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Fonti bibliche della vita e dell'opera di Paolo della Croce LUIS DIEZ MERINO C.P. 1. LA BIBBIA DI PAOLO DELLA CROCE La Bibbia Vulgata Latina, usata da Paolo della Croce, si trova a Roma, nella Casa Generalizia dei Padri Passionisti (Biblia Sacra, Vulgatae Editionis Sixti V Pontif. Max. jussu recognita, Clementis Vili auctoritate edita, atque versiculis di- stincta, Colonia 1720, 926 pp.). Contiene una nota scritta a mano da Paolo della Croce: "Ad usum Pauli, et Joannis Baptistae de Daneis". Inoltre si conserva un Nuovo Testamento in latino, anch'esso usato da Paolo e stampato a Parigi nel 1743 in due volumi: il primo dedicato ai Vangeli, e il secondo agli Atti degli Apostoli, alle Epistole e all'Apocalisse. Paolo nei suoi scritti si servi della Vulgata e normalmente è solito citarla in latino. Non cercò il fondamento biblico scientifico della sua spiritualità, ma impiegò l'esegesi che era tradizionale tra i predicatori della sua epoca. Proprio un religioso della Congregazione passionista, fondata da Paolo della Croce, in una tesi di dottorato cercò i fondamenti della spiritualità della Passione e studiò Fil 3,10-11: "E questo perché io possa conoscere lui (Gesù Cristo), la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme (io, Paolo Apostolo) nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti" 1 . Bisogna considerare che, se Paolo della Croce non aveva una profonda formazione esegetica, godette effettivamente dell'appoggio della scienza infusa che gli permise di entrare nel vero spirito della Bibbia. Nei Processi di Beatificazione, il P. Giammaria riferisce: "Una volta ebbe tal lume e intelligenza della divinità, che sparivali tutto il creato, e sembravagli la fede essere cambiata in evidenza. Onde l'anima sua ardentemente bramava di sciogliersi del fragil corpo, e strettamente unirsi al sommo, ed infinito Bene. E sembravagli che, oltre la visione beatifica, maggiore non si potesse avere in questa vita mortale" 2 . Proprio come Paolo Apostolo racconta di se stesso: "Conosco un uomo in 1 B.M. Ahern, The Power of His Resurrection. Study onPhil. 3, 10-11, Roma 1958; Idem, The Fellow- ship ofHis sufferings (Phil. 3, 10), Catholic Biblical Quarterly 22 (1960) 1-32. 2 P. Giammaria, Processo Ordinario di Vetralla, fol. 278v.

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Fonti bibliche della vita e dell'opera di Paolo della Croce

LUIS DIEZ MERINO C.P.

1. LA BIBBIA DI PAOLO DELLA CROCE

La Bibbia Vulgata Latina, usata da Paolo della Croce, si trova a Roma, nella Casa Generalizia dei Padri Passionisti (Biblia Sacra, Vulgatae Editionis Sixti V Pontif. Max. jussu recognita, Clementis Vili auctoritate edita, atque versiculis di- stincta, Colonia 1720, 926 pp.). Contiene una nota scritta a mano da Paolo della Croce: "Ad usum Pauli, et Joannis Baptistae de Daneis". Inoltre si conserva un Nuovo Testamento in latino, anch'esso usato da Paolo e stampato a Parigi nel 1743 in due volumi: il primo dedicato ai Vangeli, e il secondo agli Atti degli Apostoli, alle Epistole e all'Apocalisse.

Paolo nei suoi scritti si servi della Vulgata e normalmente è solito citarla in latino. Non cercò il fondamento biblico scientifico della sua spiritualità, ma impiegò l'esegesi che era tradizionale tra i predicatori della sua epoca. Proprio un religioso della Congregazione passionista, fondata da Paolo della Croce, in una tesi di dottorato cercò i fondamenti della spiritualità della Passione e studiò Fil 3,10-11: "E questo perché io possa conoscere lui (Gesù Cristo), la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme (io, Paolo Apostolo) nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti"1.

Bisogna considerare che, se Paolo della Croce non aveva una profonda formazione esegetica, godette effettivamente dell'appoggio della scienza infusa che gli permise di entrare nel vero spirito della Bibbia. Nei Processi di Beatificazione, il P. Giammaria riferisce: "Una volta ebbe tal lume e intelligenza della divinità, che sparivali tutto il creato, e sembravagli la fede essere cambiata in evidenza. Onde l'anima sua ardentemente bramava di sciogliersi del fragil corpo, e strettamente unirsi al sommo, ed infinito Bene. E sembravagli che, oltre la visione beatifica, maggiore non si potesse avere in questa vita mortale"2.

Proprio come Paolo Apostolo racconta di se stesso: "Conosco un uomo in

1 B.M. Ahern, The Power of His Resurrection. Study onPhil. 3, 10-11, Roma 1958; Idem, The Fellow- ship ofHis sufferings (Phil.

3, 10), Catholic Biblical Quarterly 22 (1960) 1-32. 2 P. Giammaria, Processo Ordinario di Vetralla, fol. 278v.

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Cristo che, quattordici anni fa - se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo - se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare" (2 Cor 12, 2-4).

Don Giuseppe Gaetano Suscioli, canonico teologo della cattedrale di Sutri, che nel Processo Romano di Beatificazione sottoscrisse una lunga testimonianza su Paolo della Croce, giunge ad affermare che aveva il vero carisma della "interpretatio sermonum": "Posso dire che mirabilmente un tal dono lo avesse il Padre Paolo, poiché così bene e tanto a proposito allegava le divine scritture nelle sue prediche, in conferma delle verità che persuadeva, che tale abilità non può attribuirsi a scienza acquistata"3.

E il caso di molti santi che hanno realizzato interpretazioni ispirate da alcuni libri della Bibbia, per esempio San Giovanni della Croce o Santa Teresa (specialmente per il Cantico dei Cantici) o Suor Elisabetta della Trinità (per San Paolo Apostolo).

1.1. Fonti di Paolo della Croce

Il titolo di questo articolo suona fin troppo ambizioso; non vorremmo essere apodittici, né pensiamo che in un breve lavoro si possa esaurire un tema così vasto.

L'ultima revisione delle Regole di tutti gli Istituti Religiosi, esistenti nella Chiesa e fondati prima del 1965, fu un imperativo conciliare. Tutti gli Istituti dovettero adattare le proprie Regole alle direttive del Concilio Vaticano II, perciò sarebbe desiderabile che la stessa ricerca delle fonti bibliche di Paolo della Croce si svolgesse a tre livelli: a) ciò che disse in ogni caso Paolo della Croce, specialmente nel testamento ai suoi figli e diretti; b) ciò che il Concilio Vaticano ha proposto per ciascun tema: generalmente riporta molti passaggi biblici come base dei suoi insegnamenti; c) ciò che la Bibbia propone su ciascun argomento, e che dovette essere preso in considerazione tanto da Paolo della Croce quanto dal Concilio Vaticano II. In realtà il presente stadio delle Regole della Congregazione della Passione è una rilettura dello spirito del Fondatore Paolo della Croce attraverso le direttive conciliari, che si basarono sulla Bibbia e sulla Tradizione della Chiesa. Ma poiché i Capitoli Generali degli Ordini e Congregazioni religiose hanno ricevuto dalla Sede Apostolica di Roma ampi poteri di ritoccare le Regole e Costituzioni, ci è parso giusto citare la Regola passionista nella redazione anteriore all'ultima revisione, non perché pensiamo che sia cambiato il contenuto sostanziale delle edizioni precedenti, anche se effettivamente è cambiata la forma, ma perché pensiamo che la formulazione anteriore sia più vicina al tenore verbale di Paolo della Croce, anche se ritoccato da numerose revisioni.

Paolo della Croce ricorre frequentemente a citazioni letterali della Bibbia per ricavarvi la sua dottrina, o a volte, nello stile del suo tempo, per corroborarla. Il Concilio Vaticano II ricorre continuamente alle fonti bibliche da cui estrae, a volte letteralmente, a volte a senso, le diverse affermazioni con cui propone ai fedeli la

3 Processo Informativo di Roma, III, 36, fol. 318v.

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dottrina della Chiesa. Per non disperderci in una panoramica troppo estesa di ciò che costituisce la spiritualità di San Paolo della Croce4, sintetizziamo i punti fondamentali tradizionali, senza abbracciarne tutti gli aspetti. Abbiamo pensato che può essere altamente significativa la visione che ci viene offerta dalle due angolazioni che han cercato di sintetizzare la detta spiritualità:

1. - I punti fondamentali che uno studioso di San Paolo della Croce, Basilio di San Paolo, stabilì come sintesi di ciò che Paolo della Croce volle che fossero i suoi figli; cioè propone in che cosa dovrebbe manifestarsi la sua identità passionista, e la riassume in nove punti5: 1) Sani di corpo; 2) puliti; 3) gentili; 4) dotti; 5) poveri; 6) austeri; 7) amanti della solitudine; 8) santi; 9) apostoli di Cristo Crocifisso.

2. - La sintesi che figura nel testamento spirituale di San Paolo "della Croce lasciato ai suoi figli poche settimane prima della sua morte, ridotta ad alcune linee fondamentali, che tradizionalmente si riassumono in quattro punti6: 1) Spirito di orazione; 2) spirito di povertà; 3) spirito di solitudine; 4) spirito apostolico. Ma in realtà Paolo della Croce, nel redigere il suo testamento spirituale dal letto della sua ultima malattia, propose altri punti che segnaleremo più avanti.

Entrambi gli schemi considerati si mostrano come la sintesi di una stessa realtà, e, dato che sono redatti da persone che conoscevano perfettamente il tema, coincidono nell'essenziale. Ambedue le sintesi, quella di Basilio di San Paolo e quella di Paolo della Croce, si riferiscono a uno stesso concetto, e pensiamo che si completino a vicenda anche se presentano schemi diversi. Di fatto tale convergenza si riscontra nello stesso testamento di Paolo della Croce, che così inizia: "Prima di ogni altra cosa raccomando premurosamente l'osservanza di quel ss.mo ricordo dato da Gesù Cristo ai suoi discepoli: In hoc cognoscent

omnes quod discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem"7. Se ciò si verifica, allora abbiamo veramente la sintesi totale della vita cristiana e tutto il

resto non conta assolutamente nulla. La stessa cosa succede nelle Regole, quando si descrive la finalità della Congregazione: "Il fine di questa Congregazione è lo stesso fine che ha ogni cristiano e molto più ogni ecclesiastico, quello cioè di osservare esattamente i precetti della legge divina e i consigli evangelici"8. Lo stesso Concilio Vaticano II afferma che a tutti è inviata la chiamata universale alla santità,

4 Questa si può ottenere con la lettura di: V.M. Strambi, Vita, del Ven. Servo di Dio, P. Paolo della Croce, Roma 1786; Idem, II: Lo spirito di S. Paolo della Croce, edito da P. Disma, Alba 1951; traduzione tedesca: Das Lehen des hi. Paul von Kreuz, Baltimore 1873; Basilio De San Pablo, La Espiritualidad de la Pasión, Madrid (El Pasionario) 1961, 367 pp.; o di E. Zoffoli, S. Paolo della Croce. Storia critica, voi. I: Biografia, Roma (Curia Generalizia PP. Passionisti) 1963, pp. LXVII - 1615; voi. II: L'Uomo - Il Santo, 1965 (Curia Generalizia PP. Passionisti) 1965, pp. 1755; voi. III: Il Maestro di spirito - Il Missionario - Il Fondatore, Roma (Curia Generalizia PP. Passionisti) 1968, pp. 2511 cito Zoffoli, volume, pagina; Idem, I Passionisti: Spiritualità e apostolato, Roma 1955; Idem, S. Paolo della Croce: Profilo, Roma 1967, 2a

edizione 1975; Idem, San Paolo della Croce, Manduria (Taranto) 1975.

5 Basilio De San Pablo, Como quiso San Pablo de la Cruz a los Pasionistas, Teologia Espiritual 19 (1975) 609-618.

6 Giambattista Di San Vincenzo Ferreri, Bollettino della Congregazione della SS. Croce e Passione di N.S.G.C., Roma 1929, 107-109; C. Chiari, Lettere di S. Paolo della Croce, voi. V, Roma (Curia Generalizia PP. Passionisti) 1977, n. 172, 256-258; Zoffoli, I, 1506-1508.

7 C. Chiari, Lettere V, 172, p. 256. 8 Regole e Costituzioni, ECO (Teramo), 1961, n. 1. In seguito citeremo sempre con Reg., seguito dal numero.

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soprattutto ai religiosi che già sarebbero oggetto della chiamata del Signore: "Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla Gerarchia, sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità, secondo il detto dell'Apostolo: Certo la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4). Orbene, questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli"9.

E più avanti aggiunge: "Ognuno poi, che è chiamato alla professione dei consigli, ponga ogni cura nel perseverare e maggiormente eccellere nella vocazione a cui Dio l'ha chiamato, per una più grande santità della Chiesa e per la maggior gloria della Trinità, una e indivisa, la quale in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità"10. Nella stessa costituzione dogmatica sulla Chiesa si parla primieramente dei consigli evangelici11 e poi si torna a parlare dei religiosi e dei consigli evangelici12.

1.2. Base biblica della vita e dell'opera di Paolo della Croce

Possiamo provare due vie per esaminare i fondamenti biblici della vita e della dottrina di San Paolo della Croce.

La prima è studiare i suoi scritti esponendo le citazioni bibliche e il modo di fare esegesi nelle sue opere. Per questo dovremmo scorrere tutti i suoi documenti, stampati e manoscritti. Oggi possediamo questi documenti stampati: a) Il Diario Spirituale di San Paolo della Croce13; b) Le Regole e Costituzioni del 1720, il testo del codice "Altieri" e le edizioni del 1741, 1746, 1760, 1775: tutte queste susseguenti edizioni della Regola sono state pubblicate in sinossi da F. Giorgini14; c) Le Lettere di San Paolo della Croce, di cui non conosciamo il numero preciso; dovrebbe essere, stando a certe notizie che ci fornisce lo stesso Paolo della Croce, varie decine di migliaia15, in totale ne furono pubblicate 1.884, a cui vanno aggiunte

9 Tutti i documenti del Concilio, Massimo, Milano 1972, Lumen Gentium, 39. In seguito citeremo con la sigla Conc., nome e numero del documento.

10 Conc., Lumen Gentium, 47. 11 Conc., Lumen Gentium, 42. 12 Conc., Lumen Gentium, 43-46. 13 Pubblicato in: Amedeo della Madre del Buon Pastore, Lettere di San Paolo della Croce, Roma 1914, t. I, pp. 1-18;

P. J. De Guibert, Le Journal de Retraite de St. Paul de la Croix, Revue d'Ascétique et Mystique, 6 (1924) 26-48; Stanislao dell'Addolorata, Diario di S. Paolo della Croce, con introduzione e commenti, Torino 1929, 196 pp.; E. Zoffoli, Diario

spirituale di S. Paolo della Croce, Testo critico, Introduzione e Note, Roma 1964; C. Chiari, Paolo della Croce, Scritti spirituali, 1.1: Diario spirituale - Lettere a familiari e laici, Roma 1974; M. Bialas, Das geistliche Tagebuch des heiligen Paul vom Kreuz, Aschaf- fenburg (Paul Pattloch) 1976, 121 pp.

14 F. Giorgini, Fontes historicae Congregationis Passionis, I, Regulae et Constitutiones, Roma 1958. 15 Zoffoli, I, XVII; Amedeo della Madre del Buon Pastore, Lettere di S. Paolo della Croce, Fondatore dei Passionisti,

disposte ed annotate, Roma (Pont. Ist. Pio IX) 1924, 4 volumi: I, 822, II, 848; II, 843; IV, 503 (è l'edizione che citeremo): fa menzione della grande quantità di lettere che scriveva: Lettere, 151, 222, 225, 301, 333, 448, 594, 681; II, 111, 145, 180, 195, 198, 199, 201, 205, 476, 491, 700, 805, ecc.; A. Casetti, S. Paolo della Croce dall'Epistolario, in: Biblioteca dei Santi, dir. Monsignor G. Galbiati, voi. II, Milano (Ist. ed. Ital.) 1924, 284 pp. (121 lettere); Basilio de San Pablo - B. Monsegu, Cartas y Diario Espiritual de San Pablo de la Cruz, Madrid 1968 (traducono e pubblicano 475 lettere).

