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26 – Avventure nel mondo 1 | 2011 Ecua Foto di Isabella Gioia A sinistra scorcio di Quito e a seguire, in basso, il Gruppo a Quilotoa. A destra primo piano di una venditrice a Otavalo. Sotto, leoni marini sulla spiaggia VIAGGI | Ecuador – Galapagos

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Page 1: Foto di Isabella Gioia - Viaggi Avventure nel Mondo · covo di pirati e cacciatori di balene, teatro dei rivoluzionari studi di Darwin sull’origine della specie, regno indiscusso

26 – Avventure nel mondo 1 | 2011

Ecuador

Foto di Isabella Gioia

A sinistra scorcio di Quito e a seguire, in basso, il Gruppo a Quilotoa.

A destra primo piano di una venditrice a Otavalo. Sotto, leoni marini sulla spiaggia

VIAGGI | Ecuador – Galapagos

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Avventure nel mondo 1 | 2011 – 27

Ecuador

Ecuador Galapagos: rotolando verso sud...A filo dell’equatore, da Quito alla cordigliera andina.Mercati indios, altopiani sconfinati, paesaggi lunari lungo la via dei vulcani. Galapagos o Encantadas: un arcipelago un tempo covo di pirati e cacciatori di balene, teatro dei rivoluzionari studi di Darwin sull’origine della specie, regno indiscusso della natura, ultima dea e silente custode di storie e misteri.

Dal viaggio Ecuador GalapagosGruppo Luciano Splendorini

di Roberta Tragaioli

AltopiAni del Sud. Ecuador: arrivia-mo a Quito, la signora delle Ande. È notte e piove. In una valle domi-

nata da montagne e vulcani Quito, immer-sa nella nebbia, non pare del tutto reale, addormentata dall’alto dei suoi 2.800 me-tri. Dopotutto qui muoversi è fatica.Sulla panamericana, per la via dei vulcani, altopiani sconfinati e crateri che svettano oltre i 6.000 metri. L’Ecuador ci sembra un paese tutto in salita. Siamo sugli alto-piani delle Ande. Non sempre le nuvole sono più in alto di noi ed ininterrotta è la loro processione. Chi non ama le nuvole non venga in Ecuador. Ad un certo pun-to l’orizzonte sparisce. Siamo al campo base del Vulcano Cotopaxi per una breve ascesa al rifugio José Rivas sino a 4.800 m. Nella salita attraversiamo il “páramo”, la prateria andina, un territorio desolato. Ma siamo distratti, dalla fatica e concen-trazione. Voce sommessa e brevi passi. Il cuore batte forte, all’impazzata per il “so-roche”, il male delle grandi altitudini. La prima tappa del Cotopaxi per escur-sionisti dilettanti l’abbiamo raggiunta, ora possiamo riposare al rifugio prima di ridi-scendere, lasciando approcciare la vetta agli alpinisti.

La mattina seguente, dopo un veloce trekking nella foresta si giunge ad una cascata dove al centro si erge una roc-cia scura che assomiglia, con un po’ di immaginazione, alla faccia di un diavolo, El Pavillon del diablo. Il tempo muta in continuazione. È difficile definire il clima dell’Ecuador. Sugli altopiani nell’arco del-la giornata ritroviamo le quattro stagioni. Primavera al mattino. Estate al mezzo-giorno. Poi al pomeriggio il cielo inizia a coprirsi e piove. Autunno il pomeriggio. E, infine, inverno con la notte. La grande ricchezza della flora ecuadoriana degli altopiani sono i vulcani, grandi e magni-fici, dalle vette bianche innevate. A poco a poco ci avviciniamo a loro con timido approccio, sempre piano piano, passo dopo passo, per poi scoprirli, quasi all’im-provviso, nella loro completezza. I vulcani, appaiono spettacolari, in giornate limpide, come quella che ci accompagna sul vul-cano Chimborazo (6.130 m) la vetta più alta del paese. I paesaggi degli altopiani andini si susseguono, incontriamo vigo-gne solitarie al pascolo e indios. Un breve trekking dai 4.300 m per raggiungere il ri-fugio Whymper a 5.000 m. Il sole illumina la vetta del Chimborazo. Superbo.

