generazione tq, rassegna stampa

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    Tqenerazione

    Rassegnastampaal30giugno2011

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    Generazione TqRassegna stampa a cura di Eleonora Rossi

    Oblique Studio, luglio 2011Impaginazione con QuarkXPress

    Font utilizzate: Bodoni MT, Simoncini, Simoncini Garamond

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    Parafrasando un successo degli Skiantos di unaventina danni fa potremmo dire: Non c gustoin Italia ad avere quarantanni. Nel senso che seavere quarantanni significa, mutata la percezionesociale delle et, penetrare finalmente nel tempoin cui ci si assume il compito di intervenire sullecose, la sensazione prevalente che poco o nulladi ci stia accadendo e che i quarantenni sianopercepiti, e si percepiscano, come abusivi che siaggirano clandestinamente per il paese. La consa-pevolezza di questo stallo purgatoriale condivi-sa da molti e di recente Christian Raimo ha ripre-

    so il discorso sulla Domenica del Sole 24 Ore.Nel suo pezzo si concentra lucidamente sulvuoto toccato in sorte a chi storici, critici,scrittori, giornalisti nato in Italia intorno aglianni Settanta e si trova oggi a sperimentare ildisagio, la frustrazione, la mancanza di riconosci-mento, limpossibilit del conflitto, gli anni chepassano, una generazione immobile. In sintesi, ebrutalmente, la consapevolezza della propriaininfluenza. Questo mi ha fatto tornare in mente

    un racconto di Raymond Carver che si intitolaVicini, quello nel quale i coniugi Miller accettanodi badare alla casa degli Stone, una coppia di vici-ni di pianerottolo partiti per un viaggio. I Millerdanno da mangiare al gatto degli Stone, bagnanole piante, controllano che sia tutto a posto. Senzarendersene conto, prendersi cura della casa deivicini diventa per i Miller indispensabile, un

    modo per recuperare una vitalit perduta. Fino aquando, inavvertitamente, i Miller si chiudonofuori da casa Stone, ed la fine. La vita degli altrinon li nutre pi. Restano soli sul pianerottolo,immersi in un vuoto insostenibile. Eppure, perquanto doloroso possa essere, a questo vuoto che nella misura in cui nostalgia di un altro pre-sente mi sembra somigliare a quello descritto daRaimo non si pu essere subalterni; subirlo, tra-scorrere gli anni a rimpiangere un pieno manca-to, una densit (culturale, sociale, politica,umana) che si ritiene ci sia stata negata, vuol dire

    fare, in tutta buona fede, manutenzione di unaposizione infeconda, utile al rimpianto e a perpe-tuare una prospettiva dipendente. Vuol direrestarsene addossati a quella porta, lorecchioschiacciato contro il legno in cerca di un respiro,di un bisbiglio: pretendere di parassitare un codi-ce concluso. La vita degli altri , appunto, deglialtri. Per continuare a indagare questo vuotoserve per spostarsi dalla orizzontalit del rac-conto di Carver alla verticalit. In uno spot di

    met anni Ottanta, credo della Lacoste, un quin-dicenne si aggira per le stanze di una villa al marein cerca di qualcosa da mettersi per il suo primoappuntamento. Il padre un quarantacinquennebrizzolato e abbronzato lo osserva con tenerezza;poi raggiunge la sua camera, tira fuori da un cas-setto una polo bianca quella da lui stesso indos-sata nella medesima circostanza e la consegna al

    Come sinventa un modello culturale

    Giorgio Vasta, la Repubblica, 19 ottobre 2010

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    ragazzo che senza nessuna esitazione, anzi orgo-gliosissimo, se la infila e corre via. In trenta secon-di lo spot descrive una complicit tra le genera-

    zioni e ci consegna unimmagine esemplare di checosa accaduto (e, in filigrana, di che cosa non accaduto) a chi a met anni Ottanta aveva quin-dici anni e oggi ne ha una quarantina: il conflitto,nelle sue manifestazioni pi sane e necessarie,sparisce, i figli indossano larmatura (di cellulemorte intessute al cotone) dei padri, ne perpetua-no codici e cultura, sono autorizzati a sfruttarnele rendite di posizione. Sono cio autorizzati arestare serenamente figli, un po Vladimiro edEstragone in attesa di un Godot epocale che liriscatti (consapevoli del fatto che se Godot nonarriva meglio), un po coniugi Miller chiusifuori dal pieno (abbracciati luno allaltro alamentare il vuoto, a godere del vuoto). A questopunto, anno 2010, le possibilit sono due: ci sipu pretendere incurabili, inesorabilmente vitti-me (ma pi di quanto si possa immaginare com-plici e dunque artefici) di un infinito ergastolofiliale e allora si far di tutto per sfondare laporta degli Stone e accamparsi in casa loro, per-

    ch quello lunico luogo concepibile, lo stoma-co che desideriamo ci rumini e ci protegga, enello stesso momento ci si rifiuter di togliersi didosso la maglietta apotropaica di pap imploran-dola di resistere agli anni a forza di rammendi,con la smania di chi adora una reliquia; oppure,al netto di ogni alibi, si decide di correre il rischiodi usare tutto il tempo e tutta lintelligenza anco-ra a disposizione per mutare postura psicologicae realizzare unimpresa che da sola, adesso,

    avrebbe un portato politico prodigioso. Perch

    linvenzione di un codice culturale non derivati-vo, un codice che riconnetta lintelligenza dellecose alle azioni che di quelintelligenza dovrebbe-

    ro essere la continuazione, corrisponderebbe inquesto momento, in questo paese, a una rotturaparadigmatica: essere adulti senza chiedere il per-messo, senza ereditare un patrimonio. Anzi rifiu-tandolo, il patrimonio. Perch se si riconosce cheil contesto nel quale viviamo radicalmentemutato e che buona parte dei modelli dati perbuoni girano ormai a vuoto, si comprende che lapolo di pap vale a dire unesperienza delmondo che nel tempo si esaurita unereditsbagliata, un privilegio fittizio, e non va accettata,e che dunque, con Bauman, il puzzle della pro-pria esperienza va ricomposto senza potere esenza dovere seguire unimmagine di riferimento,senza il conforto (e il vincolo) della foto sulcoperchio della scatola; lavorare col puzzle, ades-so, vuol dire lavorare senza bussola, a orecchio,in uno iato, manipolando tasselli in grandissimaparte sconosciuti, ignorando la figura ultima allaquale si sta dando forma, ammettendo che questafigura preveda la persistenza di ulteriori piccoli

    vuoti e che questo, tuttaltro che un errore, lunico esito possibile. Lavorare con questo puz-zle significa decidere il proprio patrimonio eticoe politico. In un tempo in cui le ascisse si mesco-lano alle ordinate, i conti non tornano mai esiamo tutti immersi in un vortice che scompaginapresupposti e aspettative, per riguadagnare sog-gettivit storica e capacit dincidenza dovremmoforse riuscire a immaginare, come qualcosa dinaturale e necessario, un tempo in cui siano i

    padri a ereditare dai figli.

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    Gli intellettuali, si sa, amano piangersi addosso.Se la prendono con la cultura di massa, con lostrapotere della televisione, con i best seller faciliche dominano le classifiche di vendita. Gli intel-lettuali delle ultime generazioni, poi, sono anchepeggio: se la prendono con tutte queste cose e in pi con gli intellettuali delle generazioni pre-cedenti, che non si decidono a cedere il passo.Questo non un paese per giovani vero etantomeno un paese per intellettuali. Ma forse ilmodo migliore per reagire a questa emarginazio-ne non continuare a denunciarla come uno

    scandalo il fatto sotto gli occhi di tutti, e ascandalizzarsi siamo sempre gli stessi quantopiuttosto cercare di uscire dallangolo.Tanto pi che, per chi nato dagli anni Sessantain poi, non c un tempo andato da rimpiangere.Il silenzioso ma incessante movimento telluricoche ha segnato la fine della societ letteraria comelavevano conosciuta i nostri padri e ha cambiatoradicalmente i rapporti tra chi produce cultura echi la promuove, la veicola, la vende, la consuma

    per noi un dato di fatto. il rumore di fondoche ha accompagnato la nostra crescita e la nostraformazione.Ma appunto come un rumore abbiamo cercatosempre di allontanarlo, aggrappandoci allenostre letture e a unidentit ereditaria. Ci fa dinoi una generazione di intellettuali che forsePasolini avrebbe definito mutati o mutanti.

    Coloro che, vale a dire, hanno eletto idealmentea propri maestri molti grandi del Novecento, mahanno avuto per maestra di vita unepoca gicompletamente diversa. Una parte di ognuno dinoi vive insomma da tempo al di l del guado.Siamo sicuri che sia la parte peggiore? Forse proprio questa natura anfibia che grazie a unosguardo al tempo stesso interno ed esterno

    Andare oltre la linea dombra

    Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2011

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    potrebbe consentirci di decifrare meglio ilmondo che ci circonda. Forse proprio da que-sta natura che si potrebbe ripartire per rimettere

    a fuoco la figura dellintellettuale e il suo ruolo inuna societ cos diversa. Forse dopo che peranni ci siamo letti lun laltro e affrontati (e scon-trati) a distanza i tempi sono maturi per parlar-ne tutti insieme. Sui palchi dei festival e dellepresentazioni letterarie, sulle pagine e tra i com-menti dei blog, oppure nel privato di incontrifaccia a faccia o attraverso intensi scambi di mail,ne abbiamo gi discusso molto, con la crescenteconsapevolezza che proprio intorno a questipunti si giocasse una partita fondamentale.Forse adesso il momento giusto, al di l dei singo-li libri e delle poetiche di ognuno, per affrontarequesti temi in maniera meno occasionale e apriretra di noi un confronto che arrivi a produrre idee,proposte, progetti nuovi. Smettere di piangere sullemacerie di unepoca passata e provare insieme aricostruire un orizzonte comune: frastagliato,

    contraddittorio, conflittuale, ma dinamico, vitale,in contatto con la realt. Per questo abbiamo

    deciso di organizzare una serata di dibattito in cuiapprofondire argomenti che immaginiamo citerranno molto impegnati negli anni a venire:Generazione Tq, un seminario che si terr il prossi-mo 29 aprile nella sede romana della Laterza ecoinvolger oltre un centinaio di scrittori, critici,editori trenta-quarantenni.Liniziativa nasce, pi che da un desiderio, daqualcosa che somiglia a un bisogno. Il bisogno dialzare la testa dal lavoro di tutti i giorni e provare

    a discutere insieme di alcune questioni generali,indispensabili per dare un senso a quello che fac-ciamo. Un momento di scambio che intende fartesoro della pluralit di percorsi ed esperienze perindividuare un orizzonte comune: un nucleo diidee dalle quali ripartire. Nessuna intenzione diformare scuole movimenti correnti o simili: solo lavolont di superare la linea dombra che finora ci