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le 175 che vennero pubblicate nel 197716; fino al momento presente assommano quindi a 2.059; d) Discorsi pronunciati da Paolo della Croce e da lui copiati, che si conservano nell'Archivio Generale della Congregazione della Passione (Roma) in due volumi: I, 316 pp.; II, 198 pp.; solo 37 lettere furono pubblicate tra il 1925 e il 1927 (Bollettino della Congregazione); e) Documento della Morte Mistica17.

I. 3. Le citazioni bibliche di Paolo della Croce

Tenendo conto di questa documentazione paulocruciana, eccetto i discorsi che sono meno originali, abbiamo studiato parzialmente le citazioni bibliche che si trovano confrontate in due studi sui fondamenti biblici di Paolo della Croce nel suo magistero18.

Le citazioni bibliche che abbiamo potuto identificare in questi scritti paulo- cruciani sono 209 dell'A.T. e 303 del N.T. Egli prediligeva l'Apostolo Paolo che chiamava "il mio caro San Paolo"19 e che cita fino a 155 volte. Il Concilio Vaticano II, per l'appunto, propone San Paolo come modello a tutti i sacerdoti: "I Presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati (cf Eb 5,1): vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo a fratelli. Così infatti si comportò Gesù Nostro Signore, Figlio di Dio, Uomo inviato dal Padre agli uomini, il quale dimorò presso di noi e volle in ogni cosa essere uguale ai suoi fratelli, eccetto che nel peccato (cf Eb 2,17; 4, 15). E un esempio, il suo, che già imitarono i santi Apostoli; e San Paolo, Dottore delle Genti, «segregato per il Vangelo di Dio», dichiara di essersi fatto tutto per tutti, allo scopo di salvare tutti (cf 1 Cor 9, 19-23 Vg.)"20.

Non abbiamo trovato citati in Paolo della Croce i seguenti libri dell'A.T.: Numeri, Giudici, Neemia, Lamentazioni, Baruc, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Mi

16 C. Chiari, Lettere di S. Paolo della Croce, Roma (Curia Generalizia PP. Passionisti) 1977, 284 pp. In seguito citeremo Lettere.

17 P. Alonso Bianco, Morte Mistica, ovvero, Olocausto del Puro Spirito di un 'anima religiosa, traduzione di C. Lizarraga, Bilbao 1976, 23 pp.; Lettere, V, 9-17; P. Alonso Bianco - A.M. Artola, Morte Mistica, ovvero, Olocausto del Puro Spirito di

un'anima religiosa, Introduzione, Commento, Roma (Bollettino Stauròs), Teologia della Croce, 1976, 14 pp.; Prieuré de Saint Paul de la Croix (Croisy S./Eure): Mort Mystique ou Holocauste du Pur Esprit d'une Ame Religieuse, in: Saint Paul de la Croix, Journal Spirituel, Mort Mystique, Lettres à Marie-Crucifiée, Paris 1979, 51-65; J. Mead, Mystical Death or Holocaust of a Religious

Soul, St. Paul of the Cross. A. Source / Wortbook for Paulacrucian Studies, New York 1983, 160-177 (tutte queste pubblicazioni trascrivono il manoscritto di Bilbao); A.M. Artola, La "Muerte Mistica" segun san Pablo de la Cruz,

Introduzione critica, con edizione facsimile del manoscritto di Bilbao; trascrizione del manoscritto di Mamers, più le traduzioni della M. Solaun, C.P. e dell'anonimo di Deusto, Bilbao 1980; A.M. Artola, La Muerte Mistica segùn San Pablo de

la Cruz, Texto critico y Sintesis doctrinal, Bilbao /Universidad de Deusto) 1986, 307 pp.

18 L. Diez Merino, La Biblia en el magisterio de San Pablo de la Cruz, Teologia Espiritual 19 (1975) 475-503; Idem,Reminiscencias biblicas en el texto de la Muerte Mistica, Teologia Espiritual 25 (1981) 51- 93; Idem, Fondamenti biblici della dottrina

sopra la "Morte Mistica " in San Paolo della Croce, Roma 1984, 57 pp.

« E. Zoffoli, S. Paolo della Croce, II, 111-121. 20 Presbyterorum Ordinis, 3.

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chea, Naum, Sofonia, Zaccaria e 1 Maccabei. È strano che non abbia utilizzato alcun testo di Zaccaria che ha tanta risonanza nei Vangeli della Passione. Così cita raramente il Deutero-Isaia.

Ha una predilezione per i Salmi (64 volte), il Vangelo di Giovanni (36 volte) e le Lettere di San Paolo (155 volte), specialmente i testi che conservano un tono marcatamente autobiografico. Alcuni testi, ad esempio Gn 15,1 ("La tua ricompensa sarà molto grande"), vengono citati molte volte nelle sue lettere21, lo stesso capita con Is 30,15 ("Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza")22 e anche con Mt 6,10 ("Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra")23.

Evidentemente Paolo della Croce non era un esegeta di professione, come non lo erano i predicatori del suo tempo; tuttavia rivela la sua predilezione per la Bibbia, che chiamava ilLibro dei lumi. "Ma senza che ci allontaniamo dal Libro dei lumi..."24, scrive in una lettera a G. Strambi, il 25 ottobre 1768. I testimoni nei Processi di Beatificazione mettono in rilievo che "non tralasciava... di leggere continuamente la Sacra Scrittura, che aveva sempre vicino a sé"25. Usava più abbondantemente le citazioni bibliche quando scriveva agli ecclesiastici o ai suoi religiosi. In una lettera circolare del 12 marzo 1753 attinge fino a 31 testi di San Paolo26. I frammenti biblici sovrabbondano pure nelle sue lettere ai Sommi Pontefici, per esempio in quella che scrive a Clemente XIV (Lett. IV, p. 208) nel dicembre del 1773 (8 citazioni), quando ringrazia per la concessione del convento e della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo in Roma: "Sicché altro non posso io e tutta la Congregazione della SS.ma Croce e Passione di Gesù Cristo, se non che esclamare di cuore giorno e notte all'Altissimo di concederle sapientiam et

prudentiam mul- tam nimis, et latitudinem cordis quasi arenam, quae est in litore maris27 et deducere Te per

vias rectas, ostendere tibi Regnum Dei, dare tibi scientiam sanctorum, honestare in laboribus28, che non sono pochi né piccoli, che fiat pax, pax vera, pax sancta in die- bus tuis, et non sit Satan, neque occursus

malus29 acciò il popolo cattolico, ambulet in Domo Dei cum consensi, habitet absque ullo timore et sit cor

unum et anima una:31, e finalmente dopo una lunga vita compiere labores tuos in odore suavitatis02, et

sempiterna benedizione^". Come si può costatare, è una citazione biblica a catena: si congiungono alcuni

21 Lettere I, 84, 399, 565, 634, 640, 694, 709 ecc. 22 Lettere I, 578, 637, 684, 728, 733. 23 Lettere I, 24, 434, 481, 706, 715, 718, 751, 760, 769, 780, 802, ecc. 24 Lettere IV, 79 25 Fr. Francesco, Processo Ordinario di Roma, 1159. 26 Lettere IV, 244-249. 27 Vg III Re 4, 39: "Dedit quoque Deus sapientiam Salomoni et prudentiam multam nimis et latitudinem

cordis quasi arenam quae est in littore maris". 28 Vg Sap 10, 10: "Haec [sapientia] profugum irae fratris justum deduxit per vias rectas; et ostendit illi -

regnum Dei, - Et dedit illi scientiam sanctorum - Honestavit illum in laboribus". 29 Vg III Re 5, 4: "nunc autem requiem dedit Dominus Deus meus mihi per circuitum: et non est satan,

neque occursus malus". 30 Vg Sai 54, 15: "In domo Dei ambulavimus cum consensu". 31 Vg At 4, 32: "Multitudinis autem credentium erat cor unum, et anima una". 32 Vg Ez 20, 41: "In odore suavitatis". 33 Vg: Gn 8, 21: "Odoratus... est Deus odorem suavitatis"; Ez 20, 41: "In odorem suavitatis suscipiam vos".

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testi ad altri, si sistemano a volte i tempi dei verbi o si aggiungono alcuni termini, perché si addicano alla persona a cui questo messaggio va diretto. Negli scrittori ebrei medievali questo stile è stato chiamato Musivstil, o stile a mosaico, in cui si vanno incastonando testi della Bibbia. Gli scrittori ebrei medievali usavano concatenare testi biblici (in ebraico) mediante piccoli cambiamenti per adattarli al tema presente, e ciò veniva fatto specialmente dagli scrittori ebrei spagnoli che scrivevano in ebraico, particolarmente nelle "magamas". Paolo della Croce rivela la simbiosi biblica a cui era giunto, anche senza conoscere questo modo di scrivere ebraico, cioè citava frammenti biblici (generalmente a memoria), come un mosaico 0 intarsio, in cui si andavano unendo testi biblici che esprimevano i suoi stessi sentimenti e si adattavano alla persona a cui si rivolgeva. Ciò indica un contatto assiduo con la Bibbia, e una assimilazione sufficientemente profonda del suo contenuto verbale e concettuale.

Probabilmente, se si fossero conservati gli esercizi spirituali predicati a sacerdoti, si sarebbe potuto constatare con maggior evidenza tutto questo, poiché egli cita la Bibbia soprattutto quando scrive a gente di maggiore livello intellettuale: religiosi, sacerdoti, papi. Dato che la sua corrispondenza epistolare è diretta in gran parte a secolari che non conoscevano il latino, non si trovano molti documenti in cui possa avvalersi di questo suo modo peculiare di esprimersi così impregnato di testi biblici. Inoltre non sappiamo se usò qualche Bibbia tradotta in italiano. Le sue citazioni erano fatte principalmente a memoria, per cui c'è qualche inesattezza in rapporto alla Vulgata ma anche la garanzia della sua fedeltà, per quanto maneggi agilmente i testi per adattarli ai suoi ascoltatori, ai suoi interlocutori o ai suoi lettori. Di fatto Paolo della Croce non disponeva di nessuna concordanza che in alcune occasioni gli avrebbe risolto qualche problema34; perciò una volta non ricordando con esattezza un testo che voleva citare, dovette ricorrere a suo fratello Giovanni Battista, perché gli trovasse il testo di Lv 19,9s: poiché egli ricordava il contenuto ma non sapeva citarlo letteralmente né sapeva in che libro si trovava35.

Il Concilio Vaticano II nella sua Costituzione sulla Divina Rivelazione obbliga 1 chierici e i catechisti a leggere e studiare assiduamente la Bibbia: "Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto continuo con le Scritture, mediante la sacra lettura e lo studio accurato, affinché non diventi vano predicatore della parola

di Dio all'esterno colui che non l'ascolta di dentro (S. Agostino), mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della parola divina, specialmente nella sacra Liturgia. Parimenti, il Santo Sinodo esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. L 'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo (San Girolamo)"36.

Si deve, poi, ricorrere allo stesso testo, sia nella liturgia, sia nella lettura

34 P.e. quella del Card. Hugo, Sacrorum Bibliorum Vulgatae Editionis Concordantiae Hugonis Cardinalis Ordinis Praedicatorum; ad recognitionem jussu Sixti V. Pont. Max. Bibliis adhibitam recensi- tae, atque emendatae, Venecia (Apud Nicolaum Pezzana) 1719.

35 V. M. Strambi, Vita del Ven. Servo di Dio, P. Paolo della Croce, Roma 1786, II, c. XII, p. 311. 36 Dei Verbum, 25.

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spirituale, e in altre occasioni. Il Concilio vede nella Bibbia l'anima della Teologia, e dice che attraverso la Bibbia e la Tradizione si penetra, alla luce della fede, la verità nascosta nel mistero di Cristo37. Ma questi suggerimenti o comandi conciliari non sono propri dell'epoca moderna; anche in passato la Chiesa ha sempre inculcato la lettura della Bibbia e, prima che arrivassero le Summe Teologiche, il libro di testo per i chierici fu sempre la Bibbia.

Basta una sola testimonianza per sottolineare quanto Paolo della Croce apprezzasse la Bibbia: "Noi abbiamo la Sacra Scrittura, da cui tutti i teologi ed i moralisti e mistici e dogmatici e polemici ecc. hanno ricavato le loro opere ed hanno approvato o disapprovato gli spiriti secondo che, o accordavano o discordavano da quanto Iddio si è degnato rivelare e manifestare nella Sacra Scrittura. Concorda con il Verbo scritto il suo spirito? Lo approveranno anche così, poiché la Scrittura sottosopra la leggono e l'hanno letta. Se poi non si accorda, non potrà alcun savio approvare ciò che non sia conforme alle Sacre Carte"38.

La seconda via che si può tentare per scoprire l'influsso che la Bibbia esercitò sulla vita e sul magistero di Paolo della Croce, è il proposito di questo lavoro: tentiamo di studiare la base biblica di ciò che possono essere le linee fondamentali dello spirito di Paolo della Croce; cioè tenteremo di riprendere le linee fondamentali o le basi in cui chiarisce ciò che intende per spirito della Congregazione da lui fondata, e questo prendendo come base specialmente il suo testamento spirituale, dedicato ai suoi figli.

2. IMMAGINE DI CRISTO CROCIFISSO

2.1. Vocazioni a contatto con la Bibbia

Ci riferiamo al fatto che molti santi scoprirono la loro stessa vocazione alla santità e il loro peculiare spirito e modo di imitare Cristo ascoltando, leggendo e approfondendo qualche testo particolare della Bibbia.

Leggiamo, per esempio, di S. Antonio l'eremita: "Secondo gli Atti degli Apostoli molti vendevano le loro proprietà e mettevano il ricavato della vendita ai piedi degli apostoli perché lo dividessero coi poveri. Antonio pensava alla grandezza della speranza che era riservata in cielo per loro; preso da questi pensieri, entrò in chiesa, e il caso volle che in quel momento stessero leggendo quelle parole del Signore: Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello

che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi (Le 18,22). Allora Antonio, come se Dio gli avesse infuso il ricordo di ciò che avevano fatto i santi e come se quelle parole fossero state lette appositamente per lui, uscì subito dalla chiesa e donò ai contadini le proprietà ereditate dai genitori"39.

Suor Elisabetta della Trinità adottò il nome di Lode di gloria dopo aver

37 Dei Verbum, 24. 38 Lettere I, 819: lettera a T. Fossi del 1° settembre 1773. 39 Dalla vita di S. Antonio scritta da S. Atanasio, vescovo, capitoli 2-4, Migne, PG 26, 842-846.

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ascoltato e letto in San Paolo: "In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria" (Ef 1, 11-12). Cosi riferisce A. Aparicio: "Il nome nuovo di Suor Elisabetta, Lode di gloria, si basa su un episodio importante della sua vita. In una conversazione spirituale con una religiosa, questa le disse che aveva trovato in San Paolo una frase mirabile: Dio ci ha creato a lode della sua gloria. Suor Elisabetta si emozionò. Si recò in camera sua e si mise a cercare il testo in latino. Non trovandolo, tornò dalla religiosa perché avesse la bontà di indicarle il luogo dove si trovava il testo in questione. Suor Elisabetta non parlò più di questo argomento ma la religiosa restò meravigliata quando in infermeria, dove stava per morire, udì la Madre Priora e le altre carmelitane chiamare Suor Elisabetta Lode di

gloria"40. La stessa Suor Elisabetta, in una lettera a Suor Agnese di Gesù e Maria, il 15 agosto 1906, si autonominava così: uLode di gloria entra questa notte nel noviziato del cielo per prepararsi a ricevere l'abito della gloria. Perciò sente il bisogno di raccomandarsi alle preghiere della cara sorella Agnese. Quelli che egli da sempre ha conosciuto - ci dice San Paolo - li ha

anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo (Rm (8, 29). Questo è l'ideale che mi è proposto di comprendere: la somiglianza, l'identità col mio Maestro adorato, il Crocifisso per amore. Allora potrò compiere il mio impegno di Lode di gloria e intonare già in questo mondo il Sanctus eterno, sperando di andare a cantarlo un giorno negli atri divini della casa del Padre"41.

Come esempio di ispirazione continua in San Paolo, si può ricordare un testo che - a proposito di "Ecco la tua madre!" (Gv 19, 27) - Suor Elisabetta scrive a una religiosa del Carmelo di Digione il 24 settembre 1906, ponendo le parole in bocca alla Vergine, come dirette alla stessa Suor Elisabetta: "Figlia mia, finisco per dirti di rivestirti di Gesù Cristo (Rm 13, 14), perché cammini in lui (Col 2,6) che è via regale e strada luminosa; perché ti radichi in lui (Col 2,7) nella profondità dell'abisso con il Padre e lo Spirito di amore; perché tu sia fondata in

lui (Col 2, 7) che è tua roccia e tua fortezza; perché tu sia salda nella fede (Col 2,7), cioè creda nell'amore immenso che sgorga da quel fuoco infinito e si versa nel fondo della tua anima"42.

