giacomo leopardi (1798-1837) - unibg · • discorso di un italiano intorno alla poesia romantica,...
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Giacomo Leopardi (1798-1837)
• Lettera ai sigg. compilatori della “Biblioteca
italiana”,18 luglio 1816 (in risposta alla de Staël)
• Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica,
marzo del 1818, destinato all’editore Stella (in
risposta al di Breme)
Classico o romantico? Interpretazioni contrastanti
• integralmente romantico,
• Integralmente classico, di un classicismo laico,
illuminista e razionalista che conserva la sua vitalità
per tutto l’Ottocento.
Caratteristiche del classicismo leopardiano:
• forte base filologica
• ampia formazione letteraria (soprattutto su testi
classici)
• scelte linguistiche (lingua alta)
• scelte formali (impostate sulla tradizionale metrica
italiana, poi orientate verso la canzone libera)
Tutto ciò senza trascurare tuttavia una forte razionalità
comunicativa
• orientamenti filosofici (razionalismo illuministico)
Classicismo leopardiano:
• No: armonico equilibrio e modello di pacato
comportamento sociale.
• Sì: rapporto agonistico e polemico con la realtà;
volontà di esperienza ‘forte’ ignota ai romantici italiani
Conseguenze sulla sua poesia
• Rottura di alcune forme tradizionali di comunicazione,
creazione di una poesia assolutamente originale,
estranea sia agli schemi classicisti sia a quelli
romantici.
Leopardi «romantico»: idee sulla poesia
• Valore essenziale perché strumento di conoscenza di
sé;
• Voce del “cuore” e dell’“anima”, dell’io del poeta nel
suo essere presente;
• Poesia come espressione della persona, come forma
che rende possibile un accrescimento di vitalità.
«Una tempesta, un impeto, un quasi
gorgogliamento delle passioni»
(Zibaldone, agosto 1823)
Il genere poetico per eccellenza: lirica.
• È il genere più spontaneo e originario, più vicino
all’espressione della natura.
• La lirica può realizzare nel modo più efficace la
missione principale della poesia, dare voce alle
sensazioni più indefinite e inafferrabili, non fissate in
quadri determinati e immediatamente riconoscibili.
• La poesia lirica deve dedicarsi:
al vago,
all’indeterminato,
all’infinito,
alla memoria
al ricordo.
• La poesia consente di «sentire» veramente
l’esistenza, e con ciò genera grandi illusioni su di
essa, opponendosi alla vita sociale contemporanea,
dominata dall’egoismo, dall’interesse e dalla
mancanza di entusiasmo.
MA ANCHE
Differenti interpretazioni del ruolo della poesia, a
seconda della diversa fase di evoluzione del pensiero
leopardiano (poesia/natura/ragione)
• Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica:
poesia come ritorno alla vitalità della natura antica
contro l’aridità della ragione moderna.
• Dal ‘23-’24: natura da forza positiva a forza negativa,
ragione come strumento per disvelare all’uomo proprio
la lontananza di una natura indifferente.
• In questa fase: poesia come l’ultima forza capace di
far resistere le illusioni vitali.
Alla fine di questo percorso, con l’affermarsi definitivo di
quella visione che individua nella natura la
responsabilità ultima dell’infelicità umana:
• Non più opposizione tra poesia e filosofia, bensì
necessità di una poesia filosofica che sia insieme
voce del “vero”, analisi e smascheramento delle
“illusioni”, “entusiasmo” della ragione, sentimento e
coscienza, comunicazione affettuosa e critica
impietosa.
• Discorso di un italiano intorno alla poesia
romantica, marzo del 1818, destinato
all’editore Stella.
• È un saggio in risposta all’articolo di
Ludovico di Breme intitolato Osservazioni
sul «Giaurro» di Byron (1818)
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
ligure ardita prole,
quand’oltre alle Colonne, ed oltre ai liti,
cui strider l’onde all’attuffar del sole
parve udir su la sera, agl’infiniti1
flutti commesso, ritrovasti il raggio
del sol caduto, e il giorno
che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;
e, rotto di natura ogni contrasto,
ignota immensa terra al tuo viaggio
fu gloria, e del ritorno
ai rischi. Ahi, ahi! ma conosciuto il mondo
non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
l’etra sonante e l’alma terra e il mare
al fanciullin, che non al saggio, appare.