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    ha protetti e uscire finalmente allo scoperto.Trenta quaranta Siamo cresciuti in ordine spar-so, senza unideologia comune. Senza metodi,

    strumenti, terminologie condivise: e questo forse stato un bene. Ma lindividualismo al quale siamostati addestrati rischia ora di renderci afasici: ognu-no chiuso nel suo recinto, quale impatto abbiamosulla realt? Siamo intellettuali muti o mutanti? Esoprattutto: ha ancora un senso parlare di intellet-tuali? (oggi va pi di moda esperti).Tale e quale Manchiamo di unidentit colletti-va che ci contrapponga alle generazioni preceden-ti. Quasi tra noi e loro ci fosse una fluida continui-t: quali i padri, tali i figli. Ma appunto qualisono i nostri padri? Alle nostre spalle, in fondo,non c nulla di cos solido e monumentale; sem-mai un tempo poroso, permeabile e proteiforme:e forse questo non un male. Ma di qui nasce las-senza di contrapposizione; di qui la difficolt di(auto)definizione. Pu esserci un impegno senzaconflitto? E soprattutto: ha ancora un senso par-lare di impegno? (oggi va pi di moda etica).Tanto quanto Abbiamo in comune un immagi-nario nato dagli stessi film e telefilm, fumetti e

    cartoni animati, dagli stessi comici e gruppi rock,ma spesso non condividiamo le stesse letture.Siamo abituati a mescolare cultura alta e bassa,sublime e triviale: e forse anche questo non un

    male. Ma poi, nel momento di giudicare un pro-dotto culturale, diventiamo spesso esigenti e ari-stocratici. A quale idea di cultura pensiamo quan-

    do produciamo qualcosa? E soprattutto: ha anco-ra un senso produrre cultura? (oggi va pi dimoda comunicazione).Tarantino Quentin Lultimo movimento lettera-rio percepito dai mass media stato quello del pulpe dei cannibali. Perch preventivamente confezio-nato come operazione editoriale; perch supporta-to dal riferimento comune a un film di grande suc-cesso come PulpFiction; perch i media hannocavalcato limmagine giovane degli scrittori coin-volti. questo che devono fare la letteratura, la cri-tica, leditoria per sopravvivere in un contestodominato da logiche spettacolari? Ovvero: come sifa a incidere sulla realt se non si risveglia linteres-se dei media e dunque del pubblico? E soprattutto:esiste ancora un pubblico della letteratura? (oggi vapi di moda dire mercato).Tutto questo Tutto questo e molto altro secon-do noi andrebbe discusso insieme, alla ricerca diqualche proposta non snobistica, non autorefe-renziale, non elitaria o velleitaria da lanciare

    nello spazio sfinito del nostro dibattito culturale.Per provare a fare qualche passo avanti e a proiet-tarci finalmente oltre la linea dombra (oggi vapi di moda parlare di futuro).

    Generazione Tq

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    Liniziativa nasce, pi che da un desiderio,

    da qualcosa che somiglia a un bisogno.Il bisogno di alzare la testa dal lavoro ditutti i giorni e provare a discutere insieme dialcune questioni generali, indispensabili perdare un senso a quello che facciamo

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    Gli intellettuali, si sa, amano piangersi addosso.Se la prendono con la cultura di massa, con lostrapotere della televisione, con i best seller faciliche dominano le classifiche di vendita. Si aprecos la proposta-manifesto di Generazione Tq,firmata dal linguista e scrittore GiuseppeAntonelli, dal responsabile dellufficio stampa diminimum fax Alessandro Grazioli, dallo scrittoree poeta Mario Desiati, e da due scrittori ed editormolto apprezzati come Nicola Lagioia e GiorgioVasta. Un progetto che mira a rilanciare la rifles-sione sul ruolo degli intellettuali nella societ ita-

    liana, anche alla luce del difficile confronto, per inati dagli anni Settanta in avanti, con gli intellet-tuali delle generazioni precedenti che non sidecidono a cedere il passo. Il silenzioso maincessante movimento tellurico scrivono i cin-que sulla Domenica del Sole 24 Ore che ha

    segnato la fine della societ letteraria come lave-vano conosciuta i nostri padri e ha cambiato radi-calmente i rapporti tra chi produce cultura e chila promuove, la veicola, la vende, la consuma, pernoi un dato di fatto. il rumore di fondo che haaccompagnato la nostra crescita e la nostra for-mazione. Insomma, come scriveva MarcoBelpoliti, forse venuto il momento di mangiarsidavvero Pasolini, inteso qui come simbolo diquella transizione culturale che lui, uomo diunaltra epoca, aveva lucidamente previsto. Ilprimo passo della Generazione Tq sar un semi-

    nario in programma il 29 aprile nella sede roma-na delleditore Laterza, che metter a confrontooltre un centinaio di scrittori, critici ed editoritrenta-quarantenni. Per provare a fare qualchepasso avanti e a proiettarci finalmente oltre lalinea dombra.

    Scrittori e critici under 45 lanciano Generazione Tq

    Un seminario a Roma per andare oltre la linea dombra

    primaonline.it, 18 aprile 2011

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    Loro non lo definiscono un manifesto, n hannointenzione di formare scuole, movimenti, cor-renti o cose simili: solo la volont di superare lalinea dombra che finora ci ha protetti, e uscirefinalmente allo scoperto. Loro sono scrittori,editor, linguisti, critici, accomunati da una appar-tenenza generazionale, quella dei nati attorno aglianni Sessanta, intenzionati a cambiare le cose inletteratura ma pi in generale a interrogarsi sulmodo in cui la scrittura pu rapportarsi al pre-sente senza cancellare il passato pur sentendose-ne in qualche modo orfana. Loro sono Giuseppe

    Antonelli, Mario Desiati, Alessandro Grazioli,Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, firmatari di uninteressante vademecum del nuovo interpretedella scrittura (Ha ancora un senso parlare diintellettuali? Oggi va pi di moda esperti) chediventer confronto aperto e dibattito costruttivoin un incontro fissato per il 29 aprile nella sederomana di Laterza. Saranno coinvolti centinaia discrittori, critici e non solo, tutti appartenenti aquella che i firmatari definiscono come

    Generazione Tq, che sta per Tarantino Quentinovvero il regista pulp per antonomasia: Lultimomovimento letterario percepito dai mass mediascrivono i Tq stato quello pulp e dei Cannibali,confezionato come operazione editoriale.C baruffa nellaria della nuova letteratura edera ora che qualcuno si prendesse la briga discoperchiare la pentola dove ribollono da anni

    frustrazioni e ricerca di identit, idee giovani efertile terreno creativo. Abbiamo costruito unacornice spiega Giorgio Vasta, candidato alloStrega nel 2009 con Il tempo materiale edito daminimum fax e il contenuto lo si conoscer nel-lincontro del 29. Nessuna intenzione di creareun movimento di neoavanguardia che abbia unsignificato di rottura. E il ruolo del nuovo intel-lettuale? Linguisticamente si tratta di una figuraplausibile in altri tempi continua Vasta ma nonvuol dire che sia dismesso. Oggi possiede un Dnadiverso, ibrido, mescolato, duttile. Fuori dal

    coro, lo scrittore Andrea Di Consoli che precisa:Non mi mai piaciuta nessuna piattaformaideologica o generazionale perch non la reputoconoscitivamente utile. Credo che ogni libro siaun tassello che ognuno mette per comporre unquadro comune ma lopera individuale. Si pustare insieme per una causa, per uno scopo, nonper definire cosa significa cultura o per stabilirecose limpegno. Io credo semplicemente con-clude Di Consoli che si tratti di dare un contri-

    buto singolo ad una civilt.E allora, cosa potr nascere dallincontro del 29aprile? Ci che verr fuori non possiamo saper-lo risponde lo scrittore Nicola Lagioia, curatoredi una collana per minumun fax ma sicuro chesi ragioner su strategie, idee, rapporto con imedia, vecchia e nuova editoria, sul ruolo dellin-tellettuale in una generazione che si pu definire

    Cambiamo la narrativa, siamo la Generazione Tq

    Quello che li accomuna il dato anagrafico. Sono figli degli anni Sessanta e

    chiedono spazio. Ruolo degli intellettuali, mercato, strategie:il 29 un incontro allargato con editor e critici

    Leonardo Jattarelli, Il Messaggero, 19 aprile 2011

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    post ideologica. Il dato pi significativo chequesto incontrarci non gestito da alcun editoree coinvolge persone le pi diverse tra loro e scrit-

    tori uniti da un background generazionale chevedr la presenza anche di giovani esponenti dicase editrici, da Marsilio a Einaudi fino ai cosid-detti marchi medi. Daltronde continua Lagioiaquando si diede vita al Gruppo 63 Bassani nonfu invitato. Speriamo di essere allaltezza dellasfida. Vogliamo accendere una miccia e puntarelattenzione sulla funzionalit di un nuovo mecca-nismo che conta pi di chi lo mette in atto.Tutto questo vuol dire fare carta straccia del pas-sato? AI contrario. proprio dalle radici di unaletteratura che in qualche modo ci ha cresciuti, daFenoglio a Vittorini, che si riprende il discorsosottolinea ancora Lagioia anche se, oggettiva-mente, il Novecento non esiste pi. Oggi tutto diverso e questo ha creato nella nostra generazio-ne un effetto di spiazzamento che va riconsidera-to e studiato.E se il Web ha in qualche modo riempito il vuotolasciato dalle celebri riviste letterarie creandoanche la nuova figura di scrittore-blogger, internet

    ha contribuito ad irrobustire la rivoluzionaria frui-zione della critica attraverso portali comeCarmilla, Nazione Indiana, Vibrisselibri. Tuttiavranno voce in capitolo allappuntamento roma-no del 29 aprile, compresi i temerari della lettera-tura del Duemila, quelli che hanno deciso di risor-gere dalle ceneri di esperienze editoriali ancora vit-time del vecchio sistema, anche distributivo. Ne sa

    qualcosa Paolo Pedrazzi, fondatore e direttore nel2003 della Eumeswil ed ora factotum del nuovomarchio Sottovoce insieme con Francesco Forlani.

    stata una scelta coraggiosa spiega Pedrazziche rema contro quellindustria culturale chesembra cedere al gusto del lettore proponendouna letteratura del consenso, dotata di ogni con-fort e travestita di ordinaria semplicit. PerSottovoce, i suoi creatori si sono chiesti prima ditutto se aveva ancora un senso fondare una casaeditrice: Se vale la pena rimettersi in gioconellItalia dei giovani bamboccioni, dei GrandiFratelli e delle Grandi Sorelle veline, degli strillonidi turno, dei talent show che aboliscono la scrittu-ra come arte e propongono una societ idealizzatadi meteorine da spremere per un anno o due perpoi rigettarle nellanonimato. E si sono risposti,appunto, con una scelta compiuta sottovoce mache urla concretezza e titoli di grande spessore.La Tq Generation si interroga, tra laltro:Abbiamo in comune un immaginario nato daglistessi film e telefilm, fumetti e cartoni animati,dagli stessi comici e gruppi rock ma spesso noncondividiamo le stesse letture A quale idea di

    cultura pensiamo quando produciamo qualco-sa?. Chiediamo a Lagioia se per caso i giovaniscrittori di oggi prendano a modello i narratori dialtri paesi: Non credo ce ne sia bisogno. Lamoderna letteratura francese, ad esempio, non pi interessante di quella italiana. Da noi negliultimi anni sono usciti libri molto importanti. IIterreno vivo e va reso ancora pi fertile.