Questo, come si può notare, è un altro esempio di mosaico di testi biblici o intarsio fatto con frammenti di citazioni diverse che vengono a confluire in uno stesso pensiero.

2.2. La vocazione personale di Paolo della Croce

Paolo della Croce, che esprimeva il suo amore per il suo omonimo dicendogli "mio caro San Paolo", prese il nome di "Paolo della Croce" anche per imitarlo nel suo grande amore alla croce.

In una occasione, scrivendo a P. Fulgenzio di Gesù, il 29 luglio 1746, diceva:

40 Sor Isabel de la Trinidad, Obras Completas, edizione spagnola preparata da A. Aparicio, Burgos (E1 Monte Carmelo) 1969, p. 719, n. 183.

41 A. Aparicio, Sor Isabel de la Trinidad, 898. 42 Idem, 899.

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"Già V.R. sa come mi chiamo, ed io so come è il suo nome; ma il suo cognome è sopra modo dolcissimo, perché è di Gesù, ma io sono della Croce, in cui è stato confitto il dolce Gesù. Non è meraviglia dunque se io che porto tanto indegnamente e falsamente tal titolo, sia di croce a chi ha il cognome di quello la cui vita fu tutta croce"43.

L'Apostolo Paolo fu il consigliere e la guida di Paolo della Croce, nella sua vita, nel suo apostolato, nel suo epistolario. Dall'inizio del suo apostolato, ricorda uno dei testimoni, propose di "imitarlo in tutto e per tutto"44. La vocazione personale di Paolo della Croce, per riflettere interamente nella sua vita Cristo e questi Crocifisso, senza dubbio trovò la sua ispirazione nella lettura assidua e profonda delle Lettere dell'Apostolo Paolo, sebbene non si incontri nessuna affermazione autobiografica che lo confermi.

E. Zoffoli45 ricorda a questo riguardo come entrambi avessero un comune ideale: "Sentire

quod est in Christo Jesu (Fil 2,5). La vita, per essi, è Cristo e la morte un guadagno (Fil 1,21), convinti che in Lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza (Col 2,3s), che in Lui bisogna morire e risorgere (Gal 2,19; 5,24; 6,14; Rm 6, 4- 11), essendo Egli il Capo (Ef 4,15), l'unico Mediatore (1 Tm 2,5), la cui morte ci ha riconciliati col Padre (Col 1, 21-23; 2,13ss), fondando quella dottrina della croce, che è sapienza e virtù di Dio (1 Cor l,18ss)".

E più avanti: "E per questo dal Dottore delle genti egli (Paolo della Croce) trae anche la tematica fondamentale della sua predicazione, i motivi-chiave del suo magistero spirituale, gli elementi più espressivi del suo repertorio linguistico, e soprattutto l'anima, la grande anima, che vibra e si dilata nello slancio di un amore mai pago"46.

Personalmente troviamo la vocazione di Paolo della Croce ispirata, sia per la sua vita come per il suo magistero, dal frammento paolino che F. Prat47 denomina "il grande testo cristologico" di Fil 2, 5-10 che cosi descrive: "In mezzo a questa effusione di tenerezza paterna, in una lettera piena di abbandono, di espressioni delicate, di amabili allusioni, appare, nel momento più inaspettato, la formula più esatta e più perfetta della cristologia paolina; leggiamo nell'apostolo San Paolo: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre (Fil 2, 5-11). L'espressione pur essendo di natura divina è parallela e in antitesi ad assumendo la condizione

di servo, nel senso della natura che Cristo aveva prima della incarnazione, cioè la sua natura divina. Se si dice la condizione di servo è con riferimento alla natura umana, e ciò non comporta che

43 Lettere II, 92. 44 pr Francesco, Processo Ordinario di Roma, fol. 1034. 45 Zoffoli, II, 113.

46 Zoffoli, II, 115. 47 F. Prat, La teologia de San Pablo, Mexico (Ed. Jus) 1947,1, 347-349.

1961.

48 La traduzione è inni ;

49 F. Prat, I,

357. 50 Lettere II,

10.

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avesse perso la natura divina, ma che nascose la gloria esterna della natura che aveva in quanto Dio. Il nome che è al di sopra di ogni altro nome si riferisce al nome di Signore, nel suo significato trascendente, concesso dal Padre a Gesù Cristo. Ogni ginocchio si pieghi, ogni lingua

proclami è una reminiscenza di Is 45,24, come una testimonianza della divinità di Cristo. Gesù

Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre cerca di chiarire che Cristo è il Jahvè dell'A.T., che porta in sé la gloria divina come Dio Padre. Abbiamo, poi, una definizione completa della persona di Cristo in tre diversi stati: a) Cristo preesistente (Fil 2,6-7a), b) Cristo storico (Fil 2,7b-8); c) Cristo glorificato (Fil 2,9-ll)"48.

Qui figurano le principali verità circa Cristo, la sua Passione e particolarmente la sua

kenosi, che pensiamo abbiano offerto a Paolo della Croce il fondamento di ciò che egli chiama la Morte Mistica. Tenendo presente la diversità di interpretazione che esiste tra la Vulgata e il testo greco, preferiamo l'interpretazione che si dà seguendo San Giovanni Crisostomo e i Padri greci, e che F. Prat cosi commenta: "Quando Cristo - preesistente nella natura divina e per ciò stesso Dio - meditava di farsi uomo, non considerò gli onori divini, ai quali aveva diritto, come un bene da custodire gelosamente. Al contrario, si spogliò di essi volontariamente, nascondendo la natura divina sotto la condizione di servo. L'esempio di umiltà e l'abnegazione consiste, più che nella volontà del Verbo che decide di umiliarsi assu-mendo la vita mortale (perché questa volontà è comune alle tre Divine Persone), nel fatto stesso dell'unione ipostatica. Dopo l'Incarnazione, la volontà umana completa la spogliazione accettando la morte di croce, con la vita di obbedienza e di annientamento che la prepara e che questa volontà corona: E per questo - cioè per questo atto di obbedienza e di umiliazione volontaria - Dio esalta Cristo smisuratamente e, proporzionando la ricompensa al merito, lo fa sedere alla sua destra"49.

Questo testo è citato soltanto da Paolo della Croce in una lettera50 al Vicario Generale di Orbetello, Don Giovanni M. Moretti, e Paolo lo usa semplicemente per indicare che egli fa un atto di umiltà se in qualcosa ha ferito detta persona; pertanto l'applicazione si distanzia dal verso del testo. In compenso, ordina che quel testo sia recitato nell'ufficio divino all'inizio di tutte le ore canoniche: "Prima di cominciare ogni ora canonica, profondamente inchinati diranno con devozione: In nomine Jesu omne genu flectatur, coelestium, terrestrium et

infernorum, et omnis lingua confiteatur, quia Dominus noster Jesus Christus in gloria est Dei Patris"51. Pur sottolineando il testo paolino come idea motrice della spiritualità di Paolo della

Croce, non si può negare che i Vangeli della Passione abbiano avuto un'influenza costante; di fatto tutto il Vangelo o la predicazione di Gesù si può sintetizzare nella Croce.

Gesù impartisce la sua ultima lezione non verbalmente, ma con i fatti: è la sua morte in croce. Qui si concentra tutta la forza viva di Dio e il progetto divino della creazione. Dio Padre è colui che sceglie e accetta la morte del Figlio prediletto per-

48 La traduzione è tratta da La Sagrada Bibita, di J. M. Bover - F. Cantera Burgos, Madrid (BAC) 1961.

49 F. Prat, I, 357. 50 Lettere II, 10. 51 Reg., n. 150.

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che ripari l'offesa del peccato e così l'uomo peccatore ottenga misericordia. Dio ama l'uomo e offre suo Figlio alla croce, perché gli uomini arrivino ad amarsi come fratelli, diventando cosi figli dello stesso Padre. Tutta la dottrina di Gesù si riassume nell'ultima lezione, data dalla sua cattedra della Croce.

2.3. Paolo Apostolo e Gesù Crocifisso

Nel più profondo dell'essere di un santo esistono sempre alcuni principi che dirigono o fonti che producono la sua energia spirituale, alcuni criteri che dominano il suo comportamento. Paolo Apostolo era stato, prima della sua conversione, un fariseo convinto, per cui fondamentale era l'idea del Dio unico, creatore e salvatore del suo popolo. Una volta convertito, continuò a conservare questa idea, e, tanto come giudeo quanto come cristiano convertito, fu sempre un fedele esecutore degli obblighi che lo legavano a Dio, un fedele servo di Jahvè. Il Vangelo non farà che confermarlo nel suo impegno: "Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo" (Rm 1,9). Inoltre il Dio cristiano ha un Figlio, che (Egli) ama e che ci ama (Rm 5,10), e Paolo ora dirigerà la sua anima infuocata di convertito verso questo Figlio, riconoscendo se stesso come servo di jahvè in Cristo o semplicemente servo di Gesù Cristo. Basta scorrere la sua corrispondenza per scoprire che per Paolo Apostolo Cristo è tutto. Cristo, con diversi nomi, riempie tutto il suo epistolario: 33 volte lo chiama Gesù; 137 volte lo nomina Cristo, senza articolo; 88 volte il Cristo, con l'articolo; 82 volte usa il nome composto Gesù-Cristo; 82 scrive la forma Cristo Gesù; 19 lo distingue come Figlio di Dio, e anche Figlio diletto (Col 1,13) o semplicemente Diletto (1,6); 2 volte lo chiama Dio (Rm 9,5; Tt 2,13) e in 3 occasioni Salvatore (Tt 2,13; 3,6; 2 Tm 1,10), titolo che riserva generalmente al Padre. Dall'inizio alla fine, il suo epistolario è riempito di Cristo, solo in 1 Cor 1, 1-9 lo nomina 9 volte Cristo, 3 volte Gesù e 3 volte il Signore.

Ma anzitutto Paolo guarda al sacrificio di Cristo e alla sua morte: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). Vedeva la croce di Cristo piena di un contenuto, il contenuto dello scandalo e della follia che comportava la sua ignominia e la sua debolezza, quando era presentata come strumento di salvezza (1 Cor 1,17; Gal 5,11); ma possiede anche un altro contenuto divino, che è il potere salvifico di Dio. Il Vangelo di Paolo è il Vangelo di Cristo Crocifisso "che è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16).

Per Paolo Apostolo la croce è la forza di Dio e la sapienza di Dio: "La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio" (1 Cor 1,18). E la stoltezza della croce è ciò che Dio ha scelto per il nuovo progetto di salvezza che si realizza in Cristo: "Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" (1 Cor 1,21). E lui ha scelto questa strada e non chiede altro per la sua predicazione: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predi-chiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio" (1 Cor 1, 23-24). Paolo Apostolo

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riassume tutta la sua vita e il suo apostolato in Gesù Crocifisso: "Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso" (1 Cor 2,2).

2.4. Paolo della Croce e Gesù Crocifisso

Trasformarsi in un ritratto vivente di Gesù Crocifisso fu la ragione dell'esistenza di Paolo della Croce; e ciò si poteva imparare solamente alla scuola del Crocifisso, che presenta due testi scritti: a) uno scritto col sangue, il Crocifisso, in cui si riassumono tutte le pene interiori ed esteriori del protagonista della redenzione umana; b) il secondo è il libro ispirato in cui vennero consegnati i programmi che dovevano essere realizzati dal Servo di Jahvè nell'Antica Alleanza (AT), e i documenti di tutto ciò che disse e fece il Messia fatto uomo, Gesù, come ci è trasmesso nella Nuova Alleanza (NT).

"La vita di Gesù fu tutta croce", son parole che Paolo della Croce ripeteva con molta frequenza. Scriveva al Fratel Lorenzo: "Io vi assicuro che vi compatisco molto, perché molto vi amo in Dio, e se potessi o sapessi come fare, vi muterei subito, ma sino al Capitolo non posso. Abbiate pazienza, specchiatevi nel Crocifisso, la di cui Santissima Vita fu tutta Croce, e vi farete ricco di virtù e santo... Fatevi, per amor del dolce Gesù, muto, sordo e cieco, ed avrete gran pace"52. Nel suo Diario Spirituale, il 21 dicembre 1720, dice che l'anima preferisce soltanto "essere crocifissa con Lui, perché ciò è più conforme al suo amato Dio, il quale in tutta la sua santissima vita non ha fatto altro che patire". A Suor Colomba Geltru-de Gandolfi, il 24 dicembre 1754, scriveva: "Il migliore e più perfetto modo di celebrare le sante feste natalizie è lo spogliamento di ogni contento sensibile, acciò tutto il contento sia nell'adempimento del divin beneplacito. Tutta la vita santissima di Gesù fu tutta Croce; e lo stesso dolce Gesù rivelò a S. Caterina di Bologna che anche Bambino nel ventre purissimo della Divina sua Madre si poneva in forma di Crocifisso, massime di venerdì patendo i dolori della Croce. Non mi ricordo se l'ho letto o sentito raccontare, ecc. Or basta; è cosa pia da credersi"53. In molte altre occasioni dice che Gesù, durante la sua vita, stette sempre unito alla Croce, secondo la visione di Paolo della Croce54.

Così Paolo della Croce leggeva il messaggio neotestamentario: i detti e le azioni di Gesù si riassumono nella Croce. Gesù è la chiave di entrambi i testamenti, la sua vita e la sua morte riempiono totalmente il Nuovo Testamento. I racconti della Passione di Gesù (Mt 26, 30-27, 66; Me 14, 26-15, 47; Le 22, 29- 24, 12; Gv 18, 1-20, 10) primeggiano in rilievo e unità su tutti gli altri episodi evangelici. Una tendenza esegetica pensa che i Vangeli della Passione furono il primitivo Vangelo, a cui si andarono poi aggiungendo gli altri episodi:

La Regola concretizza così la nascita giuridica e liturgica del religioso passioni- sta, che si consacra per la prima volta con i voti: "Nel giorno stabilito, dopo che

52 Lettere IV, 86: a Fratel Lorenzo del Costato di Gesù, 22 novembre 1768. 53 Lettere II, 468: alla Signora G.C. Gandolfi, 24 dicembre 1754, 54 Zoffoli, II, 1404ss, 1422s; III, 609, 645, 688, 775s.

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tutta la Comunità si sarà radunata in chiesa, un sacerdote leggerà posatamente la Passione del Signore, dal Vangelo di San Giovanni. Alle parole: tradidit spiritum il candidato, secondo la formula riportata alla fine di questo capitolo, emetterà i voti di ubbidienza, di povertà volontaria e di castità; come anche il voto di promuovere, secondo le proprie forze, la memoria e la devozione alla Passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, nel modo stabilito dalle Costituzioni"55.

Gesù è presentato da Paolo Apostolo come "immagine del Dio invisibile" (Col 1,15). L'Apostolo vuole che questa immagine si prolunghi durante la vita dei discepoli; Paolo della Croce vuole che questo star crocifissi con Cristo, dell'inizio della vita pas- sionista, si prolunghi durante il resto dell'esistenza: "Beva nel calice di Gesù ad occhi chiusi, senza voler sapere che cosa vi sia dentro; basta sapere che il calice lo dà il dolce Gesù... Servo di Dio che vuol dire? Vuol dire essere crocifisso con Cristo"56.

L'uomo fu fatto "a immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1,26), e il maschio è riconosciuto come "immagine e gloria di Dio" (1 Cor 11,7). Come Gesù stette inchiodato sulla Croce (Mt 27, 24-34; Me 15, 15-25; Le 23, 25-34; Gv 19, 16-18), cosi Paolo della Croce, infermo, sta inchiodato nel suo letto. Paolo della Croce, a sua volta, precisa maggiormente questa immagine dell'uomo e di Gesù; vede inchiodati alla Croce sia Gesù sia l'uomo, cioè colui che dev'essere la stessa immagine di Gesù. Paolo della Croce descrive se stesso come "inchiodato al letto"57, quando scrive (7 marzo 1762) a Maria Maddalena dei Sette Dolori (Maria Cencelli) a cui aveva dedicato, tra il 1761 e il 1762, l'opuscolo sulla "Morte Mistica".

