gianpaolo urso tra oriente e occidente. indigeni greci e romani in asia minore. atti del convegno...

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I CONVEGNI DELLA FONDAZIONENICCOLÒ CANUSSIO

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FONDAZIONE NICCOLÒ CANUSSIO

TRA ORIENTE E OCCIDENTEIndigeni, Greci e Romani in Asia Minore

Atti del convegno internazionaleCividale del Friuli, 28-30 settembre 2006

a cura di

GIANPAOLO URSO

Edizioni ETS

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Page 5: GIANPAOLO URSO Tra Oriente e Occidente. Indigeni Greci e Romani in Asia Minore. Atti Del Convegno Internazional

Fondazione Niccolò Canussio – via Niccolò Canussio, 4, 33043 Cividale del Friuli (UD)via Bernardino Luini, 12, 20123 Milano – www.fondazionecanussio.org

© Copyright 2007EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

Tra Oriente e Occidente. Indigeni, Greci e Romani in Asia Minore, Cividale del Friuli, 28-30 settembre 2006 / a cura di Gianpaolo Urso. – Pisa : Edizioni ETS, 2007 - 292 p. : 24 cm.– (I convegni della Fondazione Niccolò Canussio; 6)In testa al front.: Fondazione Niccolò CanussioISBN 978-884671826-6

CDD 21 - 946Asia Minore – Roma – Storia – VIII sec. a.C.-III sec. d.C. – Congressi – Cividale del Friuli – 2006I. Urso, Gianpaolo II. Fondazione Niccolò Canussio

La presente pubblicazione è stata realizzatacon il sostegno di

Ministero dell’Università e della Ricerca

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

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SOMMARIO

Introduzione di Marta Sordi 7

ROBERTO GUSMANI, Continuità, fratture e processi di osmosi nel panorama linguistico dell’Asia Minore del I millennio a.C. 11

CHRYSANTHE TSITSIOU-CHELIDONI, Kleinasien zwischen Ost und West. Titus Livius’ Bericht über den Kampf zwischen Antiochos dem Grossenund den Römern (192-188 v. Chr.) 23

PAOLO DESIDERI, I Romani visti dall’Asia: riflessioni sulla sezione romanadella Storia di Eraclea di Memnone 45

EMILIO SUÁREZ DE LA TORRE, Tradizione profetica, composizione poetica e identità nazionale: Asia ed Europa negli Oracoli Sibillini giudaici 61

RUURD R. NAUTA, Phrygian eunuchs and Roman uirtus: the cult of the Mater Magna and the Trojan origins of Rome in Virgil’s Aeneid 79

PHILIP HARDIE, Phrygians in Rome / Romans in Phrygia 93

LAURA BOFFO, I centri religiosi d’Asia Minore all’epoca della conquista romana 105

DOMITILLA CAMPANILE, L’assemblea provinciale d’Asia in età repubblicana 129

MARTA SORDI, Paolo e le città d’Asia 141

ALFREDO VALVO, Origine e provenienza delle gentes italiche nella provincia di Galazia in età giulio-claudia 151

HELMUT HALFMANN, Italische Ursprünge bei Rittern und Senatoren aus Kleinasien 165

WERNER ECK, Die politisch-administrative Struktur der kleinasiatischen Provinzen während der hohen Kaiserzeit 189

ALAIN BRESSON, Les Cariens ou la mauvaise conscience du barbare 209

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MAURICE SARTRE, Romanisation en Asie Mineure ? 229

MUSTAFA H. SAYAR, Historical development of urbanization in Cilicia in Hellenistic and Roman periods 247

CONSUELO RUIZ-MONTERO, L’Asia Minore nel romanzo greco 259

FRANK KOLB, Akkulturation in der lykischen ‘Provinz’ unter römischer Herrschaft 271

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1 Non è stato purtroppo possibile pubblicare qui la relazione di Andrea Giardina (Oriente eOccidente nell’opera di Santo Mazzarino) [N.d.C.].

INTRODUZIONE

MARTA SORDI

L’Asia Minore di cui questo convegno si è occupato è soprattutto quelladi età romana: non è possibile però affrontare il problema della convivenzatra popoli e civiltà che si attua in questa regione nell’antichità, senza tenerconto di ciò che l’Asia Minore aveva rappresentato all’alba del primo mil-lennio e poi in età greca. Per questo la relazione Gusmani costituisce unquadro obbligato per la percezione di una molteplicità di popoli e di unaconvivenza fra indigeni e conquistatori di volta in volta diversi, che si rinno-va nei secoli.

Il rapporto fra un Oriente così complesso sul piano etnico, linguistico edi civiltà, ed un Occidente che non sempre ne percepisce con precisione ifenomeni, è stato studiato a più riprese, nella sua vasta produzione in unaprospettiva di contatti, da Santo Mazzarino (relazione Giardina)1. I Romanientrano invece in rapporto con questo Oriente in modo conflittuale nellaprima guerra siriaca contro Antioco III, che Livio legge, sulla linea di Ero-doto, come già i Greci nelle guerre persiane, come uno scontro di civiltà fraEuropa e Asia, come uno scontro non solo militare e politico, ma anche cul-turale, morale e religioso (Tsitsiou-Chelidoni). Su questo scontro si è cercatodi cogliere il punto di vista asiatico nella storia di Eraclea di Memnone, dicui si è esaminato la cronologia e le fonti (Desideri), e negli oracoli sibillini,soprattutto nel terzo di origine giudaica (Suárez de la Torre), e il punto divista romano nella contrapposizione della virtus alla mollezza degli eunuchifrigi, sacerdoti della Magna Mater, che coesiste però con la rivendicazionedell’origine troiana dei Romani, affermata da Virgilio, da Catullo, da Ovidio(Nauta) e con la contrapposizione anche geografica della piccola Frigia, cor-rispondente alla Troade, alla grande Frigia, simbolo di un Oriente estraneoe barbarico (Hardie).

La conquista romana si manifesta non solo come occupazione militare,ma anche come insediamento, attraverso la colonizzazione, di nuovi abitanti.In questo passaggio si può cogliere la continuità dei centri religiosi indigeni

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8 Marta Sordi

sotto il controllo seleucidico, quello attalide e quello romano (Boffo); suquesta religiosità si innesta l’organizzazione del koinón d’Asia, sviluppatosi,dopo le guerre mitridatiche, dal precedente synedrion, con funzione di me-diazione fra le città e l’autorità provinciale romana, e che dà inizio, a Nicea ead Efeso con il culto di Cesare e Roma, a Nicomedia e a Pergamo col cultodi Augusto e Roma, al culto imperiale (Campanile).

In questo mondo pagano estremamente articolato e caratterizzato da unaforte presenza giudaica, si inserisce la predicazione cristiana di Paolo, che,seguita più tardi da quella di Giovanni, dà origine in Asia ad un cristianesi-mo molto fiorente dal punto di vista religioso e culturale, che giunge con lagrande tradizione patristica – che è rimasta purtroppo al di fuori della nostraanalisi – fino al tardo antico e alla conquista musulmana (Sordi). Della colo-nizzazione romana, soprattutto militare, Valvo ha studiato la provenienzaitalica, cercando di identificare, attraverso l’epigrafia legionaria, le regioni diorigine dei soldati, e rivelando nel conubium lo strumento essenziale dell’in-tegrazione; Halfmann ha studiato l’ascesa sociale dei Romani residenti nellecolonie e nelle poleis greche sino al rango senatorio ed equestre: un’ascesache vede nelle regioni dell’Asia Minore interna (Pisidia, Panfilia, Galazia)– e questo ha aperto una problematica interessante – una netta prevalenza.Le strutture politiche e amministrative date da Roma all’Asia Minore, conl’istituzione in età imperiale di nuove provincie e con l’allargamento di quel-le esistenti, è stata studiata dallo Eck.

La presenza di romani in Asia portò ad una romanizzazione? Il proble-ma, che si pone anche per l’ellenizzazione precedente alla conquista roma-na, è stato affrontato dal Bresson per la Caria, rappresentata da Vitruvio conl’immagine della fonte Salmakis e la dolcezza della sua acqua, con cui laCaria barbara si trasforma nella Caria civilizzata, ed è stato riproposto dalSartre per la romanizzazione: l’Asia Minore resta linguisticamente e cultu-ralmente ellenofona, ma recepisce sul piano urbanistico e tecnico le novitàromane (come risulta per la Cilicia anche dalla relazione Sayar, soprattuttonel III secolo d.C.) ed è politicamente romana; questa duplice caratterizza-zione, greca sul piano linguistico e culturale, romana sul piano urbanistico epolitico, emerge anche dallo studio del romanzo, che vede la sua nascita inAsia Minore, nella tradizione della novellistica ionica e nell’ambito dellaseconda sofistica (Ruiz-Montero), e dalla situazione della Licia (Kolb), il cuilealismo politico coesiste con il mantenimento delle tradizioni greche.

Il convegno si è svolto come sempre in un clima amichevole ed è statocaratterizzato, come è ormai nelle nostre consuetudini, da una feconda eserena discussione. Sono sorte problematiche nuove e interessanti, chepotranno forse essere risolte solo con la scoperta di nuovi dati, ma che giàora, per il fatto stesso di essere state suscitate, meritano un ripensamento:

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Introduzione 9

come la scelta romana di colonizzare l’Asia Minore interna, abitata dagli in-digeni e ricca di lana e di cereali. piuttosto che la costa, popolata da secolidai Greci e frequentata dal loro commercio.

Il lavoro è stato facilitato dall’ottima organizzazione e dalla generosaospitalità, di cui ringrazio a nome di tutti la nostra Presidente, signora CarlaCanussio, e la sua famiglia.

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1 In realtà Sturtevant considerava le lingue anatoliche non come un ramo dell’indoeuropeo, bensìcome lingue sorelle di quest’ultimo, diventate autonome per differenziazione da un ipotetico “Proto-Indo-Hittite”.

2 Lo stato di avanzamento della decifrazione di queste due lingue consiglia una formulazione an-cora prudente, anche se alcune peculiarità morfologiche sufficientemente assodate (per es. in cario ledesinenze –s per il nominativo e –n per l’accusativo) fanno senza dubbio pensare all’indoeuropeo. Chel’antroponomastica indigena della Caria e di Side sia, come da tempo appurato, ‘anatolica’ è poco si-gnificativo ai fini di una classificazione genealogica.

CONTINUITÀ, FRATTURE E PROCESSI DI OSMOSI NEL PANORAMA LINGUISTICO DELL’ASIA MINORE

DEL I MILLENNIO A.C.

ROBERTO GUSMANI

Nei limiti molto ristretti del tempo concesso per questa comunicazione sicercherà di dare un’idea dei complessi rapporti intercorsi tra il greco e alcu-ne lingue indoeuropee dell’Asia Minore nella fase precedente l’ellenizzazionedi quest’area. Dette lingue vengono oggi comunemente designate come ‘ana-toliche’ secondo una terminologia introdotta da E.H. Sturtevant nella secon-da edizione della Comparative Grammar of the Hittite Language (New Haven1951)1, mentre la denominazione di ‘microasiatico’ (ted. kleinasiatisch) è sta-ta in passato utilizzata in modo ambiguo, ora con generico riferimento allalocalizzazione geografica (p. es. da J. Friedrich che nei suoi KleinasiatischeSprachdenkmäler, Berlin 1932, raccoglie documenti delle lingue più varie,purché presenti sulla penisola), ora piuttosto con valenza etnica (così P.Kretschmer, che sotto l’etichetta kleinasiatisch ipotizzava un “Volkstum suigeneris”, né indoeuropeo né semitico, costituente l’originario sostrato affio-rante attraverso alcuni tratti linguistici). A differenza di Sturtevant, però, siintende oggi con ‘anatolico’ uno dei rami della famiglia indoeuropea (al paridel latino, dei dialetti greci, del gruppo germanico ecc.), anche se l’idea diun suo precoce distacco dall’originaria lingua madre (peraltro senza le com-plesse implicazioni ricostruttive care allo studioso americano) riaffiora ditanto in tanto e sembrerebbe venir suffragata da qualche indizio non privodi consistenza.

Al ramo anatolico appartengono l’ittito, il luvio (noto sia in cuneiformesia in geroglifico) e il palaico, tutti con documentazione nel II millennio a.C. (il luvio geroglifico anche nel I); inoltre il licio, il cosiddetto milìaco (o li-cio B), il lidio, probabilmente il sidetico e il cario2, forse il pisidico, questi

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3 All’inizio dell’era volgare risalgono anche i più tardi testi nel dialetto greco di Panfilia, prova diuno spiccato conservatorismo linguistico locale.

ultimi con attestazioni che non risalgono oltre il I millennio a.C. Una posi-zione marginale rispetto al gruppo in questione occupa il frigio, di cui si so-no da tempo evidenziati, oltre alla tardiva provenienza balcanica dei Frigi(fine del II millennio a.C.), alcuni importanti punti di contatto col greco:nonostante la diversa collocazione genetica però, questa lingua ha condivisocon quelle anatoliche molte vicende e rientra quindi a pieno titolo nella tra-ma di rapporti oggetto di questa comunicazione.

* * *

Una prima questione da affrontare è quella dell’estensione temporale deirapporti tra il greco e le lingue sopra indicate, vale a dire della sopravviven-za di queste lingue dopo la conquista di Alessandro. Ora una consistentedocumentazione di lidio, licio e milìaco cessa alla fine del IV sec. a.C., conattestazioni scarsissime (dal punto di vista qualitativo oltre che quantitativo)in quello successivo; e poco più avanti in età ellenistica arriva l’epigrafia ca-ria. Nella zona sud-orientale della penisola si hanno sopravvivenze più tar-de: il sidetico è documentato ancora nel II sec. a.C. e addirittura d’età impe-riale sono le poche iscrizioni pisidiche, che peraltro sembrano contenereesclusivamente nomi propri, di tradizione senza dubbio indigena ma in cuil’idioma epicorico affiora solo in alcune terminazioni3.

Più complessa è la situazione del frigio, sulla cui vitalità in età tardo-anti-ca si sono manifestate opinioni differenti. A favore dell’ipotesi di una conti-nuità linguistica sembrano militare le numerose iscrizioni sepolcrali del II eIII sec. d.C. provenienti da un’area ristretta della Frigia classica e della Li-caonia, che contengono – accanto al vero e proprio testo informativo in gre-co – una formula di maledizione contro i violatori della tomba in lingua fri-gia, nonché alcune notizie (generiche peraltro) fornite dalla letteratura patri-stica, stando alle quali, per esempio, il vescovo ariano della Galazia, Selinas,di padre goto e madre frigia, ancora nel V sec. d.C. avrebbe predicato in en-trambe le lingue. Ora la capacità di esprimersi in più lingue è un topos abba-stanza frequente nelle ‘vite’ encomiastiche di personaggi religiosi e basteràricordare che già negli Atti degli Apostoli (14.11) si dice, in occasione dellapredicazione di Paolo in Licaonia, che egli parlò alla folla “in licaonico”senza che si possa stabilire con precisione di quale lingua si trattasse. Quan-to alle formule di maledizione, la loro diffusione sarà certo da mettersi in re-lazione con una ripresa di usi sepolcrali locali, ma il modo meccanico concui vengono ripetute, con evidenti errori di copiatura, la scriptio continua ela circostanza che occasionalmente la formula non è accompagnata dal testo

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4 C. Brixhe invece non crede che il frigio fosse stato relegato all’uso cimiteriale e menziona al ri-guardo alcuni esempi di testi non sepolcrali (in realtà di assai dubbia interpretazione). Dal fatto chegreco e frigio nei testi d’età volgare siano stati scritti dalla stessa mano e che in un caso ad una protasiin greco segua l’apodosi (in realtà una formula stereotipa!) in frigio, è comunque azzardato dedurreuna competenza bilingue dell’autore.

informativo in greco – indizio di mancata utilizzazione di un supporto giàpredisposto – fanno piuttosto pensare ad un testo stereotipo del cui conte-nuto si poteva anche non avere precisa nozione4.

In effetti la produzione epigrafica frigia s’interrompe, dopo una notevolefioritura soprattutto tra l’VIII e il VI sec., alla fine del IV sec. a.C.: a que-st’ultima fase appartiene l’ampia iscrizione trovata a Dokimeion, scritta giàin alfabeto greco e contenente onomastica ormai greca (il promotore dell’i-scrizione si chiama NikÒstratoj, il dedicatario KleÚmacoj) ed è significativoche la stele della figlia dello stesso NikÒstratoj, Mat∂j, sia non solo in gra-fia, ma pure in lingua greca. La grecizzazione delle popolazioni frige – in-dubbiamente favorita dalla relativa affinità tra le due lingue, strettamenteimparentate dal punto di vista genetico – deve dunque esser stata precoce erapida, tanto che nel nomos di Timotheos, risalente agli anni a cavallo tra ilV e il IV sec. a.C., viene presentato un Frigio che riferisce sulla battaglia diSalamina in un greco zoppicante, cosparso di barbarismi, evidente allusionead una peculiarità linguistica nota all’ambiente greco e pienamente com-prensibile come effetto dell’interferenza tra lingue simili in contatto. Appareallora poco verisimile l’ipotesi di un bilinguismo durato secoli, addiritturaquasi un millennio, che dovrebbe presupporre la sopravvivenza di nucleimonolingui, in grado cioè di parlare solo frigio: è invece più realistico pen-sare alla persistenza di un greco ‘frigizzato’, dunque con più o meno rilevan-ti affioramenti dell’antico sostrato, come succede in analoghe situazioni dicontatto.

* * *

Se ora consideriamo il quadro generale dell’ellenizzazione della penisola,sembra perciò di dover concludere, sulla base della documentazione epigra-fica, che la coesistenza tra le lingue indigene e il greco si sia risolta in tempipiuttosto rapidi in un radicale cambio di lingua. Certo si potrà obiettare cheil dato della documentazione scritta non necessariamente rispecchia l’usoorale e che, a fronte della generale diffusione del greco come lingua di cul-tura, come Verkehrssprache e come strumento di redazione degli atti ufficialied amministrativi, potevano sussistere situazioni di diglossia, cioè di bilin-guismo socialmente regolato, per cui nel contesto familiare si sarebbe potutamantenere – anche se in posizione marginale – la lingua locale, pur non ri-manendone traccia documentale.

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5 Nella Bibbia (Esther 1, 21) si menziona – a proposito di un episodio della vita di corte che Serseaveva voluto rendere noto a tutti i sudditi – la prassi del re persiano di scrivere lettere a tutte le provin-cie dell’impero, “a ciascuna provincia secondo il proprio modo di scrivere e a ciascun popolo secondola sua lingua”.

6 Basterà accennare all’epitafio bilingue lidio-aramaico, che è servito da punto di avvio per la deci-frazione del lidio, e alla trilingue del Letoon, ove l’aramaico è usato come lingua ‘di stato’ da parte delsatrapo che si fa garante degli accordi, espressi in licio e greco, riguardanti l’introduzione di un culto.

7 Si tratta di un personaggio menzionato come `Rws£khj in Diodoro e come `Rois£khj in Plutar-co, che governò Lidia e Ionia attorno alla metà del IV sec.

8 Si badi che le citazioni di parole lidie (talora piuttosto frigie) in Ipponatte sono riconducibili aduna precisa scelta stilistica, finalizzata spesso ad effetti comici, e non sono certo da considerarsi prestitidi necessità.

Comunque l’impatto del greco sul variegato panorama linguistico dell’A-sia Minore preellenistica ha creato una situazione del tutto nuova, ben di-versa da quella determinatasi a seguito della conquista da parte della Persiaattorno alla metà del VI sec. a.C. È noto che la politica linguistica dell’impe-ro persiano è stata assai liberale nei confronti delle popolazioni assoggettateed ispirata ad un modello di convivenza plurilingue5, mentre nella funzionedi Verkehrssprache si è favorita la diffusione dell’aramaico6. Ora è significati-vo che, mentre in Frigia la tradizione in lingua epicorica era già diffusa suun’area assai ampia tra l’VIII e il VI sec. a.C. e il cario risulta ben documen-tato – sia sporadicamente a Sardi sia soprattutto in Egitto, per la presenzadei mercenari chiamati da Psammetico – fin dal VII e VI sec., altre linguelocali (in particolare licio e lidio) conoscono una consistente diffusione solosotto il dominio persiano, nel V e IV sec. A tal proposito merita di esser ri-cordato che a Sardi (IV sec.) un personaggio come Mitridastas, figlio di Mi-tratas, dunque di stirpe chiaramente iranica, stipula in lidio un contratto dinatura economica col tempio di Artemis e che pure un satrapo di nome Ra-sakas7 viene menzionato in un ruolo attivo (seppur non chiaro) in un testolidio coevo recentemente scoperto a sud di Sardi nella valle del Kaystros.Frequente è anche la menzione di Irani in testi lici e speciale significato hala monetazione col nome del satrapo della Ionia Tissaferne in versione licia(Cizzaprñna, Zisaprñna).

Riprendendo il discorso della sovrapposizione del greco alle parlate loca-li, va aggiunto che la natura stessa dei fenomeni d’interferenza rilevabili fapensare ad una sostituzione di lingua più che ad una prolungata diglossia.In effetti, prestiti nel greco locale d’età ellenistico-romana, quali doàmoj“confraternita religiosa” in Frigia e Lidia, b◊nnoj “congregazione di fedeli”,kaÚeij “sacerdotessa” (lidio kaveÊ) a Sardi (II sec. d.C., ma già in Ipponat-te!), m∂ndij “autorità preposta alla salvaguardia dei sepolcri” (licio miñti) o ilgià omerico (come antroponimo) e ipponatteo (appellativo) p£lmuj “re”,dal lidio qalmluÊ8, restano casi piuttosto isolati e rientrano comunque nella

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fattispecie, non particolarmente significativa, della terminologia tecnica, nondi rado legata a realtà locali. Assai modesta è pure la presenza di grecisminelle lingue epicoriche: sttala o trijere (< st£la, triˇrhj) in licio, ÊatrabaÊ(iranismo, ma di probabile mediazione greca) in lidio e così via. Assai piùproblematica l’individuazione di interferenze fonologiche e morfologiche.Grafie come q◊knoij e kat◊sqhsen, frequenti nel greco di Frigia e zone con-termini, sono interpretabili come ipercorrettismi dovuti all’assenza di tenuiaspirate in frigio, mentre la mancata distinzione tra maschile e femminilenelle lingue anatoliche motiva con ogni verisimiglianza la confusione nellaterminazione degli antroponimi dei due generi (il cui nominativo può usciretanto in –aj quanto in –a) nel greco asianico. Possibili, ma ovviamente me-no riconoscibili, i casi di calco del tipo di kakÕn prospoie√n secondo il frigiokakun addaket.

Com’è esperienza comune nei contatti interlinguistici, quanto più due lin-gue sono simili, tanto più frequenti le interferenze, mentre nel caso di idiomimolto diversi il cambio di lingua sarà più radicale e le sovrapposizioni più ra-re. E come le parlate neolatine della Toscana (ove il sostrato era etrusco, to-talmente diverso) sono molto più vicine al latino di quelle dell’Italia centro-meridionale, il cui sostrato osco aveva forti affinità con la loro madrelingua,così è immaginabile che il greco di Frigia (impostosi su una lingua caratteriz-zata da forti affinità) abbia avuto peculiarità più spiccate e dialettalmenteconnotate rispetto a quello di regioni come la Lidia, la Caria e la Licia, il cuisostrato poco aveva in comune con la lingua adottata. Questo dà conto, tral’altro, di interferenze sintattiche in frigio come ta mankai con l’articolo gre-co per il dimostrativo sa del frigio, ovvero di sintagmi ibridi quali il relativogeneralizzante os ke, os an, tis ke per la genuina forma frigia ios ke.

* * *

Diamo ora uno sguardo sommario a come si configura, in alcune aree, ilrapporto tra greco e lingua locale nella fase cruciale precedente l’ellenizza-zione. In Lidia la documentazione in greco prima di Alessandro è assai limi-tata, anche se è significativo che sia redatta in greco la dedica, datata con ri-ferimento ad Artaserse (I o II?), di una statua di Zeus da parte di un altofunzionario persiano, di nome Droaphernes. Le bilingui, con la lingua localesignificativamente in prima posizione rispetto al greco, sono solo due, dellequali una (del III sec. a.C.?) proveniente da Pergamo, circostanza che dà fa-cilmente ragione della doppia versione. Più indicativa è invece la bilingue diNannas (da Sardi, seconda metà del IV sec.), il cui nome presenta una gemi-nata probabilmente influenzata dalla trascrizione greca, mentre il nome delpadre (BakivaÊ), pure tipico dell’onomastica indigena, nella versione grecaappare radicalmente ellenizzato (a posteriori, dal figlio?) come DionusiklÁj.

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16 Roberto Gusmani

9 Si è già accennato alle copiose testimonianze del cario su suolo egiziano, in connessione con lapresenza di mercenari carii in quell’area nel corso del VII e VI sec. a.C. Testimonianze coeve del carioprovengono (peraltro in quantità molto più modesta) da Sardi, mentre ad Atene è stata rinvenuta unabilingue della seconda metà del VI sec. a.C., con una riga caria inserita in un testo greco.

A partire dalla stele di Matis (III sec.), anche stilisticamente conforme a mo-delli attici, inizia una tradizione scrittoria esclusivamente greca.

Il prestigio del lidio traspare comunque attraverso alcuni possibili influssidi ‘forma interna’ sul greco della grande stele di Mnesimachos (probabil-mente copia del II sec. a.C. di un originale della fine del IV sec., visto che viè menzionato Antigono), che riguarda un’ipoteca a favore del tempio di Ar-temis a Sardi ed è stata rinvenuta presso il locale del tesoro: luogo di rinve-nimento e verisimilmente anche tipologia della transazione trovano puntua-le riscontro nelle due ‘dichiarazioni’ in lidio del già ricordato sacerdote ira-nico Mitridastas, figlio di Mitratas; la formulazione delle clausole contrat-tuali presenta in alcuni punti delle analogie evidenti e ci sono altresì sospetticalchi come newpo∂hj “funzionario del tempio”, che ricorda da vicino il li-dio serlis srmlis “autorità del tempio”, e o≈koj “tenuta” che dal lidio bira-“casa” ha assunto anche quel valore tecnico.

Nel caso del frigio le evidenti affinità col greco – già richiamate da Plato-ne nel Cratilo (ove si segnala che molte parole frige differiscono poco daicorrispondenti greci) e confermate in sede storico-comparativa grazie a si-gnificative innovazioni in comune (quali il pronome relativo *jo- e l’aumentotemporale) – rendono difficile distinguere le convergenze dovute ai contattisecondari di epoca storica dalle comunanze riconducibili ad una stretta pa-rentela genetica: in effetti molte coincidenze nel lessico (cf. frigio autos,kakon, onoma e soprattutto vanaktei e lavagtaei nella titolatura dell’iscrizio-ne rupestre di Mida, che richiamano ¥nax e lag◊taj, miceneo wa-na-ka era-wa-ke-ta) saranno da considerarsi verisimilmente eredità comune, chesenza dubbio avrà contribuito a facilitare il processo di ellenizzazione.

In Caria la progressiva diffusione del greco parte dalle città costiere ed èindicativo che Alicarnasso, presto ionizzata per influsso di Mileto, non ab-bia fornito alcun testo cario, mentre da Iasos provengono solo modesti ri-trovamenti di epoca antica (il più importante è un graffito su cratere atticodell’ultimo quarto del VI sec. a.C.). Con l’avvento della dinastia locale degliHekatomnidi nel IV sec. il greco si afferma come lingua dell’amministrazio-ne e l’uso del cario resta circoscritto a località dell’interno e ai marginiorientali del territorio (Kaunos), forse nel contesto di una reazione naziona-listica che ha portato alla ripresa della tradizione scrittoria locale, peraltropoco documentata in epoca antica sul suolo della madrepatria9.

Alcune bilingui greco-carie – oggi in parte meglio valutabili sulla scorta di

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10 Nel caso della dedica ad Artemide di un certo Dhmokle∂dhj di Limyra il greco sta invece in pri-

recenti ritrovamenti e fortunati joins – meritano di essere richiamate perchégettano nuova luce sulle diverse modalità di convivenza delle due lingue. Vamenzionato innanzitutto il decreto del santuario di Sinuri, presso Milas,emesso dai sovrani Ada e Idrieus e di conseguenza databile al breve periododi reggenza congiunta (351-344), in cui significativamente il greco precede laversione caria, indizio di maggior prestigio del primo e di una prassi ammini-strativa ormai consolidata. Invece nella bilingue di Kaunos – un decreto diprossenia databile alla seconda metà del IV sec. che grazie alle corrisponden-ze onomastiche ha consentito la verifica della decifrazione – la versione grecaviene dopo il testo cario (evidentemente quello ufficiale) ed è motivata dallacircostanza che il provvedimento veniva emesso in onore di due Ateniesi. Ariprova della reciproca autonomia delle due versioni si constata che ai termi-ni tecnici prÒxenoj, dhmioàrgoj ed eÙerg◊thj non fanno riscontro dei prestitiin cario, così come il testo greco non sembra rivelare interferenze di sorta.

Poche sono invece le indicazioni ricavabili dalla bilingue di Hyllarimapresso Stratonicea, un monumento particolarmente complesso perché costi-tuito da testi diversi di mani differenti e di epoca varia, comunque relativa-mente tarda: le sezioni meglio confrontabili sono liste di nomi personali cheattestano la persistenza della tradizione onomastica locale nella versione ca-ria e all’incontro la sua progressiva sostituzione con l’antroponomastica gre-ca nell’altra versione.

Quanto al bilinguismo in Licia, esso va inquadrato in una rete di relazionistoriche particolarmente complesse. Già in Omero i Lici hanno un ruoloimportante come alleati dei Troiani e gli episodi di Glauco e Sarpedone do-cumentano rapporti e contatti culturali molto antichi. Anche la produzioneartistica locale del V-IV sec. – come il cosiddetto Monumento delle Arpie oil fregio del Monumento delle Nereidi a Xanthos o l’heroon di Limyra – di-mostra l’influenza che l’arte greca aveva già prima dell’ellenismo presso l’a-ristocrazia locale, che per le opere d’intento celebrativo tendeva a predilige-re modelli di sicuro prestigio. Di orientamento ellenizzante pare del resto ladinastia indigena che, dopo la conquista ad opera del generale persianoHarpagos e probabilmente fino alla ribellione dei satrapi nella prima metàdel IV sec., resse con una certa autonomia politica la Licia (o meglio la valla-ta dello Xanthos), e d’altro canto è significativo che dopo la battaglia del-l’Eurimedonte la Licia figuri più volte nella lista ateniese dei tributi e chel’influsso di Atene continui almeno fino alla sfortunata spedizione di Mele-sandro contro i Lici (430-429 a.C.).

Le iscrizioni bilingui, col licio per lo più in prima posizione e il greco inevidente funzione subordinata10, sono piuttosto numerose e comprendono

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ma posizione: del resto il nome, approssimativamente adattato nella versione licia (Ntemuxlida), è chia-ro indizio dell’identità etnico-linguistica del dedicante.

11 Il testo greco meglio conservato è un poema di 17 versi di Symmachos di Pellana celebrante ifasti di Arbina; i due testi lici sono solo parzialmente conservati, ma quanto resta ed è interpretabileconsente di escludere che si tratti di versioni dei corrispondenti greci.

una decina di epitafi, alcune dediche, due testi di carattere cultuale, una di-sposizione fiscale. Di particolare interesse sono però altri casi in cui le duelingue convivono senza un reale rapporto di subordinazione. Così nel gran-de documento storico degli inizi del IV sec., iscritto sulle quattro facce delpilastro rinvenuto nell’agorà di Xanthos, l’epigramma greco, inserito tra lasezione licia e quella milìaca, ha una sua indubbia autonomia formale e con-tenutistica, pur richiamando un episodio collegato con gli avvenimenti de-scritti nelle parti in lingua epicorica. Anche le iscrizioni greco-licie su duebasi di statue provenienti dal Letôon ed erette dal sovrano Arbina (in licioErbbina, V-IV sec.) si segnalano per la veste metrica del greco e perché tra ledue versioni non pare intercorrere un vero rapporto di bilinguismo: unadelle due basi ha su una faccia una breve iscrizione dedicatoria ad Artemisin licio e sull’altra i resti di otto versi greci di un non meglio identificatopaidotr∂baj; l’altra base, più ampia, presenta due facce scritte in licio e duein greco, quattro testi che, pur avendo in comune il carattere celebrativo epur riguardando lo stesso sovrano, sembrano del tutto indipendenti l’unodall’altro11.

Con l’assoggettamento della Licia prima alla dinastia caria all’epoca diMaussolos e poi al governo del satrapo Pixodaros, pure con sede in Caria, siconstata un’accentuazione del ruolo del greco come lingua amministrativa,seppur sempre accanto al licio. Questa fase è ben documentata dalla trilin-gue del Letôon (verisimilmente del 337 a.C., inizio del regno di ArtaserseIV), un documento che rievoca la fondazione di un culto pubblico: i testi inlicio e greco, privi di una precisa formula di datazione, sono la cronaca degliavvenimenti e degli accordi ufficiali sottesi alla decisione di instaurare il cul-to di due divinità locali, ma non costituiscono la redazione ufficiale della de-libera che viene invece presupposta; nel testo aramaico, assai più stringatoma contenente la datazione in quanto si tratta di atto ufficiale, il satrapoPixodaros s’impegna ad intervenire, ove necessario, a sostegno degli accordiliberamente presi dalle parti in causa. La stesura trilingue risponde proba-bilmente ad una precisa volontà del satrapo, in linea con le consuetudinipersiane in materia linguistica.

Puntuali corrispondenze si possono dunque ricercare solo tra le sezionilicia e greca di quest’epigrafe. Ora è facile constatare che la versione grecadipende da quella in lingua epicorica, di cui è nella parte iniziale una tradu-zione abbastanza pedissequa (soprattutto per quanto concerne la sintassi),

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mentre nella seconda parte presenta una maggiore autonomia e una sempli-ficazione del contenuto. Interferenze del licio sul greco della trilingue sonoper esempio l’uso di dˇ in funzione coordinante nella frase iniziale (= liciome), l’estensione della paratassi con l’anomala ripetizione di ka∂, il valore difuturo di d∂dotai ... tr∂a hm∂mnaia modellato su quello di pibiti, lo scarsouso dell’articolo (che manca in licio), il nome per il satrapo, xadr£phj (soloqui!), risalente al licio xssadrapa. Invece un caso di calco greco nella versio-ne licia è verisimilmente cumehi- “sacro > vittima sacrificale > pecora” cheriprende la polisemia di ≤ere√on. Come già rilevato a proposito del lessicotecnico della stele cario-greca di Kaunos, non si riscontra alcuna connessio-ne formale tra la terminologia amministrativa licia rappresentata da pddê-nehmmi, asaxlaza, epewêtlmmêi – designanti rispettivamente dei sovrinten-denti regionali, il governatore di Xanthos e gli abitanti del relativo contado– e le traduzioni greche (¥rcontej, œpimelhtˇj, per∂oikoi), che per la lorogenericità semantica fanno pensare a corrispondenze approssimative,nient’affatto istituzionalizzate.

Insomma, dalla circostanza che tra i più antichi documenti greci in Liciavi sono testi poetici relativamente autonomi rispetto a quelli lici incisi suimedesimi supporti e che, se si vuole ricavare una gerarchia tra i due idiomidalle iscrizioni bilingui, non è certo al licio che si può attribuire una posizio-ne subordinata, sembra doversi dedurre che il successivo trionfo del grecosulla lingua locale non è stato lo sbocco naturale di una prolungata situazio-ne diglottica caratterizzata da una supremazia del greco.

* * *

Anche se l’argomento esula dal discorso fin qui sviluppato e si colloca adun livello cronologico ben diverso da quello del tema del convegno, nonsembra incongruo accennare, in conclusione, alle nuove prospettive che re-centi scoperte aprono a proposito dell’acquisizione dell’alfabeto da partedei Greci e delle popolazioni dell’Asia Minore. In effetti la trasmissione diun sistema di scrittura è un aspetto dell’acculturazione e costituisce un mo-mento di fondamentale importanza nei contatti interetnici, con inevitabili ri-cadute anche sul piano linguistico. Pertanto la fase dell’alfabetizzazione puòessere considerata come la prima tappa di quelle interrelazioni tra greco elingue della penisola anatolica di cui abbiamo cercato di illuminare lo sboc-co conclusivo.

In passato non si avevano in generale dubbi sul fatto che un alfabeto gre-co avesse svolto il ruolo d’intermediario tra il modello fenicio e i diversi si-stemi grafici utilizzati per scrivere le lingue epicoriche del I millennio a.C.L’eventualità di un adattamento indipendente del modello mal si concilia in-fatti con le evidenti coincidenze strutturali, funzionali e formali, soprattutto

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12 Riflessi soltanto locali ha invece l’introduzione del sampi nel greco d’Asia, che rappresenta unadattamento del segno a freccia, che in lidio e frigio (e forse anche in cario) indicava una fricativa, pro-babilmente alveolare.

13 Come ha ben visto Brixhe, anche la doppia continuazione di yôd in frigio, ove la differenza vie-ne funzionalizzata per distinguere la vocale (I = /i/) dall’approssimante (∫ = /j/), depone contro la dot-trina tradizionale. In greco la distinzione non era fonologica e perciò, dopo un’iniziale distribuzione su

a proposito di fondamentali innovazioni quali la creazione di segni vocalici,che con grande originalità trae spunto dall’uso semitico delle matres lectio-nis, e lo sdoppiamento del wâw in due segni per /u/ e /w/. Ma riconoscerela non casualità di questi sviluppi convergenti non significa dimenticare chein ogni sistema alfabetico sviluppatosi, direttamente o indirettamente, daquello semitico ci sono state innovazioni – consistenti nella reinterpretazio-ne di segni del modello o nel prestito da altri sistemi grafici o anche in crea-zioni autonome – necessarie per adeguare lo strumento a sistemi fonologiciassai differenti da quello per cui era stato originariamente creato. E come inarea greca si ricicla l’antico segno per hêt onde rappresentare la nuova /e:/da /a:/, s’introduce l’omega, forse ripreso da uno degli alfabeti in uso in Ca-ria (ove ha un valore non ancora determinato), e s’inseriscono alla fine del-l’ordine alfabetico semitico i segni Y, C, pure di probabile ascendenza mi-croasiatica, ma utilizzati con valori discordanti anche all’interno della tradi-zione scrittoria greca12, analoghi fenomeni si riscontrano anche nei sistemidelle lingue dell’Asia Minore (ove per esempio samekh e zajin vengono ri-presi in funzioni assai differenti) senza che questo abbia mai rappresentatoun ostacolo all’ipotesi di un’intermediazione greca. Tuttavia, alla luce di al-cune recenti acquisizioni, questa ipotesi non sembra più così pacifica comein passato.

Intanto C. Brixhe ha tratto importanti indicazioni sull’epoca dell’adozio-ne dell’alfabeto frigio dalle risultanze del test del carbonio 14 sul materialeproveniente dal livello della distruzione di Gordion e dell’analisi dendrocro-nologica delle travi del Gran Tumulo della stessa località, che hanno consen-tito di retrodatare quell’evento catastrofico all’ 830-800 a.C. e al 740 circa lacostruzione del tumulo. Ne consegue che i frammenti frigi provenienti dalGran Tumulo sono in sostanza contemporanei delle più antiche iscrizionigreche (coppa di Nestore e oinochoe del Dipylon), mentre tre graffiti (mar-che di proprietà?), sempre in grafia frigia, trovati in strati immediatamentesuccessivi a quello della distruzione, ci riportano agli inizi dell’VIII sec. a.C.,dunque ad un livello cronologico superiore a quello della documentazionegreca. Giustamente Brixhe sottolinea tuttavia che queste nuove datazioninon impongono di abbandonare senz’altro l’idea tradizionale di una dipen-denza dal greco dell’alfabeto frigio, anche se quest’ipotesi non ne viene cer-to confermata13. D’altro canto ci sono indizi che lasciano intravvedere la

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base geografica (ma con identico valore) dei due segni, si ha l’eliminazione di uno dei due, circostanzache si spiega meglio se i due percorsi sono stati autonomi ovvero se è stato il greco a prendere la cop-pia di segni dal frigio e non viceversa.

possibilità di contatti diretti tra i Frigi e il mondo semitico, come la menzio-ne nelle fonti assire della fine dell’VIII sec. a.C. di Mida (Mita di Muski) e lerelazioni (piuttosto concorrenziali) tra Assur e la Frigia nell’Anatolia sud-orientale. Alla stessa epoca risalgono le due (o tre?) iscrizioni frige su pietralavorata, certamente di carattere pubblico, trovate a Tyana in Cappadocia,sicché non è avventato pensare che proprio in quest’area di contatti intensicol mondo semitico sia avvenuta, alcuni decenni prima, l’adozione dell’alfa-beto. Peraltro il fatto che il greco abbia adottato il theta, assente in frigio inquanto vi mancava un corrispondente fonema, depone (insieme ad altri fat-ti) contro l’eventualità di una mediazione frigia tra fenicio e greco: sembrainsomma preferibile ripiegare sull’ipotesi di una derivazione relativamenteautonoma, pur con alcune interrelazioni nella fase dell’adozione.

A conclusioni abbastanza simili induce ora anche un’obiettiva considera-zione delle peculiarità del sistema grafico cario, la cui decrittazione è assicu-rata dalle corrispondenze onomastiche della bilingue di Kaunos. Tali pecu-liarità possono infatti spiegarsi – anziché come innovazioni (che tra l’altrosarebbero nella maggioranza dei casi del tutto incongrue) nei confronti diun sistema greco già coerentemente assestato – piuttosto con l’ipotesi diun’adozione parzialmente indipendente da una fonte comune: per limitarciai segni vocalici, basterà ricordare che, perlomeno nel cario di Kaunos, il va-lore di O è /a/, A vale verisimilmente /ä/, mentre /u/ è rappresentato da E.

Dunque anche il processo di acquisizione dell’alfabeto, prima fondamen-tale tappa nelle relazioni tra genti di lingua greca e popolazioni della peniso-la anatolica, che attraverso una fase di osmosi culmineranno secoli più tardinell’ellenizzazione della penisola, si rivela col progredire delle nostre cono-scenze meno lineare di quanto non si potesse in passato sospettare.

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* Mein herzlicher Dank gilt Prof. Dr. Dr. h.c. Michael von Albrecht für seine Anregung mich mitdem Thema zu befassen, Prof. Dr. A. Chaniotis für eine hilfreiche Diskussion über die Kernidee desvorliegenden Aufsatzes, allen Teilnehmern an der Diskussion, die nach dem Vortrag im Rahmen desCanussio-Colloquiums stattgefunden hat, und nicht zuletzt Frau Dr. Helga Köhler, die meinen Textvon vielen stilistischen und inhaltlichen Schwächen befreit hat. Jeder Mangel, der geblieben ist, mussausschließlich mir zur Last gelegt werden.

** Zitiert nach PIANEZZOLA (1969), 49.1 Vgl. jedoch Polyb. XXI 13,3, dem zufolge der Krieg um die Städte Lampsakos, Smyrna und

Alexandreia in der Troas begann. Polybios machte außerdem die Ätoler für den Ausbruch des Kon-fliktes zwischen den Römern und Antiochos III. verantwortlich [siehe Polyb. III 3,3; 6,5; 7,1-3; XVIII39,1-2 und dazu PFEILSCHIFTER (2005), 162 mit Anm. 82, wo er auch auf zahlreiche jüngere einschlägi-ge Studien hinweist].

2 Zur Bedeutung dieses Krieges s. BADIAN (1959), 97; GRAINGER (2002), 2.

KLEINASIEN ZWISCHEN OST UND WEST. TITUS LIVIUS’ BERICHT ÜBER DEN KAMPF ZWISCHEN

ANTIOCHOS DEM GROSSEN UND DEN RÖMERN (192-188 V. CHR.)*

CHRYSANTHE TSITSIOU-CHELIDONI

Sie glauben nicht den Fakten, sie glauben nur sich. Im Notfall müssen die Fakten dran glauben. B. BRECHT, Lob des Zweifels**

Eine der folgenreichsten militärischen Kollisionen in der Antike steht imMittelpunkt meiner Betrachtung, so wie sie Titus Livius, der repräsentativ-ste Historiker der augusteischen Zeit, in seinem Werk Ab urbe condita wie-dergegeben hat. Es handelt sich um den Krieg zwischen Antiochos demGroßen, dem König von Syrien, und den Römern, dem sogenannten (Rö-misch-)Syrischen Krieg, um einen militärischen Konflikt zwischen demOsten und dem Westen, zwischen Asien und Europa, zu dem der Anspruchdes Antiochos auf kleinasiatische Städte und Lysimacheia (in Thrakien) ge-führt haben soll – so jedenfalls gibt uns Livius zu verstehen (Liv. XXXVII35,2)1. An diesem Krieg waren alle wichtigen Mächte des beginnenden 2.Jh. v.Chr. beteiligt, indem sie einem der beiden Hauptgegner beigestandenhaben2.

Mich interessiert hier herauszufinden, welche besonderen Akzente TitusLivius in seinem einschlägigen Bericht gesetzt hat, und wie diese zu inter-pretieren sind, denn gerade die Nuancen seiner Erzählung bieten uns dieGrundlage, auf der wir nachvollziehen können, wie er die Ostpolitik Roms

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24 Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

3 Nach Sueton Claud. 25,3 dürfte das Interesse Roms am Osten ziemlich früh entstanden sein:Kaiser Claudius soll nämlich Ilion, die eigentliche Mutterstadt der Römer, von der ansonsten obligato-rischen Steuerzahlung an Rom für immer frei erklärt haben; er habe vor dieser Entscheidung eine alteauf Griechisch geschriebene Epistel gelesen, die der Senat und das römische Volk an König Seleukosgesandt hätten, in welcher sie ihm ihre amicitia und societas nur unter der Voraussetzung versprochenhätten, dass er das Volk Ilions, ein mit den Römern verwandtes Volk, frei von jeder Unterdrückungließe. Es muss entweder Mitte der 240er Jahre, bevor Seleukos II. die Herrschaft in Kleinasien (nach-dem sein Bruder Antiochos Hierax gegen ihn rebelliert hatte) verloren hat, oder Mitte der 220er Jahregewesen sein, als Seleukos II. und nachher Seleukos III. ihre Lager in Kleinasien hatten zuerst gegenHierax, dann gegen Attalos I. von Pergamon; s. dazu GRAINGER (2002), 11. Zu den ersten militäri-schen Bewegungen Roms im Osten s. GRUEN (2004), 247.

4 Antiochos III. begann im Winter 220-219 gegen das Ptolemäische Reich zu rüsten [s. dazuSCHMITT (1964), 158]. 202 hat er den 5. Syrischen Krieg angefangen, der ins ptolemäische Syrien hin-eingetragen wurde – in der gleichen Zeit ging Philippos gegen die europäischen und kleinasiatischenBesitzungen der Prolemäer vor (so AMELING, in: DNP 10, s.v. Ptolemaios [8], P. V. Epiphanes, 539).Ameling bemerkt noch dazu (a.a.O.): “Nach wechselnden Erfolgen fiel bis 200-199 Koile Syria an An-tiochos, der 199 eben noch am Einmarsch in Äg[ypten] gehindert wurde; ab 197 brach die ptolemäi-sche Herrschaft in Kleinasien zusammen und wurde durch die seleukidische ersetzt, nachdem Philip-pos schon im Frühjahr/Sommer 200 ptolem[äische] Besitzungen in Thrakien erobert hatte (Liv. XXXI16,3).” Im Jahr 201 sollen die Römer eine Gesandtschaft nach Osten geschickt haben, um Ptolemaiosmitzuteilen, dass Hannibal besiegt worden sei, und ihm den Dank der Stadt auszusprechen, dass erwährend des Krieges mit Karthago Rom treu geblieben sei; sie sollten ihn außerdem darum bitten,

im genannten Zeitraum verstanden hat bzw. wie sein Text unser Verständnisfür diese Politik lenkt.

I

Grenzgebiete von großem wirtschaftlichem und daher politischem Inte-resse können nur schwierig, wenn überhaupt, ihre Autonomie und Sicherheitgegen benachbarte Großmächte – zumal wenn diese mit viel Ehrgeiz ausge-stattet sind – behaupten. Kleinasien, das natürliche Grenzland zwischenSchwarzem Meer, Ägäis und Mittelmeer, dem Osten und dem Westen, Asienund Europa, gibt ein lehrreiches Beispiel für diese Sentenz. Dieses Land warnämlich der Zankapfel zwischen den Diadochen Alexanders des Großenund nicht nur zwischen diesen: Die Ursachen des (Römisch-)Syrischen Krie-ges wurzeln im Grunde gerade in jenen Konflikten. Ein kurzer Abriß der Er-eignisse, die zum Krieg geführt haben, wird diese These begründen.

Unsere Erzählung führt in medias res: Bei den Verhandlungen in Lysi-macheia im Jahr 196 forderten die Römer Antiochos auf3, alle StädteKleinasiens, die früher unter der Herrschaft des Königs von Ägypten waren,an Ptolemaios zurückzugeben, bzw. sich aus denjenigen Städten, die frühervon Philipp, dem nunmehr besiegten ehemaligen Gegner der Römer, be-setzt waren, zurückzuziehen (Polyb. XVIII 50,5-6; Liv. XXXIII 39,4-6)4. Sie

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Kleinasien zwischen Ost und West 25

wenn sie gezwungen würden, einen Krieg gegen Philipp zu führen, “an seiner alten Gesinnung gegendas römische Volk festzuhalten.” (Liv. XXXI 2,3-4; in der Übersetzung von H.J. HILLEN). GRAINGER

(2002), 24 identifiziert diese Gesandtschaft mit jener, von der Polybios in XVI 27,5 spricht und die füreine freundliche Gesinnung zwischen Antiochos und Ptolemaios arbeiten sollte [s. dazu WALBANK

(1967), zu Polyb. XVI 25,2]. In der Erzählung des Livius über die Verhandlungen in Lysimacheia (Liv.XXXIII 39) ist es nicht ganz deutlich, ob die Städte, die Antiochos Ptolemaios zurückzugeben hat, zu-erst Philipp dem König Ägyptens abgenommen hatte oder ob es sich um Gemeinden handelt, die Pto-lemaios immer besaß, bis Antiochos sie an sich brachte. Siehe ACHARD (2001), zu Liv. XXXIII 39(Anm. 4, S. 101): “Et et nam au début de la phrase suivante font difficulté. On attendrait un autre etintroduisant les villes appartenu à Philippe. Mais Tite-Live veut sans doute dire que la requête peut«même» porter sur les villes de Ptolémée, «car», pour les villes qui avaient dépendu de Philippe, ilétait hors de question de les laisser à Antiochus.” Die Römer erklärten jedenfalls, dass sie es nicht hin-nehmen könnten, wenn Antiochos Gemeinden, die von Philipp besetzt worden waren, erobert habe,als der makedonische König gerade seine ganze Aufmerksamkeit auf den Krieg mit Rom gelenkt hätte,wenn also der König von dem Gewinn des Krieges profitiere, den die Römer gegen Philipp untergroßen Gefahren und mit viel Mühe geführt hätten (Liv. XXXIII 39,5-6). Antiochos hatte tatsächlichdie Städte Iasos, Euromos, Mylasa, die Philipp gehörten, nach der Niederlage Philipps in Kynoskepha-lai (197 v.Chr.) annektiert. Diese Städte haben sich ihm wahrscheinlich freiwillig ausgeliefert [s.GRAINGER (2002), 45-46, 49, 57 (mit Anm. 22)].

5 Es handelte sich wahrscheinlich um die Städte Bargylia, Ainos, Maroneia (diese Städte hattendie Römer gerade befreit), Lampsakos und Smyrna. Siehe dazu GRAINGER (2002), 95. Livius (XXXIII38,4-6) erzählt uns, wie beide zuletzt erwähnten Städte von Antiochos angegriffen und belagert wor-den sind, während der König daneben versuchte, sie durch diplomatische Bewegungen anzulockenund ihnen die Hoffnung zu machen, dass sie die erwünschenswerte Freiheit erreichen könnten, abernur wenn es ihnen selbst und allen anderen klar wäre, dass sie diese Freiheit Antiochos und nicht einergünstigen Gelegenheit verdankten. Nach Polybios soll sich Antiochos in Lysimacheia auch zu diesemThema geäußert haben (Polyb. XVIII 51,9).

6 Siehe auch Liv. XXXV 16,5-6. Zu den Ansprüchen des Antiochos s. CHANIOTIS (2005), 457.7 “Pergamenische und rhodische Gesandte informierten 201 den römischen Senat von dem Ver-

trag zwischen dem Antigoniden Philipp V. und dem Seleukiden Antiochus III. über die Aufteilung der

erklärten ihm auch, dass sein Übergang nach Europa mit seiner gesamtenStreitmacht nicht weit von einer offenen Kriegserklärung an Rom entferntsei (Liv. XXXIII 39,7). Nach Polyb. XVIII 50,7 forderte L. Cornelius An-tiochos überdies auf, “sich von den autonomen Städten fernzuhalten”5

(nach der Übersetzung von H. Drexler).Der König berief sich dagegen auf den Sieg seines Vorfahren, des Seleu-

kos I. Nikator (358-354 v.Chr. - 281 v.Chr.), eines der Diadochen Alexan-ders, über Lysimachos (im Jahr 281). Im Namen dieses Sieges hatte nämlichder Gründer der Seleukiden-Dynastie weite Gebiete in Kleinasien und inThrakien in Besitz genommen. Er, Antiochos, besitze nur das, was ihmgehöre – so lautete der Kern der Antwort, die der König auf die römischenAufforderungen hin erteilte (Liv. XXXIII 40,4-6)6.

Die Römer waren schon seit einiger Zeit mit den militärischen Bewegun-gen des Antiochos überhaupt nicht glücklich. Gesandtschaften aus demOsten (aus Pergamon, Smyrna und Lampsakos) kamen nach Rom und batenum Unterstützung gegen den König7. Schon vor den Verhandlungen in Lysi-

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26 Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

Außenbesitzungen des Ptolemäerreiches, das seit dem frühen Tod Ptolemaeus’ IV. (204) durch Vor-mundschaftsregierung geschwächt war” [so BELLEN (1995), 68]. Eine pergamenische Gesandtschaftsoll außerdem im Jahr 198 den Senat über die Offensiven des syrischen Königs im Osten informierthaben (Liv. XXXII 8,9-10). Die Römer wollten damals eine Gesandtschaft zu Antiochos schicken undihn dazu auffordern, sein Heer vom Bereich Pergamons abzuziehen (Liv. XXXII 8,15-16). Antiochosgehorchte (Liv. XXXII 27,1), setzte jedoch seine sonstigen militärischen Expeditionen in Kleinasienfort. Im Winter 197-196 appellierten Smyrna und Lampsakos an Flamininus [App. Syr. 1,2; BADIAN

(1959), 85; WALBANK (1967), zu Polyb. XVIII 47,1; GRAINGER (2002), 60]. Möglicherweise hatten sichbeide Städte zu Eumenes zuerst gewandt, der sie jedoch nach Rom verwies. Dieser Appell war etwasunerwartet, denn keine der beiden Städte hatte früher Kontakt zu Rom (GRAINGER, a.a.O.). Nichtsde-stotrotz ist gut vorstellbar, dass es auch Städte in Kleinasien gab, die ihre Abhängigkeit von Antiochos,dem großen Eroberer Asiens, durchaus favorisierten [Euromos und Iasos bieten entsprechende Bei-spiele; s. dazu GRAINGER (2002), 56-57].

8 Siehe auch Polyb. XVIII 47,2. Livius erklärt, dass die Römer im Grunde dieselben Forderungenan Antiochos nach ihrem Sieg über Philipp stellten, die sie an ihn auch vor dem Ende des Makedoni-schen Krieges – allerdings nicht so offen und deutlich – gestellt hatten (Liv. XXXIII 20,8-9; 34,2-3).

9 Zu der chronologischen Beziehung der Gesandtschaft des Antiochos nach Korinth und den Be-wegungen des Königs am Hellespont s. Polyb. XVIII 47,2; 49,2-3 und BADIAN (1959), 85 und 97,Anm. 27.

10 Siehe Liv. XXXIII 41,5; XXXIV 25,2. Vgl. auch GRAINGER (2002), 101-103, 105-106, der aller-dings viel auf rein Hypothesen baut, wie er selbst gesteht.

11 GRAINGER (2002), 106 mit Anm. 27 vertritt allerdings die Meinung, dass weder Flamininusnoch die Römer sich Sorgen um die Bewegungen des Königs in Thrakien gemacht hätten. Deswegen

macheia, aber noch in demselben Jahr (196), hatte Rom, das sich nach demSieg über Philipp V. in seiner Macht bestätigt sah und entschlossen war, sichfür die Befreiung Griechenlands einzusetzen, versucht, den König von seinerExpansion nach Westen abzuhalten. Titus Quinctius Flamininus hatte näm-lich in Korinth Antiochos übermitteln lassen, dass er sich von den freienStädten Kleinasiens fernzuhalten habe, denn “alle griechischen Städte solltenüberall in Frieden und Freiheit leben” (Liv. XXXIII 34,3; in der Übersetzungvon H.J. Hillen). Außerdem wurde Antiochos damals erklärt, ne in Europamaut ipse transiret aut copias traiceret (Liv. XXXIII 34,4)8; offensichtlich wollteRom als Großmacht die bedrohliche Expansionspolitik des großen Syrienunter Kontrolle halten. Nichtsdestotrotz plante Antiochos noch im selbenJahr (196 v.Chr.) die Neugründung von Lysimacheia in der thrakischen Cher-sones. Die Römer konnten ihn schließlich nicht von seinem Plan abhalten9.

Die Verhandlungen des Jahres 196 in Lysimacheia blieben ergebnislos(Liv. XXXIII 41,1). Die Gesandtschaften, die beide Seiten in demselbenund im darauf folgenden Jahr austauschten, sprechen jedenfalls für einenoch friedliche Beziehung zwischen den Römern bzw. Flamininus und An-tiochos. Der König strebte sogar ein Bündnis mit Rom an10. Er setzte jedochgleichzeitig seine Unternehmungen in Thrakien fort, was die Römer – sodarf man aus der Erzählung des Livius schließen – als eine gegen sie gerich-tete, feindliche Handlung empfanden (Liv. XXXIV 33,12-13)11.

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Kleinasien zwischen Ost und West 27

habe Flamininus seine Unternehmungen in Sparta fortgesetzt und der Senat habe sich später (auf Vor-schlag des Flamininus) entschieden, das römische Heer aus Griechenland zurückzuziehen.

12 WALSH [(1992), 3] erklärt die Einstellung der Ätoler den Römern gegenüber mit folgendenWorten: “Meanwhile in Greece, the Aetolians since the settlement after the Second Macedonian Warin 197 had become increasingly disillusioned with the Romans, whom they had strongly supported inthe war against Philip. Their hopes of recovering the Thessalian cities earlier lost to Philip were blun-ted by Flamininus’ clear antipathy towards them”.

13 So PFEILSCHIFTER (2005), 161.14 Nabis wurde allerdings von den Achäern besiegt. Die Ätoler brachten den Tyrann in einer Ge-

heimoperation ums Leben. Sparta wurde am Ende dem achäischen Bund eingegliedert [s. PFEILSCHIF-TER (2005), 161].

15 Es ist gut möglich, dass Antiochos nach den Verhandlungen in Rom im Winter 194-193, dienicht positiv für ein Bündnis zwischen ihm und den Römern verlaufen waren, Freundschaft mit denmächtigsten Griechen der Zeit, den Ätolern, schließen wollte [s. GRAINGER (2002), 148].

16 Siehe Anm. 1. Siehe auch PFEILSCHIFTER (2005), 162 mit Anm. 82: “Wegen ihrer Verbitterunggegenüber Rom hätten die Aitoler Antiochos in ihren Konflikt hineingezogen. Die Überlieferung, dieparadoxerweise im wesentlichen auf Polybios zurückgehen dürfte, legt jedoch ein anderes Erklärungs-muster nahe: Zum Krieg führte das Scheitern eines Interessenausgleichs zwischen den Großmächten,die Aitoler traten, wieder einmal, im Nebenprogramm auf. Für Antiochos wurden sie erst interessant,als der Krieg schon unvermeidlich geworden war”.

Im Jahr 193 nennt Flamininus den Gesandten des Antiochos, die nachRom gekommen sind, die Voraussetzung dafür, dass Rom einen Freund-schaftsvertrag mit Antiochos schließen und sich nicht mehr mit dem Schick-sal der kleinasiatischen Städte befassen werde: der König müsse sich vonEuropa fernhalten. Sollte jedoch Antiochos diese Bedingung nicht erfüllen,wäre es nur gerecht, wenn die Römer ihre Freundschaft mit den StädtenKleinasiens schützten und neue Bündnisse schlössen (Liv. XXXIV 58,2-3;59,5). Bei denselben Verhandlungen betont allerdings Flamininus, dass esdas Ziel der Römer sei, die griechischen Städte Kleinasiens von Antiochoszu befreien, genau wie sie Griechenland von Philipp befreit hätten (Liv.XXXIV 58,12-13). “Die Siedlungen in Kleinasien” soll Flamininus gesagthaben “sind nicht gegründet worden, um in die Knechtschaft eines Königszu geraten, sondern damit das älteste Volk seine Nachkommenschaft ver-grössert und auf der Erde ausbreitet.”

Im Frühling desselben Jahres versuchten die Ätoler, ehemalige Verbün-dete der Römer und jetzt ihre geschworenen Feinde12, ein antirömischesBündnis zusammenzubringen. Sie schickten Gesandtschaften an Philipp,Antiochos und Nabis, zu Herrschern also, “die mit dem Stand der Dingeebenfalls unzufrieden waren” (Liv. XXXV 12)13. Dennoch war die ätolischeUnternehmung nicht besonders erfolgreich. Nur Sparta war zu militäri-schen Unternehmungen bereit14. Philipp dagegen stellte sich auf die römi-sche Seite. Die Ätoler brachten es jedoch fertig, Antiochos in ihren Konflikthineinzuziehen15, was dann – nach Polybios – die Ursache des (Römisch-)Syrischen Krieges war (Polyb. III 3,3; 6,5; 7,1-3; XVIII 39,1-2)16.

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28 Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

17 Zu den genauen Daten s. BADIAN (1959), 92. 18 Über diese Verhandlungen informiert uns auch Appian (Syr. 3,12), der von dem Vorschlag des

Antiochos spricht, drei Städte, Rhodos, Kyzikos, Byzantion wie die anderen Griechen Asiens – abgese-hen von den Äolern und den Ioniern – frei und unabhängig zu lassen, wenn die Römer bereit wären ei-nen Vertrag mit ihm zu schließen. Siehe auch GRAINGER (2002), 160 und Anm. 61. Die Städte jedoch,von denen Appian spricht, gehörten nicht Antiochos, er hatte also im Grunde kein Recht, über sie zuverfügen. Nach GRAINGER (a.a.O., 160) zeigt allerdings Antiochos durch seinen Vorschlag “a willing-ness to bargain.” Zu dem Vorschlag von Antiochos s. auch BADIAN (1959), 98, Anm. 78.

19 Zu der Rolle des Eumenes vgl. auch Liv. XXXV 23,10. GRAINGER (2002), 159ff. zweifelt wiederan der Wahrheit des livianischen Berichts. Er behauptet, dass Appian viel konsequenter die historischeWahrheit wiedergebe (161).

20 Nach GRAINGER [(2002), 162] handelte es sich nicht um einen Kriegsrat, denn man habe in die-sem consilium nicht über einen Krieg diskutiert. Die Entscheidung habe nicht gelautet, dass der Kriegzu unternehmen sei, sondern dass weiterhin Frieden gehalten werden sollte. Livius täusche durch sei-nen (vielleicht nachlässigen) Bericht (GRAINGER, a.a.O., 162, Anm. 67). Siehe auch BADIAN [(1959),93], der die Information des Livius, dass Antiochos sich gleich nach dem Abschied der römischen Ge-sandtschaft für den Krieg entschieden habe, für absurd hält und das auf folgende Weise kommentiert:“There are few cases in history of two great powers entering upon war with each other so unpreparedand so demonstrably against their own (at least immediate) intentions”.

21 Nach WALSH [(1992), 3] wollte Antiochos den griechischen Städten und den Ätolern seine Be-reitschaft kundtun, sie zu unterstützen. Er habe der ätolischen Propaganda Glauben geschenkt, dassdie Griechen sich gegen die Römer erheben würden, wenn sie ihn in Griechenland sehen würden.

Im Sommer 193 finden neue Verhandlungen zwischen Antiochos undden Römern in Ephesos statt17. Hier, in der Residenz des Antiochos, erhe-ben die Römer ihren älteren Anspruch auf die Autonomie der klein-asiatischen Städte (Liv. XXXV 16)18. Livius versäumt nicht, in diesem Kon-text auf die Rolle des Eumenes, des Königs von Pergamon, aufmerksam zumachen, der die Römer hartnäckig dazu angespornt haben soll, den Krieggegen Antiochos zu unternehmen (Liv. XXXV 13,7-10)19.

Im belli consilium, im Kriegsrat, der nach der Abreise der römischen Ge-sandtschaft in Ephesos stattgefunden haben soll (Liv. XXXV 17,3-18,8)20,sei dann die Entscheidung für den Krieg gefallen.

Im Herbst 192 kommt Antiochos nach Griechenland; Demetrias ist seinZiel – die Stadt war von den Römern zu den Ätolern abgefallen (Liv. XXXV43,2). Der ätolische Bund lud Antiochos als Bundesgenossen ein und for-derte ihn dazu auf, Griechenland von den Römern “zu befreien” (Liv.XXXV 43,7-44,7)21.

Antiochos zog danach mit seinem Heer nach Chalkis, als er hörte, dassrömische, pergamenische und achäische Truppen zur Unterstützung derStadt anrückten (Liv. XXXV 50,6-9). Er brachte es sogar durch seine Dro-hungen fertig, Chalkis zu erobern (Liv. XXXV 51,6).

In Delion, einem heiligen Gebiet, attakierte Menippos, der Feldherr desAntiochos (Liv. XXXV 50,7), unerwartet die römischen Soldaten, und essoll zu einem Massaker gekommen sein. Nach Livius wurden die Römer an-

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Kleinasien zwischen Ost und West 29

22 Siehe EDER, in: DNP 9, s.v. Pergamon C.2., 559. Die Beziehungen zwischen Rom und Eumenesgeraten später in eine Krise. Im Jahr 133 vermachte Attalos III. das Königsreich und den Königsschatzdem römischen Volk. Wie EDER bemerkt (a.a.O.) “Die förmliche Annahme der Erbschaft durch denSenat wies den Weg zur Provinzialisierung des kleinasiatischen Gebiets.”

23 Siehe auch Polyb. XVIII 39,3; 40a; 47,2. Vgl. ferner Memnon, FGrHist 434 F 18,5.24 Siehe z.B. Liv. XXXIII 34,3-4; 39,7; XXXIV 58,2; XXXV 12,2; XXXVI 3,12; 17,7.

gegriffen, als sie “ganz in Muße teils zur Besichtigung des Heiligtums unddes Haines, teils am Strand waffenlos umherstreiften und ein großer Teilsich über das offene Land zerstreut hatte, um Holz und Futter zu holen”(Liv. XXXV 51,3-4; in der Übersetzung von H.J. Hillen). Dieser frevelhafteAngriff lieferte den Römern den gerechten Grund für einen Krieg gegenAntiochos und seine Verbündeten (Liv. XXXV 51,5).

Von entscheidender Bedeutung für den Fortgang des Krieges ist dann dieSchlacht bei den Thermopylen im Frühling des Jahres 191, die mit einerNiederlage des Königs endet. Der Krieg gegen Antiochos wird nun vonGriechenland weg nach Osten, nach Kleinasien verlagert. Diese Entschei-dung beruhte auf der persönlichen Einschätzung des Publius Cornelius Sci-pio (cos. 205 und 194), der glaubte, dass allein der Sieg über Antiochos undnicht bloß über die Ätoler, also die Eroberung Kleinasiens, den Konfliktentscheiden könnte (Polyb. XXI 4,3-5; Liv. XXXVII 6,5). Scipio begleiteteseinen Bruder L. Cornelius Scipio, der im Winter des Jahres 191 das Amtdes Konsuls antrat, als sein legatus auf dem Feldzug gegen Antiochos inKleinasien.

Der König Syriens erfährt weitere wichtige Niederlagen in Myonnesos (imHerbst des Jahres 190) und in Magnesia (im Winter 190/189). Frieden wirdim nächsten Jahr (188) geschlossen. Der sogenannte “Apameia-Vertrag” (Liv.XXXVIII 38-39) sollte letztlich zur Stärkung und Ausweitung des Reichesvon Pergamon unter seinem König Eumenes entscheidend beitragen22.

II

Livius stellt den Krieg zwischen Antiochos und den Römern im Anschlußan die ältere historiographische Tradition23 als einen Konflikt zwischen demOsten und dem Westen, zwischen Asien und Europa dar24. Die Grundlageder Synekdoche leuchtet ein: Der König Syriens, der mächtigste HerrscherAsiens, unternimmt militärische Expeditionen im Bereich Griechenlands, ineinem Teil Europas. Dieser Konflikt hat jedoch im Verständnis des Liviusnicht nur eine geopolitische Bedeutung, sondern auch eine kulturelle Di-mension. Als Leser der livianischen Erzählung erkennt man nämlich, dassverschiedene Mentalitäten, Lebens- und Wertvorstellungen hier miteinan-

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30 Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

25 Zu den Quellen des Livius s. BRISCOE (1981), zu Liv. XXXVI 11,1-4. Siehe auch den Kommen-tar von Briscoe (ebenda): “The allegations of debauchery are rightly doubted …” (mit Hinweisen aufdie einschlägige ältere Sekundärliteratur). Zu den Quellen, die Livius für die vierte und fünfte Dekadeseines Werkes benutzt hat, s. WALBANK (1971).

26 Siehe auch Diod. XXIX 2; App. Syr. 3,16.27 Siehe auch Diod. XXIX 2; Appian unterstreicht (Syr. 3,16), dass Antiochos “seine Truppen den

ganzen Winter hindurch völliger Untätigkeit und einem schwelgerischen Leben überließ” (in derÜbersetzung von O. Veh).

28 Siehe WALSH (1990), zu Liv. XXXVI 11,1-4, S. 88: “This section affords a good example of Li-vy’s moralising approach … An interesting earlier parallel is the historian’s claim that Hannibal’s winte-ring in Capua in 216-215, with its attendant sloth, feasting and harlotry, seriously impaired his army’sefficiency (XXIII 18,11ff.)”; WALSH (1970), 77: “The complementary lesson, that love of luxury is disa-strous to communities and individuals, is illustrated (78) especially by the example of Hannibal’s alle-ged wintering in Capua in 216-215. Livy claims that this was the main cause of the Carthaginian defeatin the Second Punic War… Livy’s anxiety to bring home a moral lesson has here resulted in a distortionof the truth.”

29 Siehe die Bemerkung von LUCE (1977), 253: “The king’s behavior is typical of the country herules …”

30 Siehe Hor. carm. I 37,9-12; Prop. III 11,29-32.41-46.55-56; IV 6,31-36. Siehe NISBET - HUB-BARD (1998), zu Hor. carm. I 37, S. 410 (mit Hinweisen auf die frühere Sekundärliteratur) und zu Hor.carm. I 37,12; GALINSKY (2005), 346. Zu der orientalischen Lebensart von Antonius, die den römi-schen Sitten nicht entspricht und die harte Kritik Octavians hervorruft, s. ZANKER (1987), 65, 72; BE-ACHAM (2005), 156-157; EDER (2005), 20-21; vgl. auch Verg. Aen. VIII 685-688. Siehe noch GRAINGER

(2002), 99, Anm. 6, der glaubt, dass die Vorstellung des Historikers von Antiochos durch die römischeVorstellung von Mithridates und Kleopatra beeinflusst sein kann.

31 Livius zeichnet auch an anderen Stellen ein schwarzes Bild vom König Antiochos (z.B. Liv.XXXV 15,3-5).

der im Streit liegen; folgende Beispiele sind aufschlußreich: Als Antiochosbereits in Griechenland war, hat er sich nach den uns bekannten Quellen ineine schöne junge Frau aus Chalkis verliebt25. Livius schildert ausführlichdie Geschichte dieser Liebe (Liv. XXXVI 11,1-2). Er weist auf die Versuchedes Antiochos hin, den Vater des Mädchens zu überreden, die Verbindungseiner Tochter mit ihm zu genehmigen; er erwähnt die Hochzeitsfeier26, dieAntiochos veranstaltet habe, als ob Frieden herrschte; er unterstreicht dieNachlässigkeit des Königs in Bezug auf die Durchführung seiner wichtigenPläne – das Bellum Romanum und die Befreiung Griechenlands; er schildertseine Hingabe an Gelage, an unersättliche Freuden, die auf den Wein fol-gen, und an den Schlaf. Antiochos soll erst später nachvollzogen haben,dass seine Soldaten auf ähnliche Art und Weise den Winter in Chalkis ver-bracht hatten (Liv. XXXVI 11,3-5)27. In diesem höchst moralisierenden Be-richt28 erscheint der König Syriens als emblematischer Vertreter einer nachder traditionellen römischen Sicht sündhaften Lebensweise29 – man erinne-re sich an die augusteische Propaganda gegen Antonius und Kleopatra30;Leidenschaftlichkeit, Üppigkeit, Lässigkeit, Maßlosigkeit, Schwelgereikennzeichnen das Bild des syrischen Königs31.

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Kleinasien zwischen Ost und West 31

32 Zu dieser Rede s. auch LUCE (1977), 253 mit Anm. 51.33 Statt vilissima wird auch die Lesart levissima überliefert. Siehe dazu BRISCOE (1981), zu Liv.

XXXVI 17,5: “For the Romans, levitas was, it seems, a Greek characteristic …, but … vilissima is mo-re appropriate for Syri et Asiatici Graeci and goes better with servituti”.

34 Vgl. Hor. ep. 9,11-16; Cass. Dio L 5; Plut. Demetr. et Ant. 3,3. Siehe auch Anm. 30.35 Siehe WALSH (1992), zu Liv. XXXVII 9,7.36 Livius berichtet im Grunde, dass Antiochos bereit war, die Hälfte seines Königreichs Scipio zu

geben, ohne dass dieser den Königstitel trage (Liv. XXXVII 36,2). Offensichtlich hat Livius hier Poly-bios mißverstanden und falsch übersetzt, denn Polybios berichtet, dass Antiochos bereit war, mit Sci-pio die königlichen Einkünfte zu teilen. Siehe zu diesem Mißverständnis TRÄNKLE (1977), 181, Anm.13 und BRISCOE (1981), zu Liv. XXXVII 36, 2.

37 Vgl. den Kommentar von WALSH (1992), zu Liv. XXXVII 36,2: “‘in his ignorance of both Sci-pio’s character and Roman convention’: This is Livy’s own comment, made in defence of Africanus’ in-tegrity with the later imputations made against him (38.50.4ff.) in mind”.

Auf die Geschichte der schändlichen Liebe des Antiochos weist AciliusGlabrio, der mit der Führung des Krieges gegen Antiochos beauftragte rö-mische Konsul, in seiner Rede an die Soldaten vor der Schlacht an denThermopylen hin32. Er stellt hier die Makedonen, die Thrakier und die Illy-rier den Syriern und asiatischen Griechen gegenüber (Liv. XXXVI 17,5-8).Jene seien gentes ferocissimae (kriegslustige und -tüchtige Völker), diese vi-lissima genera hominum et servituti nata (die wertlosesten Menschen, gebo-rene Knechte)33. Der makedonische König sei ein sehr kriegerischer und er-fahrener Kämpfer, während Antiochos ein seinen Leidenschaften ergebenerMensch sei, der seine Zeit mit der Liebe zu einer unwürdigen Frau ver-schwendet habe. Typische Vorwürfe gegen einen Strategen, der sich den rö-mischen Sitten nicht angemessen verhält, sind hier zu hören. Antiochos undseine Frau erscheinen in dieser Passage wie ein Ebenbild von Antonius undKleopatra34.

Im nächsten Buch erwähnt Livius das Opfer, das die Römer am Anfangihrer Expedition nach Osten für Minerva in Ilion dargebracht haben sollen(Liv. XXXVII 9,7). Man fühlt sich an das Opfer des Alexandros vor seinerExpedition gegen die – im griechischen Sinne – “Barbaren” erinnert (Arr.anab. I 11,7)35. An deren Stelle treten allerdings hier Antiochos und seinHeer.

Dass die Wertvorstellungen des Seleukiden vollkommen andere als dieje-nigen Scipios sind, wird allerdings erst im Kommentar des Livius zu demVorschlag der Bestechung ganz deutlich36, den der Abgesandte des Antio-chos dem römischen Feldherrn macht – ignarus et animi Scipionis et morisRomani (Liv. XXXVII 36,2)37 –, damit P. Scipio einen Friedensvertrag mitdem syrischen König befürwortet. Scipio versäumt nicht, in der Rede, wel-che Livius ihm zuschreibt, den Gesandten des Antiochos auf diese kulturelleDifferenz aufmerksam zu machen (Liv. XXXVII 36,3): “Ich wundere mich

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32 Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

38 SAGE (1997), 394, Anm. 1 bemerkt zu der Rede Scipio’s: “Livy has been at some pains to por-tray in this speech the incorruptible Roman …”

39 Generell stellen die kampflustigen Römer das genaue Gegenteil der trägen Soldaten des Antio-chos dar (Liv. XXXVII 39,3-4).

40 Auf die Erwähnung der jeweiligen Schlachtreihe folgt eine allgemeine Bezeichnung zu dem ge-rade erwähnten Heer. Die Identität der Kämpfer und ihre Bewaffnung (in dieser oder in umgekehrterReihenfolge) kommt zunächst in Betrachtung.

41 Siehe auch Anm. 30 und 34. Vorwiegend in der Zeit des Augustus wird die orientalische Le-bensweise in ausdrücklicher oder angedeuteter Gegenüberstellung zu der römischen Kultur und Le-bensart als Zeichen des Verfalls eingeschätzt. Die vorangegangenen Kriege gegen Völker im Orient(Mithridates, die Parther) und hauptsächlich der Krieg gegen Antonius und Kleopatra haben entschei-dend zu dieser Betrachtungsweise beigetragen; siehe dazu NAUTA (2005), 113 mit Anm. 86. In diesemKontext muss es für die römischen Dichter eine hochinteressante Frage gewesen sein, wie die troiani-sche Herkunft der Römer zu “bewältigen” wäre. Zum Thema s. die Beiträge von Hardie und Nauta indiesem Band; NAUTA (2005), passim; GALINSKY (2005), 346: “Aeneas was a Trojan, and the Trojanscould be considered as either Greeks or Asiatics. In the decade before Vergil wrote his epic, Asia hadbeen pilloried by Octavian’s propaganda as the pit of debauchery, luxury, and effeminacy … It was notenough, therefore, for Vergil to describe the mere genetic fusion of Trojans and Latins into a new race… but Aeneas had to be de-asianized and Romanized in terms of attitudes and values”. Siehe auch dieallgemeine Bemerkung von LUCE (1977), 259 zu einigen Büchern aus der vierten Dekade des Livius:

nicht so sehr darüber” soll er dem Abgesandten geantwortet haben “dassDu alle Römer, dass Du mich selbst, zu welchem man Dich abgesendet hat,nicht kennst, denn ich sehe, dass Du sogar die Lage dessen nicht kennst, vondem Du kommst”38. Interessanterweise scheint Polybios Unterschiede sol-cher Art zwischen den Hauptgegnern zu ignorieren (Polyb. XXI 15).

Kurz darauf macht Livius auf die Einheitlichkeit von Herkunft und Aus-rüstung des römischen Heeres aufmerksam, die man im Heer des Antiochoskeinesfalls findet39 – die einschlägigen Perioden stehen in vollkommenemGegensatz zueinander40:

Romana acies unius prope formae fuit et hominum et armorum genere.Liv. XXXVII 39, 7

Das römische Heer war fast einheitlich, was die Männer und die Waffen betrifft.

Regia acies varia magis multis gentibus, dissimilitudine armorum auxiliorumque erat.Liv. XXXVII 40, 1

Die königliche Schlachtreihe war eher verschiedenartig wegen der vielen Volks-stämme, der Verschiedenheit der Waffen und der Hilfstruppen.

Wie ist nun eigentlich die kulturelle Dimension zu erklären, welche Livi-us dem Konflikt zwischen den Römern und Antiochos anscheinend bei-mißt? Handelt es sich nur um eine (anachronistische) Gegenüberstellungzwischen Rom und dem Orient, die nach dem Krieg gegen Antonius undKleopatra typisch wird41?

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Kleinasien zwischen Ost und West 33

“The contrast between the warlike barbarian and the enervating civilization of the East is a constanttheme in these books …”

42 Obwohl Livius als der “römische Herodot” angesehen wird – schon Quintilian erkannte seineerzählstilistische Affinität mit Herodot [inst. X 1,101; s. noch WALSCH (1970), 48 mit Anm. 1; LEEMAN

(1986), 191-192; ALBRECHT (1994), 664] –, gibt es noch keine m.W. umfassende Arbeit zu der Bezie-hung zwischen den Werken beider Historiker. SCHUBERT [(1991), 82-84 mit Anm. 10 und 11, 86, 89,93-95], konzentriert sich auf Analogien zwischen der Gyges-Kandaules-Erzählung bei Herodot undder Lucretia-Erzählung bei Livius.

43 Zum Proömium Herodots s. HUBER, in: LAW s.v. Barbaren, 433: “… so entdeckten dieion[ischen] Ethnographen zunehmend die Unterschiede in Lebensweise und Sitte; im übrigen bliebbei ihnen … B[arbaren] eine wertmäßig neutrale Sammelbezeichnung für Nichtgriechen (HekataiosFGrHist I F 119; Hrd. Proöm. u.ö.) …” Die Perser werden als “Barbaren” charakterisiert und denGriechen gegenübergestellt z.B. Hrd. V 97,3; VI 9,1; 31,1; IX 6; 17,4; 102,3. Alle vorher erwähntenStellen deuten die kulturelle Differenzierung zwischen Griechen und Persern an, die Hrd. I 153,1-2auf Grund des Hinweises auf konkrete Gewohnheiten der Perser und der Griechen ausdrücklich un-terstrichen wird. An einer weiteren Stelle (I 60,3) äußert sich Herodot sehr nachteilig über die Perser,indem er sie von den Griechen intellektuell unterscheidet. Eine Anspielung auf die Grausamkeit der“Barbaren”, die sie von den Griechen differenziert, s. Hrd. IX 79,1. Siehe auch die Bemerkungen vonBERVE [(1966), 474]: “Im Hinblick auf ihn (d.h. den persischen König, den ‘Repräsentanten Asiens’)wird das Griechentum des Mutterlandes, das um die Wende des 6. zum 5. Jh. vornehmlich in Spartaund Athen zum Vollgefühl seines Wesens gelangt, der naturhaften Andersartigkeit des eigenen Wesensinne”. Und noch (a.a.O., 475): “… das Gefühl, dass man nicht nur für sich, sondern für eine Asienfremde Welt, für das Abendland, wie wir gern sagen möchten, gegen den andrängenden persischenKoloß auf Posten stehe, lebt, wenn auch unbewußt, in der Abwehrhaltung der maßgebenden Grie-chenstaaten im Jahre 480-479”. Siehe jedoch auch GOLDAMMER (1962), 15-16: “… dass es nicht alleinund nicht eigentlich um einen grundsätzlichen Unterschied des Wesens handelt, sondern um einen sol-chen der Kulturstufe und der Kultsituation”.

44 Vgl. GOLDAMMER (1962), 15.

III

Wenn Livius die Römer als Verteidiger Europas vor der Agressivität desAntiochos, des Invasoren aus dem Osten, präsentiert, denkt man an dieHistoriae Herodots42, wo der Konflikt zwischen Griechen und Persern alsKonflikt zwischen Europa und Asien erscheint, wobei jeder Gegner sich sei-ner kulturellen Differenz vom anderen bewußt ist43:

'ApÕ toÚtou a≥eπ hgˇsasqai tÕ `EllhnikÕn sf∂sin e≈nai pol◊mion: th\ n ga\ r'As∂hn kaπ ta\ œnoik◊onta ⁄qnea b£rbara o≥keieàntai o≤ P◊rsai, th\ n d‹ EÙrèphnkaπ tÕ `EllhnikÕn h“ghntai kecwr∂sqai.

Hrd. I 4,4

Seitdem (d.h. seit dem Krieg gegen Troia) dachten immer die Perser, dass allesGriechische ihnen feindlich sei. Denn die Perser sahen Asien mit seinen Völkern alsihr eigenes Land an. Europa und das Land der Griechen haben sie als etwas Abge-trenntes gesehen44.

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34 Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

45 Vgl. die allgemeine Bemerkung von BERVE [(1966), 478], der die Frage stellt, “wie weit die Rö-mer als Träger eines Europabewußtseins anzusprechen sind”: “Die Übernahme wesentlicher griechi-scher Kulturfaktoren und ihre Umformung zu Elementen einer gemeinsamen Zivilisation ist dabei vonnicht geringem Gewicht gewesen …” BERVE meint allerdings (a.a.O., 479), dass Karthago für die Rö-mer dasselbe war, wie das persische Reich für die Griechen, “im Vergleich zu dem sie (sc. die Grie-chen) ein gewisses Europagefühl verspürten”. Er bemerkt außerdem [(1966), 480-481]: “Von europäi-scher Verantwortlichkeit (sc. der Römer) in dem Sinne, dass man die gemeinsame Aufgabe des griechi-schen Kulturkreises und der römischen Macht im Osten erkannt und dementsprechend politisch ge-handelt hätte, ist frühestens bei Pompeius und Caesar zu reden”. Wenn man nicht davon ausgeht, dassdie hier vorgeschlagene Interpretation des livianischen Textes die anachronistische Vorstellung des Li-vius über die historischen Ereignisse in den ersten Jahrzehnten des 2. Jh. enthüllt, könnte man sagen,dass Elemente einer “europäischen Verantwortlichkeit der Römer” (im Sinne von Berve) in der Ostpo-litik Roms bereits in jener Frühperiode der beiden ersten Jahrzehnte des 2. Jh. erkennbar sind [s. Liv.XXXIV 58,12-13: Die Römer erscheinen hier als die Beschützer der Freiheit der Griechen Kleinasiensvor der Expansion des Antiochos. Siehe ferner Liv. XXXVII 54,17; siehe jedoch zu dieser TextstelleSAGE (1997), S. 457, Anm. 3, der die These verficht, dass Livius vom Aspekt seiner eigenen Zeit beein-flusst ist]. Zu dem moralischen Einfluß der Griechen auf die Römer s. PETROCHILOS (1974), 113-130.