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    Ci siamo abituati a immaginare unintera genera-zione quella nata tra la met degli anni Sessantae la met dei Settanta come qualcuno, o qual-cosa, che ininterrottamente si interroga sullastessa questione: Essere o non essere. Affine alprincipe di Danimarca, la Generazione Tq(ovvero quella dei Trenta-quarantenni) sembraoscillare tra tesi contrapposte e, incapace di sce-glierne una, farebbe di questa irresolutezza unalibi. Amleto forse il primo eroe tragico per ilquale sapere non significa agire sa chi ha ucci-so suo padre ma non si vendica; potrebbe eppu-

    re esita, procrastina, si sottrae. Vivacchia, perstare alla rilettura che ne faceva Carmelo Bene.Come Amleto anche la Generazione Tq dovreb-be, potrebbe, vorrebbe. A partire da tutto ci,Generazione Tq. Oltre la linea dombra chenasce per iniziativa di Giuseppe Antonelli,Mario Desiati, Alessandro Grazioli, NicolaLagioia e del sottoscritto, nonch grazie allospi-talit della casa editrice Laterza vuole essere untentativo di mettere a fuoco, attraverso una

    discussione che coinvolger oltre cento tra scrit-tori, editori e critici nati tra il 1963 e il 1981, lasostanza culturale e temperamentale della qualesiamo fatti. Del resto il condizionale il modoattraverso cui si descrive lincertezza. Ma questosenso di provvisoriet non si risolve entro i limi-ti della lingua, irradiandosi invece a trecentoses-santa gradi per descrivere una maniera di stare al

    mondo (o perlomeno di stare in Italia). Soltantoche alla vita condizionale, storicamente, si rea-gito tramite un movimento individuale e colletti-vo in grado di generare uno svezzamento. E lamateria di questo movimento stata a lungo, inparticolare nella seconda met del Novecento, larabbia. In Amleto lintelligenza sembra averpreso il posto della rabbia. Diversamente da alcu-ne straordinarie incarnazioni cinematografichedel furore quello sobrio di Antoine Doinel neiQuattrocento colpi, quello epilettico diAlessandro nei Pugni in tasca e quello selvatico

    di Kit Carruthers nella Rabbia giovane laGenerazione Tq sembra essere cresciuta conver-tendo la rabbia (quella pi intelligente e lumino-sa, quella che sapeva farsi progetto) in unesaspe-razione coatta e senza scampo. Sempre pi mite,paradossalmente addomesticata. A questo puntola domanda : cosa accade quando, al permaneredel conflitto, viene meno il grimaldello della rab-bia? Cosa accade, cio, se e quando la rabbia finita (o sfinita) e non riesce pi a valere da stra-

    tegia per venire fuori dalla vita condizionale?Cosa accade in sostanza a una generazione checorre il rischio di vivacchiare restando eterna-mente preadulta? O forse esistere in questo vuotodi baricentro, dove lesperienza puntiforme senon pulviscolare, non un rischio ma unoccasio-ne? Queste alcune tra le domande e i ragiona-menti che porter con me allappuntamento

    La nostra generazione oltre la linea dombra

    Giorgio Vasta, la Repubblica, 20 aprile 2011

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    romano del 29 aprile, cercando connessioni erisonanze nelle domande e nei ragionamenti dichi sar presente. Per provare a capire se la pazzia

    di Amleto la coincidenza tra sapere e linguaggio,la divaricazione tra sapere e agire davveroanche la nostra. Per verificare collettivamente se aimbozzolare in s stesso il principe di Danimarca la percezione delle due alternative, lessere e ilnon essere o se invece Amleto e noi con lui sprofonda nel forellino apparentemente microsco-pico eppure abissale della disgiuntiva o, nel pozzosenza fondo delle potenzialit: Essere o non esse-re. Sembra infatti che la risorsa straordinaria dellaGenerazione Tq sia anche il suo limite: al pari di

    Amleto abbiamo la capacit di far esistere nonsemplicemente due ma duemila ipotesi alternati-ve. Il mondo ci si dispiega di fronte come un ven-

    taglio aperto. Lintelligenza si proietta famelica inavanti, mentre la volizione concreta, la necessitdi compiere azioni, pare arretrare e atrofizzarsi.Come Amleto veniamo sgominati dalla cognizio-ne delle potenzialit, da un buchetto, una brucia-tura di sigaretta. Serve dunque incontrarsi, discu-tere e cercare di capire se esiste unalternativareale e percorribile a questa o abnorme che siallarga davanti ai nostri occhi, al foro bianco nelquale sprofondiamo, il glaucoma nel quale lanostra intelligenza si trasformata.

    Come Amleto anchela Generazione Tqdovrebbe, potrebbe, vorrebbe

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    Provando a mettere su un motore di ricercaGenerazione Tq appaiono una serie di linkpressoch identici per titoli e contenuti (quantomeno al 20 aprile, sera).Linizio risale al 18 aprile 2011, esattamente a unarticolo sul Sole 24 Ore di Giuseppe Antonelli,Mario Desiati, Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia,Giorgio Vasta: Andare oltre la linea dombra.Tornando alle ricerche web, il principale titoloche si rintraccia : Cultura/Scrittori e criticiunder 45 lanciano Generazione Tq (uno dei varilink: Prima Comunicazione).

    Dunque, dallarticolo sul Sole 24 Ore si spiega:Per questo (ragionamenti sopra esposti dagliautori, rintracciabili nel link sopra NdR) abbia-mo deciso di organizzare una serata di dibattitoin cui approfondire argomenti che immaginia-mo ci terranno molto impegnati negli anni avenire: Generazione Tq, un seminario che si terril prossimo 29 aprile nella sede romana dellaLaterza e coinvolger oltre un centinaio di scrit-tori, critici, editori trenta-quarantenni.

    Subito di seguito si chiarisce ulteriormente liniziativa:Liniziativa nasce, pi che da un desiderio, daqualcosa che somiglia a un bisogno. Il bisogno dialzare la testa dal lavoro di tutti i giorni e provarea discutere insieme di alcune questioni generali,indispensabili per dare un senso a quello che fac-ciamo. Un momento di scambio che intende fartesoro della pluralit di percorsi ed esperienze per

    individuare un orizzonte comune: un nucleo diidee dalle quali ripartire. Nessuna intenzione diformare scuole movimenti correnti o simili: solo lavolont di superare la linea dombra che finora ciha protetti e uscire finalmente allo scoperto.In estrema sintesi, rispetto a informazioni reperibi-li online, Generazione Tq un seminario che siterr fra dieci giorni (considerando la prima uffi-cializzazione sul Sole 24 Ore) in luogo precisatocoinvolgendo un centinaio di scrittori, critici ededitori nella fascia det tra i trenta e i quaranta.Nel corso del seminario si discuter di alcune que-

    stioni generali per individuare un orizzonte comu-ne, un insieme di idee da sviluppare. Dal sito di

    Diritti Globali, si rintraccia un articolo pubblicatosullaRepubblica a firma di Giorgio Vasta:Oltre la linea dombra che nasce per iniziativa diGiuseppe Antonelli, Mario Desiati, AlessandroGrazioli, Nicola Lagioia e del sottoscritto, nonchgrazie allospitalit della casa editrice Laterza vuole essere un tentativo di mettere a fuoco, attra-verso una discussione che coinvolger oltre cento

    tra scrittori, editori e critici nati tra il 1963 e il 1981,la sostanza culturale e temperamentale della qualesiamo fatti. [] A questo punto la domanda : cosaaccade quando, al permanere del conflitto, vienemeno il grimaldello della rabbia? Cosa accade,cio, se e quando la rabbia finita (o sfinita) e nonriesce pi a valere da strategia per venire fuori dallavita condizionale? Cosa accade in sostanza a una

    Generazione Tq

    Barbara Gozzi, agoravox.it, 21 aprile 2011

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    generazione che corre il rischio di vivacchiarerestando eternamente preadulta? O forse esisterein questo vuoto di baricentro, dove lesperienza

    puntiforme se non pulviscolare, non un rischioma unoccasione? Queste alcune tra le domande ei ragionamenti che porter con me allappunta-mento romano del 29 aprile, cercando connessionie risonanze nelle domande e nei ragionamenti dichi sar presente. Per provare a capire se la pazziadi Amleto la coincidenza tra sapere e linguaggio,la divaricazione tra sapere e agire davvero anchela nostra. Per verificare collettivamente se a imboz-zolare in s stesso il principe di Danimarca la per-cezione delle due alternative, lessere e il nonessere o se invece Amleto e noi con lui spro-fonda nel forellino apparentemente microscopicoeppure abissale della disgiuntiva o, nel pozzo senzafondo delle potenzialit: Essere o non essere.Alla scrivente resta un forte dubbio, pratico esostanziale: si dibatter di questioni generali (stosemplificando evidentemente, le specifiche que-stioni in procinto di essere discusse si rintraccianonei documenti citati) delle generazioni degli attualitrentenni e quarantenni italiani o delle questioni

    generali delloltre un centinaio di scrittori, criticied editori coinvolti nel seminario?Nel secondo caso, mi stupisce la scelta di renderepubblico qualcosa che ancora deve essere dibattutoda chi ha sentito il bisogno di alzare la testa dallavoro di tutti i giorni e provare a discutere insie-me. Perch in questa seconda ipotesi chi non dentro la categoria scrittori, critici, editori trenta-quarantenni coinvolti nel seminario, chi non ha gipartecipato ai ragionamenti preliminari (che sup-

    pongo siano in parte esposti nellarticolo sulSole 24Ore e in quello di Vasta sullaRepubblica), non par-tecipa attivamente (dunque potendosi rapportaredirettamente e paritariamente) bens da spettatore eda spettatore ancora non c nulla da seguire, dalmomento che il seminario non ancora iniziato.

    Nel primo caso, invece, presupponendo un approc-cio su tematiche collettive a coinvolgere un segmen-to generazionale non vincolato da alcuna apparte-

    nenza specifica (eccetto let), attualmente non capi-sco come il seminario possa aprirsi a chiunque abbiapossibilit e voglia di esprimere le proprie opinionied eventualmente idee. Vasta scrive di verificarecollettivamente. Nellarticolo sul Sole 24 Ore siprecisa: Forse adesso il momento giusto, al di ldei singoli libri e delle poetiche di ognuno, peraffrontare questi temi in maniera meno occasionalee aprire tra di noi un confronto che arrivi a produr-re idee, proposte, progetti nuovi.Non mi chiaro chi dentro e chi fuorila pos-sibilit di dibattere e avere lopportunit di esse-re ascoltato, di confrontarsi e partecipare attiva-mente anche con proposte concrete o idee oltreche pensieri, ragionamenti, analisi.Tra di noi eppure nessuna intenzione di for-mare scuole movimenti correnti o simili.Lannuncio della Generazione Tq arriva alla scri-vente cittadina italiana trentaduenne nonchlettrice e fruitrice di contenuti, pensieri e ragiona-menti come ennesima chiusura nonch com-

    plessa comprensione di significantie significati.In attesa di ulteriori chiarimenti ed evoluzioni.Siamo abituati a mescolare cultura alta e bassa,sublime e triviale: e forse anche questo non unmale. Ma poi, nel momento di giudicare un pro-dotto culturale, diventiamo spesso esigenti e ari-stocratici. A quale idea di cultura pensiamo quan-do produciamo qualcosa? E soprattutto: ha anco-ra un senso produrre cultura? []Tutto questo e molto altro secondo noi andrebbe

    discusso insieme, alla ricerca di qualche proposta non snobistica, non autoreferenziale, non elitaria ovelleitaria da lanciare nello spazio sfinito del nostrodibattito culturale. Per provare a fare qualche passoavanti e a proiettarci finalmente oltre la linea dom-bra (oggi va pi di moda parlare di futuro).