Paolo della Croce vede sempre l'immagine di Cristo attraverso la sua Croce, e già a 27 anni aspira alla trasformazione totale in Gesù Crocifisso, di fuori e di dentro, e lo esprime così: "Ebbi molta intelligenza infusa degli spasimi del mio Gesù, e avevo tanta brama d'essere con perfezione unito con Lui, che desideravo sentire attualmente i suoi spasimi ed essere in croce con Lui"58. E prima aveva riconosciuto: "Solo desidero essere crocifisso con Gesù"59. Nel suo Diario Spirituale, il 23 novembre 1720, dice: "Per misericordia del nostro caro Dio, non desidero saper altro, ne gustar alcuna consolazione, solo che desidero d'esser crocifisso con Gesù", il che ricorda esattamente quanto diceva il suo omonimo Paolo Apostolo: "Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso" (1 Cor 2,2).

3. LE GRANDI LINEE DELLO SPIRITO DI PAOLO DELLA CROCE

3.1. Lo spirito degli istituti religiosi

Cosi si esprimeva il Concilio Vaticano II quando proponeva, nel Decreto sull'adeguato rinnovamento della vita religiosa, una revisione e rivitalizzazione degli istituti religiosi nella Chiesa: "Il rinnovamento della vita religiosa comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e allo spirito primitivo

55Reg., n.82. 56 Lettere I, 341: ad Agnese Grazi, 5 luglio (senza data). 57 Lettere III, 605. 58 Diario Spirituale, 6 dicembre 1720. 59 Diario Spirituale, 23 novembre 1720.

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degli istituti stessi e nello stesso tempo l'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi. Questo rinnovamento, sotto l'influsso dello Spirito Santo e la guida della Chiesa, deve attuarsi secondo i seguenti principi: a) Essendo norma fondamentale della vita religiosa il seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo, questa norma dev'essere considerata da tutti gli istituti come la loro regola suprema, b) Torna a vantaggio della Chiesa stessa che gli istituti abbiano una loro propria fisionomia ed una loro propria funzione. Perciò fedelmente si interpretino lo spirito e la finalità propria del Fondatore, come pure le sane tradizioni, poiché tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun istituto"60. Anche il Diritto Canonico riconosce questa identità peculiare di ogni istituto, poiché, se tutti sono obbligati a dare pubblica testimonianza a Cristo e alla Chiesa, l'intensità deve conformarsi alle caratteristiche speciali di ciascuno: "La testimonianza pubblica che i religiosi devono dare a Cristo e alla Chiesa porta con sé una separazione dal mondo che sia propria del carattere e della finalità di ogni istituto"61.

3.2. Lo spirito passionista

3.2.1. Nei documenti paulocruciani

Nelle Regole di Paolo della Croce si dice al Maestro dei novizi: "A coloro che deve formare dia con ogni diligenza una esatta idea dell'Istituto, faccia conoscere lo spirito della Congregazione, ne inculchi il fine in modo tale che i novizi, camminando per la stessa strada, compiano anch'essi santamente quelle cose che si fanno dagli altri che hanno già professato. Soprattutto il Maestro insista molto sulla frequente orazione, sull'esercizio continuo delle virtù religiose e sul disprezzo di se stessi"62.

Qui si parla dello spirito proprio della Congregazione della Passione, e questo spirito lo possiamo trovare in diversi passi delle Regole dove si constata la finalità della Congregazione: a) La santificazione dei suoi membri: "Il fine di questa Congregazione è lo stesso che ha ogni cristiano... osservare esattamente i precetti della legge divina e i consigli evangelici per quanto comportano le forze di ciascuno"63, b) Orazione e meditazione: i religiosi passionisti devono meditare ciò che devono insegnare agli altri: "Uno dei fini principali della nostra Congregazione è non solo quello di attendere all'orazione per giungere all'unione di carità con Dio, ma anche quello di condurvi il nostro prossimo,... insegnare a viva voce ai popoli la devota meditazione dei misteri della passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale deriva, come da fonte, ogni nostro bene"64, c) La povertà: "La povertà è il vessillo sotto il quale milita tutta la Congregazione"65, d) La solitudine: "Le case

60 Perfectae Charitatis, 2. 61 CJC, c. 607, & 3. 62 Reg., n. 39. 63 Reg., n. 1. 64 Reg., n. 3. 65 Ib., n. 92.

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della Congregazione si fonderanno in luoghi solitari, nel modo migliore e più conveniente che si potrà, affinché i religiosi, dopo le fatiche apostoliche intraprese per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, si possano ritirare lontani dal concorso degli uomini e dallo strepito del mondo, intenti solo al profitto dello spirito, all'orazione, ai digiuni e ad altri esercizi di pietà... divengano poi più pronti e più ardenti per raccogliere frutti copiosi della parola di Dio che devono spargere"66. "Per case di profonda solitudine s'intendono le case di piena osservanza regolare, scelte dal Preposito generale con il suo Consiglio, nelle quali i religiosi che desiderano fare tutta l'osservanza diurna e notturna, e godere di una solitudine più profonda, possono ritirarsi col permesso del Superiore maggiore"67, e) Propagare la devozione alla Passione di Gesù Cristo: "Promovendo dovunque con tutte le loro energie la pietà cristiana e la grata memoria e devozione verso la passione e morte di Gesù Cristo"68.

3.2.2. Nel testamento di Paolo della Croce

Il messaggio paulocruciano è molto chiaro nell'insieme dei comportamenti dello stesso Fondatore, tanto in vita quanto nell'ora della sua morte. Durante la vita confessò in diverse occasioni: "Se mi trovassi in punto di morte, tre cose la- scierò raccomandate, cioè: che se conserveranno lo spirito di orazione, lo spirito di solitudine e lo spirito di povertà la Congregazione risplenderà avanti a Dio e avanti a tutto il mondo"69.

Lo stesso fece all'ora della morte; avvicinandosi la fine, e prima di ricevere il Viatico, il 30 agosto 1775, lasciò ai suoi religiosi presenti e futuri la sua ultima volontà testamentaria: "Prima di ogni altra cosa raccomando premurosamente l'osservanza di quel ss.mo ricordo dato da Gesù Cristo ai suoi discepoli: In hoc cogno- scent omnes quod discipuli mei estis, si dilectionem

habueritis ad invicem (Gv 13,35). Ecco, fratelli miei dilettissimi, quello che io desidero con tutto l'affetto del mio povero cuore sì da voi, che vi trovate presenti, come da tutti gli altri, che già presentemente portano quest'abito di penitenza e di lutto in memoria della Passione e morte dell'amabilissimo nostro divin Redentore, e parimenti da tutti quelli, i quali saranno dalla divina misericordia nei tempi futuri chiamati a questo piccolo gregge di Gesù Cristo. Di poi raccomando a tutti, e specialmente a quelli che saranno in officio di Superiori, che sempre più fiorisca nella Congregazione lo spirito dell'orazione, lo spirito della solitudine e lo spirito della povertà, e state pur sicuri che se si manterranno queste tre cose, la Congregazione fulgebit sicut sol in con- spectu Dei et gentium (cf Mt 13,43)... Procureranno di cooperare, per quanto potranno, per il bene della medesima S. Chiesa, alla salute delle povere anime dei prossimi colle Missioni, cogli Esercizi spirituali e colle altre opere, che sono se

66 Ib., n. 5. 67 Ib., n. 243. 68 Ib., n. 5. 69 Processo Ordinario di Roma, fol. 2334v.

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condo il nostro Istituto, promovendo nel cuore di tutti la devozione alla Passione di Gesù Cristo e ai Dolori di Maria Santissima"70.

L'ultima volontà, il testamento, è di solito qualcosa che è stato molto ripensato durante la vita e chiarito alla fine di essa; e quando è un padre che parla ai suoi rigli, si capisce che cerca di chiedersi qual è stato essenzialmente il suo carisma, il cammino e la massima aspirazione della sua vita. Dalla lettura di tutto questo testamento spirituale si ottengono le seguenti raccomandazioni: a) mantenere la carità, che è il comandamento di Gesù; b) lo spirito di orazione; c) lo spirito di solitudine; d) lo spirito di povertà; e) il filiale amore alla Santa Madre Chiesa; f) la perfetta sottomissione al Capo visibile della Chiesa, il Papa; g) l'ansia di promuovere nel cuore di tutti la devozione alla Passione di Gesù Cristo e ai Dolori della Santissima "."ergine.

Se volessimo schematizzare il legato testamentario di Paolo della Croce nel do-cumento citato, dovremmo proporre come spirito passionista la seguente sinossi: Spirito passionista:

- Amore alla Chiesa, come la amò Cristo. - Amore al Papa, suo capo visibile, posto da Cristo come successore di Pietro. - Amore vicendevole: carità fraterna, che è il testamento di Gesù. - Amore a Gesù Crocifisso, imitando il suo: spirito di orazione spirito di povertà spirito di solitudine spirito apostolico - Amore alla Vergine Addolorata, come Gesù amò sua madre. Tutte queste sfumature e come quintessenze della vita passionista sono specificate nel

testamento di Paolo della Croce. E evidente che esistono alcuni o tutti questi particolari in altri istituti religiosi, ma non vuol dire che per questo non siano propri e specifici della Congregazione della Passione, fondata da Paolo della Croce.

Gli altri istituti non riflettono le loro qualità distintive attraverso il prisma di Gesù Crocifisso e di Maria Addolorata, in cui tutte le situazioni della vita dello spirito sono configurate dalla Passione di Cristo; questo spirito specifico non si riscontra negli altri Ordini o Congregazioni religiose.

L'amore alla Chiesa è di tutti i cristiani, perché, se non lo possedessero, non sarebbero tali: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25). L'amore al Papa è comune a tutti gli istituti, dato che nel voto di obbedienza, a livello canonico, la prima autorità alla quale il religioso si sottomette è appunto il Papa; malgrado questo la Chiesa ha ammesso un voto particolare dei Gesuiti con cui promettono ciò che promettono tutti gli istituti nella loro professione, obbedienza al Papa; in questo caso il voto è specifico dei Gesuiti.

La carità fraterna è comune a tutti i cristiani, e proprio in questo Gesù pone il marchio di riconoscimento dei suoi discepoli, nell'amore reciproco: "Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se

70 Lettere V, n. 172, p. 256s.

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avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 34-35). Anche l'amore a Gesù Crocifisso è comune a tutti i cristiani e a tutti i religiosi, dato che

è fondamentale per il cristiano: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Chi non prende la sua Croce e non segue Gesù Cristo non è degno di Lui (Mt 10, 38).

L'orazione è stata imposta da Gesù a tutti i suoi seguaci: "E necessario pregare sempre senza stancarsi" (Le 18,1). Anche il Codice di Diritto Canonico la impone a tutti i religiosi: "La contemplazione delle cose divine e l'unione assidua con Dio nell'orazione dev'essere il primo e principale dovere di tutti i religiosi"71. E più avanti: "Dedicheranno tempo alla lettura della Sacra Scrittura e all'orazione mentale"72.

La povertà, come fa capire l'invito di Gesù, è comune a tutti i religiosi: "Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo" (Le 14,33). Ecco un'altra disposizione del Diritto Canonico: "Il consiglio evangelico di povertà, a imitazione di Cristo che, essendo ricco, si fece povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito, impegnativamente sobria e staccata dalle ricchezze terrene, porta con sé una separazione dal mondo che sia propria del carattere e della finalità di ogni istituto"73.

La solitudine è comune a monaci e monache, a eremiti e cenobiti; Gesù si ritirava spesso in qualche luogo deserto per pregare da solo (Mt 1,35; Le 5,16) o coi suoi discepoli (Le 9,18) e invitava i discepoli ad andare con lui in disparte in un luogo deserto (Me 6,31; Le 9, 10). Il Diritto Canonico stabilisce: "La testimonianza pubblica che i religiosi devono dare a Cristo e alla Chiesa comporta un distacco dal mondo che sia proprio del carattere e della finalità di ogni istituto"74.

Lo spirito apostolico fu una richiesta universale che Gesù fece ai suoi apostoli; il Diritto canonico lo propone a tutti gli istituti: "L'apostolato di tutti i religiosi consiste principalmente nella testimonianza della propria vita consacrata, che dev'essere promossa con l'orazione e la penitenza"75. E più avanti: "Negli istituti che si dedicano a opere di apostolato, l'attività apostolica forma parte della propria natura. Pertanto, l'intera vita dei membri dev'essere piena di spirito apostolico e tutta l'azione apostolica dev'essere informata dallo spirito religioso. L'attività apostolica deve sempre nascere dall'unione intima con Dio e nello stesso tempo confermarla e promuoverla. L'attività apostolica, che si realizza in nome della Chiesa e per suo mandato, deve esercitarsi in comunione con essa"76.

La devozione a Maria è comune a tutti i cristiani, dato che fu Gesù il primo che la praticò verso sua madre. Tuttavia gli Ordini e le Congregazioni si distinguono per qualche invocazione o aspetto particolare di questa devozione, in generale ben delimitato:

Gli Agostiniani Recolletti (OAR) per le invocazioni del Rosario e della Conso

71 CJC, c. 663, § 1. 72 Ib., canone 663, § 73 Ib., canone 600. 74 Ib., canone 607, § 75 Ib., canone 673. 76 Ib., canone 675, § 1-3.

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lazione77, i Benedettini (OSB) per Maria Avvocata (San Bernardo)78, i Carmelitani (O. Carm.) per la Vergine dello Scapolare79, i Carmelitani riformati (OCD) per la Vergine del Carmelo80, I Missionari Claretiani (CMF) per il Cuore di Maria81, i Domenicani (OP) per la Vergine del Rosario82, l'istituto delle Scuole Pie (SchP) per la Madre di Dio83, i Fratelli delle Scuole Cristiane (FSC) per Nostra Signora di Liesse (o dell'Allegria)84, i Francescani (OFM) per la "Signora povera"85, il Ter- z Ordine Regolare di Penitenza di San Francesco (TOR) per Maria86, l'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio (OH) per l'Immacolata ("sempre integra")87, i Girolamini (OSH) per la Vergine Santa Maria88, i Gesuiti (SJ) per Nostra Signora della Storta89, i Lazzaristi (CM) per Maria90.

I Padri Maristi (SM) per Maria91, i Mercedari (O. de M.) per Santa Maria della Mercede92, i Missionari della Consolata per Nostra Signora della Consolata93, i Missionari del Sacro Cuore (MSC) per Nostra Signora del Sacro Cuore94, gli Oblati di Maria (OMI) Immacolata per Maria Immacolata95, i Pallottini per Maria Regina degli Apostoli96, i Redentoristi (CSSR) per Nostra Signora del Perpetuo Soccorso97,

77 A. Martinez Cuesta, Maria, en la espiritualidad de los Agustinos Recoletos, Maria en los Institutos Religiosos,

Madrid (Instituto Teologico de Vida Religiosa) 1988, pp. 11-35. 78 B. Dalmau, Presencia de la Virgen Maria en el monacato benedictino, Maria en los Inst. Rei., pp. 37-48.

79 M.M. Arribas, Maria en la Orden del Carmen, Maria en los Inst. Rei., pp. 49-64.

80 E. Planas, La Virgen Maria en la vida y misión del Carmelo Reformado, Maria en los Inst. Rei., rp. 65-88.

81 J.C.R. Garda Paredes, Maria en la experiencia espiritual de San Antonio Maria Claret de los Misio- :.to5 Claretianos,

Maria en los Inst. Rei., pp. 89-120. 82 Maria en los Inst. Rei., pp. 121-146.

83 M.A. Asiai'n, Presencia de Maria en la vida y misión de las Escuelas Pias, Maria en los Inst. Rei., rp. 147-164.

84 S. Gallego, Presencia de Maria en la vida y misión de los Hermanos de las Escuelas Cristianas, Maria rr los Inst. Rei., pp.

165-176. 85 G. Calvo Moralejo, Presencia de Maria en la vida y misión de la Orden Franciscana, Maria en los ..-st. Rei., pp.

177-196. 86 P. Fullana, Presencia de Maria y misión de la Tercera Orden Regular de Penitencia de San Franci- . . Maria en los Inst.

Rei., pp. 197-218. 87F. Lizaso Berruete, Presencia de Maria y misión de la Orden Hospitalaria de San Juan de Dios, 'ina en los Inst. Rei., pp.

219-234. 88 Antonio De Lugo, La Virgen Santa Maria y los Jerónimos, Maria en los Inst., Rei., pp. 235-248.

89 L. Gonzalez, Maria y la Compania de Jesus, Maria en los Inst. Rei., pp. 249-268.

90 J.R. Garci'a-Murga Bazquez, Los Marianistas y su piedad filial apostòlica hacia Maria, Maria en los :.-si. Rei., pp.

269-287. 91 J. Coste, Presencia de Maria en la vida y misión de la Sociedad de Maria, Maria en los Inst. Rei., rr. 289-308.