46 Zur Freiheit als noch geheimem Wunsch der kleinasiatischen Griechen s. Hrd. IV 133, 2;136,4; 139,2.

47 Siehe Hrd. V 49,2-3 (Aristagoras bittet die Lakedämonier um Unterstützung der ionischenStädte in ihrem Kampf um die Freiheit); 97, 1-3 (er schafft es, die Athener davon zu überzeugen, dasssie die Ionier unterstützen sollten).

48 Da die Expedition gegen Naxos, zu der Aristagoras, der Tyrann (als Vertreter von Histiaios)von Milet, dem persischen König riet, unglücklich für Aristagoras selbst und seine persischen Verbün-deten endete, was ihn seine Herrschaft über Milet kosten konnte, hat er sich dem Rat von Histiaios fol-gend entschieden, von Dareios abzufallen. Zu der Rolle des Aristagoras vor seinem Abfall vom persi-schen König s. Hrd. V 30,2-35,2. Aristagoras sucht gleich nach seinem Abfall und der Festnahme undVertreibung der Tyrannen aus den kleinasiatischen Städten – dieses Unternehmen setzte er selbst inBewegung –, einen mächtigen Bundesgenossen; er wendet sich zuerst zu diesem Zweck an Sparta(Hrd. V 36,4-38,2; 49,2-3) und dann an Athen (Hrd. V 55,1; 97,3). Er schafft es schließlich, die Einmi-

Verbindet man nun beide historischen Werke miteinander, tritt die kultu-relle Differenzierung zwischen den Römern und ihren Hauptgegnern in Li-vius’ Werk noch deutlicher hervor. Der alten herodoteischen Beziehungzwischen Griechenland und Europa gesellt sich nun noch die Beziehungzwischen Europa und Rom hinzu. Die Römer erscheinen dadurch als Mitge-stalter der europäischen kulturellen Identität45.

An die Historiae Herodots denkt jedoch der Leser des Livius auch deswe-gen, weil der Text zur Assoziation des Krieges zwischen Antiochos und denRömern mit den Perserzügen gegen Griechenland anregt. Es ist wahr, dassden (Römisch-)Syrischen Krieg auffällige Analogien mit jenen Kriegen ver-binden. Die wichtigste unter ihnen bildet mit Sicherheit die Rolle Kleinasiensin beiden Konflikten. Kleinasiatische Städte verlangten nämlich auch damals(vor der Zeit der Perserzüge) ihre Freiheit46, sie waren sogar bereit, dafür zukämpfen, und suchten einen mächtigen Verbündeten für ihren Kampf47.Weiter spielte ein wichtiger Mann Kleinasiens jeweils seine Rolle beim Aus-bruch des Konflikts: im 5. Jh. Aristagoras48, der Tyrann von Milet, im 2. Jh.

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Kleinasien zwischen Ost und West 35

schung der Athener zu erreichen, was später von Dareios als Grund der Expedition der Perser gegenAthen vorgeschoben wird (Hrd. VI 43,4-44,1).

49 Zu der Rolle des Eumenes beim Ausbruch des Krieges s. Liv. XXXV 13,7-10; 17,1. Siehe auchGRAINGER (2002), 155 mit Anm. 42 (dort auch Hinweise auf einschlägige Sekundärliteratur), 164 undADAM (2004), zu Liv. XXXV 17,1, S. 100, Anm. 152.

50 Was die Perserzüge betrifft s. Hrd. IX 96,1ff.51 So MEHL, in: DNP 11, s.v. Seleukos [2], S. I. Nikator, 361. Baktria war durch Kyros den Großen

ins Perserreich einbezogen worden, wozu es bis zur Zeit des Alexanderzuges gehörte. Siehe TREIDLER -BRENTJES, in: DNP 2, s.v. Baktria, 415. Siehe auch die Bemerkung von BERVE (1966), 479: “Zwar warder Seleukide Antiochos III … makedonischer Herkunft und Herr eines mit griechischen Städtenübersäten Reiches, aber zu seiner Zeit hatte die Seleukidenmacht sich schon so sehr mit Asien und Asi-ens Völkern verzahnt, dass unter ihm doch eine fremde Welt anzudringen drohte”.

52 Chelidoniae nannten sich eine Gruppe von fünf Inseln wie auch das Vorgebirge, welches ihnengegenüber lag (das Chelidonische Kap und die Chelidonischen Inseln), im Bereich von Lykien. Nachden Siegen Kimons hat Kallias mit Artaxerxes einen Vertrag (den “Kallias-Frieden”) geschlossen. DiePerser durften diesem Vertrag nach weder an dem Vorgebirge noch an den Chelidonischen Inseln vor-beifahren (Plut. Cimon 13,4).

53 Siehe GRAINGER (2002), 42: “The envoys are said to have ‘ordered’ the king not to pass Cape

Eumenes, der König von Pergamon49. Beide trieben einen Mächtigen, deneinen der beiden großen Gegner, dazu an, eine militärische Expedition zurUnterstützung von kleinasiatischen Griechen zu übernehmen: Eumenesspornt die Römer an, militärisch aktiv gegen Antiochos zu werden, Aristago-ras bittet zuerst die Lakedämonier, dann die Athener darum, den Ioniern beiihrem Freiheitskampf gegen die Perser beizustehen. Außerdem wird derKrieg jeweils von Griechenland nach Asien hinübergetragen50. Nicht unin-teressant ist es schließlich, dass die Seleukiden von Seleukos I. und von Apa-ma abstammten, der Tochter des Spitamenes, eines Baktrers persischer Her-kunft (Arr. anab. VII 4,6)51. Livius unterstreicht jedoch nicht diese einleuch-tenden Analogien. Vielmehr hält er durch indirekte, in seine Erzählung ein-gestreute Hinweise die Erinnerung seiner Leser an die Perserzüge gegenGriechenland wach, wie man an einigen Beispielen erkennen kann.

Als Antiochos um die Annektierung von kilikischen Städten kämpfte,schickten die Rhodier Gesandte zu ihm mit der Warnung, dass er Chelido-niae, das durch den antiken Kallias-Vertrag der Athener mit den Persern(449 v.Chr.) berühmte Vorgebirge Lykiens52, nicht überschreiten dürfe:“Sollte er seine Flotte und seine militärischen Truppen nicht an dieserGrenze halten, würden die Rhodier ihm entgegentreten, nicht aus Haß, son-dern weil sie es nicht ertragen würden, dass er sich mit Philipp verbindeund die Römer, die Griechenland befreiten, an ihrem Werk hindere” (Liv.XXXIII 20,2-3). Livius versäumt nicht, auf die Geschichte des Ortes, denVertrag zwischen Athenern und Persern hinzuweisen (Liv. XXXIII 20,2).Die Textstelle bewirkt somit beim Leser die Assoziation des Königs und sei-nes Heeres mit dem persischen König und dessen Heer53.

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Chelidoniae, ‘made famous’ as Livy says, ‘by the ancient treaty between the Athenians and the Persiankings’. That is, Antiochos is here being equated with Darius and Xerxes and Oriental despotism, andthe Rhodians with the heroic Athenian resistance to that tyranny”.

54 Die Geschichte wird von Herodot erzählt: Hrd. VI 48-49; VII 133.55 Diese Art von Ironie bringt den Text des Livius näher der Poesie, dem Epos und der Tragödie,

wo die dramatische bzw. tragische Ironie par excellence zu Hause ist. Zu einem einleuchtenden Bei-spiel der Beziehung der Erzählung des Livius zu der tragischen Kunst s. SEITA (2000), passim und be-sonders S. 489, Anm. 26 mit Hinweisen auf ältere einschlägige Studien; s. auch zu der Beziehung derErzählung des Livius zu der “tragischen Historiographie” ALBRECHT (1994), 665-666.

56 Siehe auch GRAINGER (2002), 194: “Beginning in the Hellespont … he went first to Ilion tosacrifice to Athene … This, of course, is the same place at which Alexander sacrificed on his way east,

Zwei Bücher später erzählt Livius von dem Kriegsrat, der in Ephesos, inder Residenz des Antiochos, im Jahr 193 stattgefunden habe (Liv. XXXV17,3ff.). Er berichtet u.a., dass einige der Verbündeten des Königs – sie wer-den nicht präziser benannt – dort behauptet hätten, dass Smyrna und Lam-psakos, auf deren Autonomie die Römer Anspruch erhoben hatten, unwich-tige und nicht mal der Rede werte Kriegsgründe für einen so großen Königdarstellten (Liv. XXXV 17,7). Die Allierten des Antiochos sollen sogar folgen-des hinzugefügt haben: “Aber ungerechte Anordnungen nähmen immer imKleinen ihren Anfang. Oder glaubten sie etwa, als die Perser von den Sparta-nern Wasser und Erde forderten, hätten sie ein Erdscholle und einen SchluckWasser nötig gehabt?”54 (Liv. XXXV 17,7; übersetzt von H.J. Hillen).

Die Stelle ist von Interesse auch wegen der Doppeldeutigkeit, der ironi-schen Nuance der Worte der Verbündeten, die von diesen nicht intendiertsein kann: Einerseits beziehen sich die Allierten des Antiochos auf die Rö-mer (Rom verlangt scheinbar etwas Unwichtiges – es erhebt Ansprüche aufdie Autonomie beider Städte; es bereitet sich folglich, genau wie in der Ver-gangenheit die Perser, darauf vor, eine ungerechte Großmacht zu errichten),andererseits lassen sich ihre Worte aber auch in Bezug auf Antiochos verste-hen, der genau wie die Römer, selbst Ansprüche auf diese Städte erhob undnicht vorhatte, auf sie zu verzichten55. Die Verbündeten des Antiochos mö-gen also in ihrer Vorstellung die römischen Ansprüche und Pläne mit denpersischen verbinden, man assoziiert jedoch gleichzeitig auf Grund dersel-ben Vorstellung Antiochos und seine Allierten selbst mit den Persern, auchdeswegen, weil sie die livianische Bühne, wo sich die Ereignisse abspielen,bereits als die Invasoren aus dem Osten betreten haben.

Antiochos befindet sich schon auf dem Weg nach Griechenland. In Ilionopfert er der Göttin Minerva (Liv. XXXV 43,3). Da dieses Opfer am Anfangeiner Expedition nach Westen geboten wird, lässt es sich viel eher mit dementsprechenden Opfer des Xerxes am Anfang seiner Expedition gegen Grie-chenland (Hrd. VII 43,2) als mit jenem Alexanders des Großen vergleichen,als dieser seinen Zug zur Eroberung des Ostens begann (Arr. anab. I 11,7)56.

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and where Xerxes sacrificed on his way west, and the reference to Antiochus’ sacrifice is presumablydesigned to remind Livy’s readers of either or both of these great bringers-of-war … It is also designedto be contrasted with the similar sacrifice by Scipio Africanus two years later (Liv. XXXVII 9, 7)” undADAM (2004), zu Liv. XXXV 43,3, S. 123, Anm. 346.

57 SAGE [(1997), zu Liv. XXXVI 17,16, S. 212, Anm. 1] weist darauf hin, dass die Rede nicht vonAppian und Plutarch überliefert wird; wahrscheinlich komme sie auch nicht im Werk von Polybiosvor. Siehe auch BRISCOE (1973), 18 mit Anm. 4 (wo auf die Studie von R. ULLMANN, Étude sur le styledes discours de Tite Live, Oslo 1929, 20, 147-148, 157-158, hingewiesen wird); BRISCOE (1981), zu Liv.XXXVI 17,2-16. Anders HARRIS (1985), 109, Anm. 1; WALSH (1990), zu Liv. XXXVI 17,2.

58 Siehe JAL (1965), 367: “Loin d’être, comme on le pense généralement, un pâle reflet de l’oeuvrede Tite-Live, loin de n’avoir aucune existence propre ou de n’exister que par la grâce du grand histori-en qu’il est censé abréger, le Tableau de Florus a, croyons-nous, sa valeur et son originalité … Florus acherché … à faire ‘autre chose’ que son génial prédécesseur, voire, par endroits, une véritable ‘retracta-tio’ de celui-ci”. Nach HOSE (1994), 98: “So scheint Florus in der von ihm konzipierten Universalge-schichte auf polybianische Wurzeln zurückführbar zu sein, wobei freilich einzelne Elemente älter alsPolybios sind …”

59 Vgl. die Bemerkung von HARDIE (1986), 142, Anm. 56: “For the exploitation in a Roman con-text of Athenian victory over Persians as an image of the defeat of the Seleucids see Florus I 24”.

Die Perserzüge ruft Livius auch im 36. Buch seinen Lesern ins Gedächt-nis (Liv. XXXVI 15,12): Antiochos entscheidet sich dafür, gegen die Römerund ihre Verbündeten bei den Thermopylen zu kämpfen. Livius erinnertseine Leser an das historische Gewicht des Ortes: Er “ist berühmt durchden Tod der Spartaner beim Widerstand gegen die Perser, der denkwürdi-ger ist als der Kampf” (in der Übersetzung von H.J. Hillen). Wenn unserHistoriker später den römischen Konsul vor den Soldaten seine Rede haltenlässt57, wird offensichtlich, dass die Truppen des Antiochos auf keinen Fallmit den Lakedämoniern zu verwechseln sind: Das seleukidische Heer habe– im Gegensatz zu den Spartanern – sein Lager aus Furcht und Feigheitzwischen den Felsen aufgeschlagen, betont der Konsul M. Acilius Glabrio(Liv. XXXVI 17,10). Am Ende erlebt das Heer des Antiochos die Niederla-ge und muss vor seinen Verfolgern fliehen (Liv. XXXVI 19,2-6). In diesemKontext lassen sich die Römer, die Sieger in der Thermopylen-Schlacht, alsunübertreffliche Kämpfer vorstellen, denn dazu führt der unausweichlicheVergleich mit den zwar tapferen aber schließlich besiegten Spartanern.

Wenn man, angeregt vom Text des Livius, an die Perserzüge gegen Grie-chenland und an Herodot denkt, dann liegt es selbstverständlich nahe, dieRömer, die Sieger über Antiochos, mit den Siegern über die Perser zu ver-gleichen. Florus, Historiker der römischen Geschichte wohl in der Zeit Ha-drians (117-138), dessen Werk als eine retractatio der Geschichte des Liviusgelten darf58, hat den livianischen Bericht über den (Römisch-)SyrischenKrieg auf ähnliche Weise gelesen, was im Grunde die vorigen Bemerkungenzur Assoziationsdynamik dieses Berichtes validiert59.

Die Bedrohung des Krieges erzeugte in den Römern Furcht, schreibt

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60 Zu der Beziehung dieser beiden Reden bei Livius zu den entsprechenden Reden bei Polybios s.WALSH (1992), 11: “But the supreme example of Livy’s rhetorical art in this book is to be found in theantithetical speeches of Eumenes and the Rhodians delivered in the Roman senate (53-54); comparisonwith Polybius allows us to observe in detail the rhetorical transformation”. Siehe auch BRISCOE (1981),zu Liv. XXXVII 53-54; SAGE (1997), zu Liv. XXXVII 54,17, S. 457, Anm. 3.

Florus, denn sie dachten an die angsterregenden Züge der Perser gegenGriechenland (Flor. epit. I 24,8,2: non aliud formidolosius fama bellum fuit;quippe cum Persas et orientem, Xerxen atque Darium cogitarent, quando per-fossi invii montes, quando velis opertum mare nuntiaretur). Das seleukidischeHeer wird als ein persisches Heer angesehen – arcus persici werden die Sol-daten des Antiochos (synekdochisch und) metonymisch genannt (Flor. epit.I 24,8,17). Der Sieg über sie stelle Rom auf eine Ebene mit Athen (Flor. epit.I 24,8,13: ne sibi placeant Athenae; in Antiocho vicimus Xerxen, in AemilioAlcibiaden aequavimus, Epheso Salamina pensavimus). Die Römer kämpftenfür das Schicksal Europas (Flor. epit. I 24,8,7: Europa iam dubio procul iurebelli ad Romanos pertinebat).

Florus hat den Vergleich Roms, des Siegers über Antiochos, mit Athen,dem Sieger über die Perser, tief und deutlich rhetorisch bearbeitet. Der spä-tere römische Historiker kommt dadurch zu dem uneingeschränkten undausdrücklichen Lob Roms, das allerdings bei Livius nur als ideologischerHintergrund der historischen Erzählung wahrgenommen wird. Die folgen-den Paragraphen wollen gerade dazu beitragen, diesen Hintergrund nochmehr zu erhellen.

IV

Die Städte Kleinasiens stellten sich nach dem Ende des Krieges gegenAntiochos “unter den Schutz des Konsuls und die Herrschaft des römi-schen Volkes” (Liv. XXXVII 45,3; nach der Übersetzung von H.J. Hillen).Über ihr Schicksal mußte daher der römische Senat entscheiden. Zur Vor-bereitung des Friedensvertrages kamen Gesandte des Antiochos, Eumenes,der König von Pergamon, Gesandte der Rhodier und Gesandtschaften ausden kleinasiatischen Gemeinden nach Rom und erschienen vor dem Senat.Livius lässt die zwei größten Mächte Kleinasiens (Pergamon und Rhodes)durch ihre Vertreter (Eumenes und die rhodische Delegation) ihre Interes-sen vor den römischen Senatoren in zwei Reden60 verfechten, die erkennbaraus der Sicht des Historikers gestaltet sind.

Eumenes soll in seiner Rede die Senatoren aufgefordert haben, sich nichtfür die Befreiung der kleinasiatischen Städte zu entscheiden, denn das wür-de ihn, ihren treuesten Allierten, den Rhodiern gegenüber benachteiligen

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61 Gleich nach dem König von Pergamon sollen die Smyrnäer zum Wort gekommen sein. Von ih-rer Rede erfahren wir jedoch fast nichts (Liv. XXXVII 54,2; vgl. auch Polyb. XXI 22,2-4) – das Glei-che gilt für die Reden der Delegationen der sonstigen asiatischen Städte (Liv. XXXVII 55,4). Livius er-zählt uns nur, dass man sie sehr für ihren Beitrag im Krieg gelobt habe.

62 Siehe WALSH (1992), zu Liv. XXXVII 54,25. Siehe auch den Kommentar von BRISCOE (1981),zu Liv. XXXVII 54,25: “imperium amplectebantur: scarcely applicable to the Asiatic Greeks”.

63 Den Bedingungen des Friedensvertrages zufolge müssten die Pergamon tributpflichtigen Städteweiterhin Abgaben leisten. Gemeinden hingegen, die Antiochos gegenüber tributpflichtig waren,wären von diesen Abgaben nun frei (Liv. XXXVII 55,6).

(Liv. XXXVII 53,3-19). Außerdem habe er darum gebeten, dass Rom ent-weder mit seiner militärischen Macht in Asien weiterhin bleiben oder dieStädte, die die Römer im Krieg unterworfen hatten, Pergamon zum Besitzgeben solle (Liv. XXXVII 53,25-27). Mit folgenden Worten habe er seineRede geschlossen: “Es ist aber freilich etwas Großes, unterjochte Gemein-den zu befreien. Das meine ich auch, wenn sie nichts Feindseliges gegeneuch unternommen haben. Wenn sie aber auf der Seite des Antiochos ge-standen haben, wieviel eher passt es dann zu eurer Klugheit und zu euremGerechtigkeitsgefühl, für eure Bundesgenossen, die sich um euch verdientgemacht haben, zu sorgen als für eure Feinde.” (Liv. XXXVII 53,28; in derÜbersetzung von H.J. Hillen)61.

Die Rhodier, in diesem Kontext die Gegner des Eumenes, haben in ihrerRede ihrerseits großzügig die Römer gelobt und aufgefordert, den kleinasia-tischen Städten die Freiheit zu schenken und diese Freiheit zu sichern undzu garantieren (Liv. XXXVII 54,16-17). In der Vergangenheit hätten dieGriechen selbst, so sagen die Rhodier nach Livius weiter, mit den eigenenKräften die Herrschaft geführt – man hat hier anscheinend an die Athenerzu denken62 –, jetzt wünschten die ehemaligen Herrscher, dass die Herr-schaft ewig dort bleiben solle, wo sie nunmehr sei. Rom solle, meinen dieRhodier, die Hegemonie über die kleinasiatischen Städte im Namen ihrerSicherheit und Freiheit übernehmen (Liv. XXXVII 54,25).

Die Rede der Rhodier entsprach nach Livius der Größe Roms (Liv.XXXVII 54,28). Der Senat entschied sich allerdings im Sinne des Eumenes,dass nämlich die Gebiete diesseits des Tauros, die zu Antiochos’ Reichgehörten, dem Pergamenischen Reich zufallen – mit der Ausnahme von Ly-kien und Karien bis zum Mäander, die an Rhodos gehen sollten (Liv.XXXVII 55,5-6)63.

Vor dem Hintergrund der Reden des Eumenes und der Rhodier er-scheint dieser senatorische Beschluß als ein Verzicht seitens Roms auf dieMacht in Kleinasien und gleichzeitig als eine Wohltat für seine Allierten,vorwiegend für Eumenes. Je überzeugender die Rede der rhodischen Dele-gation wirkt, desto großzügiger wirkt die römische Entscheidung, denn man

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64 Auch BURCK denkt – jedoch aus einer anderen Sicht –, dass die Rede der Rhodier ein positivesLicht auf die Politik der Römer wirft [(1982), 1168 (zu Liv. XXXVII 54,16.23-25)]: “Die römischeRechtsprechung, die auf dem panätolischen Landtag von 200 als lebens- und freiheitserstickenderDruck auf die Bevölkerung hingestellt worden war, wird nun als ideale Lebensordnung für die neueEinflußsphäre Roms im Osten, für das patrocinium, geradezu ersehnt”. Zum patriotischen Ton dieserRede s. auch WALBANK (1971), 63. Im Allgemeinen ist die Bemühung des Livius offensichtlich, dieHandlung der Römer zu rechtfertigen, ganz besonders wenn es um militärische Unternehmungen imOsten geht. Um nur einige Beispiele zu erwähnen: Das römische Heer plündert oder verwüstet, weil esProviant braucht (Liv. XXXVII 27,3.9). Plündereien scheinen letztendlich gerecht in einer Stadt, dienie ein treuer Bundesgenosse gewesen ist, wie Phokaia (Liv. XXXVII 32,12-13). Livius verschweigt al-lerdings auch nicht frevelhafte bzw. verbrecherische Taten der Römer; s. z.B. die Geschichte der Ver-gewaltigung der Frau von Orgiagontes (Liv. XXXVIII 24). Siehe außerdem die treffende Bemerkungvon LUCE (1977), 264 (allerdings erst über ein späteres Buch): “Beginning with Book 42 Livy marksout a second major phase in the decline. A new theme is introduced – the mistreatment of non-Ro-mans, whether allies, friends, or enemies …”

65 Im Grunde handelt es sich hier um die Geburt des Attischen Seebundes. Siehe ferner dazuThuk. I 75.89.94-95.

66 Vgl. die Bemerkung von TOULOUMAKOS (1971), 26: “… die romorientierte griechische Histo-riographie weist eine Idealisierung Roms (namentlich der klassischen Republik) auf und mehr noch:wenn sie auf Größen der griechischen Geschichte zu sprechen kommt, sieht sie diese öfters im Ver-gleich zu parallelen der römischen; und da erscheinen die Griechen in ihrer Ihnen- und Außenpolitik,aber auch in ihrem Staatsethos den Römern unterlegen”. Touloumakos unterstützt seine These durch

erhält den Eindruck, dass das Vertrauen und die Treue Roms gegenüberden Allierten jeden Wunsch nach Macht und Herrschaft übertroffen hat64.

Die römische Großzügigkeit und Gutmütigkeit wirkt sogar noch größer,wenn man das Ende des (Römisch-)Syrischen Krieges dem der PersischenKriege gegenüberstellt, wozu sowohl die Rede der Rhodier wie auch die un-terschwellige, zwischen den Zeilen des Livius-Textes schon vom Anfang dereinschlägigen Erzählung an spürbare entsprechende Erzählung Herodotsgenügend Anlaß geben. Herodot spricht nämlich von der Entstehung einesneuen Griechischen Bundes nach dem Ende der Perserzüge unter Bedin-gungen, welche diesen Bund von dem Bund Roms mit Pergamon und Rho-dos vollkommen unterscheiden: Die Athener und die Lakedämonier “nah-men die Samier, Chier, Lesbier und die übrigen Inselbewohner, die denGriechen beigestanden hatten, in ihren Bund auf” erzählt Herodot “undließen sie einen heiligen Treueid schwören, dass sie immer auf ihrer Seitebleiben und nicht abfallen würden” (Hrd. IX 106,4; in der Übersetzung vonJ. Feix)65. Wenn sich also die Bundesgenossen im Griechischen Bund nachdem Willen der mächtigen Athener und Peloponnesier entscheiden mußten,behielten die Bundesgenossen im Fall Roms nicht nur ihre Freiheit, sondernsie profitierten auch durch die Annektierung von neuen Ländern. Rom zeigtunter diesem Aspekt – das scheint Livius zu vertreten – ein anderes morali-sches Gesicht in seiner Außenpolitik als das, was die Griechen in der Ver-gangenheit gezeigt hatten66.

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einen Hinweis auf Polyb. XXXVIII 2,7, wozu er bemerkt (ebenda, 27): “Polybios … zieht, in einemVergleich der Unterwerfung der am achäischen Aufstand beteiligten Griechen durch die Römer mitKatastrophen aus der früheren griechischen Geschichte auch die nach dem Zusammenbruch Athensim Jahre 404 v.Chr. erfolgte Schleifung der Mauer der Stadt durch die Spartaner heran und wirft ihnenvor, dass sie barÚteron œcrˇsanto tÍ doqe∂sV sf∂si para\ tÁj tÚchj œxous∂v”. Zu der Beziehung derrömischen Expansionspolitik zu jener Athens s. KLINZ (1960), 39.

67 Zu diesen gehören Ilion und Dardanos; beide Städte genießen auf Grund ihrer alten Geschich-te die Ehre der Römer (Liv. XXXVIII 39,10).

68 Der (Römisch-)Syrische Krieg selbst hat bewiesen, dass die kleinasiatischen Gemeinden als ein-zelne Städte militärisch schwach waren und den Schutz eines Mächtigeren ständig brauchten. Kolo-phon, Teios, Phokaia geben entsprechende Beispiele: Nach Liv. XXXVII 26,8-9 bittet Kolophon dieRömer um Beistand bei der Belagerung durch Antiochos; Angst ergreift die Stadt jedesmal, wenn einFeind vor ihren Mauern erscheint; das Land leidet außerdem unter Verwüstungen durch die Piraten(Liv. XXXVII 27,4-5). Teios hat der königlichen Flötte Proviant und 5000 Gefäße Wein versprochen;die Stadt war jedoch auch bereit mit den Römern zu verhandeln, als sie von ihnen unter Druck gesetztwurde (Liv. XXXVII 28,9). Phokaia liefert sich den Römern aus, sobald es den Eindruck bekommt,dass Antiochos die Stadt verlassen hat (Liv. XXXVII 32,10). Siehe auch Liv. XXXVII 37,1-2: Darda-nos und Rhoiteion haben den römischen Konsul anscheinend mit Freude empfangen.

69 Siehe GRUEN (1984), 548: “Roman senators could hardly make any plainer their desire to keepAsia Minor at a distance and to leave to others the chore of policing it. Generous awards to Pergamumand Rhodes set them in that role and advertised a stable order in Anatolia …” Siehe allerdings HARRIS

(1985), 223: “The war established Rome as the decisive power in the affairs of Asia Minor”.70 BURCK (1982), 1169.

Nichtsdestotrotz bleibt die pragmatische und realistische Grundlage derrömischen Politik in Kleinasien in der Erzählung des Livius erkennbar,denn es ist offensichtlich, dass die Römer im Friedensvertrag mit Antiochoseinen Kompromiß schliessen: Einerseits geben sie die Freiheit nur wenigenStädten Kleinasiens – trotz ihrer Versprechungen67 –, die allerdings nicht inder Lage sein könnten, ihre Autonomie von einem mächtigen potentiellenEroberer aus eigener Kraft zu schützen68, andererseits belohnen sie ihreBundesgenossen für ihren Beitrag im (Römisch-)Syrischen Krieg durch dieAnnektierung von neuen Ländern, so dass gerade diese (besonders Eume-nes) voller Dankbarkeit gegen Rom und gestärkt in ihrer Macht den Schutzder Freiheit und des Friedens in Kleinasien übernehmen69.

V

Erich Burck hat bereits bemerkt70, dass Livius in seinem Werk “die bitte-re Schmähung Roms als eines zutiefst von den Griechen verschiedenen, bar-barischen Volkes” zu widerlegen versucht hat. Vom Krieg zwischen den Rö-mern und Antiochos III. erzählt Livius tatsächlich als von einer historischenGelegenheit, die Rom hatte, sich seiner unterschiedlichen kulturellen Iden-tität als Vertreter des Westens gegenüber dem Osten bewußt zu werden und

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71 Nach der Erzählung des Livius “infizierte” der Reichtum des Antiochos letztendlich doch dierömische Integrität. Siehe dazu Liv. XXXVII 57,12-15.

72 Zu anderen Beispielen von Auswertung der mythischen bzw. historischen Vergangenheit im Di-enste von politischen Zwecken s. HARDIE (1986), 142, Anm. 56 (gerade zu der Auswertung derSeeschlacht in Salamis zwischen den Griechen und den Persern): “Augustus’ Salamis naumachy of 2 BC(Ov. Ars Am. 1,171f.) advertised Rome’s assumption of the Athenian role of champion of Hellas againstthe Orientals: see G. BOWERSOCK in F. MILLAR - E. SEGAL (eds.), Caesar Augustus: Seven Aspects (Ox-ford, 1984), pp. 174f.”; ebenda 153: “… the new is the result of a reworking of the old …; an analogy tothe general method of glossing a victory by allusions to archetypal victories in the past is found in theAttalid dedication on the Acropolis, in which our response to the event commemorated, the defeat ofthe Galatians, is guided by the simultaneous display of scenes of defeated Giants, Amazons, and Per-sians”. Auch Vergil hat in der Aeneis auf konkrete mythische bzw. historische Ereignisse hingedeutet,die dem Inhalt seiner Erzählung als Folie dienen sollten [s. dazu HARDIE (1986), 153-154].

73 Die philosophische Grundlage der Erzählung des Livius stellt eine immer noch interessanteFrage dar. Zum Thema s. MAZZA (1966), 129-151.

dann diese Identität nach außen zu demonstrieren71. Die Vorstellung Hero-dots von der Bedeutung des Konfliktes zwischen Europa und Asienwährend der Perserzüge gegen Griechenland scheint im Denken des Liviusals Folie für den Krieg zwischen den Römern und Antiochos gedient zu ha-ben72. In den Augen unseres Historikers hat Rom seine “Perserzüge” eben-falls wegen Kleinasien erlebt; die Römer sind dadurch zu domini orbis ter-rarum geworden – allerdings im Namen einer Moral, die sie als den Grie-chen überlegen erscheinen ließ bzw. lässt.

Diese Beziehungen der Erzählung des Livius zu der älteren griechischenHistoriographie und deren Ideologemen mögen zwar den rein historiogra-phischen Wert des livianischen Werkes einschränken, sie beweisen jedochseinen Gedankenreichtum, der es noch zu erforschen gilt73.

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* Ringrazio più che mai Emilio Gabba per suggerimenti e consigli.1 Historiography at the End of the Republic: Provincial Perspectives on Roman Rule, Oxford 2006.

I ROMANI VISTI DALL’ASIA: RIFLESSIONI SULLA SEZIONE ROMANA DELLA STORIA DI ERACLEA DI MEMNONE*

PAOLO DESIDERI

Uno studio recentissimo di Liv Mariah Yarrow1 esamina per così dire inparallelo sei storici “della fine della Repubblica” (Posidonio, Diodoro, Pom-peo Trogo, Nicolao di Damasco, Memnone di Eraclea e l’autore del I librodei Maccabei), nell’ipotesi che un elemento comune fra di essi possa esserecostituito dal fatto di essere tutti dei provinciali, e che pertanto essi possanooffrire, come recita il sottotitolo, Provincial Perspectives on Roman Rule.Personalmente ho qualche dubbio che il puro e semplice fatto che siano deiprovinciali sia un elemento adeguato a dare ragione di possibili punti dicontatto fra questi storici, e non sono nemmeno sicuro che questi punti dicontatto – al di là della contemporaneità cronologica, per altro relativa – sia-no in realtà così rilevanti da giustificare una valutazione congiunta dei testiin cui sono contenuti. Tuttavia, per quanto riguarda in particolare Memno-ne, del quale unicamente ora ci occuperemo, in questo libro è senz’altro ap-prezzabile lo sforzo che è stato fatto per collocare questo storico – o per me-glio dire, come ora vedremo, l’ultima sua parte – in un contesto culturale si-gnificativo, identificando alcuni elementi importanti della sua struttura e deisuoi interessi. Mi pare però che dall’analisi dell’autrice non emerga tuttoquello che può veramente servire a definire la peculiare prospettiva su Ro-ma, in quanto elaborata originariamente – all’inizio del II secolo a.C. – nelcontesto della specifica tradizione politico-culturale della grecità dell’Anato-lia nord-occidentale; e maturata successivamente alla luce degli sviluppi del-la politica romana in Asia Minore, fino alla vicenda militare conclusiva delleguerre mitridatiche. Le considerazioni che seguono sono dunque propostenello spirito di un approfondimento e di un’integrazione rispetto ai risultatidi questo libro, che in ogni caso rinnova profondamente l’approccio ad untesto del quale non è stata finora tentata una lettura comprensiva.

Ricordo brevemente che il testo dello storico Memnone di Eraclea (Pon-tica), comunemente noto come Storia di Eraclea, si conserva solo nella formadi un riassunto parziale che il patriarca bizantino Fozio ne fece nella sua Bi-

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2 Dalla p. 222b alla p. 239b dell’edizione di I. BEKKER (Berolini 1824-1825, poi ristampata nellaPG, tt. CIII-CIV). Il testo di Memnone fu in seguito compreso nei Fragmenta Historicorum Graecorum(III, 525 sgg.) di C. e T. MÜLLER (Paris 1841-1873), e infine nei Fragmente der griechischen Historiker(FGrHist) di F. JACOBY (IIIB, Leiden 1950, n. 434, con commento e note in IIIb, Leiden 1955), dellacui edizione ci serviamo. Naturalmente si è tenuta presente anche l’edizione della Bibliotheca, di R.HENRY, nella collezione bizantina de Les Belles Lettres (voll. 9, Paris 1959-1991), dove il cod. 224 diMemnone compare nel vol. IV (1965). Ad un’analisi della sezione “classica” ed ellenistica dell’operamemnoniana ho dedicato Studi di storiografia eracleota, usciti in due puntate in “SCO” 16 (1967), 366-416, e 19-20 (1970-1971), 487-537. Per la sezione romana dell’opera si può consultare il commento diM. JANKE (Historische Untersuchungen zu Memnon von Herakleia, Würzburg 1963).

3 Ta\ j d‹ prètaj h ≤stor∂aj kaπ ta\ j meta\ th\ n ij– oÜpw e≥pe√n e≥j q◊an hmîn ¢figm◊naj ⁄comen

(240a 9-11).4 Dall’ipotesi delle “ottadi” R. LAQUEUR deduceva l’impossibilità che l’opera proseguisse oltre il

sedicesimo libro (data la presunta inesistenza di materia da trattare): RE XIII,1 (1926), 1098, 67 (s.v.Lokalchronik); ma vd. le considerazioni di F. JACOBY (FGrHist IIIb cit., 1955, 171-172, n. 5), e di segui-to DESIDERI, Studi cit., 1967, 373-374, e infra.

5 IosPE (ed. LATYSCHEV) I2, 1916, 362; nessun elemento di novità offre in proposito il volumedella serie IGSK (vol. 47) The Inscriptions of Heraclea Pontica (ed. by L. JONES), Bonn 1994.

blioteca (della quale costituisce il cod. 2242). L’opera si componeva di alme-no 16 libri, ma il patriarca vide e riassunse solo quelli dal nono al sedicesi-mo, e ne termina il riassunto dichiarando: “dei primi otto libri e di quellisuccessivi al sedicesimo non sono ancora in grado di parlare, perché non so-no pervenuti alla mia vista”3. Quello che ci è arrivato per questa via è dun-que una narrazione più o meno continua di eventi di storia eracleota (o neiquali comunque Eraclea è stata coinvolta) che va dalla tirannide di Clearco(dal 364/363 a.C.) alle guerre mitridatiche e all’età di Cesare. È facile imma-ginare che nei primi otto libri il racconto coprisse la storia della città dai mi-ti di fondazione fino a Clearco, mentre è difficile fare ipotesi altrettanto si-cure circa il punto di arrivo dell’opera: si è pensato che il testo visto da Fo-zio fosse il secondo volume di un’edizione in tre volumi, ciascuno compren-dente otto libri, e che di conseguenza la storia potesse arrivare orientativa-mente al secondo secolo d.C.4 All’ipotesi di tale punto di arrivo ritenni mol-ti anni fa – in sede di tesi di laurea – di poter addurre come sostegno il fattoche in un’iscrizione proveniente dalla colonia eracleota di Chersoneso tauri-ca, e risalente all’età di Antonino Pio, è menzionato un cittadino eracleota dinome Memnone, che potrebbe essere il nostro storico5; ma in tanto temponon sono riuscito a trovare argomenti che possano suffragare siffatta identi-ficazione. In ogni caso Memnone non era che l’ultimo di una catena di stori-ci eracleoti – dei quali conosciamo alcuni nomi – che in tempi diversi aveva-no scritto la parte della storia della città che ciascuno aveva conosciuto di-rettamente, ma riprendendo e ripercorrendo insieme tutto il pregresso, de-sunto dagli storici antecedenti: un procedimento che si suppone caratteristi-co del tipo di storiografia antica che noi chiamiamo “storiografia locale”.

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6 FGrHist, n. 430.7 FGrHist, n. 432.8 FGrHist, n. 433.9 Vd. DESIDERI, Studi cit., 1970-1971, 495 e n. 30; ed infra.

Tra questi storici il primo era forse stato Promathidas6, vissuto probabil-mente tra il IV e il III secolo, che naturalmente aveva anzitutto riorganizzatostoricamente il patrimonio delle tradizioni mitologiche; il maggioreNymphis7, noto anche come autore di una “Storia universale” (da Alessan-dro agli Epigoni), vissuto fino alla metà del III; e quello per noi più impor-tante (insieme a Memnone stesso), Domizio Callistrato8, forse vissuto nellaprima età romana di Eraclea, fino alla metà del II9, a cui potrebbe essere at-tribuito il resoconto dei primi contatti fra Eraclea e i comandanti romani inAsia, e la redazione dell’excursus sulla storia di Roma incorporato in questoresoconto.

Nel testo di Memnone visto e riassunto da Fozio confluivano le opere diquesti autori, e di altri che non conosciamo: in particolare se Memnone èvissuto in età antonina – l’ipotesi che mi pare ancora la più convincente, co-me vedremo – e Domizio Callistrato alla metà del II secolo a.C., ci manche-rebbe il nome dell’autore al quale risale la stesura originaria del raccontodelle guerre mitridatiche; se viceversa Domizio Callistrato fosse – come èper la verità possibile – l’autore del racconto delle guerre mitridatiche, nonsapremmo a chi attribuire la narrazione originaria dei primi contatti Era-clea-Roma, e l’excursus di storia romana. La sezione romana dell’opera ini-ziava lasciandosi alle spalle un consistente vuoto rispetto alla conclusionedella sezione ellenistica (verosimilmente quella scritta originariamente daNymphis), che a quanto pare terminava con la notizia di una serie di atti dimunificenza di Tolomeo (III Evergete) nei confronti di Eraclea, risalenti contutta probabilità ai decenni centrali del III secolo (c. 17 Jacoby; di seguito sifarà sempre riferimento alla capitolazione dei Fragmente der griechischen Hi-storiker). Immediatamente dopo (229a 9 sgg.) Fozio dichiara infatti che “ar-rivato a questo punto lo storico passa al dominio romano” (m◊cri toÚtoufq£saj o suggrafeu\ j e≥j th\ n tîn `Rwma∂wn œpikr£teian th\ n œkbolh\ npoie√tai), e fa seguire un excursus sulla storia di Roma, che inizia con le ori-gini del popolo romano e la fondazione della città (Óqen te g◊nouj ⁄fusankaπ t∂na trÒpon tÁj 'Ital∂aj œntaàqa katókhsan Ósa te e≥j th\ n tÁj `Rèmhjkt∂sin proÜlab◊ te kaπ œpr£cqh), e si conclude con le sconfitte di Antioco(in Grecia) e la sua cacciata dall’Europa (c. 18,1-5): cioè col 191 a.C. C’è unpunto preciso d’inserimento dell’excursus, che lo stesso Fozio indica al mo-mento di chiuderlo, quando dichiara che “lo storico (Memnone) tratta finqui del dominio romano” (ora il termine usato è ¢rcˇ), e aggiunge: “ripren-

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dendo il racconto principale (¢nalabën) scrive che gli Eracleoti mandaronoun’ambasceria ai comandanti romani passati in Asia” (c. 18,6). L’excursusera dunque occasionato dal racconto dell’arrivo dell’esercito romano in Asianella primavera del 190, e dell’invio da parte di Eraclea dell’ambasceria chesegna il primo contatto con Roma; non è chiaro come questo racconto fosseraccordato nel testo originario con la già ricordata notizia che Fozio dà co-me immediatamente precedente (gli atti di munificenza di Tolomeo): quelloche è certo è che la spedizione di Antioco in Grecia faceva parte, come si èvisto, dell’excursus, era cioè presentata come un episodio dello sviluppo del-la potenza romana. Ancora più interessante è il fatto che l’excursus com-prendeva, prima di questo episodio, una sezione dedicata alle guerre di Ma-cedonia, che arrivava a trattare della sconfitta finale di Perseo ad opera diEmilio Paolo (c. 18,4), avvenuta notoriamente venti anni dopo la guerracontro Antioco.

Le implicazioni di questa situazione testuale sono evidenti: prima di tuttol’autore originario dell’excursus (e dell’inserimento nel racconto dei primicontatti romano-eracleotici) – si tratti o no di Domizio Callistrato – ha scrit-to dopo il 168, e non molto dopo quella data: altrimenti avrebbe verosimil-mente riportato altre vicende successive pertinenti ai rapporti di Roma conil mondo greco-ellenistico. In secondo luogo questo autore – che continuavacon la narrazione degli ultimi decenni la storia eracleota dal punto in cui siera conclusa l’opera storica di Nymphis (attorno alla metà del III secolo, co-me si è visto) – nel filo principale del racconto vedeva l’affacciarsi di Romain Asia Minore nei termini dell’instaurazione di un rapporto bilaterale fraEraclea e Roma (ambasceria di Eraclea ai comandanti romani, e in prosie-guo di tempo stipulazione di un trattato fra i due Stati). Si trattava di unoschema perfettamente compatibile con le caratteristiche della storiografialocale, ma che tradiva un ridimensionamento delle ambizioni politiche dellacittà rispetto al periodo storico precedente, quale emergeva dal raccontoninfideo: in quella fase infatti Eraclea era stata, come capo di una lega dicittà marittime, uno dei protagonisti della politica internazionale. Lo stessoMemnone dichiara, parlando più avanti di un assalto dei Galati ad Eracleaavvenuto “prima del passaggio dei Romani in Asia”, che la città “aveva per-so molta dell’antica forza, ed era decaduta al punto di apparire trascurabile”(c. 20,1). La valorizzazione strumentale che la dirigenza romana aveva ope-rato delle potenze minori e minime dell’Anatolia occidentale in concomitan-za con lo scontro con Antioco, per quanto gratificante, non poteva comun-que occultare il fatto che le pÒleij dell’area non erano ormai più in grado digiocare un ruolo autonomo nella grande politica del tempo. Certo al mo-mento in cui veniva composto l’excursus la politica romana non aveva anco-ra evidenziato, almeno in ambito asiano, quegli elementi di durezza imperia-

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10 Vd. E. GABBA, Sulla valorizzazione politica della leggenda delle origini troiane di Roma (III-II se-colo a.C.) (1976), in ID., Aspetti culturali dell’imperialismo romano, Firenze 1993, 89-112; A. ERSKINE,Troy between Greece and Rome. Local Tradition and Imperial Power, Oxford 2001; e il mio Cultura del-la Troade, in stampa negli Atti del Convegno su Geografia e storia ellenistica nell’Asia Minore di Strabo-ne (Perugia 22-24 settembre 2005).

11 Su questa politica vd. i miei Studi cit., 1970-1971, 498 sgg.

le che erano invece ormai anche troppo chiari nell’ambiente greco-macedo-ne: forse per questo nella costruzione dell’excursus l’autore aveva preferitoalla più ovvia sequenza cronologica un approccio geografico – con le vicen-de di Macedonia tenute accuratamente separate da quelle d’Asia – come sela maggiore distanza dell’Asia potesse mettere al riparo questa regione dallalogica espansionistica di Roma. Una ricognizione anche sommaria dei prin-cipi ispiratori di questa mini-storia di Roma dovrebbe poter servire a conva-lidare l’impressione che il rapporto con la grande città d’Occidente, in AsiaMinore potesse essere ancora a questa data ispirata all’idea di una possibilecollaborazione paritaria con Roma anziché di una subordinazione clientela-re. Dobbiamo tenere presente che, ex hypothesi, siamo più o meno all’epocain cui l’acheo Polibio, deportato a Roma dopo la fine della Macedonia, ini-zia viceversa a considerare, in modo realistico e rassegnato, l’inevitabilità, aseguito del dilagare della potenza romana, di un tramonto definitivo della li-bertà politica greca.

L’excursus si apriva con i miti delle origini dei Romani (c. 18,1): vi si nar-rava “di quale stirpe fossero originari, e in che modo si fossero stanziati inquesta parte d’Italia, e tutto ciò che aveva preceduto e reso possibile la fon-dazione”. Si trattava evidentemente di un racconto articolato e completo; ilriferimento, in particolare, ad un’origine extra-italica della popolazione(Óqen te g◊nouj ⁄fusan kaπ t∂na trÒpon tÁj 'Ital∂aj œntaàqa katókhsan)induce a ritenere che l’autore facesse propria la tradizione “troiana” di Ro-ma: e non c’è bisogno di ricordare che importante ruolo – testi Livio e Tro-go-Giustino, ma con sicure risalenze fin all’epoca degli eventi – questo tipodi connessione abbia giocato nella propaganda romana, non meno che dellecittà della Troade, prima e durante la guerra con Antioco10, sullo sfondodella linea politica ufficiale romana della tutela della libertà delle città gre-che, tanto di Grecia quanto d’Asia11. Poco c’è da dire sulle scheletriche no-tizie successive – periodo dei re, guerre di espansione (nell’Italia centrale),vicende di politica interna (con il passaggio dalla monarchia al regime con-solare) – ma non è ovvia dal nostro punto di vista la menzione dell’episodiogallico del 390 (c. 18,1), sia perché i Galli (d’Asia) rappresentano una pre-senza importante – non sempre negativa – nella vita di Eraclea, sia perché siinsiste sul pericolo mortale corso a quel tempo dalla città: mi pare che sipossa parlare a questo proposito di una voluta sottolineatura della preca-

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12 Su questa notizia memnoniana (e altre analoghe relative ai rapporti fra Alessandro e i Romani)vd. L. BRACCESI, Grecità adriatica, Bologna 19772, 250-276.

13 DESIDERI, Studi cit., 1970-1971, 511, n. 113.

rietà e anche dei limiti della forza di Roma. Ancora più rilevante da questopunto di vista è la notizia successiva, di cui Memnone è testimone unico,quella secondo la quale i Romani avrebbero risposto ad una lettera in cuiAlessandro Magno, al momento di passare in Asia, li invitava a “usare la for-za, se erano in grado di governare, oppure a cedere ai più forti”, con l’inviodi una corona d’oro del peso di cento (?) talenti (c. 18,2)12. Si tratta eviden-temente di una forte rivendicazione, attraverso il richiamo alla potenza delcampione politico della grecità, della superiorità del mondo asiano su quelloromano. La vittoria su Pirro e i Tarantini apre la sezione finale dell’excursus,quella più decisamente finalizzata a riassumere le tappe dell’espansione ro-mana nel mondo mediterraneo, da Occidente (guerre contro Cartagine econtro gli Iberi), a Oriente (guerre contro i Macedoni e contro Antioco).Volendo riassumere il senso complessivo di questo profilo storico, si puòforse dire che agli occhi dell’eracleota che l’ha scritto Roma appare uno Sta-to col quale per una città d’Asia minore – grazie anche alla sugg◊neia troia-na originaria – c’è uno spazio aperto per instaurare un rapporto paritetico;uno Stato tendenzialmente amico, da utilizzare possibilmente come puntodi riferimento privilegiato contro le tendenze aggressive dei grandi re inte-ressati all’area degli Stretti – visto che molti re, da Pirro a Perseo, avevanodovuto cedere ai suoi eserciti.

Questo è in ogni caso il messaggio proposto in chiaro nel racconto che lostorico fornisce degli scambi diplomatici di cui Eraclea prende l’iniziativa almomento dello sbarco in Asia degli eserciti romani – che è la notizia con laquale riprende il racconto continuo dopo l’excursus. Dal contenuto della let-tera di risposta di un comandante romano (c. 18,6) – che sarà probabilmen-te Lucio Emilio Scauro piuttosto che l’inesistente Publio Emilio13 – con laquale i legati di Eraclea tornano dal campo romano si può ricavare che essigli avevano presentato delle richieste di appoggio e di protezione, da forma-lizzare in un rapporto di amicizia bilaterale. Il seguito delle trattative (c.18,7-8) – svolte con Lucio Cornelio Scipione – mostra che le preoccupazionidegli Eracleoti non erano tanto nei confronti di Antioco, quanto presumibil-mente nei confronti dei potentati minori dell’area nord-occidentale dell’A-natolia, come i re di Bitinia o i Galati, con i quali Eraclea aveva un conten-zioso pressoché ininterrotto da decenni; e che in ogni caso l’arrivo dei Ro-mani non preoccupava meno di quello dei Siriaci. È molto significativo ineffetti che nella seconda ambasceria a Scipione Eraclea operi un tentativo dimediazione fra i due contendenti, invitando i Romani a venire a patti con

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14 Su questo tentativo di mediazione vd. DESIDERI, Studi cit., 1970-1971, 496-497; 510-512; 526.15 Vd. i miei Studi cit., 1970-1971, 487-493.16 Discussione in YARROW, Historiography cit., 2006, 321-322.

Antioco: mentre al contempo viene inviata anche ad Antioco una lettera allostesso fine (c. 18,8)14. È chiaro che la preoccupazione di Eraclea è di tutela-re da qualsiasi ingerenza, tanto da Oriente quanto da Occidente, la libertàdell’area politica nella quale tradizionalmente la città si muove. È facile im-maginare quale accoglienza poteva ricevere presso i Romani una richiestadel genere; tuttavia Scipione si concede il lusso di una risposta garbata (oforse ironica), assicurando Eraclea che “i Romani hanno posto fine alla lottacon Antioco”, e lo stesso risponde anche il fratello Publio comandante dellaflotta. Naturalmente l’esito del conflitto sarà anche per Memnone quelloche tutti sappiamo, cioè lo scontro decisivo (a Magnesia) fra Romani e Siria-ci, e la pace (di Apamea), della quale Memnone riportava le clausole: “ab-bandono da parte di Antioco di tutta l’Asia, consegna degli elefanti e dellaflotta, limitazione del suo dominio alla Commagene e alla Giudea” (c. 18,9).Su tutta questa vicenda – e sugli aspetti storiografici di questa ricostruzionedei fatti, che si discosta nettamente dalla vulgata polibiano-liviana – ho inda-gato molti anni fa, e non è il caso che mi ripeta; ma credo di poter ribadire ilcarattere originale della narrazione, e la sua adeguatezza alle esigenze e alleprospettive politiche di una città, la cui ragione di vita era da secoli rappre-sentata dall’agibilità della grande via commerciale degli Stretti15. Il compor-tamento tenuto coi Romani mirava ad instaurare con essi un rapporto analo-go a quello avuto per diverse generazioni con i re d’Egitto, che avevano finoad allora assicurato – d’intesa con la potente repubblica di Rodi – la libertàdegli scambi commerciali e della navigazione in quest’area (vale la pena diricordare come lo stesso Memnone menzioni un intervento eracleota a favo-re di Chio alleata di Rodi nel corso della prima guerra mitridatica: c. 23,216).

Il seguito della storia mostrerà come queste esigenze politico-commercialidi Eraclea si scontrino alla distanza con la logica dell’espansione imperialedei Romani, quella logica imperiale che era di per sé incompatibile, comegià Tucidide aveva denunciato, con qualsiasi principio di “equilibrio inter-nazionale”. In ogni caso il testo di Memnone procede ricordando (c. 18,10)come, nonostante il fallimento del tentativo di mediazione, la linea politicadi fondo di Eraclea continui a svilupparsi nello stesso senso anche con i co-mandanti romani inviati successivamente in Asia – si dovrà pensare in primoluogo a Manlio Vulsone – finché si arriva all’esito finale di tutto questo lavo-rio diplomatico: la stipulazione, in una data imprecisabile, ma certo nontroppo lontana da questi eventi, di un trattato, in termini romani presumi-bilmente un foedus aequum, nel quale si stabilisce “che i Romani e gli Era-

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17 P. 229b, 29-31: mh\ f∂louj e≈nai mÒnon ¢lla\ kaπ summ£couj ¢llˇloij, kaq' ïn te kaπ Øp‹r ïn

dehqe√en Œk£teroi.18 Sulla stipulazione di questo trattato vd. ora YARROW, Historiography cit., 2006, 253-254 e n. 14.19 Pol. 10,38,3; 40,2-5. Sulla descrizione della personalità di Scipione e sui suoi tratti carismatici

nei primi capitoli del libro X di Polibio vd. E. GABBA, P. Cornelio Scipione e la leggenda (1975), in ID.,Aspetti cit., 1993, 113-131.

cleoti non siano solo amici, ma anche alleati fra di loro, per quello di cui ab-biano reciprocamente bisogno”17. Il trattato, le cui condizioni sono definite“pari e analoghe” (∏souj kaπ omo∂aj), e del quale Memnone ricorda solen-nemente l’incisione su tavole bronzee, e l’affissione a Roma nel tempio diGiove Capitolino e ad Eraclea nel tempio di Zeus, avrebbe poi costituito ilpunto di riferimento dei successivi rapporti politici romano-eracleoti, fino aldisastro dell’ultima guerra mitridatica18. È appena il caso di ricordare, infat-ti, che al centro dell’interesse di questa storia sta una problematica politica:e cioè il tema della possibilità della sopravvivenza di una polis in un contestodi grandi Stati territoriali in conflitto fra loro, e alla fine nell’ambito di unimpero “mondiale” (alla scala di quel tempo). Da un punto di vista storio-grafico questo interesse si traduce in un discorso che cerca di raccordare –come si vede specialmente nella sezione relativa alle guerre mitridatiche – ilracconto della storia interna della città con quello degli eventi della storiagenerale; e forse il risultato non è dei migliori, dal momento che in realtà lastoria generale è quasi completamente assente per il periodo che va dall’im-mediato dopoguerra siriaco fino appunto all’inizio delle guerre mitridatiche.Su questo aspetto è doveroso però trattenere il giudizio, dal momento chequello che abbiamo a disposizione, come si è ricordato all’inizio, non è il te-sto originale di Memnone bensì il riassunto che ne ha fatto Fozio.

Il testo di Memnone consente tuttavia anche qualche altra considerazio-ne, in particolare per quanto riguarda i rapporti culturali che vengono a in-staurarsi tra Eracleoti e Romani a partire dall’arrivo di questi ultimi in Asia;i dati che se ne ricavano tradiscono in effetti interessi specifici, che presenta-no elementi di differenza rispetto alla storiografia romano-centrica (tantogreca – da Polibio a Posidonio a Strabone – quanto romana). È notevole adesempio che in sede di excursus, parlando della guerra annibalica, Memnone(c. 18,3) richiami curiosamente quello che si potrebbe considerare un ele-mento secondario della biografia di Publio Cornelio Scipione, cioè il fattoche “fu designato re dagli Iberi, ma lui non accettò”: notizia che compareanche in Polibio, ma nella sede narrativa appropriata, cioè nel corso del rac-conto delle operazioni militari romane in Spagna19. L’autore originario deltesto memnoniano – che scriveva, lo ricordiamo, subito dopo la fine del re-gno di Macedonia – rivelava qui in realtà la tenace persistenza in Asia di unatradizione scipioniana dai tratti fortemente personalistici, capace di riverbe-

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20 Su questa tradizione vd. anche DESIDERI, Studi cit., 1970-1971, 526.21 Fil∂an te prÕj aÙtou\ j tÁj sugklˇtou boulÁj Øpiscne√to (c. 18,6). 22 ...nec ad aliam rem eo profectum, quam ut, id quod Hispaniae Galliae Siciliae Africae iam pridem

persuasum esset, hoc Graeciae Asiaeque et omnibus ad orientem uersis regibus gentibusque appareret,unum hominem caput columenque imperii Romani esse, sub umbra Scipionis ciuitatem dominam orbisterrarum latere, nutum eius pro decretis patrum, pro populi iussis esse (Liv. 38,51,3-4).

23 È il senato che decide – dopo la morte di Nicomede III nel 94 – l’attribuzione a Nicomede (IV)del regno di Bitinia (c. 22,5); che salva la città di Atene dalla distruzione progettata da Silla dopo laconquista (c. 22,11) – una notizia invero di difficile interpretazione (secondo JACOBY, IIIb, 1955, ad l.,si tratta di un fraintendimento di Plut., Sul. 14,9: ma nulla prova che Memnone conoscesse Plutarco;secondo JANKE, Historische Untersuchungen cit., 1963, ad l., Memnone allude qui ai senatori presentinel campo di Silla); che spedisce Flacco e Fimbria a combattere contro Mitridate, ma con l’ordine dicombattere anche contro Silla, nel caso che questi non segua le disposizioni del senato (c. 24,1); chemanda in Asia Murena nell’83 (c. 26,1), Aurelio Cotta in Bitinia, e Lucullo in Asia nel 74 (c. 27,1),sempre con l’incarico di combattere Mitridate (in realtà, per quanto riguarda Murena, risulta da Ap-piano, Mithr. 265, che egli è stato lasciato in Asia da Silla: JACOBY, Komm. ad l.). È ancora il senato checonferisce a Cotta, dopo la fine delle operazioni di conquista di Eraclea, il titolo di “Pontico” (c. 39,1),ma che soprattutto delibera subito dopo la consegna degli Eracleoti ridotti in schiavitù (ibid.), e infinesottopone a censura Cotta per il trattamento brutale inflitto alla città (c. 39,2-4). In generale sul ruolodel senato in Memnone vd. YARROW, Historiography cit., 2006, 189-190.

rarsi sul racconto retrospettivo di episodi di storia di qualche decennio pri-ma20. Si tratta di una tradizione che non poteva che essersi formata al mo-mento delle prime operazioni militari romane in quest’area, quando la per-sonalità di Scipione si era evidentemente imposta ai suoi interlocutori asianicome quella di un “sovrano”, nonostante che dovesse essere noto agli Era-cleoti che la direzione della politica estera romana stava saldamente, a que-st’epoca, nelle mani del senato: lo si poteva ricavare già dalla prima letteradi Lucio Emilio Scauro, di cui il testo di Memnone ci conserva un sunto, dalmomento che in essa il comandante “prometteva loro l’amicizia del sena-to”21. Si sa d’altra parte che il senato stesso, dal canto suo, era decisamentepreoccupato di questo che in termini moderni si potrebbe definire “cultodella personalità” di Scipione in ambito provinciale, come si vede nelle ac-cuse che Livio fa rivolgere a Scipione stesso dai tribuni in occasione del fa-moso processo: “[Scipione] non era andato là [sc. in Asia] se non perchéfosse chiaro alla Grecia e all’Asia, nonché a tutti i re e le popolazioni d’O-riente, quello di cui erano già prima convinte la Spagna, la Gallia, la Sicilia el’Africa, cioè che un solo uomo era la testa e la colonna dell’impero romano,che la città dominatrice del mondo stava all’ombra di Scipione, e che un suocenno valeva quanto i decreti dei padri e le decisioni del popolo”22.

È tuttavia necessario sottolineare come l’ultima parte della storia di Mem-none – alla cui analisi ora ci dedicheremo – manifesti un rispetto quasi osten-tato per le prerogative del senato, come si vede a una semplice scorsa dei duelibri nei quali si raccontano le guerre romano-mitridatiche23. Si potrebbedunque dire che il richiamo al senato come titolare dell’autorità per l’iniziati-

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24 Non direi che Memnone mostri apprezzamento o vanto per quest’azione (così invece YARROW,Historiography cit., 2006, 280; 290).

25 Cic., De off. 2,26.26 Su questo passaggio vd. A. MOMIGLIANO, Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture (ed.

orig. 1975), Torino 1980, 118; E. GABBA, Lo spirito santo, il senato romano e Bossuet (1985), in ID.,

va e l’organizzazione militare – ma più in generale per la politica estera roma-na – è continuo, mentre non trapela nessuna nozione di una dimensione poli-tica dei comandanti romani dopo Scipione (e fino a Cesare), o di una pesanteinterferenza in questo tipo di scelte da parte dei comizi tributi: certo una va-lutazione inesatta per l’epoca della tarda repubblica, quando ormai il poteredecisionale reale è sempre più nelle mani dei capi militari. Il passaggio nelquale forse è più rilevato il ruolo del senato in politica estera è quello nelquale il testo di Memnone critica il comportamento della dirigenza eracleotain occasione dell’episodio che determinerà il passaggio definitivo di Eracleadall’alleanza romana a quella mitridatica, e in prosieguo di tempo la rovinadella città (c. 27). Siamo nel 74, all’inizio di quella che è nota come terzaguerra mitridatica, con Lucullo e Cotta pronti ad iniziare la spedizione nelPonto, mentre Mitridate a sua volta avanza dal Ponto verso la Bitinia e l’Asiacon l’esercito di terra e la flotta. La flotta mitridatica costeggia Eraclea: lacittà le rifiuta l’accesso nel porto, ma accetta di rifornirla, e nel corso delletrattative a ciò connesse il comandante mitridatico Archelao cattura Sileno eSatiro, due maggiorenti della città, e li rilascia solo a condizione che la cittàmetta a disposizione della flotta pontica cinque triremi per la guerra controRoma. “Con questa azione – commenta Memnone – il popolo eracleota siprocurò l’ostilità dei Romani, i quali a causa di ciò costrinsero anche Eracleaalle requisizioni che andavano imponendo nelle altre città. Ma i cittadini nontollerarono l’arrivo in città dei pubblicani romani, che richiedevano denarocontro quelli che erano i costumi della città, poiché videro in ciò come l’ini-zio di una servitù. Avrebbero dovuto inviare un’ambasceria al senato per ot-tenere di essere esonerati dalla requisizione; invece, incoraggiati da uno deipolitici più accesi della città, fecero scomparire i pubblicani, tanto che anchela loro morte rimase nascosta” (c. 27,5-624). Qui il senato compare chiara-mente non solo come il responsabile finale della politica romana, ma anchecome un principio istituzionale di giustizia imperiale; sembra di sentire l’ecodelle parole di Cicerone che esalta l’impero dei bei tempi andati, quando “ilsenato era porto e rifugio dei re, dei popoli, delle nazioni”25. Ma è il caso diricordare che un analogo, e più significativo – in quanto di provenienzaorientale – apprezzamento per le qualità politiche ed etiche del popolo roma-no, e in particolare del senato, figura nel cap. VIII del I libro dei Maccabei,un testo che come si è visto anche la Yarrow considera nella sua panoramicadi “prospettive provinciali sul governo romano”26.

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Aspetti cit., 1993, 179-202, in part. 196-197; YARROW, Historiography cit., 2006, 134 sgg.; 187 sg.; 264.In generale sui due libri de I Maccabei, e il contesto della loro composizione (negli ultimi decenni del IIsec. a.C.), vd. MOMIGLIANO, Saggezza cit., 1980, 107-111.

27 Vd. P. DESIDERI, Posidonio e la guerra mitridatica, “Athenaeum” n.s. 51 (1973), 3-29; 237-269,in part. 250 sgg.; ID., Mitridate e Roma, in AA.VV., Storia di Roma, II, 1, Torino 1990, 725-736, 735.

28 In generale sui termini del trattato (e le varianti rispetto ad Appiano, Mithr. 222-223) vd. YAR-ROW, Historiography cit., 2006, 249-250 (che non coglie le implicazioni filo-mitridatiche della versionememnoniana).

29 Kaπ ga\ r kaπ o≤ pr◊sbeij “Ellhnej Ôntej kaπ tÕn b∂on filÒsofoi tÕn Miqrid£thn m©llon di◊su-

ron À sun∂stwn. Per una valutazione complessiva della rappresentazione di Mitridate in Memnone vd.YARROW, Historiography cit., 2006, 320-329 (327-328 per questo specifico episodio).

Di fronte a questo organo presunto imparziale, garante del rispetto deidiritti degli alleati non meno che dei Romani, si consuma il progressivo ulte-riore scivolamento verso l’orbita mitridatica; un processo nella descrizionedel quale Memnone – che pure lo depreca come quello che ha portato allarovina della città – rinuncia quasi completamente ad avvalersi di strumentid’interpretazione che mirino a configurarlo in termini di conflitto sociale in-terno ad Eraclea, come viceversa si vede nella ricostruzione posidoniana,straboniana e poi appianea delle vicissitudini delle città d’Asia, di Bitinia, eanche di Grecia specialmente al tempo della prima guerra mitridatica27. Ca-so mai per Memnone si può parlare, come vedremo, di singoli comporta-menti censurabili o positivamente irresponsabili da parte di singoli elementidella classe dirigente eracleota, ma non di un contrasto politico o sociale neltessuto della città. Né d’altra parte Mitridate compare mai in Memnone –neppure nel racconto della prima guerra, che egli ampiamente rievoca an-che se Eraclea non vi è direttamente coinvolta – nella veste di demagogicosovvertitore dell’ordine sociale che conosciamo da passi famosi degli altristorici appena ricordati. Anzi Mitridate è per Memnone colui che ha impo-sto a Silla, nelle trattative di pace di Dardano, la condizione che “i Romaninon si vendicassero sulle città per il fatto che erano passate dalla parte diMitridate; anche se – aggiunge – le cose non andarono come era stato con-cordato: infatti i Romani in seguito asservirono molte delle città” (c. 25,228).Dunque un Mitridate paladino delle città greche – nonostante che i suoieserciti vengano spesso definiti “barbari” (c. 24,4; 29,9; 30,2) – contro i Ro-mani che invece le riducono in schiavitù. E anche a proposito della secondaguerra – quella per la verità poco guerreggiata condotta per parte romanada Murena, tra l’83 e l’81 – Mitridate è in qualche modo considerato unavittima, piuttosto che un aggressore: Memnone dice infatti che responsabilidei malintesi fra Murena e Mitridate, il quale intendeva semplicemente ri-chiamare il romano al rispetto degli accordi sottoscritti da Silla, furono isuoi ambasciatori, “che erano dei filosofi greci, e accusarono Mitridate anzi-ché sostenerlo” (c. 26,129). È per l’appunto nel corso di questa guerra che

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30 Non si dice qui (né altrove) che esistesse anche un trattato fra Eraclea e Mitridate, come affer-ma YARROW, Historiography cit., 2006, 277.

31 Su questo episodio (e le inesattezze dei dati memnoniani) vd. YARROW, Historiography cit.,2006, 219-220.

32 Non è detto che si tratti di un termine tecnico: nel sunto di Fozio è usato anche (c. 29,4) a pro-posito del ruolo di Connacorex, il comandante del presidio mitridatico.

Eraclea inizia ad essere interessata direttamente dagli eventi bellici. Memno-ne ricorda come entrambi i contendenti abbiano sollecitato l’aiuto degliEracleoti, i quali “tra la paura della forza romana e quella della vicinanza diMitridate risposero ai loro ambasciatori che in mezzo a guerre di tale entitàpotevano a malapena tentare di proteggere il proprio territorio, non che aiu-tare gli altri”30; tuttavia, aggiunge, “non pochi” dettero a Murena il consi-glio di attaccare Sinope, perché se se ne fosse impadronito la vittoria su Mi-tridate sarebbe stata facile (c. 26,2-3). Certo un atteggiamento ambiguo, nel-lo sforzo tuttavia di mantenere i buoni rapporti con Roma risalenti all’anticotrattato, ai sensi del quale ancora di recente Eraclea aveva inviato in aiuto aiRomani impegnati nella guerra marsica due triremi catafratte (c. 2131). Il se-condo episodio rilevante, che segna l’inizio ufficioso dell’ostilità con Roma,è quello appena ricordato del sequestro dei due cittadini di riguardo, Silenoe Satiro, all’inizio della terza guerra. Il termine œpifane√j, che Memnone usaper definire lo status sociale di questi personaggi, non lascia dubbio sul fattoche la direzione della città sia saldamente in mano della migliore società era-cleota: sono questi œpifane√j che si piegano al ricatto.

Finalmente si arriva al passaggio aperto dalla parte di Mitridate con l’in-gresso in città del re pontico, un ingresso che è presentato da Memnone co-me conseguenza del rapporto personale di amicizia con Lamaco, il “capodella città” (froÚrarcoj32): Mitridate entra in ogni caso in mezzo alle accla-mazioni dei cittadini, insedia nella rocca un presidio di quattromila soldati,“col pretesto che, se i Romani avessero voluto aggredirla, costoro avrebberocombattuto in difesa della città, e sarebbero stati i salvatori degli abitanti”, einfine se ne va, dopo aver offerto uno splendido banchetto, e distribuito de-naro alla popolazione – specialmente ai magistrati, precisa Memnone (c.29,3-4). Secondo il giudizio di Memnone la città è stata in questo modo tra-dita da Lamaco e dai magistrati corrotti da Mitridate, ma naturalmente perLucullo si tratta invece di una “defezione di tutta la città”, non prodos∂a,¢lla\ tÁj pÒlewj Ólhj ¢pÒstasij (c. 29,5): di conseguenza inizia l’assediodi Eraclea da parte di Cotta (c. 32,1), poi coadiuvato dal comandante dellaflotta Triario, il cui esito finale sarà due anni dopo (c. 35,9) la presa e la de-vastazione della città ad opera dell’esercito romano. Bisogna dire però che intutto il racconto dell’assedio Memnone non ha nulla da dire circa dissensitra i cittadini a proposito della presenza di questa guarnigione, e in generale

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33 Kaπ e∏ ti taÚthj [eÙno∂aj] ¢pokl∂noien, oÙcπ gnèmV tÁj pÒlewj toàto dr©n, ¢ll' h” tinoj tîn

œfesthkÒtwn to√j pr£gmasin œxap£tV À kaπ b∂v tîn œpitiqem◊nwn.

circa la scelta politica di Lamaco. Gli Eracleoti all’inizio appaiono fiduciosidi poter resistere, e combattono gagliardamente insieme alla guarnigione mi-tridatica (c. 32,2); e anche se a un certo punto iniziano i contrasti fra cittadi-ni e soldati per le difficoltà alimentari (c. 34,4), la resistenza della città cessasolo, dopo la morte del froÚrarcoj Lamaco, per il tradimento del coman-dante della guarnigione stessa, che si è accordato col nuovo froÚrarcoj Da-mofeles per consegnare la città a Triario (c. 35,1). Si capisce qui che ci sonoin città due diversi partiti – di questo Damofeles Memnone dice che è dellostesso partito (proa∂resij) di Lamaco, introducendo poi quello che potrebbeessere un esponente dell’altro partito, Brithagoras, con l’espressione “uomoin vista nel popolo” (tîn œn tù dˇmJ ¢nh\ r œpifanˇj: c. 35,3) – ma di questipartiti (e dei rispettivi esponenti) non viene mai fornita una qualificazione dinatura economica o sociale, e comunque non appare che essi si diversifichi-no fra loro per l’atteggiamento da tenere nei confronti di Roma e di Mitrida-te. Lo stesso Memnone racconta che quando il comandante mitridatico inmezzo a un’assemblea popolare incita la popolazione di Eraclea – ipocrita-mente, secondo la sua ricostruzione – a resistere ancora pensando alla li-bertà, l’assemblea gli presta fiducia perché “si preferisce sempre quello chesi ama di più” (¢eπ ga\ r a≤retÕn tÕ œr£smion: c. 35,3): la coesione della cittàin difesa della libertà sembra totale, e va dato atto a Memnone di non averlarinnegata neppure al momento di scriverne la storia, quando la città non èormai più che un anonimo centro amministrativo di un grande impero. Unasituazione analoga è poi descritta per Sinope (c. 37).

Dopo la partecipe descrizione delle drammatiche vicende del saccheggioe della distruzione della città, nel finale della parte conservata dell’operaMemnone riferisce delle ripercussioni a Roma della vicenda eracleota. Nep-pure in questo contesto c’è alcun riferimento a contrasti sociali in città, cheavrebbero potuto anche essere appropriati, ad esempio nel discorso tenutocontro Cotta in senato dal cittadino eracleota Trasimede. Anche lui, dopoaver ricordato gli atti che mostravano quale fosse stata in passato la lealtà diEraclea nei confronti di Roma, si limita a dire – in perfetta conformità con laricostruzione offerta degli eventi dal testo di Memnone – che “se era venutameno questa buona disposizione, ciò non era stato dovuto ad una decisionedella città, ma all’inganno di qualcuno di coloro che sovrintendevano ai pub-blici affari oltre che alla forza di chi era intenzionato ad aggredirla” (c.39,233): evidentemente i mitridatici. La commovente rievocazione che di se-guito Trasimede fa della devastazione della città da parte delle truppe roma-ne suscita nel senato un’indignazione, alla quale dà emblematicamente

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34 Historiography cit., 2006, 354-355.

espressione il senatore Carbone, il quale alzatosi in piedi grida “Cotta, ti ave-vamo ordinato di prendere la città, non di distruggerla!” (c. 39,3); e alla con-testazione di Cotta si associano, conclude Memnone, altri senatori. Questo èforse il momento più alto dell’apprezzamento memnoniano della dimensioneetico-politica del senato di cui già abbiamo parlato; anche se poi la censuranei confronti di Cotta non arriva infatti al punto di comminargli l’esilio, co-me molti avrebbero voluto, ma si limita alla sua esclusione dal senato, i sena-tori “restituirono agli Eracleoti la terra, il mare e i porti, e votarono che nes-sun eracleota fosse schiavo” (c. 39,4). La fine della storia – come almenol’abbiamo nel sunto di Fozio – non è però esaltante e lascia, come dicevamo,l’impressione dell’incompiutezza. Memnone parla degli sforzi compiuti daTrasimede stesso, insieme ad un altro cittadino eracleota già menzionato,Brithagoras, e al figlio di questi Propylos, per ottenere da Cesare ormai pa-drone dello Stato romano la restituzione ad Eraclea anche della libertà poli-tica; sforzi vani, coronati solo da promesse, finché Brithagoras, che insiemeal figlio ha seguito il despota “per tutta l’ecumene”, dopo dodici anni di pe-regrinazioni, “quando ormai Cesare sta pensando di rientrare a Roma (47a.C.), consumato dalla vecchiaia e dalle fatiche muore, lasciando un gravelutto ai suoi concittadini” (c. 40,1-4). La vicenda penosa di questo vecchioeracleota che si trascina dietro Cesare nella speranza vana di riuscire a strap-pargli una promessa di libertà per la sua città costituisce indubbiamenteun’illustrazione di insuperabile efficacia del degrado che avevano subito irapporti di Eraclea con Roma a seguito dell’esito disastroso della scelta ope-rata in senso filo-mitridatico. Ma certo, anche senza questo errore politico,non si può pensare che gli Eracleoti avrebbero potuto conservare con Romaun rapporto di diritto internazionale, ovvero la libertà politica alla quale tan-to tenevano: la clientelizzazione sarebbe stata comunque inevitabile.

Ci si deve tuttavia domandare se sia realistico pensare che questa potesseessere la vera conclusione dell’opera; e francamente sembra che Fozio aves-se buoni motivi per dichiarare che la storia proseguiva con libri “che nonerano ancora pervenuti alla sua vista”. La storia doveva finire con un riscat-to della città, con quella paliggenes∂a che Trasimede auspicava rientrandoin Eraclea, e che non si era vista almeno nella prima fase della sua faticosaricostruzione (c. 40.2); quale interesse ci poteva essere a raccontare una sto-ria che terminava con tale situazione di stallo, e chi poteva avere piacere aleggere una storia come questa? Fra l’altro, come ha giustamente sottolinea-to la Yarrow34, non mancano notizie relative alla storia successiva di Eracleaalmeno fino all’altezza di Strabone, che avrebbero ben potuto figurare inuna continuazione dell’opera memnoniana oltre il sedicesimo libro. La città

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aveva effettivamente ripreso una sua vita – anche se non così brillante comeall’epoca ellenistica – che è poi proseguita fino all’età bizantina e oltre. E se– come vorrebbe la Yarrow, e come sembra anche a me plausibile sulla basedelle osservazioni fin qui svolte – Memnone deve essere classificato comeuno storico che nonostante tutto considera il dominio romano come la solu-zione migliore possibile per il mondo dell’epoca, bisognerebbe veramentelasciargli lo spazio per un racconto che mostri una rinascita di Eraclea sottol’amministrazione romana, e la sua stabilizzazione politico-culturale. Comesi sa, a partire più o meno da un secolo dopo gli ultimi eventi qui narrati ilmondo greco, e specialmente quello asiano, conosce una fase di grande ri-lancio, economico e culturale, all’interno delle strutture dell’impero: un ri-lancio che si gioca soprattutto sulla rifunzionalizzazione delle città nel nuo-vo contesto politico ed economico; testimoniano di ciò, oltre ai consistentiresti monumentali ed epigrafici, una cospicua serie di autori di quella cheviene chiamata la “rinascenza” greca, da Plutarco e Dione di Prusa a CassioDione e Filostrato, passando per Elio Aristide. Considerazioni di natura lin-guistica sembrano escludere la possibilità di attribuire il nostro testo a que-st’epoca, ma è difficile esagerare l’importanza di considerazioni del genere,sviluppate sulla base di un riassunto fatto otto-nove secoli più tardi: mi paredunque che sia ancora aperta la possibilità di attribuire questo testo a quellatemperie culturale. Ciò che più conta in ogni caso è che il testo di Memno-ne, qualunque sia l’epoca in cui è stato composto, ripropone con grande di-gnità il modello cittadino come il più autentico soggetto politico, forse l’uni-co possibile; l’impero universale è probabilmente necessario, e la sua supe-riorità militare irresistibile: ma i Romani non devono dimenticare che nep-pure l’impero ha un futuro, se non è capace di promuovere e valorizzare laforza morale collettiva che sostiene la città.

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1 Cfr. BURKERT (1984; 2004), WEST (1997).2 Molto importante in questo senso la tradizione profetica della civiltà di Mari, i cui documenti

provengono dagli archivi di Hammourabi (1723-1689 a.C.). Rimando al riassunto delle tradizioni me-sopotamiche, che ho fatto in SUÁREZ DE LA TORRE (20022, pp. 364-367), con la bibliografia essenziale.

3 Come figura nel titolo dell’opera edita da PRATO (1999).4 Cfr. KERÉNYI (1936); SWAIN (1940); FLUSSER (1972); ALONSO NÚÑEZ (1994).

TRADIZIONE PROFETICA, COMPOSIZIONE POETICA E IDENTITÀ NAZIONALE: ASIA ED EUROPA

NEGLI ORACOLI SIBILLINI GIUDAICI

EMILIO SUÁREZ DE LA TORRE

1. La nascita e lo sviluppo della tradizione sibillina

La tradizione profetica e oracolare è di per sé e sin dalle origini un reperto-rio ricchissimo di spunti di riflessione sui rapporti tra Oriente e Occidente nelmondo antico. In effetti, uno dei più importanti cultural patterns che le civiltàantiche debbono al mondo orientale è quello delle pratiche divinatorie, tantonella varietà tecnica quanto in quella “ispirata”1. Riguardo a quest’ultima, sideve sottolineare che le prime testimonianze di divinazione tramite la figura diuna donna invasata dal dio provengono dalle civiltà dell’ambito mesopotami-co sin dal secondo millennio a.C.2. Non meno importante è che, fin dagli inizidi queste tradizioni, vi ritroviamo la tendenza alla “manipolazione divinatoriadel passato in funzione del presente”3, tramite il ricorso a vaticinia ex eventu ealla combinazione di “rivelazioni” e di visioni minacciose o apocalittiche condati storici. Si ricordi per esempio il caso della profezia accadica di Shulgi (ilcui regno si pone tra il 2093 e il 2046 – ma la profezia fu composta nella se-conda metà del II millennio a.C.), che ci tramanda rivelazioni di Ishtar accan-to a riferimenti storici ben conosciuti, che hanno una chiara funzione di ga-ranzia dell’insieme profetico. Questo modello è ricorrente nella facies profeti-ca delle civiltà asiatiche e ci appare presto arricchito da un altro tratto di gran-de importanza: la menzione della successione sia di generazioni di mortali(quando la profezia ha una intenzione più “moraleggiante”), sia di re ovveroimperi (quando l’intenzione è piuttosto politica), tratto condiviso dalle civiltàtanto semitiche come indoiraniche4.

Purtroppo, come solitamente accade con tutti i fenomeni d’influsso orien-tale, la ricerca di questo effetto di acculturazione rivela una doppia difficoltà:anzitutto quella di spiegare con precisione il quando e il come del contatto

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62 Emilio Suárez de la Torre

5 Cfr. SUÁREZ DE LA TORRE (1999; 20022, pp. 374-375); NIETO IBÁÑEZ (1992); quest’ultimo hastudiato anche la particolare fusione, negli oracoli, di elementi culturali giudei e greci (NIETO IBÁÑEZ

1991; 1998).6 SUÁREZ DE LA TORRE (1994; 2001).7 Fr. 8 Bernabé. Cf. SUÁREZ DE LA TORRE (1994, pp. 195-197).8 Argomenti in difesa di una datazione tarda (nel IV secolo a.C. od oltre) si trovano in PARKE

(1988, pp. 118-119) e AMATO (2002).

culturale; e poi (ancora più decisiva) quella di separare con nitidezza l’ele-mento antico dall’innovazione locale. Per quanto riguarda la tradizione ora-colare con tratti “sibillini” nel mondo greco, siamo dinnanzi a un caso da col-legare a quello più ampio del rapporto tra tradizione epica e mondo “orienta-le”. Come è noto, la più antica poesia orale dei Greci è piena di motivi con-nessi con tradizioni orientali. Tra queste ha un grande rilievo l’adozione dimiti cosmogonici, con racconti di successioni divine, e anche di miti sull’ori-gine e l’evoluzione dell’umanità (tutti presenti in Esiodo), ma non mancanoindizi di conoscenza di motivi profetici, che hanno un rapporto con le cultureorientali5. Invece diventa più delicata la questione sull’origine: (a) della figuradella Sibilla; (b) dei testi oracolari “sibillini”; (c) dei centri con presenza realedi una Sibilla. Bisogna essere molto prudenti nell’analisi di un aspetto ben co-nosciuto della cultura profetica antica, ma documentato soprattutto in fontitarde. In altri lavori6 ho sostenuto che, sebbene le predizioni sibilline sianoconnesse spesso con una Sibilla concreta, non si deve considerare necessarioche la predizione abbia origine in un luogo preciso. In altre parole, penso chei testi “sibillini” abbiano avuto una fase di circolazione che poteva essere indi-pendente dall’esistenza “reale” di un santuario sibillino di provenienza. Laprofezia sibillina non nasce da una consultazione, come succede con i santua-ri mantici. Essa è collegata alla libera circolazione, forse orale, ma soprattuttoscritta, fuori del controllo dei centri religiosi apollinei più “ufficiali”.

Dunque una questione importante, legata agli ipotetici inizi della tradi-zione sibillina nel mondo greco, è quella della possibile esistenza di predi-zioni sibilline nel periodo arcaico e del loro rapporto con la poesia epicacontemporanea. In altre parole: possiamo postulare l’esistenza di oracoli “si-billini” incorporati nella tradizione epica, dove appaiono già i santuari ora-colari più importanti (Delfi, Dodona)? E, così come i santuari oracolari han-no adottato in una fase, sembra, antica, l’esametro epico come veicolo di co-municazione, si può ipotizzare l’esistenza di predizioni sibilline di datazionealta o comunque se non troppo alta, almeno assai arcaica? Al riguardo si èricordato spesso il caso dei frammenti attribuiti ad Eumelo di Corinto7, do-ve la Sibilla parla in prima persona, si proclama figlia di Lamia e nipote diPosidone e ricorda la fondazione dei giochi Ismici. In realtà la datazione diquesto frammento è problematica8, ma non sarebbe assurdo pensare che es-

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Tradizione profetica, composizione poetica e identità nazionale 63

9 SUÁREZ DE LA TORRE (20022, pp. 376-379).10 Cfr. MONACA (2005, pp. 41-49).11 Heracl. fr. 92 DK = 75 Markovich (Plut., de Pyth. Orac. 397 a-b).12 Strom. I 70,1-3; cfr. I 108,1-3.13 Cf. SUÁREZ DE LA TORRE (2005).

so riprenda una vecchia tradizione locale, forse in connessione con una piùricca tradizione di predizioni su fondazioni di città, sul loro futuro ecc. So-no convinto9 (riguardo alla vexata quaestio dell’origine dei Libri Sibyllini ro-mani) dell’importanza del fatto che i primi coloni greci nel territorio italicosiano degli Eubei e dei Corinzi, cioè, coloni che vengono da città dove latradizione epica ha giocato un ruolo sostanziale, così come la tradizione si-billina. Ad esempio, si pensi al ruolo di Pitecusa (colonia euboica con popo-lazione semitica importante), da dove provengono i fondatori di Cuma, sededel principale centro sibillino italico10.