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Alla sera raggiungiamo Latacunga arrivia-mo in aperta campagna, all’hacienda “La quinta colorada”, antica dimora padrona-le, ora patrimonio storico del paese dove si trova ospitalità. Calle bianche sono col-tivate nel giardino e murales a tinte forti dei vulcani sono dipinti sulle pareti delle casette tutte intorno nel cortile. All’alba la sveglia è con i muggiti delle mucche e con il canto del gallo. Così lasciamo l’hacienda per dirigerci al mercato di Sa-quisili. Qui le protagoniste sono le donne indie. La forma dei loro cappelli di feltro neri privi di ornamento si accompagna all’espressione distante e indifferente im-pressa sul loro volto.Incontriamo decine di donne e la picco-la folla di occidentali che si forma intorno non provoca loro alcun motivo di stupore. Avvolte negli immancabili ponchos dai co-lori vivaci e scuri praticano ancora il true-que, il baratto.La visita alla Laguna Quilotoa chiude le nostre escursioni sugli altopiani a sud di Quito prima di imbarcarci per la crocie-ra di una settimana alle isole Galapagos. Uno specchio verde smeraldo incastona-to nelle Ande, appare questo lago vulca-nico. Per ammirarlo da vicino, la discesa e soprattutto la risalita sono da fare a dorso di mulo; a fine giornata le povere bestie sono esauste, i loro padroni però non demordono e ne rincorrono alcune nel tentativo di squagliarsela per non scorraz-zare più nessuno avanti e indietro per la laguna.

GAlApAGoS

Quito-Puerto Ayora, tre ore di volo ci ca-tapultano a mille chilometri dalla costa su-damericana. In volo sono in buona com-pagnia con Coloane e le sue avventure, Melville e le sue isole incantate e ovvia-mente anche con Darwin e il suo diario di viaggio.Autori che richiamano alla mente storie di pirati e bucanieri, di misteriose comu-nità di tedeschi, di scienziati e naviganti, alcuni tra i tanti protagonisti della storia di queste isole dove a breve atterreremo.

Santa Cruz, da qui inizia l’avventura.Galapagos: una ventina di isole nate cinque milioni di anni fa a causa di una serie di esplosioni vulcaniche. È Santa Cruz la prima, a darci il benvenuto, una delle poche Galapagos abitate dall’uo-mo. Ogni isola possiede più di un nome: uno inglese dato dai bucanieri nella se-conda metà del 1600, uno assegnato dai navigatori spagnoli che talvolta coincide e talvolta no con quello attribuito a fine del 19° secolo dal governo dell’Ecuador. Santa Cruz, ad esempio, si chiama anche Indefatigable, come il nome di una flotta inglese. A Santa Cruz incontriamo le vere star, le Galapagos, le gigantesche testug-gini, tra i vertebrati più longevi del pianeta. Molte sono ultracentenarie e non posso fare a meno di starmene un po’ in silen-zio ad osservarne una che, come età, si avvicina più o meno a quella di mia nonna di105 anni, davvero ben portati. Compli-menti.Sul far della sera, insieme ai nuovi compa-gni di viaggio messicani e colombiani, ci imbarchiamo sulla Princess of Galapagos, un ruspante cabinato a motore lungo 17,5 metri e largo 4,5 che sfiora una velocità di crociera di 8 nodi orari. Per una settimana il nostro capitano, Milton Villagomez, una sorta di Caronte del Pacifico, condurrà questo guscio di noce per tutto l’arcipela-go, per circa 650 miglie marine. Enrique, la nostra giovane guida, dal sorriso con-tagioso e dall’inequivocabile profilo andi-no, quando siamo ancora fermi al porto di Baltra, ci tiene una lezione di quello che dovremo fare nelle escursioni dei pros-simi giorni nel totale rispetto di questo ecosistema unico al mondo. Ci racconta

che non solo le isole vulcaniche possie-dono specie endemiche rispetto a quelle continentali ma anche che tra un’isola e l’altra risultano evidenti le differenze tra le stesse specie. Sorprendente. Per una settimana giocheremo ad abbandonare la nostra identità di appartenenti alla specie umana ed assumeremo quella di semplici

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esseri viventi, puri bipedi agli occhi di tutti gli animali; eccoci qui spogliati di tutto il bagaglio “umano” e pronti ad entrare in punta di piedi in questo angolo di paradi-so. La prima notte in barca. La notte cala di colpo e si salpa senza quasi rendersi conto di essere già lontani dal porto di parecchie miglia. Non importano il rumore continuo del motore, le voci dell’equipag-gio, i sussulti della Princess che cavalca le onde oceaniche come in un rodeo dove si rischia il disarcionamento se si prova a cambiare la posizione di precario equili-brio, nulla di tutto questo ci impedisce di sognare il nuovo mondo che ci attende.