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    Succede questo. La settimana scorsa, mi statochiesto un intervento sull Messaggero, in meritoalla discussione intrapresa da alcuni scrittori, auto-ri del manifesto della Generazione Tq di cui avevoparlato nel blog.Il mio intervento uscito sabato. Lo pubblico qui,in versione leggermente pi lunga.In tutte le storie fantastiche c sempre un padreda superare: ma nel momento in cui leroe riesce afarlo, il romanzo finisce. La mia generazione non neanche a met della trama, perch non abbiamoun padre con cui confrontarci. Non abbiamo geni-

    tori, non abbiamo eredit letterarie. Non abbiamopassato, e siamo nati senza lidea del futuro.Quando i Sex Pistols cantavano No Future molti dinoi avevano appena imparato a camminare. Noveanni dopo, avevamo appena messo lapparecchioper i denti e con lantologiaMirrorshades il cyber-punk ci diceva che anche in letteratura un futuronon era immaginabile, e che la fantascienza potevaal massimo raccontare un presente appena picomplesso di quello che ci circondava.

    In poche parole, siamo stati obbligati al presente,e a un presente cos breve che non potevamo cheoccuparci di noi stessi. E gli scrittori miei coetaneilo hanno fatto: hanno raccontato s stessi cos alungo che i Trenta-quarantenni sembrano, neiromanzi, somigliarsi tutti. Figli di divorziati, fragi-li, egoisti, disperatamente in cerca di una felicitche si ottiene solo con un matrimonio, magari un

    lavoro non precario e, su tutto, la riconciliazionecon il padre o con la madre.Invece, i padri e le madri vanno, se non uccisi,abbandonati: sia pure con tutto lamore e ilrispetto che meritano. Dobbiamo imparare, e inquesto gli autori del manifesto dei Tq hanno per-fettamente ragione, a essere coetanei. A pensarcicome membri di una collettivit, e non come pre-ziosissimi singoli. Molti di noi lo fanno, peraltro:non credo che gli autori trenta-quarantenni sianosoltanto pallidi intellettuali che sospirano sulleallitterazioni e scindono sdegnosamente la quali-

    t linguistica dalla narrazione del reale. Fannobene Antonelli, Desiati, Grazioli, Lagioia e Vastaa sottolineare laristocrazia con cui si giudica tri-vial un libro che si nutre di una cultura popola-re o esso stesso popolare. E questo riguarda davicino chi, come me, scrive horror e urban fanta-sy. Eppure, anche i romanzi fantastici pi sde-gnati di altri in quanto, per riprendere una defi-nizione su cui si polemizzato non poco, volgarimonnezzoni raccontano il reale. Non potreb-

    bero essere tali, se non raccogliessero quel chedavvero esiste e ci circonda. Cosa altro ha fatto efa, Stephen King, se non raccontare lAmericadella middle-class? Cosa tentano di fare, alcuni dinoi, se non narrare il nostro paese, con la speran-za che cambi?Cos, come in un romanzo fantastico, siamo davan-ti a un bivio. Da una parte la lusinga, dallaltra la

    Sulla scrittura, sulle generazioni

    Lara Manni, laramanni.wordpress.com, 25 aprile 2011

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    fatica. Il rischio, peraltro sottolineato nel manifesto, quello della spettacolarizzazione della narrativa,con lo scrittore equiparato a qualunque altro divo

    dello spettacolo, dove a contare sono soprattuttolospitata da Fazio e il bagno di folla a Mantova.Pericoloso, e non solo perch la popolarit, in unasociet avida come la nostra, svanisce in pochi mesi:ma perch a contare devono essere, sempre, i testi,e non coloro che li raccontano. Laltra, faticosapossibilit Internet: meno clamorosa, pi impe-gnativa, perch essere sul web significa dialogocontinuo con i lettori, e confronto anche durissimo.Ma, per rispondere a quella che per me la

    domanda pi importante del manifesto (come si faa incidere sulla realt se non si risveglia linteressedei media e dunque del pubblico?) lunico modo

    possibile. Fin qui, gli editori credono alla rete solose porta copie vendute in poche settimane. Ma itempi di Internet sono altri: paradossalmente,sono lenti. Eppure scrivere in rete, lavorare per larete, confrontarsi con la rete necessario. Perchper creare davvero un modello nuovo bisognasporcarsi le mani e per incidere sulla realt bisognacapire la realt, non immaginarsene una che calzi apennello con lidea dei bambini perduti e incom-presi che ci siamo cuciti addosso.

    Per creare davvero un modello nuovo bisognasporcarsi le mani e per incidere sulla realtbisogna capire la realt, non immaginarseneuna che calzi a pennello con lidea deibambini perduti e incompresi che ci siamo

    cuciti addosso

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    Venerd si incontrano a Roma, nella sede dellaLaterza, 150 scrittori, critici, operatori culturali,ecc. nati nei 70 e autodefinitisi Generazione Tq(Tarantino Quentin) per verificare problematica-mente la possibilit di una identit comune e percapire se e quanto si pu incidere sulla realt. Benvengano occasioni di confronto e discussione, e inparticolare linvito a una riflessione sulla mutazio-ne di questi decenni. Restano per alcune per-plessit. La scelta della sigla Tq, che pure si richia-ma agli scrittori pulp degli anni 90, non equivale a

    un autoimpoverimento dellimmaginario? Unadelle residue virt del nostro paese di presentareancora, nonostante lomologazione planetaria, unacompresenza a volte straniante di tempi storicidiversi. Riteniamo davvero che Los Angeles sia pimoderna e pi interessante di Bari? N la mitogra-fia (e narratologia) di Pulp fiction ha alcuna tangi-bile influenza su alcuni degli stessi estensori dellalettera promotrice dellevento, come Desiati,Lagioia e Vasta. NellItalia delle corporazioni e

    delle famiglie era cos urgente esibire questo

    pathos di una appartenenza collettiva forte? Dalrecinto non si esce con piattaforme di gruppoma uno alla volta, come dalla caverna platonica.Penso anche allenfasi sul conflitto: se non vienepercepito mica pu costituire un obbligo! Ne parlisoltanto chi lo sente (altrimenti lantagonismodiventa un travestimento, il Kitsch dellEroismo).Occorre infine rassegnarsi: la letteratura non inci-de mai sulla realt, o almeno nei tempi e modi checi prefiguriamo. Pu solo rivendicare un impe-gno nei confronti della verit. Sa che la realt

    mutevole ma non modificabile. Pensare il contra-rio significa elaborare strategie, costruire alleanze,fare politica (dunque anzitutto modificare inpeggio noi stessi!). La verit delle opere lettera-rie inutile, impolitica, e soprattutto radicata inuna esperienza sempre molto personale e gelosadel mondo. Seguir con interesse i lavori dellin-contro, per mi ostino a cercare quella verit neilibri degli scrittori-promotori e non nelle lorovolenterose iniziative o in identit collettive rassi-

    curanti e perlopi fittizie.

    Rassegnatevi: cari scrittori, la letteratura non un collettivo

    Filippo La Porta, Corriere della Sera, 27 aprile 2011

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    Allombra del mercato hanno scritto e pubblicatoi loro libri, nellombra dei loro blog hanno provo-cato scismi o cementato alleanze, ma ora i protago-nisti della societ letteraria italiana trenta-quaran-tenne reclamano la luce. Gli oltre centocinquantascrittori, editori e critici della Generazione Tq chesi ritroveranno oggi nella sede romana di Laterzamantengono un garbo post ideologico, ma nontemono i giudizi affilati sulla generazione che liprecede. Almeno, cos sembra, ascoltando NicolaLagioia, considerato scrittore di punta tra gliUnder 40 e tra i promotori dellincontro.

    I nostri padri o fratelli maggiori hanno pi potere,ma valgono molto meno di noi. Quando sono arri-vato a Roma ho trovato un paesaggio culturale deso-lante, popolato quasi esclusivamente di prefiche.Tutti vedovi o vedove di Fellini e Moravia, autopro-clamati nani che avevano vissuto sulle spalle deigiganti. Salvo qualche grande eccezione, nessuno diloro ha mai voluto affrontare il confronto di meritosulla letteratura, rifugiandosi nella nostalgia dei beitempi andati che non sarebbero mai pi tornati.

    Non ci pu essere scontro e nemmeno confrontocon chi rifugge qualsiasi autorevolezza e questaorfanit reciproca continua a lasciare strascichi.

    Dunque il confronto avete deciso di farlo tra

    (quasi) coetanei oggi pomeriggio?

    Erano mesi che nei festival, nei convegni, negliincontri, ci interrogavamo sugli stessi temi: gli

    intellettuali servono a qualcosa? La letteraturaincide sulla realt? E se la risposta alle prime duedomande no, come mai noi scrittori veniamosempre interpellati su qualsiasi argomento? Epoi, il mercato buono o cattivo?

    Lei come la pensa su alcune o su tutte queste

    questioni?

    Mi sono fatto promotore, insieme agli altri, di que-sto incontro proprio per ascoltare le pi varie rispo-ste a quelle domande. Anche perch, una delle coseche dovremmo mettere in discussione, proprio

    lidea che possa arrivare qualcuno con tutte lerisposte. La perenne attesa di un uomo della prov-videnza che ci dica cosa fare o pensare una dellegrandi malattie italiane. Che sia Berlusconi oVendola. Noi non faremo un discorso alla nazio-ne, non abbiamo le risposte giustes. Vogliamoconfrontarci, guardarci in faccia e ragionare insie-me. Potr essere un fallimento, con tutti che si par-lano addosso e allora, pazienza, ci avremo provato.Oppure potrebbe venir fuori qualcosa di utile.

    A cosa pensa?

    Sarebbe interessante fare un secondo appuntamen-to, magari vedersi per tre giorni in un agriturismo eapprofondire gli spunti che verranno fuori.

    Tornando alla domanda precedente, ricordo un

    suo intervento sul ruolo dellintellettuale sul

    Lagioia: Cari Trenta-quarantenni basta con i vedovi di Moravia

    Cesare Buquicchio, lUnit, 28 aprile 2011

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    senso dellimpegno. In sostanza, lei scriveva che

    la cosa pi utile che pu fare uno scrittore stare

    chiuso nella sua cameretta e scrivere un bel libro.

    Ha cambiato idea?No, assolutamente. Continuo a pensare alla scrit-tura, e allarte in generale, non come gesto poli-tico, ma come gesto umano. Ma lunicogesto che pu permetterci di sopravvivere, luni-ca garanzia per la prosecuzione della specie.Detto questo, il problema non chi sar di noi ilprimo a scrivere iBuddenbrook (cosa che perso-nalmente considero il problema numero unodella letteratura). La questione politica comerecuperare un minimo di complessit in una gri-glia della comunicazione che sistematicamente lanega. Capita spesso che non si possa parlare di unlibro, di un buon libro, se non ci sono appigli dicronaca

    E il mercato?