A mio avviso, la circolazione di versi sibillini riguardanti il destino dellecittà ovvero eventi storici diversi forse non è così tarda come di solito si pen-sa. Anche se escludiamo il problematico frammento di Eumelo, la ben cono-sciuta citazione di Eraclito, tramandata da Plutarco11, sulla “performance” el’ispirazione della Sibilla, offre una testimonianza assai antica (intorno al 500a.C.) di una consolidata tradizione intorno a questa figura profetica e i suoivaticini. Inoltre non sarebbe del tutto assurdo ritenere che la Sibilla di Era-clito fosse quella delfica, perché: (a) Plutarco ne introduce la menzione dopoquella della Pizia, come esempio di modalità di manifestazione esterna nellapredizione opposta a quella delle poetesse; (b) Clemente di Alessandria12

(che qui lavora sulla scia di Plutarco) stabilisce ugualmente una connessione“contestuale” tra la Sibilla di Eraclito e la tradizione delfica (con menzionedi due versioni sull’origine della Sibilla “delfica”: venuta dall’Elicona ovverodal paese dei Mali). Dobbiamo domandarci se non abbiamo qui un caso si-mile a quello degli indovini mitici, rappresentanti di una mantica molto anti-ca e, per così dire, forse pre- (o almeno para-) delfica, che vengono progres-sivamente assorbiti dalla religione apollinea (come si vede nei racconti miti-ci)13. La Sibilla rappresentava anche un modello di mantica alternativo aquello dei centri apollinei in molti aspetti: predizioni spontanee (e non pro-dotto di consultazione), presentate come risalenti ad una data antichissima eche si dimostravano prodigiosamente compiute; possibilità di “mobilità”nello spazio; circolazione pronta (legata alla progressiva utilizzazione dellascrittura), ecc. Questo spiega un fenomeno che presenta due caratteristichein apparenza contraddittorie: da un lato, la convergenza della Sibilla con laPizia, l’assimilazione della Sibilla nell’ambito delfico e l’assorbimento dallareligione apollinea; dall’altro, la nascita di leggende che sottolineano l’anti-

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14 Paus. X 12.15 Paus. X 12,2: `H d‹ `Hrof∂lh newt◊ra m‹n œke∂nhj, fa∂netai d‹ Ómwj prÕ toà pol◊mou gegonu√a

kaπ aÛth toà Trwikoà, kaπ `El◊nhn te proedˇlwsen œn to√j crhsmo√j, æj œp' ol◊qrJ tÁj 'As∂hj kaπ

EÙrèphj trafˇsoito œn Sp£rtV kaπ æj ”Ilion ¡lèsetai di' aÙth\ n ØpÕ `Ellˇnwn.16 Strom. I 108,1-3.17 PARKE (1988, p. 111) osserva giustamente che non sarebbe lecito pensare a una donna che parla

come se fosse sorella di Apollo; piuttosto, “the reasonable way to interpret the oracle is to suppose thatwhoever wrote it meant that the goddess Artemis had inspired the Sibyl by taking full possession ofher in the manner which Apollo inspired the Pythia”. La proposta apre una prospettiva interessantenel confronto tra Pizia e Sibilla nel santuario delfico.

18 Questa è la prima menzione della Sibilla di Eritre.19 Cfr. MONACA (2005, pp. 37-41).

chità, validità e indipendenza della Sibilla e delle sue predizioni. Si può ricordare in proposito la testimonianza di Pausania14 nel suo per-

corso delfico, che contiene elementi che appartengono, a quanto sembra, alivelli cronologici vari. Il periegeta parla di quattro Sibille: una di origine li-bica (se il testo non è corrotto), con la stessa filiazione genealogica che ab-biamo visto in Favorino / Eumelo (figlia di Lamia e nipote di Posidone); laseconda sarebbe Erofile; la terza Demo di Cime e la quarta quella Ebrea. Èad Erofile che Pausania dedica più righe, piene di dati interessanti, che pos-sono essere riassunti così:

• Erofile era (come la Sibilla libia) anteriore alla guerra di Troia e aveva va-ticinato che Elena sarebbe stata la causa della rovina di Asia e di Europae della caduta di Troia15 (fusione con la figura di Cassandra): appropria-zione della tradizione epica;

• i Deli le attribuivano un inno ad Apollo: assorbimento da parte dalla reli-gione apollinea;

• invasata dal dio, proclamava la sua relazione di parentela con Apollo inmodi diversi (sposa, figlia, sorella) e forniva come proprio nome alternati-vo quello di Artemis. A questo punto bisogna ricordare di nuovo la testi-monianza di Clemente16, quando menziona l’arrivo a Delfi di una Sibillachiamata Artemis, che fa una predizione in tono ostile contro Apollo17;poi aggiunge che Eraclide Pontico conosceva un’altra Erofile di Eritre18.Purtroppo, Pausania sembra aver letto gli oracoli (ne cita un paio di bra-ni) ed è convinto che si tratti della stessa Sibilla;

• Pausania tramanda qualche verso, dove si proclama che la città di originedella Sibilla è Marpesso, ma dice che, secondo gli abitanti di Alessandria diTroade, Erofile era una newkÒroj di Apollo Smintheus, che aveva interpre-tato il sogno di Ecabe (ancora un legame con la figura di Cassandra);

• l’originalità della testimonianza di Pausania19 consiste nel fatto che egli fadi Erofile una Sibilla itinerante: essa avrebbe vissuto per lungo tempo a

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20 Rimando alla mia analisi dettagliata in SUÁREZ DE LA TORRE (2000).21 PARKE (1988, pp. 100-124).22 FGrHist 241 F 26.23 VALENZA MELE (1991-1992), p. 11 e n. 14.24 FGrHist 90 F 16.

Samo, ma poi anche a Claro, a Delo e, finalmente, a Delfi. Ma si ricordiche nell’epigramma del 162 d.C. (con il motivo della visita di Lucio Vero)la Sibilla locale dice di sé stessa che parq◊noj oâs' ¢dmh\ j p©san œpπ cqÒn'⁄bhn (IE 224, 10);

• infine Pausania commenta l’epitafio di Erofile nell’alsos di ApolloSmintheus e dice che gli Eritrei affermano che il luogo di nascita della Si-billa (Idea) è nel loro territorio: rivalità nella regione.

Si osservi l’amalgama di elementi antichi e recenti, soppressi e ricreati inmomenti diversi, ma che non devono impedire di ammettere un antico incro-cio di motivi epico-poetici, religiosi e – non di meno – politici e di rivalitànelle regioni microasiatiche per appropriarsi della figura della Sibilla20.

Ma ritorniamo al periodo arcaico e classico. La rivalità tra città microasia-tiche, che si definivano come luoghi di origine della Sibilla, non nasce dauna speculazione tarda. Abbiamo indizi di profezie sibilline antiche legate aquesta regione, ma altre possono riguardare territori della Grecia continen-tale. Riprendo qui tre casi commentati in extenso dal Parke nella sua prege-vole opera21. Si tratta di notizie su oracoli sibillini su fatti storici importanti:

• la menzione fatta da Pausania (10,9,12), nella descrizione di un monu-mento delfico, della lotta tra Sparta ed Argo per il territorio della Tireati-de, sembra messa in rapporto dal periegeta con la battaglia del 545 a.C.Parke ha però argomentato che sembra più probabilmente riferirsi ad unepisodio più recente (nel 421 o nel 395). Comunque lo stesso Parke os-serva che la predizione sibillina menzionata da Pausania può avere un’o-rigine più antica ed essere stata ripresa più tardi;

• secondo Varrone, Eratostene22 avrebbe trovato negli archivi di Samo deidati su un’antica Sibilla, che potrebbe datarsi intorno al 550 a.C. Parkeha proposto la possibile influenza di questa Sibilla samia rispetto a quellacumana d’Italia (ipotesi respinta dalla Valenza Mele)23;

• Nicola di Damasco24 tramanda un racconto sull’episodio di Creso sullapira, nel quale interviene la Sibilla. Nel momento decisivo arriva una Si-billa che pronuncia un vaticinio di distruzione, se Creso verrà giustiziato.Il Parke considera che la predizione veniva inclusa nell’opera di Xanto diLidia e si serve di questa testimonianza per sostenere l’esistenza di unaserie di oracoli sibillini sulla fine dei Mermnadi. Sebbene io non credanecessario far risalire il dato a Xanto di Lidia, penso che un personaggio

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25 Apud Lact., div. inst. I 6,12, nel contesto della descrizione delle sibille secondo Varrone.26 In agro Troiano nata. Marmessus è la forma che ci tramanda Lattanzio, secondo cui è vicina a

Gergis.27 Personalmente sono convinto della verisimiglianza di un contatto, in una fase molto antica e di

assimilazione fra Etruschi e Romani, non solo della tradizione sibillina (si pensi all’importanza in Etru-ria delle predizioni di Vegoia), ma anche dello “stile” oracolare sibillino: la formulazione dei testi sibil-lini romani è simile a quella delle profezie sibilline greche. Non si deve dimenticare il legame, nel suosviluppo, tra profezia sibillina e circolazione scritta dei testi. Cf. BAUMGARTEN (1998, pp. 52-60).

28 Il fatto che dal contesto si deduca un’attribuzione a Bacide non toglie valore alla testimonianzadel motivo; inoltre Aristofane parla anche della Sibilla (insieme a Bacide) e ci tramanda il verbo sibul-

li£w – che penso voglia dire “essere ossessionato dalle profezie sibilline”, piuttosto che “essere in tran-ce profetica”. È vero che Erodoto non parla della Sibilla (lui conosce Bacide, Museo, ecc., con predi-zioni sui Persiani), ma Aristofane la conosce bene: sembra dunque che gli Ateniesi si siano appropriatidi Bacide, ma la tipologia sibillina era già ben conosciuta.

come Creso, entusiasta degli oracoli greci, non poteva trascurare le predi-zioni sibilline (e in questo senso l’ipotesi del Parke è ragionevole). Inoltrenon sembra casuale che Eraclide Pontico, nel trattato Sugli oracoli, men-zionasse25 la Sibilla Ellespontica26 come coetanea di Ciro e di Creso.

Questa ultima osservazione ci conduce alle domande seguenti:

• l’espansione persiana ha potuto provocare la circolazione di oracoli sibil-lini (come è successo con altre predizioni), prima nel territorio microasia-tico e poi nella Grecia continentale? Per me la risposta è sì;

• è ragionevole pensare che i sibillisti fossero estranei alla linea di pensieroespressa in storici come Erodoto e all’espansione dello schema logico-narrativo cui appartiene il motivo della “successione degli imperi”? Iopersonalmente sono incline a dire di no. A sostegno di questa ipotesi pos-siamo fornire due argomenti.

º Primo: anche se non ammettiamo la possibilità, sopra delineata, dellaconoscenza di oracoli sibillini in Italia in una data antica27, sappiamoperò che lo schema della “successione di governanti” (re, imperatori,ecc.) era familiare agli Ateniesi del V secolo a.C., come traspare nei Ca-valieri di Aristofane, dove uno degli schiavi, nella scena introduttiva(129 ss.), fa una parodia di questo motivo28: stuppeiopèlhj, proba-topèlhj, bursopèlhj o Paflagèn, bursa∂etoj ¢gkulocˇlhj.

º Il secondo argomento deriva dalle menzioni dei Persiani nella raccoltadegli Oracoli Sibillini (cfr. infra in dettaglio). I sibillisti fanno una pre-cisa distinzione tra Medi e Persiani, che sono citati come due popolidiversi. Per esempio, nel libro IV (54-66) si parla della successione As-siri - Medi - Persiani (con calcolo di 10 generazioni) e si include unoracolo che annunzia la loro reciproca rivalità e la vittoria dei Persiani(61-66):

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29 Cfr. GRAF (1985, p. 341).30 Secondo il racconto di Strab. XVII 1,43 (= FGrHist 124 F 14).31 Callistene (in Strabone) utilizza il verbo ¢neipe√n, che si riferisce a una proclamazione a viva voce.32 Sull’origine e lo sviluppo di questo insieme rimando (tra la vasta bibliografia) alle opere di

GEFFCKEN (1902); RZACH (1923); PERETTI (1943); KURFESS (1951); COLLINS (1974 [4]; 1983; 1987;1997); GAUGER (1998); SUÁREZ DE LA TORRE (20022, con la bibliografia anteriore). Per quel che riguar-da il libro III, si veda (oltre alle osservazioni presenti nelle opere precedenti) NIKIPROWETZKI (1970;1987); MOMIGLIANO (1975); BUITENWERF (2003).

¢ll' Ótan EÙfrˇthj m◊gaj a∑mati plhmmÚrhtai,kaπ tÒte dh\ Mˇdoij P◊rsais∂ te fÚlopij a≥nˇstˇsetai œn pol◊mJ: Persîn d' ØpÕ doÚrasi MÁdoip∂ptontej feÚxontai Øp‹r m◊ga T∂gridoj Ûdwr.Persîn d‹ kr£toj ⁄stai Ólou kÒsmoio m◊giston,oƒj geneh\ m∂a ke√tqi ¢naktor∂hj poluÒlbou.

Questa non sembra una semplice creazione ad hoc, ma piuttosto la ri-presa di un antico oracolo, composto con la pretesa che venisse accet-tato anche dai Persiani.

Arriviamo così al periodo ellenistico. L’espansione macedonica provocauna vera esplosione di predizioni sibilline e di nuove Sibille. La dominazio-ne dei territori asiatici scatena un repertorio sibillino, che sottolinea ancoradi più la contrapposizione tra Europa e Asia, nel quadro di uno schema sto-rico (creato da Erodoto) che trova un facile riscontro nell’alternanza de factodei poteri di ambizione universale, sia nella direzione Oriente-Occidente,sia in quella contraria. Non è casuale la moltiplicazione sibillina con l’ag-giunta delle Sibille “asiatiche”: persiana, babilonese, caldea ovvero ebrea,ecc. Ma anche le “vecchie” Sibille ricuperano la loro importanza (o forsevengono conosciute in questo momento)29, come accade con la Sibilla diEritre: essa si deduce dall’episodio, raccontato da Callistene di Olinto30, se-condo cui una donna di Eritre, Atenaide31, che diceva di essere homoia allaSibilla di Eritre, aveva confermato l’origine divina di Alessandro (in prece-denza rivelata dal sacerdote di Ammone).

2. L’appropriazione del modello e l’identità nazionale: gli Oracoli Sibillini di origine giudaica

Nella seconda parte del mio intervento vorrei analizzare la struttura e al-cuni aspetti del libro III dei cosiddetti Oracoli Sibillini di origine giudaica32.Sono convinto che le notizie su oracoli sibillini e/o su Sibille nei secoli ante-riori alla composizione del libro III degli Oracoli Sibillini giudaici siano solo“la punta dell’iceberg” di una lunga, molteplice e persistente utilizzazione di

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33 Gli oracoli sibillini che ci sono pervenuti non sono solo quelli di questa raccolta, ma ve ne sonoallusioni (e testi) in diversi autori antichi.

34 Si veda lo schema generale alla fine di questa relazione. Dopo la sua realizzazione, ho conosciutol’opera di BUITENWERF (2003), contenente un altro schema (pp. 139-143) che riprende la sua teoria sullaforma originale del libro: il frammento I (di 35 versi) sarebbe l’inizio, il frammento III e i versi III 93-161sarebbero la seconda sezione, poi seguirebbe una lacuna e infine il resto (dal verso 93). Ritengo moltoimportante per la mia argomentazione che l’autore abbia proposto come luogo di composizione dellibro la provincia romana d’Asia “during the aftermath of the Mithridatic wars (88-63 BCE)” (p. 382).

35 Cfr. supra i riferimenti bibliografici alla n. 32.

questa categoria di predizioni in momenti diversi della storia33. Credo inol-tre che, così come i Romani nel 76 hanno potuto fare una raccolta (peraltronon molto lunga) di versi sibillini, anche gli autori (o, secondo alcuni, i“compilatori”) di questi oracoli hanno avuto a loro disposizione raccolteprecedenti diverse per provenienza e per cronologia, che hanno variamenteintegrato. Il libro III può illustrare la vitalità e la potenziale validità perma-nente dei vecchi motivi sibillini e chiarire anche due punti, che sono in rap-porto diretto con la tematica di questo convegno: il confronto Europa/Asiae la visione dell’Asia in questi testi. Possiamo inoltre osservare che l’utilizza-zione di questo insieme di testi oracolari (non solo sibillini) ha avuto sempreuna funzione decisiva per acquisire la coscienza di una “unità nazionale” edi una identità, in opposizione (“geistige Widerstand”) ai popoli cui gliEbrei sono stati sottomessi.

2.1. Il libro III degli Oracoli Sibillini34

Si tratta del più lungo e più complesso libro della raccolta degli OracoliSibillini. Tanto la sua datazione come il carattere più o meno unitario del-l’insieme sono ancora motivo di polemica. Le datazioni più ragionevolioscillano tra la metà del II secolo a.C. (per esempio, Collins) e la secondametà del I35. In realtà penso che si possa accettare la data del II secolo per ilnucleo più antico; d’altra parte ha ragione Nikiprowetzki quando difendel’esistenza di un compilatore che, intorno al 40 a.C., riorganizzò i materialiprecedenti (anche con numerose inserzioni), con il risultato che oggi vedia-mo. Nel più recente commento di questo libro (Buitenwerf) si conclude chela composizione dell’insieme è stata fatta nell’anno 80 a.C. Inoltre tutti glistudiosi sono d’accordo nell’affermare che i versi 1-96 sono ancora più re-centi (posteriori alla battaglia di Azio). L’autore ha composto un insieme as-sai complesso, ma certamente non arbitrario. Se togliamo, dunque, la parteaggiunta più recentemente (1-96), si osservano due grandi parti: l’una (più omeno dal 97 al 544), con una forte accumulazione di oracoli “storici” diversi(successioni di imperi, minacce, ecc.); e l’altra (dal 545 alla fine - 829), di

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contenuto apocalittico-dottrinale e orientata alla ricerca dell’identità collet-tiva. Ma un’analisi più precisa ci permette di vedere una struttura che ha diper sé un valore certamente pieno di significato. Allo stesso tempo possiamovalutare tanto la prospettiva diacronico-storica come la concezione dellospazio geografico, il mondo “fisico” della predizione sibillina nell’epoca del-la dominazione prima egiziana e poi romana.

A mio avviso non c’è dubbio che il sibillista ha organizzato il poema in unmodo non privo, per così dire, di tecnica poetico-retorica. Il contrasto tral’elenco di minacce, lamenti e giudizi negativi sull’evoluzione dell’umanità esull’empia natura dei diversi popoli, da un lato, e, dall’altro, la presentazio-ne quasi idillica degli Ebrei, eletti da Dio, è veramente spettacolare. Il letto-re / uditore del poema attraversa una spaventosa serie di disgrazie e cala-mità, per arrivare alla felicità vissuta dagli Ebrei nell’età dell’oro, e conosce isegni del Giudizio finale.

Il compositore ha una notevole abilità nel sintetizzare le tradizioni giudai-che e greche, come si osserva nella congiunzione degli schemi (presenti giànell’Antico Testamento e conosciuti da altre tradizioni orientali) della seriedi generazioni di uomini e di imperi, secondo la mentalità storica greca rap-presentata da Erodoto (si veda la combinazione di successioni di regni, nellacornice più generale del confronto Europa / Asia). In questa struttura gene-rale il sibillista inserisce diversi gruppi di oracoli che alludono a popoli diAsia, Europa e Africa. Penso (come ho detto in un altro lavoro, e non sonoil primo) che il sibillista conoscesse un corpus di predizioni della Sibilla Eri-trea, che includevano il tema della rivalità della Sibilla con Omero, moltoadeguato (cfr. Erodoto) per illustrare il confronto tra Europa e Asia dai tem-pi più remoti.

Possiamo analizzare anche nel dettaglio le particolarità delle diverse partie il loro rapporto reciproco. Abbiamo dapprima una parte più generale, checontiene in realtà la struttura “minima” da cui poi si sviluppa il poema. Dalpunto di vista storico, il sibillista riassume l’evoluzione dell’umanità, dalleorigini alle vicende degli Ebrei. Questo riassunto si articola in tre blocchi(A1, A2 e A3), che in realtà sono varianti dello stesso schema sottostante, ilquale è a sua volta lo schema generale, tanto della parte non dottrinale comedell’insieme del libro – schema che consiste, come ho già detto, nel contra-sto tra il popolo giudaico e l’evoluzione negativa del genere umano. La co-scenza dell’identità nazionale si ottiene in realtà tramite il contrasto: la manodi Dio è pronta alla punizione e a rendere effimeri i più grandi imperi a cau-sa della loro empietà; solo il popolo eletto, nonostante le umiliazioni stori-che, ha la garanzia della propria durata nel tempo, con palesi benefici esca-tologici, confermati dalla voce della Sibilla, messaggera di Dio. Nella serie dipopoli menzionati si osserva una differenza che non sembra casuale. Dap-

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36 I versi 350-380 sono considerati da alcuni come una “inserzione” del I secolo a.C. Ma l’identifi-cazione della d◊spoina del v. 359 con Cleopatra non sembra necessaria. Cf. AUNE (19912, p. 75); COL-LINS (1974 [4], pp. 57-64). Questa è una visione “analitica” del libro III, che deve essere precisata.Questo brano ha, in effetti, oracoli di origine diversa, ma quello che interessa è l’integrazione nel nuo-vo complesso.

prima appare un elenco più “standard” e generale (vv. 156-161: [Titani],Egitto, Persiani, Medi, Etiopi, Babilonia, Macedonia, ancora Egitto [elleni-stico] e Roma); poi si riprende la successione con maggiore attenzione ai po-poli microasiatici e con una intenzione, per così dire, più “erudita” (vv. 166-176: casa di Salomone, Fenici, Panfili, Persiani, Frigi, Cari, Misi, Lidi, Gre-cia+Macedonia e Roma; è probabile che questa parte provenga da un oraco-lo diverso, posteriore ad Alessandro); infine viene quello dei vv. 199-210(Titani, Greci – con la connotazione epica dell’epiteto kley∂gamoi –, Frigi,Persiani, Assiri, Egitto, Libia, Etiopi, Cari, Panfili). È una accumulazione(senza dubbio ereditata) senza criterio né geografico né di altro tipo, che hal’unica intenzione di dare una dimensione universale (Asia Minore, Africa,Fenicia, i problematici Etiopi) alla profezia.

Dall’analisi dettagliata della parte B si ottengono altri interessanti dati. Ilsibillista ha intensificato nella parte centrale le enumerazioni di successionie, soprattutto, di popoli e città sottomessi a punizione, e le ha organizzate inmodo molto efficace. Dapprima, dopo l’introduzione more epico, si succe-dono gli oracoli contro Babilonia, Egitto, Gog-Magog (uno di tanti trattidella tradizione biblica, ubicato niente meno che “tra i fiumi Etiopi”!), Li-bia, Egitto (zona della Meotide). Il “crescendo” prosegue con un’enumera-zione ancora più dettagliata, questa volta con la distinzione Asia / Europa(341-349). Purtroppo non si può cercare nessun criterio nella distribuzione:per esempio, nel gruppo “asiatico” in alcuni casi si osserva la prossimità del-le città a centri oracolari (Iaso vicina a Didima; Colofone, Esmirna ed Efesovicine a Claro), ma questo non serve per gli altri casi, che si localizzano inregioni molto lontane, dal Ponto (Sinope) alla Fenicia (Gaza). Si osservapiuttosto che quasi tutte le città sono fondate con l’espansione macedonicao ellenizzate in quel momento: un possibile indizio della loro inclusione incataloghi oracolari di distruzione, su cui il sibillista può avere lavorato.

La distinzione Europa / Asia ritorna in seguito con una sezione36 che illu-stra la loro reciproca ostilità (350-432). In una sorta di “play-back” pseudo-storico (non bisogna dimenticare che la Sibilla aveva previsto tutto nei tem-pi più remoti, con visione “pancronica”) il sibillista introduce così alcuniesempi di questa ostilità (350-355):

oppÒsa dasmofÒrou 'As∂hj Øped◊xato `Rèmh,crˇmat£ ken trπj tÒssa ded◊xetai ⁄mpalin 'As∂j

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œk `Rèmhj, Ñloh\ n d' ¢pot∂setai Ûbrin œj aÙtˇn.Óssoi d' œx 'As∂hj 'Italîn dÒmon ¢mfepÒleusan,e≥kos£kij tossoàtoi œn 'As∂di qhteÚsousin 'Italoπ œn pen∂V, ¢na\ mur∂a d' Ñflˇsousin.

E poi inizia i lamenti contro Roma, in una sequenza di versi di repertoriooracolare, con giochi di parole (per non trascurare la dimensione universale):

⁄stai kaπ S£moj ¥mmoj, œse√tai DÁloj ¥dhloj,kaπ `Rèmh ˛Úmh: ta\ d‹ q◊sfata p£nta tele√tai.SmÚrnhj d' Ñllum◊nhj oÙdeπj lÒgoj.

Segue la menzione di un periodo di pace per Asia ed Europa, con il recu-pero del “play-back” pseudo-storico: la menzione della Macedonia (altraminaccia per l’Asia, 381-387) e la misteriosa allusione all’uomo “dal mantel-lo di porpora” (Antioco III e IV, il problema della successione, ecc.), in unvero lavoro di “paratassi oracolare”. La garanzia di autenticità si aggiunge al“play-back” citato, in connessione con la menzione della Frigia, con l’allu-sione al tema troiano e con gli oracoli, derivati a mio avviso dalle profeziedella Sibilla Eritrea, che includono la polemica contro Omero, lo yeudo-gr£foj che aveva rubato i versi alla Sibilla.

In seguito, per chiudere la serie di concatenazioni oracolari, si ritorna allivello storico più prossimo e si arriva a un vero culmine nel climax di oraco-li contro città e popoli, ma questa volta con l’intenzione di fare un elenco“quasi universale”: il disordine contribuisce alla sensazione di universalità,così come il continuo scambio di regioni, città e popoli dell’Asia, dell’Euro-pa, delle isole, ecc. Forse si potrebbe tentare di individuare uno schema d’i-tinerario dall’Asia all’Europa e poi ancora all’Asia, ma non mancano le in-coerenze (come, nella serie “europea”, l’inclusione di Laodicea, della Misiao dei Galati). Anche per rafforzare l’impressionante catalogo, le citazioninon costituiscono una semplice lista di nomi, ma includono riferimenti (allevolte dettagliati) ad episodi catastrofici. Scelgo ad esempio la menzione delterremoto di Trallis:

Tr£llij d' h ge∂twn ’Ef◊sou seismù katalÚseite∂le£ t' eÙpo∂ht' ¢ndrîn te leën baruqÚmwn:Ñmbrˇsei d◊ te ga√a Ûdwr zestÒn, potπ d' aÙtÁjga√a barunom◊nh p∂etai: Ñsmh\ d◊ te qe∂ou.

Finalmente il sibillista chiude questa parte centrale con una sezione piùlunga contro la Grecia, colpevole di aver disseminato pratiche religiose em-pie, che sono discusse come modello contrario rispetto alla vera religione ealle vere credenze del popolo monoteista. Così questa sezione funge da tran-sizione alla terza parte del libro, di contenuto dottrinale ed escatologico.

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37 Nessuna menzione nei libri I, II, VI e VII: cioè quelli di contenuto prevalentemente cristiano.38 III = 1:55.2; IV = 1:32; V = 1:66.3.39 Cfr. AMIOTTI (1982).

Il libro III, che avrà una grande influenza negli oracoli sibillini posteriori(soprattutto nei più antichi e in particolare nel IV e nel V), stabilisce unmodello che sarà ripreso, del tutto o in parte, nei libri successivi. Questomodello riflette un atteggiamento da parte della Sibilla (non del sibillista,sia chiaro) di grande coerenza ideologica. La Sibilla non ha una localizza-zione: essa parla fuori dal mondo e dalla realtà, è una voce che arriva dallapiù remota antichità, ispirata da Dio, che difende il popolo amato da Lui eche non ha, in questa visione, una localizzazione precisa. Tutte le nazioniche opprimono questo popolo, ovvero tutte quelle che sono empie, sonosottomesse al più grande rigore divino. In questo modello si fissano anchedue poli geografici di grande dimensione, che accolgono nazioni e popoliprotagonisti della storia umana, Europa e Asia. Il ruolo dell’Asia viene inol-tre determinato come “punto d’arrivo” o come “punto di partenza” (cfr. lafrequenza dei sintagmi e≥j 'As∂hn o 'As∂V e œx 'As∂hj) e soprattutto si insi-ste sulla ostilità dell’Europa (Grecia, Roma) contro l’Asia e, di conseguen-za, sulla necessità di riscossa dell’Asia, dalla quale può arrivare il sovranovindice.

È interessante notare che, sulle 36 menzioni dell’Asia negli Oracoli Sibilli-ni, 15 appaiono nel libro III, 6 nel IV e 8 nel V (cioè in tre dei libri più anti-chi)37. In proporzione, il IV libro è quello nel quale la frequenza èmaggiore38. Questo libro s’inizia precisamente con il verso

Klàte, leëj 'As∂hj megalauceÒj EÙrèphj te,

poi si parla dell’Europa come apportatrice di sventure all’Asia (v. 73:bare√an ≥d' 'As∂di kÁra f◊rousa); si riprende il motivo del “re che vienedall’Asia” (v. 78: h“xei d' œx 'As∂hj basileu\ j m◊ga ⁄gcoj ¢e∂raj)39, ma che viritornerà come fuggitivo (v. 81: Ön fug£d' œk pol◊mou deilh\ Øpod◊xetai'As∂j); e si ricorda come l’Asia riceverà la ricchezza strappata dai Romani(vv. 147-150: h“xei d' e≥j 'As∂hn ploàtoj m◊gaj, Ón pote `Rèmh ecc.). Ma lapeculiarità del libro IV è l’equilibrio strutturale: la sezione con la serie della“successione degli imperi” (distribuita nell’arco di 10 generazioni) e la seriedi oracoli contro diversi popoli costituisce la parte centrale, mentre la primae l’ultima sezione hanno un carattere più ideologico e, alla fine, escatologi-co. Il libro V preferisce invece la tecnica di accumulazione di minacce cata-strofiche, in sette gruppi più o meno definiti.

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Tradizione profetica, composizione poetica e identità nazionale 73

3. Conclusioni

L’analisi dell’origine e dello sviluppo della tradizione profetica in cui siinseriscono gli Oracoli Sibillini mostra che, da diversi punti di vista, gli ante-cedenti e gli oracoli stessi appartengono a modelli che uniscono le culture diAsia e di Europa. Riguardo agli oracoli, abbiamo trovato indizi della presen-za della loro tradizione in un periodo assai arcaico, comunque senza più al-cun dubbio dal V secolo a.C. Un dato di rilievo è che, nel corso della storia,ogni evento storico che aveva come risultato la dominazione violenta di unpopolo su un altro scatenava oracoli e profezie in tutte le varietà possibili,solitamente impiegati come strumento di opposizione da parte dei sottomes-si. Alcuni di questi eventi (l’invasione persiana, l’espansione macedone ecc.)hanno provocato un “aumento” delle predizioni sibilline e la proliferazionedei centri sibillini, soprattutto in Asia.

Un esempio di ripresa di questa tradizione poetico-oracolare è il terzo li-bro della raccolta conosciuta sotto il titolo di Oracoli Sibillini, che illustramolto bene il consolidarsi della tradizione e nella quale hanno un ruolo no-tevole le allusioni al confronto Europa / Asia. Questo terzo libro diventa pa-radigmatico (e se ne percepisce l’influenza negli altri libri di origine giudai-ca) e dimostra bene come questa tradizione possa essere interpretata comestrumento politico-religioso nella difesa dell’identità nazionale e culturale diun popolo.

La nostra analisi ci permette di vedere in primo luogo come un anticomodello orientale sia stato subito assimilato dall’Occidente e incorporatonella sua tradizione poetica. L’oracolo sibillino diventa così uno strumentoadoperato da un popolo, i Giudei, che ha conosciuto una continua disloca-zione geografica, che ha vissuto spesso in un ambiente ostile (sia in Egitto,sia sotto i Seleucidi, sia in diverse zone dell’impero romano) e che, per que-sti motivi, ha una forte necessità di affermazione della sua identità come na-zione (in grande misura fondata sulla religione).

Il libro III degli Oracoli Sibillini ci serve dunque per illustrare tutti questiconcetti, per la sua natura di amalgama delle tradizioni anteriori, rielaboratein una precisa situazione storica.

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Appendice: struttura del libro III degli Oracoli Sibillini (esclusi i vv. 1-96)

A. Oracoli sul popolo giudaico (97-294)1. Torre di Babele e teogonia, a partire da Crono, Titano e Giapeto (97-

155) + transizione: (Titani), Egitto, Persiani, Medi, Etiopi, Babilonia,Macedonia, Egitto, Roma (156-161).

2. Successione dei regni e minacce contro Roma (162-195):• autoriferimento (della Sibilla) e “proemio” (162-166);• successione dei regni fino alla Grecia (167-174): Salomone, Fenici,

Panfili, Persiani, Frigi, Cari, Misi, Lidi, Greci;• Roma: impero e punizione (175-191);• menzione del “settimo re d’Egitto” (192-193);• felicità del “popolo di Dio” (194-195).

3. Autoriferimento e successione dei regni (196-294):• autoriferimento e introduzione tematica (196-198);• successione dei regni fino al popolo giudaico (198-217): Titani, Gre-

ci, Frigi, Persiani, Assiri, Egitto, Libia, Etiopi, Cari, Panfili, Giudei;• elogio di Ur di Caldea (218-247); • ritorno dei Giudei dall’Egitto: annunci e minacce, con la successio-

ne fino all’impero persiano, con riferimento al tempio (248-294).

B. Profezie contro Roma e altri popoli (295-544)1. Autoriferimento e “proemio” (295-302).2. Oracoli contro Babilonia, Egitto, Gog-Magog, Libia (tratti arcaici). Se-

gnali. Distruzione di città d’Asia (Iaso, Cebrene, Pandonia, Colofone,Efeso, Nicea, Antiochia, Tanagra, Sinope, Smirna, Maro, Gaza, Iera-poli, Astipalea) ed Europa (Ciagra, Meropea, Antigona, Magnesia, Mi-cene) (303-349).

3. Oracoli contro Roma, con il tema dell’ostilità fra Europa ed Asia:• vendetta dell’Asia (350-355); • minacce e insulti contro Roma (356-362);• oracolo contro Samo, Delo e Smirne (di repertorio: 363-366); • “età dell’oro” in Europa (367-380).

4. La Macedonia, minaccia per Asia (381-387).5. Possibili profezie della “Sibilla Eritrea” (388-432):

• antico oracolo (cf. Dan., Lyc.), forse contro Antioco (IV?) o controRoma: “l’uomo del mantello purpureo” (388-400);

• la guerra di Troia (401-418) + l’inganno di Omero (419-432). 6. Oracoli contro diversi territori e popoli (432-534):

• Licia, Calcedonia, Bisanzio, monte Crago di Licia, Cizico, Patara,

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Rodi, Lidia / Persia, Sidone / Samo, Cipro, Trallis, Samo, Roma(guerra civile di Silla), Laodicea, Tracia, Campania, Corsica, Sarde-gna, Misia, Cartagine, i Galati, Tenedo, Sicione e Corinto.

• Fenici (Punici), Creta, Tracia, Gog-Magog, Lici, Misi, Frigi, Panfili,Lidi, Mauri, Etiopi, Cappadoci, Arabi.

7 Oracoli contro la Grecia (537-544):• argomenti contro le sue pratiche religiose (transizione).

C. Parte apocalittico-dottrinale. Identità della Sibilla (545-829)1. Critica della religione greca, con possibile influsso evemerista (545-

572).2. Lode della religione giudaica + indicazioni cronologiche (573-623):

• lode della religione dei Giudei e della loro condotta (573-607);• il settimo re d’Egitto (608-610);• il re che viene dall’Asia, “aquila ardente” (o “bionda”; forse Antio-

co IV; 611-615); • punizione ed età dell’oro (616-623); • ammonimento all’umanità e minacce (624-651).

3. Iudicii signa e minacce (652-697): • Dio invierà un re pacificatore (652-656);• prosperità del Tempio: attacchi, per invidia, contro Israele (657-

668);• punizione divina. Segni del Giudizio: distruzione (influsso di Ez.,

669-697).4. Il popolo eletto sarà invidiato dai mortali (698-731):

• autoriferimento: ispirazione divina (698-701); • gli altri popoli vogliono i privilegi dei Giudei (702-731).

5. Nuovi avvertimenti, segni del Giudizio ed eta dell’oro (732-808):• oracoli contro la Grecia (732-740);• Giudizio ed età dell’oro (741-761); • nuovi consigli di condotta (761-767);• nuovi motivi dell’età dell’oro (768-796). • nuovi segni del Giudizio (797-808).

6. Autoriferimento della Sibilla e distinzione dalla Eritrea (809-829).

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1 On the cult of the Mater Magna, the comprehensive work of H. GRAILLOT, Le culte de CybèleMère des Dieux à Rome et dans l’empire romain (Paris 1912) is still valuable, as is the survey by M.J.VERMASEREN, Cybele and Attis. The Myth and the Cult (London 1977). PH. BORGEAUD, La Mère desdieux. De Cybèle à la Vierge Marie (Paris 1996) studies the Roman goddess in a wider framework, asdoes L.E. ROLLER, In Search of God the Mother. The Cult of Anatolian Cybele (Berkeley, etc., 1999). Abrief modern treatment in M. BEARD - J. NORTH - S. PRICE, Religions of Rome (2 vols., Cambridge1998), 1.96-98, 164-166 (with translated sources in vol. 2). On ‘Mater Magna’ rather than ‘MagnaMater’ see K. ZIEGLER, ‘Mater Magna oder Magna Mater?’, in: J. BIBAUW (ed.), Hommages à MarcelRenard (3 vols., Brussels 1969), 2.845-855.

2 R.R. NAUTA, ‘Catullus 63 in a Roman context’, in: R.R. NAUTA - A. HARDER (eds.), Catullus’ Po-em on Attis. Text and Contexts (Leiden 2005), 87-119, at 111-113 (= Mnemosyne 57 (2004), 596-628, at620-622).

3 The most important recent discussions are E. GRUEN, Studies in Greek Culture and Roman Poli-cy (Berkeley, etc. 1990), 5-33; BORGEAUD, Mère (n. 1), 89-130; ROLLER, God the Mother (n. 1), 263-285;and A. ERSKINE, Troy between Greece and Rome. Local Tradition and Imperial Power (Oxford 2001),205-224. On the two Phrygias see also the contribution of Ph. Hardie to this volume.

PHRYGIAN EUNUCHS AND ROMAN VIRTUS: THE CULT OF THE MATER MAGNA

AND THE TROJAN ORIGINS OF ROME IN VIRGIL’S AENEID

RUURD R. NAUTA

Asia Minor was present in the City of Rome at its very centre: on thePalatine, next to the house of Augustus and close to many spots connectedwith the foundation of the city, was the temple of the Mater Deum MagnaIdaea, who had been brought from Phrygia to Rome in 204 BC1. Her wor-ship was associated on the one hand with the respectable Roman ludi Mega-le(n)ses (or Megale(n)sia), on the other hand with the orgiastic rites of herpriests, who were Phrygian eunuchs. The goddess’ home could be situatedmore specifically in the Troad (as Idaea indicates), and that implied that sheshared her origins with Aeneas, the founder of the Roman people. Thus the‘Oriental’ elements in her cult might reinforce an ‘Orientalist’ reading of theTrojan origins of Rome. In an article on Catullus 63 I have briefly suggestedthat the connection between the Trojan origins of Rome and the cult of theMater Magna was used by Virgil for a meditation on Roman national identi-ty2. In the present paper I intend to develop that suggestion a little further,without, however, aspiring at offering more than a first exploration of alarge and complicated subject.

The Mater Magna came to Rome from Phrygia, but it is not always clearfrom which Phrygia3. The fullest account we have, that of Livy, reports that,

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4 Liv. 29.10.4-11.8, 14.5-14; Var. L. 6.15; Ov. F. 4.249-276. Further sources are listed in GRUEN,Studies (n. 3), 206, n. 33. It is sometimes stated that also Herodian derives the goddess from the Troad(thus ROLLER, God the Mother (n. 1), 269), but although the Roman envoys in his account obtain thegoddess by adducing sugg◊neian and recounting th\ n ¢p' A≥ne∂ou toà FrugÕj œj aÙtou\ j diadocˇn

(1.11.3), this happens in Pessinus. 5 Var. L. 6.15 Megalesia dicta a Graecis, quod ex Libris Sibyllinis arcessita ab Attalo rege Pergama;

ibi prope murum Megalesion, id est templum eius deae, unde aduecta Romam. ‘Etymological conjecture’:GRUEN, Studies (n. 3), 17.

6 Thus GRUEN, Studies (n. 3), 19; similarly ROLLER, God the Mother (n. 1), 269. Elaborate specu-lation about annalistic sources in H. BERNEDER, Magna Mater-Kult und Sibyllinen. Kulttransfer und an-nalistische Geschichtsfiktion (Innsbruck 2004).

7 Str. 12.5.3; on the meaning of ¢f∂druma see RADT ad Str. 4.1.4.8 Liv. 29.10.5, in reporting the contents of the Sibylline oracle: quandoque hostis alienigena terrae

Italiae bellum intulisset, eum pelli Italia uincique posse, si Mater Idaea e Pessinunte Roman aduecta foret;the name Mater Idaea is often used elsewhere in Livy, likewise in one breath with Pessinus at 34.3.8and 35.10.9. Before the Augustan period, Mater Idaea is to be found in Lucretius (2.611, quoted be-low) and frequently in Cicero (see n. 13).

through the intermediary of King Attalus I of Pergamum, the cultic imageof the goddess was transferred to Rome from Pessinus in Central Phrygia,and all other sources concur (though sometimes omitting Pergamum), withthe exception of Varro, who mentions Pergamum only, and Ovid, in whosestory the goddess is fetched, again with the assistance of Attalus, from Mt.Ida in the other Phrygia, the Troad4. Scholars often privilege Ovid’s story,precisely because it introduces the Trojan component, but they then have toexplain how the other versions came about. Varro, who derives the nameMegalesia from Megalesion, the name of the temple of the Great Mother atPergamum, ‘whence she was brought to Rome’, may merely indulge in ety-mological conjecture, and in any case the goddess is shipped from Perga-mum in the other versions as well5. For the story of Pessinuntine origin anannalistic source is suggested, to be dated to the second or early first centu-ry, when Pessinus had become an important shrine, and regularly came intocontact with Rome6. However, on this assumption the new story must notonly have ousted an original story of Trojan origins (which would imply thatat least at the time of the unknown annalist the connection with Troy was nolonger highly prized), it must also have influenced the propaganda of thePessinuntine shrine itself, which according to Strabo, ‘the Romans hadmade famous by taking thence an ¢f∂druma [i.e. something with which tofound their own cult] of the goddess’7. On the other hand, even in Livy’sversion, and even in his report of the oracle that urged the Romans to sum-mon the goddess from Pessinus, she is called Mater Idaea, and that nameunequivocally links her with Mt Ida8. However, this may still be reconciledwith the Pessinuntine version, if, as Erskine has recently argued, the epithetIdaea was added to the nomenclature of the goddess not to refer to her

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Phrygian eunuchs and Roman uirtus 81

9 Cf. ERSKINE, Troy (n. 3), 213-216.10 Cf. ERSKINE, Troy (n. 3), 216-223; on Attalus also (with different emphasis) GRUEN, Studies (n.

3), 29-32. 11 Thus S. WEINSTOCK in his review of Latte’s Römische Religionsgeschichte, JRS 51 (1961), 206-

215, at 213, accepted by GRUEN, Studies (n. 3), 19. It is also often held that foreign cults were excludedfrom the pomerium, and that the Mater Magna cannot for that reason have been regarded as a foreigndeity; but see ERSKINE, Troy (n. 3), 203, with reference to A. ZIOLKOWSKI, The Temples of Mid-Republi-can Rome and their Historical and Topographical Context (Rome 1992), 268-283, esp. 275-279.

12 See Liv. 29.14.13. Her own temple was dedicated only in 191: Liv. 36.36.3-4.13 Cic. Ver. 4.97, 5.186, Har. 22-29, Sest. 56, Leg. 2.22, 40, Sen. 45. She is called Mater Idaea in

Leg. (and cf. Fin. 5.64: sacra Idaea), Mater Magna in Sest. and Sen., both in Ver. and Har.14 Har. 28 Pessinuntem ipsum, sedem domiciliumque Matris deorum; 24 ex ultimis terris (27 ex

Phrygia). It must be noted, however, that the affair of Brogitarus, to which Cicero alludes at Har. 28(cf. Dom. 129, Sest. 56), had made Pessinus a topic of current interest.

place of origin, but to evoke certain associations with the Troad9. These as-sociations, he further suggests, were important to King Attalus, who in hisdiplomatic dealings with Rome stressed the shared Trojan ancestry, but theyplayed no role at Rome itself10. Against this, it has often been held that theMater Magna would not have received a temple on the Palatine, in an areafull of associations with the foundation of the city, if she had not herselfbeen associated with that foundation as well11. But the location of the tem-ple may perhaps be explained differently, from its vicinity to the temple ofVictory, where the goddess had been provisionally placed in 204, doubtlessto underscore the expectation that she would bring about the final victoryover Hannibal12. So it seems doubtful, although possible, that when theMater Magna was introduced to Rome, she was associated in the minds ofthe Romans with the myth of the city’s Trojan origins.

Whatever may have been the case in the earliest period, in the Late Re-public the association is absent from the literary record, with the possibleexception of Catullus 63, which I will leave out for the moment, because itis not explicitly about Rome. Three authors are relevant: Cicero, Varro, andLucretius. In Cicero, the Mater Magna is frequently mentioned, but neverassociated with Troy13. In De Haruspicum Responso there is a long passage(22-29), where, although Cicero calls the goddess Mater Idaea (22), he men-tions Pessinus as her ‘seat and home’ (28), and asserts that her cult had beenbrought ‘from the ends of the earth’ (24); this fits inland Pessinus betterthan Troy, which in any case is not mentioned14. In this passage Cicero is in-tent on amplifying the religious, moral and political importance of theMegalesia for the City of Rome, and he could hardly have failed to bring inTroy, if an association with Troy had been present in the collective con-sciousness of Romans of his day. Varro, who paid much attention to theMater Magna, both in a satiric mode in his Menippeae and in a scholarly

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15 Menippeae: Eumenides 132-143 Cèbe = 119-121, 130-133, 140, 149-151, 155 B.; Cycnus 79 C. =B.; ”Onoj lÚraj 358 C. = 364 B.; perhaps Testamentum 540 C. = B. Ant. rer. div.: fr. 267-269 Cardauns.

16 For the pun see D.A. WEST, The Imagery and Poetry of Lucretius (Edinburgh 1969), 106 (andnote that fruges was actually a spelling of Phryges). Commentators compare the story in Herodotus 2.2,in which the Egyptian king Psammetichus believes he has discovered that the Phrygians are the oldestpeople, because the first word uttered by two children who were raised without ever being spoken towas bekos, the Phrygian for ‘bread’ – but this is not quite the same.

17 For Greek tragedy see E. HALL, Inventing the Barbarian. Greek Self-Definition through Tragedy(Oxford 1989), 38-39; ERSKINE, Troy (n. 3), 73-75, 256-257. Roman tragedy: Enn. 312, 334 J.; Pacuv.205 R.2; Acc. 177, 489, 560, 665 R.2; inc. 7 R.2; paratragic: Pl. Bacch. 955. Lucretius: 1.474. Catullus:61.18-19, 64.344 (and cf. poem 63). In Virgil himself already in G. 4.41 (Phrygiae … Idae).

18 Further relevant passages include 2.788 (Creusa has been whisked away by the magna deumgenetrix); 6.783-787 (Anchises compares Rome to the Berecyntia Mater); 7.137 (Aeneas prays to i.a.Phrygiam … Matrem). The role of the Mater Magna in the Aeneid is discussed i.a. by T.P. WISEMAN,‘Cybele, Virgil and Augustus’, in: T. WOODMAN - D. WEST (eds.), Poetry and Politics in the Age of Au-gustus (Cambridge 1984), 117-128; R.M. WILHELM, ‘Cybele: the Great Mother of Augustan order’,Vergilius 34 (1988), 77-101; I. BECHER, ‘Der Kult der Magna Mater in augusteischer Zeit’, Klio 73(1991), 157-170, at 168-169; ROLLER, God the Mother (n. 1), 299-304.

mode in his Antiquitates rerum diuinarum, never mentions Troy – at least inthe fragments of his work that have been preserved15. Lucretius, in his fa-mous passage on the Mater Magna, explains why she has Phrygian comites:

hanc uariae gentes antiquo more sacrorum Idaeam uocitant Matrem Phrygiasque cateruas dant comites, quia primum ex illis finibus edunt per terrarum orbes fruges coepisse creari. (Lucr. 2.610-613)

She it is whom different nations in their ancient ritual acclaim as the IdaeanMother, and give her troops of Phrygians to escort her, because men declare thatfirst from that realm came the corn, which then spread over the round world. (tr.Rouse-Smith, Loeb-edn.)

The theory that agriculture first spread from Phrygia is not attested else-where, and seems to have been invented for the sake of the paronomasiaPhryges ~ fruges (a Latin pun, which cannot be derived from Greek), whichapparently was more important to Lucretius than any Trojan connection16.

In Virgil’s Aeneid the picture changes. For Virgil the Phrygian MaterMagna is emphatically a Trojan goddess. The use of ‘Phrygian’ for ‘Trojan’,pioneered by the Greek tragedians, was current in Roman tragedy as well,and is also found in Lucretius and Catullus17, but only in Virgil does it be-come constitutive for the identity of the Mater Magna. Her role throughoutthe Aeneid is to support her fellow-Trojan Aeneas. The passages in whichshe appears as doing so have often been discussed, and I shall limit myselfto two episodes18. The first, to which I shall return at the end of my article,concerns Aeneas’ ships, which are not only decorated with emblems of the

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19 Aen. 9.80-122, 10.219-255. For the decoration of the ships see 10.156-158 (Mt Ida and theMother’s lions).

20 Unless otherwise noted, translations of longer passages from the Aeneid are taken (sometimeswith slight modifications) from D.A. WEST, Virgil. The Aeneid. A New Prose Translation (Har-mondsworth 1990).

21 The connection is brought out by Ovid, who in his version of the oracle instructing the Romansto fetch the Mater from Asia echoes Apollo’s words in Virgil: mater abest: matrem iubeo, Romane, re-quiras (F. 4.259). For the syncretism see HORSFALL ad loc.

Mater Magna, but have also been built from the wood of her sacred pineson Mt Ida: when these ships are attacked by the Italians, Jupiter changesthem into sea-nymphs, who then inform Aeneas about the dangers threaten-ing him; Aeneas responds with a prayer in which he asks the alma parensIdaea deum – a poetical version of the cult title Mater Deum Magna Idaea –to protect her ‘Phrygians’19.

The second episode is the one in Book 3 where Apollo instructs the Tro-jans in oracular fashion that they should settle in their country of origin:

Dardanidae duri, quae uos a stirpe parentum prima tulit tellus, eadem uos ubere laeto accipiet reduces. antiquam exquirite matrem. (Verg. Aen. 3.94-96)

O much-enduring sons of Dardanus, the land which first bore you from yourparents’ stock will be the land that will take you back to her rich breast. Seek outyour ancient mother. (tr. West)20

Aeneas’ father Anchises interprets this wrongly as a reference to Crete,whence came, he alleges, ‘the Mother who dwells on Mt Cybelus’ – an allu-sion to the Mater’s mythological name Cybele –, ‘the bronze cymbals of theCorybantes’ – mythological servants of Cybele – ‘and the grove of Ida’ (111-112 hinc Mater cultrix Cybeli Corybantiaque aera / Idaeumque nemus). Hethus explains the syncretism between Cybele, attended by Corybants on MtIda in the Troad, and Rhea, attended by Curetes on another Mt Ida inCrete, but he also suggests that the cult of the Mater is bound up with theland of origin of the Trojans, which is also called mater21. Anchises’ error inidentifying this land as Crete is soon corrected by the Penates, who appearto Aeneas in a dream, and tell him he has to go to Italy, whence his ancestorDardanus had migrated:

hae nobis propriae sedes, hinc Dardanus ortus Iasiusque pater, genus a quo principe nostrum. (167-168)

This is our true home. This is where Dardanus sprang from and father Iasius,from whom our race took its beginning. (tr. West, modified)

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22 For the problems of the passage cf. HORSFALL ad loc., but without reference to the Corybants.That Iasius was their father is noted by DServ. ad 3.111. In view of the opposition between nos and tuin the speech of the Penates (154-157), one would expect that at 167-168 as well nobis and nostrumwould refer to them (rather than to the Trojan people, as it is generally taken). Could they possibly bereferring in some way to the tradition that Iasius inaugurated the mysteries of the Great Gods (see n.23), with whom they had been identified by Cassius Hemina and Varro (DServ. ad Aen. 1.378, Serv.and DServ. ad Aen. 3.12, etc.)?

23 D.S. 5.49.2-3 (= FGrH 548 F1). According to the story in Diodorus, Iasion was the first topractice the Samothracian mysteries (5.48.4), whereas the cult of the Great Mother was introduced byhis mother Electra (5.49.1), but the tradition about the transfer from Samothrace to the Troad is ofcourse dependent on a perceived similarity between the two cults. In D.H. 1.61.3-4 it is Idaeus (~ Ida),son of Dardanus, who after the death of Iasus (as he is there called) brings the cult of Mother of theGods from Samothrace to the Troad.

24 Aen. 7.206-208 his ortus ut agris / Dardanus Idaeas penetrarit ad urbes / Threiciamque Samum,quae nunc Samothracia fertur; cf. HORSFALL ad loc.

25 See esp. F. BÖMER, ‘Kybele in Rom. Die Geschichte ihres Kults als politisches Phänomen’,MDAI(R) 71 (1964), 130-151, at 138-144; WISEMAN, ‘Cybele’ (n. 18); WILHELM, ‘Cybele’ (n. 18).

It is difficult to explain why it is Iasius rather than his brother Dardanusto whom the attribute pater is attached and who is called princeps of genusnostrum, but his prominence in the present context must be related to thetradition that he was the father of the Corybants, who have just been men-tioned in Anchises’ mistaken interpretation of the oracle22. According to an-other variant, reported by Diodorus Siculus, Iasion (as Iasius was alsocalled) married Cybele and begot Corybas, who after Iasion’s death migrat-ed, together with Cybele and Dardanus, to the Troad, where they institutedthe cult of the Great Mother and Corybas named the ecstatic participants inthe rites ‘Corybants’ after himself23. Virgil has Dardanus and Iasius origi-nate from Italy, but Dardanus’ stay on Samothrace, presumably on the jour-ney from Italy to the Troad, is explicitly mentioned in Book 724. All in all, itseems not unlikely that Virgil’s readers were familiar with stories such as theone reproduced by Diodorus, and that the name of Iasius is meant to evokethese stories. If that is indeed the case, Virgil’s readers would recognise thatthe Penates correct not only Anchises’ version of the origin of the Trojans –and hence ultimately the Romans –, but also his version of the origin of thecult of the Mater Magna.

The prominence of the Mater Magna and her association with Troy in theAeneid have generally been explained from the new role the goddess ac-quired under Augustus25. In this context, T. P. Wiseman has pointed to thetopography of Rome: Augustus had built his house on the Palatine, next tothe temple of the Mater Magna, and although he had not chosen the spotfor that reason – rather, he was moved by the vicinity of the temple of Victo-ry and by the various associations of the Palatine with Romulus – he had toincorporate the goddess into his self-representation, and to this need, it is

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26 References as in n. 18. 27 Aen. 4.215-217 (Iarbas) et nunc ille Paris cum semiuiro comitatu, / Maeonia mentum mitra

crinemque madentem / subnexus, rapto potitur; 12.97-100 (Turnus) da sternere corpus / loricamquemanu ualida lacerare reuulsam / semiuiri Phrygis et foedare in puluere crinis / uibratos calido ferro mur-raque madentis. Cf. NAUTA, ‘Catullus 63’ (n. 2), 112 (= 621). A full review would also have to includethe Trojan Chloreus, a former priest of Cybele, described by the narrator (not by a hostile character) at11.768-777; cf. HORSFALL ad loc.

28 On this speech see N.M. HORSFALL, ‘Numanus Remulus: ethnography and propaganda inAeneid 9. 598 ff.’ (1971), reprinted in: S.J. HARRISON (ed.), Oxford Readings in Vergil’s Aeneid (Oxford1990), 305-315; M. DICKIE, ‘The speech of Numanus Remulus (Aeneid 9,598-620)’, PLLS 5 (1985),165-221; and HARDIE ad 598-620 (p. 188).

29 On the significance of Ascanius’ bow-shot see HARDIE ad 590-663 (pp. 185-186) and 621-671(pp. 198-199).

proposed, Virgil responded. Although I do not wish to contest this explana-tion, I do wish to suggest that there are further resonances to the treatmentof the Mater Magna in the Aeneid. To bring these out, it is necessary to lookfirst at those passages where she and her cult are viewed unfavourably.

Like the positive passages, the negative ones have often been discussed26,and I shall do no more than mention that both Iarbas in Book 4 and Turnusin Book 12 characterise their enemy Aeneas as a Phrygian eunuch (semiuir),i.e. a gallus, a castrated devotee of the Mater Magna27. But I shall brieflydwell on the famous speech of Numanus Remulus in Book 9, in which hecontrasts the life of the sturdy Italian peasant-farmers with that of the Tro-jans, whom he represents as decadent (590-620)28. The speaker has an al-most excessively proto-Roman name, recalling King Numa as well as bothRomulus and Remus, and his praise of Italian country life is likewise exces-sive. Moreover, his disparagement of the Trojans is immediately refuted byAscanius, Aeneas’ son, who responds to his speech by killing him with anarrow, thus demonstrating that it is not only the Italian boys for whom thehunt is a preparation for war29. Yet even though Numanus’ words are in thisway ‘corrected’, they still demand to be taken seriously. To a certain extent,they are corroborated in the scene of reconciliation between Jupiter andJuno in Book 12, where Jupiter grants that the Italians may keep their dress,their language and their mores, and promises that the Trojans will con-tribute no more than their blood to the new race, which will be powerfulthrough Italian uirtus (820-840). It is therefore significant that Numanusends his speech by denying that the Trojans are men, uiri:

uobis picta croco et fulgenti murice uestis, desidiae cordi, iuuat indulgere choreis, et tunicae manicas et habent redimicula mitrae. o uere Phrygiae, neque enim Phryges, ite per alta Dindyma, ubi adsuetis biforem dat tibia cantum.

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30 Translations of passages from Catullus 63 are taken from the translation by S. HARRISON inNAUTA - HARDER (eds.), Catullus’ Poem on Attis (n. 2).

31 See n. 2.

tympana uos buxusque uocat Berecyntia Matris Idaeae; sinite arma uiris et cedite ferro. (Verg. Aen. 9.614-620)

But you like your clothes dyed with yellow saffron and the bright juice of thepurple fish. Your delight is in dancing and idleness. You have sleeves to your tunicsand ribbons to keep your bonnets on. You are Phrygian women, not Phrygian men!Away with you over the heights of Mount Dindymon, where you can hear yourfavourite tunes on the double pipe. The tambourines are calling you and the box-wood fifes of the Berecyntian Mother of Mount Ida. Leave weapons to the men andrenounce iron. (tr. West, modified)

The verses 617-618 unmistakably evoke Catullus 63:

agite ite ad alta, Gallae, Cybeles nemora simul, simul ite, Dindymenae dominae uaga pecora (Catul. 63.11-12)

Come, go together, Gallae, to the lofty groves of Cybele, go together, wanderingherds of the lady of Dindymum. (tr. Harrison)30

Until now, I have left Catullus’ poem out of account, because it is not, onthe face of it, about Rome at all. It is about a Greek boy, called Attis, whohas abandoned the life of an eromenos in the palaestra and the gymnasium,and has sailed to the wilderness of Phrygia, where in ecstatic devotion toCybele he unmans himself and, in spite of regrets, becomes a servant of thegoddess for the rest of his days. Phrygia here is clearly the Troad – Mt Ida ismuch to the fore –, and I have formerly argued that this may have have hada special resonance for Roman readers31. But in the present paper I have at-tempted to demonstrate that the connection between the cult of the MaterMagna and the Trojan origins of Rome was not ‘activated’, although it wasin principle available, before Virgil, and I now wish to suggest that it was ac-tually Virgil who brought out the Roman significance of the text. Catullus63 may have challenged him to employ the cult of the Mater Magna to dis-cuss an ambivalence in Roman national identity. The Romans were verymuch preoccupied by the dangers of moral corruption, which they con-ceived of as alien to their own nature, and projected on what was other,both in terms of ethnicity and gender: Roman uirtus was seen to be under-mined by foreign, and especially Oriental, effeminacy. What Virgil does, andreads Catullus as doing, is to locate this Oriental effeminacy at the veryplace of origin of the Romans.

But Catullus’ poem may also have inspired Virgil to develop a vision of

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32 See HARDIE ad 590-591 and 641.

history in which the danger of moral corruption might be overcome. Thatpoem is about a young man who cannot or will not make the transition, sex-ually and socially, to adult male life. This is symbolised by his self-castrationand expressed by the feminine linguistic forms used to refer to him. Nu-manus Remulus also uses these feminine forms (uere Phrygiae, neque enimPhryges), implying that the Romans have refused to become real men. Buthis speech is framed by the transition of a Trojan boy, and one might say theTrojan boy, Ascanius / Iulus, to manhood. Before the speech, Virgil an-nounces that this was the first time that Ascanius had proved himself a war-rior rather than a hunter (590-594), and afterwards Apollo congratulateshim on his new-won manhood: macte noua uirtute, puer. sic itur ad astra(641)32. This suggests that there is also the possibility of successful transi-tion, contrasted with the unsucessful or abortive transition of Attis. And itsuggests that the transition from Troy to Rome is parallel to that of boy toman.

From this perspective I should like to consider two further passages,both from Book 5, a book in which the continuity between Troy and Romeis a leading theme. The first passage is the ecphrasis of the splendid Greekcloak, embroidered with gold and purple, that Aeneas gives as a prize to thewinner of the boat race, Cloanthus:

ipsis praecipuos ductoribus addit honores: uictori chlamydem auratam, quam plurima circum purpura maeandro duplici Meliboea cucurrit, intextusque puer frondosa regius Ida uelocis iaculo ceruos cursuque fatigat acer, anhelanti similis, quem praepes ab Ida sublimem pedibus rapuit Iouis armiger uncis; longaeui palmas nequiquam ad sidera tendunt custodes, saeuitque canum latratus in auras. (Verg. Aen. 5.249-257)

In addition the captains were singled out for special honours. The victor re-ceived a cloak embroidered with gold round which there ran a broad double mean-der of Meliboean purple, and woven into it was the royal prince running with hisjavelin and wearying the swift stags on the leafy slopes of Mount Ida. There he was,eager and breathless, so it seemed, and down from Ida plunged the bird that carriesthe thunderbolt of Jupiter and carried him off in its hooked talons high into theheavens while the old men who were there as his guards stretched their hands invain towards the stars and the dogs barked furiously up into the air. (tr. West)

The rape of Ganymede is one of the causes of Juno’s wrath that sets the

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33 Here and elsewhere in Book 5, Virgil draws on Varro’s and Hyginus’ works De familiis Troianis;cf. Serv. ad 5.389 (Hyginus) and 5.704 (Varro). See PETER, HRR, 2.XXXIII, CVI, and for views on thehistorical context T.P. WISEMAN, ‘Legendary genealogies in Late-Republican Rome’, A&R 21 (1974),153-164; P. TOOHEY, ‘Politics, prejudice, and Trojan genealogies: Varro, Hyginus, and Horace’,Arethusa 17 (1984), 5-28.

34 See Ph. HARDIE, ‘Another look at Virgil’s Ganymede’, in: T.P. WISEMAN (ed.), Classics inProgress. Essays on Ancient Greece and Rome (Oxford 2002), 333-361. Hardie reacted to a ‘pessimistic’reading by M.C.J. PUTNAM, Virgil’s Epic Designs. Ekphrasis in the Aeneid (New Haven - London 1998),55-74, based on an earlier article, ‘Ganymede and Virgilian ekphrasis’, AJPh 116 (1995), 419-440.Hardie was criticised in turn by PUTNAM, ‘Two ways of looking at the Aeneid’, CW 96 (2002-2003),177-184.

35 Cf. F. BELLANDI, ‘Ganimede, Ascanio e la gioventù Troiana’, in: Studi di filologia classica inonore di Giusto Monaco (4 vols., Palermo s.a. [1991]), 2.919-930 (arguing that by making him a hunter,Virgil ‘virilises’ Ganymede); HARDIE, ‘Ganymede’ (n. 34), 338-339.

36 Cf. PUTNAM, Epic Designs (n. 34), 60 for the verbal echo of simul anhelans in anhelanti similis,and 65-66 for his interpretation.

Aeneid in motion (1.27) and that determines the course of the poem, untilshe gives it up in the end, allowing the Trojans to become Romans; Cloan-thus, as Virgil recalls at the beginning of the boat race, will be the ancestorof the Roman Cluentii (5.122-123)33. So the ecphrasis reminds the reader ofthe entire sweep of the Aeneid and of Roman history beyond it. Moreover,Philip Hardie has brilliantly demonstrated that Ganymede’s ascension toheaven foreshadows in various ways the apotheosis of Aeneas, that of Ro-mulus (through allusion to Ennius), and hence that of Julius Caesar and theanticipated apotheosis of Augustus34. Similarly, as Hardie also points out,Ganymede’s journey from Mt Ida to the stars anticipates the trajectory ofanother regius puer, Ascanius / Iulus, who in the words of Apollo quotedabove is figuratively raised to the stars at the moment of his transition fromboy to man. That transition was connected with a transition from hunting towarfare, and it must be significant in this respect that Ganymede is depictedby Virgil not, as was usual, as a herdsman, but as a hunter35. But there is acrucial difference between Ganymede and Ascanius in that the former doesnot make the transition from boy to man: even though being elevated to thegods, he remains locked for all eternity in the role of an eromenos. He mayremind the reader of another boy running breathlessly on Mt Ida, Catullus’Attis36:

uiridem citus adit Idam properante pede chorus. furibunda simul anhelans uaga uadit, animam agens (Catul. 63.30-31)

The swift troup came to green Ida with speeding foot. Raving, panting the while,Attis went wandering, pumping her breath (tr. Harrison)

That boy’s transition to manhood was likewise prevented by the interven-

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37 This is also suggested by its being a non-Roman garment (a chlamys), displaying ‘oriental’ luxu-ry in its gold and purple; cf. PUTNAM, Epic Designs (n. 34), 222, n. 14; and HARDIE, ‘Ganymede’ (n.34), 353-355, for a more positive view.

38 See above, n. 33.39 The association of Atys with Attis is also posited by PUTNAM, Epic Designs (n. 34), 66 (who in n.

16 credits Raymond Marks).40 AP 6.220.3 = 1541 HE. In fact ”Atuj stems from the corrector C, whereas the first hand in the

codex has ”Atij. Although in Phrygia spellings with a single consonant were current (but in the formAtes: see J.N. BREMMER, ‘Attis: A Greek god in Anatolian Pessinous and Catullan Rome’, in: NAUTA -HARDER (eds.), Catullus’ Poem on Attis (n. 2), 25-64 (= Mnemosyne 57, 534-573), at 44 (= 553)), ”Atij

looks like an error influenced by ”Attij, whereas ”Atuj fits the Lydian context (cf. also the headnote inGOW - PAGE). That the stories of Attis and Atys got mixed up appears from Hermesian. fr. 8 P. (or so itseems to me, but cf. BREMMER, 27-30 (= 536-539)).

tion of an imperious deity. If we read the cloak this way, we are bound to re-alise that it still belongs to the Trojan past37.

Somewhat later in Book 5, the Trojan boys perform the equestrian exer-cise known as the lusus Troiae, the ‘Troy game’. They are led by Iulus, theson of Aeneas, by a young Priam, grandson of the Trojan king, and by Atys,who is presented as the ancestor of the Atii, the family of Augustus’ mother:

alter Atys, genus unde Atii duxere Latini, paruus Atys pueroque puer dilectus Iulo. (Verg. Aen. 5.568-569)

The second squadron was led by Atys, the founder of the Atii of Latium. YoungAtys was a dear friend of the boy Iulus. (tr. West)

The connection of the Atii with a mythical Atys may derive from the Defamiliis Troianis of Varro or Hyginus, laid to contribution by Virgil else-where in Book 538, and an Atys appears in Livy’s list of the kings of AlbaLonga (1.3.8), but the name is also suggestive of Attis, the name of themythical consort of Cybele as well as of Catullus’ human servant of thatgoddess39. Although Atys is a Lydian, not a Phrygian name, the well-knownstory of Atys, the son of the Lydian king Croesus, got mixed up with that ofPhrygian Attis, and in one of the epigrams of the Greek Anthology a gallus(traveling from Phrygia to Lydia) is called Atys40.

A further association with Attis has recently been detected in the goldentorques (or twisted necklaces) that the boys are described as wearing:

it pectore summo flexilis obtorti per collum circulus auri. (558-559)

with circlets of twisted gold round neck and chest. (tr. West)

The American archaeologist Brian Rose has argued that the golden torquesevoked the apparel of the galli, the priests of the Mater Magna, as well as the

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90 Ruurd R. Nauta

41 See C.B. ROSE, ‘Bilingual Trojan iconography’, in: R. ASLAN et al. (eds.), Mauerschau. Festschriftfür Manfred Korfmann (Remshalden - Grunbach 2002), 1.329-350, at 334-337; also ‘The Parthians inAugustan Rome’, AJA 109 (2005), 21-75, at 43, n. 117; cf. 48.

42 Suet. Aug. 43.2 sed et Troiae lusum edidit frequentissime maiorum minorumque puerorum, priscidecorique moris existimans clarae stirpis indolem sic notescere. in hoc ludicro Nonium Asprenatem lapsudebilitatum aureo torque donauit passusque est ipsum posterosque Torquati ferre cognomen.

43 This Nonius Asprenas Torquatus (PIR2 N 126) was the son of L. Nonius Asprenas suff. 6 AD(N 118). Even if the father’s consulate came late, the son cannot have been old enough to participate inthe game during Virgil’s lifetime. W. ECK identifies the father with the suff. 29 AD (see W. ECK - A. CA-BALLOS - F. FERNÁNDEZ, Das senatus consultum de Cn. Pisone patre (Munich 1996), 85-87), but withouttaking the passage in Suetonius into account.

44 See J. LINDERSKI, ‘The silver and gold of valor: the award of armillae and torques’, Latomus 60(2001), 3-15 (10 on the passage in Suet.).

45 The iconographical material has been collected in the seven volumes of M.J. VERMASEREN, Cor-pus Cultus Cybelae Attidisque (Leiden 1977-1989) (= CCCA), of which vol. 3 covers Latium. Rose’spicture is CCCA 3, nr. 250, from the third century; it is also reproduced i.a. on the cover of vol. 2 ofBEARD - NORTH - PRICE, Religions of Rome (n. 1). The only parallel I have been able to find in CCCA 3(or in LIMC), and the only parallel mentioned by Rose (‘Iconography’ (n. 41), 334, n. 28; ‘Parthians’(n. 41), 48, n. 155) is nr. 466, dated by Vermaseren to the middle of the second century.

46 In the publication of the treasure by E. PERNICE - F. WINTER, Der Hildesheimer Silberfund(Berlin 1901), 26-28, identification with Men was still considered, but rejected because the bowl forms

iconography of Attis himself41. He shares the general consensus that Virgildescribes the game as it was performed in his own time, but I think that gold-en torques cannot then have been worn. We have a notice in Suetonius thatwhen Nonius Asprenas was wounded in the lusus Troiae, he was awarded agolden torque by Augustus and gained the right to assume the hereditarycognomen Torquatus42. Now if golden torques were a regular feature of theboys’ costume, this would surely not have been a meaningful gift. If we iden-tify Suetonius’ Nonius Asprenas with the first known bearer of that namewho carried the cognomen Torquatus (as seems reasonable), the episode is tobe dated to after Virgil’s death43, and it is just conceivable that Augustus’ giftwas made in acknowledgment of the Aeneid. Golden torques, however, wereregularly awarded as military decorations to honour extraordinary valour, andthis may perhaps suffice as a background to Augustus’ gesture44.

But even if Roman boys did not wear golden torques when performingthe lusus Troiae, the Trojan boys in the Aeneid did, and the question re-mains whether this evoked the galli and Attis himself. Although one of themost widely reproduced pictures of a gallus does indeed show a torque, thisrepresentation is not only late, but also highly exceptional45. Likewise thereare virtually no depictions of Attis with a torque, and the one that Rose ad-duces, a bust embossed on a silver bowl from the famous Hildesheim treas-ure, has a crescent moon fastened to the shoulders and a starry cap, whichputs it beyond doubt that the deity represented is not Attis, but the moon-god Men46. So the torques of the Trojan boys in Aeneid 5 did not evoke the

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Phrygian eunuchs and Roman uirtus 91

a pair with a similar bowl depicting Cybele. However, because Men is also coupled with Cybele, thisargument should not have carried great weight. Men is no longer mentioned in the subsequent litera-ture on the Hildesheim treasure, and the identification with Attis is taken for granted in the icono-graphical literature on that god (e.g. CCCA 6, no. 65, or the article by M. J. VERMASEREN - M. DE BOER

in LIMC, nr. 345). However, E. LANE, Corpus Monumentorum Religionis Dei Menis (4 vols., Leiden1971-1978) (= CMRDM) at the last minute included the bowl in his corpus of the religion of Men(2.169; cf. 3.92-93), and hence it found its way to the article ‘Men’ by R. VOLLKOMMER in LIMC (no.6). I know of only one other example of Attis with a torques (LIMC, no. 361).

47 The two children in ‘barbarian’ dress on the Ara Pacis also wear torques. If they representGaius and Lucius dressed as Trojans, then the passage from the Aeneid might have inspired theiconography, but it must be noted that the details differ considerably (and that at least the youngerchild is too young for the lusus Troiae). It is more likely that they are foreign princes raised at the courtin Rome, as has been argued most recently by ROSE, ‘Parthians’ (n. 41), 38-44. In that case the torquesin the Aeneid would indeed have been taken as connoting ‘barbarian’ royalty.

48 Cf. A. BARCHIESI, ‘Learned eyes: poets, viewers, image makers’, in: K. GALINSKY (ed.), TheCambridge Companion to the Age of Augustus (Cambridge 2005), 281-305, at 296.

49 See HARRISON ad 138 (rejecting M’s subnectit). For this passage I have used Harrison’s translation.

cult of the Mater Magna. Yet they did more than recall a military decoration(like the torque given by Augustus to Nonius Asprenas may have done), andmust be regarded as Orientalising signs. Although associated also with theGauls, torques were best known as the insignia of Eastern nobility, and inHorace they are worn by Parthian kings (C. 3.6.12)47. So the torques shouldbe put in the same category as Priam’s tiaras (7.247), as a reminder of theTrojans’ ‘Oriental’ past48. But the tiaras, like the cloak with the Ganymedemotif, is given away, whereas the torques are not discarded, at least not inthe case of Ascanius.

In Book 10, Ascanius is again seen wearing a golden torque:

ipse inter medios, Veneris iustissima cura, Dardanius caput, ecce, puer detectus honestum, qualis gemma micat fuluum quae diuidit aurum, aut collo decus aut capiti, uel quale per artem inclusum buxo aut Oricia terebintho lucet ebur; fusos ceruix cui lactea crinis accipit et molli subnectens circulus auro. (Verg. Aen. 10.132-138)

He himself in their midst, Venus’ most rightful concern, the Trojan boy, his come-ly head uncovered, glowed like a jewel set in tawny gold, an ornament for neck orhead, or as ivory shines set skilfully in box-wood or Orician terebinth; his milky neckand the circlet enclasping it with pliant gold receive his flowing hair. (tr. Harrison)

There is a slight problem of text and interpretation here, but is is likely thatcirculus auro, which echoes circulus auri from Book 5, points not to a head-band, but to a torque49. However that may be, it is striking as how softly ef-feminate Ascanius is here represented, and with what suggestions of exotic

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50 Cf. BARCHIESI, ‘Learned eyes’ (n. 48), 302.51 Cf. HARDIE ad 9.656.52 Ovid’s imitation of Catullus (and Lucretius) is discussed by L. LANDOLFI, ‘Attis “rescriptus”?

Su Ov. Fast. 4, 179-246’, Pan 18-19 (2001), 287-301. 53 Cf. also n. 21.54 As is done, e.g. by GRUEN, Studies (n. 3), 15-18.

luxury, as the object of an eroticised gaze (ecce, puer)50. In Book 9, Apollohailed Ascanius as a man, but he also forbade him to engage further in thewar because yet a boy (9.656 parce, puer, bello); and in Book 12 Ascanius,still a boy, has to learn uirtus from Aeneas (12.435 disce, puer, uirtutem exme)51. This may suggest that the final transition Ascanius has to make liesoutside the Aeneid, in the space of history.

I should like to conclude this paper by devoting a few words to Ovid’s de-scription of the Megalesia in the Fasti (4.179-372). The text imitates not onlyLucretius’ description of the procession of the Mater Magna (2.600-660),but also Catullus 63, both in the section on the festive procession in Romeand in the aetiological story of the self-castration of Attis (in this case themythological Attis)52. I have listed a few of the allusions in the table below.

Ov. F. 4.241-242, 341-342, 365-366‘ah pereant’ dicebat adhuc; onus inguinis aufert, nullaque sunt subito signa relicta uiri. …exululant comites, furiosaque tibia flatur, et feriunt molles taurea terga manus. …qui bibit inde, furit: procul hinc discedite, quis estcura bonae mentis: qui bibit inde, furit.

Cat. 63.5-6, 10-11, 92-93deuolsit ili acuto sibi pondera silice, itaque ut relicta sensit sibi membra sine uiro, …quatiensque terga tauri teneris caua digitis canere haec suis adortast tremebunda comitibus:

(22 tibicen, 24 ululatibus, 28 ululat, etc.)procul a mea tuus sit furor omnis, era, domo: alios age incitatos, alios age rabidos.

But Ovid also imitates Virgil, from whom he takes over the explicit deri-vation of the cult of the Mater Magna from Troy53. In Ovid, the ship onwhich the goddess is brought to Rome is constructed from the very samepine trees on Mt Ida that had provided the timber for Aeneas’ ships in Vir-gil, and Ovid’s Cybele is said to follow Aeneas to Latium (273-274, 251-254). With this I may return to the beginning of my paper, because itdemonstrates that Ovid cannot be used as testimony to an older and moreauthentic tradition in which the Mater Magna came from Mt Ida ratherthan from Pessinus54. The role of the Troad in Ovid derives entirely fromVirgil. And by combining imitation of Virgil with imitation of Catullus,Ovid acknowledges Virgil’s move in recuperating Catullus’ poem for a dis-course about national identity.

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1 HALL (1989). 2 BEARD (1994); WISEMAN (1984).3 See EDWARDS (1996) ch. 5; DENCH (2005).4 Ov. Fasti 6.703-708; Met. 6.382-400.

PHRYGIANS IN ROME / ROMANS IN PHRYGIA

PHILIP HARDIE

In Roman literature of the late Republic and early Empire ‘Phrygian’ isboth a label for the Trojan origins of Rome and a term for the barbarianOther. Attic tragedy appears first to have made the identification betweenTrojan and Phrygian, as part of what Edith Hall calls ‘inventing the barbar-ian’1. What is curious about the Roman reception is that, so far from sup-pressing the negative connotations of ‘Phrygian’, or dropping the term as abadge of ethnic origin, the ‘non-Roman’ meanings of the name are allowed,even encouraged, to play within myths of national origin and identity2. Thisis perhaps less surprising when one reflects on other tensions within the Ro-mans’ myths of national identity, such as the paradox that the site of Rome,the Capitol, immovable home of the gods, is also a place of exile and immi-gration, the asylum of Romulus3. It is worth remembering that Catullus 63,the Attis poem, is a central text for the Virgilian and post-Virgilian versionof the Roman myth not just because it dramatizes a contrast between thevalues of Greco-Roman civilization and oriental barbarianism, but becauseit does so through a narrative of exile: Attis, the hyper-civilized Greekyouth, travels into exile in wild Phrygia, the place from which future jour-neys into exile will be undertaken by the Trojan Aeneas and by the MagnaMater herself, in the service of the creation and preservation of the westerncivilization of Rome.

Attis is not the only paradoxical Phrygian who finds a place in the repre-sentation of Roman identity. Another Phrygian who suffered an even greaterdiminution than Attis through an act of cutting, but who occupies a literallycentral place in Rome, is Marsyas. Punished for his presumption in chal-lenging Apollo to a contest of music, he was flayed alive4. In the Roman Fo-rum stood a statue of a silenus with a wine-skin, called Marsyas (Hor. Sat.1.6.120). Copies of this statue were set up in liberae ciuitates in Italy. If, as

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5 COARELLI (1985), 91-119, referring to VEYNE (1961); TORELLI (1982), 102-106; WISEMAN

(2000), 273-274; WISEMAN (2004), 68-69.6 On the difficulty of distinguishing boundaries between Bithynians, Phrygians, Mysians, Do-

liones, Mygdonians, Trojans, and especially between Phrygians and Mysians see LAMMINGER-PASCHER

(1989), 9-11; INNOCENTE (1995); MUNN (2006), 66-68. The PAULY - WISSOWA entry is useful.7 Cf. also Strabo 10.3.22 (Troad called Phrygia), 12.4.4.8 LASSERRE (1981), 130 (on Strabo 12.82).9 GODWIN (1999) ad loc.

Coarelli argues, the early third-century BC bronze statue of Marsyas fromPaestum is one of these copies, bondage and liberty were symbolized by, re-spectively, fetters on his ankles and a royal diadem around his head. A com-plicated, and perhaps plausible, reconstruction of the story behind this stat-ue sees links between a Phrygian king Marsyas, the gens Marcia, and thestruggle of the Roman plebs for freedoms and rights at the end of the fourthand beginning of the third centuries BC5. The satyr humiliated, bound,stripped of his physical identity is at the same time the symbol of Romanand Italian rights and liberties.

There is another way in which ‘Phrygian’ functions as a shifting signifier,through the fluidity of the term as a geographical label6. The geographersdistinguish between ‘Great Phrygia’, the one-time kingdom of Midas, and‘Small Phrygia’, including the Troad and the region around mount Olym-pus; they also comment on the difficulty of distinguishing the boundaries ofPhrygia, Mysia, and Bithynia (Strabo 12.8.2: ⁄rgon dior∂sai cwrπj ta\Musîn kaπ Frugîn or∂smata)7. Strabo’s source Apollodorus appears tohave debated the limits of Phrygia at length, underlining the contradictionson the subject8.

Catullus, in poem 46.4 in eager anticipation of his homeward journeyfrom Bithynia, is glad to leave the fields of Phrygia: linquantur Phrygii, Ca-tulle, campi. These Phrygii campi are the same as the Bithynian fields whichhe can scarcely believe that he has left in poem 31.5-6: uix mi ipse credensThuniam atque Bithunos | liquisse campos. The geography of poem 31 iscomplicated by the fact that Catullus returns to a place that itself has originsin Asia Minor (13-14): uosque, o Lydiae lacus undae, | ridete quidquid est do-mi cachinnorum (‘and you Lydian waters of the lake, laugh with whateverlaughter you have in stock’). The allusion to the origin of the Etruscans hasbeen found obtrusive in this context of the simple joy of returning home,and editors have attempted to emend it away. One commentator sees here ajoke in the fact that the waves of Catullus’ home are just as much travellersas is Catullus9. But given Catullus’ interest elsewhere in origins and homes, Iwould see something rather more than just a joke, a sophisticated awarenessof the historical contingencies of what counts as home.

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10 NAUTA (2004), 622-625. On the question of whether Virgil first associated Cybele with the Tro-jan legend see AUSTIN (1964) on Aen. 2.788. Does Catullus’ aue atque uale (101.10) echo behindCreusa’s iamque uale (Aen. 2.789)? Catullus has come as an Odyssean wanderer to Troy to say his lastgoodbye to his brother; Creusa, detained in Troy by the Magna Mater, says farewell to her husband ashe is on the point of setting off on his ‘Odyssean’ wanderings. iamque uale is also addressed to Aeneasby the ghost of Anchises at Aen. 5.738; when they next meet in book 6, Anchises will echo Cat. 101.1-2in his opening words to his son, Aen. 6.692-693.

