formare per formare nella complessitÀ per... · 4 di comunicare il sapere e attuali tecniche di...

120
FORMARE PER FORMARE NELLA COMPLESSITÀ

Upload: ledung

Post on 15-Feb-2019

214 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

FORMARE PER FORMARENELLA COMPLESSITÀ

FORMARE PER FORMARENELLA COMPLESSITÀ

CEFMECTP - Organismo Paritetico per la formazione e la sicurezza in edilizia di Roma e provincia

Sedi operativePomezia: Via Monte Cervino, 8 - Tel. 06.91962-1 (15 linee R.A.) - Fax 06.91962209Roma: Via Casilina, 767 - Tel 06.2414000 - Fax 06.24419879

Sede legaleRoma: Via Filippo Fiorentini, 7 - Tel. 06.4063824 - 06.4065541 - Fax 06.4064833

PresidenteAlessandro Minicucci

VicepresidenteMario Guerci

DirettoreAlfredo Simonetti

Staff di progetto

Direttore esecutivo di progettoAlfredo Simonetti

Responsabile scientifico/Coordinatore TecnicoCesare Fregola

AutoriCesare FregolaUmberto ZonaAlessandro BarelliFrancesca LazzariFerdinando TerranovaLuca LimardoAlessandro VaccarelliCristian MarrasGianfranco Zucca

Segreteria AmministrativaDonatella Benedetti, Elisabetta Di Fiordo, Sabrina Bartolomei

Segreteria TecnicaPaolo Bruni, Federico Fratini

3

Introduzionea cura di Alfredo Simonetti,

Direttore del CefmeCtp di Roma e provincia

Il CEFMECTP – Organismo paritetico per la formazione e la sicurezza in edilizia di Roma e provincia, nell’ambito dell’Avviso Pubblico per la «realizzazione della campagna straordinaria di formazione per la diffusione della cultura della salute e della sicurezza ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008» in attuazione dell’Accordo Stato-Regioni del 20 novembre 2008 – Determinazione del Direttore 5 maggio 2010, n. D1769, finanziato dalla Regione Lazio, Assessorato Sanità, con Determinazione n. B4520 del 9 giugno 2011 – ha dato luogo ad un corso di formazione rivolto ai formatori della sicurezza sui luoghi di lavoro. L’attività si inserisce nel panorama formativo dell’Ente che opera a livello statutario nel settore delle costruzioni, che da anni si prefigge come obiettivo quello di ampliare e sviluppare la cultura della sicurezza anche in altre realtà, quali ad esempio il mondo dell’Istruzione Professionale e dell’Università, del restauro, delle Forze dell’Ordine, degli Enti Pubblici e degli Ordini Professionali. Questa tendenza deriva dalla convinzione che solo attraverso una conoscenza a 360 gradi del concetto “sicurezza” si possa ottenere una piena collaborazione da parte di tutti gli attori, siano essi tecnici, operai, futuri datori di lavoro o solo fruitori della materia, al fine di incidere in modo “fattuale” e con una significativa ricaduta che possa influenzare il fenomeno degli infortuni sui luoghi di lavoro.In un momento storico in cui il livello di attenzione alle tematiche legate alla sicurezza risulta di grande importanza, proporre un’attività d’aula rivolta al proprio personale docente, tecnico e di supporto è stata una scelta concreta e precisa, dettata dall’idea di offrire prodotti, processi e luoghi di “formazione” ad alto valore aggiunto. Tale prodotto, se pur caratterizzato da molteplici fattori, non può infatti prescindere dalla competenza dei suoi interpreti, dalla capacità di trasmettere conoscenza in termini concreti, attraverso un reciproco scambio di informazioni tra partecipanti, seguito e guidato dalla mediazione del formatore. È proprio in quest’ottica che l’Ente ha voluto proporre un percorso della durata di 60 ore che ha coinvolto Docenti di comprovata esperienza e conoscenza nell’ambito dell’insegnamento delle tecniche di formazione degli adulti e della costruzione di una molteplicità di ambienti di apprendimento, in grado di cocostruire l’aggiornamento con i “Docenti Discenti” su temi come motivazione nell’apprendimento, capacità

4

di comunicare il sapere e attuali tecniche di simulazione e formazione multimediale.I partecipanti hanno potuto quindi cogliere molteplici stimoli di riflessione, attivando un percorso di arricchimento del proprio sapere, che oltre subire modifiche dal punto di vista tecnico, è spesso sottoposto ai cambiamenti dovuti al confronto con le diverse modalità di approcciarsi in aula; il fenomeno della trasmissione del sapere non può mai considerarsi completo, dovendosi confrontare con realtà non omogenee e in continua evoluzione. A tale proposito, è sufficiente vedere come negli ultimi anni, nel settore dell’edilizia, il fenomeno dei lavoratori di nazionalità straniera abbia avuto un incremento esponenziale, apportando notevoli cambiamenti agli operatori della formazione professionale; ad esempio l’insegnamento di concetti altamente tecnici ha visto la necessità di ampliare la propria capacità di comunicare con supporti che andassero oltre la pura trasmissione verbale, per ovviare alle carenze linguistiche dei fruitori. Inoltre, il massiccio intervento delle nuove tecnologie ha letteralmente stravolto il processo di trasmissione della conoscenza, fenomeno che non solo coinvolge le più giovani generazioni che, come detto in precedenza, sono sempre molto considerate dall’Ente, ma sta inondando anche le generazioni che attualmente ricoprono ruoli tecnici e operativi fondamentali nel settore edile.Per rendere ancor più completo il percorso di conoscenza e aggiornamento dei Docenti e per affrontare in modo ancor più dettagliato le tematiche descritte si è quindi proposto un percorso strutturato in 5 Focus dove i partecipanti potessero esercitarsi attraverso simulazioni pratiche; inoltre, questi Focus hanno voluto rappresentare un’opportunità di coinvolgere non solo coloro i quali hanno quotidianamente un rapporto con l’aula, ma anche tutti coloro i quali si ritrovano a vivere il mondo della formazione professionale dal punto di vista organizzativo e gestionale, dando così l’opportunità di avere una panoramica completa del proprio operato. Questo volume vuole quindi essere una sintesi di quello che si è svolto in aula, sia durante il corso di Formazione ai Formatori sia durante i Focus, prendendo spunto dalle slide utilizzate dai docenti e dalle esercitazioni svolte, fornendo un quadro di riferimento generale per tutti coloro che continueranno a mantenere alta la propria attenzione sui temi trattati. L’Ente si augura che il processo di crescita e continuo cambiamento sia uno stimolo costante nell’approccio alla trasmissione della cultura della sicurezza, rivolgendo a tutti i suoi operatori un caloroso augurio per quello che è e rimane uno dei “mestieri” più complessi: il mediatore del sapere, capace di proteggere e pianificare l’evoluzione, il “saper essere” e il “saper divenire” in relazione all’evoluzione dei contesti sociali, economici e culturali, nei quali siamo immersi.

5

formare per formare nella complessitàdi Cesare fregola

PremessaCi sono alcuni saperi del formatore che via via si sono strutturati e hanno assunto un corpus multidisciplinare (Quaglino 2005). All’interno dello sviluppo del sistema di competenze del formatore uno dei dibattiti più frequenti, che ha preso avvio fin dagli anni ’80 del secolo scor-so, riguarda la tematica dell’integrazione fra pratica e teoria, fra saper fare e sapere.Per ideare e realizzare il progetto di formazione formatori cui si riferisce il presente con-tributo, sullo sfondo si è posta proprio tale questione integrandola con i riferimenti ri-tenuti necessari per ricercare coerenze con l’evoluzione dei paradigmi organizzativi che, a loro volta, spiegano e orientano la definizione del Sistema di Formazione (Fregola, 2010) all’interno del quale operano proprio “quei” formatori che si rivolgono proprio a “quei” destinatari1.Quando in un gruppo di formatori esperti la formazione formatori che si svolge è de-finita teorica, spesso, dietro questo termine, si possono nascondere alcuni significati che appartengono ad alcuni non detti da cogliere e ricondurre a possibili riletture o interpretazioni. A riguardo nell’esperienza di formazione cui si fa riferimento, un pri-mo significato si riferisce al fatto che si è venuti meno a delle aspettative mal poste da parte del responsabile della rilevazione dei fabbisogni di apprendimento o non rese esplicite dai partecipanti o mal interpretate dal gestore dell’attività formativa. Un se-condo significato si riferisce al fatto che quando si è immersi nell’agire professionale il momento della riflessione, dello scambio e confronto su schemi e modelli della for-mazione va gestito opportunamente senza dare alla teoria un ruolo one-up rispetto alla pratica; questo modo di operare innesca punteggiature nella comunicazione2 per cui,

1 L’attività dell’Ente si rivolge principalmente al mondo della formazione delle maestranze edili, dei tecnici, a quello sulla sicurezza sui luoghi di lavoro nel settore edile, nell’ambito dell’Istru-zione Professionale e dell’Università, del restauro, delle Forze dell’Ordine, degli Enti Pubblici e degli Ordini Professionali. I docenti e i tecnici che collaborano con la struttura sono carat-terizzati da differenti estrazioni professionali: dal mondo del lavoro a quello Accademico.

2 Watzlawick, uno dei fondatori della Scuola di Palo Alto, che ha introdotto l’approccio siste-mico nella “pragmatica della comunicazione umana”, ha proposto il concetto di punteggiatu-

6

Formare per formare nella complessità

da parte di chi si ritiene “pratico”, si svaluta il contenuto teorico per evitare di entra-re in conflitto aperto dal punto di vista della relazione fra gli interlocutori coinvolti; come dire “è il contenuto che non funziona, non la nostra relazione”. Un terzo signi-ficato si riferisce al fatto che la pratica è legata all’esperienza ed è diffusa la convinzio-ne che “la pratica vale più della grammatica”. Proprio nei momenti di innovazione, in cui il confronto teorico e quello metodologico diventano necessari e possono entrare in gioco meccanismi atti a difendere l’immagine del proprio ruolo professionale e del proprio repertorio di competenze. Si ritorna così al caso precedente e si svaluta il con-tenuto, il sapere, per mantenere salva la relazione fra il docente formatore e i fruitori partecipi al processo di apprendimento. Un quarto significato si riferisce al fatto che i codici e il linguaggio utilizzati da chi eroga attività formative, specie di natura tec-nica, sono quelli specifici del sapere professionale e sono, spesso, utilizzati a prescin-dere dai prerequisiti dei destinatari. Cioè i destinatari della formazione che entrano in aula portano con sé il proprio repertorio di conoscenze e di competenze e i livelli di approfondimento necessari per accedere ai contenuti oggetto dell’attività formativa sono spesso eterogenei e questo può valere anche per la formazione sui contenuti re-

ra. A seconda di dove noi poniamo il riferimento per analizzare la responsabilità di un dato fenomeno, la comunicazione si modifica (per esempio: “più la moglie brontola, più il marito tace”; oppure “il capo vigila attentamente sui collaboratori, e i collaboratori non si sentono liberi di esprimersi proprio per questo”). In altri termini, la punteggiatura rappresenta l’espli-citazione di un processo implicito e inconsapevole che riconduce ciascuno a vedere le cose dal proprio punto di vista, senza volerlo confrontare con quello dell’altro. Se la comunicazione, si blocca, si “incaglia” su una punteggiatura è perché la relazione fra gli interlocutori diventa di-sfunzionale e allora può diventare utile ridefinire la relazione allo scopo di rielaborare la situa-zione conflittuale consapevole o inconsapevole che si è determinata. I nostri scambi comuni-cativi sono organizzati proprio come se seguissero una punteggiatura. Ciò permette, in linea di massima, di individuare ciò che si ritiene possa essere la “causa” di un comportamento e ciò che si reputa il relativo “effetto”. Un aspetto rilevante della punteggiatura è la percezione, il vissuto di ciascun soggetto rispetto alle situazioni che si sviluppano durante gli scambi comu-nicativi. La punteggiatura è un fenomeno che si determina, spesso in maniera inconsapevole; può dipendere da stereotipi, pregiudizi ed esperienze alle quali si attinge in modo automatico e possono diventare convinzioni su di sé, sull’altro, sulla situazione. La punteggiatura, intesa come punto di vista dei due soggetti che interagiscono pone il punto di vista di ciascuno al centro della valutazione dei fatti o della relazione con poche possibilità di sapersi porre anche dal punto di vista dell’altro. Quindi la soggettività gioca un ruolo di rilievo ma va precisato che è la mancanza di disponibilità a prendere in considerazione la soggettività dell’altro che genera la punteggiatura. Cfr. Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della co-municazione umana, Astrolabio, Roma, 1978 p. 34 sgg.

7

Formare per formare nella complessità

lativi alle Scienze dell’Educazione che hanno le proprie peculiarità, il proprio lessico, i propri paradigimi e riferimenti teorici e metodologici.L’esperienza formativa che si è sviluppata, insieme ai presupposti su indicati per ciò che attiene lo sfondo teorico, è stata condotta in una cornice di senso che ha orientato la for-mazione ponendo al centro dell’attenzione più che i saperi e il saper fare da “erogare”, la relazione di apprendimento.In particolare l’impegno progettuale si è focalizzato sulla contaminazione fra i saperi ne-cessari per generare un servizio formativo e le interconnessioni fra le attività professionali nelle quali si calano i contenuti all’interno delle culture organizzative di provenienza dei destinatari della formazione.È emersa così euristicamente nell’approccio alla progettazione e descrittivamente nel processo decisionale didattico, la ricerca dinamica di saperi capaci di generare connes-sioni e interdisciplinarità fra i saperi in gioco e, quindi, la ricerca di codici condivisi per comprendersi e favorire lo scambio di apprendimenti nell’eterogeneità dei “segmenti di destinatari dell’attività formativa” e nell’eterogeneità generazionale e interculturale. Le decisioni metodologiche di riferimento sono cresciute insieme a questo lavoro che può essere definito di ricerca-azione e di action learning e condotto con una metodologia contrattuale all’interno di una comunità di pratica che si ridefinisce integrando innova-zione e tradizione con la ricerca di nuclei teorici minimi da intendersi come attrezzatura del mestiere che orienta le decisioni didattiche e quelle organizzative. Quando dalle de-cisioni si è passati alla fase realizzativa, qualche volta si è rilevata carenza di orientamento teorico e allora si sono sviluppate esplorazioni bibliografiche e ricerche; altre volte l’ap-profondimento di un autore ha fatto da spunto per ridefinire il quadro di insieme che si completa mettendo insieme l’esperienza. Un discorso a parte va riferito alla formazione in e-learning che è stata progettata con una finalità di sensibilizzazione e informazione e, soprattutto, per sviluppare la consapevolezza delle potenzialità degli ambienti di appren-dimento virtuali e delle possibilità già sperimentabili3.

3 Cfr. a riguardo il contributo di Francesca Lazzari nel presente volume p. 71.

8

Formare per formare nella complessità

Capitolo 1Una prospettiva ecologica dello sviluppo dell’apprendimento nella complessitàL’organizzazione è caratterizzata da ruoli interni ed esterni e dai vari settori che ne con-notano la struttura a livello strategico, gestionale e operativo. A seconda di dove viene posto il focus osservativo, cambia ciò che è sistema organizzativo e ciò che è ambiente nel quale essa opera. In particolare ciò appare evidente ponendo l’atten-zione sui singoli settori dell’organizzazione stessa come la produzione, l’amministrazione, la distribuzione, la gestione, piuttosto che nell’organizzazione come insieme, vedendo le ri-chieste, le risorse e le aspettative che diventano input per l’organizzazione, che come siste-ma ha il compito di trasformare in output. È interessante osservare come un sistema, con l’ambiente in cui esso è inserito, può essere a sua volta un sistema che si inserisce in un altro ambiente e così via, producendo una concatenazione di attività e relazioni fra ruoli, oscil-lante in cui dentro e fuori si distinguono, si confondono, si scambiano. «Un ambiente eco-logico», scrive Bronfenbrenner (1979), a proposito dell’ecologia dello sviluppo umano4, «è concepito come un insieme di strutture incluse l’una nell’altra, simili a una serie di bambole russe. Al livello più interno vi è la situazione ambientale puntuale, che comprende l’indivi-duo in via di sviluppo»; in un secondo livello ci sono le relazioni fra le situazioni ambientali. Si tratta dei legami che influenzano direttamente le situazioni puntuali stesse. In un terzo livello ci sono eventi che influenzano lo sviluppo pur verificandosi in situazioni ambientali in cui «l’individuo stesso non è neppure presente»5. Infine, più all’esterno, il tutto si inseri-sce in una cultura, che determina lo schema per l’organizzazione di ogni situazione ambien-tale. Variazioni dello schema implicano modificazioni correlate nel comportamento e nello sviluppo e anche la cultura, che rappresenta una dimensione meno permeabile ai processi di cambiamento, ne viene influenzata.Un cambiamento di ruolo6 o un cambiamento nella situazione ambientale comporta-no una modifica della posizione dell’individuo e il proprio modo di identificarsi con il ruolo e con la cultura organizzativa. A ogni innovazione che influenza la relazione fra l’individuo e il ruolo che svolge, corrisponde una transizione ecologica, che sempre di più necessita della costituzione intenzionale di ambienti di apprendimento, appunto, che orientano e facilitano la gestione delle connessioni e delle coerenze fra sistemi di com-petenze professionali specifiche che vanno a strutturarsi con una finalità di generazione di sinergia.

4 Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 31.5 Cfr., Bronfenbrenner U., op. cit., p. 32.6 Nella definizione standard, per “ruolo” si intende un insieme di comportamenti e aspettative

associati a una determinata posizione sociale.

9

Formare per formare nella complessità

Parafrasando la definizione n° 7 dei concetti base che Bronfenbrenner (1979), pone come sfondo di riferimento per le proprie ipotesi di ricerca7, si può dire che lo sviluppo dell’impresa può essere considerato come un processo attraverso il quale i ruoli che ne fanno parte crescono e diventano capaci di impegnarsi in attività che li portano a scoprire le carat-teristiche di quell’ambiente, e ad accettarlo o ristrutturarlo, a livelli di complessità che sono analoghi o maggiori, sia nella forma che nel contenuto. Nel contesto nel quale operano i formatori del CEFMECTP, l’innovazione tecnologica apre a nuovi spazi e, di conseguenza, richiede innovativi permessi di esplorazione, men-tre la normativa interviene sulle regole del gioco e, quindi, sui relativi vincoli e gradi di libertà a partire dai quali si possono individuare comportamenti organizzativi e operativi coerenti con le proprie intenzioni di posizionamento strategico del ruolo di formatore in quanto al centro del processo di produzione dei servizi formativi.Le organizzazioni, oggi, sempre di più, decidono i loro piani partendo dalle proprie ca-ratteristiche reali e osservano i propri meccanismi operativi per valutarne l’adeguatezza rispetto alla qualità del servizio e, quindi, dal punto di vista di una migliore e continua soddisfazione dei bisogni dei loro destinatari. Si tratta dunque anche per il CEFMECTP, di integrare schemi di formazione coerenti con la complessità8. Come è noto la complessità è una caratteristica ma anche una possibile strut-tura e modo di essere, dei sistemi viventi e dei sistemi di sistemi viventi, esseri umani e sistemi sociali umani. Al riguardo la studiosa Donata Fabbri (1990 p. 37)9, scrive: «La complessità ci obbliga a diventare equilibristi. Ci pone nelle condizioni di apprendere a restare in bilico sul nostro stesso pensiero, a pensare tenendo i due estremi». Questo approccio ci pone nella ne-cessità di ricevere, accogliere, adottare, promuovere, assumere, ammettere, seguire, favorire, aderire, riconoscere molteplicità di saperi possibili e molteplicità di forme necessarie per ap-

7 Bronfenbrenner U., op. cit., p. 63. Definizione 7: «Lo sviluppo umano è il processo attraverso il quale l’individuo che cresce acquisisce una concezione dell’ambiente ecologico più estesa, differenziata e valida, e diventa motivato e capace di impegnarsi in attività che lo portano a scoprire le caratteristiche di quell’ambiente, e ad accettarlo o ristrutturarlo, a livelli di com-plessità che sono analoghi o maggiori, sia nella forma che nel contenuto».

8 “Complesso” deriva dal latino complexus, “abbracciato, compreso”. Complicato deriva dal latino complicatus, “piegato insieme”. Sono entrambi opposti a “semplice” la cui etimologia riporta a: “intrecciato una sola volta”. I significati di complesso e complicato sono differenti e non sem-pre riconducibili l’uno all’altro. In particolare, quando al termine sistema si applica l’aggettivo complesso non si intende “sciogliere le pieghe della complicazione”, chiarire la genesi della sua irriducibilità. (De Michelis G., 1987, p. 35).

9 Fabbri D., La memoria della regina. Pensiero, Complessità, Formazione. Guerini e Associati, Milano, 1990.

10

Formare per formare nella complessità

prenderli a partire da una molteplicità di processi intellettivi (Gardner, 1999)10 che entrano nel campo della comunicazione formativa all’interno del quale la complessità nella progetta-zione e nell’erogazione dei servizi formativi ha preso forma. È aumentata l’apparente astrusità, la macchinosità, la molteplicità, la multiformità, la va-rietà, dei processi formativi e le responsabilità di chi opera è riconoscibile solo laddove si sa chi si occupa di cosa e se comunicazione interna si svolge secondo tempi, ritmi scanditi da processi organizzativi modulati e mediante tecniche, tecnologie e metodiche specifiche.Laddove tutto questo è in divenire e ha già subito delle trasformazioni, sta cambiando il senso della dei servizi formativi erogati. Le tecnologie, la normativa e il mercato mutano con una velocità che è poco compatibile con i tempi di sedimentazione e assimilazione necessari alle organizzazioni per continuare la produzione e a mutare i tempi, i modi e i processi della produzione stessa; il pensiero corre veloce, genera aspettative11, ma i tempi di diffusione dell’innovazione non sono sincronizzati a un unico orologio. E allora, oltre a una formazione di prodotto è l’interazione fra i destinatari di un servizio formativo e chi lo produce che va a determinare l’esigenza della rilevazione continua dei fabbisogni di apprendimento. La rilevazione avviene con criteri, modalità e tempi diversi, difformi, discordanti, distin-ti, ineguali, eterogenei, a volte distanti, vari, disparati; a volte la produzione coincide con il momento dell’erogazione, è simultaneo. All’interno del luogo della formazione i saperi professionali, emotivi e relazionali si contaminano o si nutrono dei semi dell’innovazio-ne che può diventare o feconda o infruttuosa. Su questo presupposto si fonda la necessi-tà di dare intenzionalità all’ecologia della relazione di apprendimento perché è diventato

10 Gardner H., Sapere per comprendere, Discipline di studio e disciplina della mente, Feltrinelli, Milano, 1999.

11 «… Lo studio delle percezioni umane mostra quanto il nostro sistema percettivo sia potente-mente condizionato da questo principio fondamentale. Le soglie percettive, ossia la quantità di tempo e di stimoli necessari a vedere e a riconoscere un oggetto o un evento, sono stret-tamente dipendenti dalle nostre aspettative. Quanto più un evento è atteso, tanto più ci rie-sce facile coglierlo. C’è un limite alla quantità di dati che il sistema percettivo umano può cogliere; la sua capacità di canalizzazione è stata calcolata in 7±2 aperture, il numero magico Da sette aperture puoi ricavare un buon numero di informazioni attese, ma molte meno di formazioni inattese. Quanto più l’informazione è inattesa, tanto più tempo richiede la sua comprensione. Tutto ciò è alquanto banale, ma presenta implicazioni che non lo sono affatto. Significa, infatti, che, entro certi limiti impossibili da definire, la percezione è uno strumento del mondo così com’è stato strutturato dalle nostre attese. Inoltre, i processi percettivi com-plessi sono caratterizzati dalla tendenza ad assimilare, se possibile, ciò che si vede o si sente a ciò che ci si aspetta» (Bruner J.,1997, p. 59).

11

Formare per formare nella complessità

necessario stabilire cosa è dentro e cosa è fuori, rispetto alla diade12, alla situazione/obiet-tivo nella quale è inserita la diade, alla situazione/finalità nella quale si colloca la situazio-ne/obiettivo, al contesto nel quale è inquadrata la situazione/finalità.Si tratta di tendere nei processi formativi una prospettiva ecologica dello sviluppo pro-fessionale e organizzativo. La complessità determina ed è determinata, in/da un contesto dinamico, evolutivo in modo poco prevedibile, sottoposto a continue mutazioni e a improvvisi cambi di velocità; poco se-quenziale e che segue una logica che è stata formalizzata negli anni ’90. Si tratta di una logica che introduce più livelli di qualità e che determina, fissa i limiti, circoscrive, delimita, regola, misura, stabilisce, definisce, indica, precisa, specifica, stima, quantifica, quantizza, reca, crea, induce, costringe; dispone a osservazioni prive di «un punto archimedeo, al di sopra e al di fuori della realtà studiata, per cui lo scienziato può osservarla neutralmente senza contami-narsi e contaminarla, restando egli al centro dell’universo e sulla cima della ragione» (De Masi, 1987, p. 7)13. «Il soggetto della complessità è l’osservatore: soggetto ma nello stesso tempo anche oggetto della conoscenza» (Fabbri, 1987). È immerso in un universo sociale ed econo-mico privo della certezza e in cui le aspettative di regolarità sono spesso “magiche” e in cui il tutto e la parte possono coincidere.«Queste definizioni si adattano a una metodologia che tenta di modellare quel modo di ragionare tipicamente umano che porta a prendere decisioni ragionevoli anche in situa-zioni reali in cui esistono buone dosi di incertezza e di imprecisione» (Fossati, 1997).

1.1. Le organizzazioni sono reti di ruoli interconnessi14

Alcune componenti dei servizi formativi possono essere a portata di mano, ma per al-tre occorre apprendere nuove forme di navigazione nei processi di comunicazione so-ciale all’interno della rete di ruoli che caratterizza le organizzazioni. La ricostruzione dei processi di generazione dei servizi formativi prende avvio, spesso, da aspettative di efficienza ed efficacia organizzativa ma va anche riferita a criteri di economia psicolo-gica oltre che sociale. Forse si può iniziare a rendere esplicite le aspettative di senso e di ridefinizione metodologica dei servizi formativi del CEFMECTP allo scopo di gestire la

12 Il termine diade è utilizzato nell’accezione di Bronfenbrenner (op. cit., p. 33): «Se s’inizia al livello più interno dello schema ecologico, una delle unità di base per l’analisi è la diade, o il sistema composto da due individui».

13 De Masi D., Complessità ontologica e complessità epistemologica, in atti dell’8° Convegno Na-zionale A.I.F., Comunicazione, organizzazione e nuove complessità, Quaderni di formazione n° 61, Industrie Pirelli, Milano, 1987, pp. 7-24.

14 Per questo paragrafo ho rielaborato e aggiornato alcuni temi che ho trattato nel mio libro: Riunioni Efficaci a Scuola. Ridefinire i luoghi della comunicazione scolastica, Erickson, Trento, 2003.

12

Formare per formare nella complessità

complessità e nello stesso tempo traghettare verso il futuro il portato di valori, di com-petenze ed esperienze. Una forma interpretativa delle componenti intangibili dei servizi formativi può essere ricondotta alla capacità di interconnessione, di interdipendenza mediante intelligenza collettiva (Lévy,1996), cioè un insieme di strategie che favoriscono il funzionamento di una rete di ruoli e sono in grado di dare senso, oltre che valore, ai saperi dell’esperien-za, dell’innovazione e dell’integrazione, mobilitando repertori di competenze e ridistri-buendole in tempo reale, in modo tale da facilitare la loro riconoscibilità.È emersa all’intero dell’attività formativa svolta l’esigenza di dare intenzionalità a una prospet-tiva motivazionale15 che possa consentire la rivisitazione dell’autoefficacia16 dei formatori parte-cipanti, rileggendo i processi formativi dall’ideazione al rilascio e alla valutazione, all’interno del paradigma della complessità (vedi Fig. 8 - Le macrofasi del Sistema Formativo, pag. 55).L’autoefficacia può trovare espressione nelle capacità realizzative che interconnettono tradizione e innovazione con i loro portati esperienziali ed evolutivi. Le modalità della partecipazione al pro-prio apprendimento dipendono dalla competenza di governare e mettere in atto intenzionalmen-te, secondo un fine, strategie, metodologie, strumenti, competenze e atteggiamenti che stanno nella rete dei processi interni, intrapsichici e di interazione funzionale alla generazione di sapere.L’autoefficacia può trovare espressione nelle capacità realizzative che interconnettono tradizione e innovazione con i loro portati esperienziali ed evolutivi. Le modalità del-la partecipazione al proprio apprendimento dipendono dalla competenza di governare e mettere in atto intenzionalmente, secondo un fine, strategie, metodologie, strumenti, competenze e atteggiamenti che stanno nella rete dei processi interni, intrapsichici e di interazione funzionale alla generazione di sapere.C’è da sottolineare che laddove il sapere è già negli schemi strategici, va inserito o inte-grato negli atti realizzativi e se gli atti realizzativi richiedono saperi non disponibili, può essere determinante individuare un campo per la cooperazione, nel quale possano esse-re generati, rielaborati, inseriti e integrati. Questo implica la necessità di interagire con

15 Ci si riferisce, in questo caso, al modello di Maslow, che come è noto, vede la motivazione collegata ai bisogni, visti in chiave evolutiva nell’interazione con il contesto sociale. Dopo il soddisfacimento dei bisogni primari, quelli fisiologici e di nutrizione, si presenta il bisogno di sicurezza, correlato al lavoro, all’avere un tetto. Quindi c’è il bisogno di appartenenza, cioè quello, di riconoscersi in un gruppo, di identificarsi in un ruolo. Poi il bisogno di status, cioè il bisogno di essere riconosciuti dagli altri. Infine, il bisogno di autorealizzazione, espressione dell’integrazione fra mondo interno e possibilità di esprimere il mondo interno stesso nei contesti nei quali si svolge la propria esperienza (Maslow A., Motivazione e personalità, Armando, Roma, 1973).

16 Autoefficacia è intesa come l’abilità di integrare tre dimensioni generative del sapere: le com-petenze cognitive, le competenze emotive e le competenze socio-relazionali.

13

Formare per formare nella complessità

processi dinamici che si basano, soprattutto, sulla capacità di: scomporre e ricomporre il sapere in funzione degli scopi in gioco, degli obiettivi, delle risorse, della situazione.Su questo presupposto si tratta quindi di individuare i depositari specifici, interni o esterni, di quei saperi per porli in interconnessione funzionale; se gli atti realizzativi ri-chiedono saperi inesistenti, oltre che ricondurre al noto si può attingere alla creatività e alla ricerca come risorse di frontiera fra le istanze interpersonali, che possono sollecitare l’ambiente per contribuire alla ridefinizione dei saperi nelle varie situazioni, con rinno-vata competenza.Gli individui sono immersi in un contesto di relazioni. Il contesto e il successo nel com-pito danno informazioni sulle possibilità di esercitare un controllo sugli eventi e quando alla previsione di risultato (gli obiettivi) e alla stima di applicazione di risorse personali, di ruolo e organizzative si correlano i risultati, si può riorientare il processo realizzativo per avvicinare i risultati agli obiettivi.Questo intervento può rivolgersi a variabili esterne o a variabili “interne”. La capacità di monitoraggio dell’ambiente del compito e dell’autoconsapevolezza delle proprie risorse cognitive, emotive, socio-relazionali e biologiche intervenute consente un controllo che pone nelle condizioni di confermare le decisioni prese o ridefinirle, indi-rizzando meglio verso la meta, verso l’impegno. «Il senso di autoefficacia corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di or-ganizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie a produrre determinati risultati» (Bandura, 1997, p. 23 e sgg.)17.Bandura (1997, op. cit.) introduce il termine agentività personale, la cui caratteristica principale è la facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi e consiste nella capa-cità di governare una struttura causale interdipendente fra:

i fattori personali interni;•il comportamento;•gli eventi ambientali.•

I processi di autoregolazione funzionanti producono effetti sulla motivazione avviando un circolo virtuoso che pone nella condizione di migliorare la propria capacità di autore-golazione; contemporaneamente il soggetto costruisce i propri piani di azione attraverso le procedure di autoregolazione. La competenza di stima emerge a scapito del sistema di convinzioni, di pregiudizio. L’agentività personale opera all’interno di influenze secondo vincoli e gradi di libertà de-terminati dai ruoli.