92 L. Vàzquez Fernandez, Presencia de Maria en la Orden de la Merced, Maria en los Inst. Rei., pp. "T9-334.

93M. Grau San Andrés, Misioneros de la Consolata: presencia de Maria en nuestra vida y misión, .aria en los Inst. Rei., pp. 335-348.

94 J.A. Rafael Soto, Nuestra Senora del Sagrado Corazón, Maria en los Inst. Rei., pp. 349-366.

95 J. Martinez Vega, Presencia de Maria en el carisma y en la misión de los Misioneros Oblatos de '^na Inmaculada, Maria en

los Inst. Rei., pp. 3.67-398. 96 A. Fernandez de Aranguiz, Palotinos: Sociedad del Apostolado Católico, Maria en los Inst., Rei., ra 399-412.

97 A.M. Garda Paz, Maria de Nazaret en la Congregación Redentorista, Maria en los Inst. Rei., pp.

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i Salesiani per Maria Ausiliatrice98. I Passionisti (CP) hanno per distintivo nella devozione mariana il titolo della Vergine

Addolorata, che è confondatrice e Regina della Congregazione della Passione99. Allora tutti gli elementi che si trovano nel testamento spirituale di Paolo della Croce ai

suoi figli sarebbero comuni; tuttavia la Chiesa ha riconosciuto un carisma particolare in Paolo della Croce e ha considerato la sua Congregazione come un'entità che si distingue per un particolare modo di realizzare la santità, imitando Gesù Cristo, ma specialmente Gesù Crocifisso, e Maria, specialmente come Vergine Addolorata. Nei primitivi Regolamenti si trasmette fondamentalmente la stessa formula, anche se con qualche sfumatura diversa "Prendete molto a cuore, amatissimi, la vostra santificazione e l'acquisto dello spirito della Congregazione, che consiste nella penitenza, nella solitudine e nel promuovere la devozione alla santissima passione di Gesù Cristo".

Nel documento sulla "Morte Mistica"100 parla di uno spirito di Morte Mistica, che fa vivere del vero spirito di Gesù: "Oh santa Morte che fa vivere di vero spirito di Gesù! Santa ubbidienza! Santa Morte! Santo Amore!"101.

Enrico Zoffoli102 preferiva parlare di "spirito di Passione", da cui nascerebbero gli altri spiriti: spirito di orazione-solitudine che spinge all'unione con Dio; spirito di povertà-penitenza, che porta al pieno distacco da se stesso; spirito apostolico che accende sempre più zelo per gli altri. In questo caso l'essenza dell'essere passionista sarebbe da porsi nello spirito di Passione, mentre le altre (orazione-solitudine, povertà-penitenza, apostolato) sarebbero proprietà essenziali che scaturiscono dallo spirito e rivelano tutte le peculiarità o modifiche specifiche dello spirito.

Poiché gli studiosi della spiritualità passionista hanno analizzato nella vita e nell'opera del Fondatore Paolo della Croce quale fosse il suo spirito, proponendo questa divisione in quattro parti che egli riflette nel suo testamento spirituale sopra descritto, anche noi seguiremo questo stesso schema.

3.2.2.1. Lo spirito di orazione

3.2.2.1.1. Esperienza di vita e magistero di Paolo della Croce

Paolo della Croce stabilisce che l'orazione è la base della vita dello spirito e la considera assolutamente necessaria, tanto per i suoi figli quanto per le persone che egli dirige spiritualmente. Tra i fini principali della Congregazione si fissa l'orazione, sia per i membri dell'Istituto, sia per gli altri, coi quali si viene in contatto negli impegni

437-459. 98 A. Escudero Cabello, Presencia y acción de Maria en la vida y en la misión de la Congregación Salesiana, Paria en los

Inst. Rei., pp. 461-477. 99 L. Novoa Pascual, Reina de la Congregación de la Pasión: Maria en la vida y mensaje de los Pasionistas, Maria en los

Inst. Rei., pp. 413-435. 100 Lettere, V, n. XI, p. 13.

101 Lettere V, n. XIII, p. 14.

E. Zoffoli, I, 1814.

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apostolici: "Uno dei fini principali della nostra Congregazione è non solo quello di attendere all'orazione per giungere all'unione di carità con Dio, ma anche quello di condurvi il nostro prossimo, istruendolo nella maniera più opportuna e più facile"103; è necessario che si insegnino alla gente metodi facili di fare orazione.

Sono gravi i mali a cui si va incontro se si trascura l'orazione: "Stiano bene attenti i nostri religiosi a non trascurare mai l'orazione, per non perdere colpevolmente i grandi beni che ne derivano e non incorrere in gravi mali contro i quali non è facile trovare rimedio"104. Nell'apostolato che svolgono, i membri dell'Istituto devono inculcare l'orazione ai fedeli: "Non si contentino solo di esortare, ma istruiscano anche i popoli sul modo di meditare devotamente i misteri della vita, passione e morte di nostro Signore Gesù Cristó, Insegnino loro ad abituarsi a fare : razione, scoprendo insieme e confutando l'errore pernicioso di alcuni i quali penano che la meditazione delle cose divine sia un esercizio esclusivo delle persone religiose ed ecclesiastiche"105. Alle anime che dirige trasmette lo stesso insegnamento. "Sicché è necessario che lei vada spesso da questo caro Padre, per mezzo nella santa orazione a fine d'innamorarsi sempre più a lui e ricevere le sue celesti ricchezze per piacergli", scriveva alla marchesa Donna Marianna della Scala del Pozzo, l'il novembre 1728106. Per quanto riguarda l'orazione, questi sono i punti principali dell'insegnamento di Paolo della Croce:

a) La sua necessità: bisogna pregare ventiquattrore al giorno, poiché sempre èrega chi opera bene; nel cuore si deve pregare sempre. Se si vuole essere forti nella vita spirituale, è necessario nutrirsi di orazione, che è, a sua volta, il mezzo più ef- ficace per vincere ogni assalto della tentazione, e un'arma invincibile per sconfiggere i nemici. Fa sempre orazione colui che durante i suoi lavori sta con la mente in Dio. L'orazione fa capire grandi cose, e si tramuta in due ali di fuoco con cui si vola verso Dio. L'orazione non consiste solo nello stare inginocchiati, ma nel dirigere la mente a Dio. Con l'orazione si costruisce l'edificio della santità, ma senza orazione tale edificio crolla.

b) L'orazione in comune è molto necessaria ai sacerdoti per il loro profitto spirituale e per poter fare del bene al prossimo. Personalmente Paolo della Croce s'impegnò totalmente per diffondere l'esercizio dell'orazione mentale nel clero e perché i sacerdoti la realizzassero in comune.

c) Consigli per meglio realizzarla: Paolo della Croce insegna a far orazione col suo esempio e col suo magistero; perciò insegna a far orazione come la fanno gli angeli; Dio stesso è l'operatore divino nell'orazione, e lo Spirito Santo è il maestro, a cui è necessario obbedire assecondando i suoi impulsi. Paolo vuole che si insegni l'orazione ordinaria con le virtù solide. L'orazione infusa produce riposi amorosi, e questa la insegnerà Dio. La porta per l'orazione è Gesù ("ego sum ostium")107, e si deve passare per questa divina porta per mezzo dei misteri sacrosanti della Passio- ne. La vera preparazione per l'orazione è la fede e una profonda umiltà; il primo punto dell'orazione dev'essere quello di porsi nella considerazione dei peccati e

10:3 Reg., n. 3.

104 Reg., n. 156.

105 Ib., n. 193. 106 Lettere, I, 41.

107 Lettere II, 511.

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delle grandi ed enormi miserie personali, e poi, quando ci si sente attratti da Dio, lasciarsi guidare l'anima. Il centro dell'orazione è Dio, e bisogna farla "in spiritu Dei"108 e "in sinu Dei"109. Si deve fare orazione in pura fede, cercando solamente Dio e la sua gloria. L'orazione si fa in fede: la notte è più chiara del giorno; stare in orazione in pura fede, abissati in Dio, senza immagini o visioni, ecc. è la via più sicura. Si deve lasciar l'anima in libertà perché voli verso Dio, senza ostacolare questi voli. Bisogna che si faccia con pieno distacco. Dev'essere orazione interna, in pura fede, con grande annichilamento, senza sforzi della testa e del petto.

Si deve esercitare in essa la parte superiore dello spirito, con semplicità. Mai lasciare la memoria della Passione, anche quando si avesse un profondo raccoglimento e un alto dono di orazione, E sicura l'orazione che porta a stare tutto in Dio con attenzione amorosa in pura fede; si deve fare orazione in pura fede e santo amore, in fede purissima, a ciò si deve prestare molta attenzione. Bisogna iniziarla con umiltà e poi obbedire alle direttive dello Spirito Santo.

L'orazione fatta con autentica umiltà ottiene tutto. La perfezione dell'orazione non consiste in gioie e diletti sensibili, ma nello stare nel proprio nulla, senza rubare niente a Dio. Perché sia fruttuosa bisogna arrivare ad una morte mistica a tutto quello che non è Dio. Nell'orazione, e anche fuori di essa, è bene spogliarsi di tutto quello che non è Dio, allora l'anima deve lasciare i suoi discorsi interiori e unirsi solo a Dio, facendo proprie le necessità del mondo per raccomandarle a Dio.

3.2.2.1.2. La Bibbia e lo spirito di orazione

L'AT conosce due termini per designare l'orazione: atar che indica il "profumo di sacrificio" (Ez 8, 11); e hitpallel da cui deriva Tefillah che designa l'orazione liturgica e si riferisce anche alla recita delle preghiere (cf Sai 17; 86; 90; 102; 142; cf 72, 20; Ab 3). Ma ci sono molti altri vocaboli che indicano lo stesso movimento della mente a Dio, come: "desiderare, parlare, gridare, lacrimare, sospirare, piangere, aprire la propria anima", e quando si esprime in termini laudatori si usa hillel, che significa "lodare" (alleluya), o i suoi corrispondenti: "glorificare, benedire, dar grida di giubilo (di allegria)". L'orazione ingloba (involucra) tutta la persona, è l'attitudine di tutto l'essere umano, anche il corpo ha la sua parte nell'orazione, perciò - come si fa per i grandi personaggi - si prega "inchinandosi profondamente" (proskynesis), con i suoi corrispondenti vocaboli di contesto: "inginocchiarsi, restare in piedi, stendere le mani". Nei LXX e nel NT si usa inoltre il termine proseùjomai ("invocare la divinità"), che richiama "promettere, fare un voto", con i suoi corrispondenti: "benedire, chiedere, rendere grazie, invocare, supplicare".

Anche se oggetto dell'orazione possono essere tutti gli aspetti della vita, tuttavia abbiamo molti più casi di domanda di cose temporali che spirituali. In alcune occasioni si chiede la liberazione, la remissione dei peccati (Sai 32; 51; 103; 130), la visione del volto di Dio nel santuario (=unione con Dio) o una condotta morale più conforme con la volontà di Dio (Sai 25; 43). Molte richieste sono di tipo conforme con la volontà di Dio (Sai 25; 43). Molte richieste sono di tipo umano: cura

108 Lettere II, 503, 522, 761, 762. 109 Lettere II, 748, 764.

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di una malattia, liberazione dal pericolo della morte, castigo dei nemici, preservazione da catastrofi nazionali. Non bisogna dimenticare il fatto che il concetto dell'aldilà era molto vago tra gli antichi israeliti; l'israelita ignorava l'ascesi del di- sacco dai beni di questo mondo; egli implorava la "vita" totale: salute fino a tarda età, benessere, famiglia numerosa. Benché si preghi anche per gli altri: il popolo prega per il re (Sai 20, 10), per la patria in esilio (Ger 29, 7), per i propri fratelli nella fede (1 Mac 12, 11) per i defunti (1 Mac 12, 44).

L'orazione anticotestamentaria più vicina all'orazione cristiana è quella di azione di grazie, senza formule fisse (Gn 32, 10-13; 2 Sam 7, 19-29): si fa un'invocazione a Dio e si confessa l'indegnità dell'uomo per ottenere i favori divini. Tra le formule antiche troviamo la benedizione sacerdotale (Nm 6, 24-26) e la formula che accompagna la presentazione delle primizie (Dt 26, 3-10) e delle decime (26, 13-15). Invece le formule fisse abbondano nella preghiera sinagogale: Sema' Yisrael (Dt 6, 4-9; 11, 13-21; Nm 15, 37-41), Hallel (Sai 113-118) e Semonè esrè (18 benedizioni, circa il 100 d.C.); queste ultime orazioni, come il Padrenostro, sono scritte nella prima persona plurale.

L'orazione per eccellenza che ispira il cristiano è l'orazione di Gesù. Il Vangelo presenta anzitutto Gesù in costante atteggiamento di preghiera al Padre, specialmente in Luca (Le 3, 21; 5, 16; 6, 12; 9, 29; 10, 21; 1, 1; 22, 32.41; 23, 34.36). Gesù recita le preghiere ordinarie di ogni ebreo: la preghiera del mattino, del mezzo- giorno e della sera, la benedizione prima del pasto e quando si intraprende una nuova opera. Il NT ci ricorda molti dei suoi momenti di preghiera: durante il suo battesimo (Lc 3, 21), si alza il mattino presto ed esce per andare a pregare in un luogo solitario (Mc 1, 35), si allontana per pregare sulla montagna (Mt 14, 23); si ritira in luoghi deserti per pregare (Le 5, 16); prega prima di eleggere Pietro (Mt 16, 13-19; Le 9, 18); prega prima di essere trasfigurato (Mt 17, 1-13; Mc 9, 1-12; Le 9, 28-36); prega prima della risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 41-42); fa un'intera preghierà nel Cenacolo (Gv 17); prega nel Getsemani (Mt 26, 39-42; Mc 14, 35-39; Lc 22. 41-42); prega anche per i suoi nemici (Le 23, 34).

Così Gesù insegna ai suoi discepoli a pregare con il Padrenostro (Mt 6, 9-13; Lc 11 2-4), e raccomanda loro: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto (Mt 7, 7-11); devono chiedere al padrone della messe che mandi operai alla sua messe (Mt 11, 27). Gesù è modello ed esemplare nell'utilizzare pienamente quella fonte di energia che è l'orazione, come unione immediata con Dio, e che, col suo aiuto, vince tutte le resistenze umane. Gesù vive unito singolarmente con il Padre e vive interamente di Dio, perciò il suo fervore, la sua pietà e la sua pre- ghiera sono spontanei e naturali; proprio per questo egli stesso esorta vivamente alla preghiera. Luca dice espressamente che Gesù riferì la parabola del giudice ini- quo : per insegnarci che "è necessario pregare sempre senza stancarsi mai" (Lc 18, 1).

Il Padre pieno di bontà che sta nei cieli agisce come un padre umano che non dà cose cattive a suo figlio, quando gli chiede qualcosa (Mt 7, 7ss; cf Gv 14, 13; 15, 7;

16, 23s). Gesù stesso mette in rilievo la preghiera comunitaria: "Se due di voi sopra la erra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve lo concederà" (Mt 18, 19). Gesù, dopo aver pregato (Lc 11, 1) insegnò ai suoi di- scepoli come dovevano pregare, dettando loro il Padrenostro.

I maestri insegnavano ai loro discepoli a pregare: Giovanni Battista insegnò ai suoi seguaci (Lc 11, 1) e anche Gesù lo fece con i suoi (Lc 11, 1-13), e i discepoli di

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Gesù pregano lui durante la tempesta (Mt 8, 25; Me 4, 38; Le 8, 24). Ma soprattutto Gesù è in continua preghiera interiore, la sua anima sta in costante

relazione con il cielo (Gv 1, 51), con suo Padre di cui sta sempre realizzando la volontà (Gv 4, 34; 8, 29; ecc.). L'intimità della preghiera di Gesù con suo Padre è un caso unico, e nell'evangelista Giovanni ha un vocabolario particolare (Gv 11, 41s; 17). Preghiere intensamente drammatiche fece Gesù nel Getsemani e sulla Croce (cf Eb 5, 7).

Paolo Apostolo, seguendo la dottrina di Gesù sull'orazione, pone in rilievo la filiazione divina e la coscienza allietata da questa filiazione, che il cristiano riceve dallo Spirito di Cristo; l'antica condizione di schiavo ha ceduto il passo allo spirito della filiazione cristiana, le formule stereotipate delle preghiere ebraiche cedono il posto a un sentimento pieno di fervore prodotto dai "gemiti inesprimibili dello Spirito" (Rm 8, 15s. 26s; Gal 4, 6).