Juxtaposition of near and far here dissolves into laughter; elsewhere thelocation of the familiar in an alien setting takes on a tragic note, in Catullus’journey to distant Troy to find the tomb of his brother, in poem 101. In thisforeign landscape Catullus will make the offerings traditional at home (7-8):prisco quae more parentum | tradita sunt tristi munere ad inferias (‘thosethings which in the ancient custom of our forefathers I have presented, asad gift, for my offering’). In poem 68.97-102 Catullus compares his ownunhappy journey to Troy with that of the Greeks, in language that empha-sises that for both parties this is a journey of exile: quem nunc tam longe noninter nota sepulcra | nec prope cognatos compositum cineres | sed Troia obsce-na, Troia infelice sepultum | detinet extremo terra aliena solo. | ad quam tumproperans fertur lecta undique pubes | Graeca penetralis deseruisse focos (‘youwho now are laid to rest so far away, not among the tombs you know, norbeside the ashes of your family, but buried in sinister Troy, in ill-omenedTroy, a foreign land keeps you in soil at the end of the world; whither theysay that a band chosen from all over Greece hurried in those days, abandon-ing the hearths of their homes’). Ruurd Nauta has suggested that Catullus’audience may already have made the connection between Troy and thePhrygian Magna Mater that is explicit in Virgil’s and Ovid’s allusions to Cat-ullus 6310. If so, poem 63’s narrative of exile and alienation in Phrygia willinteract both with Catullus’ own journey to Troy, and with the Roman mythof foundation through exile from Troy, or Phrygia.

In connection with the association of Phrgyia, and of Phrygian Troy, withRoman myths of exile and migration, we might also bear in mind that thePhrygians themselves are said originally to have migrated into Asia Minorfrom Europe. According to Strabo (14.5.29; see also 7.3.2-3), Xanthus theLydian said that the Phrygians came from Europe after the Trojan War.From this point of view the migration of the Trojan ‘Phrygians’ to Italy andtheir transformation into Romans is part of a larger story of wanderings anduncertain boundaries.

In the rest of this paper I focus on Ovid’s handling of the theme of Phry-gians in Rome, looking once more at the contradictions and contrasts withinthe representation of Phrygia and the Phrygians. Before turning to the Meta-morphoses, a few words on the role of Phrygia in Ovid’s account of the Mega-

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11 NAUTA (2004), 625.12 223 in siluis: Cat. 63.3 adiitque opaca siluis redimita loca deae, 89 illa demens fugit in nemora

fera; 233 furit, 243 uenit in exemplum furor hic : Cat. 63.4 furenti rabie, 31 furibunda, 38, 78, 79, 92furor; 242 nullaque sunt subito signa relicta uiri: Cat. 63.6 ut relicta sensit sibi membra sine uiro.

13 BARCHIESI (1997), 185.

lesia in Fasti 4. Nauta has pointed to the ambivalence in the contrasting char-acters of the two Phrygians in Ovid’s complex of narratives: the Phryx puer insiluis (223), Attis, whose story is one of furor, madness and self-mutilation,and the Phryx pius (274), Aeneas, the founding-hero of a new civilization11.In Ovid’s version of the Attis story, Cybele cuts down the tree whose life iscoextensive with that of the nymph with whom Attis has been unfaithful toCybele. This tree-felling leads to Attis’ delusion that his wedding chamber iscollapsing, and his flight to the summit of mount Dindymus. Aeneas’ journeyfrom Troy to Italy is undertaken with ship-timbers felled in the same sacredmountain-top pine forests that will furnish the ships to transport the MagnaMater to Rome in 204 BC. This contrast between the savage and the civilizedis also effected through a juxtaposition of what were for Ovid, as for us, thetwo chief earlier Latin poetic accounts of the worship of the Magna Mater, byCatullus and Lucretius. Phryx puer in siluis signals the beginning of a versionof the story of Attis that is pointedly different in plot from the Catullan, butsimilar in its focus on the themes of madness, mutilation, and divine anger, ina wild forest setting12. The immediately preceding section in Fasti 4 goes overmuch of the ground covered in Lucretius’ description of the cult of theMagna Mater, selecting those parts that present the goddess and her worship-pers as the upholders of divine and human order: the original service of theCuretes (and Corybantes) in ensuring that Jupiter could in time establish hisrule; the Magna Mater’s lions as a symbol of feritas mollita, and her turretedcrown as a memorial of her role as city-founder.

I turn now from the Fasti to the Metamorphoses. The last books of theMetamorphoses chart a large-scale movement from east to west, as the worldof Greek myth that occupies the great bulk of the poem is gradually overtak-en by Roman legend and history13. A series of literal journeys from east towest shift the reader’s geographical focus: Glaucus travels from Euboea to theItalian home of Circe, Monte Circeo, even before Aeneas makes his migra-tion. In book 15 Myscelos allusively follows in Aeneas’ footsteps, whenMyscelos journeys from Argos to found Croton in Italy, whither Pythagoraswill also make a journey from Samos. The Greek Hippolytus also finds refugein the Italian countryside. A doublet of the Fasti’s narrative of the bringing ofthe Magna Mater to Rome is provided by the account of the bringing of Aes-culapius from Epidaurus to Rome in 293 BC. In the last books of the Meta-

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14 12.38: Phrygia potiuntur harena (Greek crossing to Troy); 12.70: nec Phryges exiguo quidAchaica dextera posset | sanguine senserunt; 12.148: Phrygios muros; 12.612: timor ille Phrygum; 13.44:Phrygias … arces; 13.244: Phrygia de gente Dolona; 13.337; 13.389: saepe Phrygum maduit, domini nunccaede manebit; 13.429: est ubi Troia fuit, Phrygiae contraria tellus | Bistoniis habitata uiris; 13.432;13.435: ut cecidit fortuna Phrygum; 13.579; 13.721; 14.79: non bene discidium Phrygii latura mariti;14.547; 14.562: cladis adhuc Phrygiae memores odere Pelasgos; 15.444: (Helenus) urbem etiam cernoPhrygios debere nepotes; 15.452: utiliter Phrygibus uicisse Pelasgos.

15 BÖMER (1976) on 146.16 See JONES (1994), 207; Pelops as Phrygian among older writers, Str. 7.7.1 (Hecataeus); Bacch.

Epinic. 8.31.17 For Ovid’s Thebes as a reflection of Rome see HARDIE (1990).

morphoses ‘Phrygian’ is used frequently of the Trojans, in contexts both ofthe Greek attack on and destruction of Troy, and of the Roman future proph-esied for the Trojan survivors who migrate from east to west14.

At its earlier occurrences in the Metamorphoses Phrygia is already associ-ated with a geographical indeterminacy and shiftiness. It first appears inbook 6 at the point of transition from one tale to another of the divine pun-ishment of human presumption (146-147): Lydia tota fremit, Phrygiaeque peroppida facti | rumor it et magnum sermonibus occupat orbem (‘all Lydia wasin uproar, and rumours of what happened went through the towns of Phry-gia, and filled the great world with gossip’). Lydia is the country of Arachne,whose fate does not deter Niobe from challenging the gods. Franz Bömer inhis commentary is puzzled by the mention of Phrygia, which ‘steht, strenggenommen, mit der Niobe-Sage sachlich und topographisch in keinerVerbindung’15. Two lines later we learn that Niobe had known Arachnewhen she was a girl, living in Maeonia and Sipylus. If we thought this wasLydia, we might remember that Strabo, talking about changes in territorialboundaries in Asia Minor, says that the ancients used to call the land aroundSipylus Phrygia, in the same way that Tantalus (Niobe’s father) and Pelopsand Niobe are called Phrygian (12.8.2)16. However at this point in Ovid’schronology Niobe is no longer even in Asia Minor, but has migrated toThebes as wife of Amphion. The preliminary flagging of Phrygia preparesthe reader for the ‘Phrygian’ character of Niobe, ‘Phrygian’ here referring toher ostentatious wealth and overweening pride. She sweeps on to the scene(166: uestibus intexto Phrygiis spectabilis auro), boasting of her ancestry, in-cluding her father Tantalus, a Phrygian by one account, as we have seen.She is feared by the peoples of Phrygia, and she is mistress of Amphion’spalace. This is the Phrygia associated with wealth and power, the Phrygia ofMidas (although geographically his Phrygia is far to the east of Niobe’s orig-inal home). This attempt to import Phrygian values to a land in the west inthe remote mythological past (and long before the enduring migration ofPhrygian-Trojan settlers to Italy17) is doomed to failure, and at the end of

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18 BARCHIESI (1997), 183.19 GRIFFIN on v. 204.20 Hor. C. 3.3.21-22; Verg. Geo. 1.502-503; Aen. 4.542.

the narrative Niobe, stripped of family and pride, is whisked back to herplace of origin, there to be fixed for ever (310-312): ualidi circumdata tur-bine uenti | in patriam rapta est; ibi fixa cacumine montis | liquitur.

The Phrygian Midas himself appears in Metamorphoses 11. Here tooPhrygia has expanded to include the territory of Lydia: the story of the gold-en touch is set by the river Pactolus, and the tale of the music contest ofApollo and Pan, and of Midas’ ass’s ears, is set on Tmolus, the mountain be-hind Sardis in which the Pactolus rises. This mythographical expansion ofPhrygia perhaps reflects the historical extension of Phrygian power underthe real king Midas. This whole area of the Metamorphoses is a textual zoneof particularly significant geographical movement. The transition from thestory of Orpheus to that of Midas is engineered through Bacchus’ journeyfrom Thrace, where he has been disgusted by the Thracian women’s murderof Orpheus, to his favourite vine-growing mountain Tmolus in Lydia (orPhrygia). At the end of the Midas story another god, Apollo, after punishingMidas for his misguided judgement in the music contest with Pan, fliesnorthwest from Tmolus to the eastern shore of the Hellespont, where hesees a new city being built, Laomedon’s Troy. Alessandro Barchiesi has bril-liantly observed that both the Hellespont here in book 11, the narrow stripof water that separates two continents, and the Corinthian Isthmus in book6 (419-420), the narrow strip of land that separates two seas, are geographi-cal markers of major points of transition within the narrative economy of theMetamorphoses18. This first appearance of the city of Troy is the beginningof a section of mythological time that will reach forward to the historicalnarrative of the Trojan descendants, the Romans, and so down to the end ofthe poem as a whole. The king of Troy is at first introduced by name,Laomedon, at 6.200, as Apollo observes him setting about the great and dif-ficult epic task of building the new walls. When Apollo enters the action tooffer his help in this task, Laomedon is labelled Phrygiae tyrannus (203-204):Phrygiaeque tyranno | aedificat muros pactus pro moenibus aurum (‘he buildswalls for the Phrygian tyrant, making a bargain of gold in return for thewalls’). A.H.F. Griffin notes of aurum at the end of line 204 ‘this prominent-ly placed word contains a lingering echo of the Midas episode’19. A king ofPhrygia can be expected to have a vested interest in gold: Laomedon’s per-jury in refusing Apollo his reward comes to have the status of a kind of origi-nal sin of the Romans in the Augustan poets20. Ovid hints that this primalperjury and perfidy of the Trojan ancestors is a part of the ‘Phrygian’ inheri-

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21 But GRIFFIN (1991), 64 has it that he is a resident alien, a p£roikoj.22 Thyneius has been the object of attempted emendation: see HOLLIS (1970) ad loc. For a de-

tailed argument about the location of the story see JONES (1994).23 Erysichthon chops down a tree; Cybele cuts down the tree of the nymph Sagaritis, with whom

Attis had betrayed her, at F. 4.231-232.24 Among the contrasting parallelisms that connect Baucis and Philemon with the Erisychthon

story is the motif of trees: the pious couple are metamorphosed into sacred trees, carefully protecteddown to the time of the narrative, while Erisychthon is punished for his furious felling of a sacred tree.Note that in Fasti 4 (see above) the paired stories of the Phrygians Attis and Aeneas also share the mo-tif of tree-felling: in the case of Attis as punishment for a religious infringement, and leading to an out-burst of furor, in the case of Aeneas for the purpose of building ships, an act repeated later by his Ro-man descendants for the pious purpose of transporting the Magna Mater to Rome.

tance of the Romans. In terms of the narrative structure of the Metamor-phoses a Phrygian characteristic bridges a major division in the text.

The Romans will go on paying for the sin of Laomedon for ages to come(Geo. 1.501-502: satis iam pridem sanguine nostro Laomedonteae luimus peri-uria Troiae). In the immediate future Laomedon is punished by Neptune,Apollo’s fellow-worker on the walls of Troy, with a destructive flood and bythe sea-monster for which Hesione is demanded as sacrifice. Flood as pun-ishment is also a key motif in the last Phrygian story in the Metamorphosesthat I want to examine, the tale of Philemon and Baucis in book 8. The storyis told by Lelex, from Troezen. Lelex had seen the very place where theevents that he narrates took place, having been sent there by Pittheus, son ofPelops, ‘to the country once ruled by his father’. In fact it was Pelops’ fatherTantalus who was king of Sipylus in Lydia: once again this is that wider Phry-gia that includes Lydia to the west. And once again the location of this Phry-gia proves still more elusive when, at the end of the narrative, Lelex says thatto this day a Bithynian native21 shows the two trees into which Philemon andBaucis were transformed (719-720: Thyneius … incola; properly an inhabi-tant of the island of Thynia off the Black Sea coast of Bithynia)22.

As many have seen the paired stories in Metamorphoses 8 of Philemonand Baucis, and of Eryischthon, told at the banquet of Achelous to illustratethe power of the gods to bring about metamorphosis, relate very directly tocentral Roman virtues and vices, and in particular to the conflict of pietasand furor that is staged in Virgil’s Aeneid23. Philemon and Baucis live a vir-tuous and simple rustic life akin to the Augustan fantasy of the life of theprimitive Italian or Roman. The gleaming temple into which their humblecottage is transformed foreshadows the gilded temples of the gods in Au-gustan Rome: the distance between thatched casa and gilded temple is thattraced in the history of Rome encapsulated in book 8 of the Aeneid24.

Two recent commentators on the episode have drawn attention to the im-plication of the Phrygian setting for this story with its strong Roman reso-

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25 TSITSIOU-CHELIDONI (2003), 312.26 FABRE-SERRIS (forthcoming).27 Naturally, the authority of Lelex has been repeatedly impugned by modern critics: see recently

GREEN (2003).28 See HOLLIS (1970), 108-111.29 GRIFFIN (1991), 71-72.30 MITCHELL (1993), 178.31 MITCHELL (1993), 189-191.

nance: Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni points out the inverse symmetry be-tween the theoxeny offered by the humble Phrygian couple in Ovid, andthe reception of the future god, Aeneas, the ‘Phrygian’ Trojan, by the hum-ble Evander in Aeneid 825. Jacqueline Fabre-Serris, in a forthcoming discus-sion of the episode, notes: ‘Reste l’incongruité qu’il y a à associer ainsi à unpays les usages d’un autre [primitive Rome]. A moins que le lecteur ne sesouvienne – et c’est probablement ce qu’Ovide attend de lui – que l’ancêtredes Romains, Enée, fut un paysan phrygien’26. I want to develop these ob-servations by suggesting that here Ovid offers a tale of Phrygian origins thatis an alternative to the more common stories, firstly the Trojan legend as awhole (through the equation of Trojan and Phrygian), and secondly the sto-ry of the introduction of the Magna Mater with the associated myth of Attis.In contrast to the patently fictional stories of Aeneas and Attis, this story pa-rades its veridical status: Lelex has been to see for himself, ipse locum uidi(622); a Bithynian native shows the trees to tourists, non uani … senes (721-722) told Lelex the story, and they had no reason to lie (of course…)27.There is another way in which this story might be especially ‘genuine’: of allthe tales in the Metamorphoses this has seemed to modern scholars perhapsthe most likely to preserve genuine folklore from a remote part of the Ro-man empire. Sacred trees and flood-traditions are attested from variousparts of Asia Minor, and will have been transmitted to Ovid via Nicander oranother source28. Parallels with Biblical story-patterns have even led to thehypothesis that we have here the survival of a story told by Jewish settlerssent by Antiochus III from Mesopotamia to Lydia and Phrygia29.

Christopher Jones (1994), developing suggestions of Louis Robert, ar-gues that the Philemon and Baucis story is to be located near Mount Sipy-lus, in the Lydian Phrygia. But Philemon and Baucis themselves might seemrather to be typical inhabitants of the ancient Phrygia and Galatia that laybetween Caria and Pontus, ‘rural Anatolia par excellence’ as it is describedby Stephen Mitchell30. This was a people noted for their piety, whose cultsshow a ‘preoccupation with a strict morality which was based on clearly de-fined notions of justice, proper behaviour, piety to the gods, a respect for di-vine authority, and a well-developed fear of divine vengeance’31, and who al-

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32 MITCHELL (1993), 189. If JONES (1994) is correct in localizing the story of Philemon and Baucisnear Mt Sipylus, once again we find a geographical confusion, here between the Phrygian heartland incentral Anatolia and ‘Phrygian’ Lydia.

33 NAUTA (2004), 616-617.34 Echoed in the contemptuous words of Numanus Remulus at Aen. 9.617-618: o uere Phrygiae,

neque enim Phryges, ite per alta | Dindyma.35 Contrast Attis’ permanent flight from a home that he believes has been destroyed, at Fasti

4.234-235: hic furit et credens thalami procumbere tectum | effugit.

so ‘honoured their dead to the point of heroization or even apotheosis’32.This might be the Romans, or at least as Augustan ideology would like themto be. At the end of the Ovidian tale Lelex observes (Met. 8.724): cura deumdi sunt, et qui coluere coluntur (‘those whom the gods loved are themselvesgods, and those who offered worship are worshipped’). Nauta has empha-sized the importance of the theme of pietas in the Lucretian account of theMagna Mater33; the castration of the galli can be interpreted as a punish-ment for their failure to demonstrate due piety towards fatherland and par-ents. Philemon and Baucis, by contrast, offer a very positive exemplum ofpietas and its rewards.

In all of these respects the Phrygian piety of Philemon and Baucis offerswhat the Roman reader might regard as a more suitable model for Romanreligiosity than the dubious myths and rituals associated with the worship ofthe Magna Mater. The aged couple are very different from Catullus’ fren-zied youth, but there is perhaps one point in the narrative where Ovid en-gages in a detailed dialogue with the Attis story. When Jupiter and Mercuryreveal themselves to their hosts, they warn them of the punishment thatawaits their neighbours, and issue this command (691-693): modo uestra re-linquite tecta | ac nostros comitate gradus et in ardua montis | ite simul (‘justleave your home, and accompany our footsteps and go with us to the moun-tain-top’). Attis in Catullus 63 leaves his home, in the service of a god, andorders his companions (11: comitibus; 15: comites) to go up with him into ahigh place (12-13): agite ite ad alta, Gallae, Cybeles nemora simul, | simul ite,Dindymenae dominae uaga pecora34. But for Philemon and Baucis the depar-ture from their home is not a permanent exile; before ever reaching thesummit of the mountain, they look back to see that their home (697: tecta)remains35, while all else has been swallowed into a swamp. Their reward isto remain at home, through the momentous changes, first of their lowly cot-tage into a gilded temple (Phrygian gold in its proper place!), and second oftheir bodily selves into trees, an oak and a lime, firmly rooted in their nativelandscape.

Ovid locates this story of Roman foreshadowings at the very heart of theMetamorphoses, in the eighth book of fifteen. It is a story that, for a Roman

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audience, conveniently eliminates the unsettling features of the Phrygiantales of Attis and the Magna Mater. But it does so at the cost of eradicatingan essential feature of the other Phrygian stories of Roman origins, the Ae-neas legend as well as the story of the Magna Mater, namely the geographi-cal mobility that allows for a physical link between Phrygia and Rome. Theoak and lime-tree firmly rooted in the Phrygian hills in fact have nothing todo with Rome.

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1 Apollon de Pleura: un sanctuaire rural en Lydie entre les époques hellénistique et romaine, inS. FOLLET (Ed.), L’Hellénisme d’époque romaine: nouveaux documents, nouvelles approches (Ier s. a. C. -IIIe s. p. C.), Actes du Colloque international à la mémoire de Louis Robert, Paris, 7-8 juillet 2000, Paris2004, pp. 277-285, (con l’Addendum bibliografico-critico di G. PETZL, p. 286; la citazione nel testo dap. 283; Résumé a pp. 420-421). Nell’ambito di un articolato discorso sull’evoluzione dell’amministra-zione ellenistica dei sacra anatolici – vd. infra – il dossier era stato considerato indipendentemente daH. MÜLLER, Der hellenistische Archiereus, “Chiron” 30 (2000), pp. 519-542 (su cui vd. PH. GAUTHIER,BullEpigr 2001, 127). Per diversi suoi aspetti documentali esso è stato preso in considerazione daJ. MA, Antiochos III and the Cities of Western Asia Minor, Oxford 20022, pp. 145-147, 371-372, nr. 49,374-375, da I. SAVALLI-LESTRADE, Amici del re, alti funzionari e gestione del potere principalmente nel-l’Asia Minore ellenistica, Addendum, in Simblos, Scritti di storia antica 3, a cura di L. CRISCUOLO -G. GERACI - C. SALVATERRA, Bologna 2001, pp. 293-294, da B. DIGNAS, Economy of the Sacred in Helle-nistic and Roman Asia Minor, Oxford 2002, pp. 50-57, da B. VIRGILIO, Lancia, diadema, porpora. Il re ela regalità ellenistica, Pisa-Roma 20032, pp. 120-121, da P. DEBORD, Le culte royal des Séleucides, inF. PROST (Dir.), L’Orient méditerranéen de la mort d’Alexandre aux campagnes de Pompée. Cités etroyaumes à l’époque hellénistique, “Pallas” 62 (2003), pp. 294-300.

2 Ed. pr. H. MALAY - C. NALBANTOGLU, The Cult of Apollon Pleurenos in Lydia, “ArkDergisi” 4(1996), p. 76, nr. 1 (SEG XLVI (1996), 1519; M. PAZ DE HOZ, Die lydischen Kulte im Lichte der griechi-schen Inschriften, Bonn 1999, p. 161, nr. 5.26 a). Il testo definitivo, con la punteggiatura e l’interpreta-zione della l. 13 proposte da MA (Antiochos cit., p. 372 con nt. 1), figura in HERRMANN, Apollon cit.,pp. 279-280. Il sito esatto del santuario non è al momento identificabile con precisione maggiore del-

I CENTRI RELIGIOSI D’ASIA MINORE ALL’EPOCA DELLA CONQUISTA ROMANA

LAURA BOFFO

La posizione e il ruolo dei centri religiosi d’Asia Minore nel II-I secoloa.C. non possono naturalmente intendersi senza considerazione sia degli ele-menti di lunga durata (con tutti i mutamenti e le embricazioni verificatisi neltempo) sia dei diversi caratteri e gradi di adattamento comportati dalle vi-cende storiche dell’epoca e dai processi di sistemazione dei diversi regimipolitico-territoriali.

In questa prospettiva risulta di singolare efficacia documentale un insie-me epigrafico ricomposto e valorizzato di recente, nella forma più completae corretta da Peter Herrmann1. Esso ruota intorno ad un dossier inciso sudi una stele nel santuario lidio cd. «rurale» di «Apollo» Pleurenos, sito inun’area con una lunga tradizione di plurietnicità e di religiosità topica a Ndi Sardi e a N-NE del Lago di Koloe, e ritenuto dai primi editori dotato di«alcuni possedimenti e villaggi circostanti che gli appartenevano»2. L’insie-

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l’area fra i centri attuali di Yeniköy e Kemerdamları, nella fascia a N-NE del Marmara Gölü: vd.http://www.adiyamanli.org/MapofTurkey/c2.htm (Denizli/Usak/Mu¿la).

3 Il personaggio era già noto da una dedica a Letô all’Asklepieion di Pergamo, AvP VIII 3, 120(Euthydemos archiereus kata syntagen): vd. MÜLLER, Archiereus cit., p. 519 nt. 2. Contrariamente aquel che sostiene lo studioso (p. 522), il tenore del testo induce a credere che Nicanore avesse fatto intempo ad avviare il procedimento, a quanto sembra composto della fase (preliminare) dell’autorizza-zione a erigere il manufatto e della sua applicazione mediante indicazione del sito.

4 L’interpretazione generale che l’iter avviato da Kadoas fosse caduto intorno alle fasi del cambia-mento del regime, richiedendo un anno o due (fra 190 ca. e 188, cfr. MÜLLER, Archiereus cit., pp. 522,534), sembra preferibile a quella proposta da DIGNAS, Economy cit., p. 52, che, a motivo del rilievo da-to alla funzione eponimica anche la domanda a Nicanore fosse stata fatta agli inizi della sua carica, «su-bito dopo» la nomina. Più che ragionevole appare l’ipotesi di HERRMANN, p. 281, che il passo pressoEutidemo fosse stato originato precisamente dal passaggio di regime, così come la sua considerazionedel fatto che il testo sembra far intendere che le due domande di Kadoas furono diverse e conseguenti(il permesso ad erigere e il luogo, p. 282, nt. 15). Non esclude la permanenza di Nicanore nella caricaanche nei primi tempi del nuovo regime VIRGILIO, Lancia cit., p. 212 (vd. anche ID., Epigrafia e cultidei re seleucidi, in P. XELLA - J.A. ZAMORA (Curr.), Epigrafia e storia delle religioni. Dal documento epi-grafico al problema storico-religioso, “SEL” 20 (2003), p. 47). Per una peri Sardeis oikonomia all’epocadi Antioco III vd. PH. GAUTHIER, Nouvelles inscriptions de Sardes, II, Genève 1989, p. 129, nr. 7, l. 3 epp. 132-134 (SEG XXXIX (1989), 1289); MA, Antiochos cit., p. 361, nr. 41 D; cfr. P.J. THORNEMANN,Hellenistic Inscriptions from Lydia, “EA” 36 (2003), p. 104): l’oikonomos del nostro dossier secondoMÜLLER, Archiereus cit., p. 523, nt. 21, ne avrebbe ereditato la competenza; vd. anche nt. seguente. Lealtre due istanze senza qualifica espressa coinvolte (ll. 18-21), una delle quali destinataria di una letteradello stesso Eutidemo, appartengono evidentemente ad un ambito amministrativo e a una linea di tra-smissione degli ordini paralleli, con la propria gerarchia interna (vd. MÜLLER, Archiereus cit., pp. 521,522 e, con le dovute riserve circa ipotesi di identificazione, HERRMANN, art. laud., p. 282: «sorveglianzadel santuario, gestione finanziaria, amministrazione locale?»; per qualche suo suggerimento vd. tuttaviainfra, nt. 5). Per un’attenta considerazione delle forme della comunicazione burocratica «sia verticaleche orizzontale» vd. MA, Antiochos cit., pp. 135 ss., con l’opportuna segnalazione della «violenza sim-bolica» rappresentata dall’imposizione dell’eponimia ufficiale e dalla esibizione epigrafica dei meccani-smi del controllo burocratico e istituzionale (pp. 147-148).

me dei documenti pervenuti al santuario riferisce che il sacerdote locale, illidio Kadoas figlio di Pleri, aveva cominciato col chiedere all’archiereuscompetente per l’intera Anatolia occidentale all’epoca di Antioco III, Nica-nore, l’autorizzazione a erigere nel santuario stesso una stele con l’elencodegli iniziati che vi facevano capo, preceduto dal nome dell’archiereus stesso(come peraltro era d’obbligo dal 209, per gli atti ufficiali) e dal proprio.

Caduto Antioco la «pratica» burocratico-amministrativa non si era inter-rotta. Kadoas, verisimilmente poco dopo la sistemazione di Apamea, avendoallora bisogno di sapere in che parte del santuario collocare la stele, avevaricercato il perfezionamento dell’operazione presso il nuovo archiereus dinomina attalide, Eutidemo3. Questi aveva difatti l’autorità e il compito diriavviare l’iter amministrativo – composto di almeno altre due istanze – chedoveva portare alla conclusione della vicenda scendendo sino all’oikonomoscui spettava di indicare al hiereus di Pleura il sito richiesto4. Al di là dei det-tagli della circostanza che potrebbero aver influito sul comportamento di

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I centri religiosi d’Asia Minore all’epoca della conquista romana 107

5 Per l’avviso alla cautela nell’indurre dalla richiesta di Kadoas una situazione istituzionale di«pesante controllo sull’amministrazione interna di ogni santuario locale» vd. MA, Antiochos cit., p.147, con qualche contraddizione (esso indicherebbe piuttosto una «possibilità», ma al contempo «atte-sta un controllo diretto e stretto, un coinvolgimento specifico negli affari di un santuario locale, e la ne-cessità del sottoposto di ottenere un permesso per un’operazione locale»; così precisamente MÜLLER,Archiereus cit., p. 531; vd. anche infra nt. 8). Le valutazioni di Ma peraltro sono condizionate dall’idea– in generale condivisa dagli studiosi interessati al testo – che il hieron fosse sito in «territorio regio»(chora basilike) e prescindono dalla valutazione dell’intero insieme dei documenti noti per ApolloPleurenos (su entrambi gli aspetti vd. infra; per una certezza non assoluta circa la collocazione del luo-go di culto nel «territorio del re» da parte dello studioso vd. p. 136, nt. 108 e 147; ipotizza «un’entitàsituata sulla ‘terra reale’…, comprendente un santuario con alcuni possedimenti e villaggi circostantiche gli appartenevano» HERRMANN, art. laud., pp. 283-284). Per una rassegna delle attestazioni del per-sonale dell’amministrazione finanziaria seleucidica e della problematica di attribuzione delle rispettivecompetenze, di area e di funzione, vd. MA, pp. 130-147 (il caso specifico a p. 136: dalla attestazionesardiana citata alla nt. precedente conseguirebbe che la Lidia era suddivisa in più («several») oikono-miai, «suddivisioni» finanziarie amministrate ciascuna dal proprio oikonomos e il documento di Pleurainduce a considerare che tale organizzazione «probabilmente» (!) continuò nello stato attalide, cfr. nt.seguente); vd. anche G.G. APERGHIS, The Seleukid Royal Economy. The Finances and Financial Admi-nistration of the Seleukid Empire, Cambridge 2004, pp. 269-288, 295, che vede nell’oikonomos il re-sponsabile della oikonomia, una circoscrizione finanziaria coincidente con quella amministrativa defi-nita hyparchia, una sottodivisione della satrapia «probabilmente assai piccola e sovente incentrata su diuna città»; il funzionario sarebbe stato precipuamente incaricato di amministrare i territori più diretta-mente sottoposti al re e, al caso (per evidente induzione dal nostro dossier), «collaborava con le auto-rità religiose del suo distretto» (p. 280, con nt. 41 per la rassegna delle diverse opinioni circa compe-tenze e periodizzazione della carica; priva di giustificazione appare l’idea dello studioso che il passag-gio attraverso l’oikonomos di Sardi denotasse la «autorità limitata» dell’archiereus (p. 288); se questi,per una qualunque questione – non solo quelle di poco conto – «era obbligato» a scrivere ai diversifunzionari, era per la disponibilità che gli era stata data del sistema amministrativo civile: vd. infra). Lacontinuità e i paralleli nell’organizzazione statuale dell’Anatolia di II secolo risultano evidenti dalla se-quenza dei funzionari dell’amministrazione regale riportata nel regolamento stilato fra 168 e 164 daun’associazione religiosa di ambito pergameno pubblicato di recente (MÜLLER - M. WÖRRLE, Ein Ve-rein im Hinterland Pergamons zur Zeit Eumenes’ II., “Chiron” 32 (2002), pp. 191-235, SEG LII (2002)1197): in essa figurano l’archiereus eponimico e, successivamente al «ministro delle finanze» definitohemiolios, i diversi epi tes poleos, dioiketes, archeglogistes, oikonomos, eglogistes: al riguardo vd. il pun-tuale commento degli editori, pp. 220-232 (l’oikonomos, di cui esso costituisce la seconda attestazioneper il regno attalide dopo quella del dossier di Pleura, a p. 230), con MÜLLER, Hemiolios. Eumenes II.,Toriaion und die Finanzorganisation des Alexanderreiches, “Chiron” 35 (2005), pp. 355-384 e F. GUIZZI,Uno e mezzo, “QUCC” 80.2 (2005), pp. 97-101. Circa le loro rispettive competenze, all’orientamentodi Müller-Wörrle per una posizione gerarchica a scalare – che presenta alcune difficoltà interpretative,p. 232 – preferiremmo pur sempre la cautela di Ma nell’istituire rapporti. È tuttavia del tutto legittimorichiamare il confronto con il gruppo di funzionari coinvolto nel contenzioso su statuti giuridici e fisca-

Kadoas facendone un caso non generalizzabile sotto tutti gli aspetti (adesempio in origine un desiderio di promozione del santuario a hieron rico-nosciuto nella gerarchia del regno e dell’elenco a documento ufficiale, una«pressione» determinata dalla vicinanza della capitale amministrativa del vi-ce-regno, o dall’essere il hieron in un’area di controllo più diretto del re, co-me i più ritengono), e che comunque al momento ci sfuggono, alcuni ele-menti appaiono certi e assumono per il nostro tema particolare importanza5.

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lità tra le hierai komai e Apollonia della Salbake in Caria, ante 190 a.C., che vede in apparente serie ge-rarchica un probabile «ministro delle finanze» per la Cis-Tauride, un dioiketes e un eglogistes di stanzaa Sardi, infine il tetagmenos epi tôn hierôn locale (J. e L. ROBERT, La Carie. Histoire et Géographie histo-rique (avec le recueil des inscriptions antiques), II, Le plateau de Tabai et ses environs, Paris 1954, pp.285-382, nr. 166; MA, Antiochos cit., pp. 364-366, nr. 44, con pp. 135-137; APERGHIS, Seleukid Eco-nomy cit., pp. 274-275, 282, 288, 324-325 e, per il suggestivo riscontro con i funzionari coinvolti daldossier di Pleura, HERRMANN, art. laud., pp. 283-284; vd. infra). Per la sempre più documentata capilla-rità gestionale delle monarchie ellenistiche al di fuori dei territori tolemaici vd. infra, con ntt. 8 e 25.

6 Ed. pr. MALAY, Letter of Antiochos III to Zeuxis with Two Covering Letters (209 B.C.), “EA” 10(1987), pp. 7-17 (SEG XXXVII, 1010), ll. 29-41; un testo migliorato in VIRGILIO, Lancia cit., pp. 236-238, nr. 9 e più completo, sulla base di un secondo esemplare da Philomelion di Frigia, in MA, Antio-chos III et les cités de l’Asie Mineure occidentale, Paris 2004, pp. 326-330, nr. 4 (da H. MALAY, in Adfontes! Fest. G. Dobesch, Wien 2004, pp. 407-408).

7 Come pure alcuni ritengono (ad esempio SAVALLI-LESTRADE, Amici cit., p. 294; vd. anche infrae nota seguente). Stante la formulazione dei documenti sinora emersi, sembra ancora preferibile l’ideache l’archiereus in questione sia da distinguere da quello del culto di stato del re, istituito da AntiocoIII verisimilmente al ritorno dalla sua Anabasi (ca. 204/3) e attestato per il 193 dal noto prostagma rela-tivo alla istituzione di archiereiai della regina sul modello dei già esistenti omologhi per i Seleucidi de-funti e per il sovrano regnante, gli uni e le altre ancora con funzione eponimica, satrapia per satrapia:inclinano alla idea dell’attribuzione allo stesso Nicanore della nuova funzione (e dunque all’estensionedel nesso al periodo attalide), ma con la prudenza dettata da una documentazione non univoca, MÜL-LER - WÖRRLE, Verein cit., p. 221 e DEBORD, Culte cit., pp. 296 e 308 (deciso invece MÜLLER, Archie-reus cit., pp. 531 ss., su cui GAUTHIER, loc. cit.); non ne è invece ancora interamente convinto MA, An-tiochos cit., pp. 374-375 (la riconsiderazione della sua opinione contraria espressa nella prima edizione,in pp. 290-291 e locc. citt. alla nt. seguente); dubbi esprime anche P. HAMON, Les prêtres du culte royaldans la capitale des Attalides: note sur le décret de Pergame en l’honneur du roi Attale III (OGIS 332),“Chiron” 34 (2004), p. 182. La epimeleia tôn hierôn che Antioco III avrebbe ordinato nel 203 a Zeuxio ad altro suo incaricato secondo la lettera alle truppe stanziate nell’area di Labraunda in Caria rientra-va nelle istruzioni specifiche per la campagna (vd. MA, Antiochos cit., pp. 304-305, nr. 15).

Primo fra tutti si evidenzia con singolare efficacia il mantenersi nel pas-saggio di dinastia della funzione dichiarativa (il nome nelle sequenze eponi-miche degli atti legali) e di controllo del «gran sacerdote di tutti i santuari»(archiereus tôn hierôn pantôn) della regione cis-taurica istituite nel 209 daAntioco III6. Com’è noto, si trattava di una funzione originariamente intesacome di amministrazione – oltre a «le rimanenti cose» – di quanto attenevaai sacrifici (sia per l’aspetto organizzativo-economico che per quello cultua-le), con l’importante – forse inevitabile – aggiunta della «sovrintendenza deiluoghi di culto» di ogni categoria (epi tôn hierôn) e la responsabilità gestio-nale delle entrate e di «tutte le altre cose», recuperata dall’organizzazionedei tempi del nonno del re, Antioco II (la definizione delle competenze diNicanore non corrisponde precisamente alla titolatura di epi tôn hierôn pro-sodôn)7. Naturalmente e l’una e l’altra funzione da parte di alti personagginon presupponeva il coinvolgimento diretto dell’onorato nei minimi dettagliapplicativi per i minimi santuari, bensì la funzione di massima istanza diconcessione (attraverso un iter di cancelleria), con titolo a intervenire nel si-stema amministrativo e finanziario dello stato e a utilizzarne i dispositivi

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8 Nt. 6, ll. 41-46: ciò spiegherebbe anche quanto è sentito dagli studiosi come un’anomalia o uncaso particolare, il «coinvolgimento» dell’alto funzionario in una questione all’apparenza di poco con-to in un santuario rurale (per la «Banalität der Amtsroutine», rappresentata dalle «cose» non specifica-te nel prostagma del re, vd. MÜLLER, Archiereus cit., p. 531). Sembra esasperare la capillarità del ruolopersonale dell’archiereus originario (con la contraddizione rilevata supra, nt. 5) MA, Antiochos cit., pp.27 e 145: «high-priest of every shrine in cis-Tauric Asia, with authority over the local priests of theseshrines» e, nella curatela delle thysiai, incaricato di «the regular schedule of offerings in the local shri-nes, presumably by dispensing royal subsidies and actually performing sacrifice, as a representative ofthe king’s pious zeal» (ancora in contraddizione con l’idea espressa a p. 28 di un gran-sacerdozio «sim-bolico»: cfr. al riguardo HERRMANN, art. laud., p. 281, nt. 14); nella qualità di epi tôn hierôn egli sareb-be stato «amministratore delle entrate» del (singolo) santuario; più pertinente appare l’interpretazionedel ruolo amministrativo dell’archiereus di Müller: «responsabilità per le entrate» dei santuari, «cioèanche del profitto fiscale che si doveva trarre» da essi (Archiereus cit., p. 530, cfr. p. 535); per le duecomponenti della funzione dell’archiereus vd. anche rispettivamente DEBORD, Culte cit., p. 294 («di fat-to la sorveglianza, il controllo dei riti e di tutti gli aspetti materiali dei culti») e M. SARTRE, L’Anatoliehellénistique de l’Égée au Caucase (334-31 av. J.C.), Paris 20042, p. 47 («que leurs revenus et tout ce quiles concerne soit soumis à son administration»). Per la vicenda di Apollonia vd. supra, nt. 5. L’ipotesidi Demetrio come funzionario con sovrintendenza generale per la cis-Tauride, e dunque come succes-sore di Nicanore per le competenze finanziarie – sostenuta ad esempio da MÜLLER, Archiereus cit., p.530, con nt. 62, pp. 530-531, e ritenuta probabile da MA, Antiochos cit., pp. 135 e 366 – anche a moti-vo dell’articolazione gerarchica dell’amministrazione seleucidica non ci pare condivisibile (vd. in que-sto senso ROBERT - ROBERT, Carie cit., p. 300; DIGNAS, Economy cit., pp. 67-68; DEBORD, Culte cit., pp.296-297, con nt. 123; APERGHIS, Seleukid Economy cit., p. 295, con la conclusione generalizzante di«un gruppo separato» di hoi epi tôn hierôn che avrebbe sovrinteso ai santuari e alle loro entrate). L’in-terpretazione si connette con l’ipotesi della separazione delle competenze attribuite in origine a Nica-nore, anticipando così quella generalmente attribuita al re attalide sulla base della titolatura e del –supposto – ruolo dell’Euxenos onorato a Pleura (vd. infra). Se è vero, come pare, che l’archiereus coin-volto nel 185 a.C. dal santuario indigeno di Apollo Tarsenos nell’operazione di richiesta dell’ateleiaprobatôn non fosse altro che Eutidemo (MÜLLER, Archiereus cit., p. 526, cfr. 531, nt. 64), le competen-za sulla fiscalità dei luoghi sacri almeno sino a quell’anno verrebbe confermata. Non sembra condivisi-bile infine l’idea di B. DREHER - H. ENGELMANN, Die Inschriften von Metropolis, I, Die Dekrete fürApollonios: Städtische Politik unter den Attaliden und im Konflikt zwischen Aristonikos und Rom (IGSK63), Bonn 2003, p. 26, nt. 65, che l’economo Asclepiade fosse un «sottoposto» dell’archiereus, respon-sabile per Pleura (con la conseguente considerazione che «Es fehlen die Indizien, diese Funktionärezum administrativen Zentrum einer attalidischen Provinz (etwa Lydiens) zu zuordnen. Vermutlich istdies überhaupt nicht statthaft»; cfr. anche p. 56, nt. 220). Per importanti considerazioni sull’articola-zione regionale e locale dell’amministrazione fiscale seleucidica e sui suoi diversi livelli vd. L. CAPDE-TREY, Économie royale et communautés locales dans le royaume séleucide: entre négotiation et imposi-tion, in R. DESCAT (Ed.), Approches de l’économie hellénistique, Entretiens d’archéologie et d’histoire 7,Saint-Bertrand-de-Comminges 2006, pp. 359-386. Per un tassomenos pros têi tôn hierôn epimeleiai nel-la satrapia di Celesiria e Fenicia nel 178 a.C. vd. H.M. COTTON - M. WÖRRLE, Seleukos IV to Heliodo-ros. A New Dossier of Royal Correspondence from Israel, “ZPE” 159 (2007), pp. 191-203 (spec. p. 201).

(mediante i «comandati» da Antioco III a collaborare con la nuova carica:fra di loro è probabilmente da annoverare il Demetrio «preposto a[ll’ammi-nistrazione de]i luoghi di culto» [tetagmenos epi tôn hierôn] al tempo dellanota affaire dei «villaggi sacri» in contesa con la città di Apollonia della Sal-bake in Caria)8.

Che il sistema avesse superato le fasi di successione del regime e che il

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9 Ed. pr. in L. ROBERT, Documents d’Asie Mineure, “BCH” 106 (1982), pp. 361-377 (= ID., Docu-ments d’Asie Mineure, Paris 1987, pp. 324-329; SEG XXXII (1982), 1237; PAZ DE HOZ, Kulte cit.,p. 161, nr. 5.26); HERRMANN, art. laud., pp. 278-279, 282-283. Dalla nitida fotografia prodotta daRobert (p. 364=326) il carattere indicante la cifra appare un G (3) o un E (5), corretto non completa-mente in Q (9). Tradizionalmente inteso come # (6) sull’autorità di L. Robert (che peraltro optava peruna data «romana», il 26/5 a.C. secondo l’era di Azio), e riferito ad Attalo II o III (153/2 o 133/2:MÜLLER, Archiereus cit., pp. 524-525, 527-528), esso è stato bene interpretato da HERRMANN, art.laud., p. 278, cfr. p. 283. Il ritorno alla data di I secolo proposto da Thonemann (Hellenistic cit.,p. 103, nt. 42) sulla base dell’assenza del nome del re non è accettabile (cfr. HERRMANN, art. laud.,p. 283 con nt. 18 e G. PETZL, Recensione a DIGNAS, Economy cit., “Klio” 87.2 (2005), p. 534).

10 Per l’esistenza di epi tôn hierôn prosodôn di nomina reale con competenza microregionale altempo attalide sembra deporre la menzione del titolo nella legge sugli astynomoi di Pergamo (OGIS483, ll. 165-167): cfr. ROBERT, Documents cit., p. 365 (= 327) e DEBORD, Culte cit., p. 296. Alla com-petenza circoscritta pensano HERRMANN, art. laud., p. 283 e DIGNAS, Economy cit., p. 53, con nt. 79(condizionato dalla datazione al I sec. a.C., Robert pensava invece ad un funzionario civico, Documentscit., p. 365 = 327). Non sembra condivisibile l’idea che il personaggio avesse titolo su tutti i santuaridel regno, avendo il re separato (vd. supra nt. 8) le competenze cultuali e quelle amministrative al livel-lo centrale, a suo tempo riunite solo per Nicanore (così invece MÜLLER, Archiereus cit., p. 521 s. eMÜLLER - WÖRRLE, Verein cit., pp. 231-232, nt. 194, e, con qualche incertezza, DEBORD, Culte cit.,p. 296, cfr. p. 300). Per Sardi attalide, ormai «polis fra le poleis», vd. MA, Antiochos cit., p. 250.

11 MALAY - NALBANTOGLU, Cult cit., p. 79, nr. 2 (SEG XLVI (1996), 1520; AE 1996, 1448; PAZ DE

HOZ, Kulte cit., p. 161, nr. 5.26b). Fondamentale è ancora il commento di HERRMANN, art. laud.,pp. 284-285; vd. anche MÜLLER, Archiereus cit., p. 525.

santuario si trovasse sempre più inserito negli ingranaggi amministrativi delgoverno centrale è confermato da un secondo documento pertinente ad es-so, ancora contrassegnato dalla eponimia dell’archiereus, allora Ermogene, edatato a un 9° anno che è difficile non ricondurre al regno di Attalo II (ben-ché privo di rimando esplicito al re), piuttosto che a quello di carica delgran sacerdote9. Nel 150/49 dunque, almeno quarant’anni dopo, un Apollo-nio di Kadoas che viene facile pensare figlio del precedente hiereus e titolaredi una funzione ereditaria, insieme con i mystai onorava un apprezzato epitôn hierôn prosodôn, un «sovrintendente alle entrate dei luoghi di culto»,Euxenos figlio di Menandro, «di Sardi» (Sardianos). Il santuario, che si tro-vava al di fuori del territorio di quella che era ormai una polis a tutti gli ef-fetti, per quanto soggetta al re, rientrava ancora nelle competenze formali esostanziali dell’«archiereus di tutti i santuari», il successore di Eutidemo,avendo tratto qualche beneficio a quanto sembra dalla mediazione di unfunzionario competente per il capitolo delle entrate dei santuari per l’area diSardi (reclutato dall’amministrazione attalide nella città stessa)10.

Quale che fosse il rapporto fra il santuario di Pleura, la gestione ammini-strativa della polis vicina e quella dello stato alla metà del II secolo a.C., le li-nee di evoluzione del discorso a tre interlocutori appaiono chiare dal docu-mento successivo del hieron, una dedica all’Apollo locale sottoscritta dal sa-cerdote Ermogene figlio di Kadoas e dai mystai, databile per la prosopogra-fia e la formula eponimica al passaggio fra II e I secolo a.C.11. Il sacerdozio è

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12 Per una dedica di «mystai di Apollo» all’apparenza del I sec. d.C. vd. HERRMANN, Mystenvereinein Sardeis, “Chiron” 26 (1996), pp. 318-321. Considerando la «mobilità» di status nell’Anatolia elleni-stico-romana, sembra forse eccessivo parlare di «rottura marcata» a proposito dell’integrazione delsantuario nel territorio di Sardi e mantenere il dubbio circa un rapporto fra l’operazione e l’organizza-zione della provincia (HERRMANN, art. laud., p. 285). In fine, se è vero che il dossier non illustra nel det-taglio la «situazione amministrativa» del santuario (ibid.), la sua collocazione in ambiti gestionali altri-menti definibili con buon margine di verisimiglianza serve a garantire alcuni elementi generali di defi-nizione: vd. anche quanto segue.

13 Benché con argomenti non interamente condivisibili e nell’ambito di una interpretazione gene-rale troppo semplificante, ha ragione DIGNAS, Economy cit., pp. 223-244, a rilevare la inapplicabilità almondo anatolico del modello della «ruralità» dei luoghi di culto in contrapposizione assoluta al siste-ma della organizzazione civica (vd. anche EAD., Urban Centres, Rural Centres, Religious Centres in theGreek East. Worlds apart?, in E. SCHWERTHEIM - E. WINTER, Religion und Region, Götter und Kulte ausdem östlichen Mittelmeerraum, Bonn 2003, pp. 77-91 e infra, nt. 27 – l’espressione «worlds apart» è ri-ferita alla omonima sezione del volume di S. MITCHELL, Anatolia, Land, Men, and Gods in Asia Minor,I, The Celts in Anatolia and the Impact of Roman Rule, Oxford 1993, pp. 194-197).

14 Le linee di questa evoluzione per ragioni documentali si colgono meglio per l’epoca romana im-periale: vd. ad esempio BOFFO, Senso religioso e senso etnico fra gli Anatolici in epoca ellenistica e roma-na in O. CASABONNE - M. MAZOYER (Edd.), in Antiquus Oriens, Mélanges offerts au Professeur René

ancora appannaggio della famiglia, che conserva in parte un’onomastica ditradizione, e si mantiene costante l’uso della lista, ma l’eponimia è ora diver-sa: essa è data dal sacerdote della dea Roma e da quello dello Zeus «Cittadi-no» (Polieus) di Sardi. Il santuario è infine stato incorporato dalla polis chel’ha via via controllato sempre più da vicino e, ad un ulteriore livello, si tro-va inserito nel sistema provinciale romano (nel quale peraltro continua a vi-vere con i suoi iniziati)12.

Al di là delle incertezze in una serie di aspetti specifici, la vicenda riflessadal dossier ricomposto appare condensare i punti salienti della situazione diun centro religioso «tipo» nell’Asia Minore del Basso Ellenismo, non solodel genere – del quale un poco si abusa – «rurale»13.

Un primo punto, peraltro largamente scontato allo stato delle nostre co-noscenze, è che l’aspetto religioso e le forme interne di autogestione di unluogo di culto tradizionale e più o meno caratterizzato etnicamente avevanoampia possibilità di mantenersi e seguire le linee proprie di vita senza inter-ferenze o pressioni particolari, fatto salvo il rispetto di fondo per le regoledel sistema generale di gestione dei territori del momento (di cui precisa-mente si tratterà più sotto). Del resto le straordinarie capacità additive e diadattamento proprie del paganesimo consentivano anche alle divinità piùcaratterizzate e ai gruppi di popolazione che vi facevano capo e vi si identifi-cavano di trovare più che soddisfacenti e convinte formule di compromesso,accogliendo, adattando, denominando, rifunzionalizzando le forme religio-se, che si presentavano insieme di lunga durata (e perciò autorevoli) e attuali(e perciò utili a nuove relazioni)14. Sul piano sociale e identificativo, a diffe-

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Lebrun, I (Kubaba, Antiquité V), Paris 2004, pp. 83-114. Uno studio generale sul «people of the sanc-tuary» in Anatolia, dall’età ittita al periodo tardo-romano è preannunciato da M. RICL, Society and eco-nomy of rural sanctuaries in Roman Lydia and Phrygia, “EA” 35 (2003), p. 80.

15 Com’è noto, il problema si è creato soprattutto in rapporto al complesso documentale delle cd.stele di confessione, diffuse in Lidia e Frigia, tra I e III sec. d.C. (vd. ancora RICL, Society cit., p. 89:«the people of the sanctuary in general had a legal status that partly transgressed the schemes of classi-cal law founded on Roman legal science of classical and postclassical periods»). Per una valutazionedefinitiva della situazione attestata dai testi in oggetto vd. ora A. CHANIOTIS, Under the watchful eyes ofthe gods: divine justice in Hellenistic and Roman Asia Minor, in S. COLVIN (Ed.), The Greco-Roman East,Politics, Culture, Society, YCS 31, Cambridge 2004, pp. 1-43 (con p. 41, a proposito dell’appello ai sa-cerdoti delle vittime di svariati atti di ingiustizia: «We will never know how many others turned to thekhômarchos, the eirênarches, the magistrates of the nearest urban centre, the governor or the Romanarmy because no papyri have been preserved from Asia Minor»; del resto, le autorità religiose di queisantuari si identificavano, almeno in parte, con quelle civili delle diverse aree). Vd. anche infra.

16 Vd. BOFFO, Sentimento cit., pp. 93, 110, con bibl.17 Leon son of Chrysaor and the religious identity of Stratonikeia in Caria, in Greco-Roman East cit.,

pp. 207-244 (spec. pp. 231 ss.; cfr. EAD., Laodikeia in Karia, “Chiron” 34 (2004), pp. 367 ss.); per i tredocumenti epigrafici vd. anche I. Stratonikeia 7 (Panamareis), SEG XLV (1995), 1556 (Kallipolis), SEGXLV, 1557 (Laodikeis). Vd. anche infra.

18 Leon cit.; vd. già, al medesimo riguardo, A. BRESSON - P. BRUN - E. VARINLIOGLU, in P. DEBORD -

renza di quanto qualcuno è portato a credere anche per l’epoca romanaavanzata sulla base di una documentazione parziale, i centri religiosi poteva-no continuare ad esercitare le loro forme di controllo e regolazione locale eareale anche all’interno del sistema centralizzato e in coerenza con esso15.Un caso esemplare appare quello di Men Askaenos, il dio asiano venerato inun luogo di culto frigio organizzato ed edificato dagli Attalidi intorno allametà del II secolo a.C. e poi incorporato nella vicina colonia già seleucidica– e dal 25 a.C. romana – di Antiochia «verso la Pisidia», diventandovi pa-trios theos. Tra I secolo a.C. e III d.C. esso, con la sua «normalizzazione»,aveva rappresentato un importante fattore di mediazione fra le componentiindigena, greca, romana della località, accomunate dalla devozione al dioche rappresentava la nuova identità collettiva (come Artemide ad Efeso),senza contraddizione alcuna con le manifestazioni del culto imperiale16. Èforse in questa prospettiva che va rilevata l’intera vicenda del santuario cariodi Panamara (e del koinon che vi si incentrava) a fronte dell’inglobamento adoppio livello nella struttura aggregata di Stratonicea e del potere che a suavolta deteneva e gestiva, più o meno direttamente, la polis e l’area, se dob-biamo credere alla ricostruzione da ultimo ribadita da Riet van Bremen inmargine al dossier dei tre decreti del 150 ca. a.C. in onore di Leon, sacerdotestratoniceo di Zeus Cario, rispettivamente del koinon dei Panamareis, dellapolis di Kallipolis e del koinon dei Laodikeis, allora subordinato a Rodi17.L’impressione della coesistenza di identità etnico-religiosa e amministrazio-ne civile nella Caria di II secolo (sulla quale ritorneremo più oltre) ne escedel tutto confermata18.

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E. VARINLIOGLU (Dirr.), Les Hautes Terres de Carie, Bordeaux 2001, p. 216 («La solidarité ethnico-cul-tuelle n’était pas necéssairement en contradiction avec la fidelité politique») e, per importanti conside-razioni sulla etnicità caria nell’età ellenistica, BRESSON, Les intérêts rhodiens en Carie à l’époque helléni-stique jusqu’en 167 av. J.-C., in L’Orient méditerranéen cit., pp. 169-177. Vd. anche DIGNAS, Economycit., p. 243.

19 Sulla problematica in rapporto alla titolarità dei diritti di gestione dei territori vd. BOFFO, Lo sta-tuto di terre, insediamenti e persone nell’Anatolia ellenistica. Documenti recenti e problemi antichi,“Dike” 4 (2001), pp. 233-255; La “libertà” delle città greche sotto i Romani (in epoca repubblicana), in“Dike” 6 (2003), pp. 227-249 e, da prospettiva in parte diversa, CHANIOTIS, Justifying Territorial Claimsin Classical and Hellenistic Greece: The Beginnings of International Law, in E. HARRIS - L. RUBINSTEIN

(Edd.), Law and Courts in Ancient Greece, London 2004, pp. 185-228 (che non tiene conto della distin-zione dei livelli comportata dall’applicazione dei principi di controllo territoriale da parte dei sovraniellenistici e dell’autorità di Roma). Importanti considerazioni sono anche in J.K. DAVIES, The interpene-tration of hellenistic sovereignties, in D. OGDEN (Ed.), The Hellenistic World. New Perspectives, London2002, pp. 1-21 e felici puntualizzazioni in Chr. MILETA, The King and his land: some remarks on theroyal area (basilike chora) of hellenistic Asia Minor, ibid., spec. pp. 162 ss. Vd. anche infra.

20 Economy cit. passim. Non è naturalmente questa la sede per una discussione di dettaglio delmodello interpretativo costruito dalla studiosa e per la rassegna sistematica dei contenuti del volume:basti qui rilevare la mancanza della considerazione delle forme plurime di sovrapposizione e integra-zione degli ambiti di controllo politico e gestionale nella regione studiata (cfr. ad esempio H.-V. WIE-MER, Recensione in “Klio” 88.1 (2006), pp. 272-274 e le note di H. W. PLEKET, SEG LII (2002, ed.2006), 1982). Per una attenta considerazione della problematica di cui qui si tratta vd. W.J. SLATER, Re-censione al volume in “BMCR” 2003 (06.41).

Che il santuario lidio di Kadoas si fosse trovato a essere dapprima in unachora extra-cittadina (basilike o meno che fosse) e poi in quella di una polis,rientrando insieme a pieno regime nell’organizzazione amministrativo-fisca-le dello stato, deve ricondurre piuttosto ad un altro ordine di considerazio-ni, che sembrano determinanti per comprendere la posizione dei diversicentri religiosi nelle diverse aree dell’Asia Minore in un’epoca fondamentaleper la definizione giuridica e la redistribuzione delle competenze – se si vuo-le della «sovranità» – territoriali19. Tali considerazioni possono aiutare an-che a comprendere le linee di sviluppo dei rispettivi culti e a riassorbire ilmodello proposto di recente da Beate Dignas della tripolarità santuari - po-lis - autorità civile, dove quest’ultima fungerebbe da elemento di «mediazio-ne» tra le altre due istanze, (quasi) ovunque in concorrenza e in dialetticasul piano economico-fiscale20.

Com’è stato rilevato anche di recente da una serie di studi convergenti, ilconcorrere della presenza e delle «pretese» sui territori anatolici di diverse«autorità» che se ne contendevano il titolo legale – la seleucidica di Antiocoil Grande, l’attalide di Eumene II e successori, la rodia (almeno per un’a-rea), la romana – aveva determinato alla fine una definizione generale dellecompetenze che riusciva a coniugare con il principio politico dei rapporti diforza quello legale della kyrieia (la titolarità del bene, il diritto a disporne)secondo le regole di un «diritto internazionale» ancora condiviso. La dichia-

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21 Per il testo, vd. VIRGILIO, Lancia cit., pp. 295-297, nr. 30, ll. 17-24; per la valorizzazione del do-cumento nel senso indicato nel testo vd. BOFFO, Statuto cit., pp. 233-235. Vd. anche A. BENCIVENNI,Progetti di riforme costituzionali nelle epigrafi greche dei secoli IV-II a.C., Bologna 2003, pp. 333-356 e,per una diversa lettura dell’ultima parola della l. 44 relativa ai compiti del funzionario attalide in que-stione, MÜLLER, Hemiolios cit., p. 357.

22 I. Pessinous (J. STRUBBE, IGSK 66, 2005), 7, ll. 8 ss.23 Per una rassegna vd. ibid., p. 2; per un’accurata disamina della situazione della regione galatica

fra II e I secolo a.C., vd. VIRGILIO, Il “Tempio stato” di Pessinunte fra Pergamo e Roma nel II-I secoloa.C. (C.B. Welles, Royal Corr., 55-61), Pisa 1981, pp. 119-128.

24 Vd. rispettivamente VIRGILIO, loc. cit.; ID., Lancia cit., pp. 189-190 e STRUBBE, Pessinous cit.,pp. X-XI e 2 (con qualche contraddizione).

razione più esplicita e consapevole delle conseguenze di questo processo èprecisamente quella formulata da Eumene II nello stesso periodo in cui fa-ceva la sua richiesta Kadoas e nel corso dell’atto regale di «creare» e dotareuna polis composta da una comunità mista, di greco-macedoni e indigeni(egkorioi): il re riconosceva che la sua concessione toccava «aspetti più rile-vanti e numerosi», dal momento che essa veniva «garantita legalmente» (be-baia) dal fatto che egli disponeva di un territorio e di una capacità su di essotrasferitigli dai Romani, a loro volta legittimamente titolati a disporre diquanto conquistato o contrattato21. Che le situazioni di diritto potessero poitrovare pesanti condizionamenti ad opera di quelle di fatto determinate dairapporti di forza nulla toglieva al loro valore di principio: è quanto in fondospiegava all’Attis galata di Pessinunte poco prima del 156, dopo dieci annidi violazione dell’assetto stabilito da Roma, un tenace Attalo II, finalmenteconvinto che «senza i Romani» (ovvero senza il loro parere preventivo, gno-me) nessuna impresa di rideterminazione degli ambiti di controllo potevaavere successo22. È forse su quest’ultimo aspetto così insistito che occorreorientarsi nel tentativo di spiegare le ragioni per cui il dossier di una corri-spondenza segreta e di congiura fu recuperato ed esibito nella seconda metàdel I secolo a.C., nessuna delle quali si è sinora dimostrata del tutto soddi-sfacente23. Bene proponeva Virgilio la «probabilità» che all’epoca della pub-blicazione i territori di pertinenza del santuario venissero sottoposti a «rego-lamentazione giuridica e amministrativa»: del resto dal costituirsi della pro-vincia di Galazia, nel 25 a.C., si andava avviando la trasformazione di quelche rimaneva di un supposto «tempio-stato» in una polis24.

Le diverse entità che rientravano nelle varie competenze territoriali cosìdefinite trovavano ai diversi livelli la loro natura e posizione riconosciute esistematizzate a seconda delle esigenze generali e regionali, sul piano istitu-zionale, amministrativo, fiscale (quel che emerge sempre più chiaramentedalla documentazione epigrafica sono l’elevato grado di organizzazione ge-stionale dei territori e delle diverse loro componenti anche in età seleucidicae attalide, tutt’altro che sottodimensionate sotto questo aspetto, e la capacità

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25 Per il regno seleucidico vd ad esempio DEBORD, Culte cit., p. 302 (cfr. pp. 296-297): precisamen-te il dossier di Pleura dimostra che «l’idée reçue selon laquelle le royaume séleucide sérait un état faible,ingouvernable par nature, doit être sérieusement amendée»; nello specifico, dal regno di Antioco II edalla nomina di Dione «de sérieux efforts d’organisation avaient été faits dans la gestion des cultes … lapolitique royale en relation avec les cultes (contrôle, gestion des revenus, utilisation politique, tant pourle culte des rois que les cultes traditionnels) doit se lire comme un tout» (vd. già BOFFO, I re ellenistici e icentri religiosi dell’Asia Minore, Firenze 1985, pp. 327 ss.); vd. anche CHR. SCHULER, Landwirtschaft undkönigliche Verwaltung im hellenistischen Kleinasien, in V. CHANKOWSKI - F. DUYRAT (Edd.), Le roi et l’é-conomie. Autonomies locales et structures royales dans l’économie de l’empire séleucide, “Topoi” Suppl. 6(2004), pp. 509-539 (sul significato del dossier di Pleura pp. 512-513); CAPDETREY, Économie cit., (cfr.368: «puissante structure administrative dans les régions»). Per il regno attalide nel II secolo vd. adesempio SAVALLI-LESTRADE, Les Attalides et les cités grecques d’Asie Mineure au IIe siècle a.C., in BRES-SON - DESCAT (Edd.), Les cités d’Asie Mineure occidentale au IIe siècle a.C., Bordeaux 2001, pp. 77-91(con la conclusione, pp. 90-91, che essi dopo il 188 avrebbero introdotto, «probabilmente in forma si-stematica», un’organizzazione amministrativa fondata sulla ripartizione dei territori annessi in diversestrategie regionali). Quanto ai caratteri dell’innesto romano sul territorio e alla precocità della provincia-lizzazione, vd. ad esempio D. CAMPANILE, L’infanzia della provincia d’Asia: l’origine dei ‘conventus iuridi-ci’ nella provincia, in C. BEARZOT - F. LANDUCCI - G. ZECCHINI (Curr.), Gli stati territoriali nel mondo an-tico, Milano 2003, pp. 277-284 (p. 281: «possiamo … intravedere nell’operato di Manio Aquillio e deisuoi consiglieri quello schema unitario di dominio e razionalizzazione del territorio riscontrabile anchein altre epoche e in altre regioni», grazie alla «straordinaria capacità romana di un’immediata e elevatis-sima appropriazione di un territorio nel momento in cui diveniva parte dell’impero»); una attenta valu-tazione dei ritmi e delle forme dell’appropriazione romana dei territori anatolici è ora in S. DMITRIEV,The History and Geography of the Province of Asia during the First Hundred Years and the Provincializa-tion of Asia Minor, “Athenaeum” 93 (2005), pp. 71-133; vd. anche DREHER - ENGELMANN, Inschriftencit., pp. 22-27 e la sintesi di SARTRE, Anatolie cit., pp. 209-248, con ampia bibliografia, e infra.

di Roma di inserirsi nelle dinamiche locali e di riprenderne i principi e alcu-ni elementi utili)25. Era in questo ambito di rapporti di controllo e gestionedei territori e nel gioco consentito dai principi del riconoscimento legale chesi collocavano ormai i vari centri religiosi.

In questa prospettiva occorre riavviare la riflessione su due importantiaspetti della vita di relazione tra fattore religioso, elemento istituzionale econtesto politico nell’Anatolia tardo-ellenistica e romana sui quali continua-no a pesare fraintendimenti e generalizzazioni e dei quali invece occorre cer-care il fondamento giuridico, il margine amministrativo, la operatività socia-le: la posizione di quei centri religiosi tradizionalmente qualificati come«stati templari», reputati espressione di un indigenismo tanto tenace da ra-sentare la resistenza e l’opposizione, e lo status della asylia – l’immunità daalcune categorie di intervento esterno – per diverse aree cui veniva ricono-sciuto il carattere di «sacre».

La categoria degli «stati templari» (per usare solo una delle numerose va-rianti formulari impiegate in letteratura) deriva, com’è noto, dalla ripresaacritica di una serie di passi straboniani relativi a diverse aree dell’Anatoliaellenistico-romana interna che descrivevano una forma ricorrente di gestio-

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26 I passi straboniani in questione sono XII 2,3 (Comana di Cappadocia), 2,5 (Venasa), 2,7 (Casta-bala in Cilicia Piana), 3,31 (Cabira nel Ponto), 3,32 (Comana pontica), 3,37 (Zela nel Ponto), 5,3 (Pessi-nunte in Galazia); XIV 4,2 (Perge in Panfilia), 5,10 (Olba di Cilicia); cfr. XI 4,7 (Selene in Albania). Peril dettaglio di problematica e discussione vd. BOFFO, Centri religiosi e territorî nell’Anatolia ellenistica, inGli stati territoriali cit., pp. 253-269 (anche circa la trattazione di EAD., I re ellenistici cit., più cauta diquanto qualche lettore abbia voluto ritenere). Alle medesime conclusioni, indipendentemente e da altraprospettiva, è giunto SARTRE, Anatolie cit., pp. 173-175 (p. 174: «Dans tous les cas, la notion de «temple-État» devraît être abandonnée, au profit de domaines sacrés … «État sacerdotal», notion des plus conte-stables». Per una rassegna delle vicende dei luoghi di culto dell’interno anatolico, giustamente ricondottealla prospettiva dei rapporti con l’autorità civile, piuttosto che ad una dialettica «culti urbani / culti rura-li», vd. DIGNAS, Economy cit., pp. 225-233, 245-246 (con qualche semplificazione e contraddizione do-vute al suo assunto di base; vd. però p. 233: «religious life was almost always embedded in some kind ofsocietal context that provided its own, however basic, legislative, juridical, and executive authorities»).Una vigorosa reazione al modello teocratico applicato alla relazione centri religiosi - potere imperialeachemenide è in L.S. FRIED, The Priest and the Great King, Temple-Palace Relations in the Persian Empire,Winona Lake 2004 (per l’Asia Minore vd. Cap. 4, pp. 108-154, con qualche necessità di correttivo). Per irischi di un impiego generico della terminologia e di una mancata considerazione dei diversi piani giuri-dico-amministrativi, vd. ad esempio W. BURKERT, Die Artemis der Epheser: Wirkungsmacht und Gestalteiner großen Göttin, in H. FRIESINGER - F. KRINZINGER (Edd.), 100 Jahre österreichische Forschungen inEphesos, Akten des Symposiums, Wien 1995, p. 64: «Sicher ist, daß der Tempel reich war, und zwar of-fenbar seit alter Zeit, reich vor allen an Grundbesitz. Hier kommt ein Phänomen ins Spiel, das wiederumeher in der außengriechischen, als in der griechischen Welt seinem Platz hat: das Heiligtum als selbst-ständige wirtschaftliche Einheit. Tempel-Wirtschaft, Tempel-Gut, ja Tempel-Staat» (il corsivo della se-quenza è mio; il passo non casualmente è ripreso da DIGNAS, Sacred revenues in Roman lands. The econo-mic dimension of sanctuaries in Western Asia Minor, in S. MITCHELL - C. KATSARI (Edd.), Patterns in theEconomy of Roman Asia Minor, Swansea 2005, pp. 211, 219, nt. 28); vd. anche infra, nt. 29.

ne-controllo da parte di sacerdoti di rango sociale elevato (talora appartenen-ti alla famiglia reale) di territori più o meno estesi, con gruppi numerosi dipopolazione dedicata alla divinità locale di turno26. Presupporre una situa-zione di «teocrazia» generalizzata risalente ad epoca antica e rivendicare unastatualità indipendente – di fatto, quando non di diritto – per ampie aree,usando con una certa disinvoltura il lessico della dynasteia, è parsa la formulapiù semplice per interpretare la documentazione letteraria ed epigrafica rela-tiva ai centri religiosi anatolici per cui il sacerdote rivestiva o rivendicava unproprio ruolo nelle dinamiche gestionali e amministrative locali o areali neiconfronti di una città o di un’autorità centrale e argomentava sull’antichità esul prestigio del culto. Se invece si valutano il lessico e le espressioni di Stra-bone nella prospettiva dei rapporti di titolarità e gestione di territori e renditequali erano determinati dai principi giuridici vigenti nel mondo ellenistico-romano che si sono indicati sopra, risulta evidente che i cosiddetti «stati tem-plari/sacerdotali di tradizione orientale» sono precisamente collocabili nellacategoria dei territori di pertinenza amministrativa specifica, definita nei li-miti della organizzazione dello «stato» di volta in volta detentore della kyrieiapiù generale, re ellenistico o potere romano (i quali, se ritenevano, potevanogiostrare con le diverse concessioni). Il comportamento di Pompeo a Coma-

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27 Strab. XII 3,34 (vd. anche BOFFO, Centri cit., p. 263 con nt. 23); le medesime considerazioni sipossono fare per un altro «principato sacerdotale» sul quale intervenne Pompeo, quello di «ArtemidePerasia che sta a Castabala» (vd. nt. precedente): cfr. BOFFO, Centri cit., pp. 267-268.

28 Vd. rispettivamente Strab. XII 5,3, I. Pessinous, 1-7; Diod. XXXVI 13,1-3, con Plut. Mar., 17,5-6 (I. Pessinous, pp. 248-250, T41-42); Cic. har. resp. 13,28-29, Pro Sestio 26,56, ad fam. II 12,2 (I. Pessi-nous, pp. 250-252 T44-46). In generale, vd. BOFFO, Centri cit, pp. 264-265, con note, DIGNAS, Eco-nomy cit., pp. 229-232. Per l’importanza della presenza galatica a Pessinunte e per un’influenza sul cul-to stesso vd. E.N. LANE, The Name of Cybele’s priests the “Galloi”, in ID. (Ed.), Cybele, Attis, and Rela-ted Cults: Essays in Memory of M.J. Vermaseren (RGRW 131), Leiden 1996, pp. 117-138 (cfr. p. 121:«we must recognize that we have little idea of what the Gauls found on occupying Pessinus»). Per l’i-dea del «tempio-stato», perdurante sino alla creazione della provincia nel 25 a.C., vd. ancora J.H.M.STRUBBE, The imperial cult at Pessinous, in L. DE BLOIS - P. FUNKE - J. HAHN (Edd.), The Impact of Im-perial Rome on Religions, Ritual and religious Life in the Roman Empire, Proceedings of the FifthWorkshop of the International Network Impact of Empire (Roman Empire, 200 B.C. - A.D. 476),Münster, June 30 - July 4, 2004, Leiden 2006, pp. 106-107. Se è vero che il nome di carica Bat(t)akes èdi provenienza iranica (O. MASSON, Onomastica Graeca Selecta, III, Genève 2000, p. 219), dovremmosupporre che anche i Persiani, pur nella loro summa religio verso il centro di culto (Cic., loc cit.), fosse-ro intervenuti nel sacerdozio pessinuntino, così come avevano fatto per il neokoros di Artemide efesina,cui parimenti lasciarono il nome di funzione Megabyxos (cfr. R. SCHMITT, Iranische Anthroponyme inden erhaltenen Resten von Ktesias’ Werk, Wien 2006, pp. 107-110).

29 I. Pessinous 17, ll. 3-5 (comm. a p. 33) e 18, ll. 2-4; la datazione tradizionale per la distribuzioneè l’età claudia (cfr. ibid., p. 86, ad nr. 64: ai Frigi era sempre riservata la funzione di galloi). Sulla gerar-

na pontica, già retta da un hiereus «secondo dopo il re», che comunque lonominava, con l’insediamento a sacerdote di Archelao e la dotazione di unakyrieia limitata dei hierodouloi che abitavano il sito divenuto polis, è indicati-vo della relatività dei rapporti con un’autorità che decideva anche dell’am-pliamento della chora di competenza del nuovo sacerdote per un controllo ditipo civile (hegemon)27. Anche per Pessinunte, né il sintetico passo strabonia-no sui sacerdoti che «godevano i frutti» (karpoumenoi) di un sacerdozio«grande» – perché connesso con l’attività emporiale del hieron – e che perciònella gerarchia dei poteri potevano essere descritti come dynastai, né la situa-zione espressa dal già citato dossier del 163-156 a.C., con l’evidente pressionegalatica sul centro, né quella riflessa dalla vicenda del Battakes che nel 102andò a Roma a chiedere la pubblica espiazione del tempio profanato da ol-traggi non meglio definiti (li si suole ricondurre all’intervento di publicani),né la vicenda di Deiotaro e Brogitaro nel 58-56 a.C. – in cui l’elemento reli-gioso era subordinato al potere regale conteso – riescono a connotare unostatus di teocrazia (per la quale difatti si è costretti ad applicare l’idea di unaprogressiva «decadenza»)28. Al contrario, la situazione etnico-religiosa localeera così compromessa che fu Roma stessa, secondo la proposta di Karl Stro-bel contemporaneamente alla costituzione della provincia, a ristabilire unequilibrio, aggiungendo all’archiereus dieci Att(e)is a vita, cittadini romani,ripartiti fra cinque frigi, che avevano la precedenza nella gerarchia «dopo ilgran sacerdote», e cinque galati (dal «sesto» al «decimo»)29.

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chia sacerdotale di Pessinunte, a scalare Attis, Battakes, Galli, vd. M.G. LANCELLOTTI, Attis. BetweenMyth and History: King, Priest and God (RGRW 149), Leiden 2002, pp. 47-49, 96-98, 100-105 (dellostudio non si condividono peraltro tutte le considerazioni di ordine storico relative ad una connessionedella figura mitica di Attis con una regalità anatolica risalente all’epoca ittita, in parte contraddittorie eancora una volta orientate nel senso dello «stato-templare», con la conclusione – inevitabile – che «Onthe basis of current knowledge it is not possible to determine precisely the various phases through whichthe sanctuary and priesthood of Pessinous acquired the characteristic of a “temple-state” governed bya theocracy» (p. 61) e la chiosa, semplicistica, che «However this was the state of affairs in the Attalidperiod»; vd. in generale L. ROLLER, Recensione in “BMCR” 2003.08.05).

30 Per una rassegna delle divinità «signore», vd. MITCHELL, Anatolia cit., p. 191; per un’analisidella natura del loro potere «temporale», vd. già BOFFO, Re ellenistici cit., pp. 83 ss.

31 Vd. SEG XLV (1995), 1556, ll. 12-13 (Kallipolis) e 1557 (Laodikeis), ll. 7-8. Vd. anche supra, nt.15 e, per la possibile natura del contenzioso, infra, con nt. 50.

32 Vedi BOFFO, Centri cit., pp. 268-269. Per la storia di Labraunda e dei suoi rapporti con le diver-se autorità politiche, vd. DEBORD, Sur quelques Zeus cariens: religion et politique, in VIRGILIO (ed.),“Studi Ellenistici” XIII (2001), pp. 26-31 (per alcuni aspetti troppo rigida). La citazione è da VIRGILIO,Re, città e tempio nelle iscrizioni di Labraunda, ibid., p. 54 (cfr. ID., Lancia cit., pp. 181-182), dove si ri-leva anche una «resistenza all’ellenizzazione delle classi sacerdotali indigene». La vicenda di Labraun-da naturalmente rappresenta uno degli esempi di sostegno della tesi di DIGNAS (Economy cit., pp. 59-69, 95-106, 204-217), la quale peraltro ammette che «Philip’s letter reveals that the revenues from sa-cred lands were the main issue at stake» e, pur non tenendo in conto gli aspetti giuridici di cui si va quitrattando, correttamente respinge il carattere «teocratico» del sacerdozio di Labraunda.

Del resto anche l’autorità di controllo sociale esercitata da una divinità diprestigio regionale (quella che in altre zone ne faceva il basileus, o il tyrannos)attraverso i suoi rappresentanti poteva coesistere con la definizione giuridicae amministrativa dei limiti del sacerdozio30. Se dobbiamo raccogliere il sug-gerimento di Angelos Chaniotis, anche alla discussa attività di Leon di Stra-tonicea quale «conciliatore di quanti avevano controversie relative ai giura-menti» – tous diapheromenous huper tôn horkôn syllyôn – apprezzato in sederegionale si potrebbe applicare il quadro del «parallelismo» non concorren-ziale e legalmente riconosciuto tra autorità civile e autorità religiosa alla finedelineato per l’ambito lidio-frigio delle stele di confessione, nella risoluzionedelle questioni legali sorte nelle aree di competenza doppia o plurima31.

E come mostra la lunga querelle fra il sacerdote di Labraunda e la polis diMilasa in Caria il problema di fondo nei rapporti fra le diverse entità politi-che che controllavano il territorio non consisteva nella rivendicazione di unateocrazia originaria che determinava lo scattare di atavismi comportamentalirisorgenti in un inesauribile conflitto «tra il sistema della polis ellenizzata e‘democratica’ e il sistema ‘teocratico’ del tempio», bensì in quella della ga-ranzia del mantenimento delle fonti di rendita (prosodos) indispensabili perla sopravvivenza e la gestione del luogo di culto nell’ambito di un livello dititolarità plurimo (il sacerdote che gode i frutti, la polis che riceve il rendi-conto, il potere che di volta in volta controlla l’area e ne ha la responsabilitàgenerale, dalla fine dell’ecatomnide a quello romano imperiale)32. Che la si-

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33 Lancia cit., p. 184: la copia del tardo II secolo della lettera con cui Olimpico nel 240 ca., tra lealtre cose, confermava alla polis i suoi diritti (I.Labraunda 1 b-2 e 3b) è messa in relazione con il tempoche vide la città riconoscere come suo patrono ed evergete Cn. Domizio Enobarbo, I.Labraunda 62,propretore in Asia nel 129 a.C. (p. 183, con nt. 480; vd. però i dubbi circa l’integrazione del testo assailacunoso in F. CANALI DE ROSSI, Il ruolo dei patroni nelle relazioni politiche fra il mondo greco e Romain età repubblicana e augustea, Leipzig 2001, p. 93; sul personaggio e sulla tradizione di patronato inAsia presso i suoi discendenti, vd. C. EILERS, Roman Patrons of Greek Cities, Oxford 2002, p. 217C51); per la copia a Milasa della lettera di Olimpico del 220 ca., vd. I.Mylasa 23 (I sec. d.C.).

34 Vd. rispettivamente I.Mylasa 102, l. 2 e Strab. XIV 2,23. Sui rapporti fra Roma e Milasa vd. DI-GNAS, Economy cit., pp. 205 ss. (con qualche contraddizione fra il «civic context» rilevato per la relazionefra sacerdozio e polis e il rimando del rapporto fra di esso e l’autorità romana al modello precostituitodella triangolarità; in linea generale merita rilievo l’osservazione della studiosa a p. 243: «The activities ofthe élites in town and countryside seem to me very important and encourage prosopographical studies»).

35 Una formulazione significativa nella (e per la) sua contraddizione, è in MA, Antiochos cit., p.157: «Another variation in formal status must have resulted from the grant of asylia (‘inviolateness’) …However, the administrative implications for asylia, partly a variation of internal status inside the Se-leukid state, partly a matter of international diplomacy, are still obscure (it is not at all clear whetherthe status was mostly a matter of religion-based honour and distinction, or if it entailed practical privi-leges in matters of taxation or jurisdiction)». Vd. però poco oltre: un santuario o una città consacratadiventavano «immune from violent spoliation in war or as forcible redress»; cfr. p. 172: «The word asy-lia designates a state of freedom from spoliation or reprisals, concomitant with the designation of a pla-ce as sacred to a deity». Vd. quanto segue.

tuazione passasse in questi termini a Roma dimostra il caso, singolare nelleproporzioni e nei modi, della reincisione di cinque dei sette documenti deldossier e connessi, uno dei quali (almeno) a Milasa stessa, dal II sec. a.C. al-l’età imperiale, che Virgilio, rievocando la sequenza regolare della documen-tazione conservata ed esibita da Milasa ai successivi signori dell’area, sugge-stivamente riconduce a una procedura di routine, richiesta dall’esigenza diveder riconosciuti di volta in volta i rispettivi «diritti» nell’ambito del siste-ma generale33. Sarà inoltre opportuno ricordare che il ridimensionamentodella gestione familiare non comportava l’allontanamento dalla funzione diuna famiglia che ancora tra II e I secolo risultava appartenere all’élite cittadi-na, con un Korris figlio di Ecatomno sacerdote di Zeus a Labraunda e segre-tario della boule della polis, coerentemente con la dichiarazione di Straboneche «rivestono il sacerdozio i più illustri dei cittadini» (hoi epiphanestatoi tônpolitôn, allora ancora a vita, ma di là a non molto con carica annuale)34.

Con gli aspetti della definizione di pertinenze e status e delle capacitàgiuridiche di interrelazione fra i diversi detentori dei territori ai diversi livel-li – con il coinvolgimento dei luoghi di culto – in epoca ellenistico-romana sicollega naturalmente la condizione della asylia, una condizione per lo più ri-tenuta non facilmente definibile se non nei termini generali di una «inviola-bilità» areale / territoriale di cui sembrano sfuggire le componenti e, soprat-tutto, i livelli e i termini giuridici della tutela35. Ancora una volta, non è del

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36 Per la rassegna sistematica delle attestazioni relative all’applicazione territoriale dell’asylia vd.K.J. RIGSBY, Asylia. Territorial inviolability in the Hellenistic World, Berkeley - Los Angeles - London1996 (l’Anatolia alle pp. 95-480, per 41 attestazioni a fronte delle 52 per il resto del mondo ellenico evicino-orientale); per una rassegna degli interventi di Roma, dal 193 a.C., vd. anche J. DERLIEN, Asyl.Die religiöse und rechtliche Begründung der Flucht zu sakralen Orten in der griechisch-römischen Antike,Marburg 2003, pp. 127-129 e 309-313 (le due sole eccezioni all’area anatolica attestate sono Delfi(città-hieron) e Oropo (santuario) in Acaia, Amatunte e Pafo (santuari) a Cipro).

37 Una rassegna di documenti e dottrina recente al riguardo è prevista da chi scrive in un prossi-mo studio. Per un breve status quaestionis sino al 2003 vd. M. DREHER, Einleitung: Die Konferenz überdas antike Asyl und der Stand der Forschung, in ID. (Ed.), Das Antike Asyl. Kultische Grundlagen, recht-liche Ausgestaltung und politische Funktion, Köln - Weimar - Wien 2003, pp. 1-13; vd. anche, DERLIEN,Asyl cit., pp. 12-16, 119-120 e, da ultimo, sulle linee di una prospettiva di lungo periodo, CHR. TRAUL-SEN, Das Sakrale Asyl in der Alten Welt. Zur Schutzfunktion des Heiligen von König Salomo bis zur Co-dex Theodosianus, Tübingen 2004, pp. 6-7.