17 Bandura A., Autoefficacia, Teorie e Applicazioni, Erickson, Trento, 1997.

14

Formare per formare nella complessità

1.1.1. Dal prodotto al servizio formativoIl prodotto interno lordo, uno degli indicatori dell’economia, è determinato sempre di più dalla produzione di servizi in quanto le conquiste scientifiche e le innovazioni (in particolare quelle tecnologiche) stanno mettendo in connessione mondi separati determinando un diffe-rente ordine nei cicli della produzione con una conseguente necessità forte di adeguare la mac-china organizzativa dal punto di vista strutturale, funzionale e della gestione delle persone.Queste trasformazioni introducono una ridefinizione delle regole della produzione, del-le modalità di comunicazione interne all’impresa e di quelle con il mondo esterno: i clienti, il mercato, l’ambiente.All’interno delle organizzazioni l’impatto più immediato del passaggio dall’orientamen-to ai prodotti all’orientamento al servizio si sviluppa a partire dalla ridefinizione dei ruo-li, che richiedono la revisione delle conoscenze tecniche, relazionali, organizzative, delle capacità e degli atteggiamenti, dei valori delle persone che li ricoprono.Conoscenze, capacità, atteggiamenti, valori, insieme alle aspettative, costituiscono il concetto di ruolo. «Nella misura in cui la scelta dei concetti può contribuire a una sin-tesi così complessa, il concetto di ruolo è quanto mai promettente. Costituisce contem-poraneamente la prima pietra dei sistemi sociali e la somma delle richieste con cui il si-stema mette a confronto l’individuo» (Katz e Kahn, 1988, p. 1). Le organizzazioni sempre di più vengono viste come rete di ruoli, più che come insieme di posizioni organizzative. Il modo di essere delle strutture organizzative si può ricondurre a schemi piramidali, nei quali, al di là del numero dei livelli gerarchici, sono facilmente in-dividuabili e riconoscibili le attività svolte da ciascuno all’interno della posizione di lavoro che occupa; le connessioni fra i reparti, o i settori dell’organizzazione sono, altresì, indivi-duabili e riconoscibili, quindi, prevedibili e si possono gestire e governare con una logica sequenziale che favorisce il processo decisionale per fasce di responsabilità.In altri termini ciascuno sa cosa deve fare, quali responsabilità gli competono e i destinatari interni ed esterni, dell’attività di ciascuno, sanno cosa aspettarsi e cosa non aspettarsi.Queste considerazioni sono strutturali, perché quando l’organizzazione si analizza dal punto di vista funzionale, entrano in gioco le performance, le prestazioni dei singoli e di conseguenza la qualità della produzione si può ricondurre all’interazione efficace fra l’interpretazione del ruolo operata da chi lo ricopre e le altre variabili strutturali dell’or-ganizzazione vista come sistema.Nei principali modelli di riferimento18 queste variabili sono riconducibili principalmente a:

processi organizzativi•tecnologie•

18 Si veda in bibliografia: Bonazzi G., 1995; Scott R.W., 1985.

15

Formare per formare nella complessità

meccanismi operativi•sistema dei vincoli normativi•valori e missione dell’impresa•risorse disponibili o reperibili. •

Dalla combinazione finalizzata a uno scopo e contestuale di queste variabili scaturiscono le strategie di conduzione, gestione e governo dell’impresa per far sì che lo scambio con un ambiente esterno dinamico-evolutivo mantenga l’impresa in posizione competitiva sia nel caso in cui è in gioco la sua sopravvivenza, per adattarsi a un ambiente mutato, sia quando essa sta operando piani di crescita per utilizzare le nuove configurazioni dello stesso am-biente mutato e di consolidamento o sviluppo del proprio mercato di riferimento. Prima di prendere in considerazione il concetto di servizio si propone una definizione classica di organizzazione, che rispecchia i canoni più vicini alle aspettative più diffuse nel mondo del lavoro e che fa parte degli apprendimenti di base:

L’organizzazione È quel luogoAll’interno del quale

Ciascuno fa qualcosa

Che l’altro non deve fare

Figura 1. «L’organizzazione è quel luogo dove ciascuno fa una cosa che un altro non deve fare»19.

19 Bellamio D., conversazione personale, Milano, 1991, riportato in C. Fregola, 2003.

16

Formare per formare nella complessità

L’organizzazione È quel luogoAll’interno del quale

Ciascuno fa qualcosa

Che l’altro non deve fare

Chi gestisce le politiche

Chi dirige

Chi controlla e decide

Chi controlla che le cose si facciano

Chi fa le cose

Figura 2. In ordinata si possono attribuire le macrofunzioni.

L’organizzazione È quel luogoAll’interno del quale

Ciascuno fa qualcosa

Che l’altro non deve fare

Chi gestisce le politiche

Chi dirige

Chi controlla e decide

Chi controlla che le cose si facciano

Chi fa le cose

Figura 3. Si possono tracciare due linee oblique che indicano che man mano che si va in alto, si ridu-

ce il numero di risorse umane e aumentano le responsabilità attribuite a quei ruoli.

17

Formare per formare nella complessità

È nata così la piramide organizzativa.Ogni casella rappresenta un reparto o una singola posizione di lavoro. Fino a non molti anni fa, i compiti, le attività, i poteri descritti nel “mansionario” corri-spondevano con buona approssimazione alla realtà operativa.Era definito chi fa che cosa, come lo deve fare, con quali strumenti, tempi, metodi e ri-sorse (economiche, materiali, organizzative e umane) e i livelli contrattuali di remunera-zione discendevano di conseguenza sulla base delle politiche retributive che classificava-no le posizioni di lavoro secondo pesi predeterminati.Da ciò derivavano le politiche gestionali e i meccanismi operativi che regolamentavano i pro-cessi produttivi. L’aspettativa di chi entrava nel mondo del lavoro era coerente con la configu-razione delle organizzazioni e il repertorio di competenze all’ingresso era sufficiente per acquisire il know-how specifico dell’organizzazione in tempi più o meno lunghi e comunque questo repertorio restava stabile nel tempo, viste le irrilevanti variazioni dell’ambiente esterno e, al-meno per buona parte dell’Occidente, all’interno di cicli economici favorevoli.Nell’organizzazione sono depositate le procedure, i protocolli comportamentali.Questa rappresentazione, pur continuando a caratterizzare le organizzazioni, si è trasfor-mata nel tempo e non rispecchia più, per molte imprese pubbliche e private, il modello reale che si è di fatto configurato. Cosa è accaduto, cosa sta accadendo con l’innovazione normativa, di mercato e tecnologica, che interessa il nostro momento sociale in senso economico, politico-istituzionale, culturale?

La normativa• ha introdotto e introduce nuovi vincoli e di conseguenza nuovi gradi di libertà; la tecnologia, oltre ad agire sui compiti e sulle procedure della produzione, ha introdotto sistemi informativi strutturali che hanno svolto e ancora stanno svol-gendo, visto che l’innovazione continua a svilupparsi, un ruolo determinante nelle regole della gestione delle informazioni interne ed esterne all’organizzazione. Il mercato• sempre di più si orienta a una comunicazione diretta con il cliente al fine di gestire i luoghi di incontro della domanda e dell’offerta come ambienti di sviluppo del servizio, quindi, come risposta sistematica ai bisogni del cliente e alla determinazione delle regole che consentiranno di gestire la relazione fra organizzazione e cliente nel tempo, in funzione del ciclo di vita del prodotto/servizio e dell’evoluzione dei bisogni del cliente.La tecnologia• , oltre a sostituire alcune posizioni di lavoro, ha rivoluzionato i proces-si di raccolta, selezione, scambio ed elaborazione delle informazioni interconnet-tendo spazi e tempi di produzione che appartengono a imprese dislocate nel globo, rendendo disponibili in uno stesso istante dati di ambiti produttivi più disparati (De Kerckhove, 1993); all’interno dell’organizzazione la disponibilità delle infor-mazioni, con la posta elettronica, travalica i livelli gerarchici e i luoghi dove l’infor-mazione è stata depositata e correlata ai livelli di responsabilità e introduce la ne-cessità di diffondere competenze che si possono definire:

18

Formare per formare nella complessità

di primo livello - relativamente all’uso della tecnologia stessa in quanto insie-me di procedure necessarie a utilizzarla con profitto di secondo livello - relativamente alle possibili trasformazioni dei propri por-tati professionali che possono trovare maggiore efficienza elaborativa e apri-re a possibilità impensabili rispetto al movimento della materia invece che dell’informazione.

Tutto questo ha impatto diretto e riconoscibile nei modelli organizzativi.Si passa dalle caselle intese come posizioni di lavoro a luoghi dell’organizzazione (Meyrowitz J., 1995) meno definitivi nei quali i lavoratori delle posizioni di lavoro tra-dizionali si incontrano costituendo forme di organizzazione che possono avere la durata di un progetto o lentamente costituirsi in un alveo che ristruttura i ruoli, le funzioni, le responsabilità e i modi della comunicazione interna ed esterna nella prospettiva di rico-struire la filiera relazionale. Nel primo caso il conflitto con la forma originaria dell’or-ganizzazione resta latente per risolversi via via senza interventi gestionali specifici; nel secondo caso il conflitto fra i ruoli oltre che fra competenze, se non è ben gestito, può portare a quelle forme di resistenza al cambiamento che ostacolano l’innovazione e pos-sono compromettere le relazioni fra gli individui e il livello di efficacia nell’interpretare il proprio ruolo. Non è un caso che le principali imprese, per guardarsi dentro, si rivol-gano ad altre imprese che, all’interno di modelli organizzativi che le guidano, partono comunque dall’osservazione e dalla ridefinizione delle posizioni di lavoro e dei processi produttivi. Le posizioni di lavoro vengono osservate come se si trattasse di microsistemi rilevando cosa entra, cosa esce, cosa si trasforma e ricostruendo i flussi di tutte le intera-zioni interne ed esterne che la caratterizzano.Da qui, sulla base della conferma del posizionamento strategico o di un eventuale ripo-sizionamento, si ridisegna l’organizzazione. Non solo: la produzione di servizi mette in connessione altre realtà organizzative che possono essere distanti e distinte.La produzione di servizi apre allo scambio fra imprese e la comunicazione può svolgersi direttamente tramite i sistemi informativi, cioè mediante le tecnologie, oppure median-te lo scambio di settori dell’organizzazione che si dedicano quasi esclusivamente oppure solo in parte a un’altra impresa20.

20 Si tratta di una delle caratterizzazioni della new economy, che oltre a essersi sviluppata con la rete Internet, si è ampliata anche in relazione alle interconnessioni commerciali e produttive possibili grazie al trasferimento di informazione più che di materia (Rifkin J., 2000).

19

Formare per formare nella complessità

1980÷1990

1990÷2000

1985÷1995

Figura 4. L’evoluzione delle configurazioni organizzative.

In sintesi, il concetto di posizione di lavoro diventa dinamico e acquista un significato più pregnante il concetto di ruolo21.Nella tabella seguente sono riportate le principali differenze fra i due concetti: mansione e ruolo22; si tratta di una classificazione che ha finalità didattiche, pertanto non è sem-pre netta la distinzione fra le due rappresentazioni. Il valore di questo confronto si può vedere quando si vuole leggere la differenza di aspettative che vengono generate e di at-teggiamenti necessari a entrare nel mondo del lavoro nelle organizzazioni attuali o man-tenere il proprio status professionale per chi opera da tempo.

21 Una possibile definizione di ruolo è la seguente: «È un insieme di capacità, conoscenze e atteggia-menti che si articolano e si mettono in opera per rispondere alle aspettative di chi ne è portatore e della rete di rapporti sociali che si sviluppano nella rete dei ruoli che interagiscono direttamente o indirettamente per la generazione di servizio». Cfr. Katz & Kahn, 1988; Castelfranchi, 1998; Bronfenbrenner, 1979.

22 Questo schema è stato elaborato in occasione del corso di formazione su “Sviluppo delle ri-sorse umane” che abbiamo svolto insieme a Carlo Penati, di Koinos, Milano, in Banca Fideu-ram, nel 1993, con il collega Angelo Del Fiacco.

Le forme organizzative

20

Formare per formare nella complessità

La seguente tabella consente il confronto fra il concetto di mansione e quello di ruolo23 e discende dalle considerazioni del presente paragrafo, nel quale si è visto come da una organizzazione lineare, si è passati a configurazioni organizzative con connessioni sem-pre più articolate.

Mansione Ruolo

prescinde dalla persona focalizza l’interazione tra organizzazione e persona

È definita interamente dall’organizzazione Lascia spazio all’interpretazione della persona

Definisce compiti/attività specifiche Definisce contributi attesi ad un processo

È fortemente prescrittiva È fondato su margini di discrezionalità relativi

È statica: viene modificata una tantum in seguito a rilevamenti specifici

È dinamico: si modifica in itinere per mutuo adattamento tra le spinte delle innovazioni e le interpretazioni della persona

fissa confini netti tra le posizioni di lavoro Consente margini di sovrapposizione

enfatizza le conoscenze enfatizza le competenze e le capacità relazionali

Figura 5. La differenza fra mansione e ruolo.

Questa mutazione di orientamento necessita della capacità di far interagire la competenza di svolgere i compiti previsti dalla posizione di lavoro del formatore, con la competenza di ge-stire i processi che si sviluppano dinamicamente e in modo poco prevedibile dall’assunzione di un ruolo professionale, in particolare per chi si occupa di formazione da esterno all’orga-nizzazione ma con un legame contrattuale specifico che richiede una mutazione di visione in quanto il sapere dell’organizzazione e del mercato di riferimento si ridefiniscono24.

23 Il Ruolo non sostituisce la Mansione e non si contrappone a essa; ridefinisce la prospettiva di gestio-ne del rapporto fra individuo e organizzazione. L’orientamento alla posizione di lavoro è determinato da un approccio più statico, conservativo, che utilizza la routine e le procedure standardizzate, nella gestione delle attività prevalenti; l’orientamento al ruolo è determinato da un approccio più dinami-co derivato dalla gestione delle varianze introdotte con le innovazioni che procedono per continuità o per salti. Il valore dell’esperienza si confronta con il valore della capacità di apprendere.

24 Il corso di formazione si è sviluppato all’interno di un processo di innovazione organizzativa a partire dal quale il disegno dell’organizzazione è stato ridefinito secondo queste logiche in modo

21

Formare per formare nella complessità

Questo è l’aspetto chiave dell’attuale momento storico del CEFMECTP. Oltre le ridefinizioni gestionali e di orientamento al servizio formalmente già definite, l’attività formativa ha preparato il terreno per il passaggio dalla formazione di prodot-to formativo alla formazione di servizi formativi. Sono rimaste aperte alcune questioni, come quali sono gli impatti di questi cambiamenti:

nei processi organizzativi;•nelle tecnologie;•nei meccanismi operativi;•nel sistema dei vincoli normativi;•nei valori e nella missione dell’impresa;•nel sistema delle competenze non tecniche dei formatori• con riferimento parti-colare nella generazione di servizi formativi25.

1.1.2. Il concetto di servizioInteressante è osservare come il lessico specifico dell’economia dei servizi si sia diffuso e come il valore sociale e culturale dell’impresa siano diventati parametri per la valutazio-ne della qualità del servizio (Lovelock, 1994)26.Un computer, che è palesemente un prodotto tangibile, può essere proposto e offerto insieme a componenti di servizio: il trasporto, l’installazione e l’assistenza telefonica suc-cessiva alla vendita; l’informazione o la formazione sui principali argomenti o procedure o accortezze, che si possono indicare già nella fase di acquisto tenendo conto delle prin-cipali richieste che sono state fatte da altri clienti e che sono state registrate nelle fasi di assistenza. Il computer, dunque, rappresenta un prodotto fisico, ma il modo di gestire il cliente – secondo un progetto costituito da scambi che rendono questi sempre più au-tonomo e lo seguono nelle fasi evolutive della sua competenza e decisione di utilizzo del bene materiale – è un servizio. Alcuni servizi, come quelli amministrativi e quelli organizzativi di un’impresa sono meno tangibili.

implicito. Uno dei presupposti della costruzione degli ambienti di formazione per i formatori del CEFMECTP è stato quello di definire una metodologia di formazione al ruolo che pren-desse le mosse dal livello di percezione diffusa sul concetto di posizione di lavoro e di ruolo e soprattutto, nell’orientamento al servizio di formazione e alla formazione come servizio.

25 Queste sei variabili, come è noto, costituiscono uno dei modelli di gestione dell’impresa come sistema. Gli scambi con l’ambiente dipendono dalle interdipendenze che si costituiscono strut-turalmente o funzionalmente fra le componenti. Crf. Di Stefano, 1987; Mintzberg, 1985.

26 Lovelock C., Product Plus, McGraw-Hill, Milano, 1994.

22

Formare per formare nella complessità

Ci si accorge della loro presenza solo quando si è di fronte a una criticità.Sono quasi elementi intangibili, nascosti. Fra l’altro richiedono incombenze e come tali introducono comportamenti che si farebbe a meno di assumere.Allora, chi propone al cliente, nel pacchetto del servizio, anche la soluzione di queste in-combenze facendosene carico ha maggiori probabilità di creare un vantaggio competiti-vo per la propria impresa.Nel linguaggio di ogni giorno, in contesti comunicativi variegati, il termine “servizio” occorre con una frequenza crescente.Servizio è un termine polisemico che presenta uno spettro di significati ampio sia dal punto di vista denotativo che connotativo e si sta sviluppando a partire dalle contami-nazioni in atto fra i settori produttivi e i vari contesti sociali. Molte delle conoscenze fanno parte del repertorio di base, di quello professionale e di quello esperienziale, dei singoli e si sono stabilizzate e rese essenziali nel contesto orga-nizzativo di appartenenza. L’innovazione porta con sé saperi: quelli che l’hanno generata e quelli che sono necessari perché l’innovazione esca dal mondo del prototipo per essere diffusa nella realtà organizzativa.Servizio è uno dei termini che è entrato nel mondo della formazione come contenuto da trattare e come termine con cui contaminarsi27. Servizio può essere definito come insieme di attività, benefici o soddisfazioni offerti in vendita o forniti in connessione con la vendita di prodotti.I servizi rappresentano qualcosa di intangibile che produce direttamente soddisfazione (trasporti, alloggi) o qualcosa di intangibile che offre soddisfazione quando viene acqui-stato insieme a prodotti o ad altri servizi (credito, consegna).Servizi offerti e venduti: una transazione di mercato da parte di un’impresa o di un im-prenditore nella quale l’oggetto della transazione è diverso da un trasferimento di pro-prietà (o titolo) di un prodotto tangibile.Per il consumatore, i servizi sono qualsiasi attività che venga offerta in vendita e che for-nisca benefici o soddisfazioni di un certo valore; attività che egli non può svolgere o che decide di non svolgere da solo.Un servizio è un’attività offerta in vendita che produce benefici e soddisfazione senza im-plicare un cambiamento fisico sotto forma di prodotto.I servizi sono attività intangibili identificabili separatamente che producono soddisfa-zione quando vengono venduti ai consumatori e/o agli utenti industriali e che non sono necessariamente legati alla vendita di un prodotto o di un altro servizio.Un servizio è un’attività o una serie di attività che si verifica nell’interazione con una per-sona intermediaria o con una macchina fisica e che fornisce soddisfazione al cliente.

27 Cfr. Fregola C., 2012, 2011.

23

Formare per formare nella complessità

È un servizio qualsiasi beneficio intangibile che viene pagato direttamente o indirettamen-te e che spesso comprende una componente fisica o tecnica, grande o piccola che sia.Un servizio è qualsiasi attività o vantaggio che una parte può scambiare con un’altra, la cui natura sia essenzialmente intangibile e non implichi la proprietà di alcunché. La sua produzione può essere legata o meno a un prodotto fisico.Un servizio è il soddisfacimento delle aspettative del cliente nel corso dell’attività della vendita e della postvendita mediante la fornitura di una serie di funzioni paragonabili a quelle della concorrenza o superiori tali che producano un profitto per il fornitore.Un servizio è qualcosa che si può acquistare e vendere ma che non può cascarvi su un piede.È interessante osservare che nella loro differenziazione, le definizioni racchiudono tutte indicazioni prudenti, che si riconducono a concetti quali:

intangibilità;•connessione fra un cliente-fruitore e un fornitore-erogatore;•risposta a un bisogno, esigenza, aspettativa.•

Se pur restrittive, queste definizioni sono le più ricorrenti a partire dagli anni Sessan-ta, anni in cui si è avviata la terziarizzazione dell’economia e si è via via complessificato l’ambiente socio-economico.Infine, si propone la definizione di Grönroos: Un servizio è un’attività o una serie di attività di natura più o meno intangibile che nor-malmente, ma non necessariamente, ha luogo nell’interazione tra cliente e impiegato e/o risorse fisiche o prodotti e/o sistemi del fornitore del servizio, che viene fornita come so-luzione ai problemi del cliente.Una possibile definizione per i servizi formativi è la seguente:Un servizio formativo è un’attività o una serie di attività di natura più o meno intangibile che normalmente, ma non necessariamente, ha luogo nell’interazione tra un soggetto in ap-prendimento portatore di un ruolo organizzativo, con la trama dei saperi di base, dell’espe-rienza, dell’innovazione e del contesto e con la mediazione di un processo di insegnamento-apprendimento che si sviluppa nel sistema organizzativo allo scopo di favorire lo sviluppo e il consolidamento delle competenze professionali funzionali alla gestione ecologica dello svilup-po dell’individuo e dell’organizzazione.

1.1.2.1. I destinatari dei servizi formativiL’erogazione del servizio formativo si produce mediante risorse organizzative, sociali, culturali, psicologiche ed economiche.Nella maggior parte dei casi un servizio non implica alcun tipo di interazione con il fornitore. Ci sono situazioni nelle quali non sembrano esserci interazioni dirette, ma interazioni ci sono.

24

Formare per formare nella complessità

Spesso i capi sono seduti accanto ai propri collaboratori su sedie invisibili, pronti a intervenire in modo tangibile, per partecipare, criticare, esercitando un ruolo complementare a quello del formatore, essendo portatori di un progetto consapevole per lo sviluppo dell’organizzazione.Queste interazioni invisibili, con attori da retroscena, possono influire in modo tangibile sulle interazioni che avvengono all’inizio, durante o alla fine del processo del servizio. Di conseguenza, nei servizi le interazioni sono di solito presenti e sono di fondamentale importanza anche se le parti in causa non ne sono sempre consapevoli28. Inoltre, i servizi non sono cose, ma sono processi o attività, e queste attività sono di na-tura molto intangibile.

1.1.2.2. Caratteristiche dei serviziNella maggior parte dei servizi si possono individuare quattro caratteristiche fondamen-tali (Grönroos C., 1994):

i servizi sono 1. attività o serie di attività, di processi e non cose; i servizi, almeno in una certa misura, la produzione e il consumo avvengono si-2. multaneamente;il cliente, almeno in una certa misura, partecipa al processo di produzione;3. nella percezione del servizio la soggettività gioca una ruolo rilevante. 4.

La natura intangibile del servizio comporta la necessità di utilizzare espressioni astratte per comunicare la sostanza di un servizio. Esperienza, fiducia, chiarezza e sicurezza ne sono un esempio. E proprio questi termini comportano un ampio intervallo di attribu-zioni personali di significati.Ciò che è chiaro a un destinatario del servizio non è detto che lo sia per un altro. A seconda del significato attribuito, delle aspettative, della percezione del servizio, cia-scun destinatario determinerà una qualità soggettiva.Pertanto, così come per altre variabili che hanno impatti nei processi di elaborazione del giudi-zio basati sui fenomeni della soggettività, la valutazione del servizio è un processo complesso.Sulla base delle misurazioni effettuate si possono colmare i gap fra aspettative e prestazione. L’insieme degli scostamenti rilevabili fra le coppie di variabili dello schema prende il nome

28 Una delle ragioni per cui il ruolo del Formatore è molto delicato consiste nella competenza necessaria a mantenere in equilibrio le relazioni con la committenza e i destinatari in quan-to spesso occorre lavorare su impliciti, non detti, senza cadere in fenomeni di collusione o di manipolazione. Nella teoria dell’analisi transazionale, si parla in questi casi di Contratto a tre mani (English F., 1992).

25

Formare per formare nella complessità

di gap analysis model 29. Le decisioni di riduzione e di riconfigurazione dei gap attivano strategie che possono essere di lieve entità, piccoli aggiustamenti, piani di miglioramento, piuttosto che di riposizionamento, con interventi significativi sotto il profilo organizzativo, tecnologico e delle risorse umane, con impatti diretti e indiretti sui profili di competenze e di conseguenza sulle decisioni interne al sistema formativo. I principali interventi che derivano dalla gap analysis sono:

rilevare i bisogni realistici dei clienti;•distinguere i bisogni dalle aspettative;•ridefinire le aspettative;•migliorare le componenti tangibili del servizio;•riformulare i modelli di comunicazione;•ampliare la gamma dei servizi;•migliorare l’accessibilità, la tempestività, la capacità di risposta, l’affidabilità;•innovare le tecnologie;•ridefinire i ruoli;•riorientare i processi organizzativi.•

Certamente, le principali leve per lo sviluppo della qualità possono essere variegate e si ritiene che le interazioni con il sistema formativo possano essere portate avanti nelle di-verse fasi di intervento verso la qualità del servizio30. Grönroos (1990)31, propone sei criteri che consentono aumentare la qualità del servizio percepito.

29 La gap analysis, è alla base dell’approccio gestionale dell’impresa con orientamento alla quali-tà. Per una trattazione particolareggiata degli scostamenti principali, si veda: Zeithaml V.A. et alii, cap. 4-7.

30 Le considerazioni che seguono, relative alla ridefinizione della concezione dei sistemi formativi, trovano applicazioni anche in altri modelli di gestione dello sviluppo organizzativo. La qualità del servizio è un tema che può essere definito trasversale, anche se quando si parla di orientamento alla qualità, si dice, più specificamente, dei modelli di matrice giapponese, norvegese o i modelli di certificazione che seguono la normativa internazionale ISO 9000 e che in Italia è stata ripor-tata attraverso la norma UNI-EN 29000. Al di là della “certificazione” il coinvolgimento delle risorse umane e la diffusione della responsabilità di ciascuno nei processi di produzione possono far disporre le imprese su un continuum che pone a un polo l’atteggiamento di orientamento al cliente correlato alla propria posizione di lavoro, e all’altro polo la qualità totale, intesa come in-sieme strutturale di interdipendenze fra le variabili del sistema organizzativo, di mercato e delle risorse umane (Trivero A., 1990, cap. 1).

31 Op. cit., p. 44 sgg.

26

Formare per formare nella complessità

1. Professionalità e competenzaI clienti realizzano che il fornitore del servizio, il personale, i sistemi operativi e le risor-se fisiche hanno le conoscenze e la competenza richieste per risolvere i loro problemi in maniera professionale (criterio legato al risultato).

2. Atteggiamento e comportamentoI clienti sentono che il personale di contatto è interessato a loro e a risolvere i loro pro-blemi in un modo amichevole e spontaneo (criterio legato al processo).

3. Accessibilità e flessibilitàI clienti sentono che il fornitore del servizio, la sua localizzazione, il suo orario d’aper-tura, il personale e i sistemi operativi sono progettati e operano in modo che sia facile avere accesso al servizio e che si possano adattare alle loro richieste e desideri in modo flessibile (criterio legato al processo).

4. Affidabilità e fiduciaI clienti sanno che dovunque avvenga o sia stato concordato il servizio, possono contare sul fornitore, sul personale e sui sistemi, perché soddisfino le promesse fatte e che la pre-stazione si prefigge sempre di salvaguardare i loro interessi (criterio legato al processo).

5. Capacità di rimediareI clienti sono coscienti del fatto che qualora qualcosa andasse storto o succedesse all’im-provviso qualcosa di imprevedibile, il fornitore del servizio intraprenderà sull’istante i passi opportuni perché essi riabbiano quanto prima il controllo della situazione, trovan-do una nuova soluzione accettabile per tutti (criterio legato al processo).

6. Reputazione e credibilitàI clienti sono convinti del fatto che ci possa fidare dell’opera del fornitore dei servizio e danno il corretto valore monetario al servizio, in quanto significa buona prestazione e qualità che possono essere condivise dai clienti e dal fornitore del servizio (criterio lega-to all’immagine).

Non è detto che la prestazione debba essere necessariamente fatta aderire alle aspettati-ve, anzi, si tratta di formulare un contratto realistico fra fornitore e cliente che consenta di determinare risposte realistiche e competitive ad aspettative altrettanto realistiche e correlate ai bisogni in gioco.Il tema delle aspettative è stato particolarmente dibattuto nelle fasi di definizione dei fabbisogni del sistema formativo oggetto della ricerca. Ne sono scaturite alcune osserva-zioni che hanno condotto a introdurre tre tipologie di aspettative. Si riportano in que-

27

Formare per formare nella complessità

sto primo capitolo in quanto sono state proposte anche in altri contesti organizzativi e hanno trovato adesione.Con questa intenzione si propone una scelta di termini e si specifica l’accezione con cui verranno usati nel seguito.Sono virtuali funzionali le aspettative, realizzabili, ma in tempi o luoghi diversi da quelli di riferimento nel qui e ora.Per “aspettativa virtuale” si è convenuto di intendere ciò che potenzialmente può diven-tare servizio dopo l’applicazione di un processo produttivo adeguato.Alle aspettative virtuali seguono comportamenti del fornitore coerenti con la realizzabi-lità dei progetti a partire dai mezzi e dalle risorse disponibili o reperibili e che possono consentire il conseguimento degli obiettivi di performance del servizio atteso. Un’aspettativa virtuale proviene dalla sfera della consapevolezza e della competenza di applica-re il pensiero strategico nel prevedere situazioni realizzabili in risposta alle esigenze del destina-tario. Si tratta di applicare prevalentemente il pensiero ipotetico-deduttivo, dell’ “adulto” per:

analizzare i dati di realtà e le risorse;•disegnare profili di servizio;•produrli;•erogarli;•seguire nel tempo l’evoluzione; •“aggiustare il tiro” sia sul servizio, sia sulle aspettative reciproche, sia sull’am-•biente organizzativo nel quale il servizio si sviluppa.

Sono virtuali disfunzionali32 quelle aspettative di servizi perfetti ma irrealizzabili. Per magiche funzionali si è inteso quelle aspettative che si possono costruire con il sup-porto del pensiero intuitivo, produttore di soluzioni creative, divergenti e che in qualche modo appartengono al mondo della rêverie, del saper sognare a occhi aperti.

32 Con il rigore di regole chiare, possibilmente condivise e con l’energia della partecipazione au-tentica, che minimizza inganni e autoinganni. La condivisione in questo caso è considerata punto di arrivo di un processo negoziale e l’inganno e l’autoinganno due processi disfunzio-nali di interazione con le innovazioni. Rispettivamente:

verso l’esterno, rifiuto, della situazione e quindi attivazione di fenomeni di resistenza e di inte-razione contaminata con la realtà esterna;

verso l’interno, legati all’analisi e alla lettura della realtà mediante l’attivazione di forme di au-tosvalutazione di sé, delle proprie competenze e capacità o di negazione, al fine, spesso incon-sapevole di mantenere in equilibrio il proprio sistema di convinzioni, pregiudizi e gli schemi appresi. Novellino M., conversazione personale, Roma, 2002.

28

Formare per formare nella complessità

Per magiche disfunzionali33, si sono intese quelle aspettative che attingono al pensiero magico ma di tipo illusorio.La cultura del servizio, nell’ambito del sistema formativo, può favorire un processo di co-municazione funzionale allo sviluppo delle competenze dei singoli e dell’organizzazione, se alle intenzioni di sviluppo o consolidamento organizzativo fanno seguito decisioni di me-todologia formativa coerente con un sistema di aspettative virtuali funzionali, realistiche e magiche funzionali che possono rientrare nella progettazione dei servizi. La gap analysis può introdurre criteri di misurazione e soprattutto di correlazione fra i bisogni e i servizi, cioè, fra le esigenze di integrazione fra i vari saperi dell’individuo e dell’organizzazione e le forme e di modi di gestione del processo di insegnamento-apprendimento. Se le aspettative sono realistiche (R), oppure virtuali (V) o magiche (M), gli atteggia-menti nella partecipazione come fornitori o destinatari cambiano.Da tutte le combinazioni, derivano molteplici possibilità di percepire il servizio, di valu-tarlo, di richiederlo, di continuare l’acquisto, di cambiare il fornitore.

Le aspettative

Figura 6. La funzione del formatore si pone al centro di un processo di comunicazione fra sistema for-

mativo, sistema organizzativo e soggetti in apprendimento. A seconda del tipo di aspettative che en-

trano nell’interazione in modo tacito o esplicito, la comunicazione può essere efficace oppure no.

33 Cfr. nota precedente

R

M V

RR

M aspettative magicheV aspettative virtualiR aspettative realistiche

Sistemaorganizzativo

Sistemaformativo

Soggetti in apprendimento

MM

VV

29

Formare per formare nella complessità

1.1.2.3. Tre componenti del servizioI differenziali competitivi, cioè l’insieme dei comportamenti professionali e dei requisi-ti dell’organizzazione che caratterizzano il modo di essere e di manifestarsi dei servizi di una specifica impresa, possono essere ricondotti a tre macrocomponenti che rendono ri-conoscibile al cliente/utente/destinatario l’offerta:

le metodologie che si possono far rientrare in quelle tipiche dell’1. ingegneria; le strutture dell’2. organizzazione;i comportamenti di 3. relazione comunicativa.

1. Le metodologie che si possono far rientrare in quelle tipiche dell’ingegneria sono in-tuitivamente e deduttivamente riconoscibili e consentono di:

rendere espliciti e rappresentabili gli obiettivi e i risultati finali • di un’attività, di un progetto;decidere i criteri che consentono il reperimento, la costruzione, la ricostruzione, •o l’utilizzo delle tecnologie dei materiali e delle strutture in funzione dell’attività da svolgere o del progetto da realizzare;costruire i sistemi di monitoraggio e controllo che consentono di intervenire •operando i correttivi che possono riorientare verso gli obiettivi le traiettorie che portano verso i risultati previsti dalle attività o dal progetto mentre le traiettorie stesse vengono descritte.

2. Le strutture dell’organizzazione sono determinate dai processi organizzativi, dalle pro-cedure, dal sistema decisionale, dalla catena cliente/fornitore interna/esterna.

3. I comportamenti di relazione sono strettamente correlati ai processi organizzati-vi. In situazione di innovazione, le variabili organizzative sono quelle in fase di maggio-re sollecitazione. Producono rumore 34, e condizionano il processo di comunicazione35.

34 Il termine è mutuato dalla teoria di Shannon, della Comunicazione. Si tratta di quel feno-meno che viene denominato noise, “disturbo”, le cui cause possono essere molteplici e a volte ineliminabili. Una soglia di rumore di fondo viene pertanto tollerata all’interno di un sistema di comunicazione.

