore capitale» la decisione di far tassare i risparmi dei ciprioti. Per lo Spiegel, «si è
trattato della decisione di gran lunga più stupida e pericolosa che i politici dell'Eurozona potevano prendere».
Il giornale sottolinea che «adesso i risparmiatori hanno non solo a Cipro, ma in tutto il Sud Europa, un
incentivo molto concreto a mettere in salvo i loro soldi». Ieri sera, in una breve nota, la Bce si è limitata a dire
di aver «preso nota della decisione del parlamento cipriota ed è in contatto con i suoi partner della troika. La
Bce riafferma il suo impegno a fornire la liquidità necessaria all'interno delle regole esistenti». © Riproduzione
riservata
20/03/2013 37Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 93
Dichiarazioni Ici/Imu, visure catastali e certificati anagrafici i servizi piùrichiesti in rete Ancora una percentuale troppo alta non conosce i servizi erogati sulla rete. Nonostante ciò, per gli utenti
"informatizzati", i servizi più diffusi sono: la dichiarazione ICI/IMU (che sale sul podio con il 50% di richieste
pervenute), la richiesta certificati anagrafici (con il 47% di visite), le visure catastali (al 47%), la carta di
identità (al 42%), l'autocertificazione anagrafica (con il 41% di accessi) e la dichiarazione di cambio di
abitazione (al 34%). Il processo di digitalizzazione, da sempre sotto la lente di ingradimento del nostro
quotidiano, piace complessivamente ai cittadini italiani aggiornati sui canali di comunicazione della Pa che -
come dimostrano i dati - sono frequentati in percentuale diversa ma con una maggiore attenzione alla rete e
ai call center, rispetto che alla televisione e ai servizi in mobile (ovvero sul cellulare).Perchè? Quali sono le
opportunità della rete? I vantaggi che i soggetti intervistati hanno dichiarato di ottenere utilizzando la pubblica
amministrazione digitale, riguardano il risparmio di tempo ottenibile grazie alla fruizione dei servizi pubblici
comodamente da casa (abbondonando definitivamente lo stereotipo ingombrante dell'italiano che passa le
sue giornate in coda davanti agli sportelli delle poste e dei comuni) e la trasparenza del servizio. I motivi che,
invece, non riescono ancora ad avvicinare gli utenti alla Pa digitale, riguardano la fiducia verso gli operatori
dello sportello pubblico e la conseguente mancanza di fiducia per la rete internet fredda e impersonale (qui il
contatto umane prevale sulla comunicazione testuale), la mancanza di un collegamento internet in casa (si
dimostra che il problema del digital divide non è ancora stato risolto) ed infine le procedure apparentemente
complesse di registrazione alle piattaforme on line. (vn)
20/03/2013 3Pag. Quotidiano di Sicilia
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ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE - Rassegna Stampa 20/03/2013 94
Rapporto Censis. Dal 2007 si è allargato il divario con il Nord, si sono persi il 60% dei posti di lavoro totali e il10% del prodotto interno lordo La crisi affonda l'industria del Sud Tra il 2009 e il 2012 chiuse 7.600 imprese manifatturiere - Redditi inferiori a quelli della Grecia IL NODOL'economista Asso: «Non si riesce ad attrarre e a generare investimenti. Manca un tessuto di impreseesportatrici e innovatrici» Nino Amadore
PALERMO
Cosa resta del Mezzogiorno? Poco, anzi nulla. Poiché il Sud si è "rinsecchito", si legge nel rapporto che il
Censis ha presentato ieri nell'ambito della giornata dedicata a Gino Martinoli - tra i fondatori del Censis - dal
titolo "La crisi sociale del Mezzogiorno" alla presenza del presidente Giuseppe De Rita e del direttore
generale Giuseppe Roma. Il Censis usa un modo elegante per dire tante cose tutte insieme: che il Sud ha
perso in questi anni energie, sostanza. Un Sud dimenticato che «si è andato privando nel tempo di strumenti
reali in grado di suscitare l'attenzione dell'opinione pubblica e delle élite - si legge nel rapporto -. Con le
grandi banche meridionali inglobate nelle corporation finanziarie lombardo-torinesi, i media monopolizzati dal
l'asse Roma-Milano catturare l'attenzione non certo semplice». Disattenzione che diventa ancora più rilevante
in una fase di difficoltà: tra il 2007 e il 2012 nel Sud il Pil si è ridotto del 10% in termini reali (-5,7% nel Centro-
Nord). E la recessione, è la considerazione del Censis, è l'ultimo tassello di una serie di criticità stratificate nel
tempo: piani di governo poco chiari, burocrazia lenta, infrastrutture scarsamente competitive, limitata apertura
ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a
spezzarlo.
Al Sud poi «il sistema imprenditoriale già fragile e diradato è stato sottoposto negli ultimi anni a un processo
di progressivo smantellamento, costellato da crisi d'impresa molto gravi come quelle dell'Ilva di Taranto e
della Fiat di Termini Imerese. Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell'industria meridionale si sono ridotti del
15,5% (con una perdita di oltre 147mila unità) a fronte di una flessione del 5,5% nel Centro-Nord». E poi: oltre
7.600 imprese manifatturiere del Sud (su un totale di 137mila aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il
2012, con una flessione del 5,1% e punte superiori al 6% in Puglia e Campania. «Non si riesce ad attrarre e a
generare investimenti - dice l'economista Francesco Asso -. La crisi della grande impresa non è compensata
dalla crescita di un tessuto di imprese esportatrici e innovatrici che riesce in maniera significa a intercettare
domanda mondiale in crescita».
Nel frattempo non sono state colte le opportunità derivanti dai finanziamenti Ue. I contributi per i programmi
dell'Obiettivo convergenza ammontano a 43,6 miliardi per il 2007-2013 ma a meno di un anno dalla chiusura
del periodo di programmazione risulta impegnato il 53% delle risorse e spesi 9,2 miliardi (il 21,2%).
«L'efficacia dei programmi Ue è discutibile - si legge ancora -. Le risorse spese hanno rafforzato i circuiti
meno trasparenti e congelato l'iniziativa imprenditoriale con incentivi senza obbligo di risultato e progetti
spesso estranei alle vere esigenze». Per Francesco Izzo, docente di Gestione strategica dell'innovazione alla
Seconda Università di Napoli, «è la certificazione dell'incapacità delle regioni di progettare e di spendere i
fondi Ue». I risultati dimostrano il fallimento. I livelli di reddito del Sud sono comparabili e inferiori a quelli della
Grecia (il Sud ha meno di 18mila euro per abitante, la Grecia 18.500 euro).