38 Com’è noto, tale visione riduttiva (in parte contraddetta da osservazioni riferite ai singoli docu-menti e casi) è dovuta a RIGSBY, Asylia cit. (Introduction, pp. 1-29): per la insostenibilità di tale posizio-ne basti qui rimandare alle puntuali considerazioni di E.A. MEYER, Recensione in “AJA” 120.3 (1999),pp. 460-464 (spec. 462), alle puntualizzazioni di F. LEFÈVRE, Recensione in “Topoi” 8.1 (1998), pp.325-326, pur convinto in linea generale che «les déclarations restent de pure intention et confèrent duprestige plus qu’une efficace protection» (325; ma vd. ibid.: «une forme de réalisation concrète esttoujours escomptée»), al rilievo di alcuni degli aspetti giuridici dell’istituto di K. BRINGMANN, Recen-sione in “GGA” 252 (2000), pp. 26-38 (di cui peraltro non si condividono alcune delle considerazio-ni), alle conclusioni di TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., p. 229 (vd. però infra), alle considerazioni di DI-GNAS, Economy cit., p. 291 circa l’opportunità di un approccio che «treats the term asylia as synthesi-zing a multi-levelled privileged status», alle note, comunque discutibili, di A. LINTOTT, Sula - Reprisalby Seizure in Greek Inter-Community Relations, “CQ” 54.2 (2004), spec. pp. 351-353 («through grantsof asulia are comparatively well attested in epigraphy, they remain exception to the norm. It was this

tutto casuale che il fenomeno riguardasse in special modo l’Asia Minore36.Non è naturalmente questa la sede per affrontare sistematicamente le di-

verse problematiche connesse con l’istituto nell’epoca ellenistica e romana econ le prospettive moderne di indagine37. Si possono tuttavia proporre alcu-ne linee di riflessione in margine alle dinamiche che si sono fin qui rilevate,e in considerazione del fatto che lo status in questione interessò entità reli-giose tanto radicate nel territorio da avere, potenzialmente, la capacità di«appropriarsene» e di modificarne la natura in rapporto ai diversi enti chegravitavano su di esso, in certa misura sottraendo il titolo a violarla a chi siriservava o si vedeva attribuito il potere politico di appoggiare e riconoscerequella condizione (e di ridimensionarla).

Il presupposto – in parte giustificato da quanto si dirà – è che l’istitutoavesse un suo preciso valore giuridico e istituzionale e non rientrasse nella ca-tegoria degli «onori» per i quali in età (soprattutto) romana ci si batteva acca-nitamente: le premesse e le ricadute in termini di prestigio per ilsantuario/città erano naturalmente considerate, previste ed esaltate nel lessi-co ufficiale, ma non costituivano l’essenza dell’operazione (e neppure il mo-vente)38. Se è vero che occorre cautela nel dedurre situazioni e condizioni

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very fact that made them, at least in theory, valuable privileges»). Ritiene al contrario convincente l’in-terpretazione di Rigsby A. HELLER, “Les Bêtises des Grecs”. Conflits et rivalités entre cités d’Asie et deBithynie à l’époque romaine (129 a.C. - 235 p.C.), Bordeaux 2006, pp. 165-169, senza peraltro tenereconto del dibattito al riguardo presso i giuristi (vd. nt. seguente). Una posizione in qualche modo inter-media, che coglie la natura «protettiva» dell’asylia in un contesto di grande incertezza e insicurezza mi-litare-politica, ma ne esaurisce le ragioni nel «selbstbewußter Elan» delle poleis micrasiatiche, presentaM. FLASHAR, Panhellenische Feste und Asyl - Parameter lokaler Identitätsstiftung in Klaros und Ko-lophon [Klaros-Studien III], “Klio” 81.2 (1999), pp. 412-436. Alla ricerca di «onore e prestigio» con-nessa con quella del maggior numero possibile di riconoscimenti pensa anche TRAULSEN, Sakrale Asylcit., p. 265.

39 Tac. ann. III 60-63; IV 14,1-2. Sui passi tacitiani e sulle loro implicazioni di ordine giuridico,vd. A. MAFFI, Risposta a Martin Dreher, in R.W. WALLACE - M. GAGARIN (Edd.), Symposion 2001(Evanston, Illinois, 5.-8. September 2001), Wien 2005, pp. 283-286 (con il precedente DREHER, Romund die griechische Asyle zur Zeit des Tiberius, ibid., pp. 263-282); per un’analisi nelle diverse prospetti-ve, DERLIEN, Asyl cit., pp. 288-322 («eine eingehende Untersuchung des Berichtes fehlt bisher», cfr. p.368); vd. anche G.G. BELLONI, ‘Asylia’ e santuari greci dell’Asia Minore al tempo di Tiberio, in M. SOR-DI (Ed.), I santuari e la guerra, Milano 1984, pp. 164-180. Alla discussione generale sulla situazione rile-vata per l’età tiberiana dai passi in questione gioverebbe comunque il richiamo del passo strabonianosull’Artemision di Efeso, XIV 1,23 (vd. nt. seguente), al riguardo giustamente considerato da DIGNAS,Economy cit., p. 289, DERLIEN, Asylia cit., pp. 305, 309 e HELLER, “Bêtises” cit., p. 166, nt. 12.

40 Per una rassegna degli interventi dei diversi sovrani a riconoscimento e appoggio di richiestepromosse e diffuse da singole poleis nel mondo greco vd. RIGSBY, Asylia cit., passim; per interventi, ri-petuti e calibrati, sull’estensione di un’area asylos, esemplare è il caso di Efeso e del suo Artemision,quale è sintetizzato dal passo straboniano menzionato nella nota precedente: «è avvenuto che i confinidella asylia siano stati cambiati molte volte, Alessandro avendoli estesi a uno stadio, Mitridate avendolanciato una freccia dall’angolo del tetto e avendo reputato che avesse di poco superato lo stadio, An-tonio avendolo raddoppiato, e compreso con lo stato di asylia una parte della città» (fino a che Augu-sto non «invalidò» (ekyrôsen) a motivo delle conseguenze che quel tipo di protezione areale avevasull’«ordine pubblico»: vd. infra); un commento topografico è in H. ENGELMANN, Beiträge zur ephesi-schen Topographie, “ZPE” 89 (1991), pp. 293-295. Che la natura dell’asylia ellenistica non sia da ricon-durre ad una «neutralizzazione» dell’area in questione sottolinea correttamente K. BURASELIS, Zur Asy-

pregresse dalla nota vicenda dell’indagine sugli asili greci promossa da Romanel 22/23 d.C. (sulla quale peraltro molto si è speculato), resta innegabile ildato di fondo e costante della tutela del diritto a certe possibilità di interven-to su beni e persone all’interno di un’area asylos ad opera dei rappresentantidi quell’autorità vicina o lontana che ne aveva consapevolmente esercitato opiù o meno tacitamente conservato il riconoscimento39. Il fatto che le auto-rità civili con competenza territoriale intervenissero sul riconoscimento, divolta in volta promuovendolo nel contesto «internazionale», agendo unilate-ralmente sulla definizione topografica dell’area tutelata, o, infine, avviandoazioni di verifica della legittimità (appunto!) dello stato, rientrava precisa-mente nelle dinamiche della kyrieia ai diversi livelli di cui si diceva, le qualinon avevano rapporto alcuno con situazioni genericamente indicate in dottri-na come «inviolabilità (da qualsivoglia intervento esterno)» o «neutralità (incaso di guerra)», oppure una non meglio precisata esenzione da controlloeconomico-fiscale (in quanto tale) o simili40. In questa prospettiva, ad esem-

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lie als außenpolitischen Instrument in der hellenistischen Welt, in DREHER, Antike Asyl cit., pp. 143-158(cfr. RIGSBY, Stellungsnahme zum Beitrag von K.B., ibid., p. 159 e BURASELIS, Antwort auf K.J.R., p.160), tuttavia ritenendo che essa pertenesse all’ambito delle «good relations» internazionali, non solodiffuse, ma anche «often effective». Vd. anche DIGNAS, Economy cit., p. 290 e infra, nt. 42 e, per la de-cisa negazione che – inter alia – lo status di hieros kai asylos corrispondesse alla «Neutralität im Krie-ge» o alla «steuerliche und rechtliche Immunität», vd. TRAULSEN, Sakrale Asyl cit, pp. 228-229.

41 Per la situazione apparentemente contraddittoria di Amyzon, vd. MA, Antiochos cit., pp. 67,126-127, 157, nt. 177, 298-300, nr. 10 (il caso di Xanto, accomunato dallo studioso, è in realtà da di-stinguere: vd. infra).

42 Per il primo aspetto vd. ad esempio DIGNAS, Economy cit., pp. 290-291: «…the attempt toidentify a universally applicable motive for the declarations has proved impossible» (salvo naturalmen-te ricorrere alla soluzione di Rigsby). Per il secondo, vd. la sintesi in BRINGMANN, Recensione cit., p. 32(ci sarebbero state una asylia fondata sul diritto internazionale, una effetto del riconoscimento del re e,infine, forme «miste») e le svariate considerazioni di RIGSBY, Asylia cit., ad esempio pp. 22, 58, 287,294, 360, 374, circa la distinzione fra asylia personale (ad esempio per gli Artisti Dionisiaci e, in genera-le, per mercanti) e asylia territoriale (con l’inevitabile conseguenza che gli Etoli a proposito della secon-da avrebbero «importato» i connotati della prima, p. 374). Alla «varietà di significati» della asylia nellefonti antiche pensa anche CHANIOTIS, Conflicting Authorities cit., p. 66 («from the inviolability of everysanctuary and the personal inviolability of an individual guaranted by a foreign city, to the prohibitionof reprisals agreed upon by the communities, or the inviolability of certain sanctuaries recognized bykings, cities, and confederations»), riconoscendo tuttavia che «the problem was seen in a different waydue to the different structures of power and the different traditions» (p. 70). Per la «charakteristischeVerschmelzung» delle diverse forme dell’«asilo» in età ellenistica, vd. DREHER, Das Asyl in den Antikevon seien griechischen Ursprüngen bis zum christlichen Spätantike, “Tyche” 11 (1996), pp. 89-93 (conuna certa confusione delle categorie) e, sulla medesima linea evolutiva della «Einordnung der sakralenAsylie in das staatliche Rechtssystem», TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., pp. 164 ss. (la confluenza nell’etàellenistica della categoria dell’«asylia sacra» in quella «secolare»), 220 ss. («eine eigentümliche Misch-form»), con la conclusione che i Romani avrebbero conservato «das Griechische Asylwesen in jenemSpätstadium, das es damals erreicht hatte: alte sakralrechtliche Anschauungen, überlagert durch zahl-reiche säkularrechtliche Gewärleistungen teils völkerrechtlicher, teils innerstaatlicher Art – ein unüber-sichtliches und disparate Ineinander und Durcheinander». In conformità con il suo approccio giuridi-co, DERLIEN, Asyl cit., p. 38 offre invece la definizione operativa di base di asylia e asylos per l’età elle-nistico-romana: essi «In Inschriften seit dem 3. Jh. v.Chr. bezeichnen … die Griechische Institution des>Zugriffentzugs< bei Personen, städtischen Territorien und Heiligtümern». Vd. anche supra, nt. 40.

pio, non risulta più contraddittorio il fatto che l’Artemision di Amyzon, rico-nosciuto asylos da Antioco III, fosse retto da un epistates del re41. E neppureè più necessario ricercare il movente dell’aspirazione diffusa all’asylia negliambiti sui quali il riconoscimento aveva i suoi effetti di tutela, ovvero le «re-lazioni internazionali», costituite dagli spostamenti di singoli o gruppi perscopi di predazione o di commercio, e le relazioni interne al territorio in cuiera collocata l’area sacra, fatte di rapporti fra enti e persone di diversa naturagiuridica (compresi i re ellenistici e l’autorità romana): non è un caso chequesto approccio comporti la difficoltà di ricondurre le varianti geografichee storiche all’unità e ricorra all’idea di categorie diverse di asylia42. Il moven-te per la richiesta, sollecitata da un insieme di circostanze che comportavanoprecisamente la violazione di quei determinati aspetti che l’immunità preve-

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43 Del tutto condivisibile è la considerazione di MA, Antiochos cit., p. 168: «Legal statutes wereexpected to have legal force, even if they were precarious grants from an autocratic master»; cfr. DER-LIEN, Asyl cit., p. 77.

44 O al massimo citato senza adeguata considerazione (come in TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., ricor-dato a pp. 165 ss., ma non nella bibliografia generale, pp. 325-330): Sulân. Représailles et justice privéecontre des étrangers dans les cités grecques (Etude du vocabulaire et des institutions), “ANSP” s.III, X.3(1980), pp. 675-987 (fra cui spec. pp. 748, 780, 792 ss., 803-808, 888, 962 ss.). Esso non è menzionatoné da Ma, né da Dignas, o Derlien, e in RIGSBY, Asylia cit., trova solo un riferimento accessorio, preci-samente in rapporto con quelle considerazioni sul valore giuridico dell’istituto che lo studioso nonsfrutta nella valutazione dei documenti (p. 32, nt. 9). Allo stesso modo non appare adeguatamentesfruttato l’opus classicum PH. GAUTHIER, Symbola. Les étrangers et la justice dans les cités grecques,Nancy 1972 (per i santuari e città consacrate, pp. 226-284).

45 RIGSBY, Asylia cit., pp. 371-377, nrr. 178-179 (edizione aggiornata del decreto anfizionico inLEFÈVRE, Documents Amphictioniques, CID IV, Paris 2002, pp. 259-261, nr. 107; ivi anche una rassegnadei documenti anfizionico-etolici e una corretta interpretazione delle articolate formulazioni di ricono-scimento di asylia a persone e istituzioni da parte del koinon, pp. 85 ss.; cfr. anche ID., L’Amphictioniepyléo-delphique: histoire et institutions, Paris 1998, pp. 226-229, spec. p. 227, sul ruolo di autorità e digaranzia religiose internazionali dell’organismo). Lo stesso Rigsby, nel commento al decreto etolico ri-conosceva che «A real legal fact is being established, however, in granting a foreigner access to Aetoliancourts» (p. 374; i corsivi sono miei), peraltro negando «fine legal distinctions» alla formulazione nel te-sto (ibid.; cfr. supra, nt. 42); cfr. anche TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., pp. 227-228.

deva, riguardava appunto il significato e gli effetti giuridico-giudiziari dellaasylia, di principio ben stabili al di là di tutte le pratiche di negoziazione e diriconoscimento applicate dalle diverse «autorità» del mondo ellenistico-ro-mano, le quali attenevano precisamente a mutamenti di status definiti, daglieffetti concreti e spendibili nelle diverse circostanze che ne potevano preve-dere l’applicazione43.

Come ha rilevato a suo tempo Benedetto Bravo, in un contributo troppoignorato44, lo status della asylia in epoca ellenistica ci viene indicato con pre-cisione da una delle dichiarazioni di esso, doppiamente significativa perchécoinvolge sia un re, che la definisce topograficamente e la promuove per unsantuario nella sua capitale (Eumene II per il temenos di Atena Nikephorosa Pergamo) in occasione della panegiria penteterica da lui istituita nel 182a.C., sia un’organizzazione politica particolarmente attiva negli aspetti dellavita internazionale che necessitavano di tutela, la confederazione etolica(con l’allora controllata anfizionia delfica)45. Alla richiesta del re di ricono-scere l’asylia da lui proclamata per il temenos appositamente delimitato (chesarebbe stato assai frequentato in occasione delle panegirie, Etoli compresi),il koinon acconsentiva, aggiungendo la clausola penale che «nessuno dovràsottrarre persona alcuna (libera, per renderla schiava: agein), né sequestraredei beni (rhysiazein, ad alcuno che sia) all’interno dei confini» segnati dal re,né effettuare le azioni connesse dell’«esercitare violenza» (apobiazein) e «co-stringere a fornire cauzioni» (dieggyuân); alla vittima di un tale reato, o achiunque volesse avviare un’azione di recupero di beni e persone (ad esem-

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46 RIGSBY, Asylia cit., pp. 371-374, nr. 178, ll. 20-22; per la presenza di Etoli, vd. l. 17 (la previsio-ne di vittoria nelle diverse gare). Essenziale è il commento di BRAVO, Sulân cit., pp. 748-749, di controa quello di RIGSBY, Asylia cit., p. 374: «I do not think that fine legal distinctions are intended by the se-veral terms».

47 RIGSBY, Asylia cit., pp. 371-374, nr. 179 (= CID IV, nr. 107), ll. 25-26; cfr. P. SANCHEZ,L’Amphictionie des Pyles et de Delphes. Recherches sur le rôle historique, des origines au IIe siècle de no-tre ère, Stuttgart 2001, pp. 380-383.

48 Vd. RIGSBY, Asylia cit., nr. 132, ll. 8 ss., con il commento di BRAVO, Sulân cit., p. 804 e SAN-CHEZ, Amphictionie cit., pp. 351-354. Chiara era la formulazione di ambito cretese ricostruita nella suacompletezza da BRAVO, Sulân cit., p. 749 (i testi in RIGSBY, Asylia cit., pp. 297-314, nrr. 136-152): «Sealcuni di quelli che attraccano (a Teo) a partire da (la polis cretese autrice del decreto) hanno fatto su-bire un torto (adikêsosin) a un Teio o a un paroikos, sia per un’operazione pubblica, sia per un’opera-zione privata, contrariamente al decreto relativo all’asylia scritto dalla città (autrice del decreto del mo-mento), sarà consentito a un Teio o a un paroikos residente a Teo, una volta venuto nella città, di pren-der possesso (epilambanesthai) delle persone e dei beni, se li si sta sequestrando (ei tis ka agêi)» (secon-do RIGSBY, Asylia cit., p. 303, tali espressioni sono «unusually elaborate and somewhat redundant»).Che lo «stato di sequestro» – sylon, androlêpsion – fra poleis fosse una pratica giuridica corrente nelmondo ellenistico-romano è indicato ad esempio dalle clausole del trattato di pace fra Mileto e Magne-sia sul Meandro del 184-180, con il riferimento tois echousin sylon ê kata Magnetôn ê kata Milesiôn(Milet I 3, 148, ll. 47-48, con BRAVO, Sulân cit., pp. 737 ss.); che esso ponesse problemi ai diversi livellidell’amministrazione delle entità giuridiche e territoriali coinvolte è indicato dall’appello di Metropolisall’autorità romana da cui dipendeva circa l’operazione di androlepsion «dal loro territorio» condottadagli archontes di Colofone, città estranea alla provincia, nell’ultimo quarto del secolo (il testo in ISEIII, nr. 178, I, ll. 50 ss., II, l. 7, nell’interpretazione di G.A. LEHMANN, ANDROLHYION – Rom und der„Menschenfang”-Streit zwischen Kolophon und Metropolis, “ZPE” 144 (2003), spec. pp. 82-86: le obie-zioni al riguardo avanzate da HELLER, Bêtises cit., p. 61, con nt. 8, non sembrano probanti).

pio per liberare dalla schiavitù un compatriota), si riconosceva il diritto diadire con piena sicurezza le vie legali presso il koinon stesso46. A perfeziona-re la definizione, il decreto parallelo con cui l’Anfizionia delfica riconosceval’asylia in questione, dotandola della sanzione di un’autorità religiosa uni-versalmente riconosciuta, aggiungeva che l’astensione dall’agein «dall’areacircoscritta» doveva aversi sia in tempo di guerra sia in tempo di pace, e nonessere interrotta da nessun genere di accusa47. Il medesimo contenuto eraprevisto per l’asylia di una intera città «consacrata», come spiegavano anco-ra una volta gli Etoli a Teo: lo stato applicato «da parte (para)» loro preve-deva «che nessuno degli Etoli né di quanti risiedevano in Etolia sequestrasse(agein) i Tei o quanti risiedevano a Teo muovendo da nessun luogo», o deiloro beni «dalla città o dalla chora», e offriva la garanzia della tutela legalead opera dei magistrati del koinon e il diritto per i Tei alle iniziative legaligià riconosciute ai Technitai dionisiaci48.

In questa prospettiva viene facile intendere in che cosa consistesse lo sta-tuto di un’area hiera kai asylos nei confronti dell’autorità civile con cui sitrovava a contatto diretto: esso tutelava i debitori insolventi anche nei con-fronti del fisco di riferimento (che vi si rifugiassero o che vi risiedessero avario titolo, permanentemente o temporaneamente), e comunque garantiva

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49 Considerazioni puntuali al riguardo si ritrovano nel pur sempre ottimo E. BICKERMAN, Institu-tions des Séleucides, Paris 1938, pp. 148-156; cfr. anche DIGNAS, Economy cit., pp. 291-292; TRAULSEN,Sakrale Asyl cit., p. 221 (si tratta della «innerstaatliche Asylie») e, per la presenza di evasori fiscali neiluoghi protetti da asylia in età romana, vd. DREHER, Rom cit., p. 266.

50 Per alcune problematiche di fondo circa la giurisdizione nei regni ellenistici (e le molte incer-tezze, a fronte di studi non sistematici sul materiale relativo al mondo extra-tolemaico) vd. ora MAFFI,Studi sulla giurisdizione nei regni ellenistici, in H.-A. RUPPRECHT (Ed.), Symposion 2003 (Rauisch-holtzhausen, 30. September - 3. Oktober 2003), Wien 2006, pp. 301-314 (cfr. p. 302, con una rassegnadelle diverse competenze giurisdizionali: a) giurisdizione regia; b) giurisdizioni speciali, «tra cui parti-colare attenzione merita la giurisdizione dei templi»; c) giurisdizione delle poleis, «in particolare relati-va ai rapporti fra cittadini di poleis diverse»). Per il rapporto tra l’attività di conciliatore di Leon atte-stata nei due decreti di Kallipolis e dei Laodikeis (supra, nt. 31) e la sua promozione del santuario diPanamara, con la conferma dell’asylia, lodata dai Panamareis stessi (I.Stratonikeia 7, ll. 3-6), vd. CHA-NIOTIS, Watchful eyes cit., pp. 30-31 (alla considerazione dello studioso che «…it is certain that peoplecame to a widely respected sanctuary in order to solve legal problems», aggiungeremmo l’attrazionedella protezione che lo stato dell’asylia garantiva a chi entrava nel suo perimetro).

51 Le citazioni da E. COLLAS-HEDDELAND, D’une capitale à l’autre. Pergame, Ephèse et le culte impé-rial provincial, in H. INGLEBERT (Ed.), Idéologies et valeurs civiques dans le Monde Romain, Hommage àClaude Lepelley, Paris 2002, p. 111. Per l’idea che i Romani avessero un’altra concezione dell’«asilo» emale si fossero adattati al sistema ellenistico, fraintendendolo («a misunderstanding») vd. ad esempioDIGNAS, Economy cit., pp. 288-299, Appendix II (con più di una contraddizione). La convinzione asse-gna naturalmente più peso al giudizio tacitiano sulla popolazione di un’area asylos che alla sua indicazio-ne delle categorie ivi raccolte: servitia (peraltro tutelati dalla categoria del phyximon, vd. infra, nt. 57),obaerati, suspecti capitalium criminum (ann. III 60,1; cfr. la fonte di Strabone, XIV 1,23, per l’Artemisiondi Efeso, divenuto per effetto dell’asylia «dannoso e in mano ai malfattori», blaberon kai epi tois kakour-gois). Una decisa difesa della «Rechts- und Verwaltungskompetenz» dell’amministrazione romana espri-me giustamente TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., p. 254. Che la preoccupazione circa la presenza di personecolpevoli di un qualche reato in aree protette fosse ben più antica dimostra efficacemente CHANIOTIS,Conflicting Authorities cit., pp. 65 ss. (per il caso dell’Artemision efesino vd. p. 69).

una extraterritorialità giurisdizionale per quanti avessero pendenze e con-tenzioso con l’amministrazione dello «stato» di volta in volta implicato, ocon privati49. Non sembra essere un caso che i meriti «giudiziari» del già ri-cordato sacerdote stratoniceo di Panamara Leon figurino riferiti a un perso-naggio che si era impegnato per far confermare lo stato di asylia per «Zeus ei Panamareis»50.

Alla luce della definizione dei caratteri dell’asylia ellenistica come sopraindicati viene anche meno il fondamento per l’idea corrente che i Romaninon avessero «compreso in che cosa consistesse quel privilegio» e non viavessero visto altro che «un mezzo per accogliere i criminali»51. La consape-volezza del significato, delle articolazioni giuridiche e delle potenzialità intermini di organizzazione degli spazi dei diversi istituti da parte dei rappre-sentanti dell’autorità romana che li hanno ripresi e praticati appare al con-trario evidente dai documenti ufficiali di riconoscimento. Basti qui ricordarela krisis del 193 a.C. con cui il pretore M. Valerio Messalla, i tribuni e il se-nato riconoscevano a città e chora di Teo lo statuto di hiera, asylos e aphoro-logetos «da parte del popolo romano», non a caso inserita da Ma nella dia-

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52 MA, Antiochos cit., pp. 356-358, nr. 38, ll. 19-21. A prescindere dalle difficoltà di ordine storicoal riguardo (cfr. ibid., pp. 101, 265, 358: Teo era allora sotto controllo seleucidico), resta il fatto dellaripresa della articolazione dei titoli, quale era stata presentata nei dettagli dal rappresentante del re edella polis (ll. 4-8).

53 Vd. a quest’ultimo riguardo già RIGSBY, Asylia cit., p. 17: «…it is common to treat asylia as ametaphor or charade for some others situation: fiscal autonomy, legal autonomy … There are circum-stancial approaches, none of them universally applicable to the attested recipients. And kings are per-fectly capable of granting autonomy, tax freedom etc., under their proper names». Sulla distinzione fragli statuti indicati, piuttosto che sul loro (parziale) sovrapporsi, vd. MA, Antiochos cit., pp. 172-173. A«side-effects … closely associated with the title and presumably the reason why the Greeks were sokeen on their asylia and tried to present and extend the right by all means» pensa DIGNAS, Economy,p. 292. Si interroga sul rapporto fra stato di asylia delle città anatoliche e concessione romana dellalibertà dopo Apamea MASTROCINQUE, Città sacre e ‘asylia’ alla fine della guerra tra Roma e Antioco III,in SORDI, Santuari cit., pp. 143-163 (senza distinzione tecnica tra i diversi istituti di cui qui si tratta),ripreso da J.-L. FERRARY, Rome et les cités grecques d’Asie Mineure au IIe siècle, in BRESSON - DESCAT,Cités cit., p. 95 (col 188, «…quelques faveurs exceptionnelles pouvant être accordées à des cités quipossédaient des sanctuaires prestigieux, jouissant d’un privilège d’asylie internationalement reconnu»).Per la associazione asylia riconosciuta da un re - privilegio fiscale vd. ad esempio A. BRESSON, Dédicacedes Xanthiens à Antiochos III, in ID. - DESCAT, Cités cit., pp. 228-229 (vd. anche nt. 42).

54 In questa prospettiva si inserisce anche la vicenda della propaganda effettuata da Leon di Stra-tonicea nella regione caria per la conferma delle pregresse dichiarazioni di asylia per il santuario delloZeus di Panamara di cui era sacerdote e per i Panamareis (dunque più documenti di asylia: I. Strato-nikeia 7, ll. 3-6, con l’interpretazione di MA, Antiochos cit., p. 261), in un contesto in cui la polis nonfigura che indirettamente (per un modello «flessibile» di interpretazione dei rapporti tra Stratonicea e icentri religiosi indigeni preesistenti nel contesto della storia generale dell’area e del controllo «eminen-te» di Filippo V e di Rodi, vd. VAN BREMEN, Leon cit., passim). Per un’estensione dell’area asylos perti-nente ad un santuario indipendentemente dai suoi possedimenti offre un riscontro naturalmente Efeso:Artemide, che possedeva estesi territori nella valle del Caistro (vd. supra, ENGELMANN, art. cit.), avevaun’area asylos ben più ristretta (vd. supra, nt. 32, con I. Ephesos 1520, un cippo di confine del temenosasylon del II sec. a.C.).

lettica sul controllo degli spazi imperiali a dimostrazione dell’»intrusione»romana in quelli seleucidici52.

Come appare evidente, la condizione dell’asylia costituiva una categoriadiversa rispetto agli altri statuti via via detenuti per riconoscimento, come levarie forme di esonero dal controllo centrale significate da ateleia, aphorolo-gesia e, per le poleis, autonomia ed eleutheria. Per la sua natura di diritto ri-conosciuto all’esonero da interventi esterni su persone e beni essa finiva colcostituire una pre-condizione e un elemento giustificatore di ulteriori inizia-tive di concessione assunte dalle diverse entità con titolo (concreto o pre-sunto) di effettuarle53. Di diverso e di speciale essa aveva appunto la relazio-ne con un ambito, quello connesso con luoghi di culto, più facilmente di al-tri riconoscibile come «immune» da intervento esterno, la possibilità di defi-nizione fisica dell’area di applicazione indipendentemente dai limiti dell’a-rea di gestione economica del santuario stesso e di quelli amministrativi del-la città o comunità «ospite» del culto54. Questi aspetti erano l’elemento cosìconnotante dal punto di vista giuridico che, quando si voleva estendere

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55 Vd. in questo senso ad esempio A. MASTROCINQUE, Manipolazione della storia in età ellenistica: iSeleucidi e Roma, Roma 1983, p. 88, e DERLIEN, Asylia cit., pp. 124-125, 136; per una posizione più arti-colata vd. TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., p. 230 con nt. 581. A differenza di BRESSON, Dédicace cit., p. 238ss. non ritengo che la kathierosis di un’area ne comportasse eo ipso l’asylia (a sua volta identificabile nelprivilegio fiscale che finiva per lo più con l’esserne la conseguenza; vd. supra, nt. 53). La vicenda di Xan-to e di Antioco III, che dopo il 197 la aphierosen alla triade divina del Letoon, a motivo della propria«parentela» con essa (TAM II, 266), è di grande significato per la definizione dei rapporti del sovranocon la città e il centro di culto simbolo dell’identità licia, ma in termini non semplicemente di ordineeconomico-fiscale (che sinora non sono esplicitati): vd. anche le considerazioni a riguardo di MA, Antio-chos cit., p. 379 («The case of Amyzon [con epistates seleucide dell’Artemision locale dichiarato asylon]shows that asylia does not necessarily entail independence») e, per l’idea che i «material benefits» (ovve-ro esenzioni fiscali, assegnazioni finanziarie, «libertà», «autonomia») fossero «simultaneous with, orsubsequent to but probably dependent on, grants of asylia», vd. MEYER, Recensione cit., p. 462.

56 Vd. HERRMANN, Rom und die Asylie griechischer Heiligtümer: Eine Urkunde des Dictator Caesaraus Sardeis, “Chiron” 19 (1989), pp. 137-156 (AE 1989, 684; SEG XXXIX (1989), 1290); RIGSBY, Asy-lia cit., pp. 433-437, nr. 214 (con integrazione alle ll. 46-50); DIGNAS, Economy cit., pp. 296-298 (296:«In many ways unparalleled»); N. EHRHARDT, Strategien römischer Publicani gegenüber griechischenStädten in der Zeit des Republik, in ID. - L.-M. GÜNTHER (Edd.), Widerstand - Anpassung - Integration:die griechische Staatenwelt und Rom: Festschrift für Jorgen Deininger zum 65. Geburtstag, Stuttgart2002, pp. 146-147 (allo studioso si deve il rilievo del rapporto diretto fra contenzioso suscitato dai pu-blicani e mutamento di status di aree determinate originariamente comprese nella lex locationis, sia ci-viche sia pertinenti a santuari; la mancata conoscenza del contributo ha condizionato le conclusioni diDIGNAS, Sacred revenues cit., pp. 207-224: il comportamento di Roma nei confronti dei centri religiosiin età repubblicana non si riduceva ad una alternanza desultoria, «on the part of Roman generals, sol-

l’asylia ad un territorio non intrinsecamente hieros bisognava appunto ren-derlo tale mediante un’operazione preliminare, la kathierosis, a sua volta ul-teriore elemento della catena dei riconoscimenti, il primo, una sorta di «gra-do zero», che per questo andava menzionato nelle dichiarazioni55.

In questa prospettiva, il nesso fra centro religioso di tradizione e centrocivile amministrativo vicino finiva per diventare nella dinamica generale disistemazione e organizzazione degli spazi una componente precisamente de-finita e regolabile sulla base dei principî giuridici generali riconosciuti (e ri-conoscibili) anche trasversalmente, nella transizione da un sistema di con-trollo all’altro. Il passaggio all’amministrazione romana non comportava unmutamento significativo in quei principî e nella loro applicazione. Ne èesempio precisamente la situazione di Sardi («sacra agli dei» ma anche, allo-ra, sede di conventus) quale emerge, nonostante le lacune, dal noto dossiercomposto sul deltographema con cui Cesare il 4 marzo 44 a.C. dietro richie-sta della città regolamentava l’asylia e verisimilmente una gamma di titoligiuridici per una serie di santuari urbani ed extraurbani, ancora una volta aquanto sembra interessati dalle pretese fiscali dei publicani e in una situazio-ne generale che prevedeva una «liberazione» dai fasci e un qualche provve-dimento riguardante promagistrati (ll. 67-69: rabdôn êleutherôsen … antar-chontas), un episodio ritenuto senza confronti per il numero e il tipo di con-cessioni56. Diversi luoghi di antica tradizione religiosa e già di status diffe-

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128 Laura Boffo

diers, and the publicani», fra «greed and lack of piety» e «gifts and offering», p. 208 [in Economy cit.,p. 295, giustamente la studiosa rilevava il ruolo avuto nelle violazioni da parte dei publicani dall’«igno-rance as to the status of land»]; al riguardo dell’amministrazione fiscale romana delle province anatoli-che vd. anche CAMPANILE, Provincialis molestia. Note su Cicerone proconsole, in “Studi Ellenistici”XIII (2001), pp. 260-263); vd. anche DERLIEN, Asyl cit., pp. 141-142. Per la città come hiera tôn theônvd. L. ROBERT, Hellenica I (1940), pp. 56-59.

57 Per la definizione del modello dell’asylia sullo status dell’Artemision efesino, vd. ll. 46-47: asy-lon einai tautô dikaiô ô kai to tês Ephesias Artemidos estin. Per il riconoscimento epi tois autois dikaioishoi[s - - -] cfr. l. 61. Con più di una contraddizione e qualche incertezza, DIGNAS (Economy cit., p. 297)sembra orientata a ritenere che fossero interessati dalla dichiarazione di asylia tutti i luoghi di culto no-minati. Scettico era invece RIGSBY (Asylia cit., p. 436), che proponeva, con cautela forse eccessiva, l’in-terpretazione accettata nel testo; vd. anche DERLIEN, Asyl cit., p. 142; per la categoria di phyximos /phygimon / phyktimon, riservata in particolare alla protezione giuridica degli schiavi fuggitivi e la suaconnotazione specifica rispetto a quella dell’asylia e della hikesia vd. ID., ibid., pp. 136-137 («zuflucht-bar») e 142-143, oltre che HERRMANN, Rom cit., pp. 146-147 (nella conclusione che la relazione reci-proca «nicht recht deutlich wird»); vd. anche GAUTHIER, Symbola cit., pp. 228-229 e, sui connotatidella hikesia, TRAULSEN, Sakrale Asyl cit., pp. 131-173.

58 Per una corretta valutazione del significato giuridico dell’asylia in rapporto ai tempi e ai modidella transizione politico-istituzionale dal regime ellenistico (seleucidico) a quello romano si vedano leconsiderazioni di M.H. SAYAR a proposito di Mopsuestia di Cilicia in ID. - P. SIEWERT - H. TRAUBER,Asylie-Erklärungen des Sulla und des Lucullus für das Isis- und Sarapisheiligtum von Mopsuhestia (Ostki-likien), “Tyche” 9 (1994), pp. 126-130.

59 Rom cit., p. 148; la proposta, avanzata con grande cautela a motivo dello stato del testo e del ri-ferimento geografico nella linea seguente ad un santuario sul monte Tmolo, dal lato opposto della cho-ra di Sardi, si richiamava all’unico documento allora noto al riguardo, il documento relativo all’epi tônhierôn prosodôn ricordato sopra, ancora datato al 26/5 a.C. La nuova datazione al II sec. a.C. meglioconcorderebbe con l’interpretazione del documento cesariano come conferma di statuti preesistenti.

renziati all’interno del territorio della polis – la Sardiane – per i meriti del-l’intera comunità nei confronti di Roma si vedevano confermata o l’asylia(forse solo l’Artemision, sul modello dell’omologo efesino), o uno degli sta-tuti di rispetto e di esonero variamente previsti dalla normativa applicatanell’Anatolia ellenistico-romana, nel richiamo cesariano i dikaia applicabiliai diversi santuari (ad esempio, per il naos di Atena Niceforo la condizionedi phyximos)57. Al di là delle molte incertezze determinate dalla lacunositàdel contenuto un dato emerge con relativa evidenza: la consistenza e l’effica-cia giuridica degli statuti via via attribuiti, la loro pluralità, gradualità, relati-vità nell’ambito di sistemi politici complessi e variamente integrati58. L’inter-locuzione che essi rappresentavano andava ben oltre la tripolarità di Dignase la distinzione fra regimi e organizzazioni statuali.

Non sorprende allora di ritrovare tra le divinità della Sardiane contempla-te dal provvedimento un Apollo che a Peter Herrmann evocava da subito iltenace dio di Kadoas a Pleura59.

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* È un piacere poter qui ringraziare gli organizzatori del Convegno e quanti sono intervenuti consuggerimenti e rilievi a questa relazione, tra i quali in particolare il prof. Paolo Desideri.

1 OGIS, nr. 437, IA: lettera alla bulé e al demos di Sardi e II B: lettera alla bulé e al demos di Efe-so; cfr. R.K. SHERK, Roman Documents from the Greek East. Senatus consulta and Epistulae of the Ageof Augustus, Baltimore 1969, nr. 47; vedi però K.J. RIGSBY, Provincia Asia, “TAPhA” 118 (1998), pp.123-153, part. 141-149. Ancora utile J. DEININGER, Die Provinziallandtage der römischen Kaiserzeit vonAugustus bis zum Ende des dritten Jahrhunderts n.Chr., München 1965, part. 15; A.N. SHERWIN-WHITE,Roman Foreign Policy in the East. 168 B.C. to A.D. 1, London 1984, part. 236-238; importante J.-L.FERRARY, Rome et la géographie de l’hellénisme: réflexions sur “hellènes” et “panhellènes” dans les in-scriptions d’époque romaine, in O. SALOMIES (ed.), The Greek East in the Roman Context. Proceedingsof a Colloquium organised by the Finnish Institute at Athens May 21 and 22, 1999, Helsinki 2001, pp.19-35. Sulla datazione della propretura d’Asia di Scevola vd. ora J.-L. FERRARY, Les gouverneurs desprovinces romaines d’Asie Mineure (Asie et Cilicie), depuis l’organisation de la province d’Asie jusqu’à lapremière guerre de Mithridate (126-88 a.C.), “Chiron” 30 (2000), pp. 161-193. Per la correttezza delleintegrazioni vd. qui nota 3.

2 OGIS, nr. 439.

L’ASSEMBLEA PROVINCIALE D’ASIA IN ETÀ REPUBBLICANA*

DOMITILLA CAMPANILE

Le testimonianze pertinenti al koinón d’Asia databili all’epoca repubbli-cana non sono molto numerose e appartengono a una classe di documentipiuttosto omogenea. Una tale situazione, se non interdice lo studio, costrin-ge tuttavia a un notevole sforzo di induzione e a un forte impegno ricostrut-tivo nel proporre una sintesi; con la consapevolezza dunque del carattereprovvisorio dei risultati, tenterò qui di utilizzare questi documenti per rico-struire le prime fasi dell’istituzione rappresentativa dei Greci d’Asia, deno-minata dai moderni “assemblea provinciale”.

Fra i testi più antichi consideriamo ora due epistole di Quinto MucioScevola, propretore d’Asia nel 99, 98 o 97 a.C. In queste lettere, indirizzatealle città di Sardi ed Efeso, viene menzionata l’istituzione di giochi pentete-rici da parte di [tîn œn tÁ]i fil∂ai kriq◊[ntwn] dˇmwn te kaπ œ[qnîn yhfi-sam◊]nwn tiq◊nai qum[e]likou\ j k[aπ] [gumnikou\ j ¢gî]naj pentaethri[kou\ j]1.A Olimpia lo stesso Scevola viene onorato con una statua da parte di [O≤ œntÁi 'As∂ai dÁmoi kaπ ta\ ⁄qnh kaπ o≤ kat' ¥ndra kekrim◊noi œn tÁi prÕj`R]wma∂o[uj] fil∂ai kaπ [tîn ¥llwn `Ellˇnwn o≥ met◊cei]n ŒlÒmenoi tÁj[¢g]om◊n[hj pentaethr∂doj tîn Sw]thr∂wn kaπ Moukie∂wn2. Più o meno inquesto periodo, tra il governatorato di Scevola e la prima guerra mitridatica,

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3 F.-M. KAUFMANN - J. STAUBER, Poimanenon bei Eski Manyas? Zeugnisse und Lokalisierung einerkaum bekannten Stadt, in Studien zum antiken Kleinasien II, Bonn 1992, pp. 43-85, nr. 1, part. 58-60;DEININGER, Die Provinziallandtage..., p. 15; FERRARY, Rome..., p. 26. Questa iscrizione ha permesso diintegrare correttamente OGIS, nr. 437 e OGIS, nr. 439 nelle parti relative alla menzione dei dedicanti.

4 Discussione e bibliografia in M.D. CAMPANILE, I Sacerdoti del koinòn d’Asia (I sec. a.C.-III sec.d.C.). Contributo allo studio della romanizzazione delle élites provinciali nell’Oriente greco, Pisa 1994,p. 14.

5 TH. DREW-BEAR, Deux décrets hellénistiques d’Asie Mineure, “BCH” 96 (1972), pp. 435-471,part. 443-471; J. REYNOLDS, Aphrodisias and Rome, London 1982, nr. 5, pp. 26-32. In lingua italiana ilnome della città caria sarebbe forse da indicare più giustamente come Afrodisiade.

lo stesso consesso dedica una statua in onore di Erostrato figlio di Dorcalio-ne, verosimilmente un cittadino di Poimanenon3. Questo documento è assaiinteressante: l’assemblea si definisce nelle prime linee come O≤ œn tÁi 'As∂aidÁmoi kaπ ta\ ⁄qnh kaπ o≤ kat' ¥ndra kekrim◊noi œn tÁi prÕj `Rwma∂oujfil∂ai kaπ tîn ¥llwn o≤ e≥rhm◊noi met◊cein tîn Swthr∂wn kaπ Moukie∂wn,ma nella motivazione degli onori a Erostrato si ricordano le benemerenze diquest’ultimo nei confronti degli affari comuni del sinedrio: to√j koino√j toàsunedr∂ou pr£gmasin (ll. 11-12). Possiamo allora escludere, credo, che inquesto momento, ovvero in un’epoca anteriore alla prima guerra mitridati-ca, l’assemblea d’Asia fosse già denominata koinÒn, mentre è possibile con-statare l’uso del termine sun◊drion.

La presenza del vocabolo koinÒn in documenti cronologicamente succes-sivi aveva invece ispirato una serie di conclusioni solo apparentemente cor-rette. La questione dell’uso e dell’alternanza delle due espressioni di autode-finizione dell’assemblea provinciale d’Asia – espressioni che potremmochiamare l’una (quella del tipo o≤ œn tÁi 'As∂ai dÁmoi kaπ ta\ ⁄qnh) a formaanalitica ed estesa con l’indicazione delle sue parti costitutive, l’altra sinteti-ca – aveva infatti indotto alcuni studiosi a valorizzare le attestazioni nelladocumentazione epigrafica della forma estesa per le testimonianze relative aiprimi anni del I secolo a.C. e a ritenere che proprio queste indicazione di o≤œn tÁi 'As∂ai dÁmoi kaπ ta\ ⁄qnh qualificassero un organismo non ancora deltutto organizzato e non strutturato stabilmente. Così, si concludeva, non sisarebbe autorizzati a considerare questa realtà come una vera e propria as-semblea provinciale ma solo come una sua anticipazione embrionale; l’evo-luzione in koinón e una sua forma compiutamente strutturata daterebberosolo agli anni trenta del I secolo a.C.4

Il problema in sé era correttamente impostato, ma un nuovo documentoproveniente da Afrodisia di Caria ha chiarito questo e altri punti. Nel decre-to di Afrodisia i presidenti ed il segretario (prÒedroi kaπ gramateÚj) del koi-nón onorano due fratelli, Dionisio e Ierocle, figli di Giasone figlio di Scim-no, di Afrodisia5; in uno dei momenti di massima difficoltà della provinciaoppressa dai pubblicani Dionisio e Ierocle sono stati scelti e inviati dal

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L’assemblea provinciale d’Asia in età repubblicana 131

6 DREW-BEAR, Deux décrets..., pp. 465-466.7 DREW-BEAR, Deux décrets..., pp. 469-471; J. e L. ROBERT, Bull. Épigr. 1973, nr. 398; SHERWIN-

WHITE, Roman..., p. 249; da ultimo vd. FERRARY, Rome..., p. 26.

koinón a Roma perché intervenissero presso il senato e i magistrati su questagrave questione. Dionisio e Ierocle sono ritornati in Asia dopo aver svoltocon successo la missione e il koinón ha decretato che fossero ufficialmenteencomiati, fossero incoronati con una corona d’oro e nel luogo da essi pre-scelto fossero elevate statue in bronzo con l’iscrizione o≤ œn tÍ 'As∂v dÁmoikaπ ta\ ⁄qnh œt∂mhsan DionÚsion kaπ `IeroklÁn [tou\ j 'I£sono]j toà SkÚmnoukatorqwsam◊nouj ta\ m◊<g>ista ¢retÁj [[enek]] Ÿneken.

Il decreto è prodotto dal koinón, che compare come tale (koinÕn tîn`Ellˇnwn / koinÕn tîn œpπ tÁj 'As∂aj `Ellˇnwn) ben quattro volte (ll. 4, 21,22, 24), mentre il testo da incidere sulle basi delle statue onorifiche di Dio-nisio e Ierocle avrebbe dovuto recare la menzione di o≤ œn tÍ 'As∂v dÁmoikaπ ta\ ⁄qnh. Se – al contrario di quanto avvenuto – possedessimo non il te-sto integrale del decreto ma solo l’iscrizione su una statua di Dionisio e Iero-cle, saremmo stati autorizzati a credere che i fatti si fossero svolti in un’epo-ca anteriore all’esistenza di un koinón già strutturato, anteriore anche allastessa definizione di koinÒn per l’assemblea provinciale d’Asia6.

In effetti le nostre conclusioni devono essere differenti; la presentazionein forma estesa ed analitica o sintetica è determinata solamente dal contesto:nelle iscrizioni onorifiche prodotte dall’assemblea provinciale d’Asia questasi autodefinisce attraverso l’enumerazione dei suoi elementi costitutivi, men-tre nei decreti ufficiali si denomina come koinÕn tîn `Ellˇnwn / koinÕn tînœpπ tÁj 'As∂aj `Ellˇnwn. Questo decreto, che offre un notevole squarciosulla situazione della provincia stremata dalle misure punitive imposte daSilla dopo la fine della guerra mitridatica e dall’intollerabile pressione fisca-le, deve essere datato, inoltre, tra gli anni 80 ed il 71 a.C. circa7.

A questo punto occorre aggiungere alcuni passaggi. Come ricordato so-pra, possiamo escludere che in epoca anteriore alla prima guerra mitridati-ca l’assemblea provinciale – pur già ben strutturata come appena conclusosopra – fosse denominata koinÒn. La sua denominazione, generica o specifi-ca che fosse, era infatti sun◊drion. Il decreto di Afrodisia mostra invece co-me tra gli anni 80 ed il 71 a.C. l’assemblea provinciale d’Asia avesse assun-to il nome – che sarà poi quello definitivo – di koinÕn tîn `Ellˇnwn /koinÕn tîn œpπ tÁj 'As∂aj `Ellˇnwn. È dunque proprio in questi anni chepossiamo notare un mutamento di denominazione, quale che ne sia stata lacausa precisa, ma il suggerimento di avvertire in questa modifica una “sug-gestion provinciale ratifiée par les autorités romaines” mi sembra di indub-bio valore e ben condivisibile, così come la proposta di attribuire a Lucullo

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8 FERRARY, Rome..., p. 29. Utile ID., Le création de la province d’Asie et la présence italienne enAsie Mineure, in C. MÜLLER - C. HASENHOR (eds.), Les Italiens dans le monde grec IIe siècle av. J.-C. - Ier

siècle ap. J.-C. Circulation, activités, integration, Paris 2002, pp. 133-146.9 App., Mithr., 253-260 (62), con il commento di P. GOUKOWSKY: Appien, Histoire romaine. To-

me VII. Livre XII. La guerre de Mithridate, Paris 2001, si veda anche la “Notice”, alle pp. vii-clxxxiv;Granio Liciniano (35, 82 Criniti). Su ciò vd. da ultimo D. CAMPANILE, L’infanzia della provincia d’Asia:l’origine dei conventus iuridici nella provincia, in C. BEARZOT - F. LANDUCCI - G. ZECCHINI (a cura di),Gli stati territoriali nel mondo antico, Contributi di Storia Antica. 1, Milano 2003, pp. 271-288. Su al-cune città che nella prima guerra mitridatica si erano schierate a fianco dei Romani vd. M.D. CAMPANI-LE, Città d’Asia Minore tra Mitridate e Roma, in B. VIRGILIO (a cura di), Studi Ellenistici VIII, Pisa1996, pp. 145-173; per la questione delle cause dell’adesione a Mitridate vd. ora J. THORNTON, MisosRhomaion o phobos Mithridatou? Echi storiografici di un dibattito diplomatico, “MedAnt” 1/1 (1998),pp. 271-309. Importante P. DESIDERI, Posidonio e la guerra mitridatica, “Athenaeum” 51 (1973), pp. 3-29 e 237-269; e ID., Mitridate e Roma, in Storia di Roma, 2.1, Torino 1990, pp. 725-736.

10 Sul culto della dea Roma vd. R. MELLOR, QEA `RWMH. The Worship of the Goddess Roma in theGreek Word, Göttingen 1975; ID., The Goddess Roma, in ANRW, II, 17.2, 1981, pp. 950-1030; C.FAYER, Il culto della Dea Roma, Pescara 1976. Per il culto del senato vd. G. FORNI, Il culto del senato diRoma, in Epigrafia e ordine senatorio, I, Roma 1982, pp. 3-35; A. ERSKINE, Greekness and Uniqueness:the Cult of the Senate in the Greek East, “Phoenix” 51 (1997), pp. 25-37. Sugli onori cultuali ai magi-strati vd. ancora L. ROBERT, Hellenica VI, Paris 1948, p. 38 ss.; G. THÉRIAULT, Rémarques sur le cultedes magistrats romains en Orient, “CEA” 37 (2001), pp. 85-95. Importante DEININGER, Die Provinzial-landtage..., p. 15.

un ruolo di primo piano nella vicenda8. Se è difficile individuare un motivo preciso del mutamento, credo però

lecito collegare una tale esigenza con le vicende di quegli anni burrascosi econ la guerra mitridatica, guerra che attraversò e segnò la provincia d’Asia.È quindi opportuno domandarsi se ed in quale misura l’assemblea provin-ciale abbia preso posizione durante il conflitto, quale spazio sia riuscita aconservarsi durante l’egemonia e il controllo del territorio da parte del repontico, quali benemerenze – o al contrario – quali giustificazioni i suoi rap-presentanti siano stati in grado, infine, di produrre a Efeso di fronte a Silla.Sappiamo, infatti, che nell’inverno dell’85/84 a.C., a conclusione della pri-ma guerra contro Mitridate, appunto a Efeso Silla aveva convocato i mag-giorenti delle città d’Asia per una sorta di resa dei conti9.

Sono consapevole del carattere fortemente ricostruttivo di queste ipotesidata la povertà della documentazione relativa, e pur tuttavia mi pare ragio-nevole stimare che il comportamento dell’assemblea provinciale non dovettesembrare del tutto inaccettabile ai Romani, almeno non così inaccettabile daprovocare lo scioglimento dell’organismo e la condanna dei suoi rappresen-tanti. Che un’istituzione il cui scopo consisteva nel culto della dea Roma edel Senato, nel decretare onori ai provinciali che avessero ben meritato, nelcelebrare i magistrati romani e istituire giochi loro dedicati10 si fosse volta alnemico di Roma senza incontrare resistenze al proprio interno mi sembre-rebbe piuttosto difficile, soprattutto se consideriamo che alcuni alti espo-

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L’assemblea provinciale d’Asia in età repubblicana 133

11 La riorganizzazione sillana divenne per molte città d’Asia il termine di datazione (èra), vd. W.LESCHHORN, Antike Ären. Zeitrechnung, Politik und Geschichte im Schwarzmeerraum und in Kleinasiennördlich des Tauros, Stuttgart 1993, p. 228 ss. Per le riforme fiscali di Silla in Asia vd. D. MAGIE, Ro-man Rule in Asia Minor to the End of the Third Century after Christ, Princeton 1950, pp. 1116-1121;P.A. BRUNT, Sulla and the Asian Publicans, in Roman Imperial Themes, Oxford 19982, pp. 1-8. Per ladivisione sillana dell’Asia in 44 regiones (Cassiod., Chron., 484 a.u.c. 670) vd. anche Cic., pro Flacco,14, 32. Questa discriptio costituiva una divisione, ulteriore e temporanea, dei distretti giudiziari già esi-stenti ed era motivata dalle straordinarie condizioni in cui versava la provincia. Importanti rilievi sullalex data sillana in FERRARY, Rome..., pp. 28-29.

12 Fonti e discussioni in M.D. CAMPANILE, Il mondo greco verso l’integrazione politica nell’impero,in I Greci. Storia, Cultura, Arte, Società. II: Una Storia Greca. 3: Trasformazioni, Torino 1998, pp. 839-856; su Lucullo continuatore di Silla vd. ora FERRARY, Rome..., p. 29. Utile B. VIRGILIO, Gli Attalidi diPergamo. Fama, eredità, memoria, Pisa 1993, p. 71 ss.

13 Ancora da leggere la sua recensione a Magie: E.W. GRAY, Rec. a D. Magie, Roman Rule in AsiaMinor to the End of the Third Century after Christ, Princeton 1950, “JRS” 42 (1952), pp. 121-125, cit.da p. 123.

14 SHERK, Roman..., nr. 52. Le copie dell’epistola provengono da Mileto “in the bouleuterion” e da

nenti dell’assemblea provinciale dovevano aver fruttuosi contatti, se non ve-ri e propri legami, con le massime autorità romane.

Se accettiamo questa ipotesi diventa allora possibile inserire le modifica-zioni dell’assemblea provinciale – modificazioni tra le quali l’introduzione diuna nuova denominazione fu forse una tra le espressioni più appariscenti –all’interno di un quadro coerente. Il processo di riorganizzazione della pro-vincia, iniziato da Silla11, continuò e fu perfezionato da Lucullo, di cui benconosciamo il positivo impegno nei confronti dei provinciali12. Credo che igraduali cambiamenti di cui fu protagonista l’assemblea provinciale debba-no essere inquadrati tra le misure miranti alla riorganizzazione e alla mag-giore funzionalizzazione delle strutture esistenti non ostili a Roma. Guada-gnarsi settori importanti delle élites della provincia, assimilare e valorizzarefenomeni esterni purché riconvertibili al lealismo e al consenso verso il pote-re centrale ha sempre rappresentato un aspetto essenziale della complessapolitica di Roma, e a questo proposito mi sembra suggestivo il richiamo diE.W. Gray, che evoca come l’“open conspiracy” tra Romani e alcuni espo-nenti delle aristocrazie locali trovasse proprio in quest’epoca legami comunie un comune terreno13.

Non credo, però, che i mutamenti si siano limitati alla nuova denomina-zione, penso invece che le modifiche abbiano gradualmente inciso anchesulle funzioni dell’assemblea provinciale e sulla sua struttura gerarchica. Ap-partiene agli anni 51/50 a.C. un documento di estremo interesse a questo ri-guardo. L’iscrizione, troppo frammentaria per consentire una piena com-prensione del contenuto, consiste nell’epistola di un magistrato romano in-dirizzata all’assemblea provinciale d’Asia ed alle nove città della provinciaallora sedi di conventus14. Una serie di elementi inducono a datare l’epistola

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Priene “in the middle room of the North Hall of the agora”. Vd. ora P. HERRMANN (ed.), Inschriftenvon Milet, VI,1. A. Inschriften n. 187-406, Berlin 1997, nr. 3, pp. 155-156.

15 Vd. P. HERRMANN (ed.), Inschriften..., pp. 155-156; R. MERKELBACH, L. Antonius, gladiatorAsiaticus, und der Brief des Q. Minucius Thermus an die Diözesen von Asia, “EA” 25 (1995), pp. 73-76.Diversamente F. CANALI DE ROSSI, Tre epistole di magistrati romani a città d’Asia, “EA” 32 (2000), pp.163-181, part. 164-172, il quale ritiene che l’autore dell’epistola, documento da datare nel 51 a.C. pri-ma della partenza di Cicerone per la Cilicia (pp. 169 e 172), sia da identificare con Pompeo. Su Q. Mi-nucio Thermo vd. ora T. COREY BRENNAN, The Praetorship in the Roman Republic, II, Oxford, 2000,pp. 568-569; J.-L. FERRARY, Les inscriptions du sanctuaire de Claros en l’honneur des Romains, “BCH”124/1 (2000), pp. 331-376, part. 349.

16 SHERK, Roman..., nr. 52, pp. 272-276: linn. 43-53: prÒj te tÕ koinÕn tîn `Ellˇnwn g◊grafa.17 Ho argomentato tutto questo in D. CAMPANILE, I distretti giudiziari d’Asia e la data d’istituzione

del distretto ellespontico, in U. LAFFI - F. PRONTERA - B. VIRGILIO (a cura di), Artissimum memoriae vin-culum. Scritti di geografia storica e di antichità in ricordo di Gioia Conta, Firenze 2004, pp. 129-142.

18 Sui quali vd. ancora L. MORETTI, Koina\ 'As∂aj, in ID., Tra epigrafia e storia. Scritti scelti e anno-tati, Roma 1990, pp. 141-154 (ed. or. 1954) e p. 266. Importante B. BURRELL, Neokoroi: Greek Citiesand Roman Emperors, Leiden 2004; ora J.-Y. STRASSER, Sur une inscription rhodienne pour un héraut sa-cré (Suppl. Epig. Rh. 67), “Klio” 86 (2004), pp. 141-164.

nel 51/50 a.C. e ad attribuirla al governatore d’Asia dell’epoca, Q. MinuciusThermus15. Nel documento è notevole che tra i destinatari della missiva siaindicato in primo luogo il koinón d’Asia, al quale seguono poi le città sededi distretti giudiziari16: siamo in presenza di un sistema di comunicazioneintegrato dal centro della provincia alla periferia, un sistema, inoltre, chenon è un’innovazione del governatore, perché Quinto Minucio Thermo uti-lizza con naturalezza l’assemblea provinciale d’Asia e le città come vettori ediffusori del suo messaggio e dei suoi eventuali ordini (messaggio e ordini anoi quasi ignoti a causa dello stato frammentario del documento) e non giu-stifica una tale procedura, giustificazione che invece fornisce per la scelta discrivere in greco17.

* * *

Nel già ricordato decreto di Afrodisia Dionisio e Ierocle venivano onoratidal koinón d’Asia perché avevano svolto con successo presso il senato roma-no e i magistrati un’importante missione affidata loro dallo stesso koinón,missione relativa al bene comune della provincia. Qui nell’epistola di Quin-to Minucio Thermo il governatore individua il koinón d’Asia come interlo-cutore privilegiato cui rivolgersi su problemi comuni alla provincia: come sipuò notare si tratta di funzioni diverse dall’organizzare giochi e celebrazioniin onore delle autorità romane, ma – ovviamente – non dobbiamo credereche tali compiti siano stati sottratti alle competenze dell’assemblea provin-ciale, anzi, proprio queste attività rappresenteranno una costante nella lungastoria del koinón d’Asia. Il numero delle feste solenni (koina\ 'As∂aj)18 inonore degli imperatori, promosse dall’assemblea provinciale e finanziate dai

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19 Come per i casi della denominazione a forma analitica ed estesa, che ritroviamo ancora nella sta-tua dedicata dal koinón a Giulio Cesare nel 48 a.C. a Efeso, IvEph, nr. 251; vd. FERRARY, Rome..., p. 22.

20 Vd. per esempio, L. ROBERT, Sur des inscriptions d’Ephèse. VI. Lettres impériales à Ephèse,“RPh” 41 (1967), pp. 44-64 (= Opera minora selecta, V, Amsterdam, 1989, pp. 384-404) e C.P. JONES,Imperial Letters at Ephesos, “EA” 33 (2001), pp. 39-44. Possiamo rammentare, per esempio, l’epistoladi Antonino Pio relativa a privilegi, esenzioni e immunità per grammatiko∂, sofista∂, ˛ˇtorej indirizza-ta tù koinù tÁj 'As∂aj: Dig., 27,1,6,2; su ciò importante ora U. LAFFI, L’iscrizione di Efeso in onore diinsegnanti, sofisti, medici (I. Ephesos, 4101), in B. VIRGILIO (a cura di), Studi Ellenistici XIX, Pisa 2006,pp. 453-522.

suoi supremi dignitari, crescerà in modo costante e tali celebrazioni divente-ranno uno dei massimi momenti di aggregazione e di espressione delkoinón.

In effetti, però, se il koinón ha acquisito l’ulteriore funzione di istanza in-termedia tra il governatore della provincia e le città d’Asia sede di distrettogiudiziario, se così appare riconosciuto in un documento ufficiale della finedegli anni 50 a.C., se tale funzione risulta gradita alle città, tutto ciò mi sem-bra una sostanziale valorizzazione delle potenzialità a favore del potere ro-mano dell’assemblea provinciale. L’intuizione di tali potenzialità mi pare,anzi, un’acquisizione notevole e lungimirante, anche perché – conviene anti-ciparlo subito – il koinón cominciò già in questo momento, come mostra be-ne il decreto di Afrodisia, a sviluppare una forma di tutela degli interessi deiprovinciali e di pressione nei confronti delle autorità romane più efficaci diquanto non avrebbero potuto permettersi le singole città. La scelta da partedel governatore di rivolgersi al koinón d’Asia e alle città sede di distrettogiudiziario costituiva già – mi pare utile notarlo – il frutto di una selezioneprecisa mirante alla maggiore semplificazione possibile della comunicazionetra potere romano nella provincia da un lato e tutte le città nella provinciadall’altro.

A mio parere è possibile procedere oltre. Nei documenti prodotti dalkoinón anteriori alla prima guerra mitridatica, come pure nel decreto diAfrodisia, non compare il titolo preciso di colui che presiedeva l’assembleaprovinciale. Se ciò potrebbe – pur con difficoltà – essere giustificabile e sene potrebbe in qualche modo spiegare l’assenza richiamandosi alla tipologiadi alcuni documenti e alle rispettive intestazioni19, resta ancora da compren-dere il motivo per cui nel decreto di Afrodisia compaia al plurale la dizionegenerica di prÒedroi. Sottolineo nei documenti prodotti dal koinón, perchénon rientrano in questa discussione i documenti indirizzati al koinón dalleautorità romane, come la lettera di Quinto Minucio Thermo del 51/50 a.C.o le epistole imperiali, ove il destinatario è identificato semplicemente conl’assemblea provinciale e non con i suoi supremi dignitari20. Se dunque an-cora nel decreto di Afrodisia compare sì un segretario del koinón (grama-

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21 Strab., 14,1,48: soggiorno a Nisa di Caria per frequentare le lezioni di Aristodemo.22 Strab., 14,1,42. Su Pitodoro e la sua famiglia vd. da ultimo D. CAMPANILE, Cheremone, Pitodo-

ro, Pitodoride, in Scritti in onore di Mario Mazza, cds.

teÚj) e non un presidente ma più prÒedroi, si deve considerare la possibilitàche sino a quell’epoca l’assemblea provinciale non prevedesse una figuraunica al suo vertice.

Desidererei suggerire invece che per quanto riguarda l’assemblea provin-ciale d’Asia, anche la struttura gerarchica a noi nota da una documentazionericchissima per l’età imperiale possa essere il frutto di uno sviluppo degli an-ni successivi alla prima guerra mitridatica e non costituire un elemento ori-ginario dell’organismo. Che le autorità romane e i membri più autorevoli delkoinón d’Asia abbiano convenuto anche sull’utilità per l’assemblea di sce-gliere un magistrato supremo unico mi pare ipotesi ragionevole, soprattuttose riflettiamo sull’accrescimento dei compiti dell’assemblea stessa e sul nuo-vo ruolo di mediazione da questa assunto tra città e governatore della pro-vincia e quindi sull’importanza politica della medesima.

La struttura così funzionalizzata – eviterei di proposito di impiegare l’e-spressione “riformata” perché le maggiori attività e competenze arricchisco-no e valorizzano questo organismo senza modificarne le funzioni originali –doveva dotarsi di una carica unica per favorire in modo coerente, incisivo esoprattutto utile per la provincia e affidabile per il potere romano le nuoveiniziative ed è da un’epoca successiva agli anni 80-70 a.C. che incontriamo leprime attestazioni della dignità di asiarca, la massima autorità del koinónd’Asia. Così come le accresciute competenze e le aumentate possibilità diiniziativa, anche la figura dell’asiarca del koinón d’Asia fu probabilmentel’esito di contatti e di accordi tra alti esponenti della struttura e il governoromano.

Le notizie che possediamo sui personaggi che ricoprirono la carica diasiarca in quest’epoca sono piuttosto interessanti e, per un caso singolar-mente fortunato, siamo in grado di apprezzare a pieno il loro valore. La no-stra fonte, Strabone, ci informa di aver abitato a Nisa quando seguiva le le-zioni di grammatica e di retorica del suo maestro Aristodemo; è quindi pos-sibile che Strabone stesso, giovanissimo, abbia conosciuto personalmentePitodoro21; in ogni caso il Geografo descrivendo la città di Tralle ricordache22 “è ben popolata quant’altre mai città d’Asia da uomini facoltosi e divolta in volta alcuni dei suoi abitanti tengono i primi posti nella provincia esono chiamati asiarchi. Pitodoro era uno di questi, originario di Nisa ma sitrasferì qua a causa della rinomanza (della città) e si distinse con pochi nel-l’amicizia con Pompeo. Era venuto in possesso di possedimenti regi superio-ri a duemila talenti che, venduti dal divo Cesare a motivo della sua amicizia

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23 Su ciò vd. CAMPANILE, Cheremone...24 SIG3, nr. 741, II, anche in SHERK, Roman..., nr. 48.25 M.D. CAMPANILE, Un nuovo asiarca da Milasa, “ZPE” 119 (1997), pp. 243-244.26 CH. HABICHT, Zur Personenkunde des griechisch-römischen Altertums, “BASP“ 21 (1984), pp.

69-75.

con Pompeo, poté riscattare e lasciare invariati ai figli. Sua figlia è Pitodori-de attuale regina del Ponto, della quale abbiamo già trattato”.

Asiarca, ricchissimo proprietario terriero, amico di Pompeo, questi gli ele-menti che caratterizzano Pitodoro. La rovina di Pompeo determinò anchequella – temporanea – di Pitodoro: l’amicizia con Pompeo costò infatti a Pi-todoro la confisca e messa all’asta delle sue proprietà da parte di Giulio Ce-sare, ma Strabone ci rassicura che la perdita non fu definitiva; Pitodoro riu-scì a riscattare i suoi beni e a lasciarli “non inferiori”, quindi forse addirittu-ra ancora accresciuti, ai figli. I “possedimenti regi” – oÙs∂a basilikˇ – di Pi-todoro dovevano poi consistere di terre o di un altro tipo di proprietà regia ele sostanze familiari, già considerevoli, avevano raggiunto dunque un livellostraordinario. È possibile che almeno una parte delle proprietà che Pitodoroaveva ricevuto da Pompeo fosse collocata nelle zone riorganizzate recente-mente dal Romano, come è possibile che una parte potesse derivare da con-fische effettuate dallo stesso Pompeo a un regolo o dinasta locale23. Pitodoroera però anche il nipote di Cheremone di Nisa, forte sostenitore della parteromana, il quale in un momento di estrema difficoltà durante la prima guer-ra mitridatica aveva fornito all’esercito del governatore Gaio Cassio vettova-glie essenziali provenienti da sue terre o acquistate per l’occorrenza24.

Passiamo al secondo personaggio. Poco dopo la caratterizzazione di Pito-doro, nella descrizione di Milasa Strabone rievoca le vicende di Eutidemo:le grandi ricchezze e la fama, ereditate dagli antenati, unite alla capacità ora-toria lo avevano reso grande non solo in patria ma lo avevano fatto stimaredegno nella provincia d’Asia tÁj prèthj timÁj. Il confronto con l’analogaespressione utilizzata poco prima da Strabone per Pitodoro permette di ca-pire che la prèth timˇ sia da intendere proprio come la dignità del-l’asiarchia25. Eutidemo di Milasa diventerebbe dunque il secondo asiarcanoto per il I secolo a.C., insieme, appunto, a Pitodoro; i due rappre-senterebbero per ora gli unici presidenti del koinón d’Asia noti per l’età re-pubblicana. Eutidemo fu attivo intorno alla metà del I secolo a.C., e con lui,come ha mostrato Habicht26, nel 51 a.C. si incontrò Cicerone a Efeso (Cic.,ad Fam., 13,56); è quindi possibile che fosse più o meno coetaneo di Pitodo-ro di Tralle, ma resta difficile stabilire una eventuale priorità nell’eserciziodell’asiarchia. I due personaggi, entrambi provenienti da illustri casate e for-niti di grandi patrimoni, potevano onorevolmente ricoprire tale funzione.

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27 App., Mithr., 253-260 (62), discorso di Silla, cfr. qui nota 9. Cic., pro Flacco, 24 (58) e 25 (61),pur con i limiti di costituire l’orazione in difesa dell’ex governatore d’Asia, è utile per valutare quantogli ascoltatori potevano condividere ed erano disposti ad accettare.

28 Cass. Dio, 51,20,6-7; cfr. Tac., Ann., 4,37; rilevante anche Nicola Damasceno, FGrHist 90 F 125§ 1. Il passo di Dione è fondamentale per cogliere l’origine del culto imperiale nella provincia d’Asia,ma non sono del tutto certa della veridicità delle affermazioni di Cassio Dione sulla contemporaneitàdell’origine del culto imperiale in Asia e in Bitinia e sulle forti analogie genetiche; ho qualche dubbiosulla completa attendibilità dello storico bitinico su questi elementi. Disponiamo di cospicue attesta-

Ricchezza, fama, cultura, capacità oratorie sembrano essere requisiti dichi ambisse alla carica di asiarca, ma è chiaro soprattutto, valutando gli sco-pi e le nuove ragioni dell’esistenza stessa dell’assemblea provinciale, che re-quisito primo doveva essere la fedeltà verso i nuovi signori – meglio se di-mostrabile da generazioni – e relazioni con le più alte autorità romane; comeabbiamo già notato, tutto ciò non faceva difetto a Pitodoro e a Eutidemo.

Una figura unica che fosse il responsabile degli atti del koinón e allo stes-so tempo un interlocutore sicuro poteva guidare meglio la nuova struttura;dobbiamo a questo punto ricordare ancora come, alla fine della prima guer-ra mitridatica, il comportamento di molte tra le città della provincia d’Asiache, insofferenti nei confronti degli abusi e della rapacità dei Romani, eranopassate dalla parte del re pontico, fosse stato percepito dai Romani come untradimento. Secondo la ricostruzione del vincitore Silla, anzi, proprio i nota-bili delle città d’Asia, approfittando dell’impegno dei Romani nella guerrasociale, avevano chiamato Mitridate, avevano collaborato con lui, e si eranoresi colpevoli della morte di Romani e Italici. Il sentimento di essere statitraditi dagli strati superiori delle popolazioni delle città asiatiche, qui forte,è apprezzabile anche in altri testi27. Mi sembra a questo punto piuttostocomprensibile la necessità che l’organismo rappresentativo delle comunitàdei Greci d’Asia fosse presieduto da un individuo preciso che fosse in uncerto senso garante della fedeltà e del lealismo del koinón della provinciad’Asia nei confronti del potere romano e proprio il nuovo ruolo arricchitodelle competenze che abbiamo considerato richiedeva una simile figura.

Non fu però questo l’ultimo mutamento vissuto dal koinón d’Asia nel suoprimo secolo di vita, anzi l’assemblea attraversò nel 29 a.C. una fase decisivae, anticipiamolo subito, dall’esito straordinariamente fausto. Il culto del vi-vente princeps nel mondo provinciale romano nacque appunto nella provin-cia d’Asia proprio allora. Nel 29 a.C. Ottaviano, a fronte di richieste di am-basciatori del koinón d’Asia e di Bitinia, permise ai Romani residenti in Asiae in Bitinia di erigere un tempio dedicato a Roma e a Giulio Cesare, rispetti-vamente nelle città di Efeso e di Nicea. Ai peregrini, ovvero ai Greci d’Asia edi Bitinia, Ottaviano concesse invece di innalzare un tempio dedicato a sé ealla dea Roma nelle città di Pergamo e Nicomedia28.

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zioni che confermano quanto scrive per l’Asia Cassio Dione, mentre non possediamo ancora per laBitinia elementi contemporanei alle vicende che attestino invece indipendentemente da Cassio Dioneuna genesi altrettanto antica del culto imperiale. Si potrebbe sospettare da parte dello storico bitinicol’uso di fonti e tradizioni locali della Bitinia, naturalmente interessate a collocare nel periodo più altopossibile l’origine del culto imperiale nella regione. Si veda però, su questo luogo di Cassio Dione,C. LETTA, Documenti d’archivio e iscrizioni nell’opera di Cassio Dione: un sondaggio sulla narrazionefino ad Augusto, in A.M. BIRASCHI - P. DESIDERI - S. RODA - G. ZECCHINI (a cura di), L’uso dei docu-menti nella storiografia antica, Napoli 2003, pp. 595-622, part. 604-605.

29 Un parallelo può essere individuato nella procedura che ebbe come esito l’emanazione deidecreti prodotti in seguito alla proposta del proconsole d’Asia Paullo Fabio Massimo di far iniziarel’anno civile della provincia nel giorno anniversario del genetliaco dell’imperatore Augusto (23 settem-bre). Vd. U. LAFFI, Le iscrizioni relative all’introduzione nel 9 a.C. del nuovo calendario della provinciad’Asia, “SCO” 16 (1967), pp. 5-98.

30 È infatti concedere il verbo utilizzato da Cassio Dione, œpitr◊pein. Discussione e bibliografia inD. CAMPANILE, Ancora sul culto imperiale in Asia, in Atti del convegno internazionale di studi La provin-cia romana di Asia: istituzioni e politica, Acerenza-Matera, 27-29 settembre 2001, “MedAnt” 4/2 (2001),pp. 473-488. Importante C.P. JONES, The Panhellenion, “Chiron” 26 (1996), 29-56, part. 30 e S. MIT-CHELL, Ethnicity, Acculturation and Empire in Roman and Late Roman Asia Minor, in S. MITCHELL - G.GREATREX (eds.), Ethnicity and Culture in Late Antiquity, London 2000, pp. 117-150, part. 125 e 142.

Un’analisi degli avvenimenti del 29 a.C. permette di comprendere la stra-tegia degli inviati greci e la risposta di Ottaviano, che accettò un culto dedi-cato alla propria persona, accettazione vincolata però subito dall’imposizio-ne di limiti e concessioni differenziate per Greci e per Romani.

Dagli esiti a noi noti dei colloqui è possibile ricostruire le premesse e leprime richieste. Incontri informali con Ottaviano avevano preceduto la mis-sione e una riunione solenne dell’assemblea provinciale aveva deliberato ilcontenuto delle richieste da avanzare al nuovo signore, come rivolgersi a lui,cosa accettare29.

Se fu concesso30 il culto e un tempio ai Greci d’Asia è perché, forse, le ri-chieste espresse dagli ambasciatori erano maggiori. Gli ambasciatori delkoinón avrebbero probabilmente gradito un culto del vincitore comune atutti gli abitanti della provincia, peregrini e cittadini romani. Ciò avrebbecomportato – tra l’altro – un’immediata maggiore rilevanza del koinón. MaOttaviano non desiderava intimorire troppo l’Italia e il senato accettandotempli, onori, culto, considerazione più che umana da parte di concittadiniromani; tutto questo avrebbe ricordato troppo apertamente comportamentitipici dello sconfitto Marco Antonio, comportamenti già sapientemente bia-simati e additati all’opinione pubblica romana dall’accorta propaganda diOttaviano e della sua parte; d’altra parte non doveva sfuggire il valore, intermini di consenso, lealismo, fedeltà e potere, di un culto tributato alla suapersona.

La scelta di concessioni differenziate per Greci e per Romani fu dunquel’incontro di una strategia complessa, il cui esito fu una soluzione che non

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31 Vd. CAMPANILE, Ancora sul culto..., ove ho cercato di descrivere e schematizzare gli eventi del29 a.C. secondo uno specifico modello ricavato dalle nozioni della teoria dei giochi.

avrebbe intimorito il senato o l’Italia, avrebbe valorizzato la presenza dei Ro-mani in Asia e soddisfatto la richiesta essenziale degli inviati del koinón31.Con un risultato simile è chiaro che il termine di compromesso potrebbe es-sere troppo riduttivo; le due parti, il vincitore di Azio (con i suoi successori) ei provinciali d’Asia godettero infatti a lungo dell’istituzione formale di un cul-to rivolto al signore di Roma, un culto che stabilì su basi più sicure, vitalizzòe, in fondo, giustificò l’esistenza dell’assemblea provinciale per almeno quat-tro secoli. L’esercizio del culto imperiale divenne un motivo essenziale, manon l’unico, della sua esistenza e mise in grado il koinón d’Asia di assolverefunzioni vitali quali quella di rafforzare i legami tra la periferia dell’impero e ilcentro del potere. Il culto imperiale fu per le élites locali una forte possibilitàdi inserimento nell’amministrazione e nel governo imperiale, permise una ca-pillare diffusione del consenso, costituì un freno per le tendenze centrifughe,anche di tipo religioso, convogliò ambizioni ed energie che avrebbero potutorappresentare altrimenti un pericolo per l’unità dell’impero.

L’assemblea provinciale riuscì a sussistere ancora e in modo più saldoquale istanza intermedia tra le città della provincia e il governo di Roma e inquesta funzione esercitare anche una tutela degli interessi dei provinciali piùincisiva di quanto non avrebbero potuto permettersi le singole città. È quasiinutile, d’altra parte, sottolineare la funzionalità di un koinón per la struttu-ra dell’impero romano: basti ricordare che con il tempo assemblee provin-ciali furono istituite, questa volta proprio per iniziativa del potere centrale,nelle province occidentali.

Lunghi anni di incontri, negoziati, cedimenti, accordi, trasformazioni,hanno segnato la storia dell’assemblea provinciale d’Asia, hanno modificatoe arricchito una struttura nata con finalità forse piuttosto modeste ma cheracchiudeva potenzialità notevoli e se il mutamento del 29 a.C. non fu l’ulti-mo affrontato dal koinón d’Asia, fu senz’altro quello più significativo per lasua storia.

Poche parole di conclusione. Solo le strutture inerti non mutano; credoche adattarsi a situazioni contingenti, attraversare tempi terribili e guerre fe-roci, ottenere risultati tali da garantire una durata secolare al proprio orga-nismo, superare crisi profonde come quella mitridatica e – soprattutto – ilpassaggio da un regime ad un altro, dalla res publica al governo di uno solo,senza snaturare la propria essenza, mostri una vitalità piuttosto fuori dal co-mune e indichi quanto la dirigenza dell’assemblea provinciale fosse ben for-nita di individui dotati di capacità e lungimiranza invidiabili.

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1 Sull’uso del “noi” in Luca v. da ultimo A. GIOVANNINI, Il contesto culturale dell’evangelistaLuca, in AA.VV., La cultura storica nei primi due secoli dell’impero romano, edd. L. TROIANI - G. ZEC-CHINI, Roma 2005, p. 195. Non credo però che si debba cercare in Omero il modello di questo “noi”.

PAOLO E LE CITTÀ D’ASIA

MARTA SORDI

Sono almeno tre le occasioni in cui Paolo percorse o addirittura sog-giornò in Asia Minore: la prima è immediatamente successiva alla missione aCipro e all’incontro col proconsole Sergio Paolo, che, come vedremo, fu de-terminante nella scelta dei luoghi di tale missione, e riguardò la provinciaromana di Galazia, con l’evangelizzazione di Antiochia di Pisidia, di Listri,di Iconio e di Derbe in Licaonia (Act. Ap. 13,13-14,28); la seconda è succes-siva al cosiddetto concilio di Gerusalemme (15,1-35) e si risolse in un pas-saggio dalla Siria e dalla Cilicia per confermare le chiese, in una breve sostain Licaonia a Derbe e a Listri (dove Paolo prese con sé Timoteo) e in unpassaggio attraverso la Frigia e la Galazia, senza però che fossero toccate laprovincia d’Asia e la Bitinia: “in seguito ad un’imposizione divina” affermal’autore degli Atti (16,6-7), che da questo momento, con l’imbarco a Troadeper la Macedonia, comincia ad usare il “noi”, che ne attesta la presenza1. Laterza segue di alcuni giorni (18,18) il mancato processo davanti al proconso-le Gallione a Corinto: Paolo, dopo aver toccato Efeso ed aver promesso diritornare, si recò a Cesarea e ad Antiochia di Siria e di là, traversando dinuovo la Galazia e la Frigia per confermare i discepoli (18,23), si recò adEfeso, dove, dopo aver predicato per tre mesi nella sinagoga (19,8), ed esse-re poi passato nella scuola di un certo Tiranno, si fermò due anni (19,10).Dopo il tumulto degli argentieri (19,26-40), Paolo che aveva già progettatodi passare per la Macedonia e l’Acaia e di recarsi poi a Gerusalemme (19,21-22), andò in Grecia e in Macedonia dove si fermò tre mesi, passò da Troade,Asso, Mitilene, si fermò qualche giorno a Mileto, dove incontrò gli anzianidella Chiesa di Efeso (20,17 sgg.) e ripartì per Cesarea e Gerusalemme (do-ve aveva stabilito di arrivare per Pentecoste: 20,16; 21,15) e dove fu arresta-to mentre era ancora procuratore Felice (23,24 sgg.).

La cronologia di questi avvenimenti può essere agevolmente stabilita al-meno fino al soggiorno a Corinto, grazie al proconsolato a Cipro di Sergio

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2 Per la data fra il 46 e il 48 del proconsolato di Sergio Paolo a Cipro, v. E. GABBA, Iscrizioni gre-che e latine per lo studio della Bibbia, Torino 1958; L. BOFFO, Iscrizioni greche e latine per lo studio dellaBibbia, Brescia 1994, pp. 243-244 e n. 4; per il proconsolato in Acaia di Gallione, dall’estate del 51 al1° luglio v. BOFFO, ibid., pp. 247 sgg.

3 Il concilio di Gerusalemme è fissato al 49 da S. GIET, Les trois premiers ouvrages de Saint Paul àJérusalem, in “RecSR” 41 (1953), pp. 321 sgg.; S. MAZZARINO, in G. GIANNELLI - S. MAZZARINO, Trat-tato di storia romana, Roma 1956, p. 115; M. SORDI, Sui primi rapporti dell’autorità romana col Cristia-nesimo, in “StudRom” 8 (1960), pp. 393 sgg. (a cui rimando per tutta la cronologia qui seguita degliAtti).

4 Sull’espulsione di Giudei da Roma nel 49 v. M. SORDI, L’espulsione degli Ebrei da Roma nel 49,in AA.VV., Coercizione e mobilità umana nel mondo antico, ed. M. SORDI (Contributi dell’Istituto di sto-ria antica. 21), Milano 1995, pp. 259 sgg.

5 Per il calcolo, in base alle indicazioni degli Atti v. SORDI, L’espulsione..., p. 493.6 Così il LAMBERZ, Porcius Festus, in “RE” XXII.1 (1953), cc. 224-225; SORDI, L’espulsione..., p.

402 e n. 29; G. RINALDI, Procurator Felix, in “RivBibl” 39 (1991), pp. 452 sgg.7 Flav. Jos. A.J. XX 182; Tac. ann. XIII 14.8 Sulla floridezza della provincia d’Asia al tempo di Paolo v. M.F. BASLEZ, Saint Paul, Paris 1991

n. 131; p. 189 sgg. e note p. 360 sgg.

Paolo e al proconsolato in Acaia di Giunio Gallione, fratello di Seneca2, ol-tre che con la data del concilio di Gerusalemme3: si può così stabilire chePaolo fu a Cipro e poi in Galazia fra il 46 e il 48, compì il secondo viaggiodopo il concilio di Gerusalemme del 49 giungendo a Corinto quando da po-co (Act. Ap. 18,2: prosf£twj) vi erano arrivati Aquila e Priscilla (espulsi daClaudio da Roma appunto nel 49)4, e vi rimase un anno e mezzo dagli inizidel 50 all’estate del 51, quando fu denunziato a Gallione e ripartì per l’Asia.La sosta ad Efeso dovette durare dalla fine del 51 alla primavera del 535 el’arresto a Gerusalemme dovette avvenire nel periodo di Pentecoste del 54:questa data è condizionata dalla durata della procuratela di Felice e dall’in-terpretazione di Act. Ap. 24,27 (diet∂aj d‹ plhrwqe∂shj ⁄laben di£docon oFÁlix PÒrkion FÁston).

Questo biennio è stato inteso (ed è tuttora inteso da molti) come il perio-do che Paolo trascorse in prigione a Cesarea in attesa dell’arrivo di PorzioFesto, successore di Felice nel governo della Giudea: ma soggetto della fraseè Felice e il biennio trascorso riguarda il periodo biennale della sua procura-tela, secondo la norma introdotta da Claudio in Giudea6. Felice arrivò infat-ti a Roma prima che il fratello Pallante cadesse in disgrazia nel 55 e solo gra-zie a lui riuscì a salvarsi dalle accuse dei Giudei7. La primavera del 54 è l’u-nica data possibile per l’arresto di Paolo e conferma la cronologia “corta”che ho proposto: tutta la missione asiatica di Paolo deve essere così colloca-ta durante il regno di Claudio fra il 47 e il 54, nel periodo della massima fio-ritura dell’Asia Minore8.

Dopo aver collocato cronologicamente la predicazione di Paolo in Asiapossiamo ora coglierne la dinamica di sviluppo e i particolari.