35 “Stiamo lavorando per voi…”, “Ci scusiamo per il disagio creato…”, “È cambiata la procedu-ra; l’ufficio non è più questo…”, “Le figure obiettivo avranno il compito di…”, “Questa è una banca virtuale…”, “Questa è una compagnia di assicurazione telefonica…” sono frasi ascolta-te ormai nella quotidianità che esprimono “giustificazioni” sugli effetti che le fasi di transizione

30

Formare per formare nella complessità

Nell’interazione comunicativa36, intervengono motivazioni, valori e bisogni, che spesso orien-tano le aspettative di servizio. e costituiscono una componente prevalentemente intangibile del servizio stesso; i temi della cortesia, della disponibilità, dell’ascolto che dovrebbero far parte di un repertorio di competenze sociali di base, di fatto sono oggetto di formazione specifica, in particolare per le posizioni di lavoro di chi opera con il pubblico. Le convenzioni sociali che deter-minavano i modi della comunicazione e del bon ton, con la complessità stanno introducendo for-me di comunicazione sociale che necessitano di competenze relazionali specifiche. Quanto più i processi organizzativi sono nel cantiere della ridefinizione, tanto più le competenze comunica-zionali richieste sono differenziate. Quando si parla di lifelong learning, i contenuti che entrano in gioco, oltre che cognitivi, interessano anche le altre aree dell’apprendimento: quella affettiva e socio-relazionale oltre che quella psicomotoria. Si tratta di individuare le aree funzionali e di-sfunzionali che intervengono nell’interazione, con i diversi livelli di consapevolezza reciproca fra cliente e fornitore rispetto ai contenuti del servizio, alle modalità e allo stile di relazione, al ruo-lo ricoperto e al contesto nel quale la comunicazione si svolge. L’esito della comunicazione può diventare l’attivatore principale dei processi emotivi che influenzano la percezione del servizio erogato. Gli aspetti di relazione, per quanto si tenti di ricondurli a una matrice cibernetica di tipo razionale, di fatto sono governati da aspetti dinamici di natura psicologica e sociale poco misu-rabili, sui quali è assai complesso esercitare il controllo sociale consapevole.

Inoltre, proprio perché di relazione, tali comportamenti dipendono dal cliente e dal for-nitore, perché per relazione si intende proprio «il nesso, il legame, che si stabilisce fra le due parti sulla base del contratto professionale e psicologico che esse determinano in modo esplicito e implicito» (Novellino, 2002)37.Si tratta di comportamenti che manifestano lo stile personale e il modo di interpretare e condurre il proprio ruolo professionale.

1.1.3. La qualità del servizioSulla base della qualità del progetto di servizio, della macchina organizzativa e delle re-lazioni nella rete dei ruoli che caratterizza l’organizzazione, il servizio prende forma, so-stanza e si legittima.

dovute all’innovazione comportano nei processi organizzativi. Quanto più la varianza produce la percezione di una minore qualità del servizio, tanto più i processi di comunicazione necessi-tano di forme compensatorie e di competenze comunicazionali di orientamento al cliente.

36 Per una ricognizione accurata dei principali modelli di comunicazione: Volli U., 1994. Per una trattazione teorica con una prospettiva di integrazione fra i modelli si veda: Zani B., Sel-leri P., David D., 1994.

37 Novellino M., Conversazione personale, Roma, 2002.

31

Formare per formare nella complessità

Il termine qualità si riferisce alla capacità del servizio di evolvere costruttivamente verso forme più efficienti, efficaci e funzionali rispetto ai reali bisogni e obiettivi del cliente in riferimento al contesto/ambiente nel quale questi opera o dovrà operare.Il servizio di qualità si costruisce su bisogni reali, formulando obiettivi realistici, conseguibili in una misura solo in parte predefinita che dipende dalle variazioni di contesto e ambientali e, quindi, dalla capacità di mantenere la traiettoria integran-do le varianze. Il servizio costruito sui desideri determinati da richieste del cliente, alle quali si vuole dare comunque una risposta per compiacere, rischia di determinare un’aspettativa di ser-vizio virtuale o magica disfunzionale.Certo, quanto più i desideri sono realisticamente esaudibili, tanto maggiore è la proba-bilità di poter produrre un servizio coerente a patto che ci siano le condizioni e le risorse economiche e complessive.Questo approccio passa per l’introduzione di un processo di miglioramento continuo e di riorientamento verso gli obiettivi concordati fra cliente e fornitore in una prospettiva contrattuale caratteristica dei sistemi aperti che sono in grado di cambiare integrando al proprio interno le innovazioni che si rendono necessarie.L’innovazione può interessare in prevalenza una soltanto delle dimensioni del servizio – quella dell’ingegneria, dell’organizzazione, oppure della relazione – anche se più o meno direttamente si rende necessario intervenire sulle altre.Si propone una sintesi sul percorso definitorio della qualità del servizio, intesa come ca-pacità del sistema organizzativo di mantenere in equilibrio dinamico i processi di ap-prendimento degli individui e dell’organizzazione in funzione delle innovazioni interve-nute dall’esterno o decise all’interno.

La capacità di una impresa di competere dipende prevalentemente dalla capaci-1. tà di produrre qualità competitiva.La qualità del servizio non è la somma della qualità delle singole tre componenti 2. (ingegneria, organizzazione, relazione), ma una funzione a esse correlata.I processi di innovazione intervengono sulle aspettative e sulla percezione del-3. la qualità del servizio; possono alterare l’analisi del miglioramento della qualità del servizioSe si realizza miglioramento, vuol dire che il sistema ha prodotto apprendimen-4. to, ha imparato (o reimparato) qualcosa.Se il sistema ha imparato, è necessario che l’apprendimento produca migliora-5. mento a livello operativo comportamentale altrimenti l’apprendimento non è generativo di qualità del servizio, ma di speculazione intellettuale o operativa che produce un miglioramento virtuale, un’illusione di miglioramento che non corrisponde al miglioramento della qualità del servizio.

32

Formare per formare nella complessità

Nella cultura del servizio, non è sufficiente imparare e far imparare; diventa necessario impa-rare e far imparare in funzione delle caratteristiche dell’organizzazione e del progetto di cam-biamento, della missione perseguita con la guida dei relativi valori di riferimento e nella pro-spettiva di interazione ecologica con i contesti di riferimento (Santelli Beccegato L., 1992).In tempi di minore evoluzione dell’ambiente esterno i sistemi organizzativi hanno stan-dardizzato i modi della produzione e hanno costituito le proprie regole organizzative.L’apprendimento, dunque, non riguarda soltanto le persone, ma anche l’organizzazione, il sistema (Senge, 1992). È vero che, comunque, sono le persone a produrre apprendimento, ma nel passaggio dall’organizzazione statica delle posizioni a quella dei ruoli, i nuovi legami organizzati-vi che ne derivano diventano nuova configurazione, nuovo ambiente, rinnovata cultura dei sistemi formativi. Nei microcosmi delle imprese che sfidano il mercato per svilupparsi o per sopravvivere e che hanno avviato progetti di cambiamento, si sono incontrati con i fenomeni della condivisione dei progetti di innovazione o del suo rigetto; hanno dovuto confrontarsi con i livelli di coesione del-le risorse umane che consapevoli dei rischi o delle nuove possibilità che si dischiudevano, hanno agito il cambiamento partecipando, mettendo in discussione convinzioni, valori, saperi.Nel pubblico e nel privato capi, collaboratori, colleghi, fornitori interni o esterni, clienti in-terni o esterni formano in ogni caso nuove costellazioni organizzative in quanto diventa ne-cessaria una reinterpretazione del proprio ruolo e delle proprie competenze al fine di seguire e condurre il cambiamento necessario a integrare efficacemente l’innovazione nei percorsi della vita privata e professionale reale.L’agire basato sull’esperienza, guidato dal pensiero intuitivo, fondato sugli schemi della cultu-ra della linearità, con maggiore frequenza, non è in grado di mantenere in equilibrio il rap-porto fra le sicurezze personali e le incertezze introdotte dalle innovazioni.L’innovazione, impetuosamente, viaggiando prevalentemente sotto traccia e di tanto in tanto accelerando l’andatura dei suoi effetti nella realtà e, quindi, la sua tangibilità, necessita del supporto del pensiero analitico e sistemico.È necessario, infatti, utilizzare schemi di rilevazione, lettura e interpretazione dei dati di realtà, con il supporto di metodiche efficienti che consentono la sospensione del giudizio a priori e un riequilibrio dei dialoghi interni fra pensiero e sentimenti, per poter riconsiderare la propria interazione con l’innovazione in una prospettiva in cui il governo dell’incertezza da essa stessa generata non sia confuso con la minaccia alle proprie sicurezze.Ciascuno di noi è portatore di un repertorio esperienziale che affonda le proprie radici in un sapere e un fare operativo che si configurano in forme lineari, a dominio specifico, con bassa tolleranza degli errori, con protocolli basati su procedure prefissate.E la realtà si sta configurando in forme complesse a dominio ampio, in cui c’è la simultanea presenza di opzioni fra le quali è possibile scegliere le abilità operative necessarie, tollerando, anche, in una certa misura, gli errori, l’approssimazione provvisoria, non precaria.

33

Formare per formare nella complessità

In una molteplicità di scelte, aumenta la possibile dispersività, ma cresce anche la necessità di circostanziare meglio le situazioni per sfumare con maggiori probabili-tà i livelli di approssimazione che si introducono nel servizio interno e in quello al cliente.Una ipotesi di lavoro può essere quella di operare nell’ambito di una cultura dei processi, centrata sull’autoefficacia che comporta:

capacità di analisi;•progettazione dei singoli comportamenti;•atteggiamento sperimentale durante le attività;•monitoraggio e verifica continua dell’efficacia e dell’efficienza dei piani operati-•vi messi in atto in funzione delle differenze fra qualità attesa, promessa, genera-ta, percepita e realmente erogata;valutazione finalizzata a indirizzare verso gli obiettivi e le traiettorie della qualità •i propri comportamenti con la guida di valori coerenti.

Si tratta di applicare con maggiore consapevolezza il pensiero flessibile necessario per saper divenire. E questo sapere è strettamente connesso allo sviluppo di processi di insegna-mento-apprendimento che supportano, favoriscono e producono le capacità di:

imparare ad apprendere;•considerare provvisorie le conoscenze; •gestire gli “squilibri cognitivi ed emotivi” che derivano dalla provvisorietà evo-•lutiva dei processi organizzativi, tecnologici, normativi.

Si può rendere necessario operare salti e ripensamenti fra incertezza e insicurezza e allora i processi formativi a loro volta possono:

promuovere e favorire lo sviluppo della consapevolezza necessaria a leggere l’in-•novazione; fornire gli strumenti teorici e che possano guidare la costruzione o ridefinizione •degli attrezzi dei mestieri;cooperare per rivisitare le competenze, al fine di favorire nuove acquisizioni, o •consolidare e sviluppare quelle che appartengono, magari senza consapevolezza, al proprio patrimonio esperienziale e professionale;riorientare il repertorio di convinzioni valoriali per stare nel mondo reale e vir-•tuale che stiamo costruendo.

Vale per ogni ruolo che costruisce il servizio formativo.

34

Formare per formare nella complessità

Capitolo 2 I sistemi formativi nella complessitàIl processo di sviluppo e di ridefinizione dei sistemi formativi nella complessità può es-sere interpretato in base all’evoluzione dei sistemi organizzativi in relazione alle variazio-ni che hanno caratterizzato l’ambiente socio-economico, politico e culturale nella pro-spettiva della qualità del servizio sviluppata nel primo capitolo del presente lavoro.In questo capitolo si indicano gli aspetti sistemici che caratterizzano le variazioni am-bientali e che possono essere considerate strutturali in quanto la fase evolutiva del CEFMECTP si trova a confronto con un passaggio cruciale che il corso di formazione ha consentito di focalizzare con i destinatari dell’attività formativa e, soprattutto, in una rinnovata modalità di confronto fra i formatori e la Direzione Generale. La dimensione socio-economica, quella politica e quella culturale, infatti, necessitano di schemi specifici di analisi (De Maio e Patalano, 1995)38, che esulano dagli obiettivi del presente lavoro ma hanno fatto da sfondo nel processo di monitoraggio fra la commit-tenza e i responsabili del progetto di formazione39.

2.1. Innovazione e cambiamento «Un problema fondamentale dello studio della trasformazione delle organizzazio-ni è costituito dal fatto che i contesti ambientali in cui esse operano sono soggetti anch’essi ad un processo di trasformazione che si sviluppa ad una velocità sempre più crescente e in direzione di una sempre maggiore complessità. Su questo pun-to di per sé non occorre comunque soffermarsi a lungo. Tuttavia, se si vuole rea-lizzare qualche passo in avanti sul piano delle scienze del comportamento verso la comprensione di molti avvenimenti che si stanno verificando ai giorni nostri, quali conseguenze dell’evoluzione tecnologica, bisogna allora prendere in considerazione anche le caratteristiche degli ambienti delle organizzazioni… In linea di massima si può affermare che quello in termini di sistemi sembra essere l’approccio intellettua-le più appropriato che si possa adottare quando i fenomeni allo studio (a qualsiasi livello e in qualsiasi campo) mostrino un carattere organizzativo e quando la com-

38 In proposito, per approfondire questo processo si può confrontare il lavoro di Verona G., 2000, che propone un’analisi accurata del contributo delle teorie economiche e delle discipli-ne manageriali allo studio dei fattori di impresa, e De Masi e Pepe (a cura di), I modelli orga-nizzativi tra conoscenza e realtà, «Sociologia del lavoro», 37, Franco Angeli, 1989, che riporta i contributi sui fattori sociali e culturali che hanno influenzato lo sviluppo dell’impresa fino agli inizi degli anni ’90.

39 Cfr. Morelli U., La passione e la maschera. Lavoro, potere, apprendimento. Guerini e Associati, Milano, 2000.

35

Formare per formare nella complessità

prensione della natura dei loro rapporti d’interdipendenza costituisca l’obiettivo della ricerca» (Emery F.E.,1985; Trist E.L., 1985, p. 268)40.D’altra parte anche una persona è un sistema: «…una persona è un’organizzazione com-plessa e unitaria, intimamente fusa con il proprio ambiente e costituita da componenti e processi biologici, psicologici, di azione. In quanto sistema aperto, poi, l’esistenza le mo-dalità di funzionamento e lo sviluppo dell’individuo si fondano su continui interscambi energetico-materiali e di informazioni con l’ambiente. Ciò significa che ogni struttura, ogni processo, ogni complessa modalità di organizzazione è di necessità soggetta a mu-tamenti, dato che nessuna di tali entità è immune da scambi di informazioni, di materia o di energia: in altri termini, ogni cosa può cambiare, sia nell’individuo, sia nell’ambien-te» (Ford D.H., Lerner R.M., 199541, p. 173). In altri termini:«Di fatto noi tutti siamo circondati da sistemi; ne facciamo anzi parte, quando essi non sono addirittura parte di noi stessi: la terra appartiene al sistema solare, l’uomo costrui-sce sistemi politici e sociali; opera all’interno di sistemi economici; è condizionato dai propri sistemi interni come il sistema nervoso, circolatorio, ecc. Tutte queste cose con-dividono la proprietà di essere insiemi di parti variamente ma efficacemente collegate» (The Open University, 1979, p.11).42

Dunque, individuate le strutture, cioè l’insieme dei componenti del sistema e le funzio-ni43, si possono individuare i pattern principali.Le considerazioni che seguono si riferiscono prevalentemente alla realtà delle organizza-zioni operanti nel mercato economico44. «I modelli più diffusi concordano sul fatto che le aziende di successo sono quelle che meglio interpretano, anche in senso anticipati-vo, le esigenze, i vincoli, le opportunità presenti nell’ambiente. La letteratura ha messo ampiamente in evidenza che la caratteristica rilevante attraverso cui si può leggere l’am-biente esterno è il suo livello di turbolenza, identificabile in termini di velocità, novità

40 Emery F.E., Trist E.L., Il carattere causale degli ambienti organizzativi, in Emery F.E. (a cura di), La teoria dei sistemi, Franco Angeli, Milano, 1985.

41 Ford D.H., Lerner R.M.,Teoria dei sistemi evoluti, Raffaello Cortina, Milano, 1995.42 The Open University, L’analisi dei sistemi, comportamento, regolazione e controllo, Mondadori,

Milano, 1979.43 Crf. Tavola di approfondimento a p. 37.44 In particolare, poiché la ricerca si riferisce a un’azienda che opera nel mercato finanziario, non

vengono prese in esame le analisi di scenario relative alle imprese non-profit. Alcune delle ela-borazioni relative all’impresa come sistema e ai paradigmi dell’organizzazione, alle dinamiche evolutive nel contesto socio-economico che si stanno sempre di più configurando secondo i canoni della complessità, trovano comunque implicazioni dirette anche in queste imprese.

36

Formare per formare nella complessità

e, quindi, complessità» (De Maio, 1995, p. 42)45. La velocità del cambiamento richie-de tempi di reazione estremamente contratti; l’innovazione comporta una revisione del ruolo dell’esperienza e della storia in quanto portatori di prassi consolidate che come tali sono entrate nel sapere innestato, a risposta meccanica che rischia di entrare in azione a prescindere dall’analisi di realtà qui e ora, portando con sé materiali arcaici che possono risultare da ostacolo, freno e resistenza al cambiamento necessario al mantenimento del successo o alla sua riformulazione.

45 De Maio, A., Innovazione dei modelli manageriali e di controllo, in De Maio A., Patalano C. (a cura di), Modelli organizzativi e di controllo nel sistema bancario, EDIBANK, Milano, 1995.

37

Formare per formare nella complessità

Tavola di approfondimenTo

Aspetti funzionali di un sistema46

Gli aspetti funzionali di un sistema si riferiscono a quello che è lo scopo di una componente o di un insieme di componenti fra loro correlate. Nella teoria dei sistemi, gli aspetti relativi allo scopo del sistema sono definiti teleologici. Nel si-stema uomo le interconnessioni investono sfere della conoscenza che si posso-no riportare alla filosofia, alla psicologia, alla biologia, alla sociologia… Nei siste-mi meccanici ci si può spesso ricondurre a relazioni evidenti di tipo causale e di conseguenza gli aspetti teleologici sono più facilmente orientabili alle azioni, alle attività, alle operazioni, determinando pattern comportamentali più governabili. Ricondurre alla teoria dei sistemi l’interpretazione di alcuni fenomeni specificata-mente umani ha comportato anche un riduzionismo di tipo meccanicistico che il neocognitivismo e le più recenti teorie informazionali hanno ridimensionato.(i pattern comportamentali possono essere definiti come insiemi di schemi che pro-ducono traiettorie, cioè insiemi di stati successivi del sistema, che seguono regole o fenomeni di tipo prevalentemente prevedibile). Cfr. ford D.H., Lerner R.m., op. cit., cap. 2); Hemery f.e. (a cura di), op. cit., cap. 8.…È evidente che il senso della parola “funzione” non coincide con il significato che essa assume quando è impiegata nell’analisi matematica e nelle sue varie appli-cazioni speciali. In matematica la funzione è una classe di coppie ordinate di ele-menti (y, x) in cui i valori delle coppie che sono valori della variabile x (la variabi-le cosiddetta “indipendente”) sono chiamati “argomenti”, mentre quelli che sono valori della variabile y (quella cosiddetta “dipendente”) sono valori “corrisponden-ti alle” x. Dire quindi che una certa variabile è una funzione di un’altra significa, in questo senso, asserire che esiste una regola, una relazione, una legge che può de-terminare i valori della variabile dipendente partendo da quelli della variabile in-dipendente di una data serie. ma dire che la funzione di un certo organo di un or-ganismo vivente (o di una certa parte di macchina) è così e così significa asserire

46 Rielaborato da Nagel E., Una formalizzazione del funzionalismo, in Emery F.E., op. cit., pp. 331-336.

38

Formare per formare nella complessità

che l’organo e alcune delle sue attività sono strumentali ai fini del mantenimento di un certo stato o di un determinato processo dell’organismo, sicché l’organo e il suo comportamento sono i fattori causali dello stato o del processo di cui tratta-si… tuttavia, gli stessi biologi userebbero la parola “funzione” in modi assai diver-si tra loro. A volte, essi adoperano questo termine in contesti come: “la funzione di un organo”, per far riferimento al ruolo che l’organo svolge nel determinato si-stema di cui fa parte… oppure lo usano in contesti come: “il funzionamento di un organo”, per indicare alcuni o tutti i processi che si verificano in quel determinato organo in cui la funzione intesa nel senso dei processi di cui trattasi può, o meno, essere specificata… Così pure, nonostante l’impiego ricorrente di espressioni come: “al fine di” oppu-re “allo scopo di”, nella formulazione delle analisi funzionali compiute dai biologi, esse non debbono essere intese come implicanti un’idea di obiettivi coscienti o di fini deliberati nell’attività dei processi organici. In sostanza, i ruoli che le parti orga-niche svolgerebbero in un certo sistema non debbono essere intesi come se si trat-tasse degli agenti causali del comportamento delle parti medesime. La differenza tra una formulazione funzionale e una non funzionale sta quindi nell’enfasi seletti-va che si esprime in essa ed è del tutto paragonabile a quella tra dire che B è l’effet-to di A e dire che A è la condizione (o la causa) perché B si verifichi… Nel caso delle scienze fisiche le proprietà e le attività dei sistemi dipendono da una serie di fattori in modo tale per cui, quando questi fattori subiscono una qualsiasi variazione con-siderevole, le proprietà e le attività del sistema vengono meno. Nel caso della biolo-gia, invece, i sistemi sembrano in grado di automantenersi per quanto concerne la manifestazione costante di certi loro tratti peculiari; e ciò, nonostante il verificarsi di variazioni alquanto consistenti a carico dei fattori da cui tali tratti peculiari dipendo-no casualmente. Ad esempio, la temperatura di una pietra oscillerà di concerto con la temperatura dell’ambiente in cui essa è posta. Viceversa, nel caso della tempera-tura dell’organismo umano, grazie ai meccanismi di regolazione di cui esso è do-

tato, questa potrà rimanere sempre a un livello abbastanza costante, nonostante le cospicue variazioni che si possono registrare nella

temperatura ambientale. pertanto, le affermazioni funzionali sono viste come pertinenti ai sistemi dotati di meccanismi

per l’automantenimento di certi loro tratti caratteristici, ma sembrano superflue e addirittura fuorvianti quando utilizzate con riferimento a quei sistemi in cui mancano tali dispositivi d’autoregolazione…passiamo ora ad esaminare più attentamente la caratte-

ristica generale dei sistemi cosiddetti “organizzati teleolo-gicamente” (a volte indicati come sistemi “finalizzati”). Il cor-

39

Formare per formare nella complessità

po umano è capace di conservare molte caratteristiche in uno stato abbastanza costante (o stazionario), chia-mato omeostasi, grazie ai vari meccanismi fisiologici tra loro coordinati di cui esso è dotato… Diciamo che S sia un tale sistema e che e ne sia l’ambiente “esterno”. In che modo si debba tracciare la linea di demarcazione tra S ed e non ci deve interessare: si tratta di un problema che deve essere risolto sulla base di fatti particolari, caso per caso, anche se è pensabile che a volte la linea di demarcazione tra siste-ma e ambiente possa essere tracciata in modo del tutto arbitrario. Sup-poniamo che S sia un sistema “funzionale” (oppure “capace di automantenersi” oppure “organizzato teleologicamente” oppure “finalizzato”) per quanto concerne una certa sua caratteristica G (che può essere una sua proprietà, un suo stato, un suo processo). Ossia, o S possiede G in un certo momento o per un certo perio-do o S subisce una serie di alterazioni conducenti a G, per cui S viene conservato nello stato G oppure in una fase evolutiva tesa a fargli acquisire G, nonostante la gamma alquanto vasta di cambiamenti sia di e, sia di certe parti di S stesso. In tal modo non facciamo altro che presumere che in S esista un qualche meccanismo capace di produrre effetti tali da compensare i cambiamenti di cui sopra e che, mancandogli questi meccanismi, esso cesserebbe di possedere G o la tendenza ad acquisirlo. Il nostro obiettivo in questa sede sarà appunto quello di rendere più articolato questo presupposto. È infatti della massima importanza specificare in ogni caso concreto tanto il sistema S quanto il suo tratto caratteristico G e ciò per-ché in primo luogo un sistema può essere capace di automantenersi in relazione a una certa sua caratteristica ma non rispetto a certe altre. pertanto, l’organismo umano mostra un comportamento omeostatico in relazione alla propria tempera-tura interna, ma, a quanto pare, non fa altrettanto in rapporto al diametro dell’iri-de dell’occhio. In secondo luogo, S, organizzato teleologicamente rispetto a G, può fare parte di un sistema più ampio S’ che, per parte sua, può non esserlo. In terzo luogo, possono esistere parecchi G nei cui confronti S risulta essere un siste-ma funzionale. Ciò nonostante, come apparirà più chiaro in seguito, le circostan-ze in cui S sa automantenersi in relazione ad alcuni G possono non coincidere con quelle in cui esso sa fare altrettanto in relazione agli altri G. Inoltre, alcuni G nei cui confronti S è in grado di automantenersi possono costituire un certo tipo di “ge-rarchia”, la quale può fondarsi su relazioni di dipendenza causale, di precedenza temporale, di specificità, d’importanza relativa rispetto a una certa scala di valori, ecc., mentre le condizioni in cui S sa automantenersi rispetto ad un componente della gerarchia possono o meno essere compatibili con il suo automantenimento in relazione a un altro componente della gerarchia…

40

Formare per formare nella complessità

«La complessità implica l’aumento delle dimensioni, delle variabili e delle possibili in-terrelazioni e interdipendenze da considerare. In particolare ciò rende non solo difficile, per non dire impossibile, isolare parti del sistema considerato, ma accentua anche il le-game e le interazioni temporali fra diversi fenomeni. Velocità, novità, complessità, che caratterizzano globalmente la nostra epoca, riguardano sia aspetti tecnologici, economi-ci, sociali e politici, sia fattori spaziali, ecologici, valoriali e così via. L’aumento di turbolenza si traduce, dunque, in una maggiore difficoltà di gestione e, so-prattutto, nell’incertezza sugli effetti delle decisioni prese: paradossalmente l’unica cosa di cui si può essere certi è infatti che la strategia adottata oggi dovrà essere cambiata do-mani, quanto più ha dimostrato di aver successo. Allo stesso tempo l’aumento di tur-bolenza significa crescita a dismisura delle opportunità in quanto, dilatandosi il campo delle possibilità, si ampliano lo spazio per la creatività, la fantasia, l’innovatività. La per-sistenza e compresenza di questi fenomeni si traduce nella necessità per l’organizzazio-ne di dotarsi di un modello interpretativo più “alto” che permetta di affrontarli efficace-mente e aiuti a scartare indicazioni operative o soluzioni eccessivamente semplicistiche o troppo parziali» (De Maio, 1995, op. cit., p. 42). Dall’auspicio di aziende di piccole dimensioni, capaci di flessibilità e velocità, si è passati allo sviluppo di aziende in grado di assumere grandi dimensioni attraverso forme ibride di organizzazione quali l’azienda-rete, le configurazioni stellari e così via. La concentrazione e la competizione nel merca-to globale condizionano oggi questa dinamica di sviluppo delle imprese nei vari settori merceologici e nella produzione dei servizi Risulta, dalla letteratura, che è molto difficile in questa fase di riformulazione dei para-digmi dell’economia stabilire delle correlazioni fra il successo e le dimensioni dell’impre-sa. Infatti anche i modelli di tipo comportamentista, che hanno indagato il successo os-servando puntualmente i comportamenti dei singoli manager oppure le regole gestionali di singole aziende e hanno cercato di ricavarne delle “ricette” più generali, hanno avuto breve vita. La conoscenza tacita che le ha caratterizzate non è stata ricondotta a sistema per problemi metodologici ma anche per la difficoltà a codificare in un linguaggio ester-no le condizioni interne. Il modello dimensionale e quello dei comportamenti manage-riali si sono rivelati insoddisfacenti. «L’aumento della turbolenza ambientale può quindi essere letto in termini di cambiamenti più rapidi, più imprevedibili, più articolati del passato. Di conseguenza l’azienda di successo è quella che meglio di altre è in grado di interpretare l’ambiente e che, dunque, meglio di altre sa innovare e adattarsi. La capacità di gestire, a tutti i livelli, l’innovazione è perciò, in un ambiente sempre più turbolento, la causa prima (ancorché non unica) del successo» (De Maio, 1995, op. cit., p. 43).Un modello interpretativo generale dovrebbe consentire di spiegare i diversi fenomeni innovativi o quantomeno ricondurli a schemi interpretativi che seppur non completa-mente riconducibili a rappresentazioni esplicative, ne consenta la comunicabilità e possa essere da orientamento nella lettura degli effetti.

41

Formare per formare nella complessità

All’interno del sistema formativo vengono gestite tre tipologie di intervento che rientrano nella gestione del processi di innovazione. Si fa riferimento alla proposta di De Maio (op. cit., 1995), che pone la gestione dell’organizzazione in riferimento a tre tipologie di intervento:

a. gestione della routine;b. innovazione continua;c. salti di innovazione.

Si può ipotizzare che l’impatto nei processi di apprendimento di ciascun tipo di innova-zione necessita della determinazione delle linee di demarcazione fra conservazione, evo-luzione e trasformazione dei saperi, all’interno di un sistema dinamico aperto e, di con-seguenza, i servizi formativi acquistano un valore funzionale per lo sviluppo del sistema organizzativo e del mercato47.

a. La gestione della routine è la componente che rappresenta il modo di operare cor-rente, le regole del gioco cui si devono attenere le attività quotidiane. Non si attribui-sce al termine “routine” la connotazione negativa di attività ripetitiva inconsapevole e acritica.

b. L’innovazione continua è la componente che indica quegli aggiustamenti minimali che si attuano con continuità e producono il mantenimento degli standard di qualità sulla base delle sollecitazioni continue dell’ambiente o di microdecisioni di intervento sulle leve gestionali di tipo:

b.1. sociale: •gestione dei gruppi professionali -stile di direzione -tipologie di relazione -clima e valori -

47 Alcune affermazioni molto frequenti quando si presenta anche una minima innovazione, spesso, contengono degli impliciti di generalizzazione. Per esempio: “Cambia tutto…”, “Niente è stabile…”, “È tutto un caos…”, “È tutto da rivedere…”, “È così da sempre…” sono espressioni che confrontate opportunamente attivano il pensiero adulto, il pensiero che orienta all’osservazione, alla raccolta dei dati, al confronto che utilizza opportuni criteri, ma-gari condivisi, all’analisi, alla valutazione e, perché no!, al giudizio. Ma il giudizio in questo caso è l’atto finale di un processo cognitivo controllato da una procedura, da uno schema che tende a ridurre gli effetti negativi del pensiero magico.

42

Formare per formare nella complessità

coordinamento formale e informale -impostazione dei processi produttivi -

b.2. conoscitivo: •qualità -formazione -tutorship -training on the job -coaching -counselling educativo e formativo. -

L’innovazione continua è un atteggiamento culturale e mentale e non semplicemente un insieme di tecniche, di strumenti, di metodi operativi che consentono di realizzarla e che sono a loro volta in continua evoluzione e affinamento. La gestione dell’innovazione con-tinua, infatti, comporta la diffusione a tutti i livelli della consapevolezza che ogni cosa è costantemente migliorabile anche se sono stati conseguiti risultati apprezzabili e richiede ciascuno sia messo nella condizione di avere un propria quota di responsabilità nel proces-so di cambiamento. Sono evidenti gli impatti di questo atteggiamento mentale su alcune regole consolidate, sul concetto stesso di gerarchia e di autorità, sui modi della partecipa-zione che richiedono forme di proattività e responsabilizzazione sui sistemi di comunica-zione interna, sul patto consolidato delle rapporto persona/ruolo/gruppo.Il miglioramento continuo è alla base dell’approccio centrato sulla qualità del servizio (Trivero, A., 1990, op. cit., p. 46).

c. Salti di innovazione. È la componente che riguarda i grandi cambiamenti ovvero l’in-novazione che, esercitando impatti molti ampi, profondi e non circoscritti, segna un sal-to di continuità e produce un cambiamento radicale; in questo senso è detta anche di-scontinua. Essa è relativa, per esempio, all’introduzione nel mercato di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie da utilizzare, nuovi modelli organizzativi, nuovi canali di distribuzione. L’im-patto è sulle decisioni di intervento sulle leve gestionali di tipo sociale e conoscitivo descrit-te sopra, con modalità più approfondite e con metodologie pertinenti, ma ancor di più sul-le leve strutturali che in effetti altro non sono che le macrovariabili del sistema azienda:

attribuzione di compiti/obiettivi;•definizione di ruoli e di posizioni organizzative;•sistema delle deleghe;•sistema di controllo;•sistema di valutazione delle competenze, del potenziale e della prestazione;•modelli di project management.•

43

Formare per formare nella complessità

Sui salti di innovazione l’osservazione centrale è che essendo una componente disconti-nua è interpretabile come un progetto complesso e di conseguenza gli elementi costituti-vi delle attività di innovazione hanno una forte analogia con le attività di un progetto:

la rilevanza della committenza;•la centralità dell’individuazione degli obiettivi e dei vincoli;•la criticità della pianificazione; •la necessità di sviluppare meccanismi di monitoraggio e di regolazione.•

Quanto più infatti l’innovazione continua è diffusa e profondamente interiorizzata, quanto più un progetto di innovazione non sconvolge la routine; tenendo cioè conto dei problemi del rilascio dell’innovazione, il trasferimento diventa un fatto automatico48. È difficile inserire l’innovazione nella gestione corrente se l’innovazione stessa non è stata pensata e progettata nell’ottica della sua concreta operabilità49. Per finire, lo schema considera anche un quarto aspetto molto rilevante da tenere pre-sente: il trasferimento dell’innovazione continua e di quella discontinua verso l’attività corrente e la loro traduzione in routine. Ciò pone l’interessante problema organizzativo di cosa significhi “essere in grado di gestire efficacemente e con efficienza l’innovazione” «… Disegnare i confini di specializzazione più convenienti per le unità organizzative di base, le cosiddette funzioni organizzative; individuare i raggruppamenti più omogenei di macroattività per governare al meglio il rapporto con l’esterno, identificando così ad esempio le Divisioni, le Business Unit e così via; definire le regole di funzionamento più appropriate, a esempio in termini di raggiungimento di obiettivi specifici, di controllo incrociato tra funzioni, di limiti di responsabilità, autonomia, autorità, linee gerarchi-che. Tuttavia, in condizioni di aumento di turbolenza il modello che punta sulla diffe-renziazione va incontro a notevoli difficoltà, in quanto varia frequentemente sia l’aggre-gazione più efficiente di specializzazioni sia, soprattutto, l’insieme delle regole del gioco. I criteri di aggregazione devono essere quindi sostanzialmente mutati dal momento che il fattore da tenere sotto controllo non è più tanto l’efficienza con cui si svolge un’attivi-

48 Si può interpretare questa routine generatrice di integrazione continua dell’innovazione nella routine come un processo metacognitivo insito in una “mappa cognitiva dell’organizzazio-ne”. D’altra parte l’apprendere per tutta la vita, lifelong learning, nella società conoscitiva, ha introdotto per l’individuo lo sviluppo di competenze metacognitive, cioè di autocontrollo delle proprie strategie di apprendimento che potrebbero essere ricondotte al lifelong learning dell’organizzazione.