Le condizioni di questa preghiera per i cristiani si vanno enunciando diffusamente nel NT: deve basarsi su una ferma confidenza (Mt 7, 7-11; Me 11, 24; Le 17, 5s; Gc 1, 5s; ecc.), dev'essere perseverante (Ef 6, 18; 1 Ts 5, 17), con importuna insistenza (Mt 15, 21-28; Lc 11, 1-13; 18, 1-14), e sincera di fronte all'ipocrisia farisaica (Mt 6, 5-8); così dev'essere umile (Le 18, 9-14) e presupporre l'osservanza dei comandamenti e il compimento della volontà di Dio (1 Gv 3, 22; 5, 14s). Gesù raccomanda ai suoi discepoli di pregare senza stancarsi né scoraggiarsi (Le 18, 1).

L'oggetto prevalente della preghiera cristiana bisogna che sia la volontà di Dio, il regno di Dio, il Vangelo. Negli Atti e nelle Lettere apostoliche i cristiani sembrano totalmente dediti agli interessi del regno di Dio e si preoccupano per i valori puramente spirituali, come si può costatare nella Lettera di Paolo quando formula i suoi desideri di salvezza per tutti i cristiani. L'intera comunità di Gerusalemme pregava per gli apostoli che si trovavano in pericolo, perché Dio concedesse loro tanto la sicurezza come la liberazione (At 4, 24-30; 12, 5). Paolo e Sila cantavano inni e pregavano nella prigione di Filippi (At 16, 25). Paolo fa una preghiera di intercessione per i cristiani e i cristiani intercedono per lui, e questa è considerata un'opera di carità e un potente mezzo di apostolato (Rm 15, 30-32; 2 Cor 2, 11, Ef 6, 19). I cristiani devono pregare non solo per i fratelli nella fede, ma anche per tutti gli ^uomini, per le autorità (2 Tm 2, ls), inoltre devono pregare per i propri nemici e persecutori, in conformità alla dottrina e agli esempi di Gesù (Mt 6, 44; Le 6, 28; 23, 24).

Gesù, congedandosi, parla della preghiera di impetrazione a Lui diretta (Gv 14, 14). I cristiani seguirono questo consiglio: Stefano prega mentre sta per morire (At 7, 59s), Paolo lo fa nei tormenti che gli procura la spina della carne (2 Cor 12, 8s); le dossologie sono dirette al Padre, ma anche a Cristo (2 Pt 3, 18; Ap 1, 6). Il NT termina con una preghiera aramaica a Cristo: Maranata (Ap 22, 20).

3.2.2.2. Lo spirito di solitudine

3.2.2.2.1. Esperienza di vita e magistero di Paolo della Croce

Paolo della Croce unisce la solitudine e il deserto al suo massimo amore, il Crocifisso: "Stia dentro di sé, serri la porta dei suoi sensi in faccia a tutte le creature, stia nel suo niente e lasci perdere questo suo orribile nulla nell'infinito tutto che è

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Dio. Si faccia sue le Pene santissime dello Sposo e se n'entri in quel sacro deserto interiore, sempre vestita da festa; sapete come? Voglio dire vestita di Gesù e tutta penetrata dalle sue pene"110.

Paolo della Croce distingue due generi di solitudine: a) solitudine esterna: vuole che i conventi siano chiamati ritiri111, esige che la fondazione

di un convento passionista tenga conto della solitudine112, è geloso nel mantenere la solitudine dei suoi ritiri113, propone che si facciano in "luoghi solitari"114 con la finalità del raccoglimento interiore e dell'orazione, perché proprio lì l'anima ottiene ottimi benefici. La solitudine va cercata ansiosamente per molteplici finalità:

- per ritirarsi dal concorso con gli uomini e dal chiasso del mondo; - per dedicarsi unicamente al profitto spirituale (con preghiere, digiuni e altri pii

esercizi); - per infiammarsi sempre più dell'amore di Dio; - per rafforzarsi nelle virtù cristiane; - per prepararsi ad essere più idonei all'apostolato; - per promuovere in ogni parte e con tutte le proprie forze il devoto culto, la grata

memoria e la devozione della Passione e morte di Cristo Nostro Signore, che nella solitudine si medita e l'anima di essa s'imbeve.

All'abate Garagni, dal ritiro della Presentazione, scriveva il 28 dicembre 1740, segnalando anche i beni che la solitudine elargisce:

- per riposare lo spirito ai piedi del Crocifisso; - per ricuperare le forze con il santo raccoglimento dell'orazione115. b) solitudine interna: Paolo della Croce apprezzava molto più la solitudine interna di

quella esterna, perché questa senza quella non vale nulla. Così riconosceva che i deserti della Nitria e della Tebaide senza solitudine interna non aiutano a niente116. Questa solitudine interiore è da lui chiamata "il dono dei doni" che è concesso mediante la meditazione: "Sua Divina Maestà le concederà in premio il gran dono del raccoglimento interno, acciò il di lei spirito riposi in sinu Dei in alta solitudine interiore, che è il dono dei doni, che porta seco ogni bene, ecc., e santifica le opere della vita attiva" 117.In diverse lettere ripete il suo desiderio che i suoi religiosi, come i suoi diretti, si accostino alla solitudine interiore: "Attendete alla virtù, a farne eroico acquisto, perché questo è ciò che fa santo, e fate gran capitale del raccoglimento e solitudine interna"118.

II modo di acquisire tale solitudine interiore è descritto a Padre Giovanni di San Raffaele119: "Fate gran conto, carissimo, di quella divina solitudine interiore,

110 Lettere III, 483: a Suor M. Innocenza di Maria SS. Addolorata, 21 giugno 1757. 111 Reg., n. 243. 112 Lettere, III, 276. 113 Ib., IV, 200. 114

114 Reg., n. 5. 115 Lettere, II, 212. 116

116 Lettere, III, 754. 117

117 Lettere III, 125. 118

118 Lettere 111,391. 119

119 Lettera del 16 agosto; Lettere III, 191.

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entrate colla fede e coll'amore nel più profondo di quel sacro deserto, ivi perdetevi tutto in Dio, amate e tacete; riposate in sinu Dei in sacro silenzio di fede e d'amore, ivi rinascete ogni momento a nuova vita deifica del Divin Verbo Cristo Gesù, e l'amore vi faccia vostre le sue pene, per impressione sacra di santo amore, in nuda fede, senza immagini".

Il silenzio porta alla solitudine e la solitudine al silenzio, come scrive alla Signora Anna Maria Calcagnini di Gaeta, il 10 marzo 1767: "E volontà di Dio che lei coltivi l'interno raccoglimento, con la più profonda solitudine dello spirito, perché in esso si racchiude un gran tesoro di bene, né si meravigli se non puoi spiegare la divina operazione interiore, poiché non sarebbe opera dell'Altissimo, se lei sapesse o potesse spiegarla ... ed ivi in sacro silenzio di fede e di santo amore lasci riposare il suo spirito nel seno di Dio"120.

Come si arriva alla massima solitudine? Scrive a Suor Rosa Maria Teresa del Redentore Crocifisso, di Vetralla, l'8 aprile 1758: "Intanto non tralasci di starsene in vera povertà e nudità di spirito, che è lo stato che di presente vuol Dio da lei, ed in tal nudità, sarebbe vestita di Gesù Appassionato, e con tal nobilissimo vestimento interiore, Gesù vi porterà al suo ovile, che è il seno del Divin Padre; ivi riposate, ivi dormite, ivi amate e sempre più profondatevi nel sacro deserto, e si ricordi che allora si sta in più profonda solitudine in Dio, quando più si e spogliati di sentimenti di devozione sensibile"121.

Paolo lasciava la solitudine solo perché glielo richiedeva il bene delle anime nelle missioni popolari: "Solitudine in cui si riposa lo spirito ai piedi del Crocifisso per ristorarlo e confortarlo col santo raccoglimento dell'orazione dalle debolezze e distrazioni che contrae l'umana fragilità, anche nelle fatiche più sante a prò' dei prossimi"122.

Solitudine interna ed esterna, raccoglimento, silenzio, sono concetti affini che preparano e comportano ciò che è il fine di quei passaggi intermedi, l'orazione, la contemplazione, l'assimilazione delle pene di Gesù per mezzo della meditazione e del riposo "nel seno di Dio", partecipando così interamente allo spirito di Gesù Cristo.

3.2.2.2.2. La Bibbia e lo spirito di solitudine

Nella Bibbia dell'AT la solitudine appare con frequenza, come un'esperienza forte e dura per l'uomo, ma, poiché l'AT non ha vocaboli astratti, il termine in sé non si trova; si trovano invece dei passi che parlano della situazione di solitudine. Solitudine che si riflette a volte con l'immagine della terra abbandonata (semamah: Gs 8, 28: Is 1, 7; 6, 11; Ger 6, 8; 10, 22; Mi, 13), o anche con quella del deserto ('arabah: Is 35, 1), zona abbandonata e arida, o regione desertica (yesimon: Dt 32, 10; Is 43, 19); il deserto rappresentò per Israele un luogo e un tempo di prova, e allo stesso tempo di grazia e di rivelazione (Dt 8, 2; Ne 9, 19.21; Es 19, ls, ecc).

120 Lettere III, 803. 121 Lettere 122

122

Lettere

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Sebbene il deserto per il momento sia una regione desolata, senza vegetazione (Is 27, 10; Ger 4, 26; Gl 4, 19), arida (Ez 19, 13; Os 13, 5), poco sicura (Ger 2, 6; Lam 5, 9), abitata da esseri spaventosi e bestie selvagge (Is 30, 6; 35, 7; Sof 2, 13-14), nei tempi escatologici si muterà in un giardino fertile (Is 35, 1-2; 41, 18-19). Con i pericoli della vita agiata, scelta dagli ebrei una volta che rinunciarono al nomadismo, il deserto si vedrà rappresentato come figura dei "tempi di fedeltà" (Os 2, 16-17; Am 5, 25; Ger 2, 2), e i Recabiti (israeliti discendenti da Recab, che si astenevano dal bere vino) proposero la vita nel deserto come condizione per rimanere fedeli a Jahvè (2 Re 10, 15-17; Ger 35).

Da una parte, nell'AT, la solitudine appare come un male: "Non è bene che l' uomo sia solo" (Gn 2, 18), perché l'uomo fu creato per essere socievole, e la solitudine, che è il contrario, con frequenza viene messa in relazione con il peccato; la donna sterile si sente disonorata (1 Sam 1, 5s), e castigata da Dio (Os 9, 11.14), mentre colei che ha molti figli è benedetta da Dio (Is 51, 2). Ma questa solitudine di segno negativo è compensata da un'altra di segno positivo: la rivelazione è vincolata alla solitudine; la solitudine fa prendere coscienza del peccato (Os 2, 8s), favorisce la conversione (Os 2, 16), perché proprio nel deserto Israele incontrò il suo Dio. Mose incontrò Jahvè nella solitudine dell'Horeb, nel ritiro del Sinai (Es 3, ls; 24, 2), e così nel ritiro dell'Horeb Dio si rivelò a Elia (1 Re 19, 4-18).

Nel NT la solitudine, per quanto riguarda Gesù, appare in due versanti: a) Solitudine-incontro. Gesù, durante la sua vita privata, nella solitudine del focolare di

Nazaret, visse intensamente la sua interiorità e il più lungo periodo della sua vita si riassume in un versetto evangelico: "E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Le 2, 52). Anche il corrispondente periodo della vita di Maria si riassume nella solitudine e nel silenzio di Nazaret: "Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 2, 51). Gesù cerca frequentemente la solitudine del deserto per pregare da solo (Mc 1, 35; Lc 5, 16) o con i suoi discepoli Lc 9, 18), e lo stesso consiglia ai suoi discepoli che invita in un luogo deserto (Mt

31; Lc 9, 10), e lontano dalla moltitudine svela ai discepoli il significato delle parabole (Me 4, 10). I discepoli devono pregare non nelle pubbliche piazze, come piace ai farisei, ma nel segreto in cui si incontra il Padre (Mt 6, 5s).

b) Solitudine-sofferenza. Gesù, anche se in compagnia dei suoi discepoli, si sente solo, per esempio durante l'ultima cena; solo lui sapeva che Giuda l'avrebbe tradito Gv 13, 11), che Pietro l'avrebbe rinnegato (Gv 13, 38), che tutti i discepoli avrebbero abbandonato (Mc 14, 27). Gesù aveva riconosciuto che il Padre era sempre con lui (Gv 16, 32), anche se nei due momenti culmine delle sue ore finali, nel Getsemani (Mc 14, 27) (malgrado la compagnia dei suoi discepoli), e sul Calvario (Me 15, 34) (malgrado la compagnia delle pie donne e di sua madre) si sente tremendamente solo,

5.2.2.3. Lo spirito di povertà

3.2.2.3.1. Esperienza di vita e magistero di Paolo della Croce

La solitudine è un cammino per liberarsi dalle creature e cercare l'unione con

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Dio; è la rinuncia alle altre persone. Ma esiste un grado maggiore, che è la rinuncia a se stesso; e questo è ciò che Paolo della Croce chiama "spirito di povertà" o "penitenza". Dichiara che ciò è un'allegria: "Soprattutto le raccomando - scrive a una religiosa - di conservare sempre più quella gioia della santa povertà, ed ho gradito al sommo quella questua che fece per farsi una povera veste, ecc."123.

Paolo vuole che si coltivi con amore, dato che la povertà procura molti beni; la povertà e la miseria sono grandi condizioni di predestinazione; con la povertà si ri- cevono tesori inestimabili di grazia e gli uomini diventano più graditi a Dio con la povertà che con aspre penitenze. La povertà è una grande gioia e ricca di ogni be- ne. Dio permette le miserie e le povertà: "Poveri in questa vita, ma ricchi in fede, sarete ricchi in eterno"124. Paolo propone che la povertà non sia solo esterna, ma anche interna.

Anzitutto vuole che nella Congregazione da lui fondata si osservi la povertà. Anche prima di fondare la Congregazione, quando si ritirò nella sacrestia della chiesa di San Carlo a Castel lazzo (Alessandria), dal 23 novembre 1720 al 1° gennaio 1721, chiamava già i suoi futuri discepoli "i Poveri di Gesù"125, anche se in quelle date non aveva ancora cominciato la Regola del futuro istituto. Poi, quando co- mincia a trattare del voto di povertà nelle Regole, così stabilisce: "La povertà è il versillo sotto il quale milita tutta la Congregazione"126. Più avanti afferma: "Ma tutto sia fedelmente e santamente conforme all'amore ed al rispetto della poveri : religiosa"127. Alla fine di questo capitolo delle Regole proferisce parole profetiche. che sono, ad un tempo, un sfida: "E cosa certa, infatti, che lo spirito della perfe- zione religiosa regnerà in Congregazione fino a quando rimarranno intatti l'amore e l'osservanza della povertà volontaria; se questa invece si estinguesse, tutto san messo in disordine dalla sfrenata cupidigia ed andranno in decadenza il fervore t

l'amore di ogni più santo regime di vita"128. Come ragione ultima per la povertà nella Congregazione propone l'esempio di

Gesù: "... Cercando unicamente di comportarsi in tutto da poveri, tanto nelle opere che nello spirito, come veri imitatori di Gesù Cristo. Per ottenere un bene cosi grande gioverà soprattutto avere sempre davanti agli occhi l'esempio del no- stro Salvatore che per noi si degnò nascere povero, vivere bisognoso e morire nu ~ su di una croce"129.

La povertà non sarà soltanto esterna, ma anche una povertà di spirito; Pao indica i beni che essa procura: "Quanto sarete ricca, se vi farete povera, e di dee:, e di fuori. Quella aridità, insensibilità, ecc., è un principio della santa poveri! spirito, di cui Dio vi vuole far dono, ed allora l'anima acquista la vera libertà e : chezza, e diviene il giardino delle delizie di Gesù"130.

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123 Lettere I, 460: a Suor Cherubina Bresciani, 30 luglio 1739. 124 Lettere II, 550: a Giuseppe Danei, 30 settembre 1746; cf ancora II, 556; III, 201, 202. 125 Diario Spirituale, 27 novembre 1720. 126 Reg., n. 92. 127 Ib.,n. 105. 128 Ib., n. 106. 129 Reg., n. 114. 130 Lettere I, 141: ad Agnese Grazi, 29 giugno 1736.