La parola chiave sembra essere sfiducia. Quella dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non
lavorano e non si formano, i cosiddetti Neet la cui incidenza media nel Mezzogiorno è del 31,9% a fronte del
22,7% nazionale. Le istituzioni accademiche meridionali vedono restringersi la base della loro utenza con
decrementi superiori alle due cifre percentuali in quattro delle otto regioni del Sud: Sicilia (-35%), Calabria (-
24,6%), Sardegna (-17,5%) e Basilicata (-14,2%). «Non siamo riusciti - dice l'economista catanese Elita
Schillaci - a far nulla né per trattenere né per attrarre cervelli e ciò è drammatico se si pensa che il capitale
umano è la risorsa chiave». Il 23,7% degli universitari meridionali si è spostato verso il Centro-nord. La spesa
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pubblica per l'istruzione e la formazione nel Sud è molto più alta rispetto al resto del Paese ma meno
efficace: 1.170 euro pro-capite nel Sud rispetto ai 937 euro del resto d'Italia eppure, il tasso di abbandono
scolastico è del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord. Dal mercato del lavoro non arrivano segnali di
speranza: i disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7% a fronte del 10% del Sud. In generale, ricorda il
Censis, dei 505mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Sud (oltre 300mila)
mentre un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro a fronte di un tasso di
disoccupazione giovanile in Italia del 25 per cento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA TUTTO DIMINUISCE, CRESCONO SOLO GLI ANZIANI
Numeri indice; anno 2007=100. Variazione % 2007-2013 IL DIVARIO EUROPEO
Reddito pro-capite: confronto fra le regioni più povere. Dati in euro DEINDUSTRIALIZZAZIONE
La diminuzione delle imprese manifatturiere
nel Mezzogiorno
IL DISTACCO DEL SUD10%
La caduta del Pil
Tra il 2007 e il 2012 nel Mezzogiorno il Pil si è ridotto del 10% in termini reali a fronte di una flessione del
5,7% registrata nel Centro-Nord
60%
I posti di lavoro persi
Dei 505mila posti di lavoro persi in Italia dall'inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il
Mezzogiorno (più di 300mila). Il Sud paga la parte più cospicua di un costo già insopportabile per il Paese e si
conferma come un territorio di emarginazione di alcune categorie sociali, come i giovani e le donne. Un terzo
dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro (in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al
25%).
Se poi oltre a essere giovani si è donne, la disoccupazione sale al 40%
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ANALISI Ripartiamo dalle tante eccellenze industriali di Federico Pirro L'ultimo scenario del Mezzogiorno delineato dal Censis, se individua alcuni recenti trend della sua economia,
ne ignora però molti dei punti di forza che restano leve fondamentali per la crescita del Paese. L'Ilva di
Taranto - malgrado le vicende giudiziarie - resta con 11.457 addetti diretti la più grande fabbrica
manifatturiera d'Italia e per la nuova Aia vi sono stati avviati investimenti per 2,2 miliardi di euro, i maggiori
nell'industria del Sud negli ultimi 20 anni. Nel Mezzogiorno si disloca oltre il 60% della capacità di raffinazione
nazionale con i grandi impianti della Saras a Sarroch, Isab a Priolo, Esso ad Augusta, Ram a Milazzo ed Eni
a Gela e Taranto. Per potenziare i più ricchi pozzi petroliferi on shore d'Europa in Basilicata si stanno
realizzando investimenti di Eni e Total per oltre due miliardi di euro. Tre dei quattro steam cracker della
Versalis (Eni) sono a Brindisi, Priolo e Porto Torres, quest'ultimo in via di diversificazione verso la chimica
verde. Brindisi è il primo polo energetico italiano con 4.600 Mw insediati di Enel, Enipower ed Edipower,
mentre la Puglia è la prima regione italiana per energia fotovoltaica e la seconda per l'eolico, alle spalle per
tale voce della Sicilia.
A Pomigliano, Melfi e Atessa - che ospita la Sevel, la seconda fabbrica d'Italia con 6.200 occupati - si
produce oltre il 50% delle auto e degli autoveicoli leggeri del Paese; da tali siti partono filiere lunghe di attività
indotte con impianti di Fiat e altre multinazionali, mentre a Bari vi è un polo dell'automotive con 5.400
persone.
Due dei 5 distretti aerospaziali italiani producono nell'area partenopea e in Puglia fra Foggia, Brindisi e
Grottaglie, mentre le big pharma Sanofi Aventis, Merck-Serono, Novartis, Pfizer hanno fabbriche all'Aquila,
Brindisi, Bari, Torre Annunziata, Catania. Tale città ospita il polo mondiale dell'Ict della STMicroelectronics e
la 3Sun di Enel, Stm e Sharp che produce pannelli fotovoltaici. Nell'Ict operano anche la Micron ad Avezzano
(1.600 addetti) ed Exprivia, quotata alla Borsa di Milano. Molteplici i grandi call center di Teleperformance,
Almaviva e Transcom, e presenti anche cementerie di Buzzi Unicem, Cementir e Colacem. Cantieristica
navale della Fincantieri costruisce a Castellammare di Stabia e Palermo, mentre armatori napoletani (Msc e
Grimaldi) sono al top nel mondo nei rispettivi segmenti.
Grandi gruppi agroalimentari nazionali ed esteri (Barilla, Ferrero, Unilever, Coca Cola, Birra Peroni,
Heineken, Granarolo, Prince-Mitsubishi, Kagome, Perfetti-Val Melle, etc.) punteggiano i territori meridionali
con Divella, De Cecco, Averna, Casillo, La Doria, Mataluni, i pastai di Gragnano, e rinomate aziende
vitivinicole ed olearie. Grandi marchi del fashion partenopeo completano il quadro. Il Sud resta un pilastro del
sistema Paese. Ripartiamo da qui.