49 Cfr. De Maio A. et alii, Gestire l’innovazione e innovare la gestione. Teoria del project manage-ment, Etas Libri, Milano, 1994

44

Formare per formare nella complessità

tà quanto piuttosto l’efficacia complessiva rispetto al fruitore dell’output. Infatti la glo-balizzazione del mercato produce una variazione rapida e continua dei criteri con cui il fruitore valuta i prodotti/servizi offerti.Si passa quindi da un orientamento alla specializzazione o alla funzione a un orientamento al processo o all’integrazione. Il processo rappresenta il componente elementare del dise-gno organizzativo-gestionale e costituisce il fuoco e il punto di osservazione con cui ripen-sare le regole organizzative. Da un lato infatti esso comporta che siano individuati tutti gli attori che concorrono alla produzione dell’output del processo considerato – indipenden-temente dal fatto che siano appartenenti a unità organizzative differenti o che, addirittura, siano enti diversi come ad esempio i fornitori – e che tali attori debbano essere visti come “soci” all’interno del processo. Dall’altro, a prescindere dal fatto che i destinatari dell’out-put siano interni o esterni all’organizzazione considerata, essi devono comunque essere sempre trattati come clienti, in grado cioè di apprezzare e concorrere a definire la qualità dell’output. Questa logica di processo ha portato a una serie di cambiamenti sostanziali in modelli che si ritenevano immutabili. L’affermarsi di questa logica di processo sta alla base di gran parte delle tecniche e delle soluzioni organizzative che sono state recentemente tra-dotte in un numero ampio di imprese» (Di Maio, 1995, op. cit., p. 46).

2.2. Le motivazioni al cambiamentoSi propone, in questo paragrafo, una rilevante elaborazione sulle quattro motivazioni più frequenti che inducono le organizzazioni al cambiamento, allo scopo di sottolineare come nell’esperienza del CEFMECTP questi approcci siano compresenti in modo tacito e il fatto di averli resi in buona parte espliciti ha consentito di orientare l’attenzione alla ridefinizione del proprio modello organizzativo e della vision del mercato sia dal punto di vista istituzio-nale, sia dal punto di vista delle dinamiche di riorientamento verso la cultura del servizio.

1. Cambiamento per ripetizione. È il modello tradizionale orientato a controllare le prestazioni produttive e quindi le conoscenze tecniche, focalizzato sulla ripetizione continua e sulla ridu-zione degli errori attraverso l’apprendimento di routine applicative. La motivazione prevalen-te in questi ambienti è quella di ripetere “bene” per non sbagliare e, di conseguenza, l’inno-vazione è vista principalmente come occasione di errori e fonte di guai. Perciò a fronte della ripetizione di errori, si verifica anche a livello organizzativo il fenomeno noto a livello indivi-duale come “impotenza appresa” o “learned help lessness” (Boscolo, 1997, p. 170).In questa patologia cognitiva, i soggetti, nonostante alcuni successi iniziali, reagiscono ad errori e difficoltà successive come se essi fossero insormontabili e li attribuiscono alla loro mancanza di abilità; pensano dunque di non avere abilità ad imparare e im-parano in sostanza ad essere impotenti.Le classiche “resistenze al cambiamento organizzativo” sono in larga misura attribuibili a questa patologia.

45

Formare per formare nella complessità

2. Cambiamento per minor fatica. In questo modello si riproducono alcuni elementi del modello precedente (in particolare l’idea che non si riuscirà a risolvere il pro-blema da soli imparando), ma l’esito è diverso ed è basato sullo spostamento del problema.Se non sono capace di imparare posso o “copiare” o “comprare”, perché in ogni caso ho paura di non riuscire a imparare; l’impotenza viene così rimossa attraverso la mercifica-zione della conoscenza e la sua acquisizione indiretta. Mentre a livello individuale c’è il fenomeno dell’acquisto della “tesi di laurea”, a livello orga-nizzativo la soluzione tipica è l’outsourcing, l’acquisto di brevetti, lo spionaggio industriale o il reverse engineeering, cioè lo studio di soluzioni degli altri “smontando” i prodotti.La patologia è dunque nella rimozione del problema e il rischio è di “copiare male ” o di non sapere usare le competenze degli altri.

3. Cambiamento per ricombinazione modulare. In questi casi si verifica l’orientamento alla cognizione che, a livello individuale, è indicato come “orientamento alla padronan-za” (Boscolo, 1997, p. 170), In tale orientamento si ha un atteggiamento positivo nei confronti dell’insuccesso e si ricercano nuove strategie di soluzione perché si considera che l’abilità, necessaria per risolvere un problema, è qualcosa che si può imparare, impe-gnandosi. Il sistema organizzativo, in questi casi, spingerà per l’individuazione di nuove soluzioni, che riguarderanno principalmente le strategie cognitive e non tanto la singola routine o schemi operativi, e farà leva, come strumento di mobilitazione, sull’amor pro-prio e sulla sfida a riuscire a imparare nuove strategie. Il rischio (e la patologia) è quello di realizzare solo uno sforzo di studio e di apprendimento, senza finalità e senza risulta-ti positivi; sono i fenomeni noti a livello individuale come volontarismo nello studio o attivismo del conoscere. Spesso le organizzazioni confondono l’apprendimento di nuovi contenuti tecnici e di nuovi schemi operativi con la strategia cognitiva che è invece un fenomeno dell’organizzazione.

4. Cambiamento per riconfigurazione continua. Si verifica anche in questo caso l’orien-tamento alla padronanza cognitiva, evidenziato per il modello precedente, con una più forte accentuazione della motivazione alla responsabilità sociale, nella forte integrazio-ne con i subfornitori che riconoscono il ruolo di leadership dell’azienda. La controparte individuale di questo fenomeno è esemplificata dal Boscolo con gli studenti, che oltre ad avere successo negli studi, sono amati dagli altri compagni per i loro comportamenti prosociali tesi a favorire l’apprendimento di tutti. A questi casi di responsabilità sociale si può attribuire anche l’aumento delle prestazioni cognitive dell’intera classe e in gene-rale il maggior scambio tra singolo e gruppo (Boscolo 1997, p. 175).Inoltre, i contenuti di apprendimento riguardano non la singola routine e schemi operativi, ma soprattutto le strategie e gli stessi elementi di controllo dell’appren-

46

Formare per formare nella complessità

dimento. Infatti è proprio la elevata consapevolezza di questi elementi che consente la elaborazione dei repertori di strategie produttive e la loro selezione più adegua-ta. La patologia correlata è individuabile nel senso di onnipotenza generato dal-la abilità a cambiare come fonte di successo e della connessa paura di smettere di cambiare.

2.3. L’organizzazione che imparaIl CEFMECTP, dunque, si è posto come un’organizzazione che pone l’innovazione come un riferimento per il proprio sviluppo strategico. Ciò consente di prendere in esa-me l’organizzazione come unità produttiva sempre più frequentemente rappresentata da professionalità che interagiscono, in modo temporaneo o definitivo, spesso a prescindere dai contenuti e dalle interazioni organizzative codificate e strutturali che costituiscono il repertorio di routine consolidate.Per il CEFMECTP si può parlare, così, di learning organization (Senge, 1990)50, in relazione a uno degli assunti che consiste nel considerare le strutture sociali come un costrutto artificiale e umano in un momento della storia dell’economia in cui le imprese hanno la necessità di introdurre modelli organizzativi centrati su una mag-giore partecipazione degli individui a processi organizzativi che hanno impatti di-retti nei processi decisionali. Come è noto, saperi dei singoli e saperi dell’organizzazione potrebbero essere considera-ti due fattori che convergono verso l’idea che conoscere non consiste unicamente nello scoprire o rilevare ciò che: “… lo sapevo… abbiamo sempre fatto così…”51 ma, anche, nel progettare nuove strutture in una dimensione sociale che si situi in un alveo orga-nizzativo già preesistente che può fare da incubatore dell’identità dei ruoli organizzativi ridefiniti e conferire la possibilità di interrelare e interconnettere il sistema organizzativo e l’ambiente secondo finalità riconoscibili.

50 A questo proposito Senge (1990), op. cit., introduce il termine Quinta Disciplina. Il suo testo, che porta lo stesso titolo, rappresenta uno dei riferimenti per lo sviluppo dei principi della learn-ing organization, che ha trovato accoglienza sia per gli indirizzi pragmatici alla lettura delle or-ganizzazioni intese come “oggetti” capaci di apprendere, sia teorici, nell’ambito dello studio dei modelli organizzativi necessari affinché le organizzazioni possano essere capaci di apprendere.

51 Si tratta di due affermazioni che fanno, spesso, constatare una forma di difesa dei propri sa-peri. Ogni caso è uno e il significato inteso o il messaggio implicito va rilevato in ogni situa-zione. Non si tratta quindi di una generalizzazione. Si sottolinea che la difesa dei saperi riletta anche come difesa della propria identità professionale e della tendenza a ricondurre il con-fronto ai propri schemi viene proposta con il beneficio del riferirsi a situazioni molto frequen-ti osservate e rilevate.

47

Formare per formare nella complessità

La conoscenza, nelle organizzazioni, dal fordismo al post-fordismo, è stata oggetto di stu-dio e ricerca anche all’interno di quel filone che prende il nome di knowledge management (KM). Secondo questa interpretazione la ricerca compiuta negli ultimi dieci anni si con-clude con il rovesciamento del paradigma tradizionale del rapporto tra le imprese e le co-noscenze: le conoscenze, da “oggetti” acquisibili e immagazzinabili come altre risorse ma-teriali aziendali, diventano risorse da vagliare alle stregua di altre risorse materiali e imma-teriali all’interno di una “natura relazionale e processuale della risorsa conoscenza”. Infatti: «… la conoscenza è il processo individuale e organizzativo con il quale i problemi vengono continuamente definiti, scomposti, modificati, ristrutturati. Le pratiche di KM, per assu-mere un ruolo autonomo rispetto agli altri sistemi operativi dell’impresa, devono essere in grado di creare valore facendo leva su questa dimensione processuale ed endogena all’indi-viduo e all’organizzazione della conoscenza» (Venier, 1998,)52. Le conoscenze possono essere viste come un “asset” o capitale intangibile che viene uti-lizzato dall’impresa per creare, mantenere competitivi, offrire i propri prodotti/servizi. Se si parla di learning organization, può essere utile considerare il patrimonio delle cono-scenze come insieme di componenti del “capitale intangibile” dell’impresa. Inoltre con una analogia con il patrimonio di conoscenze dell’individuo, si può parlare di:

abilità gestionali e valori organizzativi, cioè conoscenze per supportare il dispie-•gamento coordinato degli “asset” tangibili e intangibili che possono consentire all’azienda di raggiungere i propri obiettivi strategici e operativi. Si riconduco-no, in particolare, ai sistemi di coordinamento e controllo, ai valori diffusi, ai metodi gestionali, alle tecniche manageriali…schemi di conoscenza-azione operativa• , ripetibile nell’uso di asset ai fini di creare, produrre e offrire prodotti/servizi per il mercato di riferimento. Si riconduco-no, in particolare a schemi cognitivi di gestione delle tecnologie, dei flussi, del mercato, del prodotto, dei servizi…schemi di conoscenza-azione specifici, utilizzabili in contesti specialistici o relativi• all’uso di asset specialistici. Si riconducono in particolare a schemi cognitivi di indagine diagnostica, di progettazione, di rassegna e ideazione, di marketing e di manutenzione…insiemi di credenze• , relativi sia al “potere” interno che al funzionamento dell’or-ganizzazione (obiettivi e politiche), sia al rapporto di causa-effetto tra i fenome-ni implicati riguardanti tecnologie, mercati, clienti, materie prime.

52 Venier F., Knowledge Management “Sviluppo e Organizzazione”, 1998, n. 178.

48

Formare per formare nella complessità

Secondo alcuni autori53, l’affermazione che l’organizzazione impara è una contraddizio-ne di termini, in quanto a imparare sono comunque le persone.Se le organizzazioni apprendono solo attraverso i componenti del gruppo, è anche vero che essi imparano attraverso l’esperienza sviluppata nelle situazioni organizzate. L’esi-stenza di questa differenza è tra l’altro dimostrata dal fatto che le organizzazioni non possono apprendere senza l’esperienza e le azioni dei singoli individui, ma non impara-no tutto quello che gli individui apprendono (Argyris-Schon, 1978).Questo paradosso è spesso presente in letteratura e costituisce una difficoltà ben nota ai ri-cercatori. Alcuni hanno tentato di superarla approfondendo il ciclo dell’apprendimento in-dividuale e considerando per analogia quello organizzativo, mentre altri hanno puntato sullo studio delle dinamiche psicosociali dei gruppi per evidenziare le resistenze al cambiamento.Riteniamo invece che la soluzione vada ricercata nello studio della relazione tra persona e gruppo organizzato e nel complesso scambio che la caratterizza. Per superare il para-dosso e altre difficoltà, è dunque necessario focalizzarsi sulla relazione che si instaura tra singola persona e gruppo, all’interno dell’organizzazione, e che sta alla base dei sistemi di apprendimento. Il sistema formativo dà forma e condiziona il tipo di apprendimento realizzabile da una organizzazione, ma la trasformazione dell’innovazione in cambiamento, quindi la capa-cità di apprendere dell’organizzazione, è strettamente collegata alle capacità e alla moti-vazione di apprendimento dei singoli. Pertanto l’apprendimento organizzativo può essere descritto e spiegato evidenziando:

il legame di interdipendenza tra individuo e gruppo organizzato;•le regole che governano lo scambio di competenze;•le capacità, le conoscenze, gli atteggiamenti e le aspettative che caratterizzano il •ruolo professionale di ciascuno nella rete dei ruoli;i contenuti conoscitivi necessari al funzionamento organizzativo. •

L’idea che l’organizzazione non si limiti all’uso e allo scambio delle conoscenze ma le produca essa stessa e che possa essere considerata come uno strumento conoscitivo, che utilizza modelli di sperimentazione scientifica è una tesi attualmente molto dibattuta e sviluppata, sia nelle discipline economiche sia in quelle manageriali.Nelle scienze economiche si fa sempre più pressante l’esigenza di elaborare una sorta di «economia della conoscenza» che riesca a collegare la «teoria tradizionale del comporta-

53 Si può ritrovare una interessante rassegna di vari punti di vista in proposito in un articolo di Camuffo A., Competenze. La gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscen-za organizzativa, “Economia & Management”, n. 2, 1996, ETAS.

49

Formare per formare nella complessità

mento economico con gli strumenti cognitivi sottili, ossia differenziati e flessibili, che i soggetti economici devono impiegare per agire razionalmente in un mondo a elevata complessità» (Rullani, 1994).Nelle scienze manageriali la necessità di costruire e gestire organizzazioni che siano non solo flessibili e adattabili ma anche in grado di elaborare autonomamente nuovi percorsi e nuovi modelli produttivi è vista come uno degli obiettivi attuali di mag-gior rilievo (Senge, 1992). Alcuni recenti contributi individuano nella capacità di elaborare nuove conoscenze uno dei tratti più notevoli delle organizzazioni innova-tive e approfondiscono il tema rappresentando il ciclo cognitivo come un proces-so evolutivo che si svolge lungo due assi: quello del passaggio da implicito a espli-cito e quello del circuito individuo-gruppo-individuo. Quest’ultimo è considerato come un vero e proprio processo di conversione delle conoscenze individuali in co-noscenze che vengono socializzate, esplicitate, formalizzate, combinate con quelle di altri gruppi o persone e, infine, rese attive e nuovamente interiorizzate dai singoli (Nonaka, 1997, p. 97)54.

2.4. Creazione della conoscenza e apprendimento55

Il modo in cui le competenze si formano, si sviluppano, si diffondono e si stratificano nell’organizzazione è oggetto del sistema formativo. Ciò si verifica sia nel caso in cui si conferma un sapere tacito che si è esternato mediante un processo di consapevolezza, sia nel caso in cui un sapere dell’innovazione, della cui incompetenza si era consapevoli, necessiti di un piano di apprendimento e di sperimen-tazione guidata e così via.In ogni caso occorre che la conoscenza sia:

riconoscibile;•rilevabile/• creabile;correlabile ai processi di produzione del servizio;•generatrice di competenze.•

Per la costituzione di un sistema formativo alcuni elementi portanti di decisione, ol-tre ai paradigmi dell’organizzazione, si possono ricercare in senso più ampio nell’am-bito della teoria dell’organizzazione (organization theory). Con specifico riferimento alla dinamica sottostante alla creazione delle competenze, la conoscenza è vista come

54 Nonaka I., Takeuchi H., 1997. 55 Una ricognizione accurata dello spettro semantico del termine “conoscenza” nei contesti orga-

nizzativi e nell’evoluzione storica del loro sviluppo si trova in Lanza A., 2000.

50

Formare per formare nella complessità

risorsa, analizzata nelle sue componenti dinamica e relazionale e i rapporti che la le-gano alla struttura organizzativa sono oggetto di numerosi studi56 e interpretazioni. In particolare un modello che ha trovato ampi consensi interpretativi e applicativi è quello di Nonaka57 che prevede che la conoscenza non venga solo distribuita nell’or-ganizzazione ma anche prodotta, creata al suo interno tramite l’agire organizzativo dei soggetti. «Secondo gli autori che studiano l’organizational learning, l’impresa è un attore economico che basa il proprio funzionamento su routine knowledge-based che tendono a evolvere in sintonia con l’ambiente in cui l’impresa è inserita» (Vero-na G., 2000, p. 59). Le routine knowledge-based possono sostanzialmente essere intese come la parte conven-zionale della conoscenza organizzativa gestita per abitudine, in modo automatico, che consentono l’accumularsi delle competenze organizzative.«Le ragioni di questo accumulo sono essenzialmente tre:

efficienza (alta velocità e bassa costosità) nell’impiego;•valenza politica (riduzione del potenziale conflitto decisionale richiesto per la •soluzione di un problema);coordinamento di attività organizzate» (Narduzzo e Warglien, 1997, pp. 67-90)• 58.

«Il funzionamento dell’impresa è quindi basato sullo sfruttamento (exploitation) del-le competenze che vengono routinizzate». (Verona G., 2000, p. 60). Questo com-portamento crea una sorta di inazione, di rilassatezza che riduce lo stato di tensione sociale, tendendo a sviluppare competenze e conoscenze nell’ambito del sistema di routine esistente che è, può essere, rassicurante, meno minacciante in quanto più prevedibile per i singoli e per i gruppi sociali formali e informali che caratterizza-

56 Uno studio essenziale con un’ampia bibliografia è proposto da Fanelli A., 2001. “Gli studi organizzativi contribuiscono allo sviluppo della prospettiva resource based con specifico rife-rimento alla dinamica sottostante alla creazione delle competenze… Sono soprattutto le teo-rie sulla learning organization che, oltre a occupare un posto centrale nell’ambito degli studi organizzativi, negli anni più recenti hanno permesso di arricchire il frame sui fattori d’im-presa… L’originaria influenza del dibattito microeconomico ha infatti portato a enfatizzare soprattutto la parte statica della prospettiva. L’aspetto più dinamico è invece stato sviluppato oltre che dalla teoria evoluzionista anche grazie alla profonda influenza degli studi behaviori-sti propri dell’Organization Theory (Verona G., 2000, p. 59).

57 Nonaka I., Takeuchi H., op. cit.58 Narduzzo A., Warglien M., Le routine come competenza organizzativa, in Lipparini A. (a cura

di), Le competenze organizzative, Carocci, Roma, pp. 67-90, 1997.

51

Formare per formare nella complessità

no l’organizzazione. «Analogamente, la conoscenza esterna che riuscirà a assorbire al suo interno dipenderà dalla coerenza che essa ha con il suo patrimonio di routi-ne» (Verona G., 2000, p. 60). L’innovazione nei contesti indirizza l’impresa a con-frontarsi anche con il mondo esterno al fine di avviare percorsi di apprendimento che possono integrarsi con la routine, operando processi di ridefinizione funziona-le alla gestione del mantenimento, dello sviluppo o del consolidamento del proprio business.Tutto ciò può comportare che il sistema formativo si muova lungo tre direttrici:

far evolvere la specie dei saperi interni;1. lavorare sulle condizioni che possono favorire i processi di integrazione delle co-2. noscenze e competenze esterne con quelle consolidate;promuovere la generazione di nuovi saperi.3.

A questo scopo si può porre come riferimento un modello classico basato su tre fasi:

la• variazione delle competenze che ha come scopo quello di alimentare il reper-torio di routine organizzative attraverso l’attivazione dei processi innovativi di scoperta di nuove soluzioni;la• selezione che ha lo scopo di circoscrivere le competenze idonee a favorire lo sviluppo di soluzioni ritenute più adatte;la• ritenzione che ha lo scopo di consentire all’impresa di memorizzare in rou-tine, di livello superiore, quanto precedentemente prodotto, riprodotto e sele-zionato.

Si tratta di gestire processi di variazioni nei sistemi operativi e nella rete delle relazioni umane.«… Più analiticamente, il processo di exploration che opera una funzione di orien-tamento verso nuove soluzioni dipende in misura critica dalla ricombinazione delle competenze così come viene operata dai sistemi di comunicazione interna, dai mec-canismi di gestione della R&S, dalle politiche di staffing dei team innovativi e dalla politica di mobilità del personale. Il processo di selezione, che funge invece da filtro della varietà generata, è messo in atto grazie sia ai meccanismi di gestione del per-sonale (quali i sistemi di reclutamento, carriera e incentivazione) che indirizzano ex ante le scelte operate dall’organizzazione, sia all’impiego di meccanismi decisionali che invece determinano ex post le alternative da perseguire e quelle da scartare. La ritenzione dipenderà infine dalla sedimentazione delle competenze e delle persone, rispetto alle quali gioca pure un ruolo fondamentale il mix di politiche di gestione del personale precedentemente evidenziato» (Verona G., 2000, p. 61).

52

Formare per formare nella complessità

2.5. La stratificazione delle conoscenzeApprofondendo l’indagine sui contenuti degli scambi informativi è possibile anche evi-denziare meglio come il sistema formativo nel suo modo di filtro condiziona la circola-zione delle conoscenze, ne determina una stratificazione e in tal modo influenza a fondo l’apprendimento. Il repertorio delle conoscenze individuali è, in genere, più ampio di quello necessario a svolgere il proprio ruolo nell’organizzazione.Il confine tra utilizzato e non utilizzato è ben presente ai singoli, che ne sono consape-voli, ed è netto nel caso dell’esplicito e del formalizzato (mansionari e repertori profes-sionali che definiscono conoscenze e capacità), mentre è meno chiaro nel caso di cono-scenze e abilità più profonde, tacite, anche se, ovviamente, si verificano travasi e recipro-ci condizionamenti.Il sistema formativo può svolgere il ruolo di filtro conoscitivo facendo in modo che si possano rendere disponibili queste risorse nell’organizzazione.Quando le attività sono routinarie, le conoscenze utilizzate sono prevalentemente inne-state nell’esperienza. Le altre restano fuori dai circuiti della produzione e si può ipotiz-zare che non vengano utilizzate in quanto i sistemi formativi non sono in grado di trat-tarle e di assorbirle. Ne consegue che se si vogliono far entrare, anche dall’esterno, nuove conoscenze nel si-stema organizzativo, bisognerebbe farle riconoscere al sistema formativo e confrontarle con il repertorio delle conoscenze non utilizzate.Gli stereotipi conoscitivi, i modelli di comportamento, le aggregazioni di valori che spes-so sono indicate come sistemi di credenze (belief system) rappresentano comunque un portato caratterizzante la cultura dell’impresa (Campagna L., Pero L., 1995, p. 225)59.Se si approfondisce dunque l’analisi delle conoscenze usate e dei sistemi di credenze è possibile individuare una loro ulteriore suddivisione in esplicite e implicite. Le prime definiscono le strutture formali e le regole organizzative, tecnologiche e di controllo e, in genere, sono indicate come modello organizzativo esplicito e come ruoli. Le secon-de, implicite o tacite, sono individuabili da un lato, nei valori e nella cultura profonda e condivisa dell’organizzazione e, dall’altro, nei modelli conoscitivi elementari che non vengono esplicitati e che costituiscono il fondamento di quelli espliciti.Tutto questo si stratifica e diventa oggetto di analisi quando si mettono in relazione i piani formativi con i sistemi di apprendimento. Infatti è possibile individuare tre dif-ferenti circuiti che si avviano come reazione del gruppo di fronte alle sollecitazioni co-gnitive del singolo e che producono, attraverso i sistemi formativi, tre diversi ritorni sui diversi strati (cfr. figura. 7).

59 Op. cit.

53

Formare per formare nella complessità

Stratificazione delle conoscenze

Figura 7. Stratificazione delle conoscenze.

Il primo circuito si sviluppa quando le nuove conoscenze e i giudizi dei singoli, vagliati e accettati dal gruppo di riferimento, producono un miglioramento (o la scoperta di errori) nello svolgimento di modi e attività specifiche e quindi consolidano o adattano la routine operativa di base: è il caso in cui l’organizzazione riesce a migliorare a poco a poco le sue performance mantenendosi entro gli schemi già adottati e riducendo gli errori. La lettera-tura ha omologato questo ciclo col termine singleloop (Argyris C., Schon D., 1978).Il secondo circuito invece si innesca quando l’interazione persona-gruppo porta a un cambiamento del modello conoscitivo esplicito su cui è basato il funzionamento dell’or-ganizzazione e, quindi, delle sue regole formali e dei suoi sistemi di controllo espliciti; ed è frequentemente connesso al cambiamento dei ruoli e delle funzioni. Anche que-sto ciclo è ormai noto in letteratura col termine double loop. Il terzo circuito, esplora-to soprattutto dalle ricerche sulla cultura organizzativa e sulla conoscenza socializzata, è connesso ai modelli conoscitivi impliciti e, per brevità, può essere indicato come cam-biamento/mantenimento di paradigma del controllo e dell’organizzazione. Tale circui-to, che provoca cambiamenti molto ampi e profondi, si evolve lentamente, o si attiva

1

CONOSCENZE USATE DALL’ORGANIZZAZIONE

RUOLIROUTINE

MODELLO ESPLICITO

MODELLO IMPLICITO

AZIONE/CONOSCENZA DEL GRUPPO

ORGANIZZATIVO

AZIONE/CONOSCENZA

DELLA PERSONA

CONOSCENZE PERSONALI NON USATE

3

2

54

Formare per formare nella complessità

rapidamente, quando è collegato a eventi traumatici o a cambiamenti resi ineluttabili da una necessità o imposizione. I tre circuiti, pur se distinti, interagiscono fortemen-te poiché le conoscenze sono collegate e “riposano una sull’altra” come su diversi strati. Ciò permette di capire come spesso operino veri e propri vincoli di incompatibilità co-gnitiva: certi approcci non possono essere adottati perché confliggono, ad esempio, con i modelli impliciti.Questa osservazione può essere generalizzata fino a suggerire che il successo del cambia-mento e dell’apprendimento dipende dalla capacità di rendere permeabili i vari strati co-noscitivi. Infatti la stessa capacità di apprendere ad apprendere, o meglio di aumentare la propria abilità di cambiare il modello di conoscenza e di azione, che, seguendo Bateson, solitamente viene indicato come deutero-learning, è legata, da un lato, alla flessibilità e adattabilità e, dall’altro, alla varietà dei modelli cognitivi. In sintesi, emerge che i circuiti che portano al cambiamento dei diversi strati di cono-scenza sono interpretabili come forme di apprendimento organizzativo.

Capitolo 3Le macrofasi del processo formativo60

Quanto più lo scenario nel quale l’organizzazione opera è complesso, tanto maggiore è la necessità di dare una dimensione a ogni fase del processo formativo, tenendo conto, però, che proprio la complessificazione dei processi può rendere per molti aspetti ob-soleta una rilevazione dei fabbisogni di tipo lineare-sequenziale. Detto in altri termini, la mobilità strutturale delle organizzazioni che operano nella complessità, che esige il miglioramento continuo delle perfomance e l’aggiornamento costante dei ruoli e delle posizioni professionali, impone una rilevazione dinamica dei fabbisogni formativi, capa-ce di cogliere, attraverso un monitoraggio permanente, le incessanti trasformazioni che intervengono nella vita dell’organizzazione e le ripercussioni che esse hanno sulla sfera personale e professionale dei soggetti. Questi ultimi, in sostanza, sono chiamati a mi-surarsi con il cambiamento su più piani: cognitivo (hanno il compito di comprendere e interiorizzare le ragioni del cambiamento); emotivo (hanno il compito di vincere le resi-stenze e accogliere le ipotesi di una modificazione del proprio sistema di convinzioni); motivazionale (hanno il compito di farsi parte proattiva nel cogliere o ricercare gli stimoli che rendano un traguardo motivante); strategico-operativo (hanno il compito di riuscire

60 Per questo paragrafo cfr. il 3° capitolo del mio quaderno di formazione: La Formazione e i suoi Sistemi, Monolite, Roma, 2002.

Ringrazio il Prof. Carmelo Piu, direttore della collana per avermi consentito questa rielabora-zione.

55

Formare per formare nella complessità

a rappresentarsi sia gli obiettivi sia il percorso che conduce alla loro realizzazione, preve-dendo le azioni necessarie lasciando corso al rigore, alle applicazioni di schemi consoli-dati, ma anche alla creatività). Per gli individui si prospetta così l’esigenza di sviluppare consapevolezza sull’incertezza e sulle sollecitazioni che il cambiamento comporta nelle dimensioni esperienziale e relazionale che caratterizzano la sfera delle competenze speci-fiche del ruolo, ma anche nella rete dei ruoli coinvolti e nelle relazioni umane e profes-sionali che ne conseguono.

Finalità Obiettivi Metodologia FeedbackRilevazione fabbisogni formativi

Progettazione educativa e didattica

Rilascio attività formative

Verifica e valutazione

Contesto esterno- Cultura- Cultura di settore- economia

Contesto organizzativo

Contesto “persona” ruoliRisorse, convinzioni, valori

Contesto “persona” allievo/iCaratteristiche cognitive, affettive e relazionali

Stabilire gli obiettivi, cosa e come fare per perseguirli

Scegliere le metodologie

Descrivere gli obiettivi relativi ai “saperi” di:- Conoscenza- Comprensione- Applicazione

Determinare i collegamenti con i bisogni di sviluppo

Attività in aula, stage, studio in aula e a casa su materiali e dispense

Altri luoghi della formazione territorio internet

Sistema di valutazione dell’apprendimento- formativo e feedback individualizzato- Sommativo- Comunicazione dei crediti

Sistema di monitoraggio del processo di apprendimento

Sistema degli outcome dell’apprendimento- Organizzativi- professionali- Qualità del servizio formativo

Figura 8. Le macrofasi del Sistema formativo

56

Formare per formare nella complessità

3.1. La rilevazione dei fabbisogni I bisogni formativi possono essere analizzati e descritti sulla base dell’esigenza dei ser-vizi61, dell’innovazione tecnologica e dell’innovazione normativa ma, immediatamente dopo, è necessario verificare quali sono i ruoli ricoperti all’interno dell’organizzazione da ogni singola risorsa e, nello stesso tempo, se le funzioni e i compiti che si svolgono da sempre, magari con maestria, necessitano di una revisione, di un ritorno, di un coin-volgimento di una determinata risorsa che, spesso, non è consapevole della necessità di avere quelle esigenze. Le finalità organizzative e gli obiettivi di un ruolo interagiscono con le finalità professionali e con gli obiettivi consapevoli e inconsapevoli che l’individuo che gestisce quel ruolo si assegna. Oltre alle esigenze di sapere dichiarativo e procedurale62 vanno, di conseguenza, prese in esa-me alcune dinamiche che si riferiscono alla relazione con il potere, con le visioni e le credenze che la cultura dell’organizzazione induce all’interpretazione dei ruoli. La fase della rilevazio-ne dei fabbisogni è particolarmente critica perché strettamente connessa alle decisioni della committenza. A scopo didattico, si propongono tre casi che possono essere letti su un conti-nuum; su una polarità si presentano le situazioni in cui il Sistema Formativo (da ora SISFO), non è coinvolto in fase di decisioni da parte dei committenti; sull’altra il SISFO viene dele-gato a sviluppare la rilevazione del fabbisogno in una situazione strutturale di collegamento con il sistema di gestione delle risorse umane. Se le decisioni di riposizionamento strategico, o comunque di gestione dello sviluppo organizzativo, sono già state prese e sono stati ridisegnati i ruoli e le attività, il SISFO ha il compito di operare un bilancio delle competenze delle famiglie professionali e delle fa-sce di ruolo per stabilire il GAP di competenze, disegnare i servizi e i processi formativi e fornire come output i saperi ridefiniti.

Se il SISFO è coinvolto nella fase di decisione, ha il compito di operare an-•che una ricognizione dei saperi espliciti necessari, mediante attività di ricerca. Quindi la fase di analisi dell’offerta formativa segue il disegno e la ridefinizione delle attività e dei ruoli.Se il SISFO è all’interno dell’organizzazione che si trova già in fase di consolidamen-•to, avrà il compito di operare un monitoraggio continuo della domanda e dell’offer-ta, interne e esterne, di sviluppo delle competenze, nella prospettiva di contribuire alla gestione del miglioramento continuo. In questi casi il SISFO si interconnette, in genere, con il mercato della consulenza e della formazione dei vari settori produt-tivi, per accedere alle fonti informative con tempestività e magari anticipando le de-cisioni interne di sviluppo delle competenze.