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Fonti bibliche della vita e dell 'opera di Paolo della Croce 35

3.2.2.3.2. La Bibbia e lo spirito di povertà

La povertà come fenomeno sociale inquietante appare nella Bibbia solo nel se- colo Vili a.C., come frutto di una differenziazione socio-economica favorita dall'istituzione monarchica (1 Sam 8, 11-17), quando si formò una classe di funzio- nari reali (cf 1 Sam 22, 7), insieme con lo sviluppo delle officine reali (1 Cf 4, 23) e del commercio (1 Re 10, 15; 2 Cr 9, 14). Da una parte di godeva di una certa pro- sperità (Is 2, 7; Os 12, 9): i nobili si costruivano case di lusso (Os 8, 14; Am 3, 15; 5, 11), organizzando feste (Is 5, lls; Am 6, 4), in cui le loro donne splendevano dei loro abiti sfarzosi (Is 3, 16-24); presto però comparvero i poveri bisognosi di pre- stiti che venivano loro concessi con abusive usure (Prv 28, 8; cf Ez 18, 8.13.17); i cattivi raccolti spingevano i bisognosi a mettersi a servizio per stipendi di fame, e c'era da aggiungere l'abuso delle espropriazioni reali (1 Sam 8, 14; cf 2 Sam 16, 4; 19, 30s), frequentemente illegali (1 Re 21). I contadini deboli si vedevano costretti a cedere i loro poderi, di cui i ricchi facevano incetta (Is 5, 8; Mie 2, 2), speculando e frodando (Os 12, 8; Am 8, 5; Mie 2, ls), corrompendo i giudici (Is 1, 23; Ger 5, 28; Mic 3, 11; 7, 3) e ostentando prepotenza verso i loro debitori (Am 2, 6-8; 8, 6).

Chi non possedeva terre viveva in miseria. Perciò i profeti presero le difese di questi derelitti (Is 3, 14s; 10, 2; 11, 4; Am 4, 1; 5, 12; cf Sai 82, 3s), e anche la Legge cercava di dar loro protezione (Es 22, 24-26; 23, 6), soprattutto il Deuteronomio the ripete la proibizione dell'usura (Dt 23, 20; cf Es 22, 24; Lv 25, 36). Si propone l elemosina (Dt 5, 7-11) e si richiede la protezione del salariato (Dt 24, 14s). Ma in una panoramica in cui il tetto non supera la retribuzione terrena, la ricchezza è la ricompensa della virtù e la povertà è un castigo di Dio (Sal 1, 3; 112, 1-3; Prv 22, 22s). :

I profeti iniziano un'altra linea di interpretazione della povertà: esistono, se-

condo l'esperienza quotidiana, ricchi perversi ed empi che opprimono i poveri, ma questi sono amati da Dio (Dt 10, 18; Prv 22, 22s). Da qui le situazioni cominciano a invertirsi e comincia la trasposizione del vocabolario che si effettua in parte nell'AT: i "senza terra" sono assimilati a coloro che cercano Dio (Sof 2, 3; cf 3, 12s) e quando verrà il re giusto essi saranno quelli che ci guadagnano (Is 11, 4; cf 19, 8).

Alla fine dell'epoca anticotestamentaria apparvero gli esseni che praticavano anche una povertà effettiva, poiché non potevano possedere niente di proprio131, non lo scopo di dedicarsi esclusivamente allo studio della Legge, ponendo tutta la propria speranza nel giorno del giudizio escatologico. In Qumràn132 fanno la loro tomparsa i poveri in spirito che si contrappongono ai ricchi dal "cuore indurito".

Nel NT si trovano chiaramente due versanti della povertà: i poveri di fatto, che sono quelle moltitudini sfruttate da Erode e dall'amministrazione romana; per qzuesto Paolo deve fare una colletta per sovvenire alle necessità della Chiesa di Gerusalemme; i capi della comunità giudaico-cristiana incaricarono Paolo (At 24, l7; Gal 2, 10) e Paolo lo prese molto a cuore (Rm 15, 25-27.31; 16, 1-3; 2 Cor 8-9).

Inoltre nel NT si propone un'altra povertà di ordine trascendente, ricordata ripetutamente da Paolo, cioè la povertà di Gesù (2 Cor 8, 9; Cf Lc 2, 7; Mt 8, 20).

131 F. Josefo, BJ 2, 122; cf in Qumràn: JQS 9, 22. 132 IQM 14, 7.

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Gesù è descritto come molto sollecito per i poveri (Me 12, 41-44; Le 16, 19-31; 18, 22; 23, 1-4; Gv 13, 29). Di fatto i poveri erano i primi beneficiari della buona novella (Mt 11, 5; Le 4, 18; 7, 22; in Qumràn: IQH 18, 14), e ad essi precisamente appartiene il regno di Dio (Le 6, 20, Gc 2, 2-6).

Luca è l'evangelista che accentua la preferenza per i poveri e manifesta maggiore severità contro la ricchezza; Gesù, in genere, è presentato nei Vangeli come il Redentore degli oppressi. Nella predicazione di Gesù si descrivono i pericoli della ricchezza, specialmente di quelli che non si preoccupavano della salvezza. Il povero, generalmente, appare più aperto all'accettazione del messaggio evangelico; gli attacchi di Gesù vanno contro i ricchi (Le 6, 24-26).

Di fatto anche Gesù contò tra i suoi seguaci delle persone agiate: Lazzaro e le sorelle, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo, le donne che lo aiutavano con il loro denaro (Lc 10, 38; Me 14, 2ss; Mt 27, 57.59; Gv 19, 39; Le 8, 3), eppure non volle mai che rinunciassero alle loro proprietà. Però Gesù elogia la povertà ed esige che si abbia cura dei poveri, perché per i ricchi la salvezza è difficile: "E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli" (Mt 19, 24). Il ricco, colui che si trova provvisto di tutte le comodità terrene (Lc 16, 19), che si crede sazio e si dimentica della morte, è uno stolto "che accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio" (Le 12, 21); Gesù ripete che bisogna guardarsi dalla cupidigia (Le 12, 15), perché è una malvagità che macchia l'uomo (Me 7, 22). Gli "avari" farisei (Le 16, 14) e gli ambiziosi scribi che "divorano le case delle vedove" (Me 12, 40) avranno un giudizio più rigoroso. La rinuncia a "mammona" è uno dei precetti assoluti di Gesù: "Non potete servire a Dio e a mammona" (Mt 6, 24). Gesù, con il profeta (Is 61, 1), riassume la sua missione nell'annuncio che Egli è inviato ai poveri e oppressi (Le 4, 18s; Mt 11, 5).

Nel NT si trovano anche i "poveri in spirito" (Mt 5, 3), cioè quelle persone che, con umile modestia, sperano la salvezza da Dio; quantunque realmente la primitiva raccomandazione nelle beatitudini fosse la povertà effettiva (Mc 10, 21; Mt 19, 21; Le 18, 22; cf Lc 12, 33) comunemente praticata nella Chiesa di Gerusalemme; qui si praticava la comunità dei beni (At 2, 44s; 4, 32.34s). La "povertà spirituale" (Mt 5, 3) cambia prospettiva e si muta in "ricchezza spirituale" (Ap 2, 9; cf 3, 17).

3.2.2.4. Lo spirito apostolico

3.2.2.4.1. Esperienza di vita e magistero di Paolo della Croce

Paolo della Croce, il 2 maggio 1750, scriveva ai suoi religiosi: "Esclamiamo a questo Padre dei poveri, a questo Datore di grazie, a questo Lume dei cuori, che ci conceda il vero spirito del nostro Istituto, che è il vero spirito Apostolico, ricco di tutte le virtù; preghiamolo che apra la vena delle acque vive delle sue grazie, acciò tutti beviamo in abbondanza, affinché tutti arsi d'amore, infuocati di carità, accendiamo questo fuoco divino nei cuori dei nostri poveri prossimi, mediante la

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santa predicazione delle Pene Santissime del nostro Amor Crocifisso"133. Tutto l'apostolato della Chiesa, dei vescovi e degli Ordini religiosi, procede da Cristo:

"Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che Egli voleva e ne costituì dodici perché stessero con Lui, e per mandarli a predicare il Regno di Dio (cf Me 3, 13-19; Mt 10, 1-42); e questi Apostoli (cf Le 6, 13) li costituì a modo di collegio o ceto stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (Gv 21, 15-17). Li mandò prima ai figli di Israele e poi a tutte le genti (cf Rm 1.16) affinché, partecipi della sua potestà, rendessero tutti i popoli discepoli di Lui, li santificassero e governassero (cf Mt 28, 16-20; Me 16, 15; Le 24, 45-48; Gv 20, 21- 23), e così diffondessero la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28, 20). E in questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cf At 2, 1-36) secondo la promessa del Signore: Quando lo Spirito Santo sarà disceso su di voi, prenderete vigore e mi sarete testimoni, sia in Gerusalemme, come in tutta la Giudea e la Samaria, e sino all'estremità della terra (At 1, 8)"134.

I presbiteri prolungano la missione dei vescovi: «I Presbiteri, pur non possedendo l'apice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti per l'onore sacerdotale, e in virtù del sacramento dell'ordine, ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote (Eb 5, 1-10; 7, 24; 9, 11-28), sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Partecipi, nel loro grado di ministero, dell'ufficio dell'unico Mediatore Cristo (1 Tm 2, 5), annunciano a tutti la divina parola. Ma soprattutto esercitano il loro sacro ministero nel culto eucaristico o sinassi, dove agendo in persona di Cristo e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della Messa rappresentano e applicano, fino alla venuta del Signore (cf 1 Cor 11, 26), l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al Padre quale vittima immacolata (cf Eb 9, 11-28)"135.

Questo spirito apostolico Paolo lo concretò, nella Congregazione da lui fondata, con un voto particolare che doveva manifestarsi in diverse forme:

1) Per i missionari passionisti: "Perciò quei religiosi che saranno giudicati adatti a così grande ministero, sia nelle missioni apostoliche che in altri pii esercizi, procureranno di insegnare a viva voce ai popoli la devota meditazione dei misteri della passione e morte di Nostro Signor Gesù Cristo, dal quale deriva, come da fonte, ogni nostro bene. Nelle missioni questo si potrà fare dopo la predica; come pure in altro luogo e tempo opportuno, specialmente nel confessionale od in altre occasioni che si presentano. Questo utile e salutare pensiero, infatti, è un mezzo efficacissimo per strappare le anime dal peccato e condurle verso la perfezione cristiana alla quale tendiamo"136.

E in ciò si devono applicare con tutto l'entusiasmo e con tutte le proprie forze: "Promuovendo dunque con tutte le loro energie la pietà cristiana e la grata memo

133 Lettere IV, 228. 134 Lumen Gentium, 19. 135 Lumen Gentium, 28. 136 Reg., 3-4.

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ria e devozione verso la passione e morte di Gesù Cristo"137. Ma non si deve solo proporre, bensì anche insegnare il modo di farlo: "Con

brevità e chiarezza insegnino il modo di meditare devotamente e con frutto questi misteri, e usino tutta la loro diligenza per far sì che una tale meditazione diventa molto frequente e continua"138.

Questo compito si deve svolgere soprattutto nelle missioni popolari: "I reli- giosi che attendono alla predicazione del Vangelo nelle missioni apostoliche faran- no del tutto per eccitare il popolo cristiano alla meditazione ed al ricordo devoto e frequente dei santi misteri della passione e morte di Gesù Cristo. Lo facciano spe- cialmente la sera dopo la predica consueta"139.

2) Per i sacerdoti che non si dedicano alle missioni, ma esercitano ministeri sa- cerdotali: "I sacerdoti che non sono addetti alla sacra predicazione cerchino di promuovere un tanto bene (la devozione alla passione) in altre maniere, secondo che se ne presenterà l'occasione, specialmente quando ascoltano le confessioni, in- segnano il catechismo, tengono conferenze di cose spirituali e in altre circostanze simili offerte dal proprio ufficio o dall'occasione"140.

3) Per i chierici e fratelli coadiutori, che non esercitano l'apostolato diretto: "Quelli che non sono destinati a questi ministeri, come pure i fratelli, per soddi- sfare al loro voto, recitino ogni giorno con pietà e devozione cinque Pater ed Ave

in memoria ed in onore della passione di Nostro Signor Gesù Cristo, pregandolo insieme fervorosamente perché aiuti quelli che promuovono questa salutare devo- zione"141.

4) Per le persone che non appartengono alla Congregazione della Passione: è il caso di Suor Rosa Maria Teresa del Redentore Crocifisso, di Vetralla, alla qualei Paolo della Croce scrive 1*8 aprile 1758: "Godo che V.R. abbia fatto il voto della Santissima Passione. Io non so le condizioni con cui lo abbia fatto; la formula di rinnovarlo gliela insegnerà il santo amore. I nostri laici, chierici e sacerdoti ancora, che non sono atti alle Missioni, né sono a ciò destinati, sono obbligati per compire il quarto voto fatto, di recitare con gran devozione cinque Pater et Ave alle Piaghe santissime di Gesù, pregando Sua Divina Maestà a dilatare in tutt'i cuori dei fedeli la devozione alla Santissima Passione di Gesù e concedere lo spirito ai nostri Mis- sionari di promuoverla con grande zelo e dilatare in tutto il mondo questa povera Congregazione della Santissima Passione. Questo è il prescritto dalle nostre Sante Regole approvate, ecc., e in tal forma compiscono al loro voto come noi che la 5) predichiamo a viva voce ai popoli, ecc."142.

3.2.2.4.2. La Bibbia e lo spirito apostolico

Gesù qualificò con il titolo di "apostoli" i dodici che scelse (Lc 6, 13); il

137 Ib.,n. 5. 138 Ib., n. 122. 139 Ib. n. 121. 140 Ib., n. 124. 141 Ib., n. 126. 142

142 Lettere III, 514s.

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stantivo apostoli potremmo tradurlo come "incaricati di una missione", ma, dato l'uso ellenistico, in cui veniva applicato a coloro ai quali veniva assegnata una missione all'estero (risolvere una questione, concludere un accordo con qualche autorità, dare istruzioni ad un esercito in battaglia, e tutte le attribuzioni che perciò gli venivano concesse), equivaleva a un ministro plenipotenziario.

Nel NT troviamo due termini che indicano questa idea di "inviato" o "messaggero": il termine "discepolo" si riscontra 216 volte (75 in Giovanni), e si applica tanto ai discepoli di Gesù quanto ai suoi apostoli; invece il termine "apostolo" appare soltanto 9 volte nei Vangeli (una volta in Matteo, 2 in Marco, 6 in Luca, mai in Giovanni), e 71 volte nel resto del NT (specialmente Atti e Paolo).

In senso stretto, "apostolo" si applica prima di tutto ai dodici, chiamati da Gesù (Mt 10, 2-4; Me 2, 16-18; Le 6, 13-16; At 1, 13). Nel NT gli apostoli sono distribuiti in tre gruppi: 1) I 4 chiamati inizialmente: due fratelli (Simon Pietro e Andrea) e gli altri due anch'essi fratelli (Giacomo e Giovanni) figli di Zebedeo; 2) Filippo, Bartolomeo (Natanaele), Matteo, Tommaso (soprannominato Didimo); 3) due fratelli, figli di Alfeo (Giacomo e Giuda), Simone lo Zelota e Giuda Iscariota; quest'ultimo, tra l'Ascensione e la Pentecoste, è sostituito da Mattia (At 1, 26).

Gesù educò personalmente i suoi apostoli, e questo compito comportò istruzione, formazione e missione. Mattia ricevette lezioni da Gesù come discepolo, e gli altri apostoli lo considerarono totalmente abilitato come loro per essere inviato a fare da testimone. Paolo e Barnaba sono riconosciuti dalla Chiesa come apostoli, e cosi viene tributato loro un culto liturgico, ma non sono apostoli con lo stesso titolo degli altri dodici, in quanto non furono testimoni diretti della vita e delle azioni di Gesù, né furono inviati da Lui.

Paolo ebbe pochi contatti diretti con gli apostoli: dopo la sua conversione passarono tre anni prima che salisse a Gerusalemme a visitare Cefa (Gal 1, 18), con cui stette quindici giorni; vide anche Giacomo, fratello del Signore (Gal 1, 19). Quattordici anni dopo Paolo salì a Gerusalemme accompagnato da Barnaba e Tito (Gal 2, 1), prendendo parte al cosiddetto concilio di Gerusalemme (Gal 2, 1-10; cf At 15, 4-29). Pietro e Paolo si incontrarono ad Antiochia (Gal 2, lls) e si divisero il campo d'azione: Paolo apostolo dei Gentili, Pietro apostolo dei circoncisi (Gal 2,

Paolo definisce spesso il suo concetto di missione dell'apostolo, per esempio in 1 Cor 9, ls: "Non sono forse libero, io? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? Anche se per gli altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono; voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore". Sebbene Paolo si riconosca apostolo per vocazione (Rm 1, 1), questa vocazione non viene dagli uomini (Gal 1, 1), ma dalla chiamata che ha ricevuto (1 Cor 1, 1) e per espressa volontà di Dio (2 Cor 1, 1; Ef 1, 1; Col 1, 1; 2 Tm 1,1). Egli rivendica il suo titolo di apostolo (1 Cor 9, ls), poiché la sua missione e il Vangelo che egli predica non lo ha ricevuto da nessun uomo, ma dallo stesso Gesù che glielo ha rivelato (Gal 1, 11-12; cf 1 Cor 15, 8); Paolo loda e rende grazie a Gesù Cristo, "per mezzo del quale abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome" (Rm 1, 5). Una volta che Gesù salì al cielo, gli apostoli dovettero continuare la missione

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di Gesù, come Egli l'aveva proposta; tale missione era universale in senso geografico: "Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18, 18), dato che "nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati" (Lc 24, 47), e in senso temporale: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 19-20).