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9 Paolo era cittadino romano dalla nascita (Act. Ap. 22,25 e 22,28 œgë geg◊nhmai, egli rispondeal tribuno Lisia al momento dell’arresto), ma aveva fino a quel momento portato come cognomen il suonome ebraico Saul: si è pensato che il suo nome originario fosse C. Iulius Saul (C.B. WELLES, Helleni-stic Tarsus, in AA.VV., Mélanges offerts au père René Mouterde pour son 80e anniversaire, Beyrouth1962, pp. 43 sgg.), ma si tratta solo di un’ipotesi; per il mutamento del nome, certamente da collegarecol proconsole, anche se il significato di Paulus (debole, di poco conto) può avere influito sulla sceltadell’Apostolo, attento ai significati simbolici, v. anche BASLEZ, Saint Paul, pp. 123 sg.

10 Cfr. M. SORDI - M.L. CAVIGLIOLO, Un’antica chiesa domestica di Roma, in “RSCI” 25 (1971),pp. 399 sgg.; M. SORDI, Sergia Paullina e il suo collegium, in “RIL” 113 (1979), pp. 14 sgg., con la ri-sposta alle obiezioni di M. BONFIOLI - S. PANCIERA, Della cristianità del collegium quod est in domoSergiae Paullinae, in “RPAA” 44 (1971-1972), pp. 185 sgg.

11 S. MITCHELL, Population in Roman Galatia, in “ANRW” 7.2 (1973), pp. 1073-1074; H. HALF-MANN, Die Senatoren aus dem östlichen Teil des Imperium Romanum bis zum Ende des 2. Jh. n.Chr.,Göttingen 1979, p. 101 n. 3. Ad una discendenza dai coloni pensa la BASLEZ, Saint Paul, p. 125.

Tutto parte, come ho già detto, dalla visita di Paolo, ancora indicato dagliAtti come Saulo, a Cipro e con l’incontro con tù ¢nqup£tJ Serg∂J PaÚlJ¢ndrπ sunetù (Act. Ap. 13,6-7) e col mago giudeo con il quale il proconsolesi intratteneva. Saulo, che da questo momento viene indicato con il signumPaulus (13,9: Saàloj d‹, o kaπ Paàloj) e poi sempre come Paolo, affronta ilmago e lo rende cieco (13,12): tÒte ≥dën o ¢nqÚpatoj tÕ gegonÕj œp∂steu-sen, œkplhssÒmenoj œpπ tÍ didacÍ toà Kur∂ou. Il proconsole “credette”: iltermine (œp∂steusen) usato da Luca, indica senza possibilità di dubbio laconversione, che coincide con l’inizio di un rapporto particolarissimo diPaolo col proconsole, che si manifesta innanzitutto col mutamento del no-me, che da questo momento viene usato sempre come cognome dall’Apo-stolo9, con la fondazione a Roma, già col figlio del proconsole L. SergiusPaulus filius e poi con la nipote Sergia Paullina, di un collegio funerario do-mestico che è probabilmente una chiesa cristiana10, e con il suggerimento al-lo stesso Paolo di predicare il vangelo in Galazia, dove i Sergi Paulli avevanoda tempo grandi beni nella zona di Antiochia di Pisidia e da dove, secondoalcuni, erano addirittura originari, come discendenti dei veterani stabiliti nel25 a.C. nella prima colonia augustea della regione11. Certo è che, subito do-po l’incontro con il proconsole e la sua conversione, Paolo e Barnaba lascia-rono Pafo, sbarcarono a Perge di Panfilia e si recarono ad Antiochia di Pisi-dia (Act. Ap. 13,13-14).

Le città evangelizzate da Paolo nella sua prima missione (Antiochia diPisidia, Listri, Iconio, Derbe) sono tutte, salvo Derbe, colonie augustee,collegate dalla via Sebaste costruita per il controllo militare romano nellaregione del Tauro: Antiochia di Pisidia (colonia Caesarea è il nome che lacittà porta ancora nelle monete di Claudio) era stata fondata nel 25 a.C. inPisidia con 9500 veterani, Listri (Colonia Iulia Augusta Lustrensium) e Ico-nio (Colonia Iulia Augusta Iconiensis) erano state fondate nel 6 a.C. dopo la

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12 W.M. RAMSAY, Colonia Caesarea, in “JRS” 6 (1916), pp. 83 sgg. (p. 87 sulla via Sebaste); ID.,Studies in Roman province Galatia, in “JRS” 14 (1924), pp. 172 sgg.; B. LEVICK, Roman colonies insouthern Asia Minor, Oxford 1967, pp. 78 sgg. (p. 95 per i 9500 veterani; pp. 37 e 195 sgg. per la datadella colonia di Listri e la possibilità che essa appartenga al 25 a.C.).

13 A. SOGLIANO, La composizione civica delle colonie romane d’Asia Minore, in Serta antiqua et me-diaevalia, VII, Roma 2005, pp. 437 sgg. con ampia bibliografia.

14 A.D. RIZAKIS, Incolae - paroikoi: populations et communautés dépendantes dans les cités et lescolonies romaines de l’Orient, in “REA” 100 (1998), pp. 599 sgg.; SOGLIANO, La composizione...,pp. 438 sgg.

15 S. MITCHELL, Iconium and Ninica, in “Historia” 28 (1979), pp. 437 sgg.16 LEVICK, Roman..., p. 73; SOGLIANO, La composizione..., pp. 440-441.

vittoria sugli Homonadenses, in Licaonia12.Sulla struttura e la composizione civica di queste e delle altre colonie fon-

date da Augusto in Asia Minore si è discusso a lungo e si continua a discute-re: i moderni sono divisi fra coloro che ritengono che gli abitanti locali fos-sero incorporati con pieni diritti nella nuova comunità, coloro che pensanoall’esistenza di doppie comunità, ciascuna con i propri organi, coloro, infi-ne, che ritengono gli abitanti precedenti ridotti alla condizione di paroikoi -incolae, come stranieri residenti, senza diritto di cittadinanza13. Questa ipo-tesi sembra oggi quella più diffusa14, anche se per Iconio alcune emissionimonetali quasi contemporanee della polis e della colonia sembrano rivelarela coesistenza, fra il regno di Claudio e quello di Adriano, quando Iconio as-sunse il nome di Colonia Aelia Augusta, della greca Claudiconium (o pÒlijtîn E≥konie∂wn) con un demos e un protos archon e della colonia romana15;solo con Adriano sarebbe avvenuta l’integrazione fra le due comunità.

Ad Antiochia di Pisidia, che era stata fondata dai Seleucidi (Seleuco Nica-tore o Antioco I) nella prima metà del III secolo a.C., in una regione abitatadai Frigi e collegata con il culto del dio indigeno Men, il titolo greco di gram-mateus fa parte del cursus honorum di un magistrato coloniale, edile, questore,duoviro (ILS 7199), L. Cornelius Marcellus, mentre altre iscrizioni rivelano lacarica di gimnasiarca portata da un patrono della colonia e da un flamine: sene è dedotto che le cariche di gimnasiarca e di grammateus non apparteneva-no ad una distinta comunità greca, ma facevano parte del normale cursus ho-norum della colonia, nella quale le élites greche erano normalmente integra-te16. Al tempo in cui Paolo visitò la Galazia del sud, le città erano dunque cer-tamente abitate, oltre che dai discendenti dei coloni romani e dai discendentidei coloni greci e macedoni insediati dai Seleucidi, da indigeni frigi, pisidi, li-caoni più o meno integrati nella nuova comunità coloniale: della presenza diLicaoni a Listri tra gli ascoltatori di Paolo siamo informati dagli stessi Atti(14,11) che riferiscono le esclamazioni lukaonistπ di tali ascoltatori.

A questi abitanti non greci né romani bisogna aggiungere gli Ebrei, chePaolo incontra sempre per primi nelle loro sinagoghe in tutte e tre le colonie

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17 Derbe, in Licaonia, è Claudioderbe al tempo di Claudio (cfr. LEVICK, Roman..., p. 165).

e a cui rivolge per primi il messaggio cristiano. Il primo incontro avviene adAntiochia di Pisidia, in giorno di sabato: il discorso dell’Apostolo è rivoltoagli 'Israhl√tai e ai foboÚmenoi tÕn QeÒn (Act. Ap. 13,16), cioè a quei paganiche avevano accolto il monoteismo giudaico senza peraltro essere circoncisied è un discorso che, partendo dalla storia ebraica dalla fuga dall’Egitto aDavid e richiamando le promesse dei profeti e di Giovanni Battista di unMessia Salvatore, arriva alla morte di Gesù e alla sua risurrezione, già prean-nunciata dai Salmi, concludendo con la giustificazione che può venire solodalla fede in Gesù e non dalla Legge. Il discorso di Antiochia di Pisidia, chericorda in qualche modo quello di Stefano (7,2 sgg.) è rivolto ad un tipicoambiente ebraico ed è tutto fondato sul compimento delle Scritture; invitati apresentarsi il sabato successivo (13,42), Paolo e Barnaba sono seguiti da mol-ti tîn 'Iouda∂wn kaπ tîn sebom◊nwn proshlÚtwn (13,43) e, giunto il sabato,si trovano di fronte scedÕn p©sa h pÒlij (13,44) desiderosa di ascoltare tÕnlÒgon toà Qeoà. L’accorrere delle folle provoca “l’invidia” dei Giudei, cheinsultano Paolo e Barnaba, i quali dichiarano che si rivolgeranno ai pagani:mentre questi gioiscono e œp∂speusan Ósoi Ãsan tetagm◊noi e≥j zwh\ na≥ènion, i Giudei incitano contro Paolo e Barnaba ta\ j sebom◊naj guna√kajta\ j eÙscˇmonaj kaπ tou\ j prètouj tÁj pÒlewj (13,50) e i missionari cacciati¢pÕ tîn or∂wn aÙtîn si ritirano ad Iconio. Anche ad Iconio il primo incon-tro avviene nella sinagoga, dove arrivano alla fede 'Iouda∂wn kaπ `Ellˇnwnpolu\ plÁqoj (14,1). Anche qui, però, coloro che non avevano creduto deiGiudei aizzano gli animi contro i missionari mentre shme√a kaπ t◊rata av-vengono per opera loro. TÕ plÁqoj tÁj pÒlewj è diviso, finché Giudei e pa-gani muovono un attacco su\ n to√j ¥rcousin aÙtîn e Paolo e Barnaba, dopoaver rischiato la lapidazione, fuggono verso le città della Licaonia, Derbe17 eListri, dove Paolo risana uno zoppo e provoca l’entusiasmo delle folle che inlicaonico acclamano gli apostoli, scambiandoli per Zeus e per Ermes, e vo-gliono offrire sacrifici. Il discorso che Paolo e Barnaba rivolgono qui alle fol-le (14,15 sgg.) è, in un certo modo, l’anticipo di quello dell’Areopago e ri-guarda il Dio vivo, che ha creato il cielo, il mare e la terra, che ha permessoper secoli che gli uomini andassero per le loro vie, ma non ha cessato mai dibeneficarli con la pioggia e l’avvicendarsi delle stagioni produttrici di fruttied ha allietato i loro cuori col cibo e con la gioia. A Listri gli ascoltatori sonosolo o prevalentemente pagani e, a quel che sembra, di origine indigena; l’ar-rivo da Antiochia di Pisidia e da Iconio dei soliti avversari giudaici cambiaperò l’atteggiamento delle folle e costringe i missionari a recarsi a Derbe,evangelizzando la città, e a ritornare poi, attraverso Listri, Iconio, Antiochiadi Pisidia, dove vengono lasciati dei presbiteri e fondate delle chiese, in Pan-

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18 Sulla debole presenza, col passare degli anni, dei coloni romani in queste città, v. LEVICK, Ro-man..., p. 195.

19 BASLEZ, Saint Paul, pp. 137, 343-344 n. 1 (con bibliografia).

filia fino ad Attaleia, per raggiungere di là Antiochia di Siria.Per chi legge, le comunità con le quali Paolo e Barnaba vengono a contat-

to nelle tre colonie romane, sono formate soprattutto da ebrei, da greci, daindigeni; dei coloni romani non si parla e i capi delle città sono indicati inmodo molto generico come archontes: non è escluso che essi potessero esse-re i duumviri della colonia, ma è interessante osservare che a Filippi i duum-viri sono indicati più correttamente come strathgo∂ (Act. Ap. 16,22; 35; 38e i loro apparitores, i littori, ˛abdoÚcoi), con chiaro riferimento allo ius gladiidei duumviri iure dicundo. L’evangelizzazione della Tracia e della Macedoniaavviene quando Luca era ormai a fianco di Paolo e questo può spiegare for-se la maggior precisione: non c’è dubbio però che la rappresentazione negliAtti della vita comunitaria di Antiochia di Pisidia e di Iconio, fa pensare piùa città greche e indigene, con una forte presenza ebraica, che a colonie ro-mane, mentre a Filippi questo carattere romano è fortemente accentuato,con la menzione esplicita della sua qualità di kolwn∂a (16,12). Listri sembraaddirittura una città quasi esclusivamente licaonica. In ogni caso non v’ètraccia, nella descrizione degli Atti, di doppia comunità, quando si parla“dell’intera città”. Questo non significa, evidentemente, che le tre città nonfossero allora colonie romane, né che l’elemento romano fosse stato già as-sorbito da quello locale: la sua presenza però, diversamente da Filippi, nonera tale da colpire i missionari18.

Dopo il cosiddetto concilio di Gerusalemme, nel quale fu sancita la nonnecessità per i pagani che si convertivano a Cristo della circoncisione (Act.Ap. 15,1-35), Paolo, non più con Barnaba ma con Sila, tornò a Derbe e a Li-stri informando i discepoli delle decisioni di Gerusalemme e confermando leChiese della Frigia e della Galazia. A Listri egli prese con sé un discepolo, Ti-moteo, figlio di un Greco e di una Giudea convertita al cristianesimo, e lo fe-ce circoncidere (16,1-3): questo particolare, oltre al problema della collettaper Gerusalemme, ha indotto alcuni studiosi a ritenere il secondo viaggio an-teriore e non posteriore al concilio19: io credo però che né la menzione dellelettere ai Corinzi (I Cor. 16,1-4) e ai Galati (Gal. 2,10) delle collette, che era-no ricorrenti, né la circoncisione di Timoteo giustifichino questo spostamen-to, che gli Atti spiegano in modo molto esplicito dia\ tou\ j 'Iouda∂ouj tou\ jÔntaj œn to√j tÒpoij œke∂noij (Act. Ap. 16,3). La lettera ai Galati, scrittaquando Paolo era ormai a Corinto o addirittura ad Efeso, rivela come fosseforte sui neoconvertiti delle comunità cristiane della Galazia la pressione giu-daica e la tentazione di cercare la salvezza attraverso la Legge e non attraver-

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so la Fede: “o Galati insensati – egli scrive ib. 3,1 – questo solo voglio sapereda voi, se avete ricevuto lo Spirito dalle opere della Legge o dall’obbedienzaalla Fede”. La circoncisione consigliata a Timoteo, che era di origine giudaicaper parte di madre, nacque dunque da un tentativo di conciliazione, da uncompromesso destinato ad evitare contrasti più gravi in luoghi in cui la pre-senza giudaica era forte; Tito che era con Paolo a Gerusalemme al tempo delconcilio e che era greco, non fu costretto alla circoncisione (Gal. 2,3) perché– spiega più avanti Paolo – coloro che sono stati battezzati in Cristo non so-no più né Giudei né Greci (3,27-28) e sono diventati figli di Dio. Per questoegli dichiara ormai con estrema decisione (5,2): “Ecco, io Paolo vi dico chese vi fate circoncidere Cristo non vi gioverà a nulla ... Voi che cercate la giu-stificazione nella Legge vi siete separati da Cristo, siete decaduti dalla suagrazia”. La spiegazione che gli Atti danno della circoncisione di Timoteo nonè dunque un espediente per legittimare l’invio di Paolo ai pagani, ma corri-sponde pienamente alle tensioni presenti nelle comunità galatiche.

È proprio la consapevolezza del pericolo proveniente per i Cristiani dellaGalazia da queste tensioni che spinge Paolo, dopo il soggiorno a Corinto e losbarco ad Efeso, a lasciare nella capitale della provincia d’Asia i fedeli Aquilae Priscilla, dedicandosi invece a confermare (Act. Ap. 18,23: sthr∂zwn) i di-scepoli della Galazia e della Frigia. Ad Efeso, intanto, Aquila e Priscilla ave-vano preso contatto con un colto giudeo di Alessandria, Apollo, che predica-va Gesù, ma conosceva solo il battesimo di Giovanni, gli avevano esposto th\ nodÕn toà Qeoà e, poiché quello voleva passare in Acaia, gli avevano dato dellecredenziali per i discepoli perché lo accogliessero. L’accenno all’azione svoltada Apollo ad Efeso prima dell’arrivo di Paolo spiega perché quest’ultimo,giunto nella città, abbia trovato dei discepoli che conoscevano solo il battesi-mo di Giovanni e che non avevano neppur sentito parlare dello Spirito Santo(19,2). Essi, in numero di dodici, si fecero subito battezzare nel nome di Ge-sù: si tratta, evidentemente, del gruppo che era stato intorno ad Apollo e cheaveva già sentito parlare di Gesù dallo stesso Apollo; ottenuta l’adesione diquesti dodici, Paolo si rivolse come era suo costume alla Sinagoga e parlò pertre mesi in essa, convertendo alcuni e provocando l’irrigidimento di altri. Inseguito a questo irrigidimento, Paolo si trasferì nella scuola di un certo Ti-ranno e vi rimase per due anni, insegnando apertamente éste p£ntaj tou\ jkatoikoàntaj th\ n 'As∂an ¢koàsai tÕn lÒgon toà Kur∂ou, 'Iouda∂ouj te kaπ“Ellhnaj (19,10).

Capitale dell’Asia da quando questa, per il testamento del re di Pergamo,era divenuta provincia romana, Efeso era una delle città più importanti del-l’Oriente, non solo per il suo passato greco, ma anche per le sue tradizioniindigene, rappresentate dal celebre santuario di Artemide Efesia, antica deaasiatica della fecondità; anche se non era ufficialmente una colonia romana,

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20 LEVICK, Roman..., pp. 116 segg.21 I. RAMELLI, I romanzi antichi e il cristianesimo, Madrid 2001, p. 48.22 Per Ti. Claudio Balbillo, autore di Balbillea Ephesia, e per i suoi rapporti con Efeso v. BASLEZ,

Saint Paul, pp. 196, 216-217, 219, 292 (anche se non credo che Balbillo abbia in qualche modo influitosull’azione degli argentieri).

23 Act. Ap. 16,19 sgg.

la presenza italica e romana è ben attestata con una forte immigrazione, do-vuta anche a motivi commerciali20. Il soggiorno di Paolo ad Efeso è caratte-rizzato, negli Atti, da due episodi: quello degli esorcisti giudei (Act. Ap.19,13-20), la cui impotenza di fronte all’assalto dei demoni – resa manifestadal diverso risultato di Paolo – provoca timore fra Giudei e Greci, conver-sioni al cristianesimo e la decisione da parte di molti di bruciare costosissimilibri di magia, e quello degli argentieri di Efeso che, guidati da un certo De-metrio, scatenano un tumulto contro i missionari (19,23-40), accusati dioperare contro l’Artemide degli Efesini.

La diffusione ad Efeso di pratiche magiche, presenti anche in ambientigiudaici o vicini al giudaismo (si pensi, per restare agli Atti, a Simon Magosamaritano e al mago giudeo che agiva presso il proconsole di Cipro), e ditrattati di magia è nota anche dal romanzo di Senofonte Efesio, non di moltoposteriore al soggiorno di Paolo21, e sono noti i rapporti con Efeso di Ti.Claudio Balbillo, astrologo e mago, ma anche cavaliere romano e prefettod’Egitto22: la magia era diffusa ad Efeso anche in ambienti di cultura e nonsorprende, nella lettera di Paolo agli Efesini, scritta probabilmente durante laprima prigionia romana, la raccomandazione di non lasciarsi trasportare “daogni vento di dottrina, secondo i raggiri degli uomini e la loro insidiosa astu-zia” (Eph. 4,14) e, più ancora, “di rivestirsi dell’armatura di Dio per poter re-sistere alle insidie del diavolo ... per combattere contro i principati e le pote-stà...” (6,11-12). La vicenda degli esorcisti e il rogo dei libri di magia nonsembra avere avuto però conseguenze pericolose per la missione cristiana;più grave fu invece il tumulto (Act. Ap. 19,23: t£racoj oÙk Ñl∂goj) provoca-to da Demetrio ¢rgurokÒpoj e dai tecn√tai della sua corporazione. Dopo leaccuse di Filippi23, questo è il primo attacco anticristiano proveniente da pa-gani, senza interferenze, almeno all’inizio, dell’elemento giudaico locale.

Sollevati da Demetrio, gli artigiani organizzano una manifestazione pub-blica al grido “Grande è l’Artemide degli Efesini” ed aizzano la folla che sirovescia nel teatro mobilitata dallo stesso grido e improvvisa un’assemblea-processo contro i collaboratori di Paolo, i Macedoni Gaio e Aristarco. IGiudei del luogo alimentano l’eccitazione sospingendo avanti Alessandro, acui la folla impedisce di parlare quando si accorge che era giudeo; anchePaolo avrebbe voluto parlare, ma gli viene sconsigliato dai discepoli e da al-cuni degli Asiarchi che gli erano amici. A questo punto il grammateus con

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24 BASLEZ, Saint Paul, pp. 197, 364 n. 39.25 M. SORDI, Paolo a Filemone o della schiavitù, Milano 1987, p. 14 e n. 4.26 Nella seconda lettera a Timoteo (4,13) si parla di oggetti e libri lasciati da Paolo a Troade, che

gli devono essere riportati a Roma, al tempo della seconda prigionia (circa 10 anni dopo la partenza daEfeso).

sagge parole calma la massa, invitando Demetrio e i suoi colleghi a rivolgersial proconsole e al suo tribunale se avevano delle accuse serie da fare, e a nonprovocare sedizioni, delle quali avrebbero dovuto rendere conto.

Ciò che colpisce in questo episodio è l’aperto favore dell’autorità locale(il grammateus e gli Asiarchi), notoriamente vicina al potere romano, nei ri-guardi di Paolo e dei suoi amici: un favore che rivela la capacità di Paolo distabilire ottimi rapporti anche con elementi delle classi dirigenti, come eraemerso già dal rapporto stabilito a Cipro con Sergio Paolo e come risultadai rapporti stabiliti, forse proprio ad Efeso, con un ricco proprietario diColossi, Filemone, evergete e padrone di schiavi, divenuto patrono di unachiesa domestica e collaboratore di Paolo24. Proprio per questi rapporti nonritengo probabile la notizia di una prigionia di Paolo ad Efeso, affermata dalprologo marcionita della lettera ai Colossesi ed accolta come ipotesi da alcu-ni studiosi25. Le allusioni di I Cor. 15,32 e di II Cor. 1,8 ad angosce e a “lottecon bestie selvagge” subite dall’Apostolo ad Efeso rivelano contrasti gravi egravi pericoli, non una regolare prigionia, inconcepibile senza l’interventodiretto dell’autorità romana o locale.

La missione asiatica di Paolo si conclude, nei primi mesi del 54, a Mileto,dove l’Apostolo, in viaggio per Gerusalemme, si congeda con un appassio-nato e commosso discorso dai presbiteri della Chiesa di Efeso, da lui convo-cati (Act. Ap. 20,17) e ai quali ricorda come “dal primo giorno in cui giunsiin Asia” egli servì fedelmente il Signore, resistendo alle insidie dei Giudei ea cui raccomanda di vegliare sul gregge dal quale sono stati costituiti dalloSpirito Santo œpiskÒpouj (20,28). “Ora – egli dice (20,25) – io so che tuttivoi non vedrete più il mio volto...”.

Con gli Efesini, come con i Colossesi, ai quali non aveva predicato di per-sona, Paolo si intratterrà ancora, da Roma, per lettera e in Asia invierà a piùriprese messaggeri: non abbiamo notizia però che egli sia tornato fisicamen-te nella regione26.

Concludendo questa breve rassegna dei viaggi missionari di Paolo inAsia, si resta colpiti dalla precedenza data all’evangelizzazione delle cittàdell’interno, colonizzate da Roma, ma meno grecizzate e ancora caratterizza-te dalla presenza dell’elemento indigeno, rispetto a quelle della costa, grecheda antica data. Per la scelta dell’Asia minore interna e delle città della Pisi-dia e della Licaonia, incluse nella provincia di Galazia, si deve pensare, co-me si è già detto, all’influenza di Sergio Paolo, che aveva grandi proprietà e

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27 Su Giovanni ad Efeso v. BASLEZ, Saint Paul, pp. 192 sgg; RAMELLI, I romanzi..., p. 50 (con bi-bliografia).

conoscenze nella zona; ma a non recarsi fin dall’inizio nella provincia d’Asiapresso le città della costa, Paolo fu spinto, secondo la esplicita affermazionedegli Atti (16,6-7) da un’ispirazione divina.

Ad Efeso, però, egli rimase poi più a lungo che in tutte le altre città e lacommozione profonda che pervade il suo discorso di addio rivela la forza deisentimenti anche umani che lo legavano a quella comunità, dalla quale la pre-dicazione cristiana si era irradiata in tutta la provincia d’Asia. Ma la cristianitàdi Efeso non rimase solo paolina e la tradizione cristiana del II secolo ricordasoprattutto la presenza di Giovanni, che secondo alcuni avrebbe addiritturapreceduto Paolo27. Sulla presenza di Giovanni ad Efeso, attestata da coloroche ne erano stati discepoli, non ci sono dubbi: io non credo però che Gio-vanni abbia preceduto Paolo nella evangelizzazione di Efeso, e non per l’argu-mentum e silentio, degli Atti, ma per la notizia su Apollo, che pur annuncian-do Gesù, non conosceva ancora alcun battesimo salvo quello del Battista.

Nel suo discorso di addio a Mileto Paolo insiste, come si è visto, sulle“insidie dei Giudei” (Act. Ap. 20,19: œn ta√j œpiboula√j tîn 'Iouda∂wn): ineffetti è in Asia che Paolo prende coscienza della sua missione fra i Gentili,del problema della inutilità per la salvezza della circoncisione (Gal. 1,16;2,7-8; 3,8) e del Mistero, non conosciuto nelle epoche passate e ora rivelato,che i Gentili sono chiamati alla stessa eredità dei Giudei (Eph. 1,9; 3,5-7): diqui la svolta che rende inutile la circoncisione e turba le comunità giudaichedella Diaspora, ponendo come unica condizione per la salvezza la fede inGesù. Una svolta epocale, che già Pietro aveva compiuto col battesimo diCornelio (Act. Ap. 10,1 sgg.) e, a mio avviso, a Roma nel 42, ma che soloPaolo, con una predicazione sistematica nelle province di Galazia, di Mace-donia, di Acaia, d’Asia, rende definitiva.

* * *

La profonda evangelizzazione dell’Asia romana, per opera di Paolo e diGiovanni, spiega la grande fioritura teologica e letteraria che il Cristianesi-mo ebbe nella regione nei secoli successivi, sino alla conquista musulmana:in particolare con gli scritti di Policarpo di Smirne, di Ignazio di Antiochia,di Ireneo, vescovo di Lione, ma originario dell’Asia, degli apologisti Melito-ne e Apollinare, e dell’azione potente nel IV secolo di Giovanni Crisostomoe dei padri cappadoci, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Gregorio diNazianzo.

La patristica è in gran parte asiatica e rivela, sia in lingua greca che in lin-gua siriaca, le potenzialità culturali dell’Asia Minore nel periodo antico.

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1 Sul regno di Aminta e l’iniziativa di Augusto: B. LEVICK, Roman colonies in Southern Asia Minor,Oxford 1967, pp. 26-33 e passim; R.D. SULLIVAN, Near Eastern Royalty and Rome, 100-30 BC, Toronto -Buffalo - London 1990, pp. 171-174. In merito ai problemi connessi con la fondazione della provincia diGalazia, del precedente governo di Aminta e della deduzione delle colonie di Augusto ha scritto ampia-mente S. MITCHELL, Anatolia. Land, men and gods in Asia Minor, I, Oxford 1993, pp. 73-91.

2 Sull’istituzione della provincia di Galazia: R.K. SHERK, Roman Galatia: the governors from 25B.C. to A.D. 114, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt, II 7,2, Berlin - New York 1980, pp.954-960; MITCHELL, Anatolia, loc. cit.

3 LEVICK, Roman colonies, pp. 29-41; 203-214 (guerra contro gli Homanadenses); 211 sg. (via Se-baste), e supra nota 1.

4 LIII 26,3: toà d' 'AmÚntou teleutˇsantoj oÙ to√j paisπn aÙtoà th\ n ¢rch\ n œp◊treyen, ¢ll' œj

th\ n Øpˇkoon œsˇgage, kaπ oÜtw kaπ h Galat∂a meta\ tÁj Lukaon∂aj `Rwma√on ¥rconta œsce...5 LEVICK, Roman colonies, pp. 29-41, 193 sg. La datazione sostenuta dalla Levick è praticamente

condivisa da tutti. Ultimamente, sulla data di fondazione della provincia vd. C. HOET-VAN CAUWEN-BERGE, Statius Anicius, decurion d’Antioche, in Actes du IerCongrès International sur Antioche de Piside

ORIGINE E PROVENIENZA DELLE GENTES ITALICHE NELLA PROVINCIA DI GALAZIA IN ETÀ GIULIO-CLAUDIA

ALFREDO VALVO

Nell’anno 25 a.C., la morte del re ‘cliente’ Aminta, che aveva regnato alungo sulla Pisidia settentrionale e la Frigia, sulla Galazia e parte della Li-caonia e della Pamfilia, sull’Isauria e la Cilicia Tracheia, indusse Augusto adintervenire e ad assumere direttamente il governo di quel territorio per con-solidarvi la presenza romana.1 Venne allora istituita la provincia di Galazia,che controllava un territorio scarsamente popolato ma strategicamente deci-sivo per il controllo del Mediterraneo meridionale e dei traffici che guarda-vano a oriente2. La morte aveva colto il re Aminta durante una campagnamilitare contro la tribù degli Homanadenses. Proprio la necessità di fronteg-giare queste popolazioni e di stabilire un dispositivo di sicurezza indusseAugusto a dedurre numerose colonie di veterani in località strategiche cheavrebbero costituito anche una linea di difesa per l’importante via Sebaste,ultimata nel 6 a.C., lo stesso anno, probabilmente, o un paio di anni primache il territorio venisse pacificato con la sconfitta degli Homanadenses3.

Si è discusso se l’istituzione della provincia di Galazia risalga al 25, comesi deduce da Cassio Dione4, oppure agli anni immediatamente successivi,ma tutto considerato, soprattutto l’urgenza di Roma di chiudere presto lasuccessione apertasi con la morte di Aminta, il 25 a.C. rimane la data piùprobabile5.

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(infra, nota 10), p. 155 e nota 13, con discussione delle opinioni emerse successivamente al lavoro dellaLevick.

6 R.G. 28, 1: Colonias in ... Pisidia militum deduxi. F. VITTINGHOFF, Römische Kolonisation undBürgerrechtspolitik unter Caesar und Augustus (Akademie der Wissenschaften und der Literatur inMainz; Abhandl. Geistes- und Sozialwiss. Klasse, 1951, nr. 14), Wiesbaden 1952, p. 131 e nota 4.

7 LEVICK, Roman colonies, pp. 35-37. 8 LEVICK, Roman colonies, pp. 56-67. In generale, su popolazione e proprietà fondiaria nella pro-

vincia di Galazia: S. MITCHELL, Population and the land in Roman Galatia, in Aufstieg und Niedergangder Römischen Welt, II 7,2, pp. 1053-1081.

9 Su questo verte il contributo di M. Sordi nel presente volume. M. CHRISTOL - T. DREW-BEAR,Les Sergii Paulli et Antioche, in Actes du IerCongrès International sur Antioche de Piside (infra, nota 10),pp. 177-191, riconsiderano lo stemma familiare dei Sergii Paulli e i loro legami con gentes italiche diAntiochia fortemente rappresentative. Senza valide ragioni essi non accettano, o ignorano (pp. 188sg.), quanto è affermato in At. 13, 12 circa la conversione del proconsole Sergio Paolo: tÒte ≥dën o

¢nqÚpatoj tÕ gegonÕj œp∂steusen, œkplhssÒmenoj œpπ tÍ didakÍ toà Kur∂ou. Vd. anche MITCHELL,Anatolia, II, pp. 6 sg.

10 Ai discorsi di Paolo, ai suoi viaggi, ai destinatari dei suoi discorsi e delle sue lettere, in generalealla sua vita è dedicata la I sezione (Epoque paléochrétienne) di T. DREW-BEAR - M. TA~LIALAN, C.M.THOMAS (edd.), Actes du IerCongrès International sur Antioche de Piside, Paris 2002. MITCHELL, Anato-lia, II, pp. 3-10. Sui possedimenti fondiari dei Sergii Paulli: CHRISTOL - DREW-BEAR, Les Sergii Paulli etAntioche, pp. 181 sg. e nota 21.

Il 25 è il terminus post quem per la fondazione delle colonie di veteranivoluta da Augusto, evento senza precedenti secondo il Vittinghoff per la lo-ro collocazione così all’interno del territorio6, e appare anche la data piùprobabile per la fondazione di esse, come suggeriscono alcune emissionimonetarie di Antiochia, Cremna e Lystra probabilmente celebrative del cen-tenario della loro fondazione7. Per analogia, anche le altre colonie ‘pisidie’ –Comama, Olbasa, Parlais – potrebbero essere datate ugualmente al 25; intutti i casi esse dovettero essere fondate entro la fine dell’ultima decade del Isecolo a.C.: l’anno 6 a.C. o poco dopo, come si è detto, segna la definitivapacificazione del territorio e l’inizio di un lungo periodo di benessere grazieanche al sistema efficiente di strade e di difesa, quest’ultimo costituito ap-punto dalle colonie.

La definizione dell’anno 25 per l’istituzione della provincia risulta impor-tante per qualche considerazione sulla provenienza dei veterani legionari de-dotti nelle colonie, uno dei tanti aspetti, ma tra i più significativi, del quadrocomplessivo già ricostruito magistralmente, quasi quarant’anni or sono, daBarbara Levick8. La composizione antropica delle colonie consente, tra l’al-tro, di conoscere meglio la composizione delle popolazioni dei territori at-traversati dall’apostolo Paolo nel corso del suo primo viaggio, che lo portò aCipro, dove convertì alla fede cristiana il proconsole Sergio Paolo9, e succes-sivamente ad Antiochia di Pisidia, e poi, seguendo probabilmente il suggeri-mento del proconsole, sempre più all’interno del territorio fino ai centri diIconio, Listri e Derbe in Licaonia10.

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Origine e provenienza delle gentes italiche nella provincia di Galazia 153

11 LEVICK, Roman colonies, pp. 56-67. 12 LEVICK, Roman colonies, p. 58. La storia delle legioni V e VII è stata ripercorsa di recente da

K. STROBEL, Zur Geschichte der Legiones V (Macedonica) und VII (Claudia pia fidelis) in der frühenKaiserzeit und zur Stellung der Provinz Galatia in der augusteischen Heeresgeschichte, in Y. LE BOHEC

(ed.), Les légions de Rome sous le Haut-Empire (Actes du Congrès de Lyon, 17-19 septembre 1998),Lyon 2000, pp. 515-528, soprattutto 520-523, 526-528.

13 M. CHRISTOL - T. DREW-BEAR, Vétérans et soldats légionnaires à Antioche en Pisidie, in G. PACI

(ed.), Epigrafia romana in area adriatica (Actes de la IXe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphiedu monde romain, Macerata, 10-11 novembre 1995), Macerata 1998, pp. 303-332 (cfr. “AE” 1998,1386-1389).

14 HOET-VAN CAUWENBERGE, Statius Anicius, pp. 154 sg. («Anicius est donc à ajouter à la liste despremiers colons, originaires d’Italie et venus s’installer à Antioche», p. 155). Sull’origine degli Aniciiconosciuti in età repubblicana, da Praeneste: H.G. GUNDEL, s.v. Anicius, in Kleine Pauly, I, c. 353.

15 E. COLLAS-HEDDELAND, Une famille bilingue d’Antioche, in Actes du Ier Congrès International surAntioche de Piside, pp. 169-175 (cfr. “AE” 2002, 1455 a-b). Inoltre CHRISTOL - DREW-BEAR, in “AnatoliaAntiqua”, 10, 2002, pp. 277-286 (N. Numisius, praefectus Augusti Caesaris); cfr. “AE” 2002, 1452.

16 Sull’ipotesi avanzata da S. MITCHELL, Legio VII and the garrison of Augustan Galatia, in “CQ”n.s. 26, 1976, pp. 298-308, e prima da R. Syme: CHRISTOL - DREW-BEAR, Vétérans et soldats légionnai-res, pp. 305, 309-311.

La possibilità di individuare la presenza di gentes italiche è naturalmentelegata all’onomastica presente nell’epigrafia del territorio, in modo partico-lare di Antiochia, che era il centro di maggiore importanza tra quelli interes-sati dalla colonizzazione. Questa indagine, compiuta a suo tempo dalla Le-vick con molta prudenza data l’insidiosità del procedimento, ha messo inevidenza alcuni gentilizi ‘sufficientemente’ rari e perciò significativi per indi-viduarne la provenienza11.

Una breve ricognizione dei dati non sarà inutile. È noto che alla fondazione delle colonie dedotte nel o dal 25 in poi parte-

ciparono veterani delle legioni augustee che, in particolare, la fondazione diAntiochia è attribuibile ai veterani della legione V Gallica e della VII12. Lanotizia è rilevabile dai documenti epigrafici ed è ampiamente confermatadai recenti ritrovamenti di nuove iscrizioni13 – ben 5 su un totale di 11 – tut-te relative a veterani della V Gallica, alla quale doveva appartenere la mag-gior parte dei coloni; le testimonianze relative alla VII provenienti da Antio-chia sono soltanto due, quella di un veterano e quella di un miles, forse an-ch’egli veterano. A tutte queste iscrizioni sono da aggiungere altre, comun-que riferibili al tempo della rifondazione augustea della città o di poco po-steriori, come l’iscrizione di St(atius) Anicius, di recente rinvenimento, forseda annoverare fra i primi coloni venuti a installarsi ad Antiochia14, ed altrepertinenti a coloni di seconda generazione ma non più tarde15.

Tra i nuovi documenti provenienti da Antiochia, come si è detto, non cisono attestazioni (di veterani) della VII e ciò, pur in un campione epigraficoridotto, lascia aperta l’ipotesi che i soldati che militavano in quella legionenon avessero partecipato alla deduzione della colonia16. La VII legione si sa-

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154 Alfredo Valvo

17 Dati provvisori (nome, origini, età, luoghi di ritrovamento delle iscrizioni ecc.) in MITCHELL,Legio VII, pp. 305 sg.

18 LEVICK, Roman colonies, pp. 200 sg. 19 Ibidem. 20 B.G. VIII 8, 2. Cfr. LEVICK, Roman colonies, loc. cit.21 LEVICK, Roman colonies, loc. cit.22 Sui Cissonii LEVICK, Roman colonies, pp. 61 sg., 202 (l’inizio della campagna di Crasso risale al

31 in base a Luc. IV 177 sgg.).

rebbe potuta trovare nei pressi di Antiochia per ragioni di servizio. Infatti, sesono soltanto due le testimonianze di legionari appartenenti alla VII prove-nienti da Antiochia, sono invece numerose quelle relative a legionari, vetera-ni e non, sempre della VII, non pochi dei quali morti in servizio, rinvenutein altre città dell’Asia Minore. Frequentemente i legionari di questa legioneportano nomina di origine italica ma alcuni di loro sono originari della Gala-zia e della Macedonia17: in molti casi si tratta, probabilmente, di discendentidei coloni romani. Ma dato che uno o forse entrambi i soldati della VII deiquali è stato rinvenuto l’epitafio ad Antiochia sono veterani, come la quasitotalità dei soldati della V, fa pensare che anche i veterani della VII abbianopartecipato alla fondazione della colonia. In tutti i casi, entrambe le legionihanno una storia e un’origine comune: vennero infatti arruolate da Cesare.

La V Gallica non è da identificare con la V Alaudae, arruolata da Cesarenella Narbonense intorno al 51, ma con la V Macedonica; i veterani avrebbe-ro preferito ricordare l’origine e il nome più glorioso di Gallica anzichéquello di Macedonica18. Questa legione, nel 43, avrebbe fatto parte delle for-ze di Munazio Planco ed era costituita quasi esclusivamente da elementi ita-lici, compresi quelli provenienti dalla Gallia Cisalpina. È possibile che fosseuna delle legioni che raggiunsero Antonio in Oriente dopo il trattato diBrindisi (40 a.C.)19.

Anche la VII era stata arruolata da Cesare e aveva combattuto nella cam-pagna di Gallia20: era quindi una delle sue legioni ‘storiche’. Stanziati i vete-rani in Campania dopo il congedo, la legione venne ricostituita da Ottavia-no e prese parte alla guerra di Modena, alla battaglia di Filippi, alla guerradi Perugia e, infine, all’ammutinamento in Sicilia. Dopo di che tutti coloroche avevano raggiunto i dieci anni di servizio furono congedati21.

Sarebbero stati i veterani di queste due legioni a colonizzare Antiochia. Èsingolare, nota la Levick, che tra le poche testimonianze epigrafiche due –una riferentesi alla legio V e una alla VII – restituiscano un identico gentili-zio, Cissonius, che indica la medesima provenienza, forse anche dalla mede-sima città; ma l’arruolamento dei due Cissonii può essere avvenuto in un las-so di tempo piuttosto ampio: in pratica, fra l’inizio delle guerre civili, nel 49,e l’inizio della campagna di Crasso nei Balcani, verso il 3122.

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Origine e provenienza delle gentes italiche nella provincia di Galazia 155

23 Cass. Dio LIV 25, 6.24 Cass. Dio, loc. cit.: Ãn d‹ Ó te ¢riqmÕj tîn œtîn to√j m‹n dorufÒroij dèdeka to√j d' ¥lloij

Œkka∂deka... 25 P.A. BRUNT, The army and the land in the roman revolution, in “JRS” 52, 1962, pp. 75, 80-82. 26 Ann. I 17, 2-3, 5: …tricena aut quadragena stipendia senes et plerique truncato ex vulneribus cor-

pore tolerarent etc; cfr. 31,1; 36,3. 27 Cfr. BRUNT, The army and the land, p. 85. 28 Ibidem. 29 Ibidem. 30 CHRISTOL - DREW-BEAR, Vétérans et soldats légionnaires, pp. 321-323 (Carbo), 323-325 (Ceius),

325-329 (Vibius), 329 sg. (Mannaeus). Cfr. “AE”, 1998, 1386-1389.

A queste considerazioni sono da aggiungere alcune altre sul congedo deiveterani e sulla riforma operata da Augusto, nel 13 a.C., quando la duratadel servizio legionario, che ultimamente si era progressivamente allungata,fu stabilita in 16 anni23 (stando alla fonte che lo menziona24, il provvedi-mento doveva essere, nelle intenzioni, una concessione ai soldati). In pre-cedenza – durante il periodo che va dall’età post-sillana alle guerre trium-virali – la durata del servizio non era fissa; essa, tuttavia, poteva essere an-che lunga ma non raggiungeva, per lo più, i dieci anni25. Da Tacito26, tutta-via, sappiamo che il limite fissato da Augusto venne presto disatteso dallostesso Principe; l’allungamento della ferma militare provocò le proteste eperfino l’ammutinamento delle legioni dislocate sul Reno e sul Danubionel 14 d.C.

Gli effettivi delle legioni V e VII erano sicuramente di provenienza itali-ca, anche perché entrambe erano state arruolate da Cesare; solo i rincalzi ele reclute avrebbero potuto essere arruolati in altri territori, ma ciò in misu-ra limitata e tenendo conto che la V continuava a farsi chiamare Gallica enon Macedonica. Perciò i veterani congedati nell’anno 25 dovevano avere alloro attivo non pochi anni di servizio, e risalendo gli ultimi arruolamenti inItalia, in età repubblicana, agli anni 44, 43 e 41 a.C., essi dovevano aver ma-turato dai 16 ai 19 anni di servizio27.

Le fonti dalle quali provengono le notizie più dettagliate sull’arruolamen-to in Italia sono Cicerone, Appiano e Cassio Dione28. Le regioni dell’Italiamaggiormente interessate dall’arruolamento furono in quegli anni la Cisalpi-na (nel 44-43 e nel 41), l’Etruria (44, 43), il Piceno (43), Lazio e Campania(44, 43), Sannio (44) e i territori abitati da Marsi, Peligni e Marrucini (43)29.Non stupisce, quindi, che tra i nomina più rari individuati dalla Levick, aiquali se ne possono aggiungere alcuni altri di notevole interesse tra quelliche compaiono nelle nuove iscrizioni di militari e veterani venute recen-temente alla luce ad Antiochia e nel suo territorio30, compaiano numerosinomina di certa o assai probabile origine etrusca e cisalpina: soltanto fra iveterani, il già citato Cissonius per tre volte (i due veterani più il fratello del

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31 Sui Cissonii: supra, nota 22; CHRISTOL - DREW-BEAR, Vétérans et soldats légionnaires, pp. 307-309, 318-321.

32 LEVICK, Roman colonies, p. 61: Campinei, Campasius, Capatine, Campatius; CHRISTOL - DREW-BEAR, Vétérans et soldats légionnaires, p. 312.

33 Nella seconda metà del IV secolo si conosce, a Clusium, un L. Tiberius Maefanas Basilius, etru-sco, che ricorda un altro personaggio di età tiberiana, C. Terentius Bassus Maefanas Etruscus, bresciano,menzionato in una iscrizione di hospitium rinvenuta a Clunia (CIL II 5792 = ILS 6102) e nell’epitafiodel suo servo Panthagatus, rinvenuto a Brescia (I.It. X, V 468): A. VALVO, Onomastica e integrazione de-gli Etruschi nell’Italia settentrionale. Due cavalieri di Brixia di età giulio-claudia, in L. AIGNER-FORESTI

(ed.), Die Integration der Etrusker und das Weiterwirken etruskischen Kulturgutes im republikanischenund kaiserzeitlichen Rom (Atti del Convegno internazionale, Vienna 29.5-1.6.1995) (“SAWW”, Bd.658), Wien 1998, pp. 187-203.

34 Supra, nota 30. 35 LEVICK, Roman colonies, pp. 94 sg. 36 Recentemente è stato pubblicato anche il catalogo delle iscrizioni greche e latine conservate nel

Museo Archeologico di Konya (Iconium): B.H. MCLEAN, Greek and Latin Inscriptions in the Konya Ar-chaeological Museum (The British Institute of Archaeology at Ankara, Monograph 29), London 2002.

37 In generale A.J.N. WILSON, Emigration from Italy in the Republican Age of Rome, Manchester1966; LEVICK, Roman colonies, pp. 56 sgg. Il quadro delineato da J. HATZFELD, Les trafiquants italiensdans l’Orient hellénique, Paris 1919, è parzialmente aggiornato da N.K. RAUH, Senators and business inthe Roman Republic, 264-44 B.C., Diss. University of North Carolina, Chapel Hill 1986.

38 Memnon, 22 Jacoby: kaπ polloπ peisq◊ntej tosoàton fÒnon e≥rg£santo æj muri£daj Ñktë œn

mi´ kaπ tÍ ¢utÍ hm◊rv tÕn dia\ x∂fouj Ôleqron ØpostÁnai.39 Lo stato giuridico degli abitanti delle colonie romane d’Asia Minore è oggetto di uno studio di

veterano della V)31, e Campusius, che appartiene ad una serie onomastica pre-sente nell’Etruria meridionale ma diffusa anche in area gallica italica32; Coe-lius, di antica origine etrusca (cfr. Caile); Tiberius, rinvenuto come gentiliziosoltanto a Clusium33, e tra i nuovi nomina di veterani Mannaeus, anch’esso diorigine italica centro-meridionale (con molta probabilità etrusca, meno pro-babilmente laziale o campana)34. A questi nomi molto indicativi per l’originedei veterani e quindi dell’arruolamento – il numero dei veterani stanziati nellecolonie sarebbe stato, secondo una stima prudente, di circa 9500: 3000 soload Antiochia35 – sono da avvicinare i nomi di altri Italici presenti sul territo-rio, anche se Antiochia è la città che offre maggiori riscontri36. Questi saran-no stati probabilmente negotiatores ma forse anche immigrati spontanei allaricerca di fortuna o di nuove opportunità37. Le città commerciali erano metadi chiunque volesse intraprendere scambi e cercare fortuna, anche prima del-la fondazione delle colonie. E quanti fossero gli Italici presenti in Asia più dimezzo secolo prima della fondazione delle colonie romane e dell’istituzionedella provincia di Galazia, al tempo della rivolta anti-romana scatenata daMitridate, è suggerito dal numero delle vittime riportato dalle fonti38.

Come fosse articolata la popolazione di Antiochia sotto il profilo giuridico– in breve, quanti fossero i cittadini romani e quale fosse lo stato giuridicodegli altri abitanti – è impossibile dire39. Su quasi 500 abitanti di Antiochia e

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Origine e provenienza delle gentes italiche nella provincia di Galazia 157

A. SUGLIANO, La composizione civica delle colonie romane d’Asia Minore, in M.G. ANGELI BERTINELLI -A. DONATI (edd.), Il cittadino, lo straniero, il barbaro, fra integrazione ed emarginazione nell’antichità(Atti del I Incontro Internazionale di Storia Antica, Genova, 22-24 maggio 2003), Roma 2005, pp. 437-452. Per quanto riguarda gli abitanti di Antiochia di Pisidia, l’A. accoglie la posizione della Levick(pp. 440 sg.); circa la composizione civica delle colonie romane d’Asia Minore conclude che «soltantouna minoranza degli antichi cittadini … fu rapidamente integrata nel nuovo corpo civico; la maggio-ranza fu declassata alla condizione di non-cittadini», salvo recuperare nel corso dei secoli successivi idiritti politici come cives Romani (p. 452).

40 LEVICK, Roman colonies, pp. 75, 98. 41 LEVICK, Roman colonies, pp. 75 sg. 42 M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR - M. TA~LIALAN, L’empereur Claude, le chevalier C. Caristanius

Fronto Caesianus Iullus et le culte impérial à Antioche de Pisidie, in “Tyche” 16, 2001, pp. 1-20 e tavv. 1,2. Cfr. “AE”, 2001, 1918-1920.

43 CHRISTOL - DREW-BEAR, Les Sergii Paulli et Antioche, pp. 180 sg., correggono, sulla base di unanuova iscrizione, il nome della moglie di C. Caristanius Fronto, legatus Augusti pro praetore sotto l’im-peratore Domiziano, in Calpurnia Paulla. I Caristanii, dunque, si sarebbero imparentati non con i Ser-gii bensì con i Calpurnii di Antiochia (riferimenti nel testo e in nota). Cfr. AE 2002, 1456-1458.

44 LEVICK, Roman colonies, pp. 111-113 e passim.

del suo territorio conosciuti circa 300 sono in possesso della cittadinanza ro-mana40; di questi non meno di un quarto sono veterani o probabili discen-denti dei coloni originari o dipendenti delle famiglie di questi. È naturale chenon tutti i residenti della colonia fossero cittadini. In generale l’accesso allacittadinanza romana degli altri abitanti della colonia di Antiochia, forse ri-dotti a semplici incolae, fu graduale, come sembrano attestare i numerosi Iu-lii, Flavii e Ulpii nonché i gentilizi risalenti a governatori della provincia an-teriori al regno di Adriano41.

Fra gli aspetti che meritano una considerazione particolare mi pare ci siala presenza marcata, più facilmente individuabile grazie alla rarità dei genti-lizi, che è indice di appartenenza a strati non elevati della popolazione, dicittadini romani di origine e molto probabilmente anche di provenienzaetrusca. Di alcuni veterani conosciuti si è già detto: i Cissonii, i Campusii edanche i Tiberii e forse i Coelii risaltano all’interno del numero esiguo deiveterani conosciuti, ma numerosi altri gentilizi di origine etrusca sono facil-mente individuabili fra i cittadini romani di Antiochia: primi fra tutti i Caris-tanii, gens alla quale apparteneva il praefectus Caristanius Fronto, che meritòla prima statua eretta dalla colonia e del quale rimangono testimonianze delculto prestato all’imperatore Claudio ad Antiochia;42 questi apparteneva allaseconda generazione dei coloni e il padre doveva essere stato uno dei fonda-tori della colonia. Un Caristanius avrebbe sposato una Calpurnia Paulla, enon, come si è creduto fino a poco tempo fa, una Sergia Paulla, presuntadiscendente dei Sergii Paulli, famiglia alla quale apparteneva il governatoredi Cipro nel 46-4743. I Caristanii occupano la posizione di maggior rilievoad Antiochia nel I secolo d.C.44.

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45 LEVICK, Roman colonies, pp. 113-116 e passim.46 J. HEURGON, Vita quotidiana degli Etruschi, trad. ital. Milano 1963, p. 120. 47 LEVICK, Roman colonies, p. 77. Cfr. Liv. II 14, 9; Tac. Ann. IV 65; Plaut. Curc. 482 (in Tusco vi-

co, ibi sunt homines qui ipsi sese venditant); Hor. Sat. II 3,228 (Tusci turba impia vici).

Anche i Flavonii, che subentrarono ai Caristanii nel primato cittadino45,erano di origine etrusca. Ciò è forse casuale ma, conoscendo la propensioneetrusca per l’endogamia, testimoniata dalla tradizione letteraria e dall’epi-grafia, potrebbe anche suggerire un primato cittadino favorito da una politi-ca familiare e matrimoniale46. Ancora etruschi sono i Visennii: T. VisenniusMaximus e suo figlio posero una stele al dio Mên; i Vaternii e i Nerutii, gliEvii, forse i Caesidii. Dalle altre colonie non provengono indicazioni onoma-stiche di particolare rilievo, ma a Lystra sono presenti il nomen Ancharenus,portato da due donne, Livineius, anch’esso di provenienza etrusca, e com-pare anche un Cillius, sicuramente derivato dal prestigioso nomen etruscoCilnius, sebbene se ne ignori la storia.

Queste tracce residue della generazione dei coloni e di quelle immediata-mente seguenti non consentono di generalizzare ma permettono ugualmentedi affermare che la presenza etrusca nella colonizzazione di Antiochia fuconsistente e che la presenza nella città lo fu altrettanto se uno dei vici neiquali essa era stata divisa – ne conosciamo sette ma potevano essere di più –venne chiamato Tuscus: vicus Tuscus, che richiamava un quartiere di Roma,come alcuni degli altri vici: Venerius, Aedilicius, Velabrus, Patricius, Cerma-lus, Salutaris. Stupisce la presenza di un vicus Tuscus, che non godeva la mi-glior fama a Roma47, ma assume un significato assai preciso poiché di quelliappena nominati è l’unico che derivi il nome da un popolo: altre ragioni èdifficile trovarne. Cosicché la fondazione coloniaria di Antiochia si rivelasempre più ‘etrusca’ nelle sue componenti originarie, umane e ideali, sebbe-ne non vi siano riscontri di pratiche religiose e credenze etrusche o italichenelle dediche a divinità.

Nel corso del I secolo a.C., in numerose circostanze, il popolo etruscosubì pesanti espropri con la conseguente diaspora: la militanza mariana erastata la causa prossima dei rovesci politici subìti con Silla, e la conclusionedel ciclo dei saecula etruschi, che si seguivano a breve distanza uno dall’altro– l’VIII si concluse nell’88, il IX nel 44 e il brevissimo X saeculum nel 40, lostesso anno della guerra di Perugia – sintetizzano il destino di questo popo-lo. Se per i veterani era abitudine rientrare in patria dopo aver concluso ilservizio, per i militari etruschi sarebbe stato difficile rientrare in patria: viavrebbero trovato i veterani di Silla o i loro discendenti, e la dimissione deglieserciti triumvirali aveva esaurito ciò che restava della terra in Italia. È possi-bile che l’intenso reclutamento operato in Cisalpina e in Etruria fra 43 e 41

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48 N.h. III 5, 52.49 Della diaspora e dell’orgoglio della propria origine etrusca si possono considerare significativi

esempi i tular Dardanium di Tunisia (sui quali A. VALVO, Un frammento di mitologia etrusca in Servio?in L. BELLONI - G. MILANESE - A. PORRO [edd.], Studia classica Iohanni Tarditi oblata, Milano 1995,pp. 1198 sgg. e nota 47, ove notizie bibliografiche); il cognomen Tuscus, raro in Etruria e invece diffusofra gli Etruschi presenti nelle file dei sertoriani (I. KAJANTO, The Latin Cognomina, Helsinki - Hel-singfors 1965, p. 188; R. SYME, L’aristocrazia augustea, trad. ital. Milano 1993, p. 449); polionimi comeC. Terentius Bassus Mefanas Etruscus, di età tiberiana (sul quale supra nota 33).

50 G.L. GREGORI, Brescia romana, II, Roma 1999, pp. 181. 51 Op. cit., p. 182.

avesse costituito una valvola di sfogo e un’opportunità di miglioramento peruna parte degli Etruschi: i nomi quasi sempre rari, cioè altrimenti sconosciu-ti perché appartenenti ai bassi strati della società, forse rappresentati da pic-coli proprietari, impoveriti dalle condizioni sempre più precarie della resi-dua proprietà fondiaria – la provenienza di alcuni da Clusium richiama i Clu-sini veteres e i Clusini novi ricordati da Plinio48 – inducono a pensare che lafondazione delle colonie augustee abbia rappresentato per molti di loro l’op-portunità di ricostituire una piccola patria e di rifarsi una vita49.

Ci sfuggono, tuttavia, i legami matrimoniali di molti di loro. Delle iscri-zioni dei soldati e dei veterani rinvenute ad Antiochia – come si è detto, 11in totale – una sola restituisce un nome femminile, Vibia, per di più anch’es-so ampiamente diffuso in Etruria: L(ucio) Pompo/nio Nigro / vet(erano) /leg(ionis) V Gal(licae) / scribai q(uaestorio) / Urbanus l(ibertus) / et Viviai(pro Vibiae).

Le iscrizioni di veterani sono spesso reticenti, piuttosto inspiegabilmente,sulla loro vita privata e soprattutto sulle loro unioni matrimoniali. Questo siriscontra anche altrove: per esempio, a Brescia, che fornì come poche altrecittà dell’Italia un numero elevato di militari. Si ricordano, infatti, circa cin-quanta legionari e 4 ausiliari, e quasi 20 pretoriani; quasi tutti i legionari egli ausiliari prestarono servizio nel I secolo d.C., certamente in età giulio-claudia; dei legionari conosciuti una ventina erano veterani e solo 4 di lorosembra che non siano ritornati in patria50. Considerando le iscrizioni di tuttiquesti militari abbiamo sicura notizia di un legame, che definiremo matri-moniale per brevità, solo per tre veterani che erano ritornati in patria: unosposò una ingenua, un secondo una liberta, un terzo convisse con una pere-grina51. Il fatto, poi, che gli altri legionari dei quali abbiamo notizia, quasisempre attraverso iscrizioni funerarie, non siano ricordati né ricordino don-ne con le quali strinsero un vincolo di matrimonio o comunque un legame(pro uxore habere) è spiegabile col fatto che siano morti durante il servizio,ma rimane comunque difficile credere che quasi nessuno – semplice miles oveteranus – avesse un legame affettivo.

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160 Alfredo Valvo

52 Il problema è stato affrontato da S.E. PHANG, The marriage of roman soldiers (13 BC - AD 235),Leiden - Boston - Köln 2001, pp. 115-133. Forse il divieto era contenuto in una costituzione titolata di-sciplina Augusti: pp. 123 sg.

53 PHANG, The marriage of roman soldiers, pp. 345-350. 54 P.A. BRUNT, Italian manpower 225 B.C. - A.D. 14, Oxford 1971, p. 247. 55 LEVICK, Roman colonies, pp. 75 sg. 56 Ulp. 5, 4: Conubium habent cives Romani cum civibus Romanis; cum Latinis et peregrinis ita, si

concessum sit. Cfr. Gaius 1, 57: veteranis concedi solet principalibus constitutionibus conubium cum Lati-nis peregrinisve, quas primas post missionem uxores duxerint. Ciò riguarda la concessione del conubiumai veterani ausiliari, contestualmente alla civitas, a partire dal tempo di Claudio.

57 BRUNT, Italian manpower, p. 253. 58 BRUNT, Italian manpower, p. 248.

È probabile che il divieto fatto ai legionari di contrarre matrimonio inservizio, molto probabilmente voluto da Augusto52, rispondesse a diverseesigenze, tra le quali, principalmente, garantire una maggiore mobilità del-l’esercito, mantenere bassi i costi e poter dedurre liberamente i veterani co-me coloni53, ed è altrettanto probabile che la rigida disciplina militare appli-cata da Augusto inducesse i legionari a sorvolare sulla propria vita privataper evitare imbarazzanti ammissioni54, poiché risulta poco credibile che l’e-sito del servizio militare legionario, alla scadenza della ferma come veterano,fosse quello di ritornare in patria per condurvi quasi invariabilmente una vi-ta da scapolo.

Tornando alle fondazioni coloniarie di Augusto, ritengo che le coloniefondate nella lontana Pisidia e in Licaonia non avrebbero potuto consolidar-si senza una presenza stabile o crescente di cittadini romani. Questo si pote-va ottenere richiamando le mogli dei legionari che avessero contratto matri-monio prima dell’arruolamento o durante la ferma (prima del 13 a.C. erapossibile ma sicuramente non frequente), ma trattandosi di veterani con unnumero di anni di servizio che oscillava da 16 a 19, dovremmo ipotizzare, daparte delle loro mogli, una pazienza paragonabile solo a quella di Penelopee la disponibilità a lasciare persone e luoghi dove avevano condotto la loroesistenza fino allora per trasferirsi in luoghi sconosciuti e forse inospitali;oppure concedendo la cittadinanza romana a famiglie locali – come pare siaaccaduto: però la Levick aggiunge che ciò sarebbe avvenuto nel corso di al-meno un secolo55 – e favorendo le unioni con i veterani romani; oppure –ipotesi che ritengo preferibile – concedendo il conubium, che rappresentavauno strumento duttile, destinato a singoli individui, che non comportava laconcessione della cittadinanza56.

La questione è stata posta in termini generali da Peter Brunt, il quale, perquanto riguarda Antiochia di Pisidia, condivide le conclusioni dellaLevick57. Egli, tuttavia, ritiene che la concessione del conubium a veterani epretoriani sia un uso ‘tardo’ del Principato58. Io credo, invece, che la con-

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59 Cfr. A.N. SHERWIN-WHITE, The Roman Citizenship, Oxford 19732, p. 107. 60 Sulla questione: A. VALVO, I diplomi militari e la politica di integrazione dell’imperatore Claudio,

in G. URSO (ed.), Integrazione mescolanza rifiuto. Incontri di popoli, lingue e culture in Europa dall’Anti-chità all’Umanesimo (Atti del Convegno internazionale, Cividale del Friuli, 21-23 settembre 2000), Ro-ma 2001, pp. 151-167; ID., Veterani ex legionibus instrumentum accipere non solent, in “Athenaeum”91, 2003, pp. 173-184, entrambi con bibliografia risalente.

cessione, su richiesta, del conubium da parte dell’imperatore Claudio, insie-me con la civitas, ai veterani ausiliari al momento del congedo (ai pretorianivenne concesso soltanto a partire dall’età di Vespasiano), continuasse laprassi corrente nell’uso di questo strumento – forse avviata, comunque giàimpiegata da Augusto – uno dei più antichi iura riconosciuti ai Latini, per lasua applicabilità in molte circostanze nelle quali Roma venne a trovarsi nelcorso della sua storia, sempre legata e aperta all’integrazione di nuovi popo-li. La concessione del conubium consentiva una parziale e limitata romaniz-zazione, senza implicare la cittadinanza; in questo modo i beneficiari pote-vano conservare uno stato giuridico proprio, le proprie tradizioni ed even-tualmente anche le forme di diritto preesistenti. Che tutto ciò avesse gene-ralmente una rilevanza notevole per le popolazioni con stato giuridico diver-so da quello romano, e stesse a cuore anche a Roma, lo dimostrano sia la li-mitazione del ius migrandi, richiesta a più riprese (nel 187 e nel 177 a.C.)59

da alcune città italiche di diritto latino per evitare lo spopolamento: il ri-schio era che si trasferissero a Roma gli esponenti più abbienti della comu-nità per acquisire la cittadinanza e avere maggiori opportunità di svilupparele proprie iniziative politiche ed economiche; e sia la clausola, presente in al-cuni trattati conclusi al principio del II secolo a.C. e ricordata da Ciceronenella pro Balbo (14, 32): nequis eorum a nobis civis recipiatur (quaedam foe-dera exstant, ut Cenomanorum Insubrium Helvetiorum Iapydum nonnullo-rum item ex Gallia barbarorum, quorum in foederibus exceptum est, nequiseorum a nobis civis recipiatur): la limitazione nella concessione individualedella cittadinanza contribuiva ad evitare che le comunità alleate venisserodepauperate di elementi importanti, in grado di contribuire allo sviluppoeconomico delle loro civitates.

Credo, perciò, che nel caso della fondazione della colonia di Antiochia diPisidia ci troviamo di fronte ad un interessante passo avanti nell’integrazio-ne delle popolazioni più lontane, geograficamente e culturalmente, dallospirito e dalle tradizioni romane, che anticipa e costituisce un precedentedella concessione della civitas e del conubium ai veterani ausiliari, ai loro fi-gli e, inizialmente, anche ai loro discendenti, della quale ci informano i di-plomi militari60. Un processo di integrazione imperniato sulla carriera deimilitari, sulle modalità e la durata del loro servizio e sulle norme che regola-

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* Ringrazio dei loro interventi, utili al completamento del presente lavoro, i Proff. Laura Boffo,Domitilla Campanile, Helmut Halfmann, Maurice Sartre, Marta Sordi, Chrysanthe Tsitsiou-Chelidonie Giuseppe Zecchini.

vano la vita militare. Gli esempi di liberalità nella concessione della civitas aveterani, navarchi e civitates (è il caso di Volubilis al tempo di Claudio, nel44) presentati dal Brunt non costituiscono precedenti né sono in contraddi-zione con la concessione del conubium poiché si tratta di ricompense con-cesse in circostanze eccezionali.

* * *

Nel corso del suo primo viaggio in Asia Minore l’apostolo Paolo incontròcertamente una nutrita presenza di Romani, e probabilmente anche di indi-geni romanizzati, ad Antiochia e nelle altre città da lui visitate, sebbene gliAtti non lo dicano esplicitamente e neppure la lettera ai Galati, scritta fra il53-54 e il 57. Un passo di questa, tuttavia (4, 1-2), sembra rivolto ad un udi-torio che avesse consuetudine con le norme del diritto romano, che non ri-conosce come soggetto giuridico l’erede che non abbia raggiunto la maggio-re età, il quale viene perciò a trovarsi in una condizione analoga a quella ser-vile: coloro che stanno sotto la legge, dice Paolo, sono come l’erede che nonabbia raggiunto la maggiore età: [dalla Vulgata] Quanto tempore heres par-vulus est, nihil differt a servo, cum sit dominus omnium, sed sub tutoribus etactoribus est usque ad praefinitum tempus a patre.

Romano fra Romani o romanizzati, Paolo era certo di essere compreso ri-correndo al diritto di Roma per esemplificare il messaggio divino*.

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Da S. MITCHELL, Anatolia, I, Map 5, p. 78.

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1 M. TALIAFERRO BOATWRIGHT (2000), 4.

ITALISCHE URSPRÜNGE BEI RITTERN UND SENATOREN AUS KLEINASIEN

HELMUT HALFMANN

„Die Geschichte des Römischen Reiches ist gekennzeichnet durch dieWechselwirkung von Überzeugung und Gewalt in den Beziehungen zwi-schen Rom auf der einen und seinen Städten und Provinzen auf der ande-ren Seite – the history of the Roman empire is marked by the interplay of per-suasion and force in the relationships between Rome, on the one hand, and itscities and provinces, on the other“. Aus diesem hier beispielhaft zitierten,aber prägnant formulierten Satz von Mary Taliaferro Boatwright1 greife ichden Teilbereich der persuasion heraus und hier einen Aspekt der bekanntenTatsache, dass die Integration der ehemals autonomen Oberschichten derunterworfenen Gebiete in die römische Gesellschaft einen wesentlichenEckpfeiler der Stabilität der römischen Weltherrschaft bildete. Ebenso be-kannt ist das Phänomen, dass wir innerhalb der Gruppe der nunmehr pro-vinzialen Oberschicht, aus der sich dann römische Ritter und Senatoren re-krutierten, zwei Typen unterscheiden müssen: einerseits solche Familien,deren Ursprünge, soweit sie ihren Stammbaum zurückverfolgen konnten, inder betreffenden Region lagen, und andererseits solche, die ursprünglichaus Italien stammten und sich – aus welchen Gründen auch immer – alsrömische Bürger und damit als Angehörige der Siegermacht in den unter-worfenen außeritalischen Gebieten dauernd niedergelassen hatten. Da wiruns hier mit Kleinasien befassen, so nimmt man in vielen Fällen als sicheroder wahrscheinlich an, dass von dort gebürtige Senatoren aus Familien ita-lischer Einwanderer stammten, sowohl aufgrund der lateinisch-italischenNamensformen der Betroffenen als auch der Herkunftsorte, die sich als rö-mische Veteranenkolonien oder als griechische Poleis mit einem hohen An-teil italischer Immigrantenfamilien präsentieren. Nun ist es aber keineswegsso, dass alle die genannten Zentren mit italischer Bevölkerung ihre Söhnemehr oder weniger in gleich großer Anzahl in den Ritter- oder Senatoren-stand hätten entsenden können. Vielmehr lassen sich eindeutige regionaleSchwerpunkte, daneben auch eine zeitliche Staffelung ausmachen. Es geht

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2 H. HALFMANN (2001).3 J. HATZFELD (1919); A.J.N. WILSON (1966); F. CASSOLA (1970-1971); C. MÜLLER - C. HASE-

NOHR (2002).

mir hier um einen Versuch, diese Unterschiede festzustellen und sie dann zuerklären, da ihnen ganz offensichtlich ein jeweils spezifisches historischesUmfeld der betreffenden Städte zugrunde liegt, in dem sich wiederum einebestimmte Bevölkerungsstruktur ausbildete – kurzum, es geht letztlich umeine „Stadttypologie“, die die unterschiedlichen Chancen ihrer lokalenOberschicht bestimmte, in den Ritter- oder Senatorenstand aufzusteigen.

Wir haben es bei diesen Stadttypologien natürlich mit einem komplexenPhänomen zu tun, am Beispiel von Pergamon und Ephesus habe ich ver-sucht, entlang der architektonischen Entwicklung zwei verschiedene Typenzu vergleichen, denjenigen einer königlichen Residenzstadt und denjenigeneiner Hafenstadt, die sich hinter dem äußeren Erscheinungsbild und deneinzelnen Phasen der Entwicklung erkennen lassen2. Mit ‚Typologie’ meineich auch die Zusammensetzung, das Selbstverständnis der lokalen Ober-schicht, ob und wie die genuin griechische oder eben aus Italien stammendeBevölkerung sich (re-)präsentierte, welchen Anteil eine besondere Aufmerk-samkeit und Gunst von Seiten des Kaisers am „Profil“ der Stadt trägt imGegensatz zu anderen Städten. Solch eine konkrete Ausgestaltung hängtwiederum ab von allgemeineren Faktoren wie historisch-politische Entwick-lungen, wirtschaftliche und naturräumliche Gegebenheiten. Die letztge-nannten und vor allem Inneranatolien betreffenden Faktoren zu definieren,dies hat insbesondere Stephen Mitchell in mehreren bedeutenden Studienunternommen; zu ihnen möchte ich einige zusätzliche Denkanstöße geben,wohl bewusst, dass sich durch Neufunde oder -forschungen das Bild ver-schieben, aber doch wohl nicht grundsätzlich ändern kann.

* * *

Die Präsenz und allmähliche Ausbreitung der ersten römischen Bürger imgriechischen Osten ist, ausgehend von dem frühen Handelszentrum Delos,vor allem für die einzelnen Landschaften Griechenlands mittlerweile gut er-forscht, weniger gut und umfassend allerdings für Kleinasien3. Delos bildeteim 2. und frühen 1. Jahrhundert v. Chr. den Anziehungspunkt für negotiato-res insbesondere Mittel- und Süditaliens, jedoch waren die Möglichkeiten inDelos, außer Reichtum auch ein steigendes Sozialprestige zu erlangen, sehrbegrenzt und reichten in keinem Fall, einer Familie als neue wirtschaftlicheund gesellschaftliche Basis für den Sprung in den römischen Senat zu die-nen. Als Hindernis grundsätzlicher Art erwies sich der schlecht beleumdeteReichtum, der mit Handels- und Geldgeschäften erworben worden war, wes-

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4 T.P. WISEMAN (1971), 77-89.5 E. DENIAUX (2002).6 C. HASENOHR (2002).

halb reiche negotiatores nicht auf die Unterstützung traditionsbewußter sena-torischer Familienclans hoffen durften; dies änderte sich erst seit der ZeitCaesars4. Zweitens blieb namentlich für die bedeutendsten unter den Han-del treibenden Familien ihre italische Heimatstadt der Lebensmittelpunkt;dort investierten sie ihren Reichtum und genossen entsprechende Ehren undAnsehen. Manche schafften, obwohl als obscuro loco nati verachtet, wohlge-merkt von ihrer italischen „Basis“ aus, den Sprung in den Senat, wie das Bei-spiel des M. Seius lehrt, Ädil des Jahres 74 v. Chr., dessen Familie, ursprüng-lich aus dem Pälignerland stammend, sich in Kampanien als Stifter ehrenließ und umfangreiche Handelsgeschäfte über Delos abwickelte5. Der Sohndes Ädils zog es übrigens vor, den Ambitionen des Vaters auf eine senatori-sche Ämterkarriere nicht zu folgen, sondern der Handelstradition der Fami-lie als römischer Ritter treu zu bleiben. Damals schufen also nur das italischeStädtewesen, die relative Nähe zu Rom und zu seinen führenden Familienüberhaupt das erforderliche Netzwerk, welches einen Aufstieg in den Senatermöglichte, wohingegen das damalige Ambiente griechischer Stadtkulturdiesbezüglich nur sehr begrenzte Möglichkeiten bot. Namentlich in Delosselbst, das politisch zu Athen gehörte, existierten weder die rechtlichen nochdie landesphysikalischen Voraussetzungen für Grunderwerb, die höchste Eh-re, die auch nur die bedeutendsten Vertreter der italischen Negotiatorenge-meinde auf Delos erreichen konnte, bestand in der Mitgliedschaft in einemder Magisterkollegien verschiedener Kultvereine6.

Delos verlor seine Funktion als Zentrum italischer Präsenz im griechi-schen Osten nach den Mithridatischen und den Seeräuberkriegen, als sichdie negotiatores verstärkt nicht nur in Griechenland sondern auch in klein-asiatischen Städten neu ansiedelten. Cicero nennt im Jahre 59 v. Chr. bei-spielhaft Pergamon, Smyrna uns Tralleis (Flacc. 39,71), der von ihm inkrimi-nierte Appuleius Decianus hatte im Gebiet der Stadt Apollonis Grund undBoden erworben, und zweifellos, wie Inschriften belegen, haben zahlreicheRömer das Bürgerrecht griechischer und kleinasiatischer Städte erhalten,was ihnen lokale Magistraturen öffnete und den Erwerb von Grundbesitzermöglichte. Einen vorläufigen Endpunkt dieser Entwicklung, die mit Caes-ars Diktatur, der Zeit des Zweiten Triumvirats und dann dem Prinzipat desAugustus mächtig vorangetrieben wurde, markieren sichtbar die zahlreichbezeugten conventus civium Romanorum bzw. die als sympoliteuomenoi Ro-maioi in den griechischen Poleis organisierten römischen Bürger. Seit Cae-sar und vor allem Augustus tritt daneben eine zweite Form der Ansiedlung

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7 S. MITCHELL (1978). 8 So R. SYME (1995), 233.9 H. HALFMANN (2001).

römischer Bürger in Kleinasien, die Veteranenkolonien, entweder – wie inden meisten Fällen – indem sie die Vorgängersiedlungen absorbieren oderaber – seltener – neben die griechische Polis treten und mit dieser dann spä-ter verschmelzen. Schließlich scheint es, wie Stephen Mitchell im Falle vonAttalia in Pamphylien und einige Gemeinden Isauriens vermutet7, geschlos-sene Veteranenansiedlungen innerhalb von griechischen Poleis gegeben zuhaben, die keinen autonomen Koloniestatus erhielten.

Damit sind die beiden Typen jener Ansiedlungsform benannt, unter derRömer italischer Herkunft sich auf Dauer in Kleinasien niedergelassen ha-ben. Aus dieser Gruppe stammt nun bekanntlich die Mehrheit jenes Perso-nenkreises, der bereits in der ersten Phase der Prinzipatszeit, also im 1.Jahrhundert n. Chr., Männer in den Senat nach Rom schickte. Genauso hatman schon immer beobachtet, dass innerhalb der Gruppe der römischenKolonien oder griechischen Poleis mit römischen Bürgern einige wenige ei-ne größere Anzahl an Senatoren als andere hervorgebracht haben8, aus denmeisten dieser Gemeinden sogar überhaupt keine ritterlichen oder senatori-schen Familien in der frühen Kaiserzeit bekannt sind, was nicht unbedingtheißt, dass es sie nicht gegeben hat, aber eine Tendenz zur Schwerpunktbil-dung ist dennoch unverkennbar. Nach den Gründen, warum die italisch-stämmigen Bewohner der einen Stadt offenbar bessere Chancen besaßen, indie Reichsaristokratie aufzusteigen, als diejenigen einer anderen, ist systema-tisch allerdings noch nicht gefragt worden.

Betrachten wir zunächst die griechischen Poleis, in denen sich römischeBürger italischer Herkunft angesiedelt hatten – und das waren fast alle –, sohat es offenbar große Unterschiede gegeben hinsichtlich Zahl, Sozialpresti-ge und Wirkungsmöglichkeiten der Italiker innerhalb der einzelnen Poleis.Eine Tendenz, die ich thesenartig formulieren möchte, scheint in die Rich-tung zu gehen, dass, je älter, stolzer, geschichtsträchtiger eine griechischePolis war, desto weniger Bedeutung ein italisches Element innerhalb ihresGesamtorganismus besaß.

Als Beispiel nehme ich drei solcher Städtetypen: Pergamon, Rhodos undAthen. Bezüglich Pergamon konnte ich zeigen9, dass Italiker und Römer ausder westlichen Reichshälfte in der einstigen Attalidenresidenz innerhalb derder lokalen Oberschicht praktisch keine Rolle spielten. Es haben sich kaumInschriften in lateinischer Sprache erhalten (ich schätze etwa 0,1%), keinemItaliker, ja überhaupt einem Nicht-Pergamener, war es möglich, mit einemöffentlichen Bauwerk als Wohltäter zu glänzen oder in städtischen Ämtern

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Italische Ursprünge bei Rittern und Senatoren aus Kleinasien 169

10 A. BRESSON (1996); DERS. (2002), 154.11 Caes. Civ. 3,102; A. BRESSON (2002), 154.12 C. HABICHT (1995), 340 ff.; S. FOLLET (2002).

oder Priesterkollegien Karriere zu machen. Demnach ist es kaum wahr-scheinlich, dass wir einen aus Pergamon gebürtigen Ritter oder Senator ken-nen lernen werden, der seine Vorfahren auf italische Immigranten zurück-führte; allein aufgrund von Pergamons sozialer Typologie sollte man vermu-ten, dass sich auch hinter den gut italisch klingenden Namen des SenatorsL. Cuspius Camerinus und seines Sohnes L. Cuspius Rufinus aus der erstenHälfte des 2. Jahrhunderts griechische Familien verbergen, die in derfrühen Kaiserzeit einer italischen gens Cuspia das römische Bürgerrecht zuverdanken hatte.

Den gleichen Konservatismus hinsichtlich städtebaulicher Formen, reli-giöser Bräuche, Sprache und Abneigung gegen fremde Elemente, speziellItalikern gegenüber, konnte Alain Bresson für Rhodos nachweisen10. So un-zweifelhaft in Rhodos wie in Pergamon italische negotiatores in der spätenRepublik bezeugt sind11, so unbedeutend müssen sie im sozialen Gefügeder Stadt gewesen sein. Nur drei nichtkaiserliche römische Gentilizia sindbezeugt, es bestand für diese Familien in Rhodos keine Chance, nur in dielokale Aristokratie, geschweige über diese hinaus in die Reichsaristokratieaufzusteigen. Athen12 hat aufgrund seines überragenden Rufes als geistigesund kulturelles Zentrum eine eigene Attraktivität auf die Römer des We-stens ausgeübt, doch haben diese in der großen Mehrzahl keine familiärenWurzeln in der Stadt geschlagen und sind Gäste geblieben. Negotiatoressind in Athen im Gegensatz zu den Intellektuellen aus Italien nur wenigebezeugt; das bekannteste Beispiel bietet Ciceros Freund T. Pomponius Atti-cus, der etwa 20 Jahre lang, von 86/5-65 v. Chr., daselbst residierte, derStadt auch eine Reihen von materiellen Wohltaten zukommen ließ, dannaber nach Italien zurückkehrte. Ebenso wie Atticus gaben auch die Gebil-deten der Kaiserzeit, sogar Angehörige des Senatorenstandes, die daseponyme Archontat übernahmen, immer nur eine Gastrolle in der Stadt, diekeine wirkliche Integration in das wirtschaftliche und soziale Leben zeitigte.

* * *

Umgekehrt bedeutet diese Feststellung nicht, dass diejenigen Städte, indenen eine zahlenmäßig starke Gruppe residierender Römer anzunehmenist, automatisch das Reservoir zahlreicher künftiger Senatorenfamilien ge-worden seien, auch wenn diese sich sogar als Stifter von Bauwerken und alslokale Magistrate als Teil des öffentlich-repräsentativen Lebens der Polisprofilieren konnten Ein markantes Beispiel bietet Ephesos, seit Augustus

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13 F. RUMSCHEID (2002).14 A.J.S. SPAWFORTH (1996).15 A.J.S. SPAWFORTH (1995); DERS. (1996), 171.16 A.J. S. SPAWFORTH (2002), 103-104.

vielleicht die „italischste“ Stadt Kleinasiens, was äußeres Erscheinungsbildund Sozialstruktur angeht. Wie bei anderen kleinasiatischen Küstenstädten,von denen die meisten aufgrund ihrer wirtschaftlichen Attraktivität ein star-kes Kontingent italischer negotiatores beherbergt haben, waren es hier nichtdie Nachkommen der italischen Einwanderer sondern die genuin einheimi-schen Familien, die in den Senat aufstiegen, und dies frühestens in der vonmir so genannten zweiten Phase, unter den flavischen Kaisern, in der Mehr-zahl erst um die Mitte des 2. Jahrhunderts. Der Titel einer Untersuchung,den Frank Rumscheid für eine Beschreibung der Situation Prienes wählte,lautet: „Den Anschluß verpasst: Priene in der (frühen) Kaiserzeit“13; erkann stellvertretend für viele andere Poleis der Westküste stehen.

Leider besitzen wir über das soziale Niveau, den Reichtum, die fami-liären Beziehungen der ersten Generation römischer negotiatores oder Kolo-nisten fast keine Angaben, die eine genauere Differenzierung erlauben wür-den. Einzig und allein im Falle von Korinth kann ich als Vergleichsbeispieleinige Sätze sagen, da wir dank einer Notiz Strabons (8,6,23; C 381) wissen,dass die cäsarische Neugründung überwiegend auf Neusiedlern mit Freige-lassenenstatus beruhte; in der Folgezeit kamen, wie Inschriften belegen,auch Händler und Kaufleute hinzu, während Veteranenfamilien einen nurverschwindend geringen Anteil der Bürger der Kolonie ausgemachthaben14. Denn Korinth, dessen Territorium mit seinem kargen, steil ab-schüssigen Gelände sprichwörtlich war (Strabo a.O.), bot denkbar ungün-stige Voraussetzungen, für sozial höher stehende und wohlhabende Famili-en die neue Basis eines weiteren gesellschaftlichen Aufstiegs und Reichtumszu bieten. Entweder mussten die Kolonisten, wenn sie nicht ausschließlichin Handel und Handwerk ihr Auskommen finden sollten, anderweitig inGriechenland weitere Einnahmequellen suchen und konnten so zu überre-gionalem Einfluß gelangen, oder die Kolonie wirkte umgekehrt als Magnetfür vornehme Familien aus anderen Städten Griechenlands. Von beidemprofitierte die bedeutendste ‚italische’ Familie Korinths, die Vibullii, diesich als Fischzüchter am kleinen Hylike-See in Böotien ein weiteres wirt-schaftliches Standbein15, durch Verbindungen mit den Familien des Claudi-us Herodes in Athen und Iulius Eurycles in Sparta ein zweites starkes poli-tisch-soziales Standbein16 schufen. Von keiner der italischen Familien Ko-rinths oder Griechenlands ist bekannt, ob sie in den Ritter-, geschweigedenn in den Senatorenrang aufstiegen, hinter gut lateinisch klingenden Na-

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17 S. MITCHELL (1997).18 Zur gens Sergia siehe Appendix I.19 Siehe Appendix II.20 B. LEVICK (1967), 117.21 B. LEVICK (1958), 74; DIES. (1967), 113-116.22 P. VAN MINNEN (1987) mit den Referenzen.

men wie P. Caninius Agrippa, procurator Achaiae unter Augustus, oder Cn.Cornelius Pulcher, der unter Trajan und Hadrian eine ritterliche Karrieredurchlief, verbergen sich bodenständige griechische Familien aus Pelleneund Epidauros.