61 Quaglino Q. P., 1986.62 Gagné, E. D., 1989.

57

Formare per formare nella complessità

Se il SISFO è in collegamento con il sistema di sviluppo e gestione delle risorse •umane, la rilevazione delle esigenze può diventare accurata e approfondita per-ché può essere messa in relazione al sistema di valutazione della prestazione del singolo e, di conseguenza, garantire l’attenzione a ciascun lavoratore sul piano di apprendimento di tutta la vita professionale nell’organizzazione.

In sintesi le variabili della fase di rilevazione dei fabbisogni possono essere ricondotte all’analisi di:

3.1.1. Contesto Esterno3.1.1. mercato/servizi/ambiente istituzionale3.1.2. tecnologia3.1.3. normativa3.1.2. Contesto Interno (o contesto organizzativo)

posizionamento dell’organizzazione nel contesto istituzionale o nel mercato •definizione di • scopi, valori sociali, economici e culturaliridefinizione dei ruoli• 63

ridefinizione delle funzioni e delle posizioni di lavoro•ridefinizione dei processi organizzativi•ridefinizione delle reti di relazioni interne ed esterne fra ruoli•ridefinizione del sistema dei vincoli e dei gradi di libertà possibili.•

3.1.3. Contesto “Interno” (o contesto dei propri dialoghi interni), cioè un insieme di dina-miche interne all’individuo relative ai processi di ridefinizione dei saperi, dei processi di apprendimento64 e della relazione con il proprio apprendimento.

63 Il riferimento è al modello di Katz e Kahn. Cfr. Katz D. & Kahn R.L., La Psicologia Socia-le delle Organizzazioni, Etas Kompass, Milano, 1968), che definisce il ruolo come l’insieme delle capacità, conoscenze, atteggiamenti, atti a rispondere alle aspettative che i ruoli inter-connessi determinano per la produzione del servizio e alle aspettative che il ruolo ha verso gli stessi ruoli. Per quanto riguarda la ridefinizione dei ruoli, che comporta la revisione delle variabili da cui far derivare l’insieme delle competenze da integrare nei progetti formativi, si fa invece riferimento al modello di Campagna L. e Pero L., La professionalità nell’era del pst-fordismo, “Lettera Fim”, 13, n. 1, 2002, pp. 2-10, e Teamwork e ruoli organizzativi, “Sviluppo & Organizzazione”, n. 187 settembre/ottobre 2001.

64 Si tratta della dimensione intrapsichica osservabile, che appartiene al campo dell’apprendimento che il SISFO può gestire. Gli interventi formativi sono rivolti agli adulti e come tali sono regolati da processi psichici e sociali che richiedono setting opportuni e metodologie coerenti.

58

Formare per formare nella complessità

3.2. La progettazione formativa Una volta individuati i fabbisogni, diventa necessario costruire una banca dati dell’offerta formativa. Costruire una banca dati dell’offerta formativa significa ope-rare una ricognizione delle attività esterne, reperibili sul territorio nel quale si ope-ra, su quello nazionale (e, perché no?, anche all’estero), presso istituzioni che ope-rano nel campo della formazione; inoltre, è utile che la costruzione della banca dati dell’offerta porti con sé le modalità procedurali per il coinvolgimento, i criteri e le regole per l’iscrizione del singolo all’attività, il livello di coinvolgimento personale rispetto agli aspetti che regolano il contratto di lavoro. Questo aspetto non è tra-scurabile, sia in riferimento a una efficace gestione delle risorse umane, sia rispetto ai livelli di responsabilità reciproca sugli eventuali costi da sostenere, e anche per-ché alla base della formazione continua c’è la necessità di rendere visibile la certifi-cazione verso l’interno e verso l’esterno, rendendo tangibile il valore che il corso ha contribuito a produrre. Infine, una conseguenza è quella di dover disporre di un si-stema informativo per i responsabili e per i partecipanti che consenta di ricostruire i tracciati formativi di ognuno. La domanda formativa va ricercata, di conseguenza, anche nell’analisi della posizione di lavoro ricoperta e nei flussi di comunicazione che “transitano” per quella posizione di lavoro e, infine, in funzione del bilancio di competenze 65 dei singoli. Definire, strutturare un processo di formazione significa decidere in modo intenzionale e situazionale come favorire la crescita professionale continua degli abitanti dell’organiz-zazione. La formazione, dicevamo, può diventare una leva, una risorsa per lo sviluppo delle risorse umane e, di conseguenza, per la qualità del servizio. Si tratta di prendere le mosse da una mappatura dei fabbisogni e, da lì, tracciare i percorsi per ciascuno nella piena riformulazione di un contratto professionale di responsabilità reciproca che porta a condividere valori e scopi di servizi, piani di lavoro, metodi e strumenti professiona-li, obiettivi.Non è un caso che la terza fase del processo rappresenti l’attività formativa. Può essere necessario affiancare alle attività che formano, una formazione che fa emergere emozioni, sentimenti, stati d’animo e, poi, concetti, modelli, teorie da mettere a confronto con la pragmatica della quotidianità.

65 I termini “competenze”, “bilancio di competenze” sono molto abusati. Per una ricognizione sistematizzata delle possibili interpretazioni si può vedere: Di Fabio A., Bilancio di competenze e orientamento formativo. Il contributo psicologico, Firenze, Giunti-O.S., 2002. Per una lettura del bilancio di competenze nell’ottica dell’apprendimento per tutta la vita, il lifelong learning, che evidenzia il “trinomio competenze-formazione-età adulta”, si veda Alberici A., Serreri P., Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di competenze, Roma, Monolite, 2003.

59

Formare per formare nella complessità

Le attività possono essere individuate, infine, a partire dalla gap analysis, cioè da un insieme di rilevazioni che si riconducono all’analisi degli scostamenti fra i servizi for-mativi erogati e la percezione della qualità da parte dei destinatari. Tutto ciò può im-plicare la necessità di rilevare i bisogni reali dei destinatari, distinguendo i bisogni dal-le aspettative. La cultura del servizio, nell’ambito del sistema formativo, può favorire un processo di comunicazione funzionale allo sviluppo delle competenze dei singoli e dell’organizza-zione, se alle intenzioni di sviluppo o consolidamento organizzativo fanno seguito de-cisioni di metodologia formativa coerente con un sistema di aspettative e di bisogni. La gap analysis può introdurre criteri di misurazione e soprattutto di correlazione fra i bisogni e i servizi, cioè fra le esigenze di integrazione fra i vari saperi dell’individuo e dell’organizzazione e le forme e i modi di gestione del processo di insegnamento-apprendimento. Quando l’ambiente esterno è evoluto con prevedibilità e lentezza, i sistemi organizzativi hanno standardizzato i modi della produzione e hanno costituito le proprie regole orga-nizzative. L’apprendimento, dunque, non è costruito soltanto dalle persone, ma è anche un fatto organizzativo, di sistema66. È vero che sono le risorse umane a produrre apprendimento, ma nel passaggio dall’organizzazione statica delle posizioni a quella dei ruoli, i nuovi legami orga-nizzativi che ne derivano diventano nuova configurazione, nuovo ambiente e deter-minano anche per il sistema formativo stesso una rinnovata cultura e un rinnovato sense making67.

66 Senge P.M., La quinta disciplina, L’arte pratica dell’apprendimento organizzativo, Milano, Sperling & Kupfer, 1992. Sull’argomento può essere utile consultare anche: Zamarian M., Le routine organizzative. Percorsi di apprendimento e riproduzione, Torino, UTET, 2002; Zucchermaglio C., Vygotskij in azienda. Apprendimento e comunicazione nei contesti lavorativi, Roma, Carocci, 1998; Falduto L. - Palitto M., Un modello manageriale per l’or-ganizzazione che apprende, in “L’Impresa” 6-1996; Fanelli A. (a cura di), Le organizzazio-ni che apprendono, in “Le raccolte di Sviluppo & Organizzazione”, n. 17, Milano, ESTE, 2001; Bonani G.P., La sfida del capitale intellettuale. Principi e strumenti di Knowledge Management per organizzazioni intelligenti, Milano, Franco Angeli, 2002; Camuffo A., Sistem dynamics: l’organizzazione come rappresentazione ed apprendimento, in “Economia e politica industriale” n. 81, 1994; Garvin D. A., Come creare la learning organization, in “Harward Business Review”, luglio-agosto 1994; Miggiani F. - Scillerta V., Progettare l’apprendimento organizzativo, in “Sviluppo & Organizzazione”, Milano, ESTE, settem-bre-ottobre 1992; Nonaka I., Come un’organizzazione crea conoscenza, in “Economia & Management” 3-1994.

67 Alberici A., 1999.

60

Formare per formare nella complessità

Le organizzazioni, che hanno avviato progetti di cambiamento, si sono misurate con i fenomeni della condivisione dei progetti di innovazione o del suo rigetto; hanno do-vuto confrontarsi con i livelli di coesione delle risorse umane che, consapevoli dei ri-schi o delle nuove possibilità che si dischiudevano, hanno agito il cambiamento par-tecipando, mettendo in discussione convinzioni, valori, saperi. A volte lo hanno fatto consapevolmente, altre non hanno avuto il tempo di agire sulla consapevolezza perché il mercato non lo ha consentito e sono stati costretti a farlo. Nelle nuove costellazio-ni organizzative che tanto incidono sulla concezione e strutturazione dei sistemi for-mativi, diventa necessaria una reinterpretazione dinamica dell’orizzonte di scopo del sistema stesso.Diventa necessario definire, pertanto, l’evoluzione dei ruoli professionali, il reper-torio di competenze da porre a fondamento della costruzione dei processi formativi in ognuna delle fasi descritte, al fine di seguire e governare l’evoluzione dei sistemi di formazione. Sarebbe contraddittorio facilitare i processi di sviluppo delle risorse umane e dell’organizzazione senza intervenire sull’evoluzione degli strumenti, delle tecniche, delle metodologie e degli schemi di apprendimento, dei modelli di inse-gnamento. Il sapere pedagogico e quello andragogico sono stati ripartiti nelle capacità di generare:

sapere invariante• rispetto alle attuali modalità di apprendimento degli adulti coinvolti;sapere generatore • di saper apprendere nel corso della vita organizzativa;saper per saper divenire• nella complessità con il controllo/gestione dei rischi che derivano dalla minaccia all’identità del singolo in funzione dei ruoli che inter-preta o di cui è portatore.

Quest’ultimo sapere, in particolare, ha comportato una cooperazione funzionale da svi-luppare all’interno del setting sociologico che opera per analizzare il contesto organizzati-vo e quello esterno al fine di individuare i fenomeni che possono interessare ogni ruolo quando è immerso nei processi di comunicazione interpersonale, organizzativa e ma-nageriale nella rete dei ruoli di cui fa parte; i setting psicologici, rispettivamente sociale e dell’apprendimento in riferimento alle dinamiche dei gruppi e alla metacognizione, han-no fornito interpretazioni e strategie di rilevanza teorica e metodologica. Gli studi sulle intelligenze multiple hanno messo in evidenza che, forse, la complessità dell’ambiente che la mente umana ha concorso a determinare richiede una multiformità di processi intellettivi, emotivi e socio-relazionali da introdurre intenzionalmente nel campo della formazione, inteso come luogo di incontro fra potenzialità di apprendimento, strategie di insegnamento e realizzazione di apprendimenti multiformi che possono entrare a far parte del campo dell’azione formativa intenzionale.

61

Formare per formare nella complessità

3.2.1. Decisioni progettuali, sviluppo e realizzazione dei processi e dei servizi formativiÈ l’area di confine fra l’analisi organizzativa, la definizione dei gruppi di progettazione e le scelte metodologico-didattiche, in quanto si definiscono e si negoziano, di fatto, i destinatari, i ruoli da coinvolgere nella fase di rilevazione, di analisi della domanda e di analisi delle competenze pregresse, dei livelli di esperienza.Si formulano le ipotesi sul tipo di attività formativa sulla base delle aspettative della committenza e dell’analisi precedentemente svolta, mettendole in relazione con le posi-zioni di lavoro e i ruoli coinvolti. Infine si analizzano i contenuti e i saperi in gioco e si rilevano le fonti interne o esterne che fungono da “sistema esperto”.Quindi si avviano i cantieri nell’organizzazione e si dà forma al progetto di apprendi-mento mettendolo in relazione con quello di sviluppo organizzativo.

Dal punto di vista dell’apprendimento individuale e organizzativo, c’è la neces-•sità di definire con chiarezza gli obiettivi formativi e i messaggi chiave che è ne-cessario mettere in comune. Nel campo formativo, infatti, è possibile veicolare alcune informazioni e conoscenze all’interno di un campo neutro di confronto che non sia soggetto a quelle dinamiche organizzative contaminate da logiche che possono ridurre l’analisi e la presa di decisioni.

Tutto questo è punto di arrivo di negoziazioni anche complesse, soprattutto in quelle realtà interne all’organizzazione dove il valore attribuito alla formazione è considerato poco rile-vante per poter intendere le competenze come una risorsa economica dell’impresa.

Dal punto di vista dell’insegnamento, si prendono le decisioni metodologico •didattiche.

Si tratta di sviluppare una migliore organizzazione didattica e una più funzionale predi-sposizione di contenuti, mezzi, strumenti, luoghi e metodologie di azione formativa.

3.2.2. Progettazione delle attività organizzative delle attività formative

In questa fase, è necessario disporre delle informazioni sulle caratteristiche logistiche di-sponibili o accessibili in relazione al budget, piuttosto che dei gradi di libertà di cui si di-spone per reperire ambienti secondo la situazione ottimale che gli obiettivi dell’attività e le possibili decisioni metodologiche possono consentire. In ogni caso è necessario cono-scere gli spazi e gli ambienti presso i quali si svolgerà l’attività formativa, le attrezzature già disponibili o quelle da portare in dotazione. Inoltre è necessaria un’attività di gestione dei materiali didattici e dei materiali di cancelleria, che richiede opportuna preparazione, distribuzione, conservazione, gestione delle scorte e degli aggiornamenti.

62

Formare per formare nella complessità

Infine, c’è una componente amministrativa che comporta un impegno sulla contabilità, il controllo dei costi, delle spese e degli scostamenti fra la pianificazione degli investi-menti e i costi sostenuti, con tutte le conseguenze sulla scelta e sulla relazione con i for-nitori interni o esterni.Tutto questo rappresenta un’attività del SISFO, nella sua componente di gestione dei processi.

3.3. Rilascio delle attività formativeLe variabili riferite alle attività di formazione sono raggruppabili all’interno di sei ma-crodimensioni che intervengono nel processo di insegnamento-apprendimento. Esse si manifestano, cioè, nel contesto progettuale e realizzativo che raccorda gli obiettivi or-ganizzativi e formativi ai risultati di apprendimento. L’analisi del gap, vale a dire dello scostamento fra obiettivi attesi e risultati conseguiti, consente di riorientare il processo di apprendimento-formazione, individuando con maggiori probabilità le variabili sulle quali intervenire. Tali variabili possono essere distinte in: cognitivo-disciplinari, cogniti-vo-strutturali e funzionali, organizzative, socio-relazionali, tecnologiche, metodologico-didattiche.Dalla definizione degli obiettivi organizzativi e dei ruoli in gioco discendono le pre-visioni di istruzione, mentre alla definizione degli obiettivi formativi che hanno im-patto sui vari saperi taciti ed espliciti sono correlate le previsioni di apprendimento. Le decisioni didattiche adottate, ruotanti attorno alle macrovariabili precisate sopra, avranno riguardato dunque l’acquisizione di nuove competenze disciplinari e tra-sversali, la definizione e collocazione delle competenze soggettive all’interno della struttura organizzativa e in riferimento ai ruoli professionali, l’analisi dei processi di interazione sociale e del grado di competenza linguistico-comunicativa dei soggetti in relazione, il ricorso a sussidi e integrazioni tecnologiche, l’adozione di strategie e interventi didattici mirati e di metodologie calibrate sulle specificità dei fabbisogni formativi individuali e di gruppo.Il passaggio successivo è quello della valutazione dei risultati conseguiti alla luce della determinazione del gap fra obiettivi e risultati e della rilevazione dell’influen-za che ogni singola dimensione ha eventualmente esercitato nell’economia comples-siva dell’interazione, facendo attenzione a distinguere gli aspetti relativi alla sfera dell’istruzione e quelli riguardanti la sfera dell’apprendimento. L’analisi di tali di-mensioni consente di ricondurre la soggettività a delle categorie osservabili e per-mette una valutazione che, per quanto di carattere pragmatico, può rivelarsi co-munque preziosa sotto il profilo delle informazioni acquisite e utile in previsione dell’adozione delle successive decisioni e feedback, anche quando il sottosistema di valutazione dell’apprendimento correlato alla valutazione della prestazione profes-sionale non sia realizzabile mediante il ricorso a criteri docimologici.

63

Formare per formare nella complessità

Figura 9. Alcune dimensioni riferite alle attività di formazione in senso stretto.

3.4. Verifica e valutazione della formazione in prospettiva di sistema Per appurare l’efficacia dell’attività formativa si ricorre, spesso, a domande nei cor-ridoi, o a questionari fatti compilare al termine di un corso – quando i partecipanti sono già con la mente orientata al rientro a casa o al lavoro – con il risultato che tali questionari, più che strumenti per il reperimento di informazioni utili per l’analisi, si limitano a riportare soltanto il gradimento espresso dai partecipanti al termine dell’at-tività svolta.

COGNITIVOSTRUTTURALEFUNZIONALE

COGNITIVODISCIPLINARE ORGANIZZATIVA TECNOLOGICASOCIO

RELAZIONALEMETODOLOGICO

DIDATTICA

START

STOP

NON-OK

OK

AREE FUNZIONALIDELL’INTERAZIONE

PREVISIONED’ISTRUZIONE

ISTRUZIONE REALIZZATA

ANALISI DEL GAP FRA ISTRUZIONE REALIZZATA

E APPRENDIMENTOPRODOTTO

APPRENDIMENTOPRODOTTO

INTERAZIONE

PREVISIONEDI APPRENDIMENTO

64

Formare per formare nella complessità

Meno frequentemente si valutano gli aspetti più sommersi, quali per esempio:

l’attività formativa• in termini di qualità e pertinenza dei temi trattati, che ven-gono spesso dedotti dalla bravura o dalla preparazione del docente invece che da strumenti di misurazione dell’apprendimento;la qualità dell’istruzione e della didattica• , che viene spesso riferita ai materiali di-dattici, invece che alla capacità del docente di guidare adulti in apprendimen-to verso obiettivi formativi descritti in modo chiaro e riconoscibile rispetto agli scopi dichiarati prima dell’inizio del corso di formazione;l’impatto dell’apprendimento nell’attività lavorativa• , che viene, non di rado, ri-condotto a predizioni sulle buone intenzioni di applicare sul campo ciò che è stato oggetto di formazione e, raramente, viene misurato attraverso strumenti di osservazione sistematica da utilizzare all’interno di un progetto di apprendi-mento volto al miglioramento della prestazione lavorativa.

Per verificare se e come funziona un’attività formativa, è necessario non limitarsi alla presentazione dell’offerta dei servizi formativi, magari illustrando i contenuti che sa-ranno oggetto del corso attraverso una attraente brochure di carta patinata, ma prevedere l’impatto e la ricaduta operativa che essi avranno. Si tratta, in particolare, di risalire alla domanda ma, anche, di rilevare quello che i tecnici di settore definiscono il processo for-mativo nel suo possibile impianto strutturale, collegato ai piani di sviluppo delle risorse umane e dei servizi che si erogano, o che si prevede di erogare, al fine di ampliare l’offer-ta e renderla più aderente ai fabbisogni dei destinatari, tenendo conto delle reali risorse disponibili, accessibili, reperibili. La verifica e la valutazione rappresentano due processi critici per la costruzione del SISFO, anche perché senza un controllo funzionale sull’efficacia è difficile parlare di qualità e di processi di miglioramento; in effetti, «… il budget tradizionale non dice pra-ticamente nulla del patrimonio dell’impresa e non misura il valore di tutti i parametri immateriali: il valore del marchio, l’affidabilità dei processi, le competenze e l’uso del patrimonio conoscitivo »68. La complessità del processo di verifica e valutazione ha sco-raggiato le imprese a operare investimenti mirati69. In particolare, uno degli ostacoli è

68 Cappucci U., Un modello di competenze per l’impresa e un modello di sviluppa per il formato-re, in Amietta P.L (a cura di), I luoghi dell’apprendimento, metodi, strumenti e casi di eccellenza delle nuove formazioni, Milano, Franco Angeli - AIF, 2000, p. 44.

69 Si potrebbe trattare di una conseguenza del fatto che nelle organizzazioni lineari i processi organizzativi rappresentano già i luoghi del controllo e anche le variabili più immateriali, come il patrimonio delle competenze, sono comunque osservabili, in azione, nello svolgi-

65

Formare per formare nella complessità

costituito dai costi economici della valutazione in quanto questi vanno messi a budget. Quando si parla di budget, si intende che i costi devono avere un ritorno sull’investi-mento. L’osservazione svolta sul campo ci porta a rilevare la difficoltà di mettere in rela-zione i processi di misurazione dell’apprendimento con le performance professionali a essi correlate e di conseguenza la difficoltà di mettere in relazione il costo con il ritorno sull’investimento. Certamente tutto ciò può dipendere dal tipo di ruolo e dal tipo di ap-prendimenti in gioco. Nell’ambito dei saperi tecnici, la misurazione dell’apprendimento può essere svolta mediante prove oggettive di verifica o colloqui fra capo e collaboratore e le relazioni con la prestazione sono più facilmente identificabili. Nell’ambito dei sape-ri manageriali, ci si trova più vicini all’analogia con il pattinaggio artistico70. Misurare l’apprendimento e il transfer diventa più complesso anche in funzione dello status ma-nageriale, che non sempre considera la valutazione come un elemento di feedback nel processo, atto a riorientare verso gli obiettivi la prestazione. Ci si riferisce all’approccio sistemico nella valutazione, che vuole individuare la rile-vanza strategica degli interventi formativi e correlarli alla qualità dei servizi e dei pro-cessi che lo generano. Si procede dimensionando i risultati dell’interazione in aula a partire dalle valutazioni proposte dai formatori sulla base di una check list, di un que-stionario di percezione dell’interazione sulle dimensioni del valore assegnato ai conte-nuti in termini di ampiezza e di profondità, oltre che di trasferibilità nell’attività pro-fessionale. Il modello di riferimento è il CBA (Cost-Benefits Analysis), che consente di verificare preventivamente la fattibilità e opportunità di un determinato intervento formativo, anche ex post, in funzione del rapporto costo/benefici. Il modello non in-dica criteri standard per la raccolta dei dati ma fornisce una procedura che consente di razionalizzare e standardizzare alcune fasi funzionali alla presa di decisione71.

mento della prestazione e quindi correlabili a ciò che i processi – intesi in questo caso come insiemi di procedure, strumenti, tempi e metodiche – prevedono. Con la complessità, le va-riabili che sfuggono al controllo sono proprio quelle più immateriali, non tanto perché non siano osservabili, quanto per il fatto che è complicato correlarle agli effetti che producono all’interno di processi dinamici. Ciò richiederebbe risorse dedicate e metodologie che rientra-no nella elaborazione statistica dei dati all’interno di modelli di analisi appropriati.

70 D’altra parte, per esprimere un giudizio sulla performance di un atleta che partecipa a una gara di salto in alto, basta osservare se l’asticella cade oppure no e qualche altra regola sulla corsa e la relativa traiettoria; per esprimere un giudizio sulla performance di un atleta che par-tecipa a una gara di pattinaggio artistico, le cose si complicano un po’: sono necessari più giu-dici e criteri di attribuzione dei punteggi più sofisticati, in quanto sono molte le componenti che portano a un risultato competitivo.

71 Cfr. Neglia G., La valutazione della formazione: esperienze a confronto, Milano, Lupetti, 1999, pp. 30 e segg.

66

Formare per formare nella complessità

3.4.1. Che cosa s’intende per valutazione Alcune affermazioni che utilizzano i termini verifica o valutazione si presentano con vari significati. Secondo il punto di vista di un capo di un’organizzazione, i termini in questione sono più vicini al campo di applicazione della prestazione dei collaboratori; per un formatore, invece, sono più vicini al campo di applicazione del processo di formazione-apprendimento; per un formatore aziendale al processo di insegnamento-apprendimento nella prospettiva dello sviluppo organizzativo.Nel linguaggio della formazione, verifica e valutazione sono due termini qualche volta usati come sinonimi. Di fatto i due concetti sono collegati l’uno all’altro ma si riferiscono ad aree di significato precipue. Verifica si riferisce al momento della ricognizione, della descrizione di un fenomeno di interazione operata per produrre apprendimento; valutazione si riferisce all’interpretazione e al giudizio sul fenomeno verificato. Fra l’altro, i due concetti sono inter-relati, nel senso che sono entrambi uno funzione dell’altro. E questo complica un po’ le cose dal punto di vista non tanto del significato, quanto delle interpretazioni che si possono svi-luppare nel contesto di un discorso formativo all’interno di una organizzazione.Se da un punto di vista concettuale la verifica precede la valutazione, non è così rispetto al processo che i due concetti implicano a partire dalle loro relazioni.Qualche riflessione a sostegno di questa affermazione: nelle cose della formazione, verifica è attività assai complessa in quanto per verificare è necessario descrivere, osservare, rilevare dati, misurare72 e tutto ciò è molto difficile poiché i fattori che entrano in gioco non sono gover-nabili in modo deterministico e spesso sfuggono, in quanto i significati affondano le proprie radici nella sfera della percezione individuale che, come è noto, fa i conti con la propria sfera emotiva e con quella delle proprie convinzioni, dei codici valoriali di cui si è portatori. Ci tro-viamo nel territorio della soggettività. E allora, poiché la valutazione è caratterizzata da sog-gettività e la scelta degli strumenti di verifica viene operata dal soggetto, ecco che dal punto di vista pragmatico la valutazione può precedere la verifica, nel senso che condiziona le deci-sioni relative proprio a ciò che è necessario verificare.D’altra parte, gli strumenti, i criteri e le modalità della verifica, una volta scelti, forni-scono dei risultati già inseriti in un quadro di aspettative predefinite da un punto di vi-sta anche inconsapevole. Dunque, la valutazione in questo caso precede la verifica e una barriera da dimensionare è quella generata dal pregiudizio. Per cambiare verso a questo circolo vizioso, laddove è attivo, si può individuare una sorta di obiettivazione delle com-petenze e dei comportamenti necessari a gestire con maggiore padronanza la verifica nel-le sue caratteristiche di:

descrizione;•osservazione;•

72 Cfr. Olmetti Peja D., 2008.

67

Formare per formare nella complessità

rilevazione;•misurazione.•

Per gestire con maggiore consapevolezza i fenomeni che intervengono:

nell’interpretazione;•nell’attribuzione di valori;•nell’espressione di giudizi.•

La valutazione è l’atto di determinare il valore o il merito di un oggetto valutato. Essa riflette l’identificazione, la chiarificazione e l’applicazione di criteri/standard con i quali determinare il valore di un oggetto. La valutazione utilizza metodi che permettono di:

determinare e applicare standard per • giudicare la qualità, l’utilità, l’efficacia, il significato dei risultai ottenuti;acquisire informazioni rilevanti per il processo decisionale.•

3.4.2. Perché valutareLa valutazione è un momento centrale e importante. È parte integrante dell’intervento for-mativo. Come detto in precedenza, la valutazione utilizza metodi che permettono di deter-minare la qualità, l’utilità, l’efficacia, il significato dei risultati ottenuti e di acquisire infor-mazioni rilevanti da analizzare e valutare. Queste due operazioni riflessive avviano processi di miglioramento continuo di un’offerta formativa. La valutazione quindi documenta gli esi-ti raggiunti e valida l’intervento stesso. Con essa si attribuisce valore sia all’intervento che al committente. In riferimento a ciò la committenza ha un ruolo nello sviluppo della valutazio-ne. Questa viene compiuta sulla base di indicatori condivisi. Gli indicatori sono definiti in coerenza con gli scopi della committenza. In breve la valutazione pone una stretta relazione tra la problematica che ha motivato la committenza e l’intervento stesso.

3.4.3. I livelli della valutazioneLa valutazione dei programmi formativi può essere svolta operando su livelli differenzia-ti di analisi. È possibile ordinare obiettivi e ragioni della valutazione individuando quat-tro livelli generali di analisi. Tali livelli esprimono, in definitiva, le quattro aree fonda-mentali, i quattro temi prioritari, le quattro direzioni cruciali dell’attività di valutazione dell’apprendimento e dei risultati formativi73.

73 Cfr. Kirkpatrick D.L., 1996.

68

Formare per formare nella complessità

Livello 1: la percezione dell’attività formativa e delle sue possibilità applicativeIndica la percezione dell’attività in termini di utilità, efficacia della didattica, perti-nenza dei contenuti con gli obiettivi formativi e le esigenze tecnico-professionali. In questo livello si misura il grado di soddisfazione dei partecipanti e, congiuntamen-te, viene richiesto un elenco di azioni per l’applicazione di ciò che è stato appreso. La maggior parte delle organizzazioni valuta questo livello utilizzando questionari gene-rici di fine corso. Sebbene questi strumenti siano importanti per analizzare la soddi-sfazione dei partecipanti, il gradimento favorevole non informa sul fatto che i parteci-panti abbiano appreso nuove abilità e conoscenze. Per la valutazione del gradimento gli strumenti più utilizzato sono:

questionari di percezione sulla docenza, sulla logistica, sui contenuti, sugli at-•teggiamenti; richieste di tre-cinque aggettivi sul corso; •feedback dei partecipanti a chiusura dell’attività formativa; •interviste a campione ai partecipanti;•focus group con partecipanti.•

Gli strumenti più comunemente utilizzati sono: test, attività esercitative, role play, simu-lazioni, discussioni di gruppo. La verifica dell’apprendimento valida il grado di interio-rizzazione delle conoscenze e come utilizzarle. Riscontri positivi a questo livello non evi-denziano necessariamente che il materiale appreso sarà trasferito al contesto lavorativo.

Livello 2: l’apprendimentoIndica la rilevazione e attribuzione di significato e di valore all’apprendimento e al pro-cesso che lo ha consentito; si riferisce al confronto fra i risultati di apprendimento, gli obiettivi formativi e didattici, i livelli di conoscenze disciplinari, tecniche, organizzative e relazionali, le competenze specifiche, gli atteggiamenti. Si misura ciò che i partecipanti hanno appreso durante il programma formativo. Per la valutazione dell’apprendimento gli strumenti più utilizzati sono:

prove oggettive di verifica;•prove d’esame;•colloqui;•simulazioni;•focus group.•

A questo livello gli strumenti, nella maggior parte dei casi, non sono predittivi del transfer di apprendimento e delle conseguenze nelle competenze decisionali e di problem solving.

69

Formare per formare nella complessità

Livello 3: il trasferimento al contesto lavorativoIndica i criteri per svolgere il monitoraggio di come si modifica l’attività nel contesto professionale e organizzativo al fine di rilevare l’applicazione degli apprendimenti nei processi lavorativi; si valuta se e come i partecipanti trasferiscono al contesto lavorativo gli apprendimenti. Per la valutazione del trasferimento sono utilizzati:

protocolli osservativi sul posto di lavoro;•colloqui con i responsabili, i colleghi, esperti o referenti della formazione• 74, come nel caso dell’Amministrazione Pubblica;focus group;•contratti formativi;•questionari e interviste di • follow up.

A questo livello si utilizza una varietà di strumenti valutativi di follow up. Sebbene questi aiutino a determinare la frequenza d’uso delle abilità e delle conoscenze apprese, infor-mando indirettamente sulla riuscita del programma, tali riscontri non evidenziano ne-cessariamente l’esistenza di conseguenze nello sviluppo professionale del singolo e delle possibili applicazioni nella posizione di lavoro che occupa e nel ruolo che svolge.

Livello 4: gli impatti organizzativi e finanziari sulla qualità del servizioIndica e focalizza l’attenzione sulle aree di ricaduta degli aspetti finanziari e organizzativi nella qualità del servizio.Si misurano i risultati lavorativi raggiunti dai partecipanti come conseguenza dell’applicazione delle abilità e delle conoscenze apprese. La quantificazione di questi impatti è svolta secondo tecniche di analisi dei costi, degli output, del tempo e della soddisfazione del cliente/utente.Per la valutazione dell’impatto è necessario precisare che si tratta di un’attività molto com-plessa, e a volte “costosa”, in quanto la ricaduta della formazione può essere rilevante e riguar-dare grandi numeri (per es. un’attività formativa sulla prospettiva del benessere i cui destina-tari sono i dirigenti scolastici di una provincia richiede il coinvolgimento di docenti, alunni e famiglie). Gli strumenti utilizzabili vanno ricondotti a una prima fase di individuazione con opportune metodologie del campione significativo. Quindi si scelgono modelli che richiedo-

74 Anche se in via di ridefinizione, il ruolo di referente della formazione, nella Pubblica Amministra-zione, è sancito dalla normativa. In genere ogni direzione nomina a svolgere questo ruolo un colla-boratore che ha il compito di facilitare i processi di comunicazione con il settore che ha la respon-sabilità del Sistema di Formazione. In particolare è un supporto nella fase di rilevazione del fabbi-sogno formativo, nella fase di gestione dell’attività in termini organizzativi, nella valutazione delle attività. In alcuni casi i referenti sono coinvolti nella fase di progettazione dell’attività formativa.

70

Formare per formare nella complessità

no il coinvolgimento di ruoli specialistici e molte forze in campo (ricercatori, intervistatori, esperti di sondaggi…). Infine rientra nel livello 4 la valutazione degli aspetti finanziari delle attività formative; da un punto di vista generale, definita la struttura di un piano di formazione, l’insieme delle attività che lo costituiscono e che hanno diversa natura (per es. formazione tecnica, normativa, mana-geriale), richiedono varie modalità di gestione dei processi amministrativi (per es. progetti a ca-talogo con fornitori esterni, progetti finanziati da Enti o dalla Comunità Economica Europea, progetti finanziati dall’azienda all’interno delle politiche di sviluppo delle Risorse Umane e dei piani di ricerca sviluppo…). A seconda delle attività e delle modalità amministrative si richie-de una rendicontazione articolata e complessa che pone il sistema formativo nella condizione di impostare a priori i parametri che consentono l’elaborazione di un budget (che permette la simulazione della fattibilità economica) e di un bilancio (che ratifica le scelte e i risultati).