    I picchi di gioia e di disperazione li raggiungo scri-vendo un libro. Ma una volta che il libro finitodevo confrontarmi con il mercato. Dobbiamomettere in discussione lidea che il mercato sia per

    forza il male. Anche la televisione mi alletta come

    vetrina, ma ho un dilemma etico se mi invita unatrasmissione che una stronzata, dove so gi chesi parler di tuttaltro

    Dunque, Lagioia, la televisione, i giornali, il mer-

    cato. Siete disposti a sporcarvi le mani per

    cambiare le cose?

    Come dicevamo prima, non abbiamo da soffrirenessun complesso di inferiorit nei confronti dellagenerazione precedente. Una generazione che siporta sulle spalle innumerevoli e conclamati falli-menti. Una generazione che ha fatto fare passiindietro allItalia in tutti i campi. Ma se adessonon facciamo le nostre mosse saremo noi a diven-tare i colpevoli. Il motivo per cui tanti di noi sonolegati al compianto David Foster Wallace lam-mirazione per la sua capacit analitica strabordan-te. Ma dopo aver analizzato tutto dobbiamo tro-vare il coraggio di attraversare la soglia.

    Perch la Generazione Tq ha tanti tentennamenti?

    Siamo in una trappola perfetta: abbiamo poco daperdere, ma a noi sembra tantissimo. Intanto,lincontro dovrebbe servire proprio a questo, a

    farci sentire meno soli in questa trappola.

    Nicola Lagioia:Continuo a pensare alla scrittura, e allartein generale, non come gesto politico, ma comegesto umano. Ma lunico gesto che pupermetterci di sopravvivere, lunica garanziaper la prosecuzione della specie

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    noto agli esperti del settore che mettere unnumero cospicuo di scrittori insieme in unostesso luogo pu procurare effetti indesiderati,riportati di solito dagli annuari/annali sotto lavoce rissa letteraria. Un caso esemplare? IlCongrs international des crivains pour ladfense de la culture che si svolse al Palais dela Mutualit di Parigi, fra il 21 e il 25 giugno1935, con duecentotrenta delegati di trentottopaesi. Breton prese a schiaffi Ehrenburg dopoche costui aveva osato prendersi gioco dei sur-realisti, ne segu un parapiglia, Musil parl

    davanti a una platea di sedie vuote, passandoper pazzo, Benjamin lanciava strali pur tenen-dosi a distanza dal convegno e bollando i parte-cipanti come logocrati. E altri logocrati tra diloro si minacciavano, si insultavano, lanciavanomanifesti e ne contro programmavano altri disegno opposto. Certo vi era lo spauracchio nazi-fascista, la ragione per cui si era organizzato ilmega convegno e gli animi erano infuocatianche per gravissimi motivi storici.

    Gli scrittori si sono sempre incontrati, anche sol-tanto per poi avere il pretesto di appartarsi allaTraven o alla Salinger rigettando lorrore delmondo dei miei simili per dichiarare al mondola loro individualit.Il seminario che si terr domani alla casa editri-ce Laterza nasce da unidea molto semplice, unagenerazione nuova di scrittori, a cui sono state

    Scrittori under 40 oltre la linea dombra

    Mario Desiati, lUnit, 28 aprile 2011

    gi appioppate diverse etichette, prova a veder-si faccia a faccia per immaginare un possibileorizzonte comune. Linvito partito daAlessandro Grazioli, Giuseppe Antonelli,Nicola Lagioia, Giorgio Vasta e la collaborazio-ne di Anna Gialluca che ha reso possibile ladisponibilit della sede della casa editriceLaterza.

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    Centocinquanta scrittori, critici, editori fra itrenta e i quarantacinque si riuniranno intornoa un tavolo con lidea di alzare la testa dal lavo-

    ro di tutti i giorni e provare a discutere insiemedi alcune questioni generali, indispensabili perdare un senso a quello che facciamo. Unmomento di scambio che intende far tesorodella pluralit di percorsi ed esperienze perindividuare un orizzonte comune: un nucleo diidee dalle quali ripartire. Nessuna intenzione diformare scuole, movimenti correnti o simili:solo la volont di superare la linea dombra chefinora ha protetto gli Under 40 e uscire allo sco-perto con tutti i rischi che ci comporta.Tutto questo e molto altro verr discusso insie-me, alla ricerca di qualche proposta non sno-bistica, non autoreferenziale, non elitaria o vel-leitaria da lanciare nello spazio del nostrodibattito culturale. Per provare a fare qualchepasso avanti e a proiettarci finalmente oltre lalinea dombra.E cos dalla torinese Elena Varvello, alla palermi-tana Evelina Santangelo passando per la pescare-se Barbara di Gregorio, per un pomeriggio di pri-

    mavera pu accadere quel piccolo prodigio diconoscersi e dirsi a viva voce ci che spesso vienescritto sui blog, nelle mail; di incontrarsi senza lamediazione di festival e uffici stampa, organizza-tori di rassegne e presentatori locali. Scrittori, manon solo. Anche editori e critici, perch accanto auna nuova generazione di autori, ne viene su unadi critici letterari e funzionari editoriali con visio-ni e linguaggi nuovi aperti al confronto.

    Un momento di

    scambioche intende fartesoro della

    pluralit

    di percorsi edesperienze perindividuare un

    orizzonte

    comune: unnucleo di ideedalle quali

    ripartire

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    Sulla Generazione Tq interviene sul Corriere dellaSera un critico, Filippo La Porta. E scrive questo:Venerd si incontrano a Roma, nella sede dellaLaterza, 150 scrittori, critici, operatori culturali, ecc.nati nei Settanta e autodefinitisi Generazione Tq(Tarantino Quentin) per verificare problematica-mente la possibilit di una identit comune e percapire se e quanto si pu incidere sulla realt. Benvengano occasioni di confronto e discussione, e inparticolare linvito a una riflessione sulla mutazio-ne di questi decenni. Restano per alcune perples-sit. La scelta della sigla Tq, che pure si richiama agli

    scrittori pulp degli anni Novanta, non equivale a unautoimpoverimento dellimmaginario? Una delleresidue virt del nostro paese di presentare ancora,nonostante lomologazione planetaria, una compre-senza a volte straniante di tempi storici diversi.Riteniamo davvero che Los Angeles sia pi modernae pi interessante di Bari? N la mitografia (e narra-tologia) di Pulp fiction ha alcuna tangibile influenzasu alcuni degli stessi estensori della lettera promotri-ce dellevento, come Desiati, Lagioia e Vasta.

    NellItalia delle corporazioni e delle famiglie era cosurgente esibire questo pathos di una appartenenzacollettiva forte? Dal recinto non si esce con piatta-forme di gruppo ma uno alla volta, come dalla caver-na platonica. Penso anche allenfasi sul conflitto: senon viene percepito mica pu costituire un obbligo!Ne parli soltanto chi lo sente (altrimenti lantago-nismo diventa un travestimento, il Kitsch

    dellEroismo). Occorre infine rassegnarsi: la lette-ratura non incide mai sulla realt, o almeno neitempi e modi che ci prefiguriamo. Pu solo rivendi-care un impegno nei confronti della verit. Sa chela realt mutevole ma non modificabile. Pensare ilcontrario significa elaborare strategie, costruire alle-anze, fare politica (dunque anzitutto modificare inpeggio noi stessi!). La verit delle opere letterarie inutile, impolitica, e soprattutto radicata in una espe-rienza sempre molto personale e gelosa del mondo.Seguir con interesse i lavori dellincontro, permi ostino a cercare quella verit nei libri degli scrit-

    tori-promotori e non nelle loro volenterose inizia-tive o in identit collettive rassicuranti e perlopifittizie. Non concordo, per il poco che pu vale-re. La letteratura incide sulla realt, eccome: nonsempre, non immediatamente e non necessarioche tutti gli scrittori condividano la stessa visione.Eppure, io non credo che la verit della letteraturasia inutile e impolitica. Saramago lo , per esem-pio? Lo stesso King lo ? Ellroy lo ? AntoniaByatt lo ? Non sono scrittori militanti, come

    penso intenda La Porta. Eppure la comprensionedella realt attraverso la sua trasformazione lettera-ria qualcosa che molti lettori sentono come debi-to nei loro confronti? Di cosa altro parliamo, senon della realt, anche quando raccontiamomondi che in apparenza non esistono? La parola aPhilip K. Dick: La realt quella cosa che, anchese smetti di crederci, non svanisce.

    Atto di forza

    Lara Manni, laramanni.wordpress.com, 28 aprile 2011

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    Un sacco di cose sono accadute sotto questiocchi. Gli occhi di gente che ha trenta, quaran-tanni. Il Muro, la rete, le Torri, figure simili agliArcani di un epocale mazzo di carte. Il nostropaese in mano a un grande Joker. I mari che ini-ziano a salire, linfinita crescita economica che sfi-nisce. Molte cose sono accadute. Siamo noi cherischiamo di non accadere.In un articolo di alcuni mesi fa su Repubblica,Giorgio Vasta descriveva gli appartenenti allapropria generazione come in attesa di un Godotepocale che li riscatti (consapevoli del fatto che se

    Godot non arriva meglio). Da quellarticolo eda altre riflessioni nata la convocazione di unampio incontro informale di scrittori, editori,intellettuali che si riuniscono oggi a Roma sotto ladefinizione di Generazione Tq (GenerazioneTrenta-quaranta).Pur trattandosi di un incontro non aperto alpubblico, gli organizzatori (oltre a Vasta, ilmerito delliniziativa va a Giuseppe Antonelli,Mario Desiati, Alessandro Grazioli, Nicola

    Lagioia) hanno pubblicato una sorta di traccia-manifesto in cui la stessa generazione viene defi-nita anfibia: uscita da un secolo-palude, da unasociet letteraria e da un sistema culturale ormaimorto, ma che ancora ci condiziona. Lanfibioemerso dalla palude si asciuga la pelle e aspetta,stordito, di comprendere il nuovo mondo in cuisi trova.

    Non che sia rimasto molto tempo, daltro canto.Convulsioni storico-sociali sempre pi ravvicina-te ci ricordano che non c pi da aspettare.Godot arrivato, arriva di continuo. Soltanto chein qualche modo non accoglibile, non narra-bile, non rielaborabile con linguaggi condivisi.Massima nevrosi di unepoca che smania per ilcambiamento ma non saprebbe riconoscerlo naccoglierlo, non dopo il disgregarsi di ogni conte-sto, di ogni comunit, di ogni effettivo spazio dirisonanza.Come siamo arrivati a questo? Possiamo pensare

    alla famosa carta geografica del racconto diBorges, la mappa del mondo in scala 1:1. Essa si stesa su di noi con la pesantezza di un telo diplastica. Viviamo nello strato tra il mondo e la suamappa, ed per questo che la nostra esistenza fatta oggi di sacche, rigonfiamenti di senso picco-li e isolati, bolle di vita infuocate come capannesudatorie, improvvisi tentativi di strappo. Ci chie-diamo a cosa lavorare: a fare una carta dellacarta? Oppure a strapparla? Le ipotesi sono infi-

    nite, urgenti, possibili, necessarie. Una immensalibert, la libert di un deserto, sfuma nellim-mensa costrizione di un paesaggio di rovine, concumuli di macerie a sbarrare ogni strada. Nullasembra circolare in questo paesaggio paradossale.Nessuna voce, non almeno nei modi conosciutifinora. La rabbia si riduce a episodi sparsi, pro-prio come le rivolte episodiche delle giovent

    Trenta-quarantenni: che fare?