(Ad Angelo Mai, vv. 76-90)
Operette morali
• Dialogo di Tasso e del suo genio
• La scommessa di Prometeo
• Dialogo della natura con un islandese
• Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie
• Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez
• Cantico del gallo silvestre
• Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere
• Dialogo di Tristano e di un amico
Leopardi
• la solitudine dell’uomo in mezzo al mistero dell’universo;
• l’illusorietà di ogni bene reale e la superiorità del sogno sulla realtà;
• la proiezione della felicità nel passato e il rimpianto della fanciullezza e delle
epoche mitiche dell’umanità;
• l’esaltazione del cuore sopra la ragione e l’intuizione della passione amorosa
come supremo tentativo di evadere dai limiti del reale;
• l’anelito a immergersi nell’infinito.
Leopardi romantico:
• quando afferma l’assoluta indipendenza e
preminenza della poesia su tutte le cose;
• quando trova nella forza del ‘sentimento’ il
segno distintivo della vera poesia;
• quando ammira la musica come
l’incarnazione più schietta del sentimento.
Fasi dell’evoluzione ideologica e artistica di
Leopardi:
• 1816: dall’erudizione al bello;
• 1819: dal bello al vero;
La poesia secondo Leopardi:
• 1822-1828: sostanziale sospensione dell’attività
poetica
• poesia d’immaginazione e di fantasia (ingenua) =
antichi
• poesia sentimentale o filosofica = moderni
Sul passaggio dal «bello» al «vero» (dallo Zibaldone)
Da principio il mio forte era la fantasia, e i miei versi erano
pieni d’immagini. Insomma il mio stato era in tutto e per tutto
come quello degli antichi. La mutazione totale in me, e il
passaggio dallo stato antico a quello moderno, seguì si può
dire entro un anno, cioè nel 1819 dove privato dell’uso della
vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai a
sentire la mia infelicità in modo assai più tenebroso,
cominciai ad abbandonare la speranza, a riflettere
profondamente sopra le cose... a divenir filosofo di
professione (di poeta ch’io ero), a sentire l’infelicità certa del
mondo in luogo di conoscerla. Allora l’immaginazione in me
fu sommamente infiacchita. E s’io mi metteva a far versi, le
immagini mi venivano a sommo stento, anzi la fantasia era
quasi disseccata.
• Fase «storica» del pensiero leopardiano
• «Teoria del piacere», di derivazione sensistica:
Sensismo: conoscenza attraverso i sensi
Sofisti → Protagora → stoici → epicurei → Locke →
Kant (Telesio, Campanella, Hobbes)
Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780): Traité des
sensation (1754)
Sensismo e materialismo:
Julien Offray de La Mettrie (1709-1751)
Claude-Adrien Helvétius (1715-1771).
Le liriche della prima fase
1818-1822
Canzoni:
All’Italia (1818)
Sopra il monumento di Dante che si preparava inFirenze (1818)
Ad Angelo Mai quand’ebbe i libri di Cicerone della“Repubblica” (1820)
Nelle nozze della sorella Paolina (1821)
Ad un vincitore nel pallone (1821)
Bruto minore (1821)
Alla primavera o delle favole antiche (1822)
Inno ai patriarchi o de’ principi del genere umano (1822)
Ultimo canto di Saffo (1822)
Le liriche della prima fase
1818-1822
Idilli:
• Il primo amore (1817 o 18)
• L’infinito (1819)
• Alla luna (1819)
• Il sogno (1819 o 20)
• La sera del dì di festa (1820)
• La vita solitaria (1821)
Operette morali
Le Operette morali sul piano della riflessione,
segnano anche l’approdo:
• Da una visione storica a una visione cosmica
dell’esistenza umana, del suo divenire e del suo
rapporto con la natura e con la ragione.
• Fase «cosmica» del pensiero leopardiano
Liriche dell’ ‘intervallo’
1822-1828:
• Alla sua donna (1823)
• Al conte Carlo Piepoli (1826)
Le liriche della seconda fase
1828-1836• Il Risorgimento (1828)
• A Silvia (1828)
• Imitazione (1828)
• Scherzo (1828)
• Le ricordanze (1829)
• Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1829)
• La quiete dopo la tempesta (1829)
• Il sabato del villaggio (1829)
• Il pensiero dominante (1831-1835)
• Amore e morte (1831-1835)
• Il passero solitario (1831-1835)
Le liriche della seconda fase
1828-1836
• Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire accomiatandosi dai suoi (1831-1835)
• Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima (1831-1835)
• Palinodia al marchese Gino Capponi (1831-1835)
• Consalvo (1833)
• Aspasia (1833-1835)
• A se stesso (1835)
• La ginestra o il fiore del deserto (1836)
• Il tramonto della luna (1836)
Operette morali
• 1824 → vengono composte le prime 20 operette che saranno edite nel 1827
a Milano dall’editore Stella;
• 1832 → vengono composte le ultime due 2 operette (Dialogo di un venditore
di almanacchi e di un passeggere e Dialogo di Tristano e di un amico) che
verranno inserite nella seconda edizione di Firenze del 1834;
• 1845 → Antonio Ranieri pubblica sempre a Firenze l’edizione postuma delle
Operette, basata su una terza edizione del 1835 che non era mai uscita per
problemi con la censura.