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PUGLIA Il caso/1. Il risanamento del siderurgico di Taranto L'Ilva sceglie la solidarietà per uscire dal tunnel L'ORIZZONTE TEMPORALE L'anno critico sarà il 2014, quando sono programmate le fermate più lunghe eun maggior numero di lavoratori si renderà inattivo Domenico Palmiotti
TARANTO
All'Ilva l'applicazione dei contratti di solidarietà partirà ai primi di aprile. Chiuso l'accordo giovedì scorso al
ministero del Welfare con l'individuazione di 3.749 esuberi temporanei, nei prossimi giorni azienda e sindacati
si incontreranno per verificare come far funzionare nel concreto quest'ammortizzatore sociale scelto in
alternativa alla cassa integrazione straordinaria per gestire l'ampio piano di fermata impianti che interesserà il
siderurgico a seguito dei lavori di risanamento ambientale ordinati dall'Aia. A fronte di 3.749 esuberi, ben
11.059 lavoratori - quasi tutta l'Ilva - ruoteranno in solidarietà con una riduzione media di orario di lavoro che
è del 34 per cento. E proprio queste modalità di rotazione che ora devono individuare Ilva e federazioni
metalmeccaniche.
L'accordo copre sino a marzo prossimo, ma sin d'ora si sta ragionando sul 2014. E questo perchè proprio il
2014, stando al piano Ilva, sarà l'anno in cui ci saranno più fermate e, di conseguenza, anche più personale
che si renderà inattivo a causa dello stop produttivo. Nel piano della cassa integrazione straordinaria la fase
critica era stata collocata nel secondo semestre del 2014, quando l'Ilva avrebbe avuto fermi
contemporaneamente l'altoforno 1, fermato lo scorso 8 dicembre, e l'altoforno 5 - il più grande dello
stabilimento - che invece si fermerà a giugno del prossimo anno. Era stata quindi calcolata una cassa per
6.417 unità come numero massimo. Ora, invece, si sta verificando la possibilità di far ripartire l'altoforno 1
prima della fermata dell'altoforno 5. Attualmente l'Ilva ha stimato 18-24 mesi di lavori per l'altoforno 1. La sua
ripartenza è infatti collocata nel primo semestre 2015. Tempi più lunghi rispetto all'altoforno 5 che invece è
destinato a ripartire a fine 2014.
La diversità dei tempi si spiega col fatto che all'altoforno 1 è collegato a monte anche il rifacimento delle
batterie coke 3, 4, 5 e 6 spente di recente. Per rimettere in marcia prima l'impianto, l'azienda potrebbe però
acquistare all'esterno il coke che serve e che per un certo periodo non potrebbero assicurare le batterie
soggette a lavori. Così si «bypasserebbe» l'area di preparazione del coke, l'altoforno 1 sarebbe egualmente
in attività e la produzione di ghisa dell'Ilva non sarebbe ai minimi termini. Senza trascurare che a quel punto
diminuirebbero anche gli esuberi per il 2014. Ci si potrebbe attestare a circa 4mila-4.500 esuberi, calcolano i
sindacati, da gestire sempre con i contratti di solidarietà. Meno rispetto ai 6.417 ipotizzati sino a qualche
settimana fa.
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SICILIA Il caso/2. L'assessore Linda Vancheri: «Molti gruppi interessati» Termini Imerese punta sulla produzione di bioenergia L'AUTOMOTIVE Il presidente della Regione Rosario Crocetta potrebbe incontrare imprenditori cinesiinteressati al sito PALERMO
Le stime sono del sindaco di Termini Imerese Totò Burrafato: «La chiusura dello stabilimento Fiat ha causato
una perdita di almeno 3.500 posti di lavoro. E una caduta del Pil di mezzo punto percentuale in Sicilia». Un
dato che il sindaco attinge da una relazione della Svimez e che prova a dare l'idea dell'impatto che ha avuto
l'abbandono di Termini Imerese da parte della Fiat. Ed è in questo contesto che si cerca di incidere anche
perché, dice Burrafato, «il tempo a disposizione è sempre di meno e se partono i licenziamenti collettivi qui
scoppia la rivoluzione». Il riferimento del sindaco è agli operai Fiat che fino alla fine di quest'anno potranno
usufruire della cassa integrazione. La speranza è che si possa avviare prima una serie di progetti che
possano riassorbire quei lavoratori usciti dal ciclo produttivo. A Termini non fanno mistero di puntare anche
sull'istituzione della zona franca urbana che è prevista nel decreto firmato di cui si aspetta il via libera a giorni.
Ai progetti di rilancio intanto sta lavorando Linda Vancheri, che ha la delega alle Attività produttive nella
giunta guidata da Rosario Crocetta. Delle possibili soluzioni si parlerà nel corso di un incontro che si terrà
domani a Palermo. «I progetti - spiega l'assessore Vancheri - sono diversi e sono tutti particolarmente
interessanti». Non ci sono i nomi delle aziende interessate sono almeno tre), di cui si è anche parlato nel
corso dell'incontro al ministero per le Attività produttive qualche giorno fa, ma è già possibile delineare
l'identikit di almeno una di queste: «È un'azienda di rilievo internazionale - spiega l'assessore Vancheri - che
si occupa di produzione di biocarburanti e ha in programma di costruire in Sicilia, e in particolare nell'area di
Termini Imerese, un impianto di produzione. L'azienda ha anche bisogno di terreni agricoli poveri per la
coltivazione delle piante necessarie alla produzione del biocarburante. L'iniziativa appare interessante intanto
perché riguarda un settore nuovo e poi perché si creerebbe così la filiera». Secondo le previsioni per la
costruzione dell'impianto sarebbero necessari due anni e mezzo di lavoro e nella fase di cantiere sarebbero
occupate 500 persone mentre a regime l'impianto darebbe lavoro a 200 persone e la coltivazione a 150 unità.
la strada dell'automotive non è stata comunque abbandonata: il presidente della Regione siciliana è al lavoro
per incontrare gli imprenditori cinesi che potrebbero investire nell'area. Ma non è escluso che possa essere
interessato anche qualche imprenditore italiano che già produce motori ibridi.
N. Am.
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I distretti della ricerca L'INDUSTRIA E I POLI DELL'INNOVAZIONE Più competitivi con il Pumas A Terni nanotech per energia, elettronica e chimica a sostegno delle aziende GLI OBIETTIVI Consolidarsi suimercati esteri grazie a nuove reti di contatti: il 25 marzo un incontro con i responsabili scientifici del Pstfrancese di Lione Roberto Iotti
TERNI. Dal nostro inviato
Tra le colline del Ternano, terra a grande vocazione agricola per la coltivazione dell'ulivo e dei vigneti, si
trova un avamposto industriale di primo livello nella storia del manifatturiero italiano. E non solo per la
presenza della Acciai Speciali Terni (Ast) - qui gli abitanti più anziani la chiamano ancora la fonderia - in
attività già dalla fine dell'800, ma anche per uno dei più importanti poli chimici italiani e per una miriade di
piccole e medie imprese che pur gravitando attorno ai big industriali, hanno anche capacità di vita propria.