North Seymour, di isola in isola. Sveglia all’alba in una bella baia, forza, tutti sul tender, il primo approdo della giornata è a North Seymour. Rimaniamo sedotti dallo spettacolo della natura che supera qualsiasi aspettativa. Perché qui gli incontri ravvicinati con le sule, i leoni marini, le fregate, i pinguini, i granchi… sono assicurati: loro non hanno paura di noi e non se ne vanno quando arriviamo. Fiduciosi e curiosi si lasciano ammirare senza timore.Rimaniamo parecchio tempo ad ammira-

re le sule dalle zampe azzurro-turchese, sono tanto galanti quanto goffe nella loro camminata di corteggiamento un po’ ba-rocca, così concentrate a compiere mille riverenze accompagnate da saltelli, fischi e sbattimenti di ali mentre si avvicinano alle potenziali compagne, con la speranza di fare colpo, quantomeno per sfinimento, sulla prescelta. Incontriamo anche le fre-gate, altri uccelli incredibili, con un’apertu-ra alare di due metri abbondanti, di color nero corvino; in questa specie il maschio ha un gargarozzo rosso che, in fase di ac-coppiamento gonfia come un pallone. L’isola delle iguane è South Plaza. La flo-ra dell’isola comprende cactus e piante (sesuvium) che formano un tappeto ros-sastro sulla superficie delle colate laviche. Le rocce scivolose si rivelano un perfetto habitat per queste lucertolone. Ci attende un sentiero dove l’unico pericolo non è quello di perdersi ma di pestare qualche iguana nera come la lava intorno, immobi-le e dal profilo aguzzo e seghettato come una roccia. Sono numerose le iguane ter-restri e marine insieme a qualche ibrido di entrambe le specie. Procediamo attenti a non spostare nemmeno un sasso fuori dal percorso consentito. Dalle scogliere della parte meridionale dell’isola incontriamo numerosi gabbiani a coda biforcuta. A po-chi metri le onde del mare si infilano sotto le rocce per esplodere in sorta di geyser di spuma alti quattro-cinque metri.Anche l’isola di Santa Fé ci appare come una vasta foresta di cactus. Le corruga-te scogliere offrono riparo ai gabbiani a coda di rondine. Troviamo ancora iguane di terra e lucertole della lava perfettamen-te mimetizzate. Non riesco a trattenermi

dall’immaginare un giovanotto poco più che ventenne, chiamato Charles Darwin, saltellante tra una roccia e l’altra nell’os-servazione del fringuello endemico che porterà poi il suo nome, mentre già trac-ciava le basi della sua teoria sull’origine della specie, tutto questo 175 anni fa. Ma è ora di tornare sulla Princess che ci attende paziente, ci sarà tutta la notte per viaggiare, per raggiungere le isole del giorno dopo. E per noi il tempo di riposare perché se la sveglia è alle 5.30 è anche vero che si va a dormire alle 9.00.