I livelli della valutazione

I LIVeLLO - GRADIMentOmisura la percezione della qualità dell’attività formativa della docenza

StRUMentIQuestionarifeedback dei partecipanti

II LIVeLLO - APPRenDIMentOmisura i cambiamenti avvenuti nelle abilità, nelle conoscenze, negli atteggiamenti

StRUMentIprove oggettive di verificaColloqui

III LIVeLLO - APPRenDIMentOmisura i cambiamenti avvenuti nelle abilità, nelle conoscenze, negli atteggiamenti

StRUMentICheck-listSchede di osservazione sul posto di lavoroInterviste dirette o indiretteAnalisi documentazione

IV LIVeLLO - IMPAttOmisura le relazioni e le conseguenze delle attività formative nei costi, nell’organizzazione, nella qualità del servizio

StRUMentIQuestionari di followupInterviste a campioneAnalisi statisticheRicerca quanti-qualitativa

Figura 10. I livelli della valutazione e gli strumenti più utilizzati.

In sintesi la valutazione rappresenta un sottosistema del sistema formativo finalizzato a re-golare i suoi processi produttivi in funzione di tre criteri generali:

71

Formare per formare nella complessità

l’efficacia dei processi di apprendimento;•l’efficienza dei processi organizzativi e gestionali che ne consentono lo svolgimento •in ciascuna delle fasi che lo caratterizzano (analisi dei fabbisogni, progettazione e pianificazione, attuazione, verifica e valutazione)l’economicità complessiva, cioè la capacità di mettere in relazione risorse disponi-•bili e accessibili, vincoli, gradi di libertà, finalità, obiettivi e risultati in un processo di accettabilità dei risultati e di migliorabilità continua.

Capitolo 4Il mondo virtualedi francesca Lazzari

Se quella del digitale fosse solo una moda, la tendenza a una netta separazione tra chi sa utilizzare le nuove tecnologie e chi non le sa invece usare potrebbe in fondo non preoc-cuparci troppo. Come affermano Roncaglia e Ciotti tuttavia la realtà è ben diversa: quel-la prodotta dalle tecnologie del digitale, dai nuovi media, dagli sviluppi dell’informatica e della telematica, non è una moda passeggera ma una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che riguarda innanzitutto – ma non solo – il modo di produrre, elaborare, raccogliere, scambiare informazione. Una rivoluzione che porta con sé conseguenze cul-turali, sociali, politiche, economiche di immenso rilievo, Quando si parla di alfabetizzazione informatica (e, più in generale, di alfabetizzazione relativa all’intero campo delle nuove tecnologie del digitale) non si fa dunque solo riferi-mento all’esigenza individuale di una maggior competenza nell’uso pratico di strumenti ormai indispensabili, per il lavoro e fuori dal lavoro. Si fa riferimento anche, e forse so-prattutto, a quella che è una vera e propria priorità per il corpo sociale nel suo insieme. Proprio per questo, a mio avviso, l’alfabetizzazione non può limitarsi a una – pur essen-ziale – capacità pratica e operativa, alla capacità di usare i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione. L’alfabetizzazione richiede anche una comprensione delle caratteristiche fondamentali degli strumenti che si stanno usando, delle loro potenzialità, dei cambia-menti culturali e sociali che il loro impiego e la loro diffusione contribuiscono a influen-zare (Ciotti F., Roncaglia G., 2000).D’altro canto, chi cercasse di comprendere e valutare le caratteristiche sociali e culturali di fenomeni come la diffusione degli strumenti multimediali o l’espansione di Internet, senza comprendere almeno nelle linee fondamentali le basi teoriche e le caratteristiche tecniche di questi strumenti, sarebbe parimenti votato all’insuccesso. La nostra capacità di “usare” le nuove tecnologie dipende infatti anche dalle caratteristiche degli strumen-ti che abbiamo a disposizione. Questo concetto unisce in sé un aspetto “tecnico” e un aspetto “sociale”. Soprattutto, il concetto di informazione in formato digitale e il con-

72

Formare per formare nella complessità

nesso fenomeno della cosiddetta “convergenza al digitale” ci sembrano fornire la miglio-re strada d’accesso al mondo complesso dei nuovi media: quella teoricamente più fonda-ta, e insieme quella didatticamente più efficace (Ciotti F., Roncaglia G., 2000).Come afferma Stefania Lovece all’interno della sua ricerca, il computer e le reti hanno permesso che le tecnologie, i luoghi e i tempi della formazione siano radicalmente mo-dificati. La rete offre, infatti, possibilità nuove di fruire di servizi di apprendimento e di costruzione della conoscenza un po’ ovunque. Anche i tempi subiscono le conseguenze della diffusione delle TIC. I tempi della giornata e i tempi della vita di ogni individuo sono molto più dilatati e liberi da vincoli. Il tempo dell’apprendimento, inoltre, si am-plia a tutta la vita e le TIC possono offrire nuove opportunità e potenzialità di sperimen-tare assetti che pongano il soggetto che apprende al centro dei processi e degli interventi. Tutto ciò costituisce un necessario ulteriore elemento di riflessione per le organizzazio-ni educative. In particolare risulterebbe utile investire la fase iniziale del percorso di ap-prendimento nell’acquisizione di conoscenze come prerequisiti essenziali che mettano i soggetti nelle condizioni di poter apprendere per tutta la vita. Internet può, infatti, essere considerato il più grande archivio di informazioni mai avu-to nella storia e non bisogna dimenticare che tali informazioni non sono soltanto testi e documenti ma anche elementi multimediali organizzati come in un immenso iperte-sto. L’ipertestestualità permette all’individuo di intraprendere percorsi di conoscenza in-dividualizzati, rispettosi dei tempi e degli stili cognitivi personali. Il problema è sempre quello di insegnare al singolo a fruire di queste informazioni, cercarle, selezionarle e so-prattutto permettere che le conoscenze o le abilità apprese attraverso questo mezzo ven-gano non solo acquisite, ma anche elaborate e relazionate con i saperi preesistenti (Lo-vece S., 2009).Le nuove tecnologie possono essere utilizzate come strumenti per attivare esperienze che mettano il soggetto in contatto con il mondo e stimolino la capacità di esprimer-si e di scoprire in modo originale, creativo e orientato a comprendere anche l’altro. In-tegrare l’uso delle TIC e delle reti all’interno dei sistemi formativi richiede un ripensa-mento dell’educazione. Per prima cosa, questa integrazione richiede di adottare un’idea di apprendimento aperto e flessibile. Le TIC aprono molte possibilità in questo senso. Questo perché è vero che gli ambienti educativi e formativi devono progettare e realiz-zare percorsi formativi e didattici finalizzati al raggiungimento di obiettivi monitorabi-li e verificabili rispondenti a finalità disciplinari e a specifiche conoscenze e competenze ad esse relative. È anche vero, però, che gli ambienti educativi e formativi, che si avvalgono delle TIC e degli ambienti virtuali offerti dalla rete Internet, permettono lo sviluppo anche di altre forme del sapere (Lovece S., 2009). Pertanto afferma Lovece che i materiali, le esperien-ze, le informazioni, e le comunità presenti in rete, consentono non solo l’approfondi-mento di conoscenze disciplinari già acquisite, ma di sperimentare altre forme, aperte e

73

Formare per formare nella complessità

flessibili, di apprendimenti legati alla soggettività e alla creatività di ognuno e al rispetto della diversità delle persone e dei contesti di vita.Non bisogna, inoltre, dimenticare che gli ambienti formativi possono, attraverso l’uso delle TIC, sperimentare anche percorsi e processi di produzione di cultura, oltre che di mera trasmissione della stessa. L’educazione e l’istruzione devono, pertanto, attivare stra-tegie, metodi e tecniche che aiutino chi apprende a organizzare, sviluppare e riflettere sul proprio apprendimento. È necessario mettere quindi in relazione le possibilità informa-tive (conoscenze e saperi disciplinari e non), le possibilità di conoscenza (esplorazione e contestualizzazione dei saperi), le possibilità comunicative e relazionali proprie delle TIC e i processi di apprendimento in nuovi ambienti formativi “integrati”. Le innova-zioni possibili con le nuove tecnologie possono portare a grandi cambiamenti nel siste-ma formativo se i formatori sapranno non solo acquisire le abilità tecniche per utilizzare i computer e Internet, ma anche sviluppare competenze nella progettazione di ambienti integrati di apprendimento, nella gestione metodologico-didattica di esperienze educa-tive simulate, nella produzione di materiale multimediale e interattivo in un particolare ambito disciplinare (Lovece S., 2009).

Moodle e ambienti di apprendimento on-lineLa formazione on-line permette di realizzare molteplici forme di apprendimento, dif-ferenti nell’impianto materiale e anche nella filosofia di riferimento. L’insieme di questi aspetti può essere ricondotto ad un tratto che è tipico degli ambienti digitali e telemati-ci e che, a seconda delle situazioni, può assumere un ruolo più o meno esteso. Si fa rife-rimento qui all’interazione e alle modalità che essa tende ad assumere nell’ambito della formazione on-line, ognuna delle quali può svilupparsi a diversi livelli e comunque asso-ciarsi, in maniera più o meno preorganizzata, alle altre. Esse sono:

e-teaching;•e-learning;•I-learning.•

Le tre tipologie di interazione agiscono in modo diverso nei differenti modelli di corso. Un sistema in autoistruzione è articolato secondo un basso livello di interazione nei ri-guardi dei contenuti, delle figure di supporto e dell’ambiente tecnologico nel suo insie-me, mentre il corso laboratoriale si caratterizza per un’elevata interazione all’interno dei tre ambiti costituiti dai contenuti proposti e prodotti, dai servizi di supporto didattico e dalla piattaforma che regge il tutto.Il termine Web 2.0. comincia a diffondersi nel 2003 e viene utilizzato per tracciare a po-steriori una linea di demarcazione tra la prima fase di sviluppo della rete (Web 1.0) e l’at-

74

Formare per formare nella complessità

tuale evoluzione in direzione sempre più connettiva/collaborativa. Di Web 2.0 sono sta-te date definizioni spesso in contrasto tra loro, e il termine viene spesso utilizzato come marketing per la sua stessa natura di slogan; ad ogni modo, la definizione di O’Reilly resta a tutt’oggi la più completa:“Web 2.0, non senza una certa dose di entusiasmo acritico, esprime un’idea di luogo sociale in cui le possibilità di sviluppo della rete si esprimono al meglio, per cui ogni client diventa un server (comunità virtuali, movimento open source, a livello molecola-re i blog, ecc), nel senso del ruolo fondamentale che l’apporto produttivo di ogni ‘nodo’ riveste per l’organizzazione, lo scambio e più in generale per la crescita del sapere con-diviso dalla moltitudine di utenti che fanno parte del processo comunicativo” (Borgato R., Capelli F., Ferraresi M., 2009).Come afferma Mario Pireddu, il web come piattaforma è alla base della formulazione del concetto di architettura della partecipazione: contenuti, servizi, funzionalità ed ef-ficienza di programmi e applicazioni migliorano con l’aumentare costante degli utenti che li utilizzano. In quest’ottica sono gli utenti ad aggiungere valore agli strumenti e ai prodotti degli scambi comunicativi: ad esempio, per il successo dei software open source l’architettura dei singoli processi riveste molta più importanza dei ripetuti richiami ap-passionati al volontarismo. Le comunità virtuali ne sono un classico esempio.I cambiamenti degli ultimi anni nell’organizzazione/classificazione/produzione sociale dell’informazione hanno ripercussioni – oltre che nel settore editoriale, sullo sviluppo di applicazioni software, sui consumi e sul marketing, e in definitiva sull’evoluzione stessa delle reti – anche nei settori dell’educazione e dell’apprendimento. Ciò è vero non tanto per la recente moltiplicazione di e-learning tools e di corsi a distanza in scuole e atenei di tutto il mondo, quanto per la comparsa di modalità inedite di interazione e produzione di saperi e metodologie.Tra le numerose piattaforme di e-learnig, la killer application è sicuramente Moodle.Moodle (http://moodle.org )è un pacchetto software per la produzione di siti web e cor-si “internet-based”, un progetto di sviluppo in continua evoluzione creato e gestito in maniera volontaria e collaborativa da una comunità di insegnanti e addetti ai lavori di diverse nazioni, e pensato per un’educazione di impostazione socio-costruttivista.Secondo M. Pireddu dietro l’idea di “social constructionist pedagogy” vi è un richiamo seppur rapido ai concetti di constructivism, constructionism, social constructivism, se-parated/connected behaviour: la costruzione di qualcosa di cui altri possano fruire, la condivisione di una cultura che produca “shared artifacts with shared meanings”, e dun-que la costruzione di nuova conoscenza attraverso l’interazione in un ambiente dinami-co e in continuo cambiamento, sono per i moodlers elementi essenziali per un apprendi-mento davvero efficace. La prospettiva costruttivista di Moodle prevede studenti attiva-mente impegnati nella creazione di significati, coinvolti nella ricerca e nella produzione di conoscenza, in base anche a ciò che già conoscono, e non solo sulla scorta di nozioni

75

Formare per formare nella complessità

e processi che possono ripetere in maniera meccanica. Oltre che dagli insegnanti, gli stu-denti imparano gli uni dagli altri, in un percorso non più unidirezionale e decisamente meno gerarchico.L’insegnante può svolgere funzione di mediatore e organizzatore, favorendo lo scambio e la partecipazione dei soggetti coinvolti nei processi formativi. Il punto principale dell’in-terazione, naturalmente, riguarda il “come si apprende”. Queste forme di apprendimento, infatti, possono facilitare la ridefinizione del ruolo dell’insegnamento, verso modelli che privilegino la collaborazione piuttosto che la com-petizione. L’insegnante rappresenta in quest’ottica un facilitatore dei processi d’appren-dimento e di scambio delle conoscenze, inserito nella rete degli allievi, una rete in cui gli allievi sono nodi “alla pari” tra loro.

Progettare ambienti di apprendimento on-lineDopo quanto detto non possiamo certo stupirci se le tecnologie dell’informazione e del-la comunicazione (Information and Communication Technologies - TIC) si siano rive-late tanto importanti per la formazione e l’apprendimento. Del resto, come si è accenna-to, formazione e apprendimento hanno da sempre una dimensione anche tecnologica: il termine “tecnologia” non deve infatti farci pensare solo a computer e tecnici.Certo, la tecnologia non determina forme e contenuti dell’apprendimento, ma contribu-isce a definirne lo spazio di possibilità, e costituisce quindi un fattore essenziale da tener presente nella progettazione di ogni genere di attività formative. Il fatto che i cambiamenti legati allo sviluppo delle TIC abbiano avuto un immediato rilievo nel campo della forma-zione, e abbiano anzi favorito lo sviluppo di nuovi modelli di formazione, in particolare nel campo della formazione a distanza, è dunque assolutamente naturale e prevedibile.È la prospettiva del lifelong learning, della formazione e dell’apprendimento permanen-te, che costituisce una necessità in una società in cui l’aggiornamento è fondamentale non solo sul piano lavorativo ma anche per poter esercitare pienamente la cittadinanza attiva. Ed è lo stesso documento della Commissione Europea a sottolineare, contrappo-nendosi a una visione riduttiva che limita la necessità dell’aggiornamento solo al piano lavorativo, come la formazione permanente abbia volti e dimensioni diverse e interessi almeno “quattro obiettivi generali che si rafforzano reciprocamente: l’autorealizzazione, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale, l’occupabilità e l’adattabilità professionale. Il fatto che l’apprendimento permanente persegua tale estesa gamma di obiettivi si rispec-chia nella seguente ampia definizione (…): [per apprendimento permanente si intende] qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a mi-gliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale. Un ripensamento tutt’altro che facile, al quale però l’e-learn-ing può contribuire in maniera assai efficace.

76

Formare per formare nella complessità

Un progetto di e-learning si compone di varie fasi: la prima è costituita dalla scelta del-la macrotipologia didattica. A questo livello entrano in gioco la tipologia di e-learning, il grado di integrazione tra presenza e distanza e il grado di auto-generatività dell’attivi-tà formativa.Per grado di auto-generatività, si intende lo sconfinamento del corso in una community, ovvero la capacità dello stesso di innescare un processo per il quale i partecipanti conti-nuano spontaneamente a scambiarsi idee, informazioni ed esperienze anche dopo la fine della formale attività formativa, ad esempio dando vita a comunità di pratica. I vincoli da considerare in ambito macrodidattico sono quattro: utenti, contenuto, obiettivo e infrastrutture.Per quanto riguarda l’utenza, il numero di utenti generalmente varia in rapporto alla di-sponibilità di tutor. Nella scelta del rapporto tutor/studente va considerata anche pesa an-che il livello di difficoltà o meglio la natura tecnica dello stesso. Inoltre va considerato l’ac-cesso dell’utenza alla tecnologia, sia a livello di alfabetizzazione informatica, sia di disponi-bilità delle tecnologie stesse. Un minimo di conoscenze necessarie per la piattaforma che ospiterà il corso sarà certamente fornito (o comunque molto consigliato) prima dell’inizio dello stesso, ma il livello di information literacy dovrà già essere alto tanto da permettere una veloce familiarizzazione con la piattaforma e apprendere l’uso di eventuali altri am-bienti. Le conoscenze tecnologiche pregresse potrebbero costituire un prerequisito fonda-mentale per l’accesso al ad un corso on-line (per esempio, il possesso dell’ECDL). Un file di aiuto on-line sarà sempre consigliato per ogni corso on-line che si intenderà creare.A questo punto vanno analizzati i contenuti: in base alla metodologia didattica che si intende attuare anche i contenuti seguiranno la stessa linea concettuale. Se si sceglie di adottare una metodologia e-teaching i contenuti saranno prevalentemente chiusi. Sono contenuti per lo più statici, che non si modificano visibilmente con il passare del tempo, riutilizzabili perciò in altre occasioni.Se all’opposto si seguirà l’e-learning i contenuti saranno “aperti” per permettere il con-fronto e la co-costruzione di sapere.Passiamo quindi agli obiettivi formativi del progetto: esistono varie tassonomie che clas-sificano gli obiettivi educativi. La Tassonomia di Bloom è gerarchica, il che significa che l’apprendimento ai livelli più alti dipende dall’aver acquisito le capacità e le conoscen-ze poste ai livelli più bassi. Gli obiettivi rispondenti alle abilità nel dominio cognitivo sono, in ordine gerarchico, conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, va-lutazione. Si passa poi all’analisi dell’infrastruttura, in cui rientrano la valutazione degli aspetti tec-nologici e quella delle risorse umane disponibili per la tutorship on-line, per la produ-zione dei contenuti e per la gestione del processo educativo.Per quanto riguarda l’aspetto più strettamente tecnologico, ipotizziamo che la scelta fat-ta ricada sulla piattaforma e-learning Moodle.

77

Formare per formare nella complessità

Dovremo ora affrontare la scelta di una microtipologia didattica, ovvero le strategie, i me-todi e le architetture didattiche che sottostanno alla progettazione di un corso in genere. Come già rilevato, l’apprendimento è facilitato quando gli studenti sono messi di fronte alla soluzione di problemi quanto più possibile autentici. L’apprendimento è facilitato an-che tramite l’attivazione delle conoscenze preesistenti, che andranno a costituire la base di quelle nuove: i nostri utenti saranno dunque messi di fronte a problemi realmente possi-bili nell’ambiente lavorativo in questione e per i quali dovranno saper applicare prima che gli strumenti informatici a disposizione, le proprie conoscenze e capacità pregresse.L’applicazione delle conoscenze sarà senza dubbio il focus principale della didattica. Al termine di ogni tutorial o videolezione che sia, si potrà ipotizzare di applicare a un caso concreto quan-to appena appreso o lo svolgimenti di un test di autovalutazione. Infine troviamo l’integrazio-ne, che implica il trasferimento delle nuove conoscenze nella vita reale. L’integrazione ha note-voli ricadute sulla motivazione: se agli studenti viene offerta l’opportunità di dimostrare i pro-pri progressi, la motivazione aumenta. In ognuna di queste fasi possiamo immaginare quanto sia importante aver un adeguato supporto fornito da un numero adeguato di tutor.Nella microprogettazione didattica, vanno sempre considerati i seguenti punti:

i modelli e le architetture didattiche più efficaci rispetto alle situazioni di ap-1. prendimento descritte;le strategie didattiche e la loro combinazione;2. la valutazione dell’apprendimento;3. la comunicazione didattica efficace dei contenuti formativi.4.

La progettazione di un corso ha inizio con la scelta del modello didattico che meglio si addice alle nostre esigenze formative.Le architetture didattiche sono classificabili in quattro famiglie:

ricettiva, basata sulla trasmissione dell’informazione;1. sequenziale o direttiva, basata su brevi lezioni e molta pratica;2. a scoperta guidata, basata su un approccio problem-based e sull’apprendimento 3. situato (modello costruttivista);collaborativa, basata su peer learning e orientamento al project work.4.

Innanzitutto dobbiamo sempre considerare che gli ambienti di apprendimento on-line sono più adatti ad attività centrate sullo studente piuttosto che alla semplice trasmissio-ne di materiale e conoscenza. La sfida per i tutor è quella di progettare attività che incoraggino gli studenti a discu-tere, criticare e riflettere, piuttosto che immagazzinare passivamente grandi quantità di informazione.

78

Formare per formare nella complessità

In secondo luogo, va ricordato che tali architetture non si escludono a vicenda, ma spes-so funzionano meglio se integrate. Per esempio, il modello costruttivista e quello col-laborativo si dimostrano un’arma vincente in contesti di e-learning. Inoltre qualunque modello o combinazione di modelli venga selezionato, deve essere sempre posta atten-zione all’interazione. L’apprendimento on-line infatti fallisce se non c’è interazione: per-tanto bisogna facilitare la costruzione di relazioni e fornire un ambiente di apprendi-mento adeguato a questo fine.Le reti, intese come relazioni sociali, istituzionali, economiche, professionali, hanno un ruolo rilevante nella società contemporanea in quanto ogni individuo e organizzazione non può più essere considerato a sé ma deve attivare relazioni tra parti.Le competenze strategiche o metacompetenze, inoltre, necessitano, per essere attivate, di azioni formative che permettano agli individui di avere uno sguardo completo sulla realtà del e sul contesto in cui è inserito per costruire reti utili per uno sviluppo profes-sionale adeguato (Lovece S., 2009).Attivare delle reti diventa allora un’ulteriore competenza strategica che permette di svi-luppare sia la capacità di individuare i bisogni del proprio ruolo professionale e di indi-viduare le organizzazioni in grado di permettere di ampliare la professionalità, sia la ca-pacità di analizzare le organizzazioni presenti nel territorio per decidere la giusta strategia per attivare relazioni con esse.

79

Formare per formare nella complessità

BibliografiaAlberici A., Serreri P. (2003), Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di com-petenze, Roma, Monolite.

Alberici A. (1999), Imparare sempre nella società della conoscenza. Dall’educazione degli adulti all’apprendimento durante il corso della vita, Torino, Paravia.

Argyris C., Schon D. (1978), Organizational Learning: A Theory of Action Perspective Ad-dison-Wesley, Reading (Ma).

Bandura, A., (1997), Autoefficacia. Teoria e applicazioni, Trento, Erickson.

Bonazzi G. (1995), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli.

Borgato R., Capelli F., Ferraresi M. (a cura di), (2009), Facebook come. Le nuove relazioni virtuali, Milano, Franco Angeli.

Boscolo P., Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, Tori-no, UTET, 1997.

Brofenbrenner U. (1979), Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, Il mulino.

Bruner J. (1997), La mente a più dimensioni, Bari, Laterza.

Campagna L., Gaspari U., Pero L. (1995), Controllo e apprendimento, in De Maio A., Catalano C., (a cura di), Modelli organizzativi e di controllo nel sistema bancario, Mi-lano, Edibank, p. 221.

Cappucci U. (2000), Un modello di competenze per l’impresa e un modello di sviluppo per il formatore, in, (a cura di), Amietta P.L., I luoghi dell’apprendimento, metodi, strumen-ti e casi di eccellenza delle nuove formazioni, Milano, Franco Angeli - AIF, p. 44.

Castelfranchi C. (1988), Che Figura. Emozioni e immagine sociale, Bologna, Universale Paperbacks.

Ciotti F., Roncaglia G. (2000), Il mondo digitale, Roma-Bari, Laterza.

De Keckhove D. (1993), Brainframes, Mente, Tecnologia, Mercato. Come le tecnologie del-la comunicazione trasformano la mente umana, Bologna, Baskerville.

80

Formare per formare nella complessità

De Maio A. e Patalano C. (a cura di), Modelli organizzativi e di controllo nel sistema ban-cario, Milano, EDIBANK.

De Masi D. e Pepe D. (a cura di), (1989), I modelli organizzativi tra conoscenza e realtà, Sociologia del Lavoro, n. 37, Milano, Franco Angeli.

De Masi D. (1987), Complessità ontologica e complessità epistemologica, in Atti dell’8° convegno nazionale AIF, Comunicazione, organizzazione e nuove complessità, Quader-ni di formazione, n. 61, Milano, Industrie Pirelli, pp. 7-24.

De Michelis G. (1987), La complessità nelle organizzazioni, in Atti dell’8° convegno na-zionale AIF, Comunicazione, organizzazione e nuove complessità, Quaderni di forma-zione, n. 61, Milano, Industrie Pirelli, pp. 7-24.

Di Fabio A. (2002), Bilancio di competenze e orientamento formativo. Il contributo psico-logico, Firenze, Giunti-O.S.

English F. (1992), I contratti triangolari multipli, Neopsiche, n. 17-18, Torino, Ananke Edizioni.

Fabbri D. (1990), La memoria della regina. Pensiero, complessità, formazione, Milano, Guerini e Associati.

Fabbri D. (1987), Il vissuto della complessità, in Atti dell’8° convegno nazionale AIF, Co-municazione, organizzazione e nuove complessità, Quaderni di formazione, n. 61, Mi-lano, Industrie Pirelli, pp. 7-24.

Fanelli A. (2001), Diventare Grandi: le teorie del conoscere e dell’apprendere nelle organiz-zazioni, in Le raccolte di Sviluppo & Organizzazione, 17, ESTE, Milano.

Fossati F., Cresce la voglia di fuzzy, in Elettronica oggi, 237 - speciale, http://www.iack-son.it/EO/237 spe1.asp.

Fregola C. (2012), TA, relationship with one’s own learning process and strategic studying, in International journal of transactional analysis research, VOl 1, n. 4, pp. 67-79, www.ijtar.org.

Fregola C., (2011), Analisi Transazionale e processi educativi. Esplorazioni per curiosare nel Campo educativo nella complessità sociale e culturale del nostro tempo, in Tangolo E.,

81

Formare per formare nella complessità

Vinella P. (a cura di), Professione Counsellor, competenze e prospettive nel counselling analitico transazionale, Pisa, Felice Editore, pp. 86-126

Fregola C. (2010), La formazione e i suoi sistemi, Roma, Monolite.

Fregola C. (2003), Riunioni efficaci a scuola. Ridefinire i luoghi della comunicazione sco-lastica, Trento, Erikson.

Gagné E.D. (1989), Psicologia cognitiva e apprendimento scolastico, Torino, Sei.

Gardner H. (1999), Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente, Milano, Feltrinelli.

Grönroos C. (1994), Management e marketing dei servizi, Torino, ISEDI.

Katz D. e Kahn R.L. (1988), La Psicologia Sociale delle Organizzazioni, Etas Kompass. Sonzogno.

Kirkpatrick D.L. (1996), Evaluating training programs. The four levels, San Francisco, Berrett-Koehler.

Lanza A. (2000), Knowledge Governance. Dinamiche competitive e cooperative nell’econo-mia della conoscenza, Milano, E.G.E.A.

Lévy P. (1999), Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, Feltrinelli.

Lévy P. (1996), L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli.

Lopez, X., Margapoti, I., Pireddu M. e Sapuppo F. (2010), Quale didattica per l’e-learn-ing? I risultati di un’indagine empirica a livello internazionale, in Educational, Cultural and Psychological Studies, vol. 2, December, pp. 27-53.

Lovece S. (2009), E-learning e società della conoscenza, Alma Mater Bologna - Dottora-to di Ricerca.

Maragliano R. (1998), Nuovo manuale di didattica multimediale, Bari, Laterza.

Maragliano, R. (a cura di) (2004), Pedagogie dell’e-learning, Roma-Bari, Laterza.

82

Formare per formare nella complessità

Maragliano, R. (2008), “Vuoi mettere?!” Cose che l’insegnamento in presenza non può fare, Quaderno di comunicazione, n. 8/2008, Le variazioni grandi, 95-100.

Maragliano, R. (2009), C’era una volta…, Education 2.0, Didattica e apprendimento, 30/10/2009.

Maslow A. (1973), Motivazione e personalità, Roma, Armando.

Meyrowitz J. (1995), Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici influenzano il com-portamento sociale, Bologna, Baskerville.

Mintzberg H. (1985), La progettazione dell’organizzazione aziendale, Bologna, Il mulino.

Narduzzo A. e Warglien M. (1997), Le routine come competenza organizzativa, in Lippa-rini A. (a cura di), Le competenze organizzative, Roma, Carrocci, pp. 67-90.

Neglia G. (1999), La valutazione della formazione: esperienze a confronto, Milano, Lu-petti, pp. 30 e seg.

Nonaka I. e Takeuchi H. (1997), The Knowledge Creating Company, Milano, Guerini e Associati.

Olmetti Peja D. (2008), Il metodo osservativo nei contesti formativi, Quaderni di Proget-tare e Valutare nei Contesti Formativi, Roma, Monolite.

O’Reilly, T. (2005), What Is Web 2.0: Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, pubblicato in: “International Journal of Digital Economics” n. 65 (marzo 2007), pag. 17-37.

Quaglino G.P. (2005), Fare Formazione. I fondamenti della formazione e i nuovi traguar-di, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Quaglino Q.P. (1986), Fare Formazione, Milano, Franco Angeli.

Rifkin J. (2000), L’era dell’accesso. La rivoluzione della New Economy, Milano, Mondadori.

Rullani E. (a cura di) (1994), Il valore della conoscenza, Economia e politica industriale n. 82, pp. 47-73.

83

Formare per formare nella complessità

Santelli Beccegato L. (1992), Bisogno di Valori, Brescia, La Scuola.

Scott R.W. (1985), Le organizzazioni, Bologna, il Mulino, Prentice Hall International.

Senge P.M. (1992), La quinta disciplina, Milano, Sperling & Kupfer.

Trivero A. (1990), La qualità dell’impresa di servizi, Milano, Fendac.

Verona G. (2000), Innovazione continua. Risorse e competenze per sostenere il vantaggio competitivo, Milano, E.G.E.A.

Volli U. (1994), Il libro della comunicazione. Che cosa significa comunicare: idee, strumen-ti, modelli, Milano, il Saggiatore.

Watzlawick P., Beavin J.H. e Jackson D.D. (1971), Pragmatica della comunicazione uma-na, Roma, Astrolabio.

Wenger E. (1998), Communities of Practice. Learning, Meaning, and Identity, Cambridge, Cambridge University Press.

Zani B., Selleri P., David D. (1994), La comunicazione. Modelli teorici e contesti sociali, Roma, NIS La Nuova Italia Scientifica.

Zeithaml V.A. et alii., (1991), Servire Qualità, Milano, McGraw-Hill.

Sitografiahttp://www.marcocalvo.it/libri/internet/speciali/2000/il_mondo_digitale/sommario.htmhttp://oreilly.com/web2/archive/what-is-web-20.htmlhttp://radar.oreilly.com/2005/10/web-20-compact-definition.htmlhttp://www.slideshare.net/SocialMediaLab/e-learning-social-media-lab-mario-pireddu

84

Sintesi dei focus di aggiornamento rivolti ai formatori della Sicurezza

sui luoghi di lavoro

85

focus n. 1Il test di valutazioneferdinando terranova, Luca Limardo

Attraverso un breve excursus storico-culturale nel quale si evidenzia che il no-stro Paese, a differenza di quelli anglosassoni, non ha una lunga tradizione in merito, si può datare l’avvio della “cultura della valutazione” contestuale all’avvio del processo di programmazione economico-sociale dell’ini-zio degli anni ’60, per l’esattezza nel 1962 con la pubblicazione della Nota Aggiuntiva alla Relazione sulla situazione economica del Paese redatta dal Ministro del Bilancio dell’epoca, on.le Ugo La Malfa. La cultura della valutazione si avvale di tecniche di mi-surazione originariamente qualitative, successivamente quantitative nella misura in cui si creano delle banche dati di carattere economico-sociale.

Qualitativa• : quando si dà un giudizio di valore sui risultati dell’azione che si è svolta secondo quan-to programmato in base a una scala ordinale descrittiva (da pessimo ad ottimo);Quantitativa• : quando il giudizio di valore è rispetto ad una pie-tra di paragone presa per ottimale, secondo una scala ordinale nu-merica (da 0 a 10, a 100, a 1.000).

Dietro tali tecniche ci sono approcci diversi alla valutazione:

in quello “positivista sperimentale” la pietra di paragone sono gli obiettivi del •Programma; la valutazione è riferita “a se e come gli obiettivi del Programma sono stati raggiunti”. in quello “pragmatista” la pietra di paragone sono gli standard di qualità co-•struiti sulla base di ricerche psico-sociologiche ed epidemiologiche sul campo o di ricerche scientifico-sperimentali di laboratorio. La valutazione è la misura della distanza tra una realtà o un fenomeno che s’indaga ed uno standard rite-nuto ottimale;

86

Focus n. 1. Il test di valutazione

in quello “costruttivista” la pietra di paragone è quella che viene ritenuta un suc-•cesso da parte del decisore politico o da parte del management, e la valutazione coincide con il successo stesso rendendola unica.