Die Grundlagen und das Ambiente, die in der frühen Kaiserzeit die Elitedes Reiches erzeugten, lagen anderswo. Es waren nicht die geschichtsträch-tigen Städte Griechenlands und – sehen wir von Pergamon einmal ab –Westkleinasiens sondern die römischen Kolonien und Poleis mit italischerBevölkerung in Zentral- und Südanatolien, aus denen die ersten Senatorendes griechischen Ostens hervorgingen. Wir treffen hier auf ein Netzwerkitalischer Familien und ihrer Verzweigungen, die sich auf einer Achse Pam-phylien, die Kolonie Antiochia und Nordgalatien konzentrierte. Die pam-phylische Ebene war spätestens seit den 70er Jahren des 1. Jahrhunderts v.Chr. Ziel italischer negotiatores, war seit der Attalidenzeit bis hin zur römi-schen Provinzialverwaltung des 1. Jahrhunderts n. Chr. politisch-admini-strativ mit Galatien verbunden, seine Städte bildeten die Hauptabnehmerund das Exportscharnier der Güter Inneranatoliens. Die Verbindung deranatolischen Hochebene mit Pamphylien hatten deshalb bereits die Attali-den durch Kastelle gesichert17, Rom baute um das Jahr 6 v. Chr. die via Se-baste mit Antiochia als caput viae nach Pamphylien.

Es war die Kolonie Antiochia, die nach Pergamon die zweithöchste An-zahl senatorischer Familien in ganz Kleinasien aufweist. Sieben ritterlicheOffiziere bis zur flavischen Zeit sind bekannt, und es überrascht nicht, dassaus Antiochia die erste Familie italischen Ursprungs aus ganz Kleinasienstammte, die in den Senat aufstieg: zwei Brüder, Q. und L. Sergius Paullushaben bereits unter den Tiberius den Senatssitz erhalten18, demnach müs-sen die Sergii bereits in der ersten Kolonistengeneration eine ganz promi-nente Rolle in der Kolonie gespielt haben, vielleicht fungierte ein Sergius alsdeductor der Legionsveteranen und verdankte die Kolonie ihre neue tribusSergia der gleichnamigen gens. Zwei, vielleicht drei andere Söhne der Kolo-nie wurden unter den flavischen Kaisern in den Senat aufgenommen: Cari-stanius Fronto19, Anicius Maximus und der noch rätselhafte Iulius Paulus20.Weitere Kolonistenfamilien der ersten Generation schaffen erst im 2. Jahr-hundert den Sprung in die Reichsaristokratie, wie die gens Flavonia21 undein Zweig der auch in Attaleia und Ancyra beheimateten gens Calpurnia22.

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23 W. ECK (1991), 97-106; der Suffektkonsulat ist jetzt auf das Jahr 144 datiert: ZPE 149 (2004),275. Zum Grundbesitz der Familie in der Kibyratis siehe jetzt TH. CORSTEN (2005), 17-21.

24 S. MITCHELL (1998), 224-225 Nr. 7.25 Siehe Appendix II.26 H. HALFMANN (1979), 176 Nr. 98; 198-199 Nr. 131; die Zeugnisse für den Grundbesitz der Fa-

milie in Ostphrygien und Lykaonien hat M. RICL (2003), 111 mit Anm. 41 (AE 2003, 1693) zusammen-gestellt.

27 L. Crepereius Fronto; siehe zur Familie B. LEVICK - S. JAMESON (1964).28 S. MITCHELL (1974). Siehe ferner den ausführlichen Kommentar von S. ~AHIN (1999), beson-

ders zu Nr. 40-43.

Letztere ist ein gutes Beispiel für die mögliche Aufteilung einer Familie aufmehrere typische Städte der Region – typisch, weil sie für jene schon er-wähnte ‚Achse’ Pamphylien-Antiochia-Galatien stehen –, die politisch-administrativ und wirtschaftlich eng miteinander verzahnt war und jenesReservoir an Grundbesitz bot, das für senatorische Vermögen unabdingbarwar. Die gens Calpurnia aus Attalia erhielt nicht viel später als die Sergii ausAntiochia, vielleicht auch noch unter Tiberius, die Senatorenwürde; wirkennen drei Generationen dieser Familie, bis sie unter Antoninus Pius ei-nen Konsul in Rom stellte23. Ein anderer Zweig der Familie blühte schon iniulisch-claudischer Zeit in Antiochia, wo ein L. Calpurnius Longus als ersterBürger der Kolonie ein munus versprach und innerhalb von zwei Monatenein Amphitheater aus Holz aufführen ließ24; ein Sproß dieser Familie,Calpurnia Paulla, heiratete den schon erwähnten Senator Caristanius Fron-to aus der Kolonie25. Schließlich begegnet ein dritter Ableger der Calpurniiin Ancyra, der um die Mitte des 2. Jahrhunderts die Konsulwürde erreichte:die Calpurnii Proculi26. Eine ähnliche Verzweigung auf Attaleia und Antio-chia lässt sich für die aus Italien stammenden Creperei nachweisen: der Rit-ter, Prokurator und Freund der jüngeren Agrippina, C. Crepereius Gallusstammte aus Antiochia, der pamphylische Zweig der gens blühte im 2. Jahr-hundert und erlangte auch die Senatorenwürde27.

Kehren wir nach Pamphylien zurück, so begegnet uns die zweite senato-rische Familie italischer Herkunft, die gens Plancia, in Perge28. M. PlanciusVarus fand unter Nero Aufnahme in den Senat, und analog zu den Calpur-nii reichten verwandtschaftliche Beziehungen und wirtschaftliche Interessender Plancii bis nach Nordgalatien. Spätestens der erste Senator besaß um-fangreichen Grundbesitz nicht nur an der nach Norden führenden Verbin-dungsstraße von Pamphylien nach Pisidien (bei Andeda), sondern auch inNordgalatien und erhielt in der augusteischen Kolonie Germa eine lateini-sche Ehreninschrift, die sicher mit der überragenden Stellung des Mannesals Grundbesitzer in der Region zu erklären ist. Der Senator ehelichte dieTochter des armenischen Königs Tigranes’ V., dessen Sohn, also der Schwa-

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29 S. ~AHIN (1999), 30-32. Abgesehen vom kaiserlichen Gentiliz deutet das cognomen Bryonianuseines Bruders des Senators und Konsuls des Jahres 100 auf einheimische Wurzeln der Familie hin. Derin die neronische Zeit gehörende Vater dieser Brüder hatte in Cae[sia Tertulla ?] wahrscheinlich denSproß einer italischen Familie geheiratet.

30 SEG 17, 577-78 = AE 1972, 613-14; S. MITCHELL (1993), 152. Zu Paccii in der Kolonie Coma-ma, die das praenomen Lucius führten, siehe PIR2 P 17, 21.

31 IGR III 803. P. WEIß (1999), 162-165 = AE 1999, 408.32 RPh 36 (1912), 55 Nr. 10 (A. Curtius Stichius); ebd. 62 Nr. 23 (A. Curtius Hermes); siehe S.

MITCHELL (1979), 419.

ger des Plancius Varus, von Vespasian als König der Pamphylien benachbar-ten Kieten im Rauhen Kilikien eingesetzt wurde. Mit einer noch älteren undehrwürdigeren Dynastie, derjenigen der galatischen und attalididischen Kö-nige, trat ein Plancius um die Mitte des 2. Jahrhunderts in verwandtschaftli-che Beziehung, indem er eine Tochter des Ancyraners C. Iulius Severus undseiner Gattin Claudia Aquillia adoptierte. Mit einer Tochter des Senators,Plancia Magna, schlossen sich die Plancii mit der zweiten bedeutenden Fa-milie Perges, den Iulii Cornuti, verwandtschaftlich zusammen; diese gensstammt sicherlich aus der genuin griechischen Bevölkerung Pamphyliens29

und hat, wie andere Neubürger der iulischen Kaiser, einen Nachkommenunter Domitian in den Senat nach Rom gesandt. Mit dem schon bekanntenMuster konform ging allerdings der sich nach Pisidien und Galatien hin er-streckende Grundbesitz der Iulii Cornuti; dasselbe lässt sich auch in Famili-en unterhalb der senatorischen Rangklasse nachweisen, wie bei der aus Itali-en stammenden gens Paccia aus Attaleia, deren Freigelassene die Güter derFamilie südlich des Tattasees an der Grenze zu Kappadokien hin verwalte-ten30. Hinzufügen möchte ich eine Familie italischen Ursprungs aus Aspen-dos, die im 2. Jahrhundert in den Senat aufstieg: die gens Curtia, schon lan-ge bekannt als Bauherrin im Theater der Stadt, stellte mit A. Curtius Crispi-nus im Jahre 159 einen Konsul31; wegen des seltenen praenomen A(ulus),das diese gens trug, bin ich sicher, dass zwei in Iconium bezeugte Freigelas-sene eine wirtschaftliche Verbindung auch dieser pamphylischen Italikerfa-milie nach Inneranatolien nachweisen32. Soweit in Kürze die prosopogra-phische Evidenz.

* * *

Warum war es nun ausgerechnet die Veteranenkolonie Antiochia, die alsHeimat senatorischer Familien Kleinasiens einen Spitzenplatz einnahm?Warum besaß sie offenbar eine große Attraktivität und besaßen die dort sie-delnden Italiker von vornherein bessere Startchancen für einen gesellschaft-lichen Aufstieg? Da sich von der hellenistischen Vorgängerpolis so gut wiekeine archäologischen und epigraphischen Zeugnisse erhalten haben,

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33 S. MITCHELL (1980), 1068-1071; DERS. (1993), 144-145.34 J. STRUBBE (2005), Nr. 8, 11.

scheint mit der Koloniegründung in den 20er Jahren des 1. Jahrhunderts v.Chr. eine völlig neue Ära der Stadtgeschichte begonnen zu haben – dochteilte es diesen historischen Einschnitt auch mit anderen Kolonien, etwaKorinth. Antiochia wurde aber nicht mit Freigelassenen, sondern mit Vete-ranen der 5. und 7. Legion besiedelt, die, wie Strabo berichtet (12,8,14; C577), zunächst mit dem Land ausgestattet wurden, das vormals zum naheder Stadt gelegenen Tempel des Men Askaënos gehört hatte und zu dessenVerteilung Augustus eigens Kommissare in die Region schickte. DiesesLand, als ehemaliger Tempelbesitz sicher nicht das schlechteste, stellte zwareinen nicht selbstverständlichen Anreiz dar, kann aber nicht ausgereicht ha-ben, den neuen Familien das Maß an wirtschaftlicher Prosperität zu ver-schaffen, mit dem sie alle anderen Städte Zentralanatoliens in den Schattenstellten. Zusätzlich mußten dem senatorischen Census angemessene, unddas heißt auf entsprechend ausgedehntem Grundbesitz basierende Vermö-gen gebildet werden können; diesbezüglich boten die weiten, riesigen Ebe-nen und Hügellandschaften Zentralanatoliens, die sich vom Sangarios imNorden bis an den Rand des Tauros im Süden erstreckten, ideale Vorausset-zungen. Der Reichtum des Landes bestand einmal in seiner schieren Aus-dehnung und damit der Menge der Produkte, konkret Getreide in den was-serreicheren Gebieten, der Schafzucht auf den wasserärmeren, steppenarti-gen und baumlosen Hochflächen; in normalen Zeiten wurde Getreide ex-portiert, größtenteils in Richtung Süden in das bevölkerungsreiche Pamphy-lien und über die pamphylischen Häfen in den östlichen Mittelmeerraum.Das eigentlich exklusive und gewinnbringende Erzeugnis bildete die aus derSchafzucht gewonnene Wolle33, Strabon (12,6,1) nennt 300 Herden desletzten Königs Amyntas als das Significum seines Reichtums schlechthin.Die Wolle und die daraus gewonnene Kleidung besaßen eine solche Qua-lität, deren Besitz ein solches Prestige, dass Bürger von Pessinus eben solchedem Kaiser Trajan zum Geschenk machen konnten34. Das bis auf die Zeitendes Amyntas städtearme Inneranatolien lag nach der Einverleibung Galati-ens als römische Provinz für Großinvestoren geradezu bereit. Ein solcher‚grundbesitzorientierter’ Personenkreis fand sich einmal unter den schonlänger in Pamphylien siedelnden italischen negotiatores, die dort oder be-reits nach Norden ausgreifend Ländereien erworben hatten, zum anderenfand er sich unter den bereits wohlhabenden Veteranen der neuen Koloni-en, also den Offizieren, die schon in Italien über ansehnlicheren Grundbe-sitz verfügt hatten, in Anatolien aber neue Dimensionen an Flächen und Er-trag erschließen wollten.

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35 M. Arruntius Frugi; siehe S. MITCHELL (1979), 423.36 S. MITCHELL (1995), 53-56; M. WAELKENS (2002). Erst unter Hadrian setzte in Cremna eine re-

ge Bautätigkeit ein, möglicherweise stammte ein Konsul des Jahres 125, L. Rutilius Propinquus, ausder Kolonie, siehe S. MITCHELL (1995), 99-100.

37 Ti. Claudius Neon, Sohn des Ilagoas; erster Ritter: T. Flavius Attalianus Quadratus, siehe M.WAELKENS (2002 a). Senatoren: H. HALFMANN (1982), 641.

Die geschilderten naturräumlichen Bedingungen galten freilich nicht nurfür Antiochia sondern mehr oder weniger auch für die anderen von Augu-stus in der Region neu gegründeten Kolonien, sechs an der Zahl, Iconium,Olbasa, Cremna, Comama, Parlais und Lystra, aber Antiochia überflügeltesofort alle anderen, und man fragt sich wieder: warum? Die Unterschiedesind evident: Iconium, an Bedeutung und Geschichte mit Antiochia minde-stens ebenbürtig, erhielt wie Antiochia augusteische Veteranen. So lassensich auch dort viele italische Namen nachweisen, jedoch hat neben der Ko-lonie die alte Polis weiterbestanden und haben die Italiker nicht jenen ex-klusiven sozialen Rang erreicht wie die in Antiochia siedelnden Landsleute;erst für das 2. Jahrhundert ist uns das erste Beispiel einer in Iconium behei-mateten ritterlichen Familie bekannt, die Arruntii35. Im relativ gut erforsch-ten Cremna stagnierte im ganzen 1. Jahrhundert trotz der Veteranendeduk-tion die städtebauliche Entwicklung, bislang konnte kein öffentliches Ge-bäude gefunden werden, das der frühen Kaiserzeit angehört36. Dagegen er-lebte Sagalassos, welches den Titel „erste“ Pisidiens führte, unter Augustusdank seiner Lage an der neuen via Sebaste einen wirtschaftlichen Auf-schwung, der sich in einem größtenteils in hellenistischer Tradition stehen-den, aber auch römische Elemente beinhaltenden umfangreichen Baupro-gramm manifestierte. Dennoch – der erste bekannte civis Romanus verdank-te Kaiser Claudius das Bürgerrecht, der erste Ritter lebte gegen Ende des 1.Jahrhunderts, die ersten Senatoren aus den genannten Städten finden sicherst am Ende des 2. Jahrhunderts37. Es lässt sich also kein Schema vonäußeren Bedingungen und Erscheinungsformen konstruieren, mit dessenHilfe sich die Heimatstädte von Senatoren, auch wenn die italische Her-kunft ihrer Familien ihnen gemeinsam war, leichter bestimmen ließe.

Antiochias Überlegenheit über die Nachbarkolonien offenbart sich auf-grund einer Reihe von „äußeren“ Kriterien, die wiederum bereits StephenMitchell zusammengestellt hat. Antiochia war die östlichste der seleuki-disch-attalidischen Neugründungen in Inneranatolien, verkehrsgünstig gele-gen, jedenfalls ausersehen als Ort einer neuen italisch-römischen Architek-tur und Bevölkerung, die die Vorgängerpolis vollkommen aufsog; deren Be-wohner sind vielleicht in Nachbarpoleis umgesiedelt worden, wie nach Ico-nium, wo neben der römischen Kolonie die griechische Polis als eigenesRechtsgebilde bestehen blieb. Antiochias neues Aussehen trug durch und

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38 S. MITCHELL (1998), 146-147, 160-164. Der Friesschmuck des Propylon erinnert an die Siegedes Augustus im Dienste des Friedens; an den Innenseiten wurde eine Kopie der res gestae einge-meißelt.

39 S. MITCHELL (1998), 8.40 M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR (2002).41 Mindestens vier ritterliche Familien gehen auf die ersten Kolonistengeneration zurück, siehe H.

DEVIJVER (1989), 293-294.42 W. ECK (1981), 242-244 = IvApamea 2.

durch römisch-italischen Charakter, beherrscht von einem dem Augustusgeweihten erhöhten Temenos mit Tempel und Propylon, das im Jahre 2/1 v.Chr. fertig gestellt wurde38. Die Bezirke der Kolonie (vici) trugen stadtrömi-sche Bezeichnungen39, und in noch größerer Zahl, als es etwa in dem durch-aus römisch geprägten Ephesos der Fall war, finden sich in Antiochia In-schriften in lateinischer Sprache, die diejenigen in griechischer Sprache anZahl und vor allem Bedeutung übertreffen. Die Kolonie pflegte beste per-sönliche Beziehungen zum Kaiserhaus und Reichsaristokratie, in augu-steisch-tiberischer Zeit sind sechs Ehrenduumvirate bekannt, angefangenmit den Kaisern Augustus und Tiberius selbst, dem älteren Drusus (sogarfür zwei Jahre), Domitius Ahenobarbus (consul 30), Cornelius Sulla (consul33), beide Schwiegersöhne des Germanicus, Sulpicius Quirinius (consul 12v. Chr.) und M. Servilius (consul 3), die als Feldherrn und Statthalter inAnatolien tätig waren40. Diejenigen Bürger der Kolonie, die die mächtigenPatrone als Präfekten vertraten, gehörten sämtlich dem Ritterstand an, dieEnkel von zweien stiegen unter den flavischen Kaisern in den Senat auf.

Dies waren die Voraussetzungen, welche die Elite des Reiches erzeugtenund die Antiochia von anderen Städten unterschieden.

So unbestritten die frühe zeitliche und zahlenmäßige Dominanz der itali-schen Familien Pamphyliens und Antiochias hervorsticht, so wenig warendies natürlich die einzigen Regionen Kleinasiens, die im 1. Jahrhundert ihreSöhne in den Senat nach Rom schickten. Allerdings beeindrucken auch indiesen Fällen einige der bekannten Muster, obwohl wir viel zu wenig überdie Städte selbst, ihre führenden Familien und ihr Territorium wissen. Eswaren jedenfalls zwei andere römische Kolonien, aus denen je ein Familien-mitglied den latus clavus von Vespasian erhielt, also in der von mir so be-zeichneten zweiten Phase: T. Iunius Montanus aus Alexandria Troas, woherbereits in iulisch-claudischer Zeit wie in Antiochia mehrere ritterliche Fami-lien stammten41, und wo die laufenden Ausgrabungen die Zahl der in derKolonie beheimateten Ritter und Senatoren weiter vermehren. Ferner ist zunennen die cäsarische Kolonie Apamea in Bithynien und ihre gens Catilia,die spätestens unter Claudius den Ritterrang besaß und in derselben Gene-ration von Vespasian in den Senat adlegiert wurde42; ihr Grundbesitz er-

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Italische Ursprünge bei Rittern und Senatoren aus Kleinasien 177

43 H. HALFMANN (1979), 133-135 Nr. 38; S. ~AHIN (1979-1982), Nr. 278, 756, 1204-1205, 1445;IvApamea 21; Fouilles des Delphes III 2,102.

44 RECAM II 34, 36.45 Tac. Ann. 3,37; 5,8; 6,18. Vgl. PIR2 C 1278-1281. S. MITCHELL (1980), 1074-1075; DERS. (1993),

153.46 L. ROBERT (1975); S. MITCHELL (1979 a); T. DREW-BEAR (1978), 86 erwähnt mehrere unpubli-

zierte Inschriften für römische Soldaten und Offiziere; DERS. (1980), 179-182; E. VARINLIOGLU (2006),363-365 Nr. 4-5: ein archon und dogmatographus M. Iunius M.f. Sab. Lupus in neronischer Zeit.

47 Siehe jetzt E. VARINLIOGLU (2006), 362-63 Nr. 348 PIR2 C 1187. In Akmonia ist ein gleichnamiger Mann als Vater der Clodia Rufilla bezeugt, die

unter Domitian ein zum Markt führendes Propylon stiftete (MAMA VI 251).

streckte sich im westlichen Teil Bithyniens und entlang der Fernstraße Rich-tung Ancyra bis an die galatische Provinzgrenze hin43. Mit Sicherheit wer-den sich in Zukunft hinter manchen senatorischen gentes mit italischer No-menklatur solche zeigen, die einer kleinasiatischen Polis mit starkem itali-schen Bevölkerungsanteil wie in Pamphylien entstammten. Im Norden Ga-latiens, dicht an der Grenze zu Bithynien befinden sich die choria Considia-na44, also Grundbesitz einer gens Considia; ich möchte unbedingt eine vonStephen Mitchell vorgetragene These unterstützen, dass dieser Landstrich,der spätestens Anfang des 2. Jahrhunderts in kaiserlichen Besitz übergegan-gen war, jenen Considii gehörte, die unter Tiberius, der eine ein eques Ro-manus, der andere ein praetorius vir, wegen maiestas verurteilt wurden45 –als Heimat bieten sich nach bekanntem Muster die Kolonien Germa, Antio-chia oder eine pamphylische Stadt an.

Neben die Kolonien können als Heimat der frühen kleinasiatischen Sena-toren vereinzelt auch griechische Poleis treten, die über besondere Rahmen-bedingungen für die Kreierung senatorischer Geschlechter verfügten. Vonden genannten pamphylischen Städten abgesehen kennen wir bislang abernur eine einzige weitere Stadt dieser Kategorie, Akmonia in Phrygien. Ak-monia beherbergte schon zu Zeiten Ciceros so wohlhabende Bürger, dassder Statthalter von Asia, Valerius Flaccus, sich von ihnen die Summe vonüber 200.000 Sesterzen lieh (die er im übrigen nicht zurückzahlte), dass fer-ner eine senatorische gens aus Italien, die Sestullii, dort wirtschaftliche In-teressen verfolgte, darüber hinaus auch andere römische negotiatores an-gelockt wurden, da in der frühen Kaiserzeit eine stattliche Zahl italischerGentilizia in dieser phrygischen Polis nachzuweisen sind46. Mehrere In-schriften wurden dem dort gebürtigen ritterlichen Offizier L. Egnatius L.f.Ter. Rufus gesetzt47, möglicherweise stammte auch M. Clodius Postumus,Epistratege der Thebais unter Augustus, aus Akmonia48. Es war eine gensServenia, ein seltenes, fast nur in Etrurien bezeugtes Gentiliz, die bereits un-ter Nero einen römischen Senator stellte. Wie den Plancii aus Perge gelanges ihr unter uns unbekannten Umständen, in verwandtschaftliche Beziehun-

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49 H. HALFMANN (2001), 46.50 Ancyra bildete ursprünglich einen burgähnlichen Fürstensitz der Tectosagen und wurde erst

nach der Provinzialisierung Galatiens als Polis mit großem Territorium konstituiert, siehe S. MITCHELL

(1993), 86-89.51 H. HALFMANN (1979), 176 Nr. 98.

gen zu direkten Nachfahren der attalidisch-galatischen Königsdynastie zutreten: die aus dieser Dynastie stammenden Iulii Severi haben möglicher-weise Akmonia als städtisches Zentrum ihres Lebens nach der Eingliede-rung der väterlichen Fürstentümer in das römische Reich gewählt, auf jedenFall lässt sich in Phrygien Grundbesitz der verwandten Iulii Quadrati nach-weisen, die sehr wahrscheinlich aus eben dieser Region in iulisch-claudi-scher Zeit nach Pergamon übersiedelten49. Es trafen sich also in Akmoniaeine große Anzahl italischer Immigrantenfamilien und eine Fürstendynastie,die bald nach Ancyra50 übersiedelte, wo wir im 2. Jahrhundert eine ServeniaCornuta, die sich noch immer königlicher Vorfahren rühmt, als Gattin desSenators P. Calpurnius Proculus aus dem ancyranischen Zweig der gensCalpurnia bezeugt finden51.

In Zentralgalatien hat erst Augustus eine städtische Organisation einge-führt. Neben der neuen Kolonie Germa entstanden mit Pessinus, Ancyraund Tavium neue städtische Zentren und Organisationseinheiten mit – wieim Falle von Ancyra und Tavium – riesigen Territorien. Ancyra als Statthal-tersitz machte das Rennen unter den genannten Städten, vor allem scheintes sehr bald die einheimische Oberschicht und italische Familien aus ande-ren Teilen Anatoliens angelockt zu haben. Man hat den Eindruck, dass zu-mindest in der frühen Kaiserzeit die nordgalatischen Poleis als Zweigstellen,Ableger der großen pamphylischen und Antiochener Familien fungierten,vor allem wenn die wirtschaftlichen Interessen in dieser Region durch ver-wandtschaftliche Bindungen zu den königlichen Nachkommen der letzteneinheimischen Dynastien verstärkt wurden. Sofern neue Funde eines Tageseine aus Italien stammende senatorische gens des frühen 1. Jahrhundertsauch in Germa oder Ancyra bekannt machen sollten, würde das dem hierentworfenen Bild, wie das Beispiel der Servenii in Akmonia zeigt, nicht wi-dersprechen; aber es würden Einzelfälle bleiben, und diese würden sich ein-fügen in das Schema von Grundbesitz und Verwandtschaft, wie ich es andieser Stelle entworfen habe. Aus diesen Regionen und aus dem beschriebe-nen sozialen Milieu Kleinasiens kam die Mehrzahl der östlichen Senatorender iulisch-claudischen Dynastie und der frühen Flavier, daneben und in ei-ner Minderheit treten andere Kolonien wie Alexandria Troas oder Apamea,deren bedeutende Familien noch zu wenig bekannt sind, und es mag sich inZukunft noch der eine oder andere Name dazu gesellen. Den genuin einhei-

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52 Ein neues Beispiel bietet die offenbar aus Milet stammende Senatorenfamilie des Ti. Iulius[Ap?]pianus Marcellus und seiner Vorfahren, siehe Milet VI 3 (2006), Nr. 1135.

mischen Familien von Rang, sofern sie unter den iulisch-claudischen Kai-sern das römische Bürgerrecht erhalten hatten, öffneten erst die flavischenKaiser die Türen zum Eintritt in die senatorische Rangklasse Roms52.

* * *

Ich ziehe ein Fazit: Der bekannten Tatsache, dass die ersten senatori-schen Familien Kleinasiens aus Familien italischer Einwanderer stammten,sei es aus den römischen Kolonien oder den conventus civium Romanorumder griechischen Poleis, lässt sich ein noch schärferes Profil abgewinnen,wenn wir uns die „Typologie“ der jeweiligen Heimatorte vor Augen führen.Nicht jede Stadt der genannten Kategorien bot die gleichen günstigen Rah-menbedingungen für den sozialen Aufstieg. Italische Herkunft war sichereine wichtige Bedingung, im 1. Jahrhundert den Weg zum Senat nach Rombeschreiten zu dürfen, aber keine ausreichende. Entscheidend hierfür wa-ren weiterhin

• eine bereits in der Frühphase der italischen Ansiedlung herausgehobenesoziale Stellung einzelner Familien; Kolonien, in denen liberti angesiedeltwurden, treten deutlich zurück hinter Veteranenkolonien;

• die Möglichkeit einer grandiosen städtebaulichen Selbstdarstellung die-ser Familien, durchweg nach römischen Grundmustern mit der entspre-chenden politischen Aussage ausgeführt, worin sich diese herausgehobe-ne Stellung manifestiert;

• die entsprechende Wahrnehmung und Förderung seitens des Kaisersoder bereits angesehener Senatoren in Rom, die die unabdingbare Patro-nage gewährten;

• die Möglichkeit als Ausdruck einer besonderen Attraktivität der Städte,Grundbesitz in solchem Umfang zu erwerben, dass ein dem senatori-schen Zensus entsprechender Vermögensstatus erreicht werden konnte;

• die zusätzliche, offensichtlich unverzichtbare Gelegenheit, dass die Italikerin die Spitzen der genuin griechischen Gesellschaft, konkret in Kleinasienin die königlichen Dynastien bzw. deren Nachkommen einheirateten.

Die meisten dieser Bedingungen erfüllten nicht ausschließlich, aber inidealster Weise die Regionen und Städte Pamphyliens und Inneranatoliensmit den Landschaften Pisidien, Lykaonien, Galatien, so dass nicht zufälligvon dorther die ersten und die meisten Familien Kleinasiens, und diese mititalischem Hintergrund, stammten, die ihre Söhne in den Senat nach Rom,ihre alte Heimat, schickten.

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Appendix I: Die Sergii aus Antiochia

1. Q. SER[GIVS PAVLLVS]

IGR III 935 = (verb.) T.B. MITFORD, ANRW II 7,2 1300 (SEG 30,1605)(Chytroi, Cyprus) [1]

proconsul prov. Cypri, 37/41 [1]; möglicherweise identisch mitdem proconsul Sergius Paullus inden acta apost. 13,7

Zur Herkunft der Sergii aus Antiochia siehe jetzt M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR (2002 a) 177-189, mit einer neuen Inschrift (S. 185 = AE 2002, 1458).Zum ausgedehnten Grundbesitz im nördlichen Lykaonien siehe S. MIT-CHELL (1993) 151: Sergius Carpus, procurator des (Sergius) Paullus (MA-MA VII 321, Sinanlı); Sergii/Sergiani: MAMA I 108; VII 14 (Laodicea), VII330 = RECAM II Nr. 358; VII 331 (Emirler); VII 320 = RECAM II Nr. 357(Ya¿cio¿lu), und unten Nr. 3 (Sergia Paullina).

2. L. SERGIVS PAVLLVS

CIL VI 31545 = ILS 5926 (Roma) [1]

Curator riparum et alvei Tiberis, 42/47 [1]

Wohl jüngerer Bruder des Vorigen.

3. L. SERGIVS L.F. PAVLLVS (filius)

JRS 3,1913,265 = M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR (2002 a) 182 f. (AE 2002,1457) (Antiochia) [1]

IVvir viarum curandarumtrib. mil. leg. VI ferrataequaestor[- - -]

[1]

Wenn er ein Sohn von Nr. 2 war, gehört er in die flavische Zeit und könntepatronus des L. Sergius Corinthus gewesen sein, der dem Men im Jahre 89einen Tempel errichtete (MAMA VII 486 = E.N. LANE, EPRO 19 [1971],73 Nr. 111, Be`kavak).

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Italische Ursprünge bei Rittern und Senatoren aus Kleinasien 181

- Sergia L.f. Paullina

MAMA VII 319 = S. MITCHELL, RECAM II 273 f. Nr. 355 ( Ya¿cio¿lu, beiVetissos) [1]

Wahrscheinlich Tochter von Nr. 3, Gattin des Cn. (Pinarius) Cornelius Se-verus, cos. suff. 112 [1], siehe E. GROAG PIR2 C 1453, S. MITCHELL (1993)151. Eine sac[erdos] Paullina in Antiochia: CIL III 6842. Ihr Land- undZiegeleibesitz bei Rom: P. SETÄLÄ, Private domini in Roman Brick Stamps ofthe Empire (1977), 181 f. (aus den Jahren 123 und 134); ihr collegium fami-liae in Rom: CIL VI 9148-49, 10260-64; AE 1972, 62-65, 1973, 24-27.

4. L. SERGIVS PAVLLVS

ZPE 152,2005,250-254 (mittlerer Donauraum ?) [1]CIL VI 1803 (Roma) [2]

consul (suffectus), in den letzen JahrenHadrians (?)leg. Aug. pr. pr. prov. Pannoniae [1]: [sub Sergio Pau]llo, siehe W. ECK - superioris (?), 140 A. PANGERL, ZPE a.O.consul II (ordinarius), 168 G. ALFÖLDY, Konsulat und Senatorenstand

(1977) 185.praefectus urbi, um 168 [2]

Wahrscheinlich Neffe der Sergia Paullina.

Appendix II: Die Caristanii aus Antiochia

1. C. CARISTANIVS C.F. SER. FRONTO

JRS 3,1913,260 Nr. 4 = ILS 9485 (Antiochia) [1]STERRET, Epigr. Journey 134 Nr. 108 = IGR III 300 = JRS 3,1913,262 Nr. 5 =M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR (2002 a) 178 f. = AE 2002, 1456 (Antiochia)

[2]IGR III 511 = TAM II 659 (Kadyanda) [3]IGR III 512 = TAM II 658 (Kadyanda) [4]IGR III 555 = TAM II 565 (Tlos) [6]IGR III 729 = EA 17,1991,118 (verb.) = AE 1991, 1531 (Limyra) [7]Ist. Mitt. 39,1989, 237 ff = EA 17,1991,115 f. Nr. 2 = AE 1991, 1531 (Perge)

[8]

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182 Helmut Halfmann

C. MAREK, Die Inschriften von Kaunos (2006), 307 Nr. 126 (Kaunos) [9]

tribunus militum (angusticl.)praef. alae Bosporanorum (in Syrien)adlectus in senatum inter tribunicios,

ca. 70 (?)promotus inter praetorios, ca. 73-74 (?)leg. pr. pr. prov. Ponti et Bithyniae,

um 75leg. Aug. legionis IX Hispanae, A.R. BIRLEY, The Roman Government

ca. 76-79 of Britain (2005) 239leg. Aug. pr. pr. prov. Lyciae

et Pamphyliae, ca. 81-84 [2]-[9]consul (suffectus), Mai-Juni 90 DEGRASSI, Fasti 27

patronus coloniae [1]

Seine Gattin war Calpurnia L.Calpurni Longi f. Paulla [2], [9], wahrschein-lich eine Tochter des L. Calpurnius L. Calpurni Pauli f. Ser. Longus aus An-tiochia: CIL III 6832 = JRS 14,1924, 178 Nr. 5 = AE 1926, 78 = S. MITCHELL

- M. WAELKENS (1998) 224 f. Nr. 7. Unbekannt bleibt vorerst, ob und wieder Dedikant von [1], T. Caristanius Calpurnianus Rufus, mit der Familieverwandt war. Dasselbe gilt für [- C]aristan[ius I]ustianu[s], praefectus coh.I Hamiorum in Britannien (H. DEVIJVER, Prosopogr. mil. equ. C 83).

Grundbesitz bei Kinnaborion, nordwestlich von Antiochia: JHS18,1898,345 = CIL III 14192, 4 [10]. Freigelassene der Caristanii in Antio-chia: STERRET, Epigraphical Journey 134 Nr. 107 = CIL III 6852 [11]

1a. [ - Caristanius] Pau[llinus] (?)

JRS 2,1912 192 Nr. 34 = AE 1914, 131 (Antiochia) [1]

trib. mil. (angusticl.) leg. XII fulminataesacerdos Imp. Caes. Vespasiani Aug., IIvir quinquennalis IIII

[1]

Falls das Gentiliz richtig ergänzt ist, könnte es sich um den Vater von Nr. 1handeln.

1b. C. Caristanius Fronto C.f. Ser. Caesianus Iullus

ILS 9502 = M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR - M. TA~LIALAN, Tyche16,2001,6 ff. = AE 2001, 1919 (Antiochia) [1]

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Italische Ursprünge bei Rittern und Senatoren aus Kleinasien 183

ILS 9503 = M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR - M. TA~LIALAN, Tyche16,2001,8 ff. = AE 2001, 1920 (Antiochia) [2]

M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR - M. TA~LIALAN, Tyche 16,2201, 1 ff. = AE2001,1918 (Antiochia) [3]

praefectus fabrum VItrib. mil. leg. XII fulminataepraef. coh. Bosporanorum

pontifex, praefectus P. Sulpici Qurini IIviri, praefectus M. Servili, [1], [2], duumviralis III [3].

Wahrscheinlich Großvater von Nr. 1.Statuam, ludos iuvenales, hostias, venationem dedit anläßlich des Britannien-

sieges des Claudius im Jahre 45 [3].Möglicherweise ein ehemaliger Sklave, dann kaiserlicher Freigelassener, Ti.

Claudius Epinicius, VIvir Augustalis in Antiochia, in JRS 3,1913,258 f.Nr. 3 = ILS 9504, siehe CHRISTOL - DREW-BEAR - TA~LIALAN a.O. 13Anm. 53.

2. C. CARISTANIVS IVLIANVS

BCH 51,1927,271 Nr. 38 = IG II/III2 4206 (Athen) [1]Corinth VIII 2, 55 = AE 1932 (Korinth) [2]Fouilles de Delphes III 4, 70 ff. Nr. 47 (Delphi) [3]

trib. mil. (angusticl.) leg. XII fulminataepraefectus alae [ - - - ][- - - ]praetor peregrinusleg. pr. pr. prov [- - - ]proconsul prov. Achaiae [1]-[3], [1] datiert zwischen 98 und 101

[2]

Zweifellos eng verwandt mit Nr. 1, es ist aber kaum zu entscheiden, ob erder gleichen Generation angehörte oder eine Generation jünger als Nr. 1war.

3. [C. CARISTANIVS FRO]NTO

Sohn von Nr. 1 (Nr. 1 [2]).Amphorenstempel mit seinem (oder seines Vaters ?) Namen in der westli-chen Reichshälfte: PIR2 C 424.

Page 185: GIANPAOLO URSO Tra Oriente e Occidente. Indigeni Greci e Romani in Asia Minore. Atti Del Convegno Internazional

184 Helmut Halfmann

4. C. CARISTANIVS PAVLLINVS

Sohn von Nr. 1 (Nr. 1 [3]).legatus legionis in Britannien (?), siehe A.R. BIRLEY, in: E. DABROWA (ed.),Roman Military Studies (2001), 24 und DERS., The Roman Government ofBritain (2005), 241 f.

Ob der Inschriftblock aus Antiochia mit Paullin[us ?] auf ihn oder Nr. 1 a zubeziehen ist, bleibt unsicher: Anat. Stud. 17,1967, 111 Nr. 22 = AE 1967, 513.

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Italische Ursprünge bei Rittern und Senatoren aus Kleinasien 187

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1 Die großen Inseln vor der Westküste, aber auch die Inselgruppe der Kyladen sind stets ein Teilder Provinz Asia gewesen. Vgl. für die letzteren AE 1920, 45 = ILAfr 281 und AE 1969-1970, 601 =AE 1971, 462. – Michael Alexander Speidel danke ich für seine weiterführenden und kritischenBemerkungen zu diesem Beitrag.

2 Zu allen Provinzen ist die umfassende Behandlung durch R. HAENSCH, Capita provinciarum.Statthaltersitze und Provinzialverwaltung in der römischen Kaiserzeit, Mainz 1997 heranzuziehen.

3 Siehe zu ihm jetzt im Zusammenhang B. DREYER - H. ENGELMANN, Die Inschriften von Metro-

DIE POLITISCH-ADMINISTRATIVE STRUKTUR DER KLEINASIATISCHEN PROVINZEN WÄHREND

DER HOHEN KAISERZEIT

WERNER ECK

Das Thema, das im Rahmen dieses Kolloquiums behandelt werden soll,erscheint auf den ersten Blick nicht allzu komplex. Denn wir kennen alledie sechs Provinzen, in die der Raum Kleinasiens vom späteren 1. bis in denAnfang des 3. Jahrhundert n. Chr. bzw. partiell sogar noch weit länger ge-teilt war: Asia1, Pontus-Bithynia, Lycia-Pamphylia, Galatia, Cappadocia undCilicia. Doch diese Aufzählung ist eine nur sehr generelle Momentaufnahmeund auch nur eine auf der höchsten politischen Ebene, nämlich der derStatthalter als den politisch-administrativen Vertretern Roms in den Provin-zen. Damit ist jedoch nichts über die anderen staatlichen Funktionsträgerund ihre administrativen Bezirke gesagt, die unterhalb der politischenFührung insbesondere die gesamten fiskalisch-ökonomischen InteressenRoms und seiner Kaiser vertraten. Mit einer solchen Momentaufnahme istauch nichts über die nicht wenigen Veränderungen gesagt, die im Laufe derZeit in der politisch-administrativen Gesamtstruktur eingetreten sind, nach-dem diese sechs Provinzen seit dem späteren 1. Jahrhundert als Grundele-ment festgelegt waren. Betrachtet man die Thematik näher, dann ist sie eheräußerst komplex und vielgestaltig, so vielgestaltig, daß sie im Rahmen einesBeitrags zu einem Kolloquium kaum adäquat behandelt werden kann. Wassomit hier vorgelegt werden kann, sind eher Beschreibungen, die versuchen,zentrale Aspekte zu erörtern oder wenigstens anzudeuten, ohne jedoch allevollständig zu erfassen und die damit verbundenen Probleme mit einer fer-tigen Lösung zu präsentieren2.

Roms direkte Herrschaft in Kleinasien begann mit dem Ende des Attali-denreiches 133 v. Chr. Manius Aquilius, Konsul des Jahres 129 v. Chr., be-endete den Krieg gegen Aristonicus in den Jahren 129/128 v. Chr.3 Mit ihm

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190 Werner Eck

polis. Teil I: Die Dekrete für Apollonios: Städtische Politik unter den Attaliden und im Konflikt zwischenAristonikos und Rom, Bonn 2003, passim.

4 Daß sie schon vorher als Teil des römischen imperium im Sinn der politischen Herrschaft ange-sehen wurden, ist klar. Vgl. etwa Strabo 17,3,25; I. SHATZMAN, The Integration of Judaea into the Ro-man Empire, SCI 18, 1999, 49ff.

5 Iosephus, bell. Iud. 2,366; die wenigen Auxiliareinheiten, die in all den kleinasiatischen Provin-zen lagen, sind dabei ohne Belang; Iosephus geht zu recht nicht weiter darauf ein. Siehe W. ECK, Pro-konsuln und militärisches Kommando. Folgerungen aus Diplomen für prokonsulare Provinzen, in: Heerund Integrationspolitik. Die römischen Militärdiplome als historische Quelle, hg. W. ECK - H. WOLFF,Köln 1986, 518ff.

6 Siehe dazu jetzt CHR. MAREK, Pontus et Bithynia. Die römischen Provinzen im Norden Kleinasi-ens, Mainz 2003, 36ff.

7 ST. MITCHELL, in: Papyrologica Florentina, Bd. 35, hg. ROSARIO PINTAUDI, Manuscripts in the

als erstem Statthalter der neuen Provinz Asia begann die direkte HerrschaftRoms im Bereich der heutigen Türkei. Erst mehr als 200 Jahre später, unterNero im Jahr 64 und Vespasian im Jahr 72, wurden die letzten Territorien inAsia minor, die bis dahin noch einem Klientelfürsten, nicht aber einem rö-mischen Repräsentanten unterstellt waren, in die unmittelbare administrati-ve Abhängigkeit des Imperiums überführt4. Der vollständige Einschluß die-ses Raumes, d.h. bis zur dauerhaften Provinzialisierung, dauerte damit sogarlänger als die Eroberung der iberischen Halbinsel, die 218 begonnen und19 v. Chr. abgeschlossen war. Der Unterschied zwischen diesen beidenGroßregionen besteht allerdings darin, daß, aufs Ganze gesehen, Kleinasienmit geringerem, vor allem kurzfristigerem Einsatz an militärischer Gewaltrömischer Besitz geworden ist, als dies auf der iberischen Halbinsel mit denöfter jahrzehntelangen Kämpfen der Fall war. Dies besagt freilich nicht, daßnicht auch die kleinasiatischen Regionen Roms Militärpotential in massiverForm erlebt hätten; man braucht nur an die Kriege mit Mithradates zu den-ken. Wenn der jüdische Historiker Flavius Iosephus dem jüdischen KönigAgrippa II. im Jahr 66 n. Chr. in einer Rede an seine Landsleute in denMund legt, die 500 Städte Asiens beugten sich, obwohl sie keine Besatzunghätten, ehrfurchtsvoll vor den Rutenbündeln des Prokonsuls5, dann vergisster nur zu erwähnen, daß auch diese Provinzen wussten, welche militäri-schen Machtmittel Rom im Konfliktfall einsetzen konnte.

Während der Republik war nur der kleinere Teil des riesigen Territori-ums römischen Vertretern unterstellt worden: Asia seit 133 v. Chr., freilichnoch lange nicht in seiner späteren Ausdehnung, Bithynia seit 74, seit derNeuregelung durch Pompeius im Jahr 64/63 als Pontus-Bithynia6, undschließlich zeitweise Cilicia im Südwesten. Die anderen Gebiete waren inverschiedenen politischen Formen von Rom abhängig. Es sei nur auf denVertrag hingewiesen, der durch Caesar am 24. Juli 46 v. Chr. mit dem Koi-non der Lykier geschlossen wurde7. Lycia war, wie gerade aus diesem Text

Page 192: GIANPAOLO URSO Tra Oriente e Occidente. Indigeni Greci e Romani in Asia Minore. Atti Del Convegno Internazional

Die politisch-administrative Struktur der kleinasiatischen Provinzen 191

Schøyen Collection V: Greek papyri, vol. I, Florenz 2005, 163-243; vgl. auch http://www.nb.no/baser/schoyen/5/5.4/index.html#2070.

8 MAREK, Pontus et Bithynia (Anm. 6) 41.9 PIR2 P 531.

10 G. BOWERSOCK, Augustus and the Greek World, Oxford 1965, 42ff.11 Strabo 12,5,1; 14,5,6. R. SYME, Anatolica, hg. A. BIRLEY, Oxford 1995, 299; W. HOBEN, Unter-

suchungen zur Stellung kleinasiatischer Dynasten in den Machtkämpfen der ausgehenden Republik, Diss.Mainz 1969, 132ff.

12 R.K. SHERK, The Legates of Galatia from Augustus to Diocletian, Baltimore 1951, 12ff.13 SHERK, Legates (Anm.12) 15f; H. BRANDT - F. KOLB, Lycia et Pamphylia. Eine römische Provinz

im Südwesten Kleinasiens, Mainz 2005, 24.

deutlich wird, Teil des politischen Herrschaftsbereichs Roms, freilich nochnicht einem Statthalter unterstellt. Antonius gab sodann während der Tri-umviratszeit und seiner Dominanz im Osten zwischen 41 und 31 v. Chr.manche Gebiete wieder an einheimische Dynasten zurück. Das betraf insbe-sondere die östlichen Teile von Pontus-Bithynia8. Längerfristig bedeutsamwurde vor allem die Einsetzung des Polemon, eines Griechen aus Laodiceia.Er überlebte Antonius’ Herrschaft im kleinasiatischen Bereich und konnteauch unter Augustus seine Stellung behalten9. Das wurde auch dadurch er-leichtert, daß Augustus, trotz seiner Polemik gegen Antonius’ tatsächlicheoder angebliche Verschleuderung römischen Provinzialbesitzes, im Grundean dessen Entscheidung festhielt, in nicht wenigen Fällen einheimischenDynasten die Herrschaft zu belassen oder sogar erneut zu übertragen10. Dasbetraf nicht nur Herodes in Iudaea, sondern auch Polemon und andere Kli-entelfürsten in Kleinasien, wie etwa Amyntas von Galatien oder Deiotarusvon Paphlagonien. Manchen Fürsten wurde der eigene Herrschaftsraum so-gar erweitert, wie beispielsweise Amyntas, der wie auch Deiotarus in derAuseinandersetzung Octavians mit Antonius rechtzeitig die Seiten gewech-selt hatte11. Durch diese Klientelfürsten war Rom zumindest für einige Jahr-zehnte bei der Sicherung der Außengrenzen gegenüber den Parthern we-sentlich entlastet. Das Festhalten an ihrer Herrschaft durch Augustus waraber auch eine Konsequenz politischer Klugheit, da rechtzeitige Loyalität,die viele von ihnen bewiesen hatten, nicht mit dem Verlust der Herrschaftbeantwortet werden konnte. Das hätte böse Folgen zeigen können.

Dieses Festhalten an der Herrschaft mancher Dynasten bedeutete aberkeineswegs, daß Augustus nicht auch von dieser Politik abwich, wenn esihm notwendig erschien. Dies war offensichtlich nach dem Tod des Amyn-tas der Fall. Denn obwohl dieser Söhne hinterließ, ordnete Augustus imJahr 25 v. Chr. die Umwandlung seines Herrschaftsbereichs zur Provinz Ga-latia an12. Diese Provinz umfasste nicht nur das eigentliche Galatien, son-dern auch Lycaonia und Teile von Pisidia. Ob Pamphylien von Anfang andazu gehörte, ist nicht ganz sicher, doch recht wahrscheinlich13. Das raue

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14 Strabo 14,5,6; HOBEN, Untersuchungen (Anm. 11) 136. 184; D. KIENAST, Augustus. Prinzepsund Monarch, Darmstadt3 1999, 339.

15 Strabo 12,3,41.16 MAREK, Pontus et Bithynia (Anm. 6) 44.17 OGIS 532 = DESSAU 8781, vgl. P. HERRMANN, Der römische Kaisereid. Untersuchungen zu seiner

Herkunft und Entwicklung, Göttingen 1968, 96ff. 123f.18 Zu beiden PIR2 P 531. 1114.19 Z. B. Strabo 12,3,6.37.40; vgl. 16,2,3 für Commagene. Daraus und aus den Benennungen ein-

zelner Teile einer Provinz in der Titulatur von Statthaltern ist aber m.E. nicht zu schließen, die unterrömische Verwaltung gezogenen pontischen Gebiete hätten “separate administrative Einheiten gebil-det” (so aber MAREK, Pontus et Bithynia [Anm. 6] 45f.). Zumindest müsste man dann klären, wodurchdiese Gebiete einerseits administrativ von einander getrennt und andererseits sich dann als je eigeneEinheiten etabliert hätten. Sie unterstanden alle dem einen Statthalter von Galatia, administrativ warendie einzelnen Teile in sich selbst durch nichts zusammengebunden. Die lange Reihe der Namen kamwohl nur dadurch zustande, weil es keinen einheitlichen historisch-geographischen Begriff für das ge-samte Gebiet gab, das die eine Provinz bisher umfasste. Die zusammengefügten Namen beschriebendann, auch für die Bevölkerung erkennbar, wer zu der einen Provinz gehörte. Auch ein administrativesPersonal hat es für die einzelnen Regionen nicht gegeben. Worin hätte es auch auf der statthalterlichenEbene bestehen sollen?

Kilikien, das ursprünglich Teil der neuen Provinz Galatia war, wurde imJahr 20 v. Chr. davon abgetrennt und dem König von Kappadokien, Arch-aelaus, anvertraut14. Auch beim Tod eines weiteren Dynasten, DeiotarusPhiladelphus, im Jahr 6 v. Chr. wurde dessen Herrschaftsbereich Paphlago-nien, der sich insbesondere um die Städte Gangra und Pompeiopolis er-streckte, provinzialisiert15, allerdings nicht als eine eigene provinzielle Ein-heit. Es wurde vielmehr an die noch junge Provinz Galatia angeschlossen,nicht, wie es unter Pompeius gewesen war, der Provinz Pontus-Bithynia16.Wie die Anbindung an Augustus und seine domus nicht nur über die direk-te statthalterliche Herrschaft, sondern auch durch die eidliche Verpflich-tung der gesamten Bevölkerung erfolgte, ist durch den Eid bekannt, der imJahr 3/2 v. Chr. in Gangra geleistet wurde und der auf epigraphischem Wegerhalten geblieben ist17. Angeschlossen an Galatien wurde im Jahr 2 v. Chr.auch das Pontus Galaticus genannte Gebiet, das aus großen Tempelstaatenum Zela und Amaseia bestand und in irgendeiner Form dem Herrschaftsbe-reich des Polemon angehört hatte. Freilich war Polemon bereits 8/7 v. Chr.am kimmerischen Bosporus umgekommen; seine Frau Antonia Pythodoriswar ihm als Dynastin im Pontus nachgefolgt18. Befremdend wirkt die Aussa-ge bei Strabo 12,3,37, dieses Gebiet, das klein sei, würde eparcheia genannt.Denn dieser Begriff ist üblicherweise den Territorien vorbehalten, die eineeigene politisch-administrative Einheit unter einem eigenen Statthalter bil-deten. Hier ist der Begriff auf einen Teil angewandt, was sich bei Straboauch anderswo findet19. Pythodoris überlebte lange; erst nach 30/33 n. Chr.,in der Spätzeit des Tiberius, ist sie gestorben. Ihren Herrschaftsbereich, er-weitert um einige Städte an der Schwarzmeerküste, übergab Caligula an

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20 PIR2 C 1555.21 Sueton, Nero 18; Tacitus, hist. 3,47,1.22 E. RITTERLING, Legio, RE XII 1791ff.; nichts Neues zur Frühzeit der Legion bei S. DARIS, Legio

XXII Deiotariana, in: Les Légions romaines sous le Haute-Empire, Actes du Congrès de Lyon (17 - 19septembre 1998), hg. Y. LE BOHEC, Lyon 2000, I 365ff. Zur Frage einer Legionsbesatzung in Galatiasiehe zuletzt K. STROBEL, Die Legionen des Augustus. Probleme der römischen Heeresgeschichte nachdem Ende des Bürgerkrieges: Die Truppengeschichte Galatiens und Moesiens bis in Tiberische Zeit unddas Problem der Legiones Quintae, in: Limes XVIII. Proceedings of the XVIIIth Int. Congress of RomanFrontier Studies, hg. PH. FREEMAN - J. BENNETT - Z.T. FIEMA - B. HOFFMANN, Oxford 2002, 51 ff.

23 Zum Prozeß der Provinzialisierung Kappadokiens siehe in Kürze M.A. SPEIDEL, Kappadokien -Vom Königreich zur Provinz, in: Die römischen Provinzen. Begriff und Gründung. Kolloquium Cluj Sep-tember 2006, hg. I. PISO (im Druck).

24 SEG 41, 1117; J. DEININGER, Die Provinziallandtage der römischen Kaiserzeit, München 1965,82; HAENSCH, Capita provinciarum (Anm. 2) 276 Anm. 77.

Cotys, der aus thrakischer Königsfamilie kam, einen Enkel von Polemonund Pythodoris, und der auch den Königstitel erhielt20. Mehr als 20 Jahrespäter, im Jahr 64, wurde mit Cotys’ Zustimmung sein Königreich von Neromit der Provinz Cappadocia zu einem administrativem Komplex vereint21.

Mit Galatia hatte Augustus eine fast vom Schwarzen Meer bis an dieSüdküste der heutigen Türkei reichende Großprovinz geschaffen, die wohlauch der Sicherung der Ostgrenze des Reiches dienen sollte. Wie lange dortnoch römische Bürgertruppen standen, ist nicht genau zu erkennen; viel-leicht stand die legio VII Macedonica dort noch für einige Zeit; man vermu-tete das Ende der augusteischen Herrschaft. Doch Sicherheit kann mannicht erreichen. Die spätere legio XXII Deiotariana, die aus den Truppendes Amyntas gebildet wurde, ist jedenfalls schon in augusteischer Zeit inÄgypten bezeugt22. Wenn Bürgertruppen gefehlt haben sollten, wäre dasdeshalb bemerkenswert, weil Galatia immerhin die Grenzprovinz des Rei-ches nach dem Osten war, so daß man dort grundsätzlich eine Legionsbe-satzung erwarten sollte. Doch war es unter strategischen Gesichtspunkt be-deutsam, daß unter Augustus die Königreiche Kappadokien und Armeniennoch als Puffer zwischen Galatia und dem Partherreich lagen, somit eineSicherung durch eine Legionsbesatzung in Galatia vielleicht nicht nötigerschien. Zudem standen in Syrien vier Legionen, die damals das eigentlicheRückgrat der Militärmacht Roms im Osten bildeten, stets bereit, auch inden kleinasiatischen Regionen einzugreifen.

Solange Augustus herrschte, blieb das kappadokische Klientelkönigreich,das der erste Princeps sogar um Cilicia Trachea und Armenia minor erwei-tert hatte, unangetastet23. Doch als der alte König Archelaus im Jahr 17 n.Chr. in Rom, wohin er sich auf Anordnung des Tiberius hatte begeben müs-sen, verstarb, wurde das Königreich zur Provinz Cappadocia gemacht, inder auch sogleich ein Provinziallandtag eingerichtet wurde24. Die konkrete

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25 Tacitus, ann. 2, 56, 4.26 Siehe z. B. H.-G. PFLAUM, Les carrières procuratoriennes équestres sous le Haut-Empire romain,

Paris 1960, I 49ff.; B.E. THOMASSON, Laterculi praesidum I, Göteborg 1984, 263; B. RÉMY, Les carrièressénatoriales dans les provinces romaines d’Anatolie au Haut-Empire (31 av. J.-C. - 284 ap. J.-C.), Istanbul -Paris 1989, 180f.

Umwandlung wurde von dem Senator Q. Veranius durchgeführt, dem Vaterdes Veranius, der schließlich unter Claudius im Jahr 43 n. Chr. Lycia zurProvinz machte. Der ältere Q. Veranius, der von Germanicus, während siesich beide in Syrien aufhielten, mit dieser Aufgabe in Cappadocia betrautwurde und damit auch erster Statthalter der Provinz war, gehörte in prätori-schem Rang dem Senat an25. Das ist deshalb bemerkenswert, weil nach Cas-sius Dio 57,17,7 das Land unmittelbar einem Ritter unterstellt wurde, waszumindest im Kontrast mit dem steht, was Tacitus über das Jahr 17/18 undQ. Veranius berichtet. Allgemein geht man davon aus, Cappadocia sei so-gleich einem Ritter mit der Amtsbezeichnung procurator übertragen wurde.Dies wird außer aus Dio auch aus Tacitus, ann. 12,49 zum Jahr 51 entnom-men. Denn dort erscheint ein Iulius Paelignus, den der Historiker Cappado-ciae procurator nennt, den man freilich, hätte man allein dieses Zeugnis,auch als Finanzprokurator und nicht als Präsidialprokurator ansehen könn-te. Doch da auch Sueton in seiner vita Vespasiani 8,4 schreibt, durchVespasian sei der bisherige eques Romanus als Statthalter in Cappadociadurch einen senatorischen Legaten konsularen Ranges ersetzt worden, wirdIulius Paelignus allgemein für einen Präsidialprokurator gehalten, was, je-denfalls was die zentrale Funktion betrifft, kaum zu bezweifeln ist: er warder primäre Vertreter Roms in der gesamten kappadokischen Region26.Freilich wird von Tacitus auch vermerkt, Ummidius Quadratus, der damali-ge Statthalter Syriens, habe unmittelbar, nachdem Paelignus in militärischeSchwierigkeiten geraten war, eine Legion unter dem Kommando des Legi-onslegaten Helvidius Priscus nach Cappadocia abgesandt, die Quadratusdann wiederum aus Besorgnis, es könnte schnell zu Problemen mit den Par-thern kommen, zurückzog. Es ist immerhin bemerkenswert, daß der Statt-halter der Provinz Syrien offensichtlich unmittelbar in Cappadocia eingriff,nicht anders als dies über mehrere Jahrzehnte hin in Iudaea geschah, daskeine eigene Provinz, sondern nur ein Annex der Provinz Syrien war und ei-nem ritterlichen praefectus unterstand. Man muß zumindest fragen, wiekonkret der Status von Cappadocia damals gestaltet war, speziell unter demAspekt von Abhängigkeit oder Selbstständigkeit des ritterlichen Funkti-onsträgers. Denn im Jahr 17 n. Chr. kann Tiberius, soweit wir die allgemei-ne administrative Entwicklung der Reiches kennen, noch keinen Präsidial-prokurator nach Cappadocia entsandt haben, da es diesen Typ von Funkti-onsträger damals noch nicht gegeben hat; erst Claudius hat Präsidialproku-

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27 AE 1966, 472; AE 1914, 128 kann auf Grund der erstgenannten Inschrift vollständig ergänztwerden.

28 PFLAUM, Carrières procuratoriennes (Anm. 26) I 65f.; THOMASSON, Laterculi (Anm. 26) 263.29 Daß Tacitus, wie oben schon erwähnt, Iulius Paelignus procurator nennt, besagt nicht sehr viel;

denn er gibt auch Pontius Pilatus in ann. 15,44,3 diese Bezeichnung, obwohl klar ist, daß dieser denTitel praefectus führte; dazu zuletzt G. ALFÖLDY, SCI 18, 1999, 85 ff.

30 Siehe zuletzt M.A. SPEIDEL, Early Roman Rule in Commagene, SCI 24, 2005, 85 ff.31 Dabei ist freilich zu bedenken, daß das Land wenig urbanisiert war.32 Die oben zitierte Aussage bei Sueton, Vesp. 8,4 kann eine Teilwahrheit sein; vgl. dazu im Fol-

genden die Ausführungen zu Lycia.

ratoren ernannt. Die Sache wird dadurch noch komplizierter, weil ein GaiusIulius Proculus unter Nero inschriftlich als procurator provinciae Cappado-ciae et Ciliciae bezeichnet wird27. Dieser wird zwar auch allgemein als Präsi-dialprokurator angesehen28. Gerade der Zusammenschluß von Cappadociaund Cilicia im Zuständigkeitsbereich des Prokurators könnte aber daraufhindeuten, daß dieser Iulius Proculus nicht die Funktion eines Statthaltersinnehatte, sondern in beiden Provinzen nur für die Steuererhebung verant-wortlich war. Das könnte er natürlich auch in der Zeit gewesen sein, als Cn.Domitius Corbulo und L. Iunius Caesennius Paetus u.a. von Cappadociaaus den Krieg gegen die Parther führten. Damit aber schiede er als Beleg füreinen ritterlichen Statthalter aus. Somit kann man beim gegenwärtigenKenntnisstand eigentlich nur festhalten, daß nicht ganz klar ist, wie die Lei-tung der Provinz Cappadocia seit der Eingliederung ins Imperium gestaltetwar. Die bisherige einfache Antwort, daß von 17 bis zu Vespasian ein Präsi-dialprokurator die Leitung hatte, ist in dieser Form sicher nicht aufrecht zuerhalten. Möglich wäre auch, daß die Region nach der Einrichtung der Pro-vinz durch einen Senator bald einem praefectus übergeben wurde, der vomStatthalter Syriens abhängig war wie der praefectus Iudaeae und der praefec-tus, der für das zwischen Syrien und Cappadocia liegende Commagene zu-ständig war29. Denn auch dieses Königreich wurde wie Kappadokien imJahr 18 n. Chr. für eine kurze Zeit provinzialisiert, aber ohne Zweifel nichtals eine eigene Provinz, es wurde vielmehr einem ritterlichen praefectus alsUnterstatthalter übergeben30. Als gewichtigen Einwand könnte man freilichanbringen, daß Cappadocia ein außerordentlich großes Territorium umfas-ste, das vielleicht doch eines direkt verantwortlichen Gouverneurs bedurf-te31. Doch angesichts der Quellenlage scheint es zumindest unwahrschein-lich, daß sogleich von Beginn an ein ritterlicher Präsidialprokurator Cappa-docia übernahm, und auch der spätere Status ist keineswegs so eindeutig,wie man bisher annahm. Man sollte also die Frage des Status der Gesamtre-gion offen lassen32.

Auf die Provinzialisierung von Lycia unter Claudius im Jahr 43 wurde be-

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33 F. ISIK - H. ISKAN - N. ÇEVIK, Miliarium Lyciae. Vorbericht, Antalya 2001, 52 ff.; vgl. C.P. JONES,The Claudian Monument at Patara, ZPE 137, 2001, 161 ff.; TH. MARKSTEINER - M. WÖRRLE, Ein Altarfür Kaiser Claudius auf dem Bonda tepesi zwischen Myra und Limyra, Chiron 32, 2002, 545 ff.; jetztaber vor allem M. ADAK - S. ~AHIN, Stadiasmus Patarensis, 2006.

34 CIL VI 41075.35 BRANDT - KOLB, Lycia et Pamphylia (Anm. 13) 22 ff.; in diesem Sinn auch M. SARTRE, L’Asie mi-

neure et l’Anatolie d’Alexandre à Diocletien, Paris 1995, 172ff.; M. WAELKENS, Romanization in theEast. A Case Study: Sagalassos and Pisidia, Istanbuler Mitteilungen 52, 2002, 311ff.

36 Sueton, Vesp. 8,4: Achaiam, Lyciam, Rhodum, Byzantium, Samum, libertate adempta, item Thra-

reits hingewiesen. Sie ist inzwischen durch ganz verschiedene Quellen be-zeugt, zuletzt durch das Denkmal für Claudius aus Patara mit dem Ver-zeichnis des neu gestalteten Wegesystems und durch einen Altar, der zwi-schen Myra und Limyra aufgestellt war33. In beiden neuen Dokumentenwird dem Kaiser und inklusiv seinem Legaten Q. Veranius für die Wieder-herstellung von Friede und Gesetz nach einer Periode innerer Anarchie ge-dankt. Auch in seiner stadtrömischen Grabinschrift hat Veranius auf dieseUnruhen noch Bezug genommen34. Daß das kaiserliche Eingreifen notwen-dig war, scheint zumindest die Überzeugung des Teils der Lykier gewesen zusein, die sich vermutlich auch an den Kaiser in Rom gewandt und ihn zumEingreifen veranlaßt hatten.

Umstritten ist, ob Lycia damals allein eine Provinz gebildet hat, oder obes sogleich mit dem schon lange provinzialisierten Pamphylia zusammenge-schlossen wurde und damit eine administrative Einheit darstellte, so wiedies ab vespasianischer Zeit sicher der Fall war. Die Argumente für die eineoder die andere Ansicht waren lange Zeit nicht so eindeutig, daß sich eineklare, nicht bezweifelbare Antwort geben ließ. Da diese Argumente jüngstvon Hartwin Brandt und Frank Kolb ausführlich, freilich in dem Sinn, eshabe von Beginn an eine vereinigte Provinz Lycia-Pamphylia gegeben, dar-gelegt wurden35, sollen sie hier nicht im Detail wiederholt werden. Dochlassen neue Dokumente nun eine klare und eindeutige Aussage zu.

Sicher ist zunächst, daß Pamphylia unter Galba nicht mit Lycia, sondernmit Galatia vereinigt war, wie Tacitus, hist. 2,9,1 ganz eindeutig aussagt: Ga-latiam ac Pamphyliam provincias Calpurnio Asprenati regendas Galba permi-serat. Daß dieser Zusammenschluß erst in diesem Augenblick erfolgt sei,läßt sich dem Text in keiner Weise entnehmen. Zu Galatia hatte Pamphyliaschon in augusteischer Zeit und vermutlich auch später gehört. Anderseitsist es nun sicher, daß Lycia unter Nero nicht wieder aus der Oberhoheit ei-nes römischen Statthalters entlassen wurde. Das wurde zwar fast immer sogesehen, weil Sueton in seiner vita Vespasiani 8,4 erklärt, Vespasian habe Ly-cia wie z.B. auch Achaia, Rhodus oder Samus die Freiheit, die libertas, wie-der weggenommen und sie erneut in einen provinzialen Status überführt36.

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ciam, Ciliciam et Commagenen, ditionis regiae usque ad id tempus, in provinciarum formam redegit. Cappa-dociae propter adsiduos barbarorum incursus legiones addidit, consularemque rectorem imposuit pro eq. R.

37 IGR III 659 = TAM II 396.38 Siehe die Zusammenstellung der Zeugnisse bei RÉMY (Anm. 26) 286. Allein der Hinweis des

Sklaven Paederos, der sich in der Grabinschrift für seine Tochter a manu Sex. Marci Prisci leg. pro pr.Lyciae nennt, also ohne Pamphyliae (CIL III 14181 = TAM II 461), ist ein deutlicher Hinweis darauf, woPriscus Statthalter war. Denn wenn einer es wissen mußte, dann war es der a manu dieses Statthalters.

39 IGR III 522 = TAM II 131.40 So bei W. ECK, Die Legaten von Lykien und Pamphylien unter Vespasian, ZPE 6, 1970, 65 ff.

formuliert. Gegen den damaligen Vorschlag hat man verschiedene Einwände vorgebracht, die schonals solche haltlos waren (vgl. W. ECK, Chiron 12, 1982, 284 mit Anm. 16). Die neue Inschrift, auf dieim Folgenden verwiesen wird, zeigt, daß die vorgeschlagene Interpretation richtig gewesen war.

41 Auch diesen Text verdanke ich der Freundlichkeit von Dieter Engelmann: presbeuth\ n AÙto-

Denn ein Sextus Marcius Priscus war schon vor Vespasian Statthalter in Ly-cia, wie es eine Inschrift aus Patara zeigt, auf der der eradierte Name Nerosdurch den Vespasians ersetzt wurde, während gleichzeitig der Name desStatthalters Marcius Priscus, der von Anfang an Teil des Inschrifttextes war,unversehrt stehen blieb37. Daß dieser Priscus noch unter Vespasian im Amtwar, zeigen zusätzlich eine ganze Reihe anderer epigraphischer Zeugnisseaus Lycia38. Vor allem aber verweist jetzt ein noch unpublizierter Text ausPatara, dessen Kenntnis ich der Freundlichkeit von Helmut Engelmann ver-danke, speziell darauf, daß Marcius Priscus bereits im Jahr 65, als einLeuchtturm in Patara unter seiner Leitung vollendet wurde, in Lycia alsStatthalter tätig gewesen. Sieht man diese Dokumente zusammen, dann er-gibt sich klar, daß Marcius Priscus mindestens von 65 bis 71/72 diese Pro-vinz geleitet hat, also mindestens sieben Jahre. Es war also allein wegen derLänge seiner Amtszeit etwas nicht Alltägliches mit seiner Statthalterschaft inLycia verbunden gewesen.

Dessen war sich sowohl die Provinzbevölkerung, vor allem aber der Sena-tor selbst bewusst, der dies auch deutlich formuliert hat. Seinen öffentlichenAusdruck fand dies in einer Inschrift aus Lyda, die die Stadt unter einer Sta-tue des Marcius Priscus setzte. Er wird dort presbeut[h\ j A]Ùtokr£torojKa∂saroj OÙespasianoà Seb[a]stoà kaπ p£ntwn [aÙ]tokratÒrwn ¢pÕT[i]ber∂ou Ka∂saroj genannt, also Legat von Vespasian und aller Kaiser seitTiberius Caesar genannt39. Wer mit Tiberius Caesar gemeint ist, ließ sichbisher nicht direkt beweisen; man konnte nur mit guten Gründen vermuten,daß damit Nero bezeichnet werden sollte, dessen Namen man nach dem Ur-teil des Senats nicht mehr direkt nennen durfte40. Doch Marcius Priscus leg-te Wert auf die Tatsache, daß er Legat aller Kaiser von Nero bis Vespasiangewesen war, also insgesamt von fünf Kaisern in einer politisch höchstprekären Zeit. Genau diese Formulierung erscheint nun nochmals in einerweiteren neuen Inschrift aus Patara41, die außerdem von Marcius Priscus

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kr£toroj OÙespasianoà Ka∂saroj Sebastoà ¢ntistrathgÕn kaπ p£ntwn AÙtokratÒrwn ¢pÕ Tiber∂ou

Ka∂saroj.42 Daß Sueton freilich auch sachliche Fehler begangen hat (siehe dazu D. FLACH, Zum Quellen-

wert der Kaiserbiographien Suetons, Gymnasium 79, 1972, 273ff.), sollte man nicht völlig vergessen.

sagt, er habe das Ethnos (sc. der Lykier) für einen Zeitraum von acht Jahren:Ñktet∂an geleitet. Mit dieser Formulierung bestätigt sich das, was man schonauf Grund des Verweises auf die Statthalterschaft seit “Tiberius Caesar” undder partiell eradierten Inschrift aus Patara vermuten konnte. Da der Leucht-turm bereits im Jahr 65 fertig gestellt war, Marcius Priscus aber offensicht-lich bereits bei Beginn des Baues anwesend war, kommt man von 64 bis 71genau auf die in der Inschrift hervorgehobenen acht Jahre Statthalterschaft,aber eben in Lycia, wie der Hinweis auf das Ethnos sehr klar zeigt. Damit istklar, daß Lycia nie ohne Statthalter war; die libertas, die Vespasian der Pro-vinz nahm, muß, wenn die Aussage bei Sueton nicht einfachhin erfundensein soll, einen anderen Sinn gehabt haben42. Vermutlich ging es dabei umeine partielle Befreiung von einer Steuer, wie ich anderswo bereits vermutethatte. Mustafa Adak wies mich dankenswerterweise auf eine weitere In-schrift aus Lykien hin, nach der Vespasian einer Stadt die Kopfsteuer zumBau eines Bades zur Verfügung stellte. Das aber würde besten Sinn ergeben,wenn Vespasian einerseits die Freiheit vom tributum capitis in Lykien besei-tigte, andererseits aber manchen Städten das so eingenommene Geld fürBauten in der Provinz wieder zukommen ließ. Die Kopfsteuer symbolisiertewie nichts sonst den Verlust der Freiheit unter römischer Herrschaft. Sokann man vermuten, daß entweder Claudius bei der Provinzialisierung Lyki-ens von vorneherein die Kopfsteuer dort nicht hat einführen lassen oder daßNero dies veranlaßt haben könnte. Die Erhebung der Kopfsteuer durchVespasian aber konnte Sueton dann durchaus als Verlust der Freiheit ver-standen haben, wie es wohl auch in Lykien selbst gesehen wurde.

Lycia hatte also, obwohl ohne Unterbrechung seit 43 n. Chr. einem Statt-halter unterstellt, einen besonderen Status, der sich nicht damit vertragenwürde, wenn es bereits seit Claudius mit Pamphylia eine einzige administra-tive Einheit gebildet hätte; denn dann wäre der eine Teil der Provinz privile-giert gewesen, während der andere den Reichssteuern voll unterworfen war.In dem Augenblick, als der Sonderstatus von Lycia nicht mehr existierte,konnte Vespasian beide Teile zusammenschließen und eine Provinz kreie-ren, die auch von der Größe her eher denen entsprach, die sonst in diesemRaum vorhanden waren. Lycia allein war eine relativ kleine Provinz. Dashatte mit Vespasian ein Ende. Spätestens um 73/74 war Lycia und Pamphy-lia zu einer Provinz vereinigt, und zwar zum ersten Mal.

Die für das Reich weit wichtigere Änderung im Provinzsystem verfügte

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43 Sueton, Vesp. 8,4.44 W. ECK, Chiron 12, 1982, 293; PIR2 P 600.45 Iosephus, bell. Iud. 7,1,2; L. KEPPIE, Legions and Veterans, in: Roman Army Papers 1971 - 2000,

Stuttgart 2000, 192. 46 T.B. MITFORD, The Inscriptions of Satala (Armenia Minor), ZPE 115, 1997, 137ff., bes. 140ff.;

KEPPIE, Legions and Veterans (Anm. 45) 192f.; zur Ersetzung durch die legio XV Apollinaris wahr-scheinlich unter Hadrian siehe MITFORD, The Inscriptions 142ff. und E. WHEELER, Legio XV Apollina-ris: from Carnuntum to Satala - and beyond, in: Les légions de Rome (Anm. 22) 259ff., bes. 293ff.

Vespasian jedoch ganz im Osten Kleinasiens. Zum einen schuf er erneut ei-ne Provinz Cilicia, die von Pamphylien bis zur Grenze Syriens reichte.Wichtiger war jedoch die Neuregelung, die die Ostgrenze gegenüber denParthern betraf. Schon unter Nero war Galatia-Cappadocia für etwa einJahrzehnt vereinigt und einem konsularen Legaten unterstellt worden; Do-mitius Corbulo und Caesennius Paetus sind als Kommandeure bekannt.Freilich geschah dies im Zeichen der militärischen Krise gegenüber denParthern und war nicht als bleibende Veränderung fixiert worden. Wenndie schon angeführte Aussage Suetons über die Maßnahmen Vespasians inCappadocia zutreffen, dann muß nach der endgültigen Abberufung Corbu-los im Jahr 65/66 der alte Verwaltungszustand mit einem ritterständischenFunktionsträgers für wenige Jahre wiederhergestellt worden sein. Die Ab-hängigkeit von Syrien wurde kaum geändert. Dieser Zustand endete unterVespasian. Denn er verlegte zwei Legionen nach Cappadocia, die XII Fulmi-nata nach Melitene und die XVI Flavia nach Satala, propter adsiduos barbar-orum incursus, wie Sueton es formuliert43. Umstritten ist freilich, wann ge-nau diese Verlegung der Truppen durchgeführt wurde, ob in einer einzigenAktion oder in zwei Etappen. Der erste sichere konsulare vespasianischeLegat Cn. Pompeius Collega ist nicht vor dem Jahr 76 bezeugt44. Die legioXII Fulminata aber wurde, jedenfalls nach Iosephus, bereits im Jahr 70/71dorthin verlegt45. Spätestens 75/76 hatte ferner die legio XVI Flavia Firmaihr Lager in Satala bezogen46.

Vespasian hielt es aber offensichtlich auch für nötig, den unter Nero zeit-weilig bestehenden Großkomplex Galatia-Cappadocia wiederherzustellen.Die spezifischen Gründe dafür sind nicht überliefert; doch ist es vermutlichauch von Bedeutung gewesen, daß einige der Legionslegaten, die ehemalsunter Corbulo an den militärischen Unternehmungen gegen die Parther teil-genommen hatten, zu den engsten Beratern und Funktionsträgern umVespasian gehörten. Auf sie könnte der Ratschlag zurückgehen, alle regiona-len Teile des östlichen Kleinasiens unter einem Statthalter zusammenzufas-sen; ihre Erfahrungen, die sie während der Kämpfe gegen die Parther auchim Konnex von Logistik und Versorgung des Heeres gemacht hatten, könn-ten dabei eine Rolle gespielt haben. Der Großkomplex fand seinen Aus-

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47 Z. B. DESSAU 268.48 Siehe die Dokumente bei RÉMY, Carrières sénatoriales (Anm. 26) 187ff.49 So freilich MAREK, Pontus et Bithynia (Anm. 6) 45, der von kleineren separaten Provinzen

spricht. Siehe dazu auch S. 192.50 Siehe vorerst W. ECK - A. PANGERL, Eine Bürgerrechtskonstitution für zwei Veteranen des kappa-

dokischen Heeres. Zur Häufigkeit von Bürgerrechtskonstitutionen für Auxiliarsoldaten, ZPE 150, 2004,233ff. In RGZM Nr. 7 ist der Provinzname nicht erhalten; ergänzt wird dort der Provinzname – inAnalogie zu dem noch unpublizierten Diplom – [Galatia et Cappadocia].

51 ECK - PANGERL, Eine Bürgerrechtskonstitution (Anm. 50) 239. Aus Platzgründen ist es sicher,daß in diesem Diplom nur Cappadocia stand.

52 AE 1920, 55 = I. Eph. III 715.53 Siehe zuletzt PIR2 R 248. Wegen der Aufstellung der Statue des Rutilius Gallicus in Ephesus

hat man manche Spekulationen angestellt. Der Grund liegt aber schlicht darin, daß der Dedikant,Aemilius Pius, aus dieser Stadt stammt (vgl. I. Eph. VII 2, 4118).

druck in einer langen Namensfolge bei der Provinzbezeichnung. CaesenniusGallus, Legat der neuen Großprovinz unter Titus und Domitian in den Jah-ren 80-82, nennt sich selbst: legatus pro praetore in der provincia Galatia,Cappadocia, Pontus, Pisidia, Paphlagonia, Lycaonia, Armenia minor47. Mitkleinen Varianten finden sich diese Namen auch bei anderen Amtsträgern48.Warum diese Teile separat genannt wurden, ist nicht zu erkennen. Daß siesachliche Unterabteilungen gebildet hätten, die sich in den administrativenProzessen unterschieden hätten, ist auszuschließen49. Ein noch unpublizier-tes Militärdiplom für Cappadocia aus dem Jahr 101, d.h. also die Abschrifteines offiziellen Dokuments, einer kaiserlichen Konstitution, führt den Na-men der Provinz sowie den Namen des für die Provinz zuständigen Statt-halters in folgender Form an: et sunt in Galatia et Cappadocia sub Q. AufidioUmbro50. In einem weiteren Diplom aus dem Jahr 100 hießt es sogar ledig-lich: quae sunt in Cappado[cia sub Pomponio Basso]51. Hier wird also auf dieNennung der einzelnen Territorien verzichtet, nur Cappadocia bzw. die bei-den Hauptnamen: Galatia et Cappadocia erscheinen, in dieser Reihenfolge.Auch wenn in der Titulatur einzelner Statthalter somit viele Namen ange-führt werden, besagt dies nichts über eine administrative Untergliederung.Vielleicht sollte mit der Anführung der einzelnen Namen schlicht den ver-schiedenen Regionen gezeigt werden, daß sie als individuelle Teile noch be-standen und wahrgenommen und sie nicht einem einheitlichen Namen ein-verleibt wurden, wodurch sie auch ihre Identität verloren hätten.

Eine einzige administrative Untergliederung ist innerhalb des gesamtengroßen galatisch-kappadokischen Komplexes zu erkennen. Schon unterCorbulo ist nach 55 n. Chr. ein C. Rutilius Gallicus als legatus provinciae Ga-laticae bezeugt52. Da bei legatus der Zusatz pro praetore fehlt, hat man ihnmit Recht als einen prätorischen Legaten unter dem Gesamtkommando desCorbulo angesehen, der in Galatia administrative Aufgaben erfüllte53. In

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54 RÉMY, Carrières sénatoriales (Anm. 26) 250ff.55 Siehe G. ALFÖLDY, Fasti Hispanienses, Wiesbaden 1969, 67ff.56 DESSAU 1038. Er wird im Jahr 116 Suffektkonsul und unmittelbar danach Legat in der nun-

mehr konsularen Provinz Iudaea, H. M. COTTON - W. ECK, Governors and Their Personnel on Latin In-scriptions from Caesarea Maritima, in: The Israel Academy of Sciences and Humanities, ProceedingsVol. VII, No. 7, Jerusalem 2001, 215ff. = DIES., in: Cathedra 122, 2006, 31ff. (hebräisch).

57 Es erscheint nur in der Laufbahn des Catilius Severus, PIR2 C 558; RÉMY, Carrières sénatoriales(Anm. 26) 206.

gleicher Weise finden sich dann von der spätvespasianischen Zeit bis in diemitteltraianische Zeit insgesamt fünf solcher prätorischer Legaten, mit wech-selnden Beschreibungen für ihren Zuständigkeitsbereich, doch alle demkonsularen Statthalter untergeordnet54. Die Benennung dieses prätorischenLegaten, der keine Legion kommandierte, sondern neben den zwei Legions-legaten dem Statthalter zugeordnet war, ähnelt zunächst dem System, dasaus der Hispania citerior (Tarraconensis) oder seit vespasianischer Zeit auchin Britannien bekannt ist, wo jeweils unter dem ebenfalls konsularen kaiser-lichen Statthalter ein iuridicus tätig war. Dieser war, wie die Amtsbezeich-nung deutlich macht, wohl vor allem oder sogar ausschließlich in der Recht-sprechung tätig55. In den, allerdings ausschließlich griechisch formuliertenZeugnissen für den galatisch-kappadokischen Provinzkomplex findet sichkein Hinweis, daß sich die Tätigkeit dieser prätorischen Legaten darauf be-schränkt hätte. Es könnte also sein, daß diese Legaten eine umfassendereAufgabe hatten und den Statthalter innerhalb des ihnen zugewiesenen Be-zirks umfassend vertreten haben, also als eine Art Unterstatthalter wirkten.

Dieses System endet, wenn die Zeugnisse richtig interpretiert werden,unter Traian, in dem Augenblick, als der Kaiser die beiden großen Teile derGesamtprovinz wieder von einander trennte. Wann dies genau geschah, läßtsich nicht sagen, aber vermutlich unmittelbar vor Beginn des Krieges gegendie Parther. Denn spätestens im Jahr 114/115 hat ein Cn. Catilius Severusals konsularer Legat eine Provinz geleitet, die den Namen Cappadocia, Ar-menia maior et minor trägt, während gleichzeitig ein L. Cossonius Gallusspätestens 114-115/116 als leg(atus) Aug(usti) pro pr(aetore) provinci(arum)Galatiae, Pisid(iae), [P]aphlagoniae amtierte56. Das Gebiet des Pontus Gala-ticus und des Pontus Polemoniacus wurden wohl aus strategischen Grün-den an Cappadocia angeschlossen, ebenso wie auch das bisherige Köni-greich Armenia maior, das freilich ab 117 nach dem Rückzug der römischenTruppen aus dem parthischen Gebiet, wieder aus dem Provinzstatus entlas-sen werden mußte57.

Die Zahl der Provinzen, wie sie unter Traian erreicht wurde, blieb dann,soweit wir bisher sehen können, bis weit ins dritte Jahrhundert hinein erhal-ten. Erst in der Spätzeit des Severus Alexander wurde der Ostteil der Pro-

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58 MAREK, Pontus et Bithynia (Anm. 6) 46 u. 51f. Ebenfalls in den allerletzten Jahren des SeverusAlexander war allerdings auch noch Sallustius Sempronius Victor in der Gesamtprovinz Pontus-Bithy-nia als Finanzprokurator tätig, PIR2 S 99; wenn Faltonius Restitutianus nach AE 1986, 653 kurz vordem Jahr 235 bereits als ritterlicher praeses der Provinz Pontus fungierte, dann müssen beide unmittel-bar hintereinander amtiert haben, in unterschiedlichen territorialen Bereichen.

59 Siehe THOMASSON, Laterculi praesidum I (Anm. 26) 251f.; DERS., Laterculi praesidum III, Göte-borg 1990, 38; DERS., Laterculi praesidum Addenda IV unter der Adresse: http://www.radius.nu/LP.Addenda.IV.html

60 CH. ROUECHE, Aphrodisias in Late Antiquity, London 1989, 103ff.; der Artikel von S. DMITRIEV,The end of provincia Asia, Historia 50, 2001, 468ff., bietet S. 486ff. eine breite Materialsammlung; dochden analytischen Erörterungen kann man nicht folgen; seine Kriterien für die Bestimmung derverschiedenen Statthaltertypen sind mehr oder minder willkürlich.