    Marco Mancassola, il manifesto, 29 aprile 2011

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    nelle strade, le macchine incendiate con dinami-che da flash mob.Il che fare? sempre pi stringente mano a mano

    che il lavoro intellettuale subisce, al pari di ognialtro lavoro, la morsa dellordine economico.Precarizzazione, inflazione, proletarizzazione,atomizzazione, perdita di rappresentanza e dirappresentazione. Nel suo ulteriore specifico, loscrittore-narratore si trova in un sistema editoria-le attualmente in bilico, inquieto e sullorlo delpanico. Dove a rischio non solo il mercato libra-rio e la sopravvivenza della forma-libro ma ilvalore stesso delle storie, in un mondo intasatodalla sovrapproduzione editoriale, dallinflazionenarrativa, dalle dosi di fiction, dallabuso delletecniche di storytelling nel marketing e nella poli-tica. Innumerevoli sono i racconti del mondoscriveva Barthes. Cos innumerevoli, oggi, darischiare di rivelarsi impossibili?Se narrare storie significa anche convocare unacomunit, che in quelle storie si riconosce e trovaprovviste di senso, serve una fede ostinata per

    continuare a scriverne in un tempo come questo.Un tempo in cui la comunit dei lettori apparedispersa, sfuggente, inconvocabile. Uno sforzo

    che sconfina nel delirio, unimpresa comunicativacon i tratti di una sindrome autistica.Secondo Deleuze, scrivere letteratura significainventare un popolo che manca, fare appello aun popolo che non esiste ancora. soltanto rilan-ciando ambiziosamente la posta, pensando a sstesso come al fondatore di nuove comunit delsentire, che lo scrittore pu compiere questo saltonel buio. E con una dose, ovvio, di autentico inve-stimento umano. Il grado di menzogna esistenzia-le che riempie tanta narrativa oggi in commerciomeriterebbe una trattazione a parte.Abbandonando per sempre il cadavere del potereculturale, cos come lo hanno inteso le vecchie lite(con il suo corredo di padrinaggi, piccole mafie,attenzione da elemosinare a capricciose cariatidi),si compie forse un primo passo. Lanfibio ha lapelle asciutta. Pur avendo la tentazione di rituffar-si nella palude, pu azzardare un saltello in avanti.

    Se narrare storie significa ancheconvocare una comunit, che in quelle storiesi riconosce e trova provviste di senso,serve una fede ostinata per continuare ascriverne in un tempo come questo

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    Uscire dal cono dombra, influire sulla realt eavvicinarsi a un pubblico pi vasto. Dopo anni disilenzio, finalmente la Generazione Tq (TarantinoQuentin, ma anche Trenta-quarantenni) alza lavoce per rivendicare un ruolo sociale, stringere lefila e lanciare una sfida aperta allestablishmentdella cultura e della politica, i cattivi maestriche hanno ridotto notevolmente il peso degliintellettuali sulla realt. Pi di un centinaio discrittori, giornalisti, critici, artisti e accademicihanno partecipato venerd 29 aprile al seminarioche si tenuto nella sede romana della casa edi-

    trice Laterza.

    Esperimento culturaleUniniziativa sperimentale nata su iniziativadegli scrittori Giuseppe Antonelli, Nicola Lagioiae Giorgio Vasta del responsabile dellufficiostampa della casa editrice minimum faxAlessandro Grazioli e del poeta Mario Desiati.Questo un luogo di condivisione e non di con-senso spiega Vasta. Vogliamo ragionare insie-

    me su come superare la membrana che ci divideda una fetta ampia di societ. Possiamo continua-re a pensare che abbiano tutti torto perch non cileggono? Dobbiamo dar vita a un movimentoculturale e sociale e cercare di entrare in contat-to. Ogni scrittore solo nel momento dellacreazione della sua opera aggiunge Lagioia mada solo nessuno pu cambiare il mondo in cui

    vive. Spero che questo sia solo il primo incontro:insieme possiamo davvero trovare le forme perincidere di pi sullecosistema socio-culturale checi circonda.

    Il giornale web di ScuratiA ripercorrere la genesi di questa generale apatia stato Antonio Scurati, una delle firme pi cono-sciute della letteratura italiana contemporanea.La nostra una generazione di apprendistatoallirrealt sostiene Scurati. Su di noi ha incisoin maniera determinante la costruzione mediatica

    che ci ha portato a non saper distinguere tra realee fittizio. Lo spartiacque stata la prima guerradel Golfo: Ricordo che vidi cadere le bombe suBaghdad in televisione mentre sorseggiavo birrasul divano. Da allora spiega la nostra genera-zione ha assunto una postura spettatoriale che ciimpedisce di dare ununghiata al mondo.Incontri come questi possono essere utili a risve-gliarci? Fin qui direi di no risponde con since-rit. Io sono scettico e credo che il bisogno di

    comunit sia il segno della sua assenza. Ma credoanche che questo conato sia significativo. Peruscire dallimpasse generazionale dobbiamo tro-vare nuovi orizzonti di comunicazione attiva. Ioche scrivo per i giornali e ho una rubrica tv dicoche non riusciremo mai ad invertire la rotta sepuntiamo solo ad occupare spazi nei media tradi-zionali. E lancia una proposta: I tempi sono

    Generazione Tq, sfida ai cattivi maestri

    Stop allestabilishment della cultura e della cattiva politica.

    Lesperimento culturale di un gruppo di scrittori e artisti trenta-quarantenni:Come influire sulla realt?

    Carlotta De Leo, Corriere della Sera, 30 aprile 2011

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    maturi in Italia per fondare un nuovo quotidianoonline che sia solo una trasposizione di contenutidalla carta al web. Una testata culturale e di infor-

    mazione dove la nostra generazione sia protago-nista e non semplice ospite e possa raccontare larealt senza distorsioni dice. Chi lavora nelleredazioni sa bene che i giornali di carta hanno leore contate. E sarebbe bello che il definitivo pas-saggio sia merito di un gruppo di scrittori chevogliono aprirsi allesterno.

    Ribellione al mercatoLa discussione, a dir la verit, non sempre statapertinente agli obiettivi dellincontro. Non sonomancate digressioni nostalgiche, con accenni avecchie ideologie sorpassate dalla storia e dallarealt (basti pensare alla precariet che spinge alavorare per pagare laffitto turandosi il naso).Ma scrittori, critici ed editori presenti hanno datotestimonianza, quantomeno, di voglia di fare, diconfrontarsi sulle possibilit che si aprono e sulla

    necessit di fare gruppo. Nel movimento ondiva-go degli interventi sono stati affrontati tutti i nodiprincipali, con scambi di opinione e accesi dibat-

    titi. Dobbiamo sottrarci alla logica del mercato edella promozione dei libri propone lo scrittoreChristian Raimo. Perch dobbiamo scrivere sullaquarta di copertina che quel libro il migliore delsecolo se appena mediocre?.

    Lunione fa la forzaChiuso il primo incontro, la Generazione Tq chia-mata a ora a dare risposte concrete. E certo nonsar facile per i Trenta-quarantenni farsi sentire, macome ha ricordato la regista Costanza Quatriglio,il nostro tempo adesso e non domani. Lanciamoiniziative, senza aspettare lautorizzazione di qual-cuno a parlare o ad agire. Se andiamo avanti inmaniera separata abbiamo poche speranze: dobbia-mo ragionare in termini generazionali, superando ledivisioni che ci sono tra chi lavora nelleditoria, nelcinema, nei giornali o in tv.

    Antonio Scurati:Per uscire dallimpasse generazionaledobbiamo trovare nuovi orizzonti dicomunicazione attiva

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    Scrittori, critici, editori, pi o meno trentenni,pi o meno quarantenni: la Generazione Tq, sisono ribattezzati. Erano ieri fino alle dieci di seranella sede romana della casa editrice Laterza apassarsi il microfono, seduti o in piedi attorno aun tavolo per confrontarsi, per capire cosa signi-fica, se significa, essere intellettuali, oggi. Sehanno ancora un senso parole come impegno,cultura,pubblico. Si applaude, si contesta: unaprima Woodstock degli autori italiani che culmi-ner in una tre giorni da organizzare per il pros-simo ottobre. Questincontro non nato per for-

    mare correnti, manifesti culturali esordisceNicola Lagioia, tra i promotori dellassemblea conGiuseppe Antonelli, Mario Desiati, AlessandroGrazioli e Giorgio Vasta. Vogliamo capire sesiamo capaci di migliorare lecosistema culturale,di incidere davvero sulla realt del paese.Limportante oggi fare proposte. E lui stessopoi chiede che tra scrittori ci si allei, si crei ungruppo di pressione perch la Rai metta in palin-sesto un programma sui libri che non offenda

    nessuno, come era ai tempi di Pickwick diBaricco, che piaceva anche alla mia zia semianal-fabeta. E che si sottopongano iniziative culturaliai politici, anche a quelli locali, che ci si interroghisulleffettiva libert del mercato. Il libero merca-to del libro inesistente, questo il primo proble-ma che condiziona oggi il nostro operato: siamoalla ricerca di un pubblico, di spazi da occupare

    ribatte Andrea Cortellessa. A proposito di merca-to, Christian Raimo invita a non scrivere schededi libri in cui risuonano aggettivi come fragoro-so o luminescente. Basta alla lingua usatacome promozione e battiamoci per il nostro sala-rio dice. Soldi, non solo lettere. La questionedello stipendio degli intellettuali un punto chevede tutti daccordo. Pochissimi, quasi nessunoriesce a vivere di sola scrittura. Perch lintellet-tuale degli anni Zero percepito come il parassi-ta in una societ che deve essere produttiva diceFederica Manzon. Solo negli anni Ottanta, gli

    intellettuali avevano pi potere, anche economi-co. Ma qual lidentikit della Generazione Tq?Prova a fornirlo Antonio Scurati: una genera-zione di traumatizzati senza trauma. Il nostroapprendistato della vita passato attraverso lirre-alt: siamo stati i primi a crescere negli anniOttanta in una condizione di agio mai raggiuntaprima, e ci siamo resi conto, una volta adulti, chesi trattava solo di una grande illusione. Alladisillusione, per, devono seguire delle proposte,

    ed per questo che oggi gli scrittori trentenni equarantenni vogliono mettersi a confronto. Cisiamo talmente alfabetizzati sul versante diagno-stico che siamo diventati incapaci di trovaresoluzioni. A poco a poco si pu riuscire a recu-perare il diritto a scolpire lo spazio sociale e cul-turale dove siamo. Ed Elena Stancanelli propo-ne di offrire il tempo libero degli scrittori alla

    Il manifesto dei Tq: Prendiamoci il potere

    Dario Pappalardo, la Repubblica, 30 aprile 2011

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    scuola pubblica. Facciamo nostro il progetto diDave Eggers in America, aiutiamo i ragazzi aconoscere il mondo dei libri. Il ricambio gene-

    razionale tarda ad arrivare, anche nella culturaitaliana. Per quei pochi nati tra gli anniSessanta e Settanta che ora occupano posizionidi dominio quale cambiamento hanno portato?chiede Gilda Policastro, autrice di Fandango.Questa generazione non deve avere paura diportare avanti le proposte che ha, se riesce a

    occupare le posizioni di potere precisa il criticoStefano Salis. Essere pi giovani non ci d nes-suna patente di persone migliori. Il nostro ricam-

    bio deve avvenire con maggior rigore. Non pos-siamo ripetere gli errori dei padri che critichia-mo. Quei padri pedofili e assassini che tengo-no i figli segregati in uno scantinato dice scher-zando Lagioia citando un discorso di RobertoBolao. La Generazione Tq vuole superare queipadri e insieme la linea dombra.