È un sistema industriale dal passo felpato quello umbro, della cui presenza quasi non ci si accorge, che
annovera però nomi blasonati: uno tra tutti, Perugina. L'attività manifatturiera rappresenta per l'Umbria solo il
9% delle attività, mentre commercio (25%) e agricoltura (21%) rimangono i capostipiti dell'economia
regionale.
Sulla base di questo tessuto industrial-produttivo prende le mosse il progetto Pumas, cioè far mettere radici a
Terni a uno dei quattro poli tecnologici dell'Umbria.
Pumas è un acronimo un po' bizzarro che significa "Polo di innovazione umbro materiali speciali e micro e
nano tecnologie". Un acronimo che rappresenta la società consortile costituita il 24 febbraio 2011 - 49 le
aziende partecipanti - sulla scia della partecipazione al bando della Regione Umbria per la presentazione di
progetti finalizzati alla nascita dei poli tecnologici. Iniziativa che ha visto la luce grazie anche alla
determinazione dell'Associazione degli industriali di Terni.
«L'obiettivo principale - spiega la coordinatrice Laura Bizzarri - è quello di rafforzare la competitività delle
imprese operanti nei settori industriali che caratterizzano il territorio, quali chimica, metallurgia, siderurgia ed
edilizia, in modo da diversificare le opportunità di business, accrescere la capacità di consolidare la presenza
dell'imprenditoria locale in mercati internazionali e caratterizzati da elevato valore aggiunto. Inoltre - aggiunge
Laura - si vuol stimolare il radicamento sul territorio della cultura della ricerca e dell'innovazione e quindi
rafforzare la collaborazione con l'Università del territorio».
Pumas si propone anche di potenziare le attività di ricerca e sviluppo, aumentando l'utilizzo dei risultati e
valorizzando le competenze qualificate. Le principali aree di attività sono quelle delle nanotecnologie per
l'energia e per l'elettronica; materiali elettro-magnetici o ottici nanostrutturati per dispositivi e sensori; materiali
metallici; edilizia sostenibile; rivestimenti superficiali di materiali metallici, ceramici, polimerici e compositi;
materiali per l'ambiente. La piattaforma tecnologica che il Polo sta implementando offre alle imprese aderenti
la possibilità di acquistare servizi altamente specialistici - a tariffe convenzionate inferiori ai costi del mercato -
orientati all'innovazione di prodotto e di processo con evidenti vantaggi in termini di accesso alle nuove
tecnologie, in particolare per le Pmi.
Il consorzio è anche uno strumento per rafforzare la collaborazione tra imprese ed Università, facilitando la
conoscenza reciproca e lo scambio di informazioni ma anche l'erogazione di servizi da parte dei produttori di
conoscenza a beneficio dei produttori di beni e servizi per il mercato. In questa ottica, il polo di innovazione
dovrà diventare un punto di riferimento per imprenditori e imprese con vocazione all'innovazione e alla
ricerca, a cui il polo dovrà saper offrire l'opportunità di creare i necessari contatti e i partenariati anche
attraverso la mobilità di giovani ricercatori nei laboratori aziendali.
Per realizzare i progetti tematici individuati dalle aziende associate, Pumas può già contare sulla
collaborazione - oltre che con l'Università - di due strutture di ricerca all'avanguardia: l'Isrim (Istituto superiore
di ricerca e formazione sui materiali speciali) e l'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare).
20/03/2013 34Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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GOVERNO LOCALE E AREE METROPOLITANE - Rassegna Stampa 20/03/2013 101
Il 28 maggio scorso Pumas si è è presentato ufficialmente alla comunità imprenditoriale e scientifica. Tra
pochi giorni invece, il 25 marzo, il consorzio sarà accolto dai colleghi del blasonato Parco scientifico e
tecnologico di Lione. «Una tappa davvero importante per la nostra storia ancora recente», spiega il
presidente di Pumas, Gianluca Puizzuti, imprenditore di 47 anni, laurea in ingegneria industriale e un master
a Boston. «E non è finto», rilancia con una battuta.
«Sono convinto - dice - che l'innovazione sia il sale di qualsiasi attività imprenditoriale. L'Italia però è
deficitaria di cooperazione tra le aziende in fatto di innovazione e ricerca. Quando invece è proprio dallo
sviluppo comune dei progetti che nasce nuova competitività. Vincono le sinergie e far lavorare gomito a
gomito piccole imprese, grandi e multinazionali vuole dire attivare un trasferimento di conoscenza e
competenze che altrimenti non si attiverebbe».
L'esempio che fa il presidente Pizzuti è calzante: «Pumas oggi è come un bar dove le aziende aderenti si
incontrano, dialogano e scoprono di avere competenze o specificità utili all'attività degli altri. Competenze e
idee che poi vengono messe a fattor comune, come per esempio l'uso di determinati macchinari. Nascono
così dei minicluster aziendali prima di oggi impensabili. Questa è la forza del saper aggregare e del
condividere le idee».
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IL RATING DEL SOLE Il punteggio
Attraverso una griglia di 8 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso
del Pumas di Terni spiccano in modo particolare la capacità di fare rete e l'internazionalizzazione
IL GIUDIZIO
-
PUNTI DI FORZA 1
CAPACITÀ DI FARE RETE
La metodologia di lavoro implementata da Pumas consente alle imprese associate di interconnetersi tra loro
e il mondo della ricerca e dell'innovazione
2
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il consorzio ha attivato una serie di contatti con il Polo tecnologico di Lione (Francia). Contatti anche con
omologhi centri
in Spagna e in Argentina
3
CAPACITÀ DI CREARE START UP
Positivi gli effetti di creare linee di contatto con i centri di ricerca regionali e il sistema universitario su specifici
progetti individuati dalle aziende
PUNTI DI DEBOLEZZA 1
GRADO DI APERTURA
È l'altra faccia della medaglia del modello di attività scelto da Pumas: il consorzio
ha struttura snella e, pertanto,
non crea direttamente posti di lavoro
2
CAPACITÀ DI CREARE BREVETTTI
Al momento i frutti dell'innovazione implementata dai centri di ricerca
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sono destinati alle aziende
aderenti al programma
3
CAPACITÀ DI ACCEDERE AI FONDI
L'attività del consorzio poggia
sul finanziamento pubblico e sul contributo delle aziende associate. Non è previsto
per ora un'apertura del capitale
Foto: All'avanguardia. Nanotecnologie per l'elettronica nei laboratori del Pumas (il Polo d'innovazione umbro
materiali speciali e micro e nano tecnologie) di Terni
20/03/2013 34Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)
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CAMPANIA Associazioni. Quarta tappa del roadshow in vista del convegno di Torino in aprile Boccia: «L'Italia riparte solo col manifatturiero» Parla a Napoli il presidente della Piccola di Confindustria Francesco Prisco
NAPOLI
«La questione italiana è la questione industriale. Il Paese riparte soltanto se sarà il settore manifatturiero a
ripartire e, in particolare, quel tessuto di piccole e medie imprese che in larga parte lo compone. Lo scenario
congiunturale è allarmante, il vuoto istituzionale di questi giorni desta inquietudine e i partiti politici non
possono restare a guardare». Si è espresso in questi termini, discutendo con i colleghi imprenditori, il
presidente di Piccola industria Vincenzo Boccia, ieri mattina impegnato presso la sede dell'Unione industriali
di Napoli nel quarto incontro del roadshow che prepara il convegno biennale delle Pmi di Confindustria, in
programma il 12 e il 13 aprile a Torino.