Dietro i diversi approcci di valutazione si possono identificare differenti processi logici ed altrettanti strumenti di osservazione: in quello “positivista sperimentale” il metodo è quello “comparativo”, del confronto ripetuto nel tempo. Scopi o fini non sono quantificabili, mentre lo sono gli obiettivi primari e secondari; il metodo “comparativo” (confronto possibilmente ripetuto nel tempo) dà luogo ad un percor-so che parte da una situazione A nel tempo A, attivando uno o più interventi, per passare ad una situazione B nel tempo B. Oppure si passa da una situazione A nel tempo A ad una situazione B nel tempo B anche senza che venga attivato alcun in-tervento. Lo strumento largamente utilizzato è il questionario da somministrare ad un gruppo rappresentativo di popolazione individuato attraverso tecniche di cam-pionamento ben definite.Solitamente tale approccio è utilizzato largamente nell’analisi degli investimenti pubbli-ci e in quella dei programmi sociali.In quello “pragmatista”, la valutazione è legata ad un giudizio di valore che la società si dà; il nodo è “come si stabiliscono gli standard da raggiungere”. In questo caso risulta decisivo il ruolo svolto dagli esperti del settore oggetto di valutazione attraverso l’analisi della struttura, del processo e dell’esito. Tale approccio si definisce in cinque punti fon-damentali:

stabilire criteri di merito e standard;1. misurare i risultati dei singoli programmi;2. dare un punteggio ai singoli risultati;3. ordinare più programmi in una graduatoria;4. sintetizzare i risultati in un giudizio finale di valore.5.

Un esempio comune di valutazione attraverso un approccio “pragmatista” si ottiene quando si vuole arrivare a certificare la qualità dei servizi pubblici mediante l’applicazio-ne delle norme e delle linee guida ISO 9000.Lo strumento utilizzato è quello dell’inchiesta o delle indagini di popolazione che ado-perano l’osservazione per acquisire i dati preliminari e l’intervista per studiare compor-tamenti ed aspettative attraverso la predisposizione di un questionario.Nell’approccio “costruttivista” la valutazione di qualsiasi programma va contestua-lizzata (storicamente, culturalmente, economicamente, socialmente, ecc.) attraver-so l’utilizzo degli strumenti di lettura identificabili nell’analisi dei casi e nelle inter-viste in profondità che sono di carattere qualitativo tramite il ricorso alle tecniche

87

Focus n. 1. Il test di valutazione

analitiche delle scienze della personalità. C’è da notare come le conclusioni ottenu-te non siano automaticamente trasferibili in altri contesti, anche se vengono attuati programmi simili. Per ottenere una valutazione occorre che la comunità o l’intera società venga coinvolta con processi partecipativi diretti o delegati. La valutazione assume quindi un carattere partecipativo.Storicamente la prima fase della valutazione corrisponde all’approccio positivistico-sperimentale che abbraccia temporalmente il periodo della prima metà anni ’60 - prima metà anni ’70. Tale periodo corrisponde alla legittimazione della programma-zione economico-sociale. Il periodo successivo fino alla metà degli anni ’80 è caratte-rizzato da un approccio “costruttivista del processo sociale” che corrisponde all’esal-tazione del “mercato” e alla delegittimazione della programmazione come vincolo al “mercato”. Infine i nostri giorni vedono l’approccio “pragmatista della qualità”, dove il processo valutativo corrisponde ad un pluralismo nelle valutazioni, sulla base di quelle che i singoli valutatori ritengono essere le priorità di una società.

Inchiesta o indagini di popolazioneNel dettaglio si andranno ora ad analizzare lo scopo e le metodologie per effettua-re un’indagine di popolazione. Questa permette di precisare la natura del problema e di determinare lo spazio che tale problema occupa nella vita di una collettività, attraverso l’individuazione delle difficoltà da superare e la comprensione degli in-teressi che si oppongono alla soluzione del problema stesso. Si pone quindi come fine quello di individuare le soluzioni possibili e di valutare le risorse disponibili per far fronte alla situazione con un’azione appropriata, indicando i mezzi necessari per raggiungere l’obiettivo.L’indagine di popolazione può assumere un carattere “specifico” per meglio comprende-re i rapporti di causa/effetto che legano i problemi oggetto dell’investigazione, mentre risulta di tipo “generale” quando si propone di rilevare la molteplicità degli aspetti di una determinata situazione sociale.In linea di massima si possono sottolineare alcuni passaggi fondamentali che danno luo-go ad un’indagine di popolazione:

preparazione dell’indagine;1. raccolta dei dati;2. analisi dei dati;3. presentazione dei risultati. 4.

Nello specifico, andando ad analizzare le fasi appena indicate, si può notare come la fase della preparazione dell’indagine si sviluppi attraverso la determinazione

88

Focus n. 1. Il test di valutazione

dell’obiettivo perseguito, la successiva perimetrazione del territorio ove si svolgerà l’indagine, la predisposizione di un piano di lavoro e di un conseguente piano fi-nanziario.Successivamente si procede con la raccolta dei dati tramite la fase di addestramen-to dei rilevatori (coloro che raccoglieranno i dati); tale attività ha lo scopo di otte-nere chiarezza nella formulazione delle domande. Esse infatti non possono assolu-tamente dar adito ad equivoci, pena l’annullamento dell’indagine stessa. Raccolti i dati, si può quindi passare alla loro analisi attraverso la revisione, la classifica-zione e la codifica finale, passaggio che permette di giungere alla fase finale che è quella della presentazione dei risultati, attraverso il ricorso a rappresentazioni gra-fiche (grafici lineari, istogrammi semplici, istogrammi composti, grafici per setto-ri, pittogrammi, carte geopedologiche, cartogrammi, schizzi e fotografie, rappre-sentazioni grafiche cromatiche). Da quest’ultima fase si genera il cosiddetto rap-porto finale; i punti principali sono caratterizzati dalla esplicitazione dello scopo dell’indagine e da come essa è stata organizzata, come ad esempio la descrizione della zona scelta e le ragioni di tale scelta. Successivamente si andranno a illustra-re le modalità seguite nella conduzione dell’inchiesta effettuata sul campo ed i re-lativi metodi utilizzati; questo produrrà l’elenco dell’esposizione dei fatti osservati e dei risultati ottenuti, raggruppando le tematiche analizzate attraverso una serie di sintesi conclusive.A questo punto si potrà presentare una serie di ipotesi attraverso un progetto d’interven-to che mira a modificare la situazione esaminata nell’inchiesta e a controllare nel futuro l’evoluzione del fenomeno osservato. A tale riguardo si possono delineare due tecniche d’osservazione:

1. l’osservazione (semplice, sistemica, globale) per acquisire i dati preli-•minari;2. l’intervista (individuale e collettiva) per studiare comportamenti ed aspettati-•ve. L’intervista, a sua volta, si avvale di uno strumento: il questionario. Questo è definito dagli specialisti del settore ed è solitamente preceduto da uno studio pilota della tematica da investigare. I suoi obiettivi debbono essere ben circo-scritti e non superare nella somministrazione i 30 minuti; attraverso il suo uti-lizzo possiamo analizzare i seguenti contenuti:

fatti;1. conoscenze;2. opinioni; 3. atteggiamenti;4. motivazioni.5.

89

Focus n. 1. Il test di valutazione

Per formulare un questionario è necessario attenersi ad alcune indicazioni di carattere empirico e generale: infatti dal punto di vista pratico, osservabile, il questionario dovrà permettere a coloro che lo compilano di non dover sostenere un grande sforzo di me-moria, attraverso l’impiego di domande chiare, evitando l’uso di quesiti “orientati”; ri-sulta altresì importante evitare domande che coinvolgano emotivamente l’intervistato, o puntare ad avere risposte univoche. Infine la successione delle domande non deve essere logica bensì deve cercare di mettere a suo agio l’intervistato.Per quanto concerne invece le indicazioni di carattere generale possiamo notare come le domande debbano passare da un livello di comprensione semplice ad uno più com-plesso, in maniera graduale, permettendo così il risveglio dell’interessamento da parte dell’intervistato. La scelta della tipologia delle domande può essere molto ampia e varia: si possono utilizzare infatti domande di tipo diretto o indirette, proiettive per le ricerche motivazionali, domande chiuse, semichiuse o aperte, domande primarie che svolgono la funzione di filtro per quelle successive, domande di controllo che permettono di verifi-care la casualità o meno delle risposte fornite, ecc.Un ulteriore strumento d’indagine utilizzabile è costituito dall’intervista, che può assu-mere il carattere “strutturato” o “semistrutturato”; un punto fondamentale per la riuscita dell’intervista è l’analisi del campione da coinvolgere, attraverso le tecniche di campio-namento che possono essere definite attraverso un piano determinato a sua volta dalla disponibilità o meno di una lista di popolazione (piano di campionamento). Tale scelta si muoverà tra due possibilità: la prima è determinata dalla scelta causale in presenza di liste delle unità di popolazione, che a sua volta produrrà quattro tipologie di campioni:

A. causale semplice;B. sistematico;C. stratificato;D. a più stadi.

Nel caso in cui non è possibile disporre della lista delle unità di popolazione ci trovere-mo di fronte a due tipologie di campionamento:

A. a cluster (grappolo);B. per aree.

Avendo quindi analizzato alcune delle possibili tecniche per effettuare un’indagine su una popolazione, ci avviamo a esaminare il concetto di multimedialità osservando alcu-ne delle principali piattaforme e-learnig presenti attualmente nel panorama della forma-zione a distanza.

90

focus n. 2La formazione mista:

ipotesi di blended learning applicata alla formazione professionale

Luca Limardo, ferdinando terranova

Lo scopo principale del Focus è di introdurre il formatore ad acquisire uno stru-mento per l’apprendimento on-line, per far capire come migliorare la qualità del-la formazione facilitando l’accesso a risorse e lasciando indipendente lo studente nella sua fase di apprendimento, pur avendo un monitoraggio continuo di tut-te le attività svolte. Questo concetto verrà analizzato attraverso l’osservazione di come si possa gestire un progetto educativo tramite l’utilizzo di piattaforme spe-cifiche per la formazione on-line, studiando singolarmente le parti che la costi-tuiscono. Partendo dalla gestione degli oggetti didattici (o Learning Object), si arriverà a comprendere cosa sono e come, tramite l’utilizzo di specifici strumen-ti, si possano creare delle risorse didattiche che rispettino lo standard del model-lo virtuale SCORM. Si illustrerà inoltre come monitorare le diverse attività dello studente, per determinare lo stato della lezione, il tempo di fruizione e il pun-teggio nel caso di test.

I concetti base dell’e-learning Tutti i sistemi e-learning si basano su alcuni concetti chiave:

Learning management system o LMS (es. Moodle);•Learning Object o LO; •Modello SCORM;•PowerPoint e Articulate.•

Learning management system o LMS è uno strumento software installato su un web server, il cui compito è di gestire l’erogazione di corsi e-learning. Un LMS è uno stru-mento fondamentale per la realizzazione di un progetto didattico on-line. Tali software hanno tre compiti base che li definiscono:

erogazione dei corsi on-line;•iscrizione degli studenti; •tracciamento delle attività. •

91

Focus n. 2. La formazione mista: ipotesi di blended learning applicata alla formazione professionale

La maggior parte di questi applicativi supporta un modello standard chiamato SCORM. L’LMS preso in esame è Moodle ed è una delle più importanti e diffuse piattaforma e-learning.Moodle è stato sviluppato per dare la possibilità al docente di gestire gli studenti come in una classe; pertanto la piattaforma ci mette a disposizione una serie di oggetti che contribuiscono alla creazione di corsi e di condivisione del materiale didattico, come ad esempio il pacchetto SCORM che ci permette di importare direttamente in piattaforma il corso da un file formato zip, o il quiz che dà la possibilità al docente di generare delle prove di valutazione, mettendo a disposizione le più comuni tipologie di test. Moodle ha anche degli oggetti orientati alla condivisione del materiale didattico, come il database, che consente di costruire una conoscenza di base condivisa, o il glossario, che dà la pos-sibilità di generare un elenco di termini più usati nel corso. Il software offre anche risor-se di comunicazione all’interno della classe come il forum, che permette di inserire dei commenti in specifiche aree tematiche, o il wiki, che consente di generare dei contenuti modificabili anche dagli studenti. Infine il docente tramite la piattaforma è in grado di visionare tutte le attività che si svolgono nella propria classe, quindi si ha tracciamento del tempo di fruizione del corso, del punto in cui si trova lo studente, di quante volte lo studente ha avuto accesso ad una determinata risorsa, del punteggio finale del quiz.Learning Object o LO è una risorsa digitale, modulare e riutilizzabile che costituisce un unico oggetto didattico. Un LO è formato da una serie di risorse minime (immagini, vi-deo, testi, ecc.). È importante che tutti gli LO abbiano una componente di riusabilità, quindi che possano essere utilizzati in contesti di formazione diversi; questo comporta anche un’adattabilità così da rendere facilmente aggiornabile l’LO. Un Learning Object deve anche avere la possibilità di essere aggregato con altri LO. L’ultima caratteristica che deve possedere un LO è la reperibilità che, grazie ai metadati, dà la possibilità di cercare contenuti all’interno del Learning Object stesso. Lo SCORM è un modello virtuale standardizzato e definisce una serie di specifiche di riutilizzo, tracciamento e catalogazione dei LO. Lo SCORM è basato su sei principi:

durabilità - un pacchetto con elevata durabilità garantisce interventi minimi di •aggiornamento; interoperabilità - dà la possibilità ai pacchetti di essere utilizzati in più piatta-•forme; accessibilità;•riusabilità - un’unità di un pacchetto può essere utilizzata in corsi differenti;•adattabilità - il sistema di fruizione del corso dovrebbe essere il più possibile •adattabile alle esigenze del singolo studente;sostenibilità economica.•

92

Focus n. 2. La formazione mista: ipotesi di blended learning applicata alla formazione professionale

Un pacchetto SCORM in genere è un file in formato zip o pif e all’interno contiene la struttura del Learning Object.In ultima analisi osserviamo il PowerPoint, famoso prodotto di casa Microsoft per la ge-nerazione di presentazioni, che se utilizzato con il componente aggiuntivo di terze parti, Articulate ad esempio, può essere un valido supporto alla generazione di corsi e-learn-ing. Articulate è stato sviluppato per facilitare il compito del docente nella creazione di corsi digitali; con questo specifico plug-in è possibile esportare il corso in varie modalità, che sono pacchetto SCORM, che trasforma il corso in un LO compatibile con la mag-gior parte dei LMS, pacchetto WEB, che predispone il corso per essere caricato on-line come un semplice sito web, pacchetto CD, che a sua volta genera un eseguibile da po-ter aprile off-line. Oltre a ciò il componente integra PowerPoint con strumenti specifici, come la sincronizzazione di un audio con le animazioni della presentazione, la creazio-ne di quiz ed interazioni e l’importazione di oggetti multimediali all’interno della pre-sentazione. Questo strumento ci introduce all’uso specifico che se ne può fare durante un percorso didattico, sia on-line che off-line.

93

focus n. 3Gli strumenti del comunicare:

tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

Cristian marras, Gianfranco Zucca

Il web è una sorta di vaso di Pandora: quando si cerca qualcosa si trova sempre tanto al-tro, aldilà di quello che si cercava. Ci sono dei blog che propongono interessanti spunti di riflessione in merito a tantissimi argomenti; rispetto a quello della comunicazione in aula abbiamo trovato una “indagine”, emergente dalla realtà lavorativa, che ci dice quali siano le percezioni sui maggiori fastidi provati dalle persone che, da allievi, seguono un docente in un’aula di formazione. Per iniziare a parlare della comunicazione in aula par-tiamo da questi dati che, con le dovute riserve in merito all’attendibilità statistica, ci di-cono qualcosa di significativo. Certamente la presenza di un docente in aula deve essere un valore aggiunto rispetto a quello che sta scritto su una slide, e quello che sta scritto nelle slide deve avere una sua valenza in termini di intelligibilità da parte dei discenti, vero obiettivo di un corso di formazione.Un percorso di formazione prevede la presenza in un’aula di due soggetti apparente-mente contrapposti: il formatore, da una parte, ed il gruppo dei partecipanti dall’altra. Dall’incipit della “comunità di apprendimento” si crea una relazione tra questi due sog-getti. Questa relazione è un veicolo importantissimo ai fini dell’acquisizione delle cono-scenze e delle competenze; per questo saperla gestire è una chiave fondamentale per il successo nel mestiere di formatore. Proprio per la delicatezza e l’importanza che risulta avere il rapporto che si delinea tra formatore e partecipanti, l’esito può essere diametral-mente opposto.Il rapporto può essere un braccio di ferro, in cui il formatore ha serie difficoltà a far pas-sare il messaggio/obiettivo del suo mandato formativo. In questo caso le difficoltà pos-sono essere insormontabili e l’aula può trasformarsi in una pratica da disbrigare il prima possibile lasciando la situazione come si trovava precedentemente se non peggiorata. In altra ipotesi il rapporto può generare un circolo virtuoso tra formatore e partecipanti in cui vengono esplicitati in maniera chiara bisogni e metodi, e la condivisione diventa la chiave del lavoro. In questo caso l’aula può essere come un’orchestra in cui l’interdi-pendenza, in senso positivo, crea una relazione proficua tra il formatore ed i partecipan-ti. L’immagine di questa situazione può essere assimilabile ad un’orchestra che seguendo il suo direttore esegue delle fantastiche musiche.Per poter avere un quadro chiaro di quali siano gli attori in scena, analizziamo la figura del formatore, andando a rispondere a semplici, ma sostanziali, domande:

94

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

Chi è?•Cosa fa?•Perché lo fa?•

Procediamo per gradi. Il formatore è una persona, un professionista, che, insieme al suo sapere ed alle sue espe-rienze, si mette a disposizione di altre persone per veicolare o far emergere un messaggio o conoscenza, sia esso di tipo tecnico, sia trasversale. Da un lato quindi troviamo la per-sonalità del formatore, con le sue peculiarità, che entrano a pieno titolo tra le variabili dell’aula, e dall’altra le personalità dei partecipanti che contribuiscono al lavoro, al clima e fondamentalmente all’efficacia dell’esperienza formativa. Il formatore fa un mestiere importante e delicato; quello che lo muove è una motivazio-ne intrinseca forte che costituisce il sostrato della sua quotidianità lavorativa. Quali sono gli aspetti che, nella professione del formatore, devono essere gestiti e valo-rizzati?Rispondiamo a questa domanda analizzando il suo profilo professionale. Il dato assodato è che il formatore deve essere un esperto di una materia per poterla spie-gare in maniera efficace ai suoi interlocutori. In quest’ottica possiamo inserire il concet-to espresso in maniera molto evocativa da Hemingway nella “teoria dell’iceberg” in cui si sottolinea l’importanza della mole delle conoscenze che emerge, come per un iceberg appunto, solo per una minima parte. In questo modo si sottolinea l’importanza della mole delle conoscenze come base di partenza per dare sicurezza in aula, dove i parteci-panti sono portatori di bisogni. Continuando ad approfondire gli aspetti che caratterizzano la personalità di un forma-tore, troviamo ciò che va oltre la conoscenza appresa sui libri. Parliamo ora delle com-petenze. La classica distinzione delle competenze di base, tecniche e trasversali in questa sede ci è di aiuto per esemplificare quanto queste tre categorie si compenetrino nella fi-gura del formatore. Le competenze tecniche e di base sono il punto di partenza; le competenze trasversali ne completano l’efficacia garantendo la capacità di trasmettere un messaggio e di far vivere un’esperienza che possa gettare le basi per portare a casa un messaggio significativo. Tra gli aspetti di cui un formatore deve avere conoscenza e padronanza, per poter gestire in maniera efficace un’aula, troviamo la conoscenza di se stesso e della sua personalità. Questo risulta essere importante ai fini della impostazione dell’aula e della regolazione dell’interazione con l’aula stessa.Una volta avuta una conoscenza approfondita di tutti questi aspetti, arrivare ad una platea sarà una situazione piacevole come il compimento di un lungo ed importante percorso. Parliamo di obiettivi, concepiamoli come una missione che il formatore deve compiere in nome della conoscenza.

95

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

Quando un formatore entra in un’aula ha di fronte a sé delle persone bisognose di qual-cosa. Individuiamo questo “qualcosa”.L’aspetto fondamentale della formazione non è solo e semplicemente la spiegazione di un concetto, di una formula matematica o di una nuova regola in quanto questo sarebbe troppo sterile e spersonalizzante per entrambe le parti. L’aspetto a cui guarda il formato-re è la restituzione del ruolo dell’esperto di sé ai suoi interlocutori. Renderli di nuovo in-dipendenti ed autonomi nel loro lavoro in un contesto cambiato ed evoluto. L’elemento che deve essere ricercato è l’accrescimento del self empowerment, ossia della generazione di una autonomia cosciente e forte del proprio ruolo. A questo punto è il caso di contestualizzare e di immaginarsi i primi momenti di un’au-la. A volte basta una semplice domanda per farci riconsiderare tutti i nostri piani e ritmi di lavoro, ossia “perché siete qua oggi?”. Le risposte sono spesso le più disparate ma tutte certamente degne di attenzione, in quanto rispondendo a questa domanda i partecipanti ci parlano della loro “motivazione”.È, quindi, il momento di approfondire brevemente questo argomento.La motivazione è concepita in termini psicologici come l’attivazione, l’orientamento e la persistenza di un comportamento nel tempo. La sua analisi ci consente di capire mol-ti aspetti che tengono in aula tante persone, in quanto permette di capire la natura del comportamento delle persone e di predirne la manifestazione.Da un punto di vista macro possiamo distinguere due categorie di motivazione.Una, quella intrinseca, attiene agli aspetti interiori della persona. Questa tipologia di motivazione fa riferimento e si aggancia alla dimensione intima e personale degli indi-vidui. In questa categoria possiamo trovare aspetti come il puro piacere di svolgere una attività, o la voglia di adempire a un compito semplicemente perché gratificante. La seconda categoria è quella della motivazione estrinseca. Questa tipologia costituisce l’opposto della prima; fa riferimento quindi ad aspetti che stanno fuori dalla persona e guardano in particolar modo ad aspetti di tipo sociale. Si parla dunque di elogi, incentivi monetari o dello status derivante dallo svolgere un determinato compito o attività.

Di cosa si compone la professionalità del formatore?Abbiamo accennato precedentemente al fatto che il formatore deve possedere delle skills specifiche oltre quelle tecniche che riguardano la trasmissione di un messaggio ad altre persone. Andiamo ad analizzare ora quali sono le componenti della professionalità di un formatore.Possiamo individuare principalmente tre classi. La prima classe riguarda le competenze relative al contenuto, ossia il sostrato di cui ab-biamo parlato prima, che riguarda la competenza sulle materie insegnate, quindi la co-noscenza approfondita di quello che si propone in aula, aspetto che i partecipanti col-

96

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

gono in maniera istantanea e che costituisce una chiave importante per il rapporto che si instaurerà durante il corso. Parliamo poi di competenze di campo. Questa classe di competenze è importantissima in quanto aiuta a contestualizzare l’intervento in un preciso ambito organizzativo, sto-rico e sociale. Conoscere il contesto in cui si effettuerà l’intervento è un rilevante spun-to per poter interpretare in partenza gli obiettivi dell’organizzazione che ha coinvolto il formatore ed in cui i destinatari andranno ad operare, in modo tale da poterne corretta-mente interpretare i bisogni e poter delineare insieme i risultati raggiungibili. Infine, ma non meno importante, è la conoscenza di tutte quelle metodologie d’aula che aiutano il formatore a far passare i contenuti ed i messaggi che sono obiettivo del suo in-tervento e che possono influenzare in maniera importante la riuscita di un’aula. Individuate le caratteristiche che ne compongono la professionalità, arriviamo ora a de-lineare tutto il processo che porta il formatore in un’aula di fronte ai partecipanti. Sud-dividiamo questo processo in “step” fondamentali, analizzando di cosa si tratta e speci-ficando quali sono le operazioni più salienti di ogni passaggio. Il primo “step” riguarda l’analisi dei bisogni. Gli aspetti fondamentali di questa fase sono legati al contesto ed ai referenti dell’azienda o organizzazione in cui il formatore si troverà ad operare. Le abilità che in questa fase saranno utili ai fini di un buono start del processo formativo saranno quelle legate alla analisi e negoziazione in merito ai contenuti, alle possibilità della ri-uscita dell’intervento formativo e alla comunicazione strategica con i responsabili della struttura. Il secondo “step” riguarda l’avvio del processo che mira direttamente all’aula, ossia la progettazione dell’intervento. In questa fase le abilità che un formatore deve mettere in campo e gestire sono quelle legate alla padronanza, e quindi alla scelta, degli strumenti didattici più consoni agli obiettivi formativi precedentemente individuati.Il terzo “step” è quello dell’erogazione: qui si entra nel vivo dell’aula e nella quotidia-nità del gruppo. Le capacità del formatore interessate in questa fase sono quelle rela-tive all’animare ed accendere un gruppo con finalità di apprendimento. Comunicare in maniera adeguata, supportare i partecipanti a far emergere i dubbi e le resistenze in merito agli argomenti trattati anche attraverso tecniche d’aula specifiche volte all’ani-mazione sono aspetti che, in questa fase, il formatore deve gestire in maniera cosciente ed autonoma.Il quarto “step” riguarda infine il momento della valutazione dei risultati raggiunti alla fine dell’aula. Questa fase è delicata ed importantissima, è un tempo dedicato al bilan-cio tra i risultati previsti e quelli raggiunti che funge dunque anche da termometro per l’efficacia stessa del formatore. È utile anche per poter individuare nuovi bisogni emersi durante la precedente erogazione al fine di valutare futuri interventi.Gli obiettivi di questo Focus guarderanno gli “step” che vanno dalla fase della progetta-zione a quella della valutazione dei risultati.

97

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

L’apprendimento efficaceUn apprendimento efficace è quello che viene portato a casa dai partecipanti dopo il per-corso d’aula e va a costituire una parte consolidata della conoscenza di ognuno di loro. Come rendere efficace un percorso d’aula? I metodi possono essere tanti; in generale le metodologie attive contribuiscono in maniera importante all’obiettivo dell’apprendi-mento efficace.Quali sono dunque le caratteristiche che una metodologia attiva deve soddisfare per po-ter guardare all’efficacia?Iniziamo dall’esperienza; ogni attività di formazione è un’esperienza e l’aspetto esperien-ziale aiuta a contestualizzare anche a livello mnemonico l’intero percorso che può essere mantenuto in memoria per lunghissimo tempo. Un altro aspetto riguarda la comprensione; ogni partecipante deve essere coinvolto in modo tale da rendergli comprensibile ciascun passaggio e non lasciare che alcuni ele-menti si stacchino generando un gap tra partecipanti in quanto questo tenderebbe ad isolare alcuni generando sottogruppi passivi o rinunciatari.C’è poi l’elaborazione; ogni partecipante deve avere il tempo di elaborare l’esperienza in modo personale e significativo.Infine abbiamo la metabolizzazione, che attiene alla sedimentazione permanente dell’esperienza.Analizziamo ora alcune metodologie che il formatore può utilizzare nella sua attività professionale. La prima e la più classica è la lezione. Questa metodologia comporta vantaggi e svantag-gi: approfondiamoli.La lezione preparata a casa in maniera determinata esclusivamente dal docente ammet-te la garanzia del fatto che i concetti verranno trasmessi in maniera rapida e strutturata secondo una tabella di marcia che riflette però le aspettative esclusive del docente. Que-sto è certamente un vantaggio in termini di omogeneizzazione delle disparità delle co-noscenze teoriche dei partecipanti e può aiutare a dotare gli stessi di una preparazione teorica standardizzata. Vediamo gli svantaggi: la rigidità di fondo della lezione e l’ade-sione alla teoria più che alla pratica generano delle reazioni che definiremo fisiologiche: la caduta dell’attenzione dopo poco tempo, la scarsa memorizzazione dei concetti e la fondamentale, se si parla di apprendimento degli adulti in particolar modo, difficoltà di collegare i concetti appresi alla realtà lavorativa quotidiana. Analizziamo adesso i fattori che possono aiutarci ad incrementare l’efficacia della lezio-ne. Uno è l’utilizzo di metodi attivi; con questi metodi i partecipanti vengono coinvolti in prima persona a fare e vivere l’esperienza formativa. Il risultato è che la lezione perde quell’aura didattica rigida e diventa una opportunità di crescita.C’è poi l’innovazione tecnologica che consente di utilizzare i supporti d’aula in maniera consona a favorire l’apprendimento; la chiave è nella scelta del supporto, che deve essere

98

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

sempre funzionale agli obiettivi. Oltre a quanto precedentemente detto, il gruppo, che è elemento fondamentale, deve essere opportunamente stimolato alla partecipazione. Continuando a tenere come riferimento l’efficacia dell’aula ci sono dei fattori che de-vono essere approfonditi per averli sempre sotto controllo. Innanzitutto il tempo: do-sarlo per ogni argomento o esercitazione che ci si propone di utilizzare è un aspetto che va valutato, prima di iniziare una attività, soprattutto quando si hanno tempi precisi di apertura e di chiusura. Questo ci può aiutare anche a valutare pause strategiche in modo tale da cogliere sempre il livello ottimale di attenzione dei partecipanti. Una grande ri-sorsa per il formatore, sia in termini di valutazione del proprio metodo sia dei contenuti, è costituita dai dubbi che emergono dall’aula; grazie a questi si possono approfondire e fissare gli argomenti trattati. Da curare inoltre sono i materiali d’aula, come ad esempio le dispense da dare ai partecipanti che devono essere pensate in maniera differente dagli altri materiali a supporto del docente, come le slides.

I supporti alla didattica: i metodi delle esercitazioniQuali sono i supporti che un docente può utilizzare in un contesto d’aula?La panoramica che effettueremo ci dice che sono tanti e versatili, quindi si prestano ad es-sere plasmati per gli utilizzi più disparati. Quello che farà la differenza in aula sarà il ruolo che il formatore darà agli strumenti scelti nella fase di progettazione. Altro aspetto fondamentale sarà la cura dell’efficienza di questi supporti; sincerarsi sem-pre della loro funzionalità e disponibilità è un semplice e salvifico strumento per la tu-tela del lavoro del formatore. Il proiettore, che consente di utilizzare le slides, la lavagna interattiva che consente esercitazioni interattive con i partecipanti, o anche il web per cercare delle fonti utili al nostro lavoro, sono tutti opportunità che il formatore deve sa-per cogliere in maniera responsabile e funzionale ai suoi obiettivi. Prima di entrare in aula una questione legittima da porsi è quella relativa al metodo. Lo studio del metodo per il docente costituisce una parte importante del suo percorso for-mativo ed effettuare una scelta metodologica significa dare una impronta fondamentale al processo formativo.Si possono individuare due grandi categorie che fanno riferimento a due approcci radi-calmente differenti. Sono l’approccio induttivo e quello deduttivo.Con l’approccio deduttivo partiamo da una teoria per spiegare la pratica. Questo tipo di metodo è assimilabile a quello dello studio filosofico in cui esaminare una spiegazione teorica per cercare nella realtà la sua conferma. Il metodo induttivo d’altro canto parte da un fenomeno pratico per andare a categorizzarlo teoricamente. Effettuare una scelta che preveda l’uno o l’altro metodo implica dare un’impronta importante all’aula. L’espe-rienza dice che in un’aula con persone adulte partire dalla realtà per andare a categorizza-re a livello teorico un fenomeno è certamente più produttivo in quanto consente ai par-

99

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

tecipanti di rimandare quanto detto alla propria realtà lavorativa. Questo è, ad esempio, certamente efficace in termini di sicurezza sul lavoro. Continuando a parlare di metodo vediamo come porre ai partecipanti contenuto teorico.Le opzioni possono prevedere, tra le tante, la sequenza per problemi, ossia si presenta una situazione problematica e si delinea poi la teoria che ha permesso di risolvere o spie-gare il dato fenomeno. Oppure si fa un excursus storico in cui si segue il delinearsi di tutte le teorie che si sono succedute per arrivare allo stato attuale.

Come valutare lo stato della conoscenzaUno dei metodi più utilizzati e accreditati è l’utilizzo dei questionari o test conoscitivi.Le risposte sintetiche offrono indubbi vantaggi per il docente che può quindi stan-dardizzare la valutazione attraverso strumenti come schede o correttori automatici. In ogni caso anche questi strumenti offrono vantaggi e svantaggi. Analizziamoli tenendo sempre come riferimento l’efficacia dell’aula. Da un lato i questionari rinforzano le conoscenze, nel senso che laddove si commetta un errore, dopo si svolgono la conte-stualizzazione e la spiegazione di quanto è stato sbagliato; in questo senso se la corre-zione avviene nel gruppo le lacune possono essere colmate dal gruppo stesso, il quale funge da rafforzo per il docente, che ottiene una misurazione dell’andamento collet-tivo dell’apprendimento.Arriviamo agli svantaggi: questo tipo di strumento evoca reminiscenze scolastiche che possono in certi casi non essere d’aiuto all’efficacia stessa del questionario. Questo è dovuto a vissuti individuali dei partecipanti non conoscibili a priori nella fase di pro-gettazione. In questa sede è però opportuno fare presente la possibilità della loro pre-senza.Altro aspetto riguarda il loro utilizzo nel tempo; se si utilizzano alla fine del percorso, il potere di correggere il tiro in itinere viene praticamente annullato restituendo solo una valutazione finale. Non esistono però solo i questionari. Se vogliamo parlare di apprendimento orientato alla pratica possiamo introdurre le esercitazioni addestrative, che consistono nello svolgimento di attività in maniera operativa, utilizzate in ambito aziendale per fare apprendere delle proce-dure standard. Si tratta, ad esempio, delle simulazioni di una attività quotidiana che preveda dei referenti ed un percorso prescritto in modo tale da evitare problemi relativi al processo lavorativo. Le esercitazioni di problem solving si rifanno a questa importante competenza tra-sversale. Hanno una utilità certa in termini di apprendimento, in quanto consentono al di-scente di saggiare l’efficacia del proprio modo di risoluzione di un problema. Con-sistono nell’assegnare un problema vicino alla realtà al gruppo, il quale si attiva con

100

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

tutte le risorse necessarie che può trovare al suo interno, creando la possibilità di predisporre dei sottogruppi. Quello che si vuole stimolare è la capacità di arrivare ad un problema inerente ai contenuti dell’apprendimento precedentemente trattati. È un metodo certamente vantaggioso, che merita attenzione soprattutto in termini di debriefing finale, utile ad approfondire tutte le variabili emerse dal processo di problem solving. Rimanendo nell’ambito delle esercitazioni, si propone anche il cosiddetto incident o caso a più fasi. In questa metodologia il docente propone un problema che è molto ade-rente alla realtà, che può essere risolto con le risorse del gruppo anche in termini di pro-attività nella sua ricerca e prevede degli step definiti, alla fine dei quali il docente effettua un debriefing utile a categorizzare e contestualizzare quanto emerso durante l’esercita-zione, in modo tale da concedere la rilettura di quanto svolto. Uno strumento importantissimo per le esercitazioni è quello degli autocasi. In questa modalità esercitativa i partecipanti sono i veri protagonisti in quanto portano al gruppo un caso da loro vissuto che ha costituito o costituisce un problema. Il gruppo funge da consulente, si attiva e partecipa alla soluzione. In questa modalità il docente deve avere una gestione del gruppo idonea a supportare i vari contributi emergenti e a rendere il tutto fluido e confacente alla soluzione. Un aspetto che deve essere governato con deli-catezza è quello emotivo, in quanto una sua gestione inadeguata potrebbe portare a con-flitti anche accesi tra gli stessi partecipanti, proprio per il fatto che si parla di cose reali e non simulate.