Metodo socratico
Il metodo socratico è un metodo dialettico d’indagine
filosofica basato sul dialogo, descritto per la prima volta da
Platone nei Dialoghi.
Metodo “maieutico” = Maieutica =maieutiké (sottinteso:
téchne) = “l’arte della levatrice”.
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare
Tasso. Oh potess’io rivedere la mia Leonora. Ogni volta che ella mi
torna alla mente, mi nasce un brivido di gioia, che dalla cima del capo
mi si stende fino all'ultima punta de' piedi; e non resta in me nervo né
vena che non sia scossa. Talora, pensando a lei, mi si ravvivano
nell'animo certe immagini e certi affetti, tali, che per quel poco tempo,
mi pare di essere ancora quello stesso Torquato che fui prima di aver
fatto esperienza delle sciagure e degli uomini, e che ora io piango
tante volte per morto. In vero, io direi che l'uso del mondo, e l'esercizio
de' patimenti, sogliono come profondare e sopire dentro a ciascuno di
noi quel primo uomo che egli era: il quale di tratto in tratto si desta per
poco spazio, ma tanto più di rado quanto è il progresso degli anni;
sempre più poi si ritira verso il nostro intimo, e ricade in maggior sonno
di prima; finché durando ancora la nostra vita, esso muore. In fine, io
mi maraviglio come il pensiero di una donna abbia tanta forza, da
rinnovarmi, per così dire, l'anima, e farmi dimenticare tante calamità. E
se non fosse che io non ho più speranza di rivederla, crederei non
avere ancora perduta la facoltà di essere felice.
Genio. Che cosa è il vero?
Tasso. Pilato non lo seppe meno di quello che lo so io.
Genio. Bene, io risponderò per te. Sappi che dal vero al
sognato, non corre altra differenza, se non che questo può
qualche volta essere molto più bello e più dolce, che quello
non può mai.
Tasso. Dunque tanto vale un diletto sognato, quanto un diletto
vero? Genio. Io credo. Anzi ho notizia di uno che quando la
donna che egli ama, se gli rappresenta dinanzi in alcun sogno
gentile, esso per tutto il giorno seguente, fugge di ritrovarsi
con quella e di rivederla; sapendo che ella non potrebbe
reggere al paragone dell'immagine che il sonno gliene ha
lasciata impressa, e che il vero, cancellandogli dalla mente il
falso, priverebbe lui del diletto straordinario che ne ritrae.
Genio. […] Che cosa è il piacere?
Tasso. Non ne ho tanta pratica da poterlo conoscere che cosa sia.
Genio. Nessuno lo conosce per pratica, ma solo per ispeculazione:
perché il piacere è un subbietto speculativo, e non reale; un desiderio,
non un fatto; un sentimento che l'uomo concepisce col pensiero, e non
prova; o per dir meglio, un concetto e non un sentimento. Non vi
accorgete voi che nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, ancorché
desiderato infinitamente, e procacciato con fatiche e molestie indicibili;
non potendovi contentare il goder che fate in ciascuno di quei momenti,
state sempre aspettando un goder maggiore e più vero, nel quale consista
insomma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi di continuo
agl'istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce sempre innanzi
al giungere dell'istante che vi soddisfaccia; e non vi lascia altro bene che
la speranza cieca di goder meglio e più veramente in altra occasione, e il
conforto di fingere e narrare a voi medesimi di aver goduto, con
raccontarlo anche agli altri, non per sola ambizione, ma per aiutarvi al
persuaderlo che vorreste pur fare a voi stessi. Però chiunque consente di
vivere, nol fa in sostanza ad altro effetto né con altra utilità che di sognare;
cioè credere di avere a godere, o di aver goduto; cose ambedue false e
fantastiche.