La tappa presso la territoriale campana fa seguito a quelle di Roma, Firenze e Milano e precede quelle di
Venezia, Palermo e Genova in programma nei prossimi giorni. Sempre la stessa la formula: raccogliere le
istanze che arrivano dalle Pmi del territorio, arrivare a una sintesi per poi amplificarne, con ancora maggior
forza, il messaggio nell'evento del Lingotto che vedrà la partecipazione del presidente di Confindustria
Giorgio Squinzi. Un momento pubblico intitolato: «Un'Italia industriale in un'Europa più forte».
A porte chiuse si è svolto, invece, l'incontro di Napoli introdotto dal numero uno di Unindustria del capoluogo
partenopeo Paolo Graziano, con la partecipazione dell'intero vertice della Piccola industria Campania a
partire dal presidente regionale Andrea Funari e da quello delle Pmi napoletane Paolo Minucci Bencivenga.
Presenti anche i presidenti delle territoriali campane di Confindustria. Confronto vivace, partito da un'analisi
dello scenario di estrema difficoltà in cui si trovano a operare oggi le imprese. Tra la grande crisi che continua
a mordere e le incertezze di una fase politica ancora difficile da decifrare. Il tutto mentre le imprese avrebbero
bisogno di risposte concrete in tempi certi, per restare competitive sui mercati internazionali.
«Il momento - ha detto Boccia a margine dell'incontro - è estremamente delicato. L'emergenza economica
mette nell'angolo chi produce, lo sappiamo tutti. Le incertezze politiche di questi giorni creano
disorientamento. Stiamo preparando il convegno biennale di Torino e non sappiamo - continua il presidente
della Piccola - se per allora avremo un governo. Un mese più tardi scadrà il mandato del presidente della
Repubblica. Inutile girarci intorno: siamo di fronte a un vuoto istituzionale, proprio mentre le imprese
avrebbero bisogno di un decisore forte e di un interlocutore capace di fare proprie le domande che vengono
dal mondo produttivo».
Per quanto possano mancare punti di riferimento istituzionali, le imprese non rinunciano a fare la propria
parte: «Il punto di partenza della nostra riflessione - prosegue Boccia - è il Manifesto per le imprese
presentato dal presidente Squinzi: rivendichiamo la centralità del mondo produttivo, perché la questione
italiana è oggi più che mai la questione industriale. A Torino, sulla base di quanto sta emergendo dai
roadshow in giro per la Penisola, porremo con forza la specificità italiana e la metteremo in relazione con la
specificità europea. La politica - conclude Boccia - rimuova gli ostacoli allo sviluppo del Paese con una
terapia d'urto o sarà troppo tardi».
@MrPriscus
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Digitale. Finanziamenti per tre milioni di euro Milano promuove le aziende hi-tech Franco Sarcina Franco Sarcina
MILANO
Imprese digitali premiate a Milano: dalle superfici passive in legno che possono diventare "attive" ed essere
controllate elettronicamente, cambiando forma e funzione, alla famiglia di "app" che permettono di tracciare
con precisione gli eventi di partenza dei veicoli, utili sia per gli smemorati che non ricordano mai dove hanno
parcheggiato l'auto sia come antifurto, passando per un sistema tecnologico che consente di monitorare le
eventuali perdite di una rete idrica e per un sistema che consente il telecontrollo da remoto dell'illuminazione
pubblica o alla cronaca "social", così di moda in questi anni, di eventi calcistici.
Sono solo alcuni dei progetti finanziati grazie al Bando impresa digitale 2012, che ha distribuito oltre tre
milioni di euro a 158 imprese della provincia di Milano, distintesi nel campo dell'innovazione "hi-tech". Di
queste 158 imprese - su un totale di 687 domande di partecipazione presentate - le dieci prime classificate
sono state oggetto di un incontro-presentazione ieri al palazzo Giureconsulti, sede della Camera di
commercio di Milano.
Sugli oltre tre milioni di euro erogati alle imprese della provincia di Milano, 1,7 milioni sono stati messi a
disposizione dalla stessa Camera di commercio, 600mila euro dal Comune di Milano e 760mila dalla regione
Lombardia. Tutte le società che hanno partecipato possono inoltre trovare dettagli della loro partecipazione al
bando direttamente sul sito della Camera di commercio di Milano (http://www.mi.camcom.it), in un'ottica di
completa trasparenza. Tra le imprese finanziate, 19 sono startup, mentre il 67% opera nel settore dei servizi,
il 21% in quello dell'industria e il 10% nel commercio.
Roberto Calugi, dirigente Area Competitività delle Imprese della Camera di Commercio meneghina, ha
sottolineato come iniziative del genere del Bando impresa digitale «vadano a coprire la generazione dei
giovani, naturalmente "open minded", e di cui purtroppo spesso ci si occupa troppo poco».