    I padripedofilie assassiniche tengono

    i figli segre-gati in unoscantinato

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    Lelegante sede romana della Laterza, a Roma, nelcuore dei Parioli, ha tenuto a battesimo laGenerazione Tq, ovvero scrittori e critici trenta-quarantenni che si sono riuniti per discutere delpresente e del futuro di un lavoro, quello intellettua-le, schiacciato da strumenti di comunicazione nonproprio tarati secondo la gran parte degli interve-nuti sulle reali esigenze delle nuove leve di lettori.Ora vogliono fare gruppo. O almeno vedere se pos-sono, nel dialogo e nel confronto, trovare idee vali-de per contare di pi nel mondo letterario. Cisiamo talmente alfabetizzati ha spiegato Giorgio

    Vasta ad apertura dei lavori sul versante della dia-gnosi dei mali della nostra societ da essere diventa-ti analfabeti sullaltro, quello della prognosi. Daqui appunto lesigenza di trovare nuove idee.Organizzato da Giuseppe Antonelli, AlessandroGraziosi, Mario Desiati, Nicola Lagioia e lo stessoVasta, il convegno informale ha dato comunqueesiti interessanti. Ne parliamo con Lagioia, autoredel fortunatoRiportando tutto a casa (Einaudi) conil quale ha vinto lanno scorso il Premio Viareggio.

    Partiamo dalla fine. Soddisfatto dellincontro?

    stato un inizio. In quattro ore non si risolvonoproblemi, si apre un tavolo. Se qualcosa di semi-nale c stato, verr fuori nei prossimi mesi.

    Durante il suo intervento ha detto: Vediamo se

    siamo capaci di migliorare lecosistema culturale

    nel quale viviamo. Ce lo regala un esempio

    pratico?

    Fare pressione sulla Rai per portare pi culturasugli schermi pu essere unidea. In fondo si trat-ta del servizio pubblico, e al di l delle trasmissio-ni in cui si parla dei libri in uscita, credo sia legit-timo che ce ne possa essere una svincolata dal-loccasione editoriale. Fare gruppo per ottenereun rapporto pi fruttuoso con le politiche locali(gli assessori alla cultura) pu essere unaltra.Pensi a cosa accaduto in Sardegna in questi ulti-mi anni: basterebbe solo citare il festival di Gavoi,

    come buon esempio. Ma mi sono piaciute moltoanche le proposte di chi (Elena Stancanelli) sugge-riva un rapporto tra scrittori e scuola pubblica sulmodello di ci che ha tentato di fare Dave Eggersnegli Stati Uniti.

    Perch scrittori e critici, votati a un lavoro tanto

    individuale, sentono il bisogno di fare gruppo?Un grande libro lo si scrive in solitudine. Le rego-le del gioco, invece, soltanto un megalomane pu

    credere di scriverle da solo.

    Non parlate di poetica, non parlate di estetica,

    ma di strategie di visibilit. Ma non vi basta pi

    il vostro lavoro?

    La visibilit non importante. importante invecericordare che lItalia uno dei paesi europei in cuisi legge di meno. chiaro che un modello non ha

    Lintervista a Nicola Lagioia

    Pier Francesco Borgia, il Giornale, 30 aprile 2011

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    funzionato. Ed chiaro che ragionare da funziona-ri della cultura (farsi bastare il proprio lavoro) nonha speranze di invertire la rotta.

    Visto che parliamo di generazioni, quali sono le

    caratteristiche che accomunano i Tq? Spero non

    si riduca tutto allimmaginario di telefilm e di

    musica pop.

    Una tra le tante: aver ricevuto un mondo pi como-

    do rispetto a quello dei nostri padri, ma decisamen-te pi povero di opportunit, e meno aperto sulfuturo.

    Tornare ad agire per lanciare la propria sfida allarealt del nostro presente. questo, molto inbreve, il senso del tentativo che un nutrito grup-po di intellettuali trenta-quarantenni vorrebbeportare avanti, iniziando da un affollatissimoincontro-seminario preliminare della GenerazioneTq che si tenuto nella sede romana della casaeditrice Laterza su iniziativa di GiuseppeAntonelli, Mario Desiati, Alessandro Grazioli,Nicola Lagioia e Giorgio Vasta. Ci siamo tal-

    mente alfabetizzati ha spiegato questultimo inapertura dellincontro sul versante della dia-gnosi dei mali della nostra societ da esserediventati analfabeti sullaltro, quello della pro-gnosi. E Lagioia ha precisato gli intenti del-levento, che vorrebbe essere solo il primo diuna serie di incontri fattivi: Vorremmo capirese siamo capaci di migliorare lecosistema cultu-rale in cui viviamo.Ad aprire i lavori Antonio Scurati, uno dei nomi

    pi conosciuti della letteratura italiana contem-poranea, che ha fornito la sua fotografia dellasituazione: Siamo una generazione di traumatiz-zati senza trauma ha detto lo scrittore. Non civiene pi chiesto di operare una distinzione tra il

    reale e lirreale. Dalla notte tra il 17 e il 18 genna-io 1991, quando nei nostri salotti abbiamo vistoin tv il bombardamento di Baghdad, sono stateposte le basi dellinesperienza del mondo realeper la nostra generazione. Scurati, almeno nellafase iniziale dellincontro, non ha fornito rispostealla domanda sul che fare, salvo poi proporreuna nuova testata di narrazione e informazioneche entri nel panorama della Rete e che si distin-gua dallattuale tipologia dei siti Web dei quoti-

    diani italiani. Sarebbe bello ha aggiunto Scuratiche questo nuovo modello nascesse da un grup-po generazionale, che si rivolge allesterno pernarrare una sua diversa visione del mondo e dellarealt. Il dibattito stato lungo e tratti teso e havisto momenti brillanti come lintervento diGianni Ricuperati sulla necessit di produrreconoscenza pubblica e le prese di posizionemolto concrete di Antonelli, autorevole e franconel ruolo di moderatore della serata, ma anche

    frequenti scivolate verso lideologia e un linguag-gio politico mutuato da generazioni preceden-ti, sintomo tanto di una persistente difficolt auscire da certi schemi culturali quanto di unasfaccettata dinamicit del confronto.

    Intellettuali under 50 lanciano la sfida alla realt

    dailyblog.it, 30 aprile 2011

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    Chi si aspettava i piagnistei rimasto a boccaasciutta. Chi voleva proclami, manifesti e solennipromesse, sia deluso. Chi pensava, poi, che sisarebbe parlato di Berlusconi o Saviano non tro-ver spunti: non sono praticamente stati menzio-nati. Insomma, la Generazione Tq che dallepagine di questo giornale aveva lanciato lappelloalla riunione, tenutasi venerd a Roma nella sededella Laterza , c e si propone segnalando qual-cosa di pi serio e meno enfatico forse, ma maga-ri pi produttivo. La voglia di discutere, di con-frontarsi, di dimostrarsi adulta (pi di quello che

    molti maestri sono disposti a concedere) e diverificare quali poteri e possibilit ha di cambia-re, sia nel concreto sia riposizionando alcuneidee, parole e categorie fondative, lecosistemaculturale (Nicola Lagioia) del nostro paese. Noncercando laccordo a tutti i costi: anzi. Le diffe-renze tra i circa duecento intervenuti ci sono ealcune sono anche notevoli e forse pure inconci-liabili. Ma questo solo un bene.Non un caso che lincontro sia stato a Roma,

    citt che in questi anni ha pi prodotto in termi-ni di proposta editoriale-letteraria; che un nucleoforte di idee condivise e personalit sia ricondu-cibile alla casa editrice minimum fax (dimostra-zione tangibile di come si possa fare cultura inne-standosi virtuosamente nel mercato; tema tornatomolto spesso nel dibattito); che sia stata unaltracasa editrice (la Laterza) a ospitare il convegno:

    segno chiarissimo che leditoria non pu che pro-muovere, sollecitare, mostrare attenzione e farmaturare nuove generazioni e talenti molto pi dialtri settori della produzione culturale. E se forseil limite della riunione era di natura tipologica(tutti scrittori, editori, editor o critici, molte altreprofessioni intellettuali escluse) a questo si potrrimediare: gi prevista una seconda convocazio-ne in ottobre.Antonio Scurati sul concetto di inesperienzache accomuna la generazione e FedericaManzon ridefinizione del ruolo dellintellettua-

    le hanno aperto la lunga serata ponendo alcunebasi teoriche. Nicola Lagioia e Giorgio Vastahanno precisato il senso sociale e civile della riu-nione, portando anche alcune proposte minimeconcrete: insistere perch ci sia spazio per i librinella tv pubblica, sciogliere alcuni nodi del mer-cato editoriale, avvicinare i politici. Ma non era ilmomento delle proposte. Al di l dei singoli inter-venti (moderati da Giuseppe Antonelli, hannoparlato, tra gli altri, Ricuperati, Ostuni,

    Cortellessa, Policastro, Raimo, Di Napoli,Stancanelli, Leogrande, Barillari, Meacci, Soriga,Serafini, Santangelo, Gallerani, Broggi) la pro-messa tacita dovrebbe essere quella di non sciu-pare questo potenziale di idee che circolatonella serata romana. Di dargli seguito, coltivarlo erafforzarlo (e Scurati ha proposto una testataonline di informazione e racconto). Replicando a

    Tq, la sfida a questa realt

    Stefano Salis, Il Sole 24 Ore, primo maggio 2011

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    critiche e irrisioni (ci saranno) con argomenti,provando a scegliere un lessico e categorienuove, che non ricalchino schemi di ideologie

    che, davvero, hanno fatto il loro tempo e nondescrivono pi la realt di oggi, dominata dalprecariato e da urgenze civili diverse da quelledi 3 o 4 decenni fa. Lo si pu fare, a patto diprendersi sul serio, di impegnarsi nel proprio

    ruolo intellettuale (detto senza vergognarsi) conrigore, seriet, precisione maggiori delle genera-zioni che hanno preceduto la Tq e pretendendo

    che esso sia riconosciuto socialmente ed econo-micamente. difficile ma bisogna iniziare.Lincontro romano un primo passo. Ma qual-cosa si muove: e Tutto Questo gi una (buona)notizia.