Gesù, poi, aveva previsto che, alla morte degli apostoli e discepoli da Lui chiamati, doveva esserci una continuità "fino alla fine del mondo". Cosi si assicurò la successione apostolica, dopo gli apostoli e i discepoli di Gesù vennero i vescovi e i missionari che fondarono nuove chiese; anche questi vennero chiamati apostoli.

3.3. Verso la configurazione totale con Cristo Crocifisso: la morte mistica

3.3.1. Esperienza di vita e magistero di Paolo della Croce

La configurazione di Paolo della Croce con Cristo Crocifisso appare chiaramente nel suo Diario Spirituale:

"So che feci anche dei colloqui sopra la dolorosissima Passione del mio caro Gesù; quando gli parlo dei suoi tormenti (verbi gratia) gli dico: Ah mio Bene, quando foste flagellato come stava il vostro sacratissimo Cuore? Caro mio Sposo, quanto v'affliggeva la vista dei miei gran peccati e delle mie ingratitudini; ah mio amore, perché non muoio per voi! perché non vengo tutto spasimi! E poi sento che alle volte lo spirito non può più parlare, e se ne sta cosi in Dio con i suoi tormenti infusi nell'anima, e alle volte pare che si disfaccia il cuore" (26 novembre 1720)143.

"Fui nell'orazione al solito in pace, nel far le offerte degli spasimi che ha sofferto il mio Gesù, mi sono sentito mosso in lacrime, e parimente nel pregare per tutti del mio prossimo; nella santa Comunione sono stato particolarmente raccolto, e massime nel fare il racconto doloroso e amoroso dei suoi tormenti al mio Gesù. Questa grazia così sovrana che il mio caro Dio mi fa in questo tempo, non la so spiegare, perché non posso; sappia che nel raccontare le pene al mio Gesù, alle volte come ne ho raccontata una o due, bisogna che mi fermi così, perché l'anima non può più parlare e si sente liquefare; sta così languendo con altissima soavità mista con lacrime, con le pene del suo Sposo infuse in sé, oppure, per più spiegarmi, immersa nel cuore e dolore santissimo del suo Sposo dolcissimo Gesù; alle volte ne ha intelligenza di tutte, e se ne sta così in Dio con quella vista amorosa e dolorosa; ciò è difficilissimo a spiegarsi, parmi sempre cosa nuova" (8 dicembre 1720).

"Ebbi dell'aridità e anche del raccoglimento, e massime per gli spasimi del mio Gesù; mi sovviene che la sera antecedente del giovedì, dicevo che il ricordarmi del giorno funebre e doloroso del venerdì, è cosa da spasimare e venir degli accidenti, dicevo

143 Per le citazioni del Diario Spirituale v. Lettere, I, 1-18; S. Paolo della Croce, Diario spirituale. i cura di E. Zoffoli, cit.

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al mio Gesù che mi faccia venire degli accidenti per il dolore" (20 dicembre 1720). La compassione che Paolo sente per i dolori di Gesù Crocifisso si fa dolorosa (amor

doloroso) e allo stesso tempo gioiosa (dolor amoroso). Per Paolo, che diceva che la vita di Gesù è tutta Croce, tale Croce comincia già nell'istante dell'Incarnazione, e per lo stesso Paolo questo addentrarsi nella vita crocifissa di Gesù si trasforma in un riposo pacifico nel seno di Dio; "Fui anche con molte tenerezze, massime nel ricordarmi dell'infinito amore del nostro caro Dio nell'essersi fatto uomo, e nascere con tanto incomodo e tanta povertà, e poi mi riposavo così nel mio Dio" (24 dicembre 1720).

Nella configurazione di Paolo con i dolori di Gesù, non manca l'unione ai dolori di Maria: "Fui mosso dall'infinita bontà in grand'altissimo raccoglimento e in grand'affetti amorosi, con colloqui con il nostro caro Sposo; mi venne poi una rimembranza della fuga fatta in Egitto con tanto suo scomodo e patimento e anche dolore di Maria santissima con san Giuseppe, ma in particolare di Maria santissima; si frammischiava nella poverissima anima mia il dolore e amore con gran lacrime e soavità, di tutto questo l'anima n'ha infusa e altissima intelligenza, tutt'insieme alle volte d'un mistero solo, ma l'intende in un momento, senza forme corporee, o sia immaginarie. Ma Dio gliele infonde con opera della sua carità e misericordia, nell'istesso tempo che l'anima le intende altissimamente, o se ne compiace, o se ne condole, secondo i misteri; per lo più si frammischia sempre la santa compiacenza" (28 dicembre 1720).

Tutti questi affetti sono uniti in Paolo della Croce al momento della comunione eucaristica. Il 26 dicembre 1720 aveva un grande desiderio di andare a morire martire là dove si nega l'adorabilissimo mistero del Santissimo Sacramento.

Paolo della Croce parte dal principio che nella Passione di Gesù si trova tutto: "La Passione Santissima di Gesù è un mare di dolori, ma è altresì un mare di amore. Dite al Signore che vi insegni a pescare in questo mare; immergetevi in esso e più vi immergerete, mai troverete fondo. Lasciatevi penetrare tutta dall'amore e dal dolore. In questa forma vi farete tutte vostre le pene del dolce Gesù. Pescate le perle delle virtù di Gesù; questa divina pesca si fa senza parole, la fede e l'amore la insegnano. Chi è più umile è più bravo pescatore"144.

Paolo della Croce vuole che l'anima acquisti continuamente la situazione vittimale: "Deve star crocifissa e portare le stimmate di Gesù anche nel corpo, con i vari dolori che Sua Divina Maestà permette che abbia. Su la Croce bisogna starvi con alto riposo e gioia di spirito; e ciò si fa con la totale alienazione da contenti esteriori delle creature, continuando quelle pratiche di virtù già accennate, cioè con la solitudine interna ed esterna che genera maggior raccoglimento, da cui ne nasce umiltà, silenzio, pazienza, carità, ecc. e si sta come morta in mezzo ai vivi"145.

3.3.2. La Bibbia e la configurazione con Cristo

Il "verbum crucis" è la pietra angolare del Vangelo di Paolo Apostolo. Già A.

144 Lettere III, 516, a Suor Rosa M. Teresa del Redentore Crocifisso di Vetralla, 8 aprile 1758. 145 Lettere I, 278: ad Agnese Grazi, 25 gennaio 1742.

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Sabatier146 affermava: "Il fatto della morte di Gesù è ancora in questo modo il cen- tro del sistema paolino. Il Cristianesimo dell'Apostolo si riassume nella Persona di Cristo; ma questa Persona stessa acquista tutta la sua importanza redentrice soltan- to nel momento della sua morte sulla croce". Dopo che Paolo ebbe predicato ai Galati, ponendo al centro dei loro occhi l'immagine del Crocifisso, si sorprende che essi abbiano potuto distogliere i loro sguardi da esso: "O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso?" (Gal 3, 1). E ai Corinzi aveva detto: "Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso" (1 Cor 2, 2).

Evidentemente non finisce tutto con la morte di Cristo, e bisogna includere la risurrezione, perché questa è il compimento di quella: "Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor 15, 3-4), e "Dio lo risuscitò, perché era impossibile che la morte lo tenesse sotto il suo dominio" (At 13, 29-30; 17, 31; 26, 23).

E insufficiente spiegare questa dottrina come una pratica esterna, essa deve coinvolgere l'intimo della persona: "E stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4, 25). "Gesù morto e risorto per noi": "Basta osservare che se Gesù Cristo muore per noi, è per farci morire misticamente con Lui, e se risorge per noi, è per fare in modo che risorgiamo con Lui"147. Paolo Apostolo esprime questa simbiosi in altro modo: "Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro" (2 Cor 5, 14-15). E ancora: "Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui" (Rm 6, 8).

Paolo esprime questa configurazione con Cristo attraverso una moltitudine di neologismi che hanno per prefisso "syn", e che la Vulgata, come la lesse Paolo della Croce, traduce:

"compati" (Rm 8, 17; 1 Cor 12, 26); "simul crucifigi" (Rm 6, 6); "configi cruci" (Gal 2, 20); "commori" (2 Tm 2, 11; cf 2 Cor 7, 3); "consepeliri" (Rm 6, 4; Col 2 12); "conresuscitare" (Ef 2, 6; cf 2, 12; 3, 1); "simul vivere cum" (Rm 6, 8); "convivere" (2 Tm 2, 11); "convivificare" (Ef 2, 5; Col 2, 13); "configurari" (Fil 3, 10); "conglorificari" (Rm 8, 17); "consedere facere" (Ef 2, 6); "conregnare" (2 Tm 2, 12; cf 1 Cor 4, 8); "conformis" (Rm 8, 29; Fil 3, 21); "complantatus" (Rm 6, 5); "coheres" (Rm 8, 17; Ef 3, 6); "comparticeps" (Ef 3, 6; 5, 7); "concorporalis" (Ef 3, 6); "coaedificari" (Ef 2, 22); "constructus" (Ef 2, 21); "compactus" (Ef 4, 16); "connexus" (Ef 4, 16); "constructus" (Col 2, 19; cf 2, 2). A questi si potrebbero aggiungere ancora le espressioni che designano l'unione dei cristiani tra di loro e con Cristo.

Se volessimo sintetizzare il significato di questa unione con Cristo, potremmo ricorrere a F. Prat: "La nostra unione mistica con Cristo non finisce con la vita mortale di Gesù; inizia con la Passione, quando Gesù Cristo inaugura la sua opera redentrice; ma da quell'istante è continua e la comunicazione degli idiomi tra i

146 A. Sabatier, L'Apótre Paul, esquisse d'une histoire de sa pensée, terza ed., Paris 1896, 322. 147 F. Prat, op. c., II, Mexico (Edit. Jus) 1947, 27.

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cristiani e Cristo si completa da ora in avanti"148. E ancora: "Cristo Salvatore associa alla sua vita e alla sua morte ogni credente": "Cristo

Salvatore" è la definizione della Persona del Redentore; è il Messia, l'inviato, l'agente e il mandatario di Dio, il pontefice dell'Umanità colpevole, il nuovo Adamo incaricato da Dio a riparare l'opera del primo Adamo. "Ogni credente" specifica il soggetto della Redenzione universale in potenza, senza distinzioni, esclusioni né privilegi; e indica allo stesso tempo la condizione essenziale della salvezza, la Fede. "L'unione con la Morte e la Vita di Cristo" riassume il Piano Redentore, concepito dal Padre fin dall'eternità, eseguito nella storia dal Figlio. Il quale, solidarizzando con noi e unendoci a sé con un legame di identità mistica, prende su di Sé quello che è nostro e lascia che passi a noi ciò che è suo149.

La morte mistica inizia per Paolo Apostolo con il battesimo, poiché per il battesimo ci associamo a Cristo, "in un modo mistico ma molto reale, alla sua Morte e alla sua Vita. Con l'associarci alla sua Morte, neutralizza il principio di attività che il peccato aveva depositato in noi e che costituiva l'uomo vecchio; con l'associarci alla sua Vita, distrugge tutti i germi di morte e ci conferisce il privilegio di una vita senza fine: vita dell'anima e vita del corpo, Vita della Grazia e Vita della Gloria"150.

Paolo Apostolo dice che nel battesimo "siamo immersi nella morte di Cristo", cioè nel Cristo agonizzante, quando Cristo si fa salvatore e quell'istante coincide per Gesù con quello della sua morte, che è figuratamente e misticamente realizzata per noi nel nostro battesimo; a partire da qui abbiamo una vita comune con Cristo: noi siamo crocifissi, sepolti e risuscitati con Lui, e partecipiamo della sua morte, della sua vita nuova, della sua gloria, del suo regno e della sua eredità.

Come il battesimo rappresenta sacramentalmente la morte e la vita di Cristo, cosi è necessario che il battesimo produca in noi una morte, morte mistica nella sua sostanza, ma reale nei suoi effetti; che sono: morte al peccato, alla carne, all'uomo vecchio, inizio di una vita conforme alla vita di Cristo risorto. Paolo Apostolo spiega chiaramente questo: "Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione" (Rm 6, 5). E più avanti: "Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli mori al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù" (Rm 6, 8-11).

Da questa dottrina paolina Paolo della Croce ricavò la sua dottrina sulla Morte Mistica che ampiamente espone nel suo trattato sulla "Morte Mistica", od "Olocausto del Puro Spirito di un'anima religiosa", di cui così si può dare la sintesi: "Voglio vedermi ridotta così con questi santi sentimenti a una agonia spirituale con la quale voglio distruggere tutto il mio

amor proprio, inclinazioni, passioni e volontà". Coloro che desiderano morire così sulla Croce con quella santa morte di Gesù, con la quale muoiono sul Calvario con lo Sposo delle Anime in-

148 Ib., II, 29. 149 Ib., II, 30. 150 Ib., II, 250s.

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namorate, muoiono con una morte più dolorosa di quella del corpo, per risorgere poi "con Gesù trionfante nel Cielo"151.

Conclusione

1) Paolo non fu un esegeta di professione, né potè accedere ai testi biblici originali, ebraici, aramaici e greci, per la sua carente formazione; era piuttosto autodidatta e rispecchiava, a un certo livello, la situazione del clero italiano del secolo XVIII.

2) Paolo non conobbe gli esegeti contemporanei, né i predecessori, ma nella sua biblioteca si trovano piuttosto teologi o predicatori, cioè una teologia già adattata alle necessità pastorali (casistica e morale per il confessionale, ascetica e mistica per la direzione spirituale), più che una teologia scientifica e speculativa.

3) La sua esegesi è quella usata dai predicatori della sua epoca, che partivano dal testo latino della Vulgata.

4) Le sue applicazioni del testo biblico sono fatte seguendo il senso anagogico, e a volte in un senso letterale ridotto al puro suono delle parole; senso che aveva una lunga tradizione tanto ebraica che cristiana.

5) Se fu debole la sua preparazione tecnica esegetica, ebbe tuttavia il grande aiuto della conoscenza infusa; Paolo, avendo sperimentato gli stati mistici più elevati, si sentì in grado di servirsi della Bibbia partendo dall'ambito della mistica.

6) In questa esperienza mistica, la lettura assidua della Bibbia, suo "Libro dei lumi", gli offrì un ambiente, uno spirito, che lo rese idoneo a percepire profondità esegetiche che superarono la via puramente tecnica; ne danno una prova i mistici quando spiegano diversi libri della Bibbia: Santa Teresa di Gesù, per quanto riguarda il Cantico dei Cantici; San Giovanni della Croce, ugualmente per il Cantico; Elisabetta della Trinità, invece, per quanto riguarda le Lettere di S. Paolo Apostolo.

7) Lo stesso Spirito che infuse negli agiografi la luce perché potessero scrivere i testi sacri originali, assistette i mistici perché fossero capaci di interpretare il senso di tali testi, come successe nel caso di Paolo della Croce.

8) Il Vangelo della Passione diventò per Paolo della Croce la chiave per l'esegesi dell'intera Bibbia; la sua è un'esperienza simile a quella di Cristo, che recita sulla Croce il salmo 121, usandolo come chiave e riassunto di tutta la sua esperienza vitale messianica e redentrice.

9) Le dottrine più personali di Paolo della Croce, la sua configurazione a Cristo Crocifisso, la sua Morte Mistica, ecc., oltre che da quello che potè leggere in autori spirituali o mistici, o che potè apprendere dalla sua scienza infusa, le conseguì con la lettura assidua dell'epistolario di Paolo Apostolo. Elisabetta della Trinità, che non ci risulta abbia mai letto Paolo della Croce, giunge a un concetto molto simile della Morte Mistica, ma leggendo l'Apostolo Paolo.

151 A. M. Artola, La Muerte Mistica segùn San Pablo de la Cruz, 40s.