Gli strumenti per la didattica: PowerPointConclusa la panoramica sui metodi, parliamo ora di strumenti utili. In particolare di strumenti software per le presentazioni d’aula.Il più diffuso ed utilizzato è certamente PowerPoint. È alla portata di tutti perché si trova nel pacchetto base di Office in ogni PC dove è stato installato Windows. Se ciò è da un lato una grande opportunità per tutti, dall’altro il suo utilizzo è un rischio, soprattutto se non si è compresa fino in fondo la logica che sta dietro questa applicazione. Il formatore che utilizza PowerPoint ha sia un potenziale strumento di successo, sia un potenziale veicolo di difficoltà. Prima di iniziare a comporre le slide si deve infatti con-cepire il progetto nel suo insieme e decidere quali sono le frasi, gli schemi, le immagini salienti, in modo da poterli valorizzare. Il primo passo è dunque quello di avere chiaro che ruolo dare in aula a questo strumento per poi realizzare una presentazione che sia comprensibile e memorizzabile da parte dei partecipanti.Facciamo ora una panoramica sulle funzioni di PowerPoint che in un’aula possono essere un valido supporto per il formatore. Le immagini ed i filmati hanno un ruolo importante, consentono di ancorare il conte-

101

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

nuto alla memoria visiva, consentendo di tracciare un percorso significativamente più duraturo di quello delle parole. In un certo senso, nel loro utilizzo, il formatore deve porsi nei panni di un regista al momento delle riprese. Le esercitazioni tramite PowerPoint sono molto utili nel caso si voglia sottoporre ai par-tecipanti un questionario in quanto durante la presentazione si può far scorrere quest’ul-timo automaticamente secondo una temporizzazione stabilita dal docente a priori. Questo metodo ha indubbi vantaggi, attira l’attenzione dei discenti, è uniforme ed evi-ta distrazioni di vario tipo durante lo svolgimento della verifica. Prima di iniziare vanno adottati alcuni accorgimenti, come l’accertamento della visibilità in aula e l’affidabilità della strumentazione informatica.Le note a supporto del relatore possono aiutare il docente in caso di imprevisti “vuoti di memoria”. Anche in questo caso il lavoro deve essere impostato nella fase di proget-tazione delle slide. Si può, ad esempio, prevedere di appuntare nello “spazio note” delle parole chiave relative agli argomenti che si vogliono trattare in modo che attivandole si possano leggere in maniera chiara, proprio come se ci fosse a disposizione un suggeritore teatrale che ricorda la battuta che non rammentiamo.Approfondiamo il discorso sull’utilizzo dei filmati e delle immagini. Se l’euforia del saperli utilizzare ci può portare a far diventare PowerPoint un Movie Ma-ker, si deve tenere presente che dall’altra parte della platea ci sono sempre delle persone che hanno un loro livello di attenzione che segue le “regole” della fisiologia e che porta-no con sé aspettative e motivazione. La capacità del formatore consiste nel dosare l’utilizzo di queste due risorse evitando che i filmati si sostituiscano al docente relegandolo al ruolo del mero “proiezionista”. Ogni filmato dunque deve essere un aggancio a quanto si sta dicendo e la capacità di scelta del tipo di filmato e dell’impatto che si vuole generare sta nella individualità del docente. Possiamo affermare in conclusione che i filmati e le immagini non devono sostituire il docente ma integrarne l’efficacia espositiva. Tra le utilità di PowerPoint si possono sottolineare i pulsanti di azione.Con questi pulsanti, che troviamo tra le “forme”, si può fare una serie di attività quali:

aprire un programma;•rimandare ad un’altra slide;•rimandare ad un’altra presentazione;•avviare un file audio;•avviare un filmato;•rimandare alla home.•

Oppure ancora creare dei collegamenti ipertestuali a siti o altri documenti, o ancora in-serire filmati direttamente dentro la slide.

102

Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica

Gli strumenti per la didattica: PreziIntroduciamo ora un nuovo software di presentazione che sta riscuotendo un enorme successo: Prezi. È una applicazione on-line che consente di creare delle presentazioni dal forte impatto visivo dando una serie di opportunità per liberare l’energia creativa del formatore. Si può iniziare a lavorare con Prezi in maniera molto intuitiva. Nella versione public, gratuita on-line, si accede al Prezi con un proprio account e le presentazioni sono archi-viate in un cloud. Prezi consente di richiamare contenuti sia dal web sia dal PC locale, andando ad implementare il proprio cloud. Consente inoltre di riconoscere automati-camente file pdf e ppt (PowerPoint). Un aspetto interessante, che guarda al Web 2.0, è la possibilità di condivisione delle proprie presentazioni sui social network come Face-book e Linkedin.

Il confrontoEsaminiamo ora le differenze tra Prezi e PowerPoint.Nel secondo, che tradizionalmente è il più utilizzato, il relatore crea una presentazione dal tragitto “forzato”. Egli può, infatti, scorrere le proprie slide dall’inizio alla fine secon-do una sequenza che è prestabilita e che raramente può prevedere dei balzi contenutisti-ci. Questo può aiutare il docente nella preparazione di un argomento in quanto segue il progredire del discorso, ma che non prevede variabili se non in casi già studiati.Prezi ha un’altra prospettiva. Prevede, infatti, che l’ottica del relatore non sia su una sola sli-de, ma sull’intero sistema di contenuti, il campo, che è stato creato. Il relatore è un vero e proprio regista che scende negli argomenti in base a quelle che sono le contingenze dell’au-la, attraverso un semplice utilizzo della tastiera e del mouse. Gli elementi contenutistici possono essere sistemati nello spazio a 360°; in questo modo i salti da un argomento all’al-tro offrono una visuale simile ad un viaggio da un posto ad un altro, prevedendo sempre la possibilità di ritornare alla visione dall’alto di tutto il campo.

103

focus n. 4Il ruolo del formatore attraverso

la mediazione culturaleGianfranco Zucca, Alessandro Vaccarelli

Il focus è dedicato alla mediazione culturale, intesa come competenza del formatore che opera in contesti didattici fortemente caratterizzati dalla presenza di stranieri immigrati. In generale, la mediazione culturale è una competenza professionale che va usata per fa-cilitare l’inserimento dei cittadini stranieri nel contesto sociale del paese di accoglienza, esercitando la funzione di tramite tra i bisogni dei migranti e le risposte offerte dai servizi pubblici. Nello specifico di una situazione formativa, la mediazione va intesa come sen-sibilità e attenzione ai bisogni degli allievi, capacità di interagire, supportare e coinvolge-re soggetti con diversi livelli di competenza linguistica e motivazioni alla formazione.Il focus è organizzato in 3 blocchi tematici:

nel primo attraverso una serie di tecniche di discussione di gruppo si cerca di 1. costruire una mappa dei bisogni di mediazione a partire dalle esperienze dei formatori;nel secondo si descrive lo scenario socio-economico che ha portato il settore 2. dell’edilizia ad essere uno dei principali bacini occupazionali dei lavoratori im-migrati; nel terzo si presentano le principali definizioni di mediazione culturale e se ne 3. discutono le implicazione per la professione del formatore.

Emerge un bisogno di mediazione culturale nel momento in cui ci si trova a dover inte-ragire con persone provenienti da culture diverse. In un setting formativo questa situa-zione ricorda le “classi uniche”. Fino a non molti anni fa le scuole elementari nei piccoli paesi di montagna avevano una sola classe all’interno della quale studiavano bambini di età molto diversa. Il formatore in un contesto multiculturale è come un maestro di una scuola elementare a classe unica; deve essere in grado di assecondare le diverse esigenze di ogni allievo. Come nel documentario di Nicholas Philibert “Essere o avere”, il mae-stro si occupa allo stesso tempo di allievi molto piccoli che stanno imparando a leggere e scrivere e di allievi più grandi che invece hanno bisogni formativi diversi. Il documen-tario di Philibert evidenzia alcune questioni che, per analogia, possono essere usate per comprendere quali sono i tratti essenziali della mediazione culturale in ambito formati-vo. Fare mediazione significa quindi:

104

Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale

rispondere sempre, anche alle questioni “banali”: mediare è un’attività che ri-•chiede pazienza, poiché quello che si è spiegato una volta può non essere stato compreso e occorre quindi ripetere;lasciare che le persone imparino da sole: allo stesso tempo, bisogna dare fiducia •alle persone lasciando loro il tempo di imparare da sole.tutte le storie sono importanti: una delle componenti essenziali della mediazio-•ne è la sensibilità nei confronti delle persone e delle loro storie. La migrazio-ne porta con sé un carico di esperienze che il formatore deve essere disposto ad ascoltare;non lasciare passare gli errori: usare la mediazione culturale in contesti formati-•vi non significa adottare un approccio buonista per il quale gli errori non van-no evidenziati; aiutare chi è in difficoltà: allo stesso tempo se si nota che qualcuno è in eviden-•te difficoltà è necessario aiutarlo, offrendogli la possibilità di rimettersi in linea con il resto della classe;mantenere la giusta distanza: essere sensibili rispetto alle storie di vita degli al-•lievi immigrati non equivale ad ammettere che la distanza tra docente e allievo vada annullata, occorre esigere sempre rispetto da parte degli allievi;stimolare le persone distanti: infine, è necessario che il formatore ponga atten-•zione nel coinvolgimento di tutta la classe e cerchi di richiamare chi sembra di-stratto o poco interessato (concetto di fermezza).

La mediazioneLetteralmente mediare significa “essere tra”, “porsi da tra due cose”. Queste due cose sono la nostra cultura e una cultura altra: il compito del mediatore è comprendere i diversi punti di vista e offrire una sintesi delle diverse istanze. Facendo mediazione si corre però sempre un rischio: quello di propendere per l’uno o per l’altro polo della relazione. Per iniziare a ragionare sulle implicazioni della mediazione culturale nel lavoro del for-matore partiamo dall’esperienza; proponiamo un breve esercizio che aiuterà a capire me-glio il concetto di mediazione.

A. Raccontate di uno studente straniero che avete conosciuto e che vi è rimasto particolarmente impresso.

B. Sempre tenendo presente la vostra esperienza formativa, quali sono i bisogni di mediazione che incontriamo in classe? Usiamo la tecnica del brainstorming: que-sta è la situazione di partenza: ho un’aula con molti stranieri. Cosa devo fare?

C. Continuiamo a lavorare sulle vostre esperienze di formatori cercando di mettere ordine. Ora facciamo un Nominal Group Tecnique (NGT). Dobbiamo quindi

105

Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale

assegnare un valore da uno a cinque alle situazioni che sono emerse nel brain-storming.

D. Il risultato di questa fase di lavoro dovrebbe rispondere alla seguente domanda: quali sono i principali problemi della formazione in classi con stranieri?

La mediazione nel settore edileNella seconda sezione del focus tratteremo dell’impatto dell’immigrazione nel settore dell’edilizia.Un primo elemento di riflessione è dato dalla consistenza numerica della presenza stra-niera: i lavoratori stranieri occupati nel settore delle costruzioni sono 346.000, pari al 19% del totale (l’11,3% è non comunitario, circa l’8% ha cittadinanza comunitaria). Forte è, però, l’incidenza della CIG (33,3%, secondo Cassa Edile). Guardando alla ten-denza nel tempo, la componente immigrata continua ad aumentare: tra il 2008 e il 2012 si è passati dal 14% al 19,2% del totale degli addetti. Prosegue, invece, la fuoriuscita dal settore da parte dei lavoratori italiani (ormai scesi sotto quota 1,5 milioni).Un altro elemento utile per capire le caratteristiche dei lavoratori immigrati impegnati nel settore delle costruzioni è dato dalle differenze nelle condizioni di impiego. La mag-gior concentrazione di stranieri si riscontra tra le posizioni professionali a bassa qualifica: tra i manovali è straniero il 39,8% degli addetti, mentre tra gli addetti alle costruzioni lo è il 33,9%. Nelle professioni a qualifica più alta, la percentuale di stranieri è significa-tivamente più bassa: 9,5% nei “conduttori/gruisti”; 11,8% tra gli addetti alle rifiniture; 19,1% tra gli addetti alla pittura e alla rifinitura esterna. In sintesi, i dati evidenziano che gli stranieri nel settore delle costruzioni occupano per lo più posizioni a bassa qualifica. Questa situazione ha delle conseguenze anche sotto il profilo retributivo: i manovali non comunitari guadagnano 195 euro in meno rispetto agli omologhi italiani; i gruisti non comunitari guadagnano 152 euro in meno, mentre i pittori/imbianchini non comuni-tari guadagnano 171 euro in meno.Gli stranieri impiegati in edilizia evidenziano anche un maggiore tasso di infortuni: nel 2011 la percentuale di incidenti denunciati da stranieri sul totale è stata del 20,7%. Sem-pre nello stesso anno, dei 184 infortuni mortali verificatisi, 34 hanno coinvolto lavora-tori stranieri (pari al 18,4% del totale). Infine secondo un’indagine IRES-Fillea (2011), il 78,8% dei lavoratori stranieri contattati è poco o per nulla soddisfatto dell’ambiente fisico e della sicurezza del proprio lavoro.Al di là dei dati statistici, è necessario collegare la presenza straniera nelle costruzioni ad alcune tendenze di settore:

aumento dei ritmi di lavoro: la crisi e la necessità delle imprese di garantirsi un •fatturato adeguato producono una tendenza ad aumentare i ritmi di lavoro, al-

106

Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale

lungando gli orari e l’intensità dei turni. Questa tendenza porta con sé l’idea che la sicurezza rappresenti un “ostacolo” alla produttività poiché rallenta il lavoro. I lavoratori immigrati sono particolarmente esposti poiché spesso sono in con-dizioni di maggiore ricattabilità da parte dei datori di lavoro;compressione delle retribuzioni: in uno scenario di crisi del comparto costruzioni •le aziende tendono ad intervenire sul costo del lavoro, riducendo le retribuzioni e trasformando la manodopera stabile in assunzioni a tempo determinato. Un’altra voce di costo sulla quale si interviene è purtroppo la sicurezza: questa tendenza porta a considerare le norme di sicurezza nei cantieri una sorta di “lusso”;etnicizzazione delle mansioni: come si è visto, gli immigrati sono impiegati so-•prattutto in certe posizioni professionali con alcune specializzazioni etniche si-gnificative. Ciò implica che in alcuni casi la sicurezza sia vista come una sorta di “usanza” che alcuni lavoratori condividono, mentre altri non la ritengono necessaria.

Sulla base di una ricerca sulla sicurezza all’interno dei cantieri edili emerge che i lavora-tori stranieri esprimono tre diverse concezioni della sicurezza sul lavoro:

la prima, di tipo individualista, enfatizza la responsabilità individuale del lavo-•ratore demandando al singolo la tutela della propria incolumità e salute;la seconda può essere definita di tipo gruppale poiché secondo questa concezio-•ne la sicurezza è data dal controllo intersoggettivo che ciascun lavoratore eserci-ta sui propri colleghi. In questi termini la sicurezza è un meccanismo condiviso all’interno di un gruppo professionale;la terza concezione è di tipo istituzionale; secondo questo orientamento la si-•curezza di un luogo di lavoro dipende esclusivamente dai controlli degli organi preposti; l’individuo e il gruppo non hanno nessuna responsabilità.

I risultati della ricerca evidenziano che nel trattare della sicurezza nei luoghi di lavoro oc-corre tenere in grande considerazione anche i fattori psicosociali.

La mediazione culturale nel contesto formativoNella terza parte del focus si presenta una definizione standard di mediazione culturale, cercando di evidenziare quali siano gli elementi che possono essere utili in un contesto formativo.Secondo il “Repertorio delle Professioni” dell’ISFOL: “Il mediatore interculturale è in grado di accompagnare la relazione tra immigrati e contesto di riferimento, favorendo la rimozione delle barriere linguistico-culturali, la conoscenza e la valorizzazione delle

107

Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale

culture d’appartenenza, nonché l’accesso a servizi pubblici e privati. Assiste le strutture di servizio nel processo di adeguamento delle prestazioni offerte all’utenza immigrata”. Tale definizione mette in evidenza la funzione di supporto nel processo di integrazione sociale degli immigrati: il mediatore affianca l’immigrato cercando di agevolare il suo percorso all’interno della società di accoglienza.

Le competenzeLe competenze di base di un mediatore sono:

la mediazione linguistica, ossia la comprensione e decodifica della comunicazio-•ne verbale e non verbale, così come i sottintesi culturali della comunicazione;accompagnare l’individuo nella conquista dell’autonomia attraverso azioni di in-•formazione/orientamento e favorire un atteggiamento volto al problem solving.

Il secondo blocco di competenze riguarda l’interazione tra immigrati e sistema dei servizi pubblici territoriali. Sotto questo profilo il compito del mediatore è innanzitutto quello di facilitare attraverso l’informazione e la semplificazione delle comunicazioni il contat-to tra il cittadino straniero e l’apparato burocratico, cercando favorire condizioni di pari opportunità nell’accesso ai servizi.Nei contesti dove la mediazione culturale è inserita in modo strutturale nelle procedure di erogazione dei servizi, il mediatore si occupa di fare in modo che il contesto organiz-zativo sia pronto ad accogliere l’utenza immigrata. A questo scopo si occupa, innanzitut-to, di sviluppare, in accordo con gli enti in cui opera, proposte e interventi di mediazio-ne interculturale, di presentare l’intervento di mediazione interculturale a tutti i soggetti interessati e di seguirne l’applicazione in tutte le sue fasi. L’ultima area di competenza del mediatore riguarda l’interazione con specifici gruppi di stranieri. È questa l’azione più complessa poiché prevede la creazione di un legame stret-to e profondo. Nello specifico il mediatore ha come obiettivo la promozione della cultu-ra delle pari opportunità e la valorizzazione delle seconde e terze generazioni.Dalla presentazione dei compiti del mediatore culturale si evidenzia che in ambito for-mativo questa pratica professionale presenta alcune componenti problematiche:

la prima è che il mediatore di solito è un rappresentante della cultura “mediata”. •In ambito formativo ciò avviene raramente poiché il formatore quasi sempre è un rappresentante della cultura maggioritaria;il secondo elemento di differenza è dato dal fatto che il mediatore “traduce” ver-•so terzi, mentre in ambito formativo il docente è sia colui che si occupa di tra-durre sia il destinatario della traduzione;

108

Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale

il terzo aspetto problematico è dato dal fatto che il mediatore è un portatore •delle istanze dei gruppi culturali minoritari, mentre il docente non ha tra i pro-pri obiettivi quello di rivendicare i diritti delle comunità straniere bensì si oc-cupa di mettere gli individui nelle condizioni di apprendere al meglio i conte-nuti formativi.

In ambito formativo, si applica quindi un tipo di mediazione che non prevede compe-tenze ben definite, ma si avvicina di più a una sensibilità nei confronti delle differenze culturali. In altre parole, la mediazione culturale in ambito formativo non è uno stru-mento che si applica sempre allo stesso modo, ma dipende dal contesto e dalla capacità del formatore di leggere i bisogni delle persone. La mediazione culturale in contesti formativi va considerata in termini di atteggiamen-to e di approccio alla formazione. Tale modo di fare formazione più che di regole, stru-menti e procedure si sviluppa attraverso l’esercizio di alcune attenzioni. Il formatore cul-turalmente sensibile deve fare in modo che il lavoro d’aula sia improntato a valori come il rispetto, la fiducia, la pazienza, il rigore, l’indulgenza, la fermezza. Come il maestro di una scuola elementare a classe unica deve essere in grado di capire che tutti i bambini sono diversi e che ognuno di loro ha il diritto di apprendere.

109

focus n. 5Il tutor didattico: il ruolo e le competenze

all’interno del processo formativoAlessandro Vaccarelli, Gianfranco Zucca

Per capire la funzione del tutor nel processo formativo, è stato necessario analizzare i si-gnificati che la parola tutor assume partendo dalle conoscenze, dalle abilità e dalle com-petenze (sapere, saper fare, saper essere) possedute da chi svolge questo ruolo.Tenendo presenti le distinzioni e le interrelazioni tra educazione, istruzione e formazio-ne, si è entrati nel vivo del processo formativo attraverso lo studio del rapporto che esiste tra insegnamento e apprendimento, poiché è proprio in base alle teorie dell’apprendi-mento che cambia il modello di tutoring. Da una parte abbiamo il comportamentismo che sostiene l’instructional design secondo cui la conoscenza è un dato oggettivo e il pro-cesso di apprendimento è un’azione causa-effetto; la disciplina da apprendere diventa quindi il criterio regolatore della conoscenza e il processo di apprendimento è per lo più nelle mani dell’insegnante. Al contrario, il cognitivismo costruttivista propone l’appren-dimento come un processo personale mediato dal pensiero, per cui la conoscenza non è più un dato oggettivo, ma comprensione basata sull’esperienza, e il processo di appren-dimento vede come protagonista il soggetto che apprende.Per quanto riguarda i metodi di formazione si è fatto riferimento a variegate, interscam-biabili e complementari tipologie, di volta in volta utilizzate in base alle potenzialità e agli stili di apprendimento dei soggetti: lezione frontale, e-learning, coaching/counsel-ling, esercitazioni/simulazioni, self-learning, action learning, outdoors, projectworks.Per inquadrare il ruolo del tutor è stato utile impostare un lavoro di gruppo durante il quale, partendo dalle premesse teoriche osservate, si è avviata una riflessione comune sulla definizione della figura del tutor didattico. Una volta delineato un profilo si è pro-ceduto ad individuarne i punti deboli, i punti di forza e il modello di tutoring attraverso la lettura e l’analisi del promemoria per l’attività del tutor.Definire il tutor ha implicato una serie di riflessioni sull’etimologia della parola (tutor, in latino colui che cura, che protegge), sui paradigmi sui quali si appoggia e sulle attivi-tà da esso svolte.I paradigmi ai quali più comunemente si fa riferimento sono quello della comunicazio-ne, quello ecologico e quello della personalità riflessiva.Il focus sulla comunicazione pone l’enfasi sulla dimensione comunitaria e su quella re-lazionale dell’esperienza formativa, promuovendo tutte le possibili azioni di ascolto, ac-coglienza e responsabilizzazione dei soggetti coinvolti.

110

Focus n. 5. Il tutor didattico: il ruolo e le competenze all’interno del processo formativo

Il paradigma ecologico sposta l’attenzione sul ruolo del contesto e delle relazioni all’in-terno di un sistema che va organizzato al fine di garantire all’allievo una qualità di sup-porto sociale indispensabile allo sviluppo delle competenze richieste dal contesto.Parliamo, infine, di personalità riflessiva facendo riferimento al tutor in quanto pro-fessionista riflessivo che utilizza la reflection-in-action, ovvero la riflessione sulle proprie stesse azioni che vanno sottoposte a osservazione e monitoraggio al fine di indurre cam-biamenti e miglioramenti, di esplicitare le conoscenze tacite e di mettere in discussione modalità didattiche obsolete, aprendo la strada all’innovazione e allo sviluppo profes-sionale.È stato possibile, quindi, affermare che il tutor può agire come facilitatore della relazio-ne, come mediatore tra i diversi attori del processo formativo e come coordinatore dei rapporti tra l’area risorse umane e l’area tecnico-organizzativa. Una funzione importante è anche quella del “riscaldamento” dell’aula, cioè la fase di avvio del processo formativo durante la quale si creano il clima, la motivazione e le aspettative degli utenti. Nello spe-cifico, l’azione del tutor si esplica nella presentazione delle attività, nei riepiloghi in aula, nel monitoraggio del processo, nella valutazione di fine modulo e, non meno importan-te, negli interventi di orientamento rivolti a utenti e docenti.Dopo la definizione del ruolo del tutor, il gruppo, in possesso degli strumenti necessari, ha rimesso in discussione il promemoria confrontandolo con quanto ha acquisito e ha avuto la possibilità di proporre correzioni e aggiunte al documento.

111

Biografie

Formazione per i Formatori

Cesare FregolaProfessore incaricato di Didattica della matematica per l’integrazione nello stesso corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di L’Aquila, e docente presso il Laborato-rio di Pedagogia Sperimentale condotto dalla Prof.ssa Daniela Olmetti Peja, nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, presso l’Università Roma Tre. Ha condotto e partecipa a ricerche sui temi delle dimensioni emotive, cognitive e socio-relazionali nei processi dell’apprendi-mento nell’età evolutiva e nella formazione degli adulti. È autore di monografie, articoli e papers di rilevanza nazionale e internazionale. Svolge attività di consulenza e formazione sui temi della pro-gettazione formativa di sistema e sulla gestione dei ruoli manageriali nella complessità per Mathe-tica di cui è fondatore. È PTSTA in ambito Educativo dell’EATA (European Association Transac-tional Analysis) ed è membro del direttivo dell’IAT (Istituto italiano di Analisi Transazionale). Co-ordina il Master analitico transazionale nei campi educativi presso la sede PerFormat di Roma.

Umberto Zona Pedagogista, è assegnista di ricerca presso il dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. Progettista web, è stato tra gli animatori dei primi network telema-tici europei e si occupa da molti anni del rapporto fra tecnologie informatiche e processi di apprendimento. Si occupa inoltre di formazione a distanza ed e-learning e cura sulla piatta-forma Moodle gli insegnamenti di Pedagogia sperimentale e Didattica generale presso il cor-so di laurea di Scienze della Formazione Primaria dell’università Roma Tre. Alessandro BarelliProfessore aggregato presso l’Istituto di Anestesiologia e Rianimazione, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. Psicoterapeuta in formazione presso PerFormat (Scuola di Psicotera-pia). Segretario e Coordinatore della Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.

Francesca Lazzari Laureata in Scienze della Formazione all’Università di Roma Tre nella classe di laurea di Forma-zione e Sviluppo delle Risorse Umane, collabora con il Laboratorio di Tecnologie Audiovisive di Roma3 nello sviluppo di eBook interattivi. Si interessa di e-Learning e di Digital Culture. Lavora presso il Servizio Formazione della sede centrale del Patronato delle ACLI. Counsellor in forma-zione in ambito organizzativo presso la sede romana di PerFormat - Mathetica.

112

Biografie

Focus tematici

Ferdinando TerranovaProfessore Ordinario f.r. dell’area disciplinare della Tecnologia dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura di Sapienza Università di Roma.Esperto in programmazione e organizzazione di organismi edilizi ad elevata complessi-tà funzionale e tecnologica-impiantistica applicata alle diverse scale dei servizi ospeda-lieri. Studioso dei processi politici e strutturali dell’industria delle costruzioni. Docen-te strutturato di Tecnologia dell’igiene edilizia ed ambientale (1977-2001), di Proces-si e metodi della produzione edilizia (2002-2004) e di Storia della Produzione Edilizia (2005-2009). Dal 2010 al 2012 docente a contratto di Organizzazione della Sicurezza nei Cantieri Edili. Direttore (2004-2007) del Dipartimento Industrial Design, Tecnolo-gia dell’Architettura e Cultura dell’Ambiente (ITACA) di Sapienza Università di Roma. Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Riqualificazione e Recupero Insediativo del-la Facoltà di Architettura (2002-2008). Direttore del Master Internazionale di II livello Architetture per la Salute (a.a.:2004-05; 2006-07; 2008-09) e del Master Internaziona-le di II livello Gestione e Controllo degli interventi di riassetto e riqualificazione delle aree urbane dei PvS (a.a.: 2007-08) su cofinanziamento Sapienza Università di Roma e DGCS del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2009 è direttore scientifico del Master di II livello Architetture per la salute.

Luca LimardoÈ sviluppatore web presso Linfa s.r.l., società che da oltre 10 anni si occupata di forma-zione online, molto attiva nel settore pubblico e privato e che collabora con società quali Gruppo24ore, Poste Italiane, WWF, EPC e altre. Si è anche occupato di collaborazioni con molti studi di comunicazione come Blikke, D’Arrigo Design e altri. È stato docente di grafica tridimensionale presso l’istituto europeo di design.

Gianfranco ZuccaRicercatore sociale, si occupa di studi sull’immigrazione, il lavoro e la formazione. Ha collaborato con diversi enti pubblici e privati tra i quali Isfol, Ispesl, Cnel, Censis, Iref; Acli, Arci, Enaip, Cdo, Università e Ministeri. È autore di oltre trenta pubblicazioni tra saggi, articoli e volumi.

Alessandro Vaccarelli È Professore Associato di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Da sempre impegnato nel lavoro di ricerca sul fronte delle questioni inter-culturali, a partire dal 2009, si è occupato anche di problemi legati all’educazione nei contesti emergenziali e post-emergenziali. Tra i suoi ultimi lavori attinenti i temi delle

113

Biografie

emergenze: Formazione e apprendimento in situazioni di emergenza e post-emergenza (con M. V. Isidori), Armando, Roma, 2012; La generazione dei “senza-città”: i bam-bini all’Aquila dopo il terremoto, in F. Corsi, S. Ulivieri (cura), Progetto Generazioni, ETS, Pisa, 2012; Italiani e immigrati dopo il terremoto nel territorio aquilano. Ricerca sui bisogni sociali, educativi e sullo stato della convivenza, RicostruireInsieme, L’Aquila, 2010; Dal razzismo al dialogo interculturale. Il ruolo dell’educazione negli scenari della contemporaneità, ETS, Pisa, 2008; M. V. Isidori, A. Vaccarelli, Pedagogia dell’emergen-za. Didattica nell’emergenza, FrancoAngeli, Milano, 2013.

Cristian MarrasÈ Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, da otto anni si occupa di selezione del personale, formazione e orientamento scolastico e professionale. Ha lavorato in ambito sia Pubblico sia Privato. Interessato alle metodologie attive, innovative e creative, ha da sempre impostato l’aula di formazione utilizzando il metodo induttivo come strumento per la facilitazione dell’apprendimento.

114

Indice

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3

Formare per formare nella complessità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5

Capitolo 1Una prospettiva ecologica dello sviluppo dell’apprendimento nella complessità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8

1.1. Le organizzazioni sono reti di ruoli interconnessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.1.1. Dal prodotto al servizio formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.1.2. Il concetto di servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

1.1.2.1. I destinatari dei servizi formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231.1.2.2. Caratteristiche dei servizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241.1.2.3. Tre componenti del servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

1.1.3. La qualità del servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

Capitolo 2 I sistemi formativi nella complessità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

2.1. Innovazione e cambiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Tavola di approfondimenTo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

2.2. Le motivazioni al cambiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.3. L’organizzazione che impara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 462.4. Creazione della conoscenza e apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 492.5. La stratificazione delle conoscenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

Capitolo 3Le macrofasi del processo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

3.1. La rilevazione dei fabbisogni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.2. La progettazione formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

3.2.1. Decisioni progettuali, sviluppo e realizzazione dei processi e dei servizi formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.2.2. progettazione delle attività organizzative delle attività formative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

3.3. Rilascio delle attività formative. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 623.4. Verifica e valutazione della formazione in prospettiva di sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

3.4.1. Che cosa s’intende per valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.4.2. perché valutare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 673.4.3. I livelli della valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

115

Capitolo 4Il mondo virtuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

moodle e ambienti di apprendimento on-line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73progettare ambienti di apprendimento on-line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79Sitoografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

Sintesi dei Focus di aggiornamento rivolti ai Formatori della Sicurezza sui luoghi di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

Focus n. 1Il test di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85Inchiesta o indagini di popolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

Focus n. 2La formazione mista: ipotesi di blended learning applicata alla formazione professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90I concetti base dell’e-learning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

Focus n. 3Gli strumenti del comunicare: tecniche e software per migliorare l’interazione didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93Di cosa si compone la professionalità del formatore? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95L’apprendimento efficace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97I supporti alla didattica: i metodi delle esercitazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98Come valutare lo stato della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99Gli strumenti per la didattica: powerpoint . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100Gli strumenti per la didattica: prezi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102Il confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

Focus n. 4Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103La mediazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104La mediazione nel settore edile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105La mediazione culturale nel contesto formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106Le competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

Focus n. 5Il tutor didattico: il ruolo e le competenze all’interno del processo formativo . . . . .109

Biografie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

Progetto grafico e impaginazioneAton - Roma

Finito di stampare nel mese di agosto 2013 pressoLaCromografica - Roma

Si ringrazia la Dottoressa Giuseppina Sorrentino per il suo fondamentale apporto nell’organizzazione e nella preparazione dell’intervento.