    Prima delladunata di massa di testimoni alla bea-tificazione di papa Woytila (quasi un replay deisuoi funerali), c stata a Roma unadunata di nic-chia, quella degli scrittori trenta-quarantenni(autodefinitisi Tq). Qui non si trattato solo ditestimoniare di esserci, ma di fare dellattestazionedi s una rivendicazione. Di che cosa? A dar rettaai resums giornalistici, di (pi) potere e visibilit

    (anche se certi nomi di scrittori Tq sono cos infla-zionati dai media da sembrare novantenni).Ladunata dei Tq mi turba non perch ne sia ana-graficamente escluso (ho 51 anni, 3 in pi di D.Foster Wallace e 6 in meno di Roberto Bolao,autori citatissimi tra i Tq, ma che non sarebberostati invitati); mi imbarazzerebbe ugualmenteunassemblea di Qc (Quaranta-cinquantenni), diCs, e cos via. Lanagrafe degli scrittori non defini-sce niente, e anche in quella dei precari sarei

    cauto: nulla di pi tragico e commovente dei

    disoccupati cinquantenni descritti nel filmI lune-d al sole. Ci che mi turba la sicumera nellavan-zare diritti economico-istituzionali, il concepirelatto di scrivere non come anarchico e conflittua-le, irriducibile al potere, ma organico ad esso. infine un gesto che si aggiunge, mi pare, ad arroc-camenti identitari di cui il paese pervaso, daquello generazionale dei politici rottamatori (che

    ricordano simbolicamente Pietro Maso, colui chemassacr i genitori non perch avesse valori diver-si, ma per prendere il loro posto pi in fretta, com-prese le loro carte di credito); a quello dei leghistiche arrivano a proclamarsi celti per non pagare letasse allo Stato. Oltre lintrinseca violenza, le spin-te identitarie hanno in comune loscuramentodelle differenze e dei valori reali, e la nebulositdei propri criteri let non meno franosa delsuolo o del sangue. Non il quie ora (geografico,

    storico) che abbiamo in comune?

    Scrittori che hanno let, scrittori che non hanno let

    Beppe Sebaste, lUnit, primo maggio 2011

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    Non credo possa fregare qualcosa a nessuno, inItalia e nel mondo, a parte al Sole 24 Ore e a

    Repubblica dove sono insediate le lobby einaudianee minimumfaxiane, ma sappiate che venerd pome-riggio, nella sede romana della casa editrice Laterza,si sono riuniti i giovani scrittori pi importantidella Generazione Tq. Vale a dire: dopo gli Underventi, gli Under trenta, gli Under quaranta, la LostGeneration, la X Generation, la Generazione Zeroe via via degenerando, Tq starebbe per Trentenni-quarantenni, cio quasi chiunque, perch chi avevameno anni o troppi per rientrarci era definito un

    quasi Tq o un ex Tq e era l lo stesso a parlare, quin-di Tq anche mia nonna.Questi orribili Tq erano seduti intorno a un tavoloquadrato, molti altri Tq in piedi, accalcati intorno,altri affacciati a dei soppalchi come zombieMuppets, appesi come scimmie alle balaustre, sem-brava di essere a una riunione di studenti maoistidegli anni Settanta e tutti molto fuoricorso, pi Qche T, e cera pure qualche altra testa di C infratta-ta, tanto erano tutti uguali. A esordire stato il Tq

    Giuseppe Antonelli: Questa la nostraWoodstock!, e rendendosi conto dellimmondocarnaio nello spazio soffocante ha preannunciatoun secondo incontro in luogo pi consono, maga-ri in un agriturismo.Il Tq Antonio Scurati stato invitato ad aprire ledanze, e senza farselo ripetere le ha aperte attac-cando il disco dello stigma della generazione, anzi

    una serie di stigmi da suicidio: Una generazionetraumatizzata ma senza traumi, una generazionedeprivata del reale in senso lacaniano, una gene-razione deprivata di tutte le caratteristiche dellespe-rienza vissuta, una generazione deprivata in sensotecnico, non si capisce dove sia cresciuto Scuratitra tante deprivazioni, sembrava un romanzo diHector Malot riscritto da Niki Vendola. Comunqueuna generazione, la Tq, deprivata dallessere passa-ta da bolla speculativa a bolla speculativa, dove iltempo scandito da un trionfo dellimmaginario,nel dilagare della televisione commerciale, tra mali-

    gne sottrazioni, promesse ingannevoli, bipensieriobbligati, discrasie di qua e di l, disparit ovunque,nellillusione tradita che il benessere dovesse pro-gredire e invece no, ci siamo troppo alfabetizzatisul versante diagnostico, e tanto infine, siamoincapaci di trovare soluzioni, lOccidente finito, idiritti sono sgretolati, amen. Al che il Tq condut-tore Antonelli ha sintetizzato il concetto: Ci trovia-mo tutti con la cucina Ikea, infatti, ora pure que-sti ce lhanno con Ikea, non bastava quel post Tq

    cattolico di Giovanardi, e intanto passa la parola allaquasi Tq Federica Manzon. La quale si domandadove siano finiti gli intellettuali, perch lintellet-tuale si vergogna?. Richiamandosi a Sartre perchoggi ci sono troppi esperti, ma lesperto pu soloinventare la bomba atomica, mentre lintellettualepu dare le soluzioni e forse ha ragione, perchchiunque in quel momento avesse sparato un

    Generazione Tq?Unoccasione persa per ucciderli tutti in un colpo solo

    Massimiliano Parente, il Giornale, primo maggio 2011

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    missile intelligente sulla Laterza sarebbe statomeritevole di Nobel, e invece bombardiamo

    Gheddafi, che al cospetto dei Tq James Joyce. Inogni caso, ha precisato la quasi Tq Manzon, non cisono pi intellettuali in grado di inventare nuovi les-sici, il lessico lo hanno inventato le generazioni pre-cedenti. Non ci sono pi intellettuali tranne uno,di cui per siccome anche lacustica era di merdanon sono riuscito a sentire il nome, cos chiedo a unTq l vicino e mi risponde Wollmann, non sonoconvinto, allora chiedo a un altro Tq e mi diceBaumann, un altro Barman, mentre una signo-

    ra ultraTQnaria mezza sorda chiede addirittura ame e le rispondo Batman, sar senzaltro lui.Quando parla il Tq Giorgio Vasta capisco chepurtroppo solo Giorgio Vasta, cos pallido echiaro e completamente calvo lavevo preso perlOsservatore del telefilm di fantascienza Fringe,il mio preferito, e speravo fossimo nelluniversoalternativo sbagliato, per poteva essere anche il

    figlio dellonnipresente Alberto Gaffi Editore inRoma, seduto vicino allonnipresente MarcoCassini, editore di minimum fax in Rome. Per la

    cronaca il Tq Vasta ha raccontato un episodioterribile: Tutti ricorderanno il senso di imbaraz-zo vissuto a Roma cinque mesi fa, durante il con-vegno sullantropologia berlusconiana. Quandosi arrivati alle ultime battute dal pubblico si alzato un signore e ha detto S, ma cosa dobbia-mo fare? e tutti se ne sono andati. Noi siamo quiper non ripetere questo errore. Ci si deve insom-ma emendare da questo atteggiamento autotro-fo dove le intelligenze divorano s stesse dentroquesta necropoli demistificante.Insomma, era tutto molto deprimente e deprivato,ho rimpianto perfino le prediche paternalistiche diAldo Busi che mi scrive per dirmi quanto gli facciopena quando mi vede in televisione, e a propositodi televisione ha preso la parola Nicola Lagioia, ilTq di punta di minimum fax, per domandarsi:Perch la televisione pubblica non ci intervista

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    mai? Vorrei dire ai miei compagni di viaggio: pos-siamo organizzare un gruppo di pressione, unaforza contundente che finora mancata? Questa

    generazione capace di migliorare lecosistema incui viviamo?. Un modello di buona televisionesarebbe la trasmissione di Baricco: Mia zia, guar-dandola, ha scoperto ?echov. Bel ragionamento,ma senti: per far divertire la zia di Lagioia bisognaciucciarci tutti Baricco. La Tq Elena Stancanellivuole impiegare gli scrittori nella scuola pubblica,unaltra, unautrice Fandango, la Tq sanguinetianaGilda Policastro, accusa quelli della generazionedei Sessanta di non aver portato nulla, ma cossexy che ho unerezione inaspettata e continuo afissarla incantato mentre intorno si dibatte sulricambio generazionale mancato e sulle strutture ele sovrastrutture e la societ civile eccetera eccete-ra, finch non ce la faccio pi e cerco una exit stra-tegy, per esempio luscita.Mi sono perso cosa aveva da dire il Tq ChristianRaimo, il pi disperato, con la mani sulla fronte e

    chino su un bloc notes di appuntini scribacchiati,ma in compenso, uscendo, ho incrociato lo sguar-

    do mozzafiato della sorella Veronica Raimo, e leimamma mia quant bella, proprio vero che lagenetica a volte non significa niente. Invece il mioamico Mario Desiati, candidato vincente alloStrega per Mondadori, non lho incontrato, perho saputo che cera, a parlare tra i Tq, gli scrivoun sms e alle dieci e mezza di sera ancora l,poverino, e mi risponde lapidarioAgghiacciante. E pensare che quando ci vedia-mo da soli io e Desiati parliamo solo di cose intel-

    ligenti, lui di gang-bang e io della mia passioneper Nicole Minetti, vai a capire perch in pubbli-co si costringe a essere cos socialmente noioso.Infine la morale della favola invece me la d ildeejay di Radio Rock Emilio Pappagallo, che stato cos gentile da accompagnarmi: Sai cosa?Dopo aver sentito questi qui Berlusconi lo votereisubito.

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    Hanno trenta anni. O anche quaranta. O sonotra i trenta e i quaranta. E sono scrittori, criticiletterari, sceneggiatori ma anche editori. Unicoscrittore sardo presente, Flavio Soriga. Si sonoriuniti nella sede romana delleditore Laterza.Volevano capire che cosa significa, oggi, essereintellettuali. A proposito, ha ancora senso equale una parola come impegno? O pubbli-co? Hanno dibattuto a lungo per cercare dicapire, come ha detto Nicola Lagioia (uno deipromotori dellincontro insieme a MarioDesiati, Giorgio Vasta e Alessandro Grazioli)

    se possiamo migliorare lecosistema culturale,se siamo in grado di incidere davvero nella real-t del paese. Lidea, nata da quellassemblea di fare in modo che la Generazione Tq (trenten-ni, quarantenni) si compatti per contare di pi eper chiedere, per esempio, che la Rai metta suun programma sui libri che non offenda nessu-no, come era ai tempi di Pickwick di Baricco

    gradito anche a quelli che abitualmente non leg-gono o non si occupano di libri. Tra gli argo-menti dibattuti anche i soldi. Pochissimi riesco-no a campare solo di letteratura. Ed per que-sto che molti dei giovani presenti si sono dettifavorevoli allintroduzione di uno stupendio pergli intellettuali. Gi, ma qual lidentikit de