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Foto: Il «Global digital market» in Italia
Foto: L'andamento delle imprese dell'It. Valori in milioni di euro
Foto: - Fonte: Assinform / NetConsulting
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Automotive. Trattativa aperta ma in salita dopo la parziale revisione della scelta di chiudere il sito barese Tre scenari per Bridgestone Tra le ipotesi una riconversione con investimenti per 135 milioni IL BILANCIO L'ultimo conto economico dellasocietà evidenzia un utile netto di 6 milioni a fronte di ricavi complessivi per 514 milioni di euro Matteo Meneghello
Dopo le scuse ufficiali e l'apertura al dialogo della proprietà giapponese di Bridgestone, che ha dichiarato
«non irrevocabile» la chiusura dell'impianto di Bari inizialmente prevista per la prima metà del 2014, sono ora
tre, secondo quanto è emerso al tavolo del ministero dello Sviluppo, le ipotesi allo studio per il futuro dello
stabilimento. La prima strategia prospettata dai giapponesi prevede una radicale riconversione verso un
prodotto «premium», con 30 nuove macchine installate, un investimento di 135 milioni e 120 occupati in più.
L'azienda, rappresentata dal chief operating officer Mitsuhira Shimazaki, ha spiegato chiaramente che la
scelta di chiudere proprio Bari, tra gli 8 stabilimenti del gruppo nipponico in Europa, è dovuta agli alti costi
logistici, alla spesa eccessiva per l'energia (che in Francia è il 73% di quella italiana e in Spagna il 71%) e alla
scarsa flessibilità, un ostacolo alla riconversione degli impianti a una produzione di fascia alta, strategia resa
necessaria dalle difficoltà del mercato del pneumatico. La strada della riconversione totale sembra
impraticabile, ma il tema è comunque oggetto di discussione (secondo indiscrezioni, si sta vagliando la
possibilità di accedere ad aiuti economici, anche attraverso Invitalia). La seconda ipotesi prevede una
riconversione solo parziale: 10 nuove macchine installate, 40 milioni di investimento, ma 200 esuberi. Il terzo
scenario sarebbe per Bari quello peggiore: senza una riconversione, i giapponesi confermerebbero la
decisione iniziale, vale a dire la chiusura e 300 esuberi. Tra i quesiti da risolvere, infine, anche il futuro della
struttura vendita di Agrate Brianza, che conta su 150 addetti.
«L'azienda ha ribadito le sue motivazioni: queste continuano ad essere per noi in parte inesistenti e in parte
risolvibili». Lo hanno sottolineato in una nota le segreterie di Bari di Filctem, Femca, Uiltec, Ugl chimici e Failc
Confail. «Tutte le decisioni - hanno aggiunto - dovranno essere valutate a tavoli sindacali e condivise con tutti
i lavoratori. Siamo pronti e disposti a tutte le valutazioni nelle quali non si mettano a repentaglio posti di
lavoro». Il prossimo confronto al Mise è fissato per il 5 aprile.
L'ultimo bilancio depositato di Bridgestone Italia, relativo al 2011, evidenzia nel conto economico un utile
netto di 6,168 milioni (12,742 il risultato lordo), in crescita sui circa 500mila euro del 2010 (4,713 milioni l'utile
netto nel 2009). Il fatturato è stato di 513,7 milioni, mentre sul fronte dei costi l'azienda ha registrato una
riduzione dell'incidenza del personale (da 14,91% al 12,43%) e un aumento del peso dei costi delle materie
prime. Modesto il peso dei costi di energia ed utenze (8,604 milioni) e di trasporti e logistica (1,558 milioni) sul
totale dei costi di servizi.
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GOVERNO LOCALE E AREE METROPOLITANE - Rassegna Stampa 20/03/2013 106
Contratti. Proposta per salvare le Pmi Imprese tessili: «Aumenti dal primo al secondo livello» IL NEGOZIATO Così le aziende hanno risposto alla richiesta di aumenti per 132 euro Tra una settimananuovo vertice tra le parti Francesco Prisco
Spostare il discorso intorno agli aumenti dal primo al secondo livello di contrattazione, così da non
penalizzare le aziende di minori dimensioni che avvertono maggiormente gli effetti della crisi. È questa,
secondo Sistema Moda Italia, la chiave di volta che può portare a un rinnovo del contratto dei tessili in tempi
rapidi.
A sottolinearlo, nella plenaria tenutasi tra lunedì e ieri a Milano con le delegazioni di Filctem, Femca e Uiltec,
è stato il responsabile dell'area relazioni industriali dell'associazione datoriale Carlo Mascellani. Una
"controproposta" che a quanto pare crea qualche divisione all'interno del sindacato: la sigla di categoria di
Cgil ha infatti ribadito con forza la centralità della contrattazione nazionale, mentre sui fronti di Cisl e Uil
sembrano aprirsi spiragli di dialogo. Divisioni che, in ogni caso, non pregiudicano il prosieguo della trattativa:
dopo una "pausa di riflessione" di circa una settimana, si tornerà a lavoro con una riunione tecnica il 28
marzo, per poi rivedersi in plenaria il 5 aprile alla ricerca di una possibile sintesi.
Ad aprire la due giorni di confronto stavolta è stata la parte datoriale: Smi ha ribadito la propria posizione
critica verso la piattaforma sindacale incentrata sulla proposta economica da 132 euro. La sigla settoriale di
Confindustria ha messo sul tavolo le proprie priorità sul versante delle relazioni sindacali, degli aumenti
salariali e delle novità normative. In particolare, sul secondo punto ha proposto di agganciare gli aumenti del
nuovo contratto al secondo livello di contrattazione. Lo scenario congiunturale di riferimento resta infatti
quello del documento presentato a inizio trattativa dal presidente Michele Tronconi: il 40% circa dell'imprese
di settore ha registrato una perdita di bilancio nel 2011. Il settore appare composto da poche imprese che
guadagnano molto, soprattutto grazie all'export, e tantissime altre che non guadagnano affatto. Inoltre, il
ridimensionamento delle aziende o la loro chiusura, spesso per via concorsuale o fallimentare, genera da un
lato minore produzione, dall'altro minore occupazione. Tant'è che tra il 2007 e il 2011 gli addetti sono calati
del 13%, mentre la produzione è crollata del 16%, con un ulteriore arretramento del 10% nel 2012.
Agganciare gli aumenti al secondo livello di contrattazione significherebbe, secondo le imprese, distribuire
ricchezza tra i dipendenti delle imprese che guadagnano, senza gravare quelle in crisi.
«Siamo disposti a spostare sul secondo livello - risponde Emilio Miceli di Filctem - il discorso intorno agli
orari e la flessibilità, ma il contratto resti nazionale». Paolo Pirani di Uiltec ribadisce «l'importanza del livello
nazionale del confronto» e auspica «una mediazione». Sergio Gigli di Femca, in ultimo, si dice «consapevole
del momento di difficoltà attraversato dalle aziende», situazione a partire dalla quale «servono tutti gli
strumenti a disposizione per creare competitività».