San Cristobal, la storia cruenta.Sonnacchiosi leoni marini adagiati sul porticciolo fungono da comitato di acco-glienza a San Cristobal. Ci siamo abituati alla loro presenza, li troviamo dappertutto, in terra, in mare, nelle isole disabitate e non, pure sui predellini delle barche. In questo paesino, con sommo dispiacere, cambiamo guida e compagni di viaggio, verrà con noi una famigliola di Taiwan. La mattina è dedicata all’apprendimento di pillole di storia delle Galapagos all’inter-pretation center, il centro per la diffusione della cultura delle isole. Nel 1535 le Galapagos sono state sco-perte casualmente da un vescovo di Panama finito fuori rotta mentre si stava dirigendo in Perù. Gli spagnoli le ribattez-zarono dopo averle sottratte agli Incas. Per tre secoli furono un punto di approdo di bucanieri e cacciatori di foche che si ri-fornivano delle grandi testuggini per avere a bordo carne fresca. Poi nel corso degli anni si sono susseguiti tentativi utopistici con deportazioni di de-tenuti per formare una nuova comunità, ma il colonialismo e i criminali fecero falli-re il tentativo. All’inizio del XX secolo vi fu anche un tentativo da parte di un gruppo di norvegesi di impiantare una comunità dedita alla pesca che però fallì.Negli anni ’30 del secolo scorso, risale un giallo ancora irrisolto, accaduto sull’isola di Floreana che ha avuto come protago-nisti alcuni tedeschi sfuggiti alla seconda guerra mondiale che imperversava. Tutta la storia dell’arcipelago pare avere sempre un comune denominatore, come la natura incontaminata possa trionfare su qual-siasi tentativo di sottomissione da parte dell’uomo, portato all’autodistruzione se non si adegua. Ai nostri giorni tuttavia la situazione è cambiata, per le isole, sep-pur sotto la tutela dell’Onu, esistono seri timori che mettono in pericolo la loro so-pravvivenza, legati al turismo incontrollato

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EcuadorGalapagos

e alle pressioni dei pescatori industriali; nuovi insediamenti umani comportereb-bero il rischio di modificare l’equilibrio de-licatissimo della flora e della fauna.Così edotti del territorio dove ci troviamo, nel pomeriggio arriviamo alla Loberia: una vasta spiaggia con rocce nere laviche, centro protetto per la riproduzione dei leoni marini. Quando ce ne andiamo, arri-vano altri ospiti perché le visite e le escur-sioni pur essendo le stesse sono gestite a numero chiuso e alternato tra isola e isola in modo da non avere mai un numero di persone troppo elevato nello stesso mo-mento.

Española, animali forever.Sulla Gardner Bay i cuccioli di leone ma-rino vengono incontro baldanzosi a chi ar-riva dal mare. Non riconoscono l’uomo in quanto tale, né lo temono. Semplicemen-te si fidano. Tutto intorno scorgiamo intere colonie di leoni marini sonnecchiosi, ada-giati comodamente sulla spiaggia; mentre qualche maschio in acqua all’improvviso arriva a terra per controllare che le fem-mine (tante) e figli (ancora di più) stiano bene. Irresistibile è fare il bagno con i

cuccioli: da ammirare ma non toccare. Da perfetti Zelig ci caliamo subito nella par-te, facendo esattamente le stesse cose: dopo il bagno tutti distesi insieme sulla sabbia in grande serenità e pace. Poche ore dopo il tender ci riporta a bordo. Bye bye amici, alla prossima.

Floreana, quanti misteri.Alla baia della posta, poco oltre la spiag-gia, la guida ci racconta che fin dal 1700, i balenieri si servivano di robusti barili di legno per scambiare la posta in partenza e in arrivo con le navi in transito. Questa consuetudine si è mantenuta nel tempo. Dentro al “buzon de correo”, il box office in legno, centinaia di cartoline e messag-gi sono in attesa di essere recuperati da qualcuno che lì porti con sé sino al pro-prio paese di destinazione, così come fa-cevano i bucanieri, i marinai e forse anche i pirati, che attraccavano a Floreana per rifornimenti. Questa simbolica solidarie-tà tra lavoratori del mare ci investe e ci mettiamo alla ricerca di cartoline e lettere destinate all’Italia. Si arriva a quest’isola deserta incuriositi dal giallo della baronessa di Colonia. Ma nessuno ne parla. All’inizio degli anni tren-ta alcuni intellettuali tedeschi arrivarono in cerca di un eden lontano dalla follia nazista. Personaggi eccentrici, dal pas-sato burrascoso che volevano aprire a Floreana un albergo per giramondo, una baronessa con tre amanti, il dottor Ritter con la sua compagna e i coniugi Witte-mer. Misteriosamente i coloni morirono ad uno ad uno. La baronessa e uno dei suoi amanti scomparvero nel nulla. Un al-tro amante perse la vita in un incidente

in barca. Ancora oggi nessuno conosce cosa sia veramente successo.