Genio. […] Di più, l'essere diviso dagli uomini e, per dir così, dalla vita
stessa, porta seco questa utilità; che l'uomo, eziandio sazio, chiarito e
disamorato delle cose umane per l'esperienza; a poco a poco
assuefacendosi di nuovo a mirarle da lungi, donde elle paiono molto più
belle e più degne che da vicino, si dimentica della loro vanità e miseria;
torna a formarsi e quasi crearsi il mondo a suo modo; apprezzare, amare
e desiderare la vita; delle cui speranze, se non gli è tolto o il potere o il
confidare di restituirsi alla società degli uomini, si va nutrendo e
dilettando, come egli soleva a' suoi primi anni. Di modo che la solitudine
fa quasi l'ufficio della gioventù; o certo ringiovanisce l'animo, ravvalora e
rimette in opera l'immaginazione, e rinnuova nell'uomo esperimentato i
beneficii di quella prima inesperienza che tu sospiri.
Dialogo della natura con un islandese
Vide da lontano un busto grandissimo, che da principio immaginò dovere
essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni
prima, nell’isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma
smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il
gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile,
di occhi e di capelli nerissimi.
In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza
qualche pena; laddove io non posso numerare quelli che ho consumati
senza pure un’ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e
necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in
qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a
conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e
di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci
pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e
che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de’
tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto
rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono
di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o
di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci,
finché ci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della
vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie
gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma destinato da te per legge
a tutti i generi de’ viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella
fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con
un tristissimo declinare e perdere senza sua colpa: in modo che appena
un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi istanti alla
maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl’incomodi che
ne seguono.
Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa
vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle
operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho
l'intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o
all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con
qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte:
come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so;
e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo
quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se
anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non
me ne avvedrei. […] Tu mostri non aver posto mente che la vita
di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e
distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che
ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla
conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o
l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per
tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna
libera da patimento.
Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti
i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e
quel che distrugge, non gode, e a poco andare è
distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun
filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta
vita infelicissima dell'universo, conservata con
danno e con morte di tutte le cose che lo
compongono?
Fonti per il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue
mummie
• l’Éloge de M. Ruysch di Bernard le Bovier de
Fontanelle (1657-1757), avvocato, scrittore e
aforista francese che nei suoi scritti anticipò
molti dei temi poi trattati dagli illuministi;
• l’Éloge de Descartes di Antoine Thomas (1644-
1709), gesuita e missionario belga, matematico
e astronomo;
• l’Histoire naturelle de l’homme di Georges-Louis
Leclerc de Buffon (1707-1788), naturalista,
matematico e cosmologo francese.
Il cantico del gallo silvestre
• Richiamo alla vita
• Elogio del mattino, che è breve e fugace
• Ipotesi del sonno eterno
• Richiamo alla vita
• L’unico obiettivo delle cose è la morte
• Elogio del mattino che, come la gioventù è
troppo breve, e lascia presto il posto alla sera
• Ogni creatura dell’universo e l’universo stesso
corrono verso la morte
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
Movesi il vecchierel canuto e bianco
del dolce loco ov’ha sua età fornita
e da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;
indi traendo poi l’antiquo fianco
per l’estreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;
et viene a Roma, seguendo ‘l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:
così, lasso, talor vo cerchand’io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.
Che cosa è la vita? Il viaggio di un zoppo e infermo
che con gravissimo carico in sul dosso per
montagne ertissime e luoghi sommamente aspri,
faticosi e difficili, alla neve, al gelo, alla pioggia, al
vento, all’ardore del sole, cammina senza mai
riposarsi dì e notte uno spazio di molte giornate per
arrivare a un cotal precipizio o a un fosso e quivi
inevitabilmente cadere.
(Zibaldone, 4162-63, 17 gennaio 1826)
abisso orrido, immenso
a / bis / soor / ri / doim / men / so
Il nascere istesso dell’uomo cioè il cominciamento
della sua vita, è un pericolo della vita, come
apparisce del gran numero di coloro per cui la
nascita è cagione di morte, non reggendo al travaglio
e ai disagi che il bambino prova nel nascere.
(Zibaldone, 68)
Così tosto come il bambino è nato, convien che la
madre che in quel punto lo mette al mondo, lo
consoli, accheti il suo pianto, e gli alleggerisca il peso
d quell’esistenza che gli dà. E l’uno de’ principali
uffizi de’ buoni genitori nella fanciullezza e nella
prima gioventù de’ loro figliuoli, s’ è quello di
consolarli, di incoraggiarli alla vita. (Zibaldone, 2607,
13 agosto 1822)