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GOVERNO LOCALE E AREE METROPOLITANE - Rassegna Stampa 20/03/2013 107
Riconversioni. L'area di Porto di Mare e la zona della stazione di Mestre candidate al concorso Europan Milano e Venezia si ripensano Gli assessori all'urbanistica: «Cerchiamo idee giovani e funzionali» Paola Pierotti
ROMA
Milano e Venezia cercano idee giovani e internazionali per riqualificare due aree urbane strategiche. Gli
assessori Lucia Ada De Cesaris e Ezio Micelli, rispettivamente responsabili delle politiche dell'Urbanistica di
Milano e Venezia, hanno scelto di candidare l'area denominata «Porto di Mare» a Milano e quella a ridosso
della stazione di Mestre tra le cinquanta città oggetto del concorso europeo Europan, lanciato ufficialmente il
18 marzo 2013.
In un periodo di forte crisi per i concorsi di architettura (e per la nuova architettura) le due città italiane hanno
accettato la sfida decidendo investire sulla progettazione sperimentale. «Ci aspettiamo progetti esplorativi,
proposte con un taglio dichiaratamente internazionale che nascano da occhi capaci di cogliere le nuove
dinamiche delle trasformazioni urbane» ha dichiarato Micelli.
Se Venezia cerca soluzioni per densificare l'area a ridosso della stazione ferroviaria di Mestre, Milano chiede
ai giovani progettisti «di proporre un mix funzionale con ipotesi alternative per un'area periferica.
Immaginiamo una nuova edificazione ma anche un nuovo paesaggio per quell'area situata a sud-est di
Milano che introduce al sistema del Parco Agricolo Sud» ha spiegato l'assessore De Cesaris.
Europan è un programma europeo di concorsi riservato agli under 40 che viene indetto con cadenza
biennale ed è rivolto ai progettisti di tutto il mondo. Si tratta della più grande gara promossa su scala
internazionale nell'ambito dell'architettura, dell'urbanistica, del paesaggio e dell'ambiente.
«Attraverso il concorso e le iniziative connesse - spiega Marilia Vesco, segreteria Europan Italia - Europan
cerca di offrire un contributo alla riflessione e al dibattito sulle città europee, rappresentando una piattaforma
di scambio sia per i progettisti che per le città, con l'obiettivo di finalizzare i progetti alla loro possibile
realizzazione».
In vent'anni questa "macchina" ha attivato numerosissimi processi di rigenerazione urbana coinvolgendo
Pubbliche amministrazioni e privati e investendo sulle energie progettuali più giovani (quelle spesso tagliate
fuori dal mercato).
Quella del 2013 è la dodicesima edizione di Europan e l'Italia torna protagonista dopo un'edizione in cui non
aveva candidato nessuna area. Da Europan nascono centinaia di progetti, molti dei quali riescono a passare
dalla carta al cantiere, anche in Italia.
In occasione di Europan12 Milano e Venezia ipotizzano il riordino e la riqualificazione di vaste aree da
inventare con nuovi usi, appetibili per i cittadini e il mercato. Non si tratta di concorsi per edifici, ma per aree
urbane: in campo la nuova urbanistica e l'opportunità di utilizzare al meglio lo strumento del masterplan.Ai
progettisti si chiede infatti di progettare una «città abitabile».
Il concorso Europan è una tappa attesa tra i professionisti più giovani: un'occasione low cost per mettersi in
competizione con i colleghi internazionali.
In questa edizione sono più di 50 le città promotrici in tutta Europa con la partecipazione di 17 Paesi europei.
Tra le altre città anche Vienna, Monaco di Baviera, Budapest e Marsiglia. Generalmente ogni Paese candida
da 2 a 4 siti, eccetto la Germania e la Francia che hanno proposto rispettivamente 10 e 7 siti.
La scadenza delle iscrizioni al concorso insieme alla consegna delle proposte, che da questa edizione
avverrà esclusivamente on line, è prevista il 28 giugno 2013.
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IL CONCORSOL'edizione 2013 in pillole
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GOVERNO LOCALE E AREE METROPOLITANE - Rassegna Stampa 20/03/2013 108
Il tema scelto per Europan 12 è «La città abitabile, inserire i ritmi urbani» Le aree candidate sono oltre 50
città in 17 Paesi . I siti sono statei classificati secondo sei categorie: patrimonio per il futuro; rivitalizzazione
degli spazi pubblici poco attraenti; riconversione da aree monofunzionali a mix di usi; integrazione tra
ambiente naturale e urbano; infrastrutture di trasporto e reti di relazioni; valorizzazione delle fasi intermedie di
un processo (valorizzando creativamente la mancanza di finanziamenti o di scelte strategiche)
Le tappe
Il programma Europan12 è stato lanciato il 18 marzo 2013. La data per la consegna dei progetti è fissata per
il 28 giugno 2013
I siti web
Il concorso sarà completamente online. Per informazioni specifiche sulle aree candidate al concorso
Europan12 i siti web di riferimento sono ww.europan-europe-eu (inglese e francese) e www.europan-
italia.com (italiano)
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Pericolo alluvioni E Burlando non dà soldi ai borghi delle Cinque Terre Il 25 ottobre 2011 è venuto giù di tutto. Acqua, fango, alberi, macerie. Un fiume marrone che ha affogato
Monterosso al Mare e si è preso la vita di Sandro Usai, volontario della Protezione Civile. In tutto 70-80 frane
certificate. Un anno e mezzo dopo, il borgo più a ovest delle Cinque Terre è tornato a brillare di luce propria.