Isabela, la bella addormentata.Isabela ci appare un luogo dimenticato dal tempo seppur abitato. Una languida spiaggia dove i ragazzini fanno surf da onda mentre le iguane al porto si conce-dono immobili ai raggi di sole. Tante abi-tazioni dai colori sbiaditi e dalle rifiniture riaggiustate, fili di conchiglie appesi alle porte come campanelli che ondeggiano al vento e chincaglierie di ogni tipo nei giardini semi incolti, qua e là ecco un’an-cora o una piccola botte… tutto testimo-nia un passato recente per molti europei o americani, all’epoca della beat genera-tion, negli anni ’70; solo qualcuno è rima-sto e pare anch’esso fermo nel “proprio” tempo, qui a Isabela. Ancora invece per noi solo il tempo di gustare una Lango-sta a la plancia ed eccoci sul gommone che cerca di cavalcare le onde giuste in un mare che non promette nulla di buono. Ci attendono sette ore di navigazione per raggiungere per sera Santa Cruz.Il Capitano Milton lancia la Princess a tutta birra, noi balliamo allegramente sulle onde, d’altronde è il 31 dicembre e lui non può permettersi di perdere tempo dato che a Santa Cruz, ad attenderlo, stasera, ci sarà la mas bonita mujer de todo el pais…Al porto si odono le sirene spiegate delle altre barche e il clima è festoso, dopotutto è l’ultimo giorno dell’anno e in paese sta-sera si faranno i falò per bruciare i pupazzi dell’anno vecchio. Stasera decido però di non scendere, rimango in rada sulla Prin-cess. Fuochi d’artificio, altre barche illumi-nate, musiche e grida lontane.

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EcuadorGalapagos

Dopo tanta meraviglia l’idea domani di dover tornare alla civiltà lascia tutti un po’ frastornati, soprattutto quando qualcuno ancora sognava incontri con i leoni ma-rini; a Quito sentiremo la mancanza di una natura che ha il sopravvento su tutto, dall’insolita mitezza degli animali al totale appagamento provato in questa esperien-za, seppur per pochi giorni. Sull’aereo di ritorno per la capitale potrò terminare di leggere Simenon e il suo “Hotel del ri-torno alla natura”, chissà magari scoprirò qualche dettaglio in più sul giallo della contessa di Floreana…

AltopiAni del nord e Quito

Da Quito in una insolita calda giornata di inizio anno ci attende il mercato indigeno del sabato a Otavalo, un tripudio di colori

tra incontri e contrattazioni. Sciarpe e pon-chos in lana di pecora, alpaca e cotone, cinture e borse in pelle, cappelli in feltro, tappeti e arazzi: ogni oggetto ha una giusti-ficazione per essere acquistato e destinato a compiere con noi il viaggio di ritorno.Dopo il mercato avremo ancora una gior-nata per vivere la capitale andina.Quito pare sospesa tra passato e futu-ro, tra quartieri moderni e fastosi palazzi coloniali. La statua alata della Vergine sul Panecilllo, il colle che domina il centro storico, con la vista delle Ande. Sotto nel-le strade colme di persone e di venditori ambulanti, si affacciano i gioielli barocchi: la Chiesa di San Francescoco e quella della Compagnia dei Gesuiti.L’altro volto di Quito è il centro moderno con grattacieli, avenidas colme di traffico

e grandi parchi. Il mercato central di Quito ci pare il posto migliore per approfondire i sapori dei piatti locali, ceviche ai cama-rones e sopa, un saporito piatto di pesce accompagnato da una zuppa di verdure. Zigzagando per strade e stradine arriviamo alla Ronda, il quartiere bohemienne colo-niale tra gallerie d’arte, locali, negozi, caffè. Incontriamo señoras e señoritas dai lunghi capelli corvini e dalle forme prorompenti.L’ultima serata prevede un importante evento da festeggiare, il compleanno di Luciano, il nostro amato capogruppo e quale migliore location de La Negra Mala alla Ronda. L’atmosfera di Quito by night ci avvolge e chiudiamo idealmente il no-stro viaggio con un un graffito letto su un muro de La Ronda “Necesito trabajar para comer pero necesito sueno para vivir”.

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