Le donazioni di molti privati e l'abnegazione dei cittadini che ci hanno messo mani e sudore hanno permesso
di ricostruire il centro storico - lastricato in legno per precauzione -, la scuola, il lungomare di Fegina, decine
di abitazioni, alberghi e ristoranti. Un anno e mezzo dopo le casse del Comune stanno ancora aspettando
una grossa fetta dei finanziamenti che la Regione Liguria ha promesso. In questi mesi gli interventi di
ripristino della viabilità principale sono proseguiti, ma il lavoro da fare è ancora tanto, troppo per le spalle di
un Comune che durante l'inverno conta 1.700 abitanti, e in estate si moltiplica fino a 15-17mila. Quella notte
maledetta i sette torrenti che si infiltrano sotto le strade del sono esplosi, seppellendo il centro del paese. Ma
anche i terrazzamenti che disseminano il litorale hanno ceduto, vomitando tonnellate di materiale sulle due
principali vie di collegamento tra il paese e la provinciale 51 (la Via dei Santuari), che a mezza costa fa da
"cerniera" tra le Levanto e La Spezia. «Ancora oggi siamo in grave difficoltà» spiega il sindaco di Monterosso,
Angelo Betta, «le due principali vie di accesso al paese sono gravate da smottamenti. La provinciale 38, che
porta alla marina di Fegina, in quattro punti ha una sola corsia praticabile». E non è messa meglio anche la
370, un'altra bretella che si snoda fino al centro storico: «Ho appena finito le rilevazioni con la Protezione
Civile, abbiamo scoperto che l'acqua ha scavato sotto la carreggiata in molti punti». Se Monterosso ha
riacquistato l'aspetto originario, la situazione viabilistica è un nodo irrisolto. E qui entra pesantemente in
campo la burocrazia: «Il Cipe (organismo nazionale, ndr ) ci aveva assegnato 2,5 milioni di euro, che
avremmo usato per gli interventi di maggior urgenza. Ma la Regione ci ha detto che la sistemazione della Via
dei Santuari era prioritaria per tutte le Cinque Terre, e quindi ha "drenato" un milione dello stanziamento Cipe
da noi, e altri 2,5 milioni dal Comune di Vernazza». Betta acconsente ma a una condizione: «Attraverso la
Provincia dovevano garantire gli interventi viabilistici che ci servono per accogliere al meglio i turisti».
Risultato: «Abbiamo le due vie di accesso rimaste parzialmente inagibili e un milione di finanziamento
dirottato su un'opera per noi non prioritaria». E intanto la minaccia di nuove alluvioni non è affatto cessata:
solo du giorni fa c'è stata una mareggiata forza 7. Senza interventi seri, qui si rischia grosso. E. CAV.
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GOVERNO LOCALE E AREE METROPOLITANE - Rassegna Stampa 20/03/2013 110
Gara tra multinazionali per le concessioni La Liguria ha una miniera da 600 miliardi Beigua, parco del Savonese, nasconde il più grande giacimento di titanio d'Europa. La Regione proprietariadell'asset ANTONIO SPAMPINATO La materia è delicata perché da un lato tocca il portafogli e dall'al tro l'ambiente e il diritto alla salute. Il
portafogli in questione si trova nella tasca della Regione Liguria, dei suoi abitanti ma, di conseguenza, anche
in quella di tutti gli italiani. Il bilancio dell'amministrazione regionale è in rosso per 60 milioni ma potrebbe
d'incanto andare in attivo per 440, grazie a una "rendita" da 500 milioni all'anno che incasserebbe per
quattro-cinque esercizi se si sbloccasse l'annosa questione della miniera di rutilio, uno dei minerali da cui si
ricava il titanio. La Liguria siede infatti su uno dei più grandi giacimenti di questo prezioso metallo: quasi 400
milioni di tonnellate di "pepite" da cui si potrebbero ricavare dai 400 ai 600 miliardi di euro. Il titanio viene
utilizzato nell'industria più avanzata: dalla Difesa all'aeronautica ma anche nella produzione di vernici, carta,
plastica e gomma. Il tesoro si trova nel Savonese, tra Sassello e Urbe, tra i 400 e i 900 metri di altitudine del
Bric Tarinè, nei pressi della frazione montana di Piampaludo. La scoperta, come scrive Il Secolo XIX in
un'approfondita ricostruzione, risale agli anni Settanta, quando la Regione accordò alle compagnie estrattive -
era il 1976 - lo sfruttamento della miniera. Poi però tutto venne bloccato. Nel 1996 tutta l'area rientrò nel
Grande Parco del Beigua, area protetta quanto deserta. Così le speranze delle compagnie minerarie di dare
alla luce il tesoro si affievolirono ancora di più, così come la possibilità per la Regione di ottenere i ricchi diritti
di concessione. Fino quasi a spegnersi quando la vicenda finì sul tavolo dell'allora ministro dell'Industria Pier
Luigi Bersani, che preferì ascoltare le opposizione degli ambientalisti. Ma la resa non rientrava nel
vocabolario della Golder Associates, un colosso canadese di certificazione ambientale tornato alla carica con
la Regione Liguria per chiedere di sbloccare la concessione. Tra gli argomenti portati avanti a favore della
riapertura del fascicolo ci sono i passi avanti fatti dalla tecnologia applicata nel campo minerario e da un
piano avanzato per la difesa dell'ambiente. Ma non solo. Le perplessità che poi decisero il blocco del progetto
non riguardano infatti solo la salvaguardia di un'oasi incontaminata, ma anche la salute di chi vive in
prossimità del parco. Il pericolo si chiama amianto e l'Italia sa bene di quali danni è capace. Ora un'altra
compagnia di certificazione ambientale, la Sai Global, legata alla Golder, continua la battaglia della
multinazionale canadese. «Il primo passo - scrive il quotidiano ligure - dovrebbe essere il via della Regione, la
valutazione di impatto ambientale, poi un provvedimento amministrativo di concessione (competente la
Regione, mentre allo Stato rimane una residuale competenza sui Beni ambientali, che implica un permesso
della Sovraintendenza), con tutte le condizioni possibili di salvaguardia dell'ambien te». Un percorso non
breve, soprattutto in Italia, ma la posta in gioco è alta e le multinazionali statunitensi, canadesi, sudafricane
specializzate nel settore dell'estrazione hanno ottimi argomenti per andare avanti a muso duro. Le condizioni
rispetto sia agli anni '70 sia al '96 sono diverse. Non certo i rischi, ma i metodi per evitarli sono certamente più
evoluti. E poi c'è una fame di lavoro e di Prodotto interno lordo asfittico della Regione e nazionale che
potrebbero agevolare la pratica, fatto naturalmente salvo il diritto alla salute e la salvaguardia dell'ambiente.
Foto: DISTRUZIONE TOTALE Un'immagine di Vernazza, comune delle Cinque Terre (Sp), come si
presentava il 26 ottobre 2011 a poche ore dalla tragica alluvione che seminò morte e distruzione in tutta la
zona Ansa
20/03/2013 21Pag. Libero - Ed. nazionale(diffusione:125215, tiratura:224026)
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