61 THOMASSON, Laterculi I (Anm. 26) 247.62 G. ALFÖLDY, Die Inschriften des Jüngeren Plinius und seine Mission in Pontus et Bithynia, Fest-

vinz Pontus-Bithynia als eigene Provinz organisiert, als provincia Pontus,und zwar, ohne daß man einen spezifischen Grund erkennen kann, unter ei-nem ritterlichen praeses58. Die Reihe der inzwischen bekannten ritterlichenpraesides ist lang, bezeugt vor allem durch die zahlreichen Meilensteine, aufdenen ihre Namen erscheinen59. Eine weitere Abtrennung erfolgte wohl un-ter Decius, da Phrygia und Caria aus Asia herausgelöst und einem eigenenStatthalter unterstellt wurde, diesmal jedoch keinem Ritter, sondernzunächst einem offensichtlich konsularen kaiserlichen Legaten60. WeitereVerkleinerungen der Provinzen traten jedoch zunächst nicht ein, erst Dio-cletian entschloß sich dann zu einer solchen Politik, die im Verein mit denMaßnahmen, die Gallienus im Jahr 261/262 ergriffen hatte, zu einem we-sentlichen Wandel im gesamten Provinzsystem geführt hat. Das aber istnicht mehr Thema dieses Beitrags.

Nachzutragen sind auf der Ebene der Statthalter noch zwei Erscheinun-gen. Zum einen kommt es spätestens im Jahr 159 zu einer Veränderung desStatus der Provinz Pontus-Bithynia. Seit Beginn war dieser Provinzkomplexeine provincia populi Romani, die von einem senatorischen Prokonsul imprätorischen Rang geleitet wurde. An dieser grundsätzlichen Zuständigkeitdes Senats änderte sich auch nichts, als unter Traian für einige Jahre mitdem jüngeren Plinius und seinem Konsulatskollegen C. Iulius CornutusTertullus konsulare Amtsträger dorthin gesandt wurden und die Auswahlder Statthalter durch den Kaiser selbst erfolgte, der sie dem Senat nament-lich vorgeschlagen hatte61. Plinius hat dies in seiner berühmten Inschrift ausComum folgendermaßen formuliert, vermutlich eine Übernahme aus demkaiserlichen Ernennungsschreiben: legat(us) pro pr(aetore) provinciae Pon[tiet Bithyniae pro]consulari potesta[te] in eam provinciam e[x senatus consultoab] Imp(eratore) Caesar(e) Nerva Traiano Aug(usto) German[ico Dacicop(atre) p(atriae) missus]62. Daß dies noch nicht als eine grundsätzliche Um-

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schrift für St. Borzsák, AAntHung 39, 1999 [2000], 21ff. = in: DERS., Städte, Eliten und Gesellschaft inder Gallia Cisalpina, Stuttgart 1999, 221ff. Vgl. schon W. ECK, Provinz – Ihre Definition unter politisch-administrativem Aspekt, in: W. ECK, Die Verwaltung des römischen Reiches in der Hohen Kaiserzeit,Band 2, Basel 1997, 168ff., 182 mit Anm. 49.

63 Plinius, ep. 10,25.64 CHR. MAREK, Das Datum einer Statthalterschaft in Pontus-Bithynia. L. Hedius Rufus Lollianus

Avitus, Epigraph. Anat. 23, 1994, 83ff.; DERS., Pontus et Bithynia (Anm. 6) 50f.65 W. ECK, Zum Rechtsstatus von Sardinien im 2. Jh. n. Chr., Historia 20, 1971, 510ff.66 S. ~AHIN, Die Inschriften von Arykanda, Bonn 1994, Nr. 25a-e; P. WEIß, Ein neuer Prokonsul

von Lycia-Pamphylia auf einem Militärdiplom, Epigraphica Anatolica 31, 1999,77ff. = RMD V 438.67 CIL XVI 128; RMD I 67; W. ECK, Bemerkungen zum Militärkommando in den Senatsprovinzen

der Kaiserzeit, Chiron 2, 1972, 429ff.68 MAREK, Pontus et Bithynia (Anm. 6) 46.

wandlung von einer provincia populi Romani zu einer kaiserlichen Provinzangesehen wurde, ersieht man daran, daß Plinius auch einen Legaten untersich hatte63, so wie vor ihm die normalen Prokonsuln auch. Seit Anfang derhadrianischen Zeit ist jedenfalls die Provinz wieder von prokonsularenAmtsträgern geleitet worden. Das fand ein Ende spätestens im Jahr 159, alsAntoninus Pius, vielleicht wegen der drohenden Parthergefahr, die Provinzin seine direkte Zuständigkeit übernahm, weshalb nun stetig ein kaiserlicherLegat und zwar sogar konsularen Ranges in die Provinz abgeordnetwurde64. Doch wie schon unter Traian als Ersatz für den Ausfall eines pro-consul in Pontus-Bithynia für eine begrenzte Zeit ein solcher Amtsträger indie Provinz Sardinia gesandt wurde65, so geschah Analoges auch unter Pius,als Pontus-Bithynia den Status wechselte. Jedenfalls finden wir schon zu Be-ginn der Regierungszeit des Marcus in Lycia-Pamphylia einen proconsul indieser Provinz, die bisher von einem prätorischen legatus Augusti pro prae-tore geleitet wurde66. Warum diese Regelung kurzfristig in den späten Jah-ren des Marcus nochmals zurückgedreht wurde, wie wir zwei Militärdiplo-men aus einem unbekannten Jahr unter Marcus und des Jahres 178 entneh-men müssen, bleibt unsicher67. Vielleicht waren die Wirren wegen des Auf-standes des Avidius Cassius der Anlaß.

Die zweite Erscheinung, die die statthalterliche Provinzadministrationbetraf, waren Veränderungen in der Ausdehnung des Territoriums, das je-weils einer Provinz zugehörte. So wurde unter Marcus offensichtlich dasGebiet um Amisos, Sinope und Abounoteichos aus der Zuständigkeit desLegaten von Pontus-Bithynia ausgegliedert und dem Legaten von Galatiazugewiesen68. Solche Änderungen waren eine nicht seltene Erscheinung,vermutlich weit häufiger, als wir dies feststellen können, vor allem, wenn essich nur um die Verschiebung einzelner Gemeinden aus dem Zuständig-keitsbereich eines Statthalters in den eines anderen handelte. Denn dabeisind die Aussagen der Quellen manchmal vieldeutig. Ein Beispiel möge

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69 ST. MITCHELL, Requisitioned Transport in the Roman Empire: a new inscription from Pisidia, JRS66, 1976, 106ff. = AE 1976, 653 = AE 1978, 789 = AE 1989, 727.

70 IGR III 342. Ferner gibt es im unpublizierten Material von Sagalassos einen Text, der ebenfallseinen prätorischen kaiserlichen Legaten nennt.

71 Siehe oben zu Anm. 38-42.72 Der Text wird in Kürze publiziert werden. Siehe bisher auch die kurzen Hinweise bei WAEL-

KENS (Anm. 35) 324ff.73 W. ECK, Chiron 12, 1982, 310; ibid. 13, 1983, 208; vgl. jetzt auch AE 1999, 1539 = SEG 49,

1524; AE 2002, 1412a.

dafür genügen. Sagalassos, eine pisidische Stadt, gehörte in tiberischer Zeitzum Bereich des Statthalters von Galatia-Pamphylia unter Einschluß vonPisidien, wie es der Erlaß des Sex. Sotidius Strabo Libuscidianus zum cursuspublicus zeigt; der Text wurde nicht weit von Sagalassos entfernt gefunden;den Bewohnern dieser Stadt überträgt der Legat auch bestimmte Aufga-ben69. Im zweiten Jahrhundert aber war die Gemeinde dem Legaten vonLycia-Pamphylia unterstellt, wie es einige Inschriften zeigen, die einenprätorischen Statthalter dieser Provinz nennen70. Doch ist zu fragen, wanndie Stadt der Provinz Lycia-Pamphylia angeschlossen wurde. Das wahr-scheinlichste Datum ist die vespasianische Zeit, als Pamphylien mit Lykienvereinigt wurde71. Allerdings wurde in Sagalassos auch eine gewaltige Statu-enbasis gefunden, auf der einst eine Kolossalstatue des Sextus Iulius Fronti-nus gestanden hatte72. Es ist die größte Basis, die in dieser Stadt für einePerson errichtet wurde, die nicht dem Kaiserhaus angehörte; Entsprechen-des dürfte damit auch für die Größe der Statue gelten. Das Erstaunliche andem epigraphischen Text ist jedoch, daß als Grund der so außergewöhnli-chen Ehrung Frontins nur gesagt wird, er sei ¢nqÚpatoj = proconsul gewe-sen. Die Amtsbezeichnung erscheint in der Inschrift ohne Hinweis darauf,in welcher Provinz er dieses Amt ausübte. Das aber ist die übliche Form,wenn man einen Amtsträger der eigenen Provinz ehrte. Frontin aber warProkonsul von Asia, wohl im Jahr 84/8573. Das läßt durchaus die Vermu-tung zu, Sagalassos könnte in der frühdomitianischen Zeit noch Teil derProvinz Asia gewesen sein. Das sei hier freilich nur als Hypothese formu-liert, auch jedoch als ein Exemplum, wie unsicher wir in vielen Fällen beider Bestimmung der jeweiligen Ausdehnung der statthalterlichen Territori-en sind, vor allem in Detailfragen.

Der größere Teil der Provinzen, die Rom in Kleinasien eingerichtet hat,wurde erst nach dem Ende der Republik geschaffen, und zwar erst nach dergrundsätzlichen Regelung der politischen Machtverteilung im Januar 27 v.Chr. Folglich sind auch nur zwei Provinzen als provinciae populi Romani un-ter einem proconsul eingerichtet worden: Asia mit konsularem Rang desStatthalters und Pontus-Bithynia mit prätorischem Rang. Alle anderen Pro-

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74 Siehe oben zu Anm. 24-32.75 ECK, Prokonsuln (Anm. 5) 518ff.76 Oben Anm. 5.77 Aelius Aristides, orat. 26, 64. 78 Strabo 2,5,8; 4,5,3; Appian, praef. 5; Cassius Dio 75,3,3.79 Cassius Dio 53,15,3. Vgl. W. ECK, Die Verwaltung des römischen Reiches in der Hohen Kaiser-

zeit. Ausgewählte und erweiterte Beiträge, Bd. 2, hg. R. FREI-STOLBA - M.A. SPEIDEL, Basel 1998, 199f.

vinzen fielen, da nach 27 erworben, in die Zuständigkeit des Princeps alsprovinciae Caesaris. Dabei wurde nur Cappadocia, wenn die entsprechendenQuellenaussagen entsprechend interpretiert werden müssen, bald nach demJahr 17 n. Chr. einem ritterlichen Funktionsträger übertragen74, derallerdings, nach allem, was zu erkennen ist, wohl der Oberaufsicht des sena-torischen Legaten von Syrien unterstellt war. Alle kaiserlichen Provinzen imkleinasiatischen Raum wurden senatorischen legati Augusti pro praetore an-vertraut, die zunächst ohne Ausnahme lediglich prätorischen Ranges waren,was angesichts des Fehlens größerer Heeresverbände auch nicht überrascht.Denn trotz dieser Überzahl der kaiserlichen Provinzen war die gesamte Re-gion bis zur Regierungszeit Vespasians fast ohne militärische Besatzung ge-blieben. Nur wenige Auxiliareinheiten sind dort stationiert worden, zumeistnur eine einzige in einer Provinz, dies allerdings in jeder75. Insoweit hatteAgrippa II. nach Iosephus in seiner Rede in Jerusalem, auf die bereits ange-spielt wurde, durchaus zu Recht auf diese erstaunliche Tatsache verwiesen76.Ein ähnliches Bild zeichnet Aelius Aristides in seiner Romrede77. Und auchdie vespasianische Neuordnung der Ostfront mit den zwei Legionen in Cap-padocia veränderte die Situation im Gesamtraum von Asia minor nicht we-sentlich. Unter dem Aspekt der Gesamtökonomie des Reiches war deshalbdieser riesige Raum eine Quelle enormer Einnahmen, dem gegenüber dieAusgaben, jedenfalls die, die in diesen Provinzen selbst zwingend getätigwerden mußten, insgesamt gesehen verschwindend gering waren, völliganders als an der Rhein- und Donaufront oder auch in Syrien undIudaea/Syria Palaestina, ganz zu schweigen von Britannien oder später vonMesopotamia, worauf Strabo, Appian und Cassius Dio verweisen78.

Umso wichtiger ist zu sehen, wie Rom und seine Kaiser auf der administra-tiven Ebene sicherstellten, daß die entsprechenden Summen auch eingenom-men werden konnten. Diese Thematik kann hier, auch aus Gründen des Um-fangs, nicht mehr im Detail behandelt werden, vielmehr können nur einigegrundsätzliche strukturelle Hinweise gegeben werden. In den prokonsularenProvinzen war, wenn man Cassius Dio vertrauen darf, bis ins 3. Jahrhunderthinein der jeweilige Quästor für die Kontrolle des Steuereingangs zuständig,während der konkrete Einzug durch die Gemeinden oder Steuerpächter er-folgte79. In allen anderen Provinzen, also den provinciae Caesaris, wurde diese

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80 DESSAU 1449. In AE 1965, 348 wird dagegen, anders als BRANDT - KOLB, Lycia et Pamphylia(Anm. 13) 24 meinen, nur ein [proc. Im]p. Nervae [Traiani Cae]s. Aug. Ger[m. Dac. --- a]e et Paph[lago-niae] genannt; [Galatia]e wurde zwar ergänzt, doch hat dies keine Beweiskraft.

81 PFLAUM, Carrières procuratoriennes (Anm. 26) I 265.82 DESSAU 1341.83 DESSAU 1426. Noch im Jahr 179 war er als proc(urator) ad annon(am) [O]stiae tätig; AE 1973,

126 und ECK, RE Suppl. XV 651. 84 AE 1967, 644; die Bezeichnung stammt sicher vom Prokurator selbst; es ist eine Selbstbezeich-

nung, da es sich um eine Dedikation handelt, entweder für die Stadt oder für eine Gottheit (d.d. am Endeder Inschrift ist nicht als decreto decurionum zu verstehen, sondern als dono dedit bzw. dedit dedicavit).

85 DESSAU 1359.86 Wenn Phrygia nur bei einem der beiden Prokuratoren erschiene, könnte man erwägen, es sei

Kontrolle, und zwar auch nur die Kontrolle, nicht etwa die konkrete Steuerer-hebung, durch kaiserliche Prokuratoren ausgeübt. Auffällig ist nun jedoch,daß sich deren territoriale Zuständigkeit gerade in Kleinasien sehr oft nichtmit den Provinzen der Statthalter deckte, vielmehr Bereiche mehrerer statt-halterlicher Bezirke zusammenschloß. So findet wir unter Hadrian einen Vale-rius Eudaimon als procurator Lyc. Pamp. Galat. Paphl. Pisid. Pont80. Er amtier-te also gleichzeitig im Gebiet der Legaten der Provinz Galatia und der Pro-vinz Lycia Pamphylia. Unsicher ist dabei nur, welches Gebiet genau mitPont(us) gemeint ist; vermutlich war es jedoch der Pontus Galaticus. Doch ineiner griechischen Inschrift wird unter den Territorien, die Eudaimon unter-standen, auch noch Lycaonia angeführt81. Um 132, also ebenfalls unter Hadri-an, aber ist ein Valerius Proculus als procurator provinc. Cap[p. Pafl]ag(oniae)Gal(atiae) bezeugt82. Hier ist also im Verlauf nur weniger Jahre ein massiverWechsel im Zuständigkeitsbereich eingetreten. In beiden Fällen aber umfaßtder jeweilige prokuratorische Amtsbezirk die Provinzen zweier Statthalter.Noch stärker wird die Überschneidung bei der vicesima hereditatium bemerk-bar. Ein C. Valerius Fuscus umschreibt seinen Amtsbezirk zu Beginn der Re-gierungszeit des Commodus mit per Asiam, Lyciam, Pamphyliam83. Bald dar-auf nennt sich Q. Petronius Novatus proc(urator) Aug(usti) XX her(editatium)per Asiam, Phrygiam, Lyciam, Galatiam, also ein deutlich anders zusammenge-setztes Gebiet84. Und rund zwei Jahrzehnte später trägt ein M. CosconiusFronto die Bezeichnung procurator ad vectig(al) XX her(edidatium) per Asiam,Lyciam, Phrygiam, Galatiam, insulas Cycladas, wiederum nicht identisch mitder vorausgegangenen Gliederung85. Heißt dies, daß Valerius Fuscus die Erb-schaftssteuer nur in den beiden Provinzen Asia und Lycia-Pamphylia einzog,Petronius Novatus’ Zuständigkeit dann auch Galatia umfasste, aber nichtmehr Pamphylia, ähnlich wie das auch bei Cosconius Fronto gesagt wird, beidem freilich auch noch die insulae Cycladae erscheinen? Und was besagt dannPhrygia, das auf der Ebene der Statthalter stets unter der Bezeichnung Asiamiterfasst ist86? Eine klare Antwort ist darauf nicht zu geben.

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eine Verschreibung für Pamphylia; doch bei zwei völlig verschiedenen Personen ist dies auszuschließen;Phrygia war als Teil des Zuständigkeitsgebiets in den Ernennungsschreiben der beiden genannt.

87 AE 1947, 89; vgl. I. Ephesus III 696a; AE 1995, 1557; PFLAUM, Carrières procuratoriennes(Anm. 26) III 1079; Suppl. 129f.

88 PFLAUM, Carrières procuratoriennes (Anm. 26) III 1079.89 Von besonderer Bedeutung sind dabei auch die großen kaiserlichen Gutsbezirke, zu denen

nicht wenig Inschriftenmaterial vorliegt.90 Man vgl. nur die Bemühungen der Kaiser, bei der Übernahme einer prokonsularen Provinz in

die eigene Verantwortung dafür zum Ausgleich eine andere Provinz mit einem Prokonsul zu besetzen,damit die Zahl dieser Amtsträger gleich blieb.

91 Willkommen wäre deshalb eine Abfolge von Karten, in denen die wechselnde Zugehörigkeiteinzelner größerer Landschaften oder Territorien zu den jeweiligen Provinzen deutlich herausgearbei-tet und dadurch sichtbar würde. Einige sehr gute Karten bei MAREK, Pontus et Bithynia (Anm. 6) 182f.

Die wenigen Beispiele zeigen zudem, daß die Zuständigkeitsbezirke auchzwischen den Prokuratoren für verschiedene Steuerarten nicht miteinanderharmonierten, sondern sich überkreuzten, nicht unähnlich dem, was manetwa auch bei den gallischen Provinzen beobachten kann. Die angeführtenBeispiele, die man leicht vermehren könnte, lassen ferner erkennen, daßpartiell recht große Bezirke von einem einzelnen Funktionsträger betreutwurden. Doch gibt es auch gegenteilige Fälle. So ist die relativ kleine Pro-vinz Cilicia, jedenfalls nach der Benennung, allein einem Finanzprokuratorunterstellt87; und Gleiches zeigt sich für den Einzug der res privata in Cili-cia: ein Prokurator kümmert sich alleine um den kaiserlichen Privatbesitz indieser Provinz88. Beispiele für ähnliche Fälle ließen sich anführen.

Für die Struktur der prokuratorischen Verwaltung in den kleinasiati-schen Provinzen läßt sich auf Grund der bisherigen Aufbereitung des Mate-rials kein klares Fazit ziehen. Es bedürfte einer umfassenden Bearbeitungdes Phänomens, wobei auch alle Zeugnisse für servi und liberti der Kaisereinzubeziehen wären89. Klar ist aber auch, daß dieser Zweig der Verwaltungin der Kaiserzeit deutlich anders geordnet war als die statthalterliche Orga-nisation der Provinzen, vermutlich wesentlich flexibler und auf Notwendig-keiten verschiedenster Art schneller reagierend. Rücksichten auf traditionel-le Vorstellungen, wie sie bei den Vertretern des Senats angebracht waren90,gab es in diesem Verwaltungsbereich gegenüber den ritterlichen Prokurato-ren kaum. Andererseits zeigt gerade auch die Organisation der Provinzenauf der Ebene der Statthalter, wie relativ beweglich das System auch auf die-ser Ebene war, keineswegs so statisch, wie es uns häufig erscheint91. Der re-lative Reichtum vor allem an epigraphischen Quellen für die kleinasiati-schen Provinzen läßt das deutlich hervortreten. Man muß fragen, ob dies inquellenarmen Provinzen so wesentlich anders gewesen ist.

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* Nos vifs remerciements vont aux participants du colloque de Cividale pour leurs remarques etsuggestions, particulièrement à Paolo Desideri, Frank Kolb et Maurice Sartre.

1 Tacite, Agricola, 21, cf. 11.2 Sur la perte de la ferocia et sa signification, cf. W. LIEBESCHÜTZ, The Theme of Liberty in the Agri-

cola of Tacitus, “CQ”, 16 (1966), pp. 126-139, part. p. 135; sur Agricola en général, voir les études ras-semblées dans ANRW, II, 33.3 (1991); pour K. CLARKE, An Island Nation: Re-Reading Tacitus’ Agricola,“JRS”, 91 (2001), pp. 94-112, l’insularité et la position extrême de la Bretagne, à l’extrémité du mondeconnu, aurait constitué le cadre idéal pour situer l’action d’Agricola, tout en en montrant les limites.

LES CARIENS OU LA MAUVAISE CONSCIENCE DU BARBARE*

ALAIN BRESSON

On sait que, dans son récit de la vie d’Agricola, Tacite montre commentles Bretons et les Gaulois avaient perdu leurs mœurs sauvages au contact desRomains1. Il souligne qu’Agricola avait fait le choix délibéré d’encouragerles enfants des notables bretons à adopter la culture romaine, soit la langue,l’habillement et tous les aspects du mode de vie des vainqueurs. Les jeunesBretons avaient cru ainsi embrasser la civilisation. En réalité, ils avaient per-du leur ferocia initiale, leur valeur combative, ce qui désormais les rendait in-aptes à défendre leur liberté2. Cette analyse d’une lucidité presque cyniqueest une forme de critique de la romanisation, mais aussi de la civilisation toutcourt. Car Tacite montre de la sorte qu’à Rome aussi la vertu tendait à dispa-raître au profit d’une lâche soumission à un tyran comme Domitien. La pas-sivité des Romains face à cet empereur exécrable avait révélé la servitudedans laquelle ils étaient tombés. La critique de la romanisation des barbaresétait donc aussi une critique de la civilisation en tant que telle. En renonçantà porter les armes et en abandonnant leurs traditions guerrières, les peuplesperdent aussi toute aptitude à défendre leur liberté.

Tacite nous offre donc une sombre mais profonde méditation sur la no-tion même de «culture civilisée». Cependant, il ne fait aucun doute que savision de l’acculturation du barbare, qui était conçue comme un passage dela ferocia à la suauitas propre à la civilisation et qui constituait le point dedépart de sa réflexion, était largement partagée par toute la pensée grecqueet romaine. Loin de la Gaule et de la Bretagne, en Asie Mineure cette fois,d’autres barbares auraient suivi le même chemin. C’est du moins ce qu’affir-me un curieux passage de Vitruve (II, 8, 12) relatif à la fontaine Salmakis, à

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3 Trad. CUF (éd. 1997, avec comm. pp. 137-139): in cornu autem summo dextro Veneris et Mercu-ri fanum ad ipsum Salmacidis fontem. Is autem falsa opinione putatur uenerio morbo inplicare eos qui exeo biberint. Sed haec opinio quare per orbem terrae falso rumore sit peruagata, non pigebit exponere. Nonenim quod dicitur molles et inpudicos ex ea aqua fieri, id potest esse, sed est eius fontis potestas perlucidasaporque egregius. Cum autem Melas et Areuanias ab Argis et Troezene coloniam communem eo loci de-duxerunt, barbaros Caras et Lelegas eiecerunt. Hi autem, ad montes fugati, inter se congregantes discurre-bant et ibi latrocinia facientes crudeliter eos uastabant. Postea de colonis unus ad eum fontem propter bo-nitatem aquae quaestus causa tabernam omnibus copiis instruxit eamque exercendo eos barbaros allecta-bat. Ita singillatim decurrentes et ad coetus conuenientes e duro feroque more commutati in Graecorumconsuetudinem et suauitatem sua uoluntate reducebantur. Ergo ea aqua non inpudici morbi uitio, sed hu-manitatis dulcedine mollitis animis barbarorum eam famam est adepta. Strabon (XIV, 2, 16) est scep-tique devant les accusations se rapportant à l’eau de Salmakis (ce n’est pas l’air ou l’eau qui peut êtrecause d’une déviance, mais la richesse ou l’intempérance). La version de la légende refusée par Vitruvevoulait que les hommes buvant de l’eau de Salmakis devinssent des homosexuels passifs. Ce sont lesamours honteuses auxquelles fait allusion Vitruve. La version négative est en revanche reprise à soncompte par Ovide, Métamorphoses, 4,287-289 et 15,319; cf. Martial X, 30, 11 pour une transpositionsur les bords du lac Lucrin.

4 Sur les rapports entre les peuples du monde antique en général, il est toujours utile de revenirau volume Modes de contacts et processus de transformation dans les sociétés anciennes. Forme di contat-to e processi di trasformazione nelle società antiche, Actes du colloque de Cortone, 24-30 mai 1981, Pise- Rome, 1983. Cependant, la situation spécifique de la Carie n’y est pas évoquée.

Halicarnasse, en Carie. Une tradition attribuait une sorte de pouvoir malé-fique à son eau. Or, Vitruve donne un autre contenu à cette tradition: «Unefausse croyance veut que ceux qui boivent à cette fontaine deviennent laproie d’amours morbides. Pourquoi cependant cette croyance, faussementcolportée, s’est-elle répandue dans le monde entier? Je ne serais pas fâchéde l’expliquer. Que cette eau en effet rende, comme on le dit, alangui et im-pudique, est impossible, mais la propriété de cette fontaine est d’être claireet d’un goût exquis. Or, lorsque Mélas et Arevanias vinrent d’Argos et deTroezène fonder ensemble une colonie à cet endroit même, ils en chassèrentles barbares cariens et lélèges. Ceux-ci s’étant réfugiés dans les montagnes ets’étant réunis en bandes faisaient des incursions dans le pays et le dévas-taient cruellement par leurs brigandages. Il advint qu’un colon, en quête deprofit, installa près de cette fontaine, à cause de la qualité de son eau, uneboutique bien approvisionnée, et que son commerce attira les barbares.C’est ainsi que, descendant individuellement et se mêlant aux personnes ré-unies là, ils se transformèrent, étant amenés, de leur propre gré, à perdreleurs mœurs dures et sauvages et à adopter les usages policés des Grecs. Lacroyance attachée à cette eau ne vient donc pas de son effet nocif et perversen amour, mais de ce que des cœurs barbares ont été pacifiés par la douceurde la civilisation»3.

Vitruve faisait en quelque sorte le portrait d’une contrée barbare transfor-mée en pays grec et civilisé. Il est bien exact que, à l’époque de Vitruve, laCarie était entrée dans l’univers commun de l’hellénisme4. Cependant, même

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5 Die Karer und die Anderen, curante Fr. RUMSCHEID, Berlin, 13-15 octobre 2005, actes à pa-raître; Hellenistic Karia, curantibus R. VAN BREMEN - J.-M. CARBON, Oxford, 29 juin-2 juillet 2006,actes à paraître.

6 J.M. HALL, Ethnic Identity in Greek Antiquity, Cambridge, 1997; ID., Hellenicity. Between Eth-nicity and Culture, Chicago, 2002.

7 Polybe XXI, 24, 7-8 et XXII, 5, 2; Tite Live XXXVII, 55, 3-6 et 56, 6; Appien, Syr., 39, 44. Surla question de la donation de la Carie et de la Lycie aux Rhodiens, voir A. BRESSON, Rhodes, Cnide etles Lyciens au début du IIe siècle av. J.-C., “REA”, 100 (1998), pp. 65-88, part. pp. 65-77. Sur la Carierhodienne, cf. G. REGER, The Relations between Rhodes and Caria from 246 to 167 B.C., in HellenisticRhodes: Politics, Culture and Society, curantibus V. GABRIELSEN - P. BILDE - TR. ENGBERG-PEDERSEN -L. HANNESTAD - J. ZAHLE, Aarhus, 1999, pp. 76-97. Une nouvelle inscription d’Aphrodisias, qui doitêtre publiée par A. Chaniotis dans le volume Hellenistic Karia (supra n. 5), montre que le contrôle rho-dien sur la Carie s’étendait aussi sur la région d’Aphrodisias.

avec sa rationalisation de la légende relative à la fontaine Salmakis, le schémade Vitruve n’est lui aussi qu’un mythe: tout simplement parce que les Cariensne furent jamais les barbares qu’il décrit et que leur rapport à l’hellénisme futbeaucoup complexe que son récit ne le laisse supposer. La Carie a récemmentfait l’objet de deux conférences, réunies l’une à Berlin, l’autre à Oxford (la se-conde centrée sur la période hellénistique)5. Une série de communicationsont traité de manière détaillée des diverses facettes de la civilisation matériel-le, de la langue, de l’écriture, des cultes ou de la vie politique des populationshabitant la Carie. Notre objet ici sera autre. Il s’agira, certes après d’autres,mais en prenant comme référence une région qui avait eu une personnalitéculturelle marquée, de tenter de répondre à une interrogation fondamentale:pourquoi et comment l’identité ethnique carienne finit-elle par s’effacer? Laréponse est moins simple qu’il n’y paraît et elle est même sans doute para-doxale. Définir une identité culturelle par des critères objectifs est une tâcheimpossible, comme l’a montré J. Hall6. L’identité est d’abord une définitionde soi. Mais – et ce sera l’axe essentiel qu’on retiendra ici –, il s’agit d’une dé-finition par opposition avec d’autres cultures, et c’est en ce sens que l’opposi-tion avec les «barbares» était constitutive de l’identité grecque.

* * *

Aux yeux des Grecs de l’époque classique, les Cariens étaient certes desbarbares, car leur langue nationale n’était pas le grec. Mais étaient-ils les«sauvages» qu’en faisait Vitruve? Il importe tout d’abord de définir l’espacegéographique concerné. On prendra comme définition de base de la Cariequ’il s’agit de la région de l’Asie Mineure située au sud du Méandre, délimi-tée à l’est par la chaîne montagneuse formée par le Kadmos, la Salbakè et leTarbèle. Cette définition n’est cependant pas sans équivoque. Elle corres-pond certainement à une définition géographique déjà ancienne, puisqu’onsait que, en 189/188, Rome donna aux Rhodiens la Carie jusqu’au Méandre7.

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8 Cette inscription sera prochainement publiée.9 Sur ces questions, les pages de L. et J. ROBERT, La Carie, II, Paris, 1954, pp. 17-22, sont tou-

jours essentielles. Ils insistaient sur le caractère mixte des populations de ces régions, «où dominaientles éléments phrygiens et pisidiens» (ibid. p. 17).

10 Sur ces régions, cf. P. DEBORD, Présentation géographique, in Les hautes terres de Carie, curanti-bus P. DEBORD - E. VARINLIOGLU, Bordeaux, 2001, part. pp. 11-19.

11 Thucydide II, 69.12 Pour ce type de sites cariens, cf. P. BRUN et alii, Les sites, in Les hautes terres de Carie, op. cit.,

pp. 23-75, part. pp. 66-68.

En outre, une inscription encore inédite de Xystis du début du IIIe sièclemontre que, dès cette époque aussi, on considérait que la Carie s’étendaitjusqu’aux parages de l’Harpasos et du Méandre8. La province de Carie duBas-Empire eut les frontières de cette Carie géographique. Mais la Carie ar-chaïque, classique et hellénistique était-elle entièrement peuplée de Cariens?Pour faire court, à une époque ancienne les témoignages relatifs au peuplecarien se concentrent dans la partie ouest et dans la partie méridionale.Avant l’époque impériale, on ne sait que peu de choses des populations si-tuées dans la haute vallée du Méandre ou dans les parties montagneuses del’est du pays9. À l’exception de la partie la plus occidentale autour de Myla-sa, la Carie forme un paysage de collines et de montagnes. Au sud, sur le gol-fe Céramique, une haute falaise qui par endroits dépasse 1 000 mètres domi-ne la mer10. En fait, la Carie était plus facilement pénétrable par le nord, de-puis le grand axe naturel que constitue la vallée du Méandre et ses affluentsde la rive gauche. Lydiens et Perses purent ainsi aisément se rendre maîtresde la Carie. Venus de la mer, au Ve siècle, les Athéniens ne réussirent jamaisqu’à en contrôler brièvement les franges maritimes, sans jamais vraiment pé-nétrer dans l’intérieur des terres. Quand, en 430/429, leur stratège Mélésan-dros voulut s’engager à l’intérieur des terres pour assurer la levée du tribut,qui rentrait mal, ses forces furent battues dans un engagement et lui-mêmefut tué11.

Belliqueux et en rivalité les uns avec les autres, les Cariens étaient avanttout des agriculteurs recherchant les étroites terres de plaine et des bergersfaisant paître leurs troupeaux sur les pentes des montagnes. Selon Aristopha-ne (Oiseaux, 292-293), les Cariens «habitent sur des hauteurs, par souci desécurité». De même, Xénophon (Cyropédie, VII, 4, 1) souligne qu’ils vivaientdans des places fortes. L’archéologie confirme cette vision des choses. En de-hors de rares sites, comme Mylasa ou Caunos, qui prirent un caractère ur-bain, les Cariens vivaient en effet dans le cadre d’un système de villages oubourgs fortifiés. Ces derniers étaient situés sur de hautes collines. Certainssites pourtant proches de la côte étaient même volontairement invisibles de-puis la mer: voir sans être vu paraît à cet égard avoir été la règle d’or12.

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13 W. RADT, Siedlungen und Bauten auf der Halbinsel von Halikarnassos, Tübingen, 1970, pp. 17-74.14 Sur ce site, on verra prochainement la nouvelle interprétation de K. Konuk et R. Descat, à pa-

raître.15 Sur Kodapa, cf. A. BRESSON - P. BRUN - R. DESCAT - K. KONUK, Un décret honorifique des Koda-

peis, “REA”, 107, 2005, pp. 69-81.16 Pour Ténos, cf. R. ÉTIENNE, Ténos, II, BEFAR, Paris, 1990, pp. 15-24; pour la Crète, P. BRULÉ,

La piraterie crétoise hellénistique, Besançon - Paris, 1977, pp. 148-156.

Les surveys menés par W. Radt dans la péninsule d’Halicarnasse ont per-mis d’établir des plans de plusieurs de ces bourgs fortifiés13. L’un des pluscaractéristiques est celui d’Alazeytin Kalesi, à une dizaine de kilomètres àl’est d’Halicarnasse. Situé au sommet d’une colline en forte pente à environ300 m d’altitude, le site a été occupé au moins depuis environ 700 jusqu’auIVe siècle a.C. Il s’est développé de manière continue, autour d’un noyaucentral, sans rupture notable même après une possible destruction par lesPerses en 545 et sans qu’un plan orthogonal ait jamais été appliqué. La for-tification extérieure a la forme d’un ovale. Il s’agit d’une courtine autonomerenforcée par des tours, sauf dans la partie est où le mur extérieur des mai-sons se confond avec le mur de défense. La porte principale, au sud de laville, était puissamment défendue. L’habitat est formé de maisons qui s’ag-glutinent les unes sur les autres dans le secteur est et d’une imposante cita-delle centrale, probable résidence d’un dynaste local. Une agora, un bâti-ment public et un sanctuaire en appareil très soigné ainsi qu’une vaste citer-ne constituaient les «équipements publics»14.

Ce type de localisation et de structures se retrouve sur d’autres sitesspectaculaires, comme celui de Kodapa, récemment identifié15. Le site deKodapa est double, avec un site d’époque archaïque et classique sur la hau-teur, et un autre au pied de la colline, avec un changement de site caracté-ristique à l’époque hellénistique. Mais l’on ne doit pas considérer qu’unedescente vers la mer à partir de la fin de l’époque classique et à l’époquehellénistique serait propre aux «barbares». Le phénomène peut être obser-vé dans d’autres régions authentiquement grecques: ainsi à Ténos, dans lesCyclades, ou en Crète16. Toutefois, l’apparence du site de l’acropole de Ko-dapa, comme celle de nombre de sites de hauteur que l’on rencontre en Ca-rie, peut donner l’impression que l’on a affaire à un type de constructionpropre aux «barbares». Dans le passé, on a souvent défini ce type deconstruction en pierre sèche de type polygonal irrégulier comme «mur lélè-ge» (en voulant en outre différencier entre Cariens et Lélèges). Outre que ladifférenciation entre Cariens et Lélèges n’est qu’un mythe (même si cemythe remonte à l’Antiquité), il faut remettre en cause l’idée qu’il auraitexisté un type de construction typiquement «carien», i.e. «barbare» – doncimplicitement inférieur –, par opposition à des techniques de construction

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17 Sur Cariens et Lélèges, cf. R. DESCAT, Les traditions grecques sur les Lélèges, in Origines Gen-tium, curantibus V. FROMENTIN - S. GOTTELAND, Bordeaux, 2001, pp. 169-177; sur le type deconstruction, A.M. CARSTENS - P. FLENSTED-JENSEN, Halikarnassos and the Lelegians, in The SalmakisInscription and Hellenistic Halikarnassos, curantibus S. ISAGER - P. PEDERSEN, pp. 109-123.

18 Le site de Tepecik fera l’objet d’une publication des missions de survey archéologique ducentre Ausonius en Carie Occidentale. Sur Cnide et Triopion, voir A. BRESSON, Cnide à l’époque clas-sique: La cité et ses villes, “REA”, 101, 1999, pp. 83-114.

plus sophistiquées, donc grecques: ainsi, le type de construction de la pé-ninsule d’Halicarnasse identifie un type de société, un peuple de pasteurs etd’agriculteurs, mais pas un ethnos spécifique (le supposé ethnos lélège)17. Ilest donc évident qu’il existait en Carie une tradition de construction parti-culière, en particulier pour le type de plan des bâtiments ou pour l’urbanis-me. Mais le type de bâti doit être analysé en fonction de la chronologie dusite, du matériau (schiste, calcaire ou granit) et des moyens financiers dispo-nibles pour une construction donnée. Pour ce qui est du moins de son typede fortification, on voit qu’un site carien comme celui de Tepecik, un belensemble fortifié à l’ouest de Mylasa, ne se distingue guère par son typed’appareil des murs (de fortification ou de terrasse) qu’on peut observer surla partie insulaire de la ville de Triopion-Cnide18. Tepecik est un «site ca-rien», Triopion un «site grec». Pourtant le type de construction est prati-quement identique. Donc, du moins dès la fin de l’archaïsme et le début del’époque classique, le niveau technique des Cariens en matière de construc-tion monumentale ne se distinguait guère de celui des Grecs. II existait enCarie un style original, de même que chaque région du monde grec pouvaità la même époque développer des traditions propres, adaptées à son milieuet à son environnement. En outre, comme le montre aussi dès la fin de l’ar-chaïsme le site d’Alazeytin, les Cariens ne restaient nullement fermés auxinfluences extérieures, puisqu’ils avaient recours au style éolique pour leurschapiteaux.

Pour ce qui est de la céramique, comme il a été montré au Congrès deBerlin, les Cariens occidentaux (ceux de la région de Mylasa) avaient uneproduction qui ne se distinguait pratiquement pas de celle des Milésiens.Pour l’équipement militaire, il faut bien sûr rappeler qu’Hérodote (I, 171)signale que les Cariens ont transmis trois inventions aux Grecs, le cimier, lesparasèmes et les courroies des boucliers. Les Cariens étaient de redoutablesguerriers, qui n’avaient rien à envier aux Grecs. En outre, les Cariens de lafrange maritime ont très tôt disposé d’un monnayage (du moins pour ce quiest des cités de Carie occidentale), c’est-à-dire dès la fin du VIe siècle et le Ve

siècle. Certes, les Cariens ne furent pas les initiateurs du monnayage. Ce sontleurs voisins, les Ioniens d’Asie Mineure et les Lydiens, qui furent à l’originedes premiers monnayages d’électrum, autour de 600 a.C. Mais, dès les envi-

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19 Cf. K. KONUK, SNG Turkey 1, The Muharrem Kayhan Collection. Ausonius Numismatica Ana-tolica 1, Istanbul - Bordeaux, 2002, n° 925-928; ID., Karun’dan Karia’ya, Muharrem Kayhan Koleksiyo-nundan Erken Anadolu Sikkeleri. From Kroisos to Karia, Early Anatolian Coins from the MuharremKayhan Collection, Istanbul, 2003, p. 89, n° 66.

20 Pour Caunos, cf. K. KONUK, The Early Coinage of Kaunos, in Studies in Greek Numismatics inMemory of Martin Jessop Price, curantibus R. ASHTON - S. HURTER, Londres, 1998, pp. 197-223, pl. 47-50. Pour Mylasa, cf. ID., SNG Turkey 1, n° 929-933 et Karun’dan Karia’ya, p. 90, n° 67.

21 K. KONUK, Coin Evidence for the Carian Name of Keramos, “Kadmos”, 39 (2000), pp. 159-164.22 FR. KAMMERZELL, Studien zu Sprache und Geschichte der Karer in Ägypten, Wiesbaden, 1993;

rons de 500 a.C., Mylasa disposa d’un monnayage d’electrum19. Dans lespremières décennies du Ve siècle, une série de cités cariennes (toutes ne sontpas identifiées, loin s’en faut – on peut citer au moins Mylasa et Caunos)commencèrent à frapper un monnayage d’argent20. Vers 400 a.C., Kéramosfait partie de la première série des cités (y compris grecques) qui eurent unmonnayage de bronze (ici à légende carienne)21. On peut même ajouter undocument tout récent (issu de la campagne 2006 du centre Ausonius en Ca-rie): un poids étalon en plomb, pesant 455 g, de 5,5 cm de côté, provenantd’une acropole carienne située non loin de la côte, à environ une trentainede kilomètres à l’ouest de Kéramos (et à l’ouest d’Ouranion et de Kodapa).Une face porte un dauphin. Le style paraît être d’époque classique. Il s’agitmanifestement d’un poids d’une mine, ce qui atteste d’une standardisationdes échanges marchands. Le dauphin suggère un rapprochement avec le ty-pe des monnaies de Kéramos et il se pourrait (mais on ne saurait être tropaffirmatif) que l’on ait affaire à une légende en carien, dont il ne resterait quela dernière lettre, O. Malheureusement, la surface est partiellement effacée àgauche et empêche de vérifier l’hypothèse d’une lecture KBO, qui identifie-rait Kéramos. Quoi qu’il en soit, il est clair que la région a connu très tôt,soit dès le Ve siècle, un système d’échanges à la fois standardisés et monétari-sés, qui n’avait rien à envier à celui des Grecs. Il n’existait donc pas de diffé-rence technologique cruciale à cet égard entre les Grecs et les Cariens: nonévidemment que les Cariens aient été «supérieurs aux Grecs», mais plus sim-plement parce que leur développement s’opéra au contact permanent desGrecs et, grosso modo, au même pas.

On doit aussi souligner que les Cariens n’étaient pas confinés dans leurprovince. Dès le VIIe et le VIe siècle, on les trouve en Égypte, où, au côtédes Grecs et des Phéniciens, ils formaient des communautés nombreuses,bien attestées par Hérodote, qui les mentionne à diverses reprises (II, 61,152, 154, 163 et III, 11). Mais ces communautés sont également connuesgrâce à la découverte de textes épigraphiques cariens, qui ont même joué unrôle décisif dans le déchiffrement de l’écriture carienne grâce aux travauxde John Ray22. Moins connue est la participation des Cariens au mouvement

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J.D. RAY, Soldiers to Pharaoh: The Carians of Southwest Anatolia, in Civilizations of the Ancient NearEast, II, curante J.M. SASSON, New York, 1995, pp. 1185-1194; ID., Aegypto-Carica, “Kadmos”, 37(1998), pp. 125-136.

23 Voir en détail RE, X.2 (1919), col. 1995, s. v.; pour une possible localisation, cf. Barrington At-las of the Greek and Roman World, curante A.J.A. TALBERT, Princeton, 2000, f. 22.

24 Sur l’état de déchiffrement du carien et sur la langue carienne, cf. I. ADIEGO, Studia Carica. In-vestigaciones sobre la escritura y la lingua carias, Barcelone, 1993; La decifrazione del cario, curantibusN.E. GIANOTTA et aliis, Rome, 1994; le volume 37 (1998) de la revue Kadmos, et en dernier lieu lacontribution d’I.-J. ADIEGO, in I.-J. ADIEGO - P. DEBORD - E. VARINLIOGLU, La stèle caro-grecque d’Hyl-laryma, “REA”, 107, 2005, pp. 601-653, part. pp. 640-653. Le volume synthétique d’I.-J. ADIEGO, TheCarian Language, Amsterdam, décembre 2006, ne nous a pas été accessible avant la fin de la rédactionde cette étude.

de colonisation du Pont-Euxin. On sait que les fondations milésiennes sonttrès nombreuses tout autour du Pont. Mais le toponyme Karôn Limèn, attes-té par Arrien, Périple pontique 35 (cf. Mela II, 2; Anonyme, Peripl. 101 [75])laisse penser à l’existence d’une fondation carienne sur la côte ouest duPont, au sud de Callatis23. Pline, Histoire Naturelle, VI, 20, signale aussi queles premiers occupants de Tanaïs, à l’embouchure du Don, auraient été desCariens, bientôt remplacés par des Clazoméniens. Cette séquence est vrai-semblable, même s’il est difficile de savoir à quel établissement Pline faisaitallusion. Il n’est au fond pas étonnant que des Cariens aient suivi le mêmechemin que leurs voisins immédiats, les Ioniens de Milet et des cités voi-sines. Il ne serait pas non plus surprenant que leurs implantations aient étérapidement supplantées ou assimilées par les Grecs, plus nombreux et do-minants dans la région.

Certes, il existait une différence essentielle: les Cariens n’étaient pas hel-lénophones. Héritiers des civilisations du Bronze anatolien, les Cariens par-laient une langue dite asianique, parente du hittite et surtout du louvite, etdonc aussi proche parente de la langue de leurs voisins ciliciens, pamphy-liens, lyciens et lydiens24. Faute d’un corpus suffisant de textes, cette languereste encore mal connue. On ne dispose en effet que d’un corpus limité detextes en carien, provenant soit d’Égypte (et datant de la fin de l’archaïsme),soit de Carie même (datant alors pour l’essentiel des Ve et IVe siècle), avecquelques rares textes provenant d’autres régions. Cependant, des progrèstrès importants ont été faits ces dernières années grâce au véritable déchif-frement du système d’écriture carien, sur la base, tout particulièrement, destravaux de J. Ray, D. Schürr et I.-J. Adiego. Les Cariens développèrent trèstôt, soit dès le VIIe siècle certainement, un système d’écriture qui leur étaitpropre. Ce système partage certaines valeurs avec le grec, pour les sons /a/,/o/, /u/. Pour le reste, il s’agit d’un système indépendant, mais manifeste-ment bien adapté à la langue carienne. On doit relever que, en parallèle avecles Cariens, les Lyciens aussi avaient leur propre système d’écriture. Voici

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25 Cf. ADIEGO et alii, art. cit. Sur la culture et les cultes louvites, cf. CR. MELCHERT, The Luwians,Boston - Leyde, 2003.

26 Il s’agit naturellement de la vision des Grecs et des Romains sur leurs voisins, non de la réalitéd’une sauvagerie des peuples périphériques; pour la Gaule, cf. CHR. GOUDINEAU, Panorama: “les Gau-lois n’étaient pas des barbares”, dans ID., Regard sur la Gaule, Paris, 1998, pp. 35-52.

27 Sur la présence ancienne du grec en Carie, A. BRESSON, Karien und die dorische Kolonisation, inDie Karer und die Anderen, op. cit., à paraître.

28 Sur le grec utilisé en Carie et en Lycie, cf. CL. BRIXHE, Le grec en Carie et en Lycie au IVe siècle:des situations contrastées, in La koiné grecque antique, curante CL. BRIXHE, Nancy, 1993, pp. 59-82.

donc des barbares qui, à une date précoce, n’avaient rien à envier aux Grecspour l’usage de l’écrit.

Cet alphabet était déjà largement utilisé par les communautés cariennesd’Égypte au VIe siècle. Il disparaît en Égypte au début du Ve siècle et cettedisparition pourrait être liée aux difficultés des communautés cariennes dupays avec le pouvoir perse à l’époque de la révolte de l’Ionie, puis desGuerres Médiques. En Carie même, l’alphabet épichorique est utilisé dansles légendes monétaires au Ve siècle et sur un certain nombre d’inscriptionsdes Ve et IVe siècles, voire du début du IIIe siècle a.C. (toutes cependantprovenant de sites de Carie occidentale, jusqu’à Hyllarima, et Caunos, aucu-ne ne provenant des profondeurs du pays et en tout cas de la région nord-est de la Carie géographique). Le peu que nous savons de la langue cariennesuffit à nous laisser deviner quelques traits de leur culture, et en particulierde leur panthéon. L’inscription d’Hyllarima récemment publiée a révélél’existence d’une prêtrise (commune?) d’Arma-Tarhunt. Arma était le dieulune, Tarhunt le grand dieu de l’orage du panthéon louvite25.

* * *

Les Cariens n’avaient donc nullement été les barbares incultes de Vitru-ve26. Mais la disparition de l’ethno-culture carienne peut dès lors paraîtred’autant plus surprenante. Pour essayer d’en déterminer les raisons, on doittout d’abord cerner les phases du recul du carien, la langue étant un vecteurimportant (certains diront: décisif, mais la question est comme on le sait fortdébattue) d’une identité culturelle. À quelle date doit-on faire remonter laconcurrence du grec en Carie? Avec la présence de colonies grecques parmiles plus actives du monde hellénique (ioniennes plus que doriennes en fait,comme on a essayé de le montrer au congrès de Berlin27) dans la proximitéimmédiate des cités cariennes, depuis le début du Ier millénaire (et même de-puis le milieu du second si l’on remonte au delà des Ages sombres), le grec atoujours été présent en Carie28. Les Cariens de la fin de l’archaïsme ne dé-couvraient pas le grec, qui devait leur être une langue familière, même si sansdoute la plus grande part d’entre eux ne le pratiquaient pas encore. Le bilin-

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29 L. ROBERT, Le Carien Mys et l’oracle du Ptôon (Hérodote, VIII, 135), in Hellenica, VIII, Paris,1950, pp. 23-38, qui rappelle aussi (p. 38) la mention par Thucydide (VIII, 85) d’un Carien bilingue, etmême trilingue puisque, envoyé de Tissapherne, il savait aussi le perse.

30 Xénophon, Helléniques, II, 1, 15-16 (cf. A. BRESSON, Grecs et Cariens dans la Chersonèse deRhodes, in Origines Gentium, curantibus V. FROMENTIN - S. GOTTELAND, Bordeaux, 2001, pp. 147-160,part. p. 152).

31 Cf. W. BLÜMEL, SGDI 5727 (Halikarnassos): Eine Revision, “Kadmos”, 32 (1993), pp. 1-18.32 Cf. G. PUGLIESE CARRATELLI, Cari in Iasos, “RAL”, 40 (1986), pp. 149-151; R. GUSMANI, Ka-

rische Beiträge, “Kadmos”, 27 (1988), pp. 139-149; F. BERTI - L. INNOCENTE, Due nuovi graffiti in alfa-beto cario di Iasos, “Kadmos”, 37 (1998), pp. 137-142.

33 Cf. S. HORNBLOWER, Mausolus, Oxford, 1982, qui offre une synthèse globale sur la Carie pré-hécatomnide et sur les transformations que lui imposent les Hécatomnides, non sans résistanceéventuellement.

guisme caractérise donc la Carie de l’époque classique. L. Robert avait attirél’attention sur un Carien d’Eurômos-Eurôpos, Mys, mentionné par Hérodo-te (VIII, 135), et qui était bilingue, grec-carien29. Diodore (XI, 60, 4) sou-ligne qu’au moment de l’expédition de Cimon en Carie vers 470, les citésgrecques côtières se rangèrent sans difficulté à son côté, tandis que celles del’intérieur, qui étaient bilingues (diglôttoi: entendre bien sûr qu’on y parlaitgrec et carien) et qui avaient une garnison perse ne se soumirent qu’après unsiège. Pour justifier le massacre ou la réduction en esclavage de la populationde Kedreai en 406 par les troupes de Lysandre, Xénophon précise que sa po-pulation était formée de mixobarbaroi30. En réalité, même certaines cités offi-ciellement grecques étaient pénétrées d’éléments cariens. C’était le cas d’Ha-licarnasse, comme le montrent les inscriptions de la cité de la fin du Ve ou dudébut du IVe siècle31. Il en allait de même à Iasos, où une partie de la popu-lation parlait le carien32.

Mais les facteurs politiques eurent une influence décisive sur la situationlinguistique. Dès la fin du VIe siècle et au début du Ve siècle, la principalecité grecque installée en Carie, Halicarnasse, commença à exercer une in-fluence majeure sur l’évolution de l’ethnos carien. Elle était le centre dupouvoir d’Artémise, l’héroïne d’Hérodote, lui-même originaire d’Halicar-nasse, comme on le sait. Le leadership d’Halicarnasse reparaît au IVe siècleavec les Hécatomnides, les satrapes-tyrans de Mylasa33. On sait en effetque Mausole fixa sa capitale à Halicarnasse. Or, depuis Hécatomnos, com-me le montrent les légendes des monnaies de ce dynaste, la langue officiel-le des dynastes de Carie était le grec. Le passage au grec comme langue dupouvoir n’a pas été le fait d’envahisseurs étrangers. Il a été pleinement as-sumé par les dynastes cariens eux-mêmes. Parallèlement, malgré cette do-mination du grec, le carien apparaît pour la première fois en Carie mêmesur des inscriptions sur pierre. Le décret civique bilingue de Caunos, où lecarien est en première position sur la stèle, est certes pour le moment un

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34 Bilingue de Caunos: P. FREI - C. MAREK, Die karisch-griechische Bilingue von Kaunos: einezweisprachige Staatsurkunde des 4. Jhdts. v. Chr., “Kadmos”, 36 (1997), pp. 1-89, le volume 1998 de larevue Kadmos déjà cité, et maintenant CHR. MAREK, Die Inschriften von Kaunos, Munich, 2006, pp.119-121, n° K1, qui rassemble la bibliographie complémentaire. Nous revenons prochainement surcette inscription.

35 Textes sacrés d’Hyllarima, cf. ADIEGO et alii, art. cit.36 Cf. W. BLÜMEL, Karien, die Karer und ihre Nachbarn in Kleinasien, “Kadmos”, 37 (1998), pp.

163-173, part. p. 173.Voir supra et n. 34 pour la bilingue de Caunos.37 CL. ORRIEUX, Zénon de Kaunos, parépidémos, et le destin grec, Paris - Besançon, 1985.

unicum34. Mais les textes sacrés d’Hyllarima montrent que le carien occu-pait cependant encore au IVe siècle une place importante non seulementcomme langue véhiculaire, mais aussi comme langue de l’administrationdes cultes cariens traditionnels35. L’époque classique est donc marquée enCarie par une situation de bilinguisme assumé, même si, pour l’écriture af-fichée, le grec était dès le IVe siècle numériquement majoritaire.

Mais la situation change rapidement avec la conquête d’Alexandre. Enquelques décennies, on passe d’une situation de bilinguisme assumé à l’affir-mation du grec comme langue dominante. À cet égard, l’inscription d’Hylla-rima fournit un point d’ancrage intéressant: quelle que soit la chronologie re-lative des premiers éléments du texte (i.e. des parties en carien ont éventuel-lement pu être rédigées après des textes en grec), il reste assuré que, après263/262 (au plus tard), la 49e année de l’ère séleucide, il n’y eut plus de texteen carien à Hyllarima, cité qui fournit sans doute le texte en carien le plustardif qui nous soit parvenu. On peut donc considérer que ce fut dans lespremières décennies du IIIe siècle, voire dès la fin du IVe siècle, que l’écritu-re et la langue cariennes sortirent de l’usage officiel. Un fameux décret bi-lingue récemment publié prouve que le carien y avait eu à l’époque classiquele statut de langue officielle36. Pourtant, dans la correspondance du fameuxZénon de Caunos, au service du diœcète Apollonios dans les années 260 et250 a.C., on ne trouve nulle trace de langue carienne, ni même aucune allu-sion à langue carienne, alors même que Zénon était resté en étroit contactavec sa famille et sa cité, Caunos37. Zénon écrivait et pensait en grec. S’ilavait appris une autre langue dans sa jeunesse, il n’y fait jamais référence.S’agit-il d’un phénomène lié au départ dans le monde colonial? Ou bien d’untrait révélant la disparition rapide du carien à Caunos? En tout état de cause,à Caunos, il ne semble pas qu’il demeure aucune inscription carienne au IIIe

siècle. De manière générale, dans l’ensemble de la Carie, on assiste à un bas-culement rapide et général en faveur du grec, même au plan de l’onomas-tique personnelle. Dès la première moitié du IIIe siècle, l’essentiel du stockonomastique est grec. On observe seulement certaines spécificités régionales,comme la fréquence du nom Agréophôn à Caunos et dans la zone proche de

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38 L. ROBERT, Documents d’Asie Mineure, “BCH”, 108 (1984), pp. 457-532, part. p. 528, n. 176(repris dans L. ROBERT, Documents d’Asie Mineure, Paris, 1987). Le fameux Zénon de Caunos, quiétait l’intendant de la dôrea d’Apollônios au Fayoum, était lui-même fils d’un Agréophôn. Cf. mainte-nant l’index des Inschriften von Kaunos, pp. 375-381: Agréophôn est avec Dèmètrios et Mènodôrosl’un des trois noms les plus fréquents de l’onomastique de Caunos. Mais la fréquence du nom Mèno-dôros à Caunos et en Carie pourrait bien être une référence hellénisée à Arma, le grand dieu Lune desLouvites.

39 W. BLÜMEL, Über die chronologische und geographische Verteilung einheimischer Personennamenin griechischen Inschriften aus Karien, in La decifrazione del Cario, op. cit., pp. 65-86, avec tableau syn-thétique p. 84.

40 On verra par exemple en pays santon (Saintes), le maintien d’une forte onomastique celtique, cf.L. MAURIN, Inscriptions latines d’Aquitaine, Santons, Bordeaux, 1994, index onomastique, pp. 481-486.

41 Cf. M. JANSE, Aspects of Bilingualism in the History of the Greek Language, in Bilingualism inAncient Society: Language Contact and the Written Text, curantibus J.N. ADAMS – M. JANSE – S. SWAIN,Oxford, 2002, pp. 332-390, p. 351 sur le carien.

42 Sur Philippe de Théangéla, cf. F. JACOBY, FGrHist, 741. La date de cet auteur reste incertaine:IIIe siècle peut-être pour F. JACOBY, IIIe, IIe ou même Ier siècle a.C. selon S. HORNBLOWER (op. cit., pp.88-89, n. 75).

cette ville38. Il est vrai pourtant qu’un certain nombre de noms épichoriquesse maintiennent encore longtemps après cette date et que ce tableau doitdonc être nuancé. Si l’onomastique non seulement d’Halicarnasse mais ausside Caunos devient très vite presque «purement grecque», les noms cariensrésistent mieux à Mylasa, jusqu’à la fin de l’époque hellénistique, voire àl’époque impériale39.

En dehors de quelques noms personnels, l’absence de témoignage épigra-phique signifie-t-elle une disparition rapide, brutale, de la langue carienne?Il serait pourtant bien étonnant que tel ait été le cas quand on connaît par-fois la capacité de résistance des langues indigènes. La disparition des ins-criptions ne signifie pas la disparition d’une langue. Ainsi, en Gaule, on nepossède aucun témoignage épigraphique de la survie de la langue gauloise etl’épigraphie impériale est entièrement en langue latine. Pourtant, à traversles inscriptions latines, on voit que l’onomastique et les cultes indigènes sesont maintenus, ce qui est un fort indice en faveur du maintien de la langueceltique et de la culture gauloise40.

C’est donc la question de la survie du carien comme langue dominée qu’ilfaut tenter d’évaluer. Strabon constitue à cet égard une source précieuse,bien que trop limitée. Dans son excursus sur les Cariens barbarophônoid’Homère (cf. supra), le géographe s’oppose au grammairien du IIe sièclea.C. Apollodôros. Selon ce dernier, la langue carienne était très rude, trachy-tatè41. Or, selon Strabon, qui cite alors les Karika ou Histoires cariennes del’historien (carien) Philippe de Théangéla, tel n’était pas le cas, puisque cettelangue était mêlée de nombreux mots grecs42. Selon Strabon, la «rudesse»ou la «douceur» devait donc être jugée non pas à l’effet produit à l’oreille

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43 Pour le corpus paléo-phrygien, voir CL. BRIXHE - G. NEUMANN, Corpus des inscriptions paléo-phrygiennes, Paris, 1984, avec ses suppléments, Corpus des inscriptions paléo-phrygiennes. Supplément I,“Kadmos”, 41 (2002), pp. 1-102 et Corpus des inscriptions paléo-phrygiennes. Supplément II, “Kad-mos”, 43 (2004), pp. 1-130; pour le néo-phrygien, ID., Prolégomènes au corpus néo-phrygien, “BSL”, 94(1999), pp. 285-316.

44 CL. BRIXHE, Interactions between Greek and Phrygian under the Roman Empire, in Bilingualismin Ancient Society: Language Contact and the Written Text, curantibus J.N. ADAMS - M. JANSE - S.SWAIN, Oxford, 2002, pp. 247-266.

45 Actes des Apôtres, 14, 11. Sur la situation linguistique générale de l’Asie Mineure sous l’empire,voir R. SCHMITT, Sprachverhältnisse in den östlichen Provinzen des römischen Reiches, ANRW, 29.2,1983, pp. 554-586, part. pp. 565-570 sur l’Asie Mineure, qui, p. 569, n. 64, considère toutefois que l’in-dication Lykaonisti ne ferait pas nécessairement allusion à la langue indigène mais pourrait faire allu-sion au grec parlé localement. La question est laissée ouverte quand seule la première option peut êtreretenue.

d’un Grec, mais au nombre de mots grecs qui s’étaient introduits dans le vo-cabulaire. L’indication est précieuse car elle permet de préciser la situationde bilinguisme évoquée précédemment. Pour une autre langue «indigène»d’Asie Mineure, le phrygien, on a la chance de posséder à la fois un corpusde textes d’époque archaïque et un autre de la basse époque impériale43. Onpeut y observer ce phénomène de pénétration du grec dans le lexique phry-gien, qui conforte pleinement l’observation de Philippe de Théangéla44. Enoutre, les propos de Philippe de Théangéla d’une part, ceux du grammairienApollodore d’autre part, suggèrent que le carien était encore une langue par-lée aux IIIe et IIe siècles a.C. au moins. Quant à Strabon, qui avait suivi àNysa les leçons du philosophe et grammairien Aristodèmos (cf. XIV, 1, 48),il devait connaître la situation linguistique réelle de la Carie. Cependant,lorsqu’il fait référence à la langue carienne, il ne fait pas état de sa propre ex-périence mais se contente de citer Philippe de Théangéla et Aristodèmos. Enrevanche, lorsqu’il distingue l’élément macédonien de Stratonicée de l’élé-ment carien (XIV, 2, 25) ou évoque la situation des cultes cariens (ibid., 23 et25), il montre indirectement qu’on avait encore clairement conscience à cet-te époque d’une spécificité carienne, malheureusement sans qu’il précise sila conscience de cette spécificité était encore ancrée dans l’usage de lalangue indigène.

Pour le début de l’empire, on sait que les récits des évangélistes peuventponctuellement apporter un témoignage précieux du maintien des languesindigènes. C’est le cas en Asie Mineure avec la Lycaonie45. Saint-Paul et sescompagnons s’adressaient à la masse, et non seulement aux élites, ce qui estbeaucoup plus révélateur d’une situation linguistique réelle. Malheureuse-ment, nous n’avons aucun témoignage de cette nature en Carie. À notreconnaissance, le seul témoignage, bien ténu il est vrai, est celui de Pausanias(VIII, 10, 4), qui signale, au présent, que les Cariens de Mylasa ont un sanc-

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46 Sur la division politique prévalant en Carie à l’époque hellénistique, sur laquelle on ne peut re-venir ici en détail, cf. A. BRESSON, Les intérêts rhodiens en Carie à l’époque hellénistique jusqu’en 167a.C., in L’Orient méditerranéen de la mort d’Alexandre aux campagnes de Pompée. Cités et royaumes àl’époque hellénistique, curante F. PROST, Rennes, 2003 (= “Pallas”, 62 [2003]), pp. 169-192.

47 J. et L. ROBERT, Fouilles d’Amyzon en Carie, I, Exploration, Monnaies, histoire et inscriptions,Paris, 1983, pp. 244-250.

48 M.Ç. SAHIN, A Hellenistic Decree of the Chrysaoric Confederation from Lagina, “Epigraphica

tuaire de Zeus, «qu’ils appellent Osogoa dans la langue indigène (phônè epi-chôria)». Le témoignage de Pausanias est tardif. Il est bien possible qu’il aitcopié une source ancienne. Cependant, comme Strabon, Pausanias était ori-ginaire d’Asie Mineure et il a certainement connu la Carie, ce qui peut éven-tuellement donner plus de crédibilité à son témoignage. Encore faudrait-ilsavoir dans quels milieux le carien était encore parlé et s’il ne constituait paspurement et simplement à cette époque une langue relique. En tout cas, à ladifférence de ce que l’on observe en Phrygie, il n’y a pas de témoignage d’unretour à la langue carienne dans les inscriptions de l’époque tardo-impériale,ce qui laisse supposer que, si le carien était encore parlé dans certaines zonesisolées et dans des milieux populaires de la Carie tardo-hellénistique, le pas-sage définitif au grec s’effectua au plus tard dans les deux derniers siècles del’empire. En tout cas, avec le changement de langue, ce fut naturellementl’identité carienne qui finit de se transformer complètement.

Au delà de l’aspect linguistique, il faudrait aussi souligner que des fac-teurs politiques très importants ont joué, qui ont largement contribué à dis-soudre l’identité carienne. Par comparaison avec la Lycie, la Carie n’a jamaisconstitué à l’époque hellénistique une confédération religieuse unifiée quiaurait pu éventuellement servir de base à un regroupement politique. À cetégard, le parallèle avec la Lycie est éloquent. Le koinon lycien, qui se recons-titua à la fin du IIIe siècle a.C., sous Ptolémée IV, permit la constitution ul-térieure d’un véritable État fédéral lycien après 167, avec la disparition de ladomination établie par Rhodes en 188. Rien de tel en Carie. Trois facteursde division jouent à plein: les rivalités entre les royaumes (au IIIe siècle, laCarie est partagée entre la côte tenue par les Ptolémées, et l’intérieur tenupar les Séleucides); le poids de Rhodes, qui parvint même un temps, entre188 et 166, à prendre le contrôle de la totalité du pays; non moins les rivali-tés entre Mylasa, la grande cité de l’ouest carien, et Stratonicée, la grande ci-té de l’est carien46. En 166, les Cariens purent en tant que tels célébrer leurlibération du joug rhodien: une inscription d’Amyzon l’évoque comme l’an-née «où les Cariens furent libérés»47. Le nouveau koinon des Chrysaoriens,qui émergea au IIIe siècle et qui aurait pu permettre de forger une nouvelleidentité carienne, religieuse mais éventuellement aussi politique, vit son dé-veloppement entravé par les facteurs évoqués précédemment48.

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Anatolica”, 35 (2003), pp. 1-7, apporte un intéressant témoignage sur l’importance religieuse, maisaussi politique, de la ligue des Chrysaoriens au IIe siècle a.C.

49 G. SALMERI, I greci e le lingue indigene d’Asia Minore: il caso del cario, in La decifrazione del ca-

Le facteur politique fut sans doute fondamental dans l’assimilation àl’hellénisme des Cariens, comme des Lyciens, des Ciliciens et des autrespeuples de tradition louvite. Un élément fondamental dans la faiblesse de larésistance à l’hellénisme, malgré la personnalité affirmée de chacune descultures indigènes d’Asie Mineure, fut l’absence d’unité politique des cul-tures asianiques. Il n’y eut jamais, en tout cas au premier millénaire, un Étatlouvite, ou «loukka», englobant et transcendant les différentes cultures ana-toliennes, État qui aurait pu jouer un rôle de bastion face à l’hellénisme, àl’instar de Rome qui unifiant la péninsule et transcendant les particularismesdes peuples italiques put s’opposer victorieusement au monde grec. L’Étatlydien des Mermnades, qui a proprement parler n’était pas un État louvite,n’engloba la partie ouest de l’Asie Mineure (mais sans la plus grande partiedes territoires de tradition louvite, de la Lycie à la Cilicie) que pour une trèsbrève période et il fut balayé par l’empire perse dès 546. Paradoxalement,d’une part le fort particularisme de chacune des cultures de tradition louvi-te, particularisme qui les isolait les unes des autres, et d’autre part leur déve-loppement homogène à celui des Grecs (surtout en Carie et en Lycie)constituèrent en fait un facteur décisif en faveur de leur rapide assimilation.Chacun de ces ethnè n’était nullement un peuple barbare inculte et isolé.Mais comme ils ne pouvaient opposer au «réseau mondial» de l’hellénismele dynamisme d’une culture commune, qui aurait atteint une masse critiquesuffisante pour lui permettre d’être autonome, leur développement mêmefut au contraire le meilleur gage de leur assimilation plus ou moins rapide.

Pourtant, une disparition aussi prompte des manifestations les plus vi-sibles de la culture carienne traditionnelle ne laisse pas d’étonner. Elle poseaussi la question de l’identité, c’est-à-dire du regard des autres et du regardsur soi-même. Pour une part, la rapide évolution de la culture carienne s’ex-plique par l’attrait de l’hellénisme, bien réel. Mais il faut aussi tenir comptedu regard que portaient les Grecs sur leurs voisins cariens, de l’image d’eux-mêmes qu’en tant que culture dominante ils imposaient aux Cariens. Or, unesérie de témoignages montre sans ambiguïté qu’aux yeux des Grecs les Ca-riens n’étaient que des barbares. L’Iliade (II, 867) affirmait déjà que les Ca-riens étaient barbarophônoi. Certes, Strabon (XIV, 2, 28) pouvait considérerque, pour Homère, il s’agissait seulement d’affirmer que les Cariens parlaientmal le grec. Mais il est clair qu’il ne s’agit là au contraire que d’un anachro-nisme du géographe, projetant dans le temps lointain des héros de la guerrede Troie ce qui était la situation de son époque49. En effet, les Cariens étaient

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rio, op. cit., pp. 87-99, part. pp. 87-88 retient l’hypothèse de Strabon, mais qui n’est en fait qu’un argu-ment controuvé contre ses prédécesseurs. Le propos de Strabon suppose que les Cariens des Agessombres aient été majoritairement hellénophones, ce qui, compte tenu de ce que l’on peut savoir de lapratique ultérieure de la langue carienne à l’époque archaïque et classique, est une hypothèse plusqu’aventurée. L’hypothèse de Strabon est en revanche révélatrice de sa vision du passé carien. Sur cepassage, cf. aussi J.M. HALL, Hellenicity, op. cit., pp. 111-112, qui rappelle aussi les diverses interpréta-tions qui ont été données.

50 Denys d’Halicarnasse, Sur les anciens rhéteurs, I, p. 4 l. 17 Teubner. Sur le passage, cf. E.H. GOM-BRICH, The Debate on Primitivism in Ancient Rhetoric, “JWI”, 29 (1966), pp. 24-38, part. pp. 26-27.

51 Pour cette inscription, voir les références infra, n. 63. 52 Sur cette libération, cf. déjà supra et n. 47.53 A. BRESSON, Les intérêts rhodiens en Carie à l’époque hellénistique, in L’Orient méditerranéen de

accusés de mal connaître le grec. Selon Strabon (XIV, 2, 28), la dérivation dumot karizein, «parler le grec à la manière défectueuse des Cariens”, puis “malimiter des coutumes grecques», fut le modèle de la dérivation parallèle dumot barbarizein (sens linguistique, puis extension aux coutumes grecques engénéral). Ce sont clairement des accusations de «barbarie» qui sous-tendentle mépris de Denys d’Halicarnasse à l’égard de la rhétorique asiatique, qu’iloppose à la pureté toute grecque de la rhétorique attique. Cette rhétoriquecorrompue est sortie de ses repaires d’Asie, qu’elle soit phrygienne, mysienneou autre «poison Carien»50. De la part de Denys, originaire d’Halicarnasse, ily a donc une volonté de marquer une coupure absolue avec l’environnementcarien de sa cité d’origine et de revendiquer une véritable pureté grecque.C’est une revendication analogue qu’on retrouve déjà dans le poème gravésur pierre à Halicarnasse et qui célèbre Aphrodite et la fontaine Salmakis: lafondation de la cité est présentée sous un jour purement grec51. La Carie estpresque absente du poème. Cette volonté des Halicarnassiens de se couperde la «barbarie» ne manque pas de saveur quand on sait ce qu’avait été lapart de l’élément carien au sein de la cité quelques siècles plus tôt. Mais, àl’époque hellénistique et à l’époque impériale, il s’agit bien d’une attitudecollectivement assumée, puisque, dès le IIIe siècle, les noms d’origine carien-ne disparaissent de l’onomastique de la cité. À l’époque hellénistique, il yavait donc encore de la part des Grecs une vraie attitude de rejet à l’égarddes Cariens. Lorsque Polybe (XXX, 24) tourne en ridicule les habitants de laPérée rhodienne qui au lendemain de leur libération de la domination rho-dienne se comportent comme des esclaves libérés de leurs chaînes, on peutse demander s’il ne s’agit pas là de moquer des barbares qui ne savent pas secomporter avec dignité52. Si, lorsqu’ils commencèrent leur pénétration surles plateaux de la Carie du Sud, les Rhodiens n’assimilèrent pas immédiate-ment les territoires cariens à leur propre territoire, c’est certainement parcequ’ils considéraient que ces barbares encore superficiellement hellénophonesne pouvaient entrer de plain-pied dans le corps civique rhodien53. C’est là a

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la mort d’Alexandre aux campagnes de Pompée, Rennes, 2003 (= “Pallas”, 62 [2003]), pp. 169-192,part. pp. 173-174 (avec les témoignages relatifs à une présence authentiquement indigène en Carie in-térieure aux IIIe et IIe siècles a.C.).

54 W. BLÜMEL, Über die chronologische und geographische Verteilung, art. cit., p. 86.55 Eurômos / Eurôpos est déjà la désignation qu’on trouve déjà chez Hérodote (cf. L. ROBERT, Le

Carien Mys, art. cit.), mais les listes du tribut attique ont encore Hyromos. Euhippè, proche d’Alaban-da, devait certainement son nom à cette dernière, à propos de laquelle Étienne de Byzance, s.v., signaleque ala signifiait «cheval» et banda «victoire».

56 Sur les cultes de Zeus de Labraunda et Mylasa et de Stratonicée d’autre part, cf. Strabon XIV,2, 23 et 25. Sur les cultes de Zeus en Carie en général, cf. P. DEBORD, Sur quelques Zeus cariens: religionet politique, in Studi Ellenistici, curante B. VIRGILIO, 13 (2001), pp. 19-37.

57 IK, 21-Stratonikeia, 22, l. 8-9, cf. déjà notre commentaire dans A. BRESSON - P. BRUN - E. VA-RINGLIOLU, Les inscriptions, in Les hautes terres de Carie, op. cit., pp. 81-329, part. p. 216.

contrario un indice en faveur d’un maintien d’une spécificité carienne encoredans la deuxième moitié du IIIe s. a.C.

Comment les Cariens purent-ils se forger une nouvelle place au sein del’univers hellénique? On a vu la rapidité avec laquelle leur langue et lesformes les plus caractéristiques de leur culture furent submergées par l’hel-lénisme. Or, on doit souligner avec W. Blümel que la disparition des inscrip-tions en langue carienne, c’est-à-dire d’un usage officiel, visible, affiché nesignifie nullement que la langue carienne se soit effacée aussi vite54. Aucontraire, les parallèles anthropologiques de situations similaires invitent àconsidérer que le carien dut devenir une «langue cachée», une langue réser-vée à l’usage interne, au cercle des familles ou des villages, jamais utilisée enpublic, et naturellement jamais inscrite. La langue carienne était la «marquede barbarie» qu’il fallait s’employer à faire oublier. Même s’il est vrai aussique la grande majorité des toponymes traditionnels ne fut pas modifiée, letravestissement de certains toponymes indigènes en toponymes grecs té-moigne d’une volonté de s’assimiler à l’hellénisme et de dissimuler ses ori-gines barbares. C’est ainsi qu’Hyrômos devint Eurômos ou Eurôpos et queSyangèla/Souangèla devint Théangéla55.

Cela ne signifie pas que toute conscience ou même toute revendicationidentitaire carienne ait disparu. C’est sans doute dans la vie des sanctuairesque le souvenir de l’identité carienne se maintint le mieux: ainsi, par la pré-servation des traditions et des rites dans les anciens sanctuaires de Zeus àLabraunda et Mylasa (Zeus Osogoa), d’Hécate à Lagina ou de Zeus et Héraà Panamara, de Zeus Chrysaoreus à Stratonicée56. Le sentiment de spécifici-té carienne se retrouve encore explicitement à l’époque impériale, puisquele sanctuaire de Panamara souligne qu’il invite à ses fêtes les Rhodiens del’île mais aussi «les Rhodiens de Carie qui sont nos voisins»57. Mais le para-doxe est que la conscience carienne de l’époque hellénistique et impérialene pouvait exister que dans l’hellénisme, c’est-à-dire non seulement en utili-

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58 Cf. respectivement FGrHist, 273, 278, 740.59 FGrHist 739 et 741 F5. Sur Alexandre le Chersonésien, auteur moins fantomatique qu’on ne l’a

cru, cf. A. BRESSON, Grecs et Cariens dans la Chersonèse de Rhodes, in Origines Gentium, curantibusV. FROMENTIN - S. GOTTELAND, Bordeaux, 2001, pp. 147-160, part. p. 150, n. 11.

60 Voir sur ce point aussi le poème de Salmakis, infra, n. 63. 61 Cf. M. SARTRE, D’Alexandre à Zénobie, Paris, 2001, p. 344 et n. 23 et p. 386.

sant la langue grecque, mais aussi en acceptant la place qui lui était dévoluepar la culture dominante. Il fallait ainsi produire une nouvelle «consciencecarienne» qui fût acceptable pour l’hellénisme global, tâche d’autant plusdifficile que ce dernier fondait sa propre identité sur le rejet du barbare. Ilfallait donc d’abord conserver le souvenir de la grandeur de la Carie, quis’exprima en particulier par la continuité de la référence à l’onomastiquedes Hécatomnides dans la Carie hellénistique et romaine. Par leurs succèsexceptionnels, par le renom des artistes qu’ils avaient fait venir à leur cour,par la splendeur des monuments qu’il avaient fait construire, les Hécatom-nides avaient intégré leur famille et leur pouvoir au sein de l’hellénisme éter-nel: après eux, nul n’aurait songé à considérer que le Mausolée était un mo-nument barbare. Du reste, Strabon (XIV, 2, 16) ne manque pas d’en fairemention comme l’une des «Sept merveilles» du monde. Il fallait aussi affir-mer la grandeur du passé. Comme dans les autres régions de l’Asie Mineure,on observe la production d’œuvres traitant de l’histoire du pays, comme lesKarika de Philippe de Théangéla ou autres titres similaires. C’est le cas avecune série d’autres auteurs comme au Ier siècle a.C. Alexandre le Polyhistôr(originaire de Milet), à l’époque hellénistique ou impériale Léon d’Alaban-da, à l’époque impériale peut-être Apollonios d’Aphrodisias58. À cette listedoivent s’ajouter des auteurs dont l’existence est incertaine ou discutée,comme Alexandre le Chersonésien ou Théagénès59. Il fallait enfin fondre laCarie dans l’hellénisme triomphant et pour cela avoir recours à un opéra-teur mythique: les généalogies et les récits des origines. C’est ainsi que l’ori-gine crétoise des Cariens, affirmée par Hérodote (I, 171-172), pouvait servirde trait d’union et donner aux Cariens une place dans l’univers mytholo-gique de la Grèce60. On sait que, à la même époque, certains milieux juifss’employaient à forger des liens mythologiques avec Sparte, ce qui était poureux un brevet d’hellénisme61.

On doit revenir à la fontaine Salmakis, qui a été le point de départ denotre itinéraire. Dans le schéma vitruvien, on doit relever que ce n’est pasl’eau elle-même qui a des vertus miraculeuses: c’est par la vertu de l’échangeque les barbares se civilisent. Le propos aurait pu être tenu par un Grecquelques siècles plus tôt. Mais il sied parfaitement à Vitruve. On sait com-ment dans les provinces danubiennes ou en Gaule, et plus généralementdans toutes les provinces du monde méditerranéen occidental, les commer-

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Les Cariens ou la mauvaise conscience du barbare 227

62 CHR. GOUDINEAU, César et la Guerre des Gaules, in Regard sur la Gaule, op. cit., pp. 141-164,part. p. 153.

63 Elle a été éditée S. ISAGER, The Pride of Halikarnassos, “ZPE”, 123 (1998), pp. 1-23, et reprisedans le volume The Salmakis Inscription and Hellenistic Halikarnassos, curantibus S. ISAGER - P. PEDER-SEN, Odense, 2004. Cf. R. GAGNÉ, What is the Pride of Halicarnassus?, “ClAnt”, 25 (2006), pp. 1-33,part. pp. 19-25 sur les aspects «pseudo-indigènes» du poème et sur l’arrière-plan de rejet du barbare.

çants ont précédé les conquérants. César rencontre partout des marchandsromains lors de sa conquête de la Gaule62. C’est ce schéma que Vitruve ap-plique aux supposés barbares cariens. Le propos de Vitruve est donc para-doxal. D’un côté, il défend les Cariens de l’accusation visant le caractère dé-gradant de la fontaine Salmakis. Mais de l’autre, en faisant des Cariens dessauvages descendus de leurs collines pour commercer, qui de la sorte se se-raient progressivement «adoucis» au contact des Grecs, il les réduit au rangde «vrais et authentiques» barbares, qui n’auraient eu aucune civilisationpropre.

Les Cariens eux-mêmes adhéraient-ils à ce schéma? Cette vision non seu-lement caricaturale mais parfaitement fausse de leur passé leur convenait-el-le? Ou bien leur était-elle indifférente parce qu’ils se considéraient alorscomme des Grecs d’Asie, et non plus à proprement parler comme des Ca-riens? En tout cas, les citoyens d’Halicarnasse n’acceptaient pas l’idée queleur belle source aient pu avoir des propriétés menant à des comportementsscandaleux. L’un des plus beaux documents épigraphiques publiés ces der-nières années est la nouvelle inscription de Salmakis63. L’inscription chantela gloire d’Aphrodite et de sa protégée, la cité d’Halicarnasse. Or, ses vers15-22 constituent un vigoureux plaidoyer contre la version courante de lalégende. Non seulement Hermaphroditos ne rendait pas les hommes effémi-nés, mais c’était lui qui avait créé les liens du mariage. Ce poème, gravé surpierre dans la deuxième moitié du IIe s. a.C. (mais peut-être rédigé à unedate antérieure) constitue une réponse aux propos malveillants sur Salma-kis. Il nous montre une cité dont les élites participent aux jeux savants etérudits de l’hellénisme. Mais on était bien loin de ce qu’avait pu être la tra-dition carienne «indigène».

* * *

L’identité carienne était donc une identité ambiguë: la revendication de lagloire des Hécatomnides allait néanmoins de pair avec la négation de toutun passé authentiquement indigène, qu’on s’employait à faire disparaîtrepour donner une image présentable et acceptable au sein de l’hellénismeglobal. Une anecdote illustre bien l’image que des membres de l’élite carien-ne pouvaient avoir d’eux-mêmes. Lors de la catastrophique incursion del’armée parthe en 39 a.C., l’homme politique mylasien Hybréas, qui exerçait

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228 Alain Bresson

64 Strabon XIV, 2, 24. Sur Hybréas et sur cet épisode, cf. F. DELRIEUX - M.-CL. FERRIÈS, Euthydè-me, Hybréas et Mylasa: une cité grecque de Caire dans les conflits romains de la fin du Ier siècle a.C.,“REA”, 106 (2004), pp. 49-71, part. pp. 68-69.

alors un pouvoir de fait dans la ville, refusa absolument que sa cité fît sasoumission (elle dut en souffrir les terribles conséquences des mains de l’en-vahisseur). Or, le général romain Labienus, qui était à la tête de l’arméed’invasion, se proclamait «généralissime des Parthes» (Parthikos autokra-tôr). Par provocation, Hybréas lui fit savoir qu’il pourrait quant à lui se pro-clamer «généralissime des Cariens» (Karikos autokratôr)64. L’affirmationd’une conscience carienne était bien toujours présente. Mais, en mêmetemps, Hybréas lui-même assumait par ces propos ce qu’il y aurait eu de dé-risoire à se proclamer «généralissime des Cariens». L’onomastique témoigneencore à l’époque impériale de la fierté du passé carien: on affectionnait lesnoms comme Hékatomnôs, Mausôlos, Artemisia. Mais il s’agit-là d’uneidentité reconstruite, plutôt que d’une véritable forme de continuité avecl’ancienne onomastique épichorique. La Carie n’était plus alors qu’un mor-ceau de l’Orient hellénisé. Sur les ruines d’une conscience ethnique, fondéesur le sentiment d’appartenir à une culture spécifique par sa langue et sescultes, on assiste à l’émergence d’une conscience régionale au sein de l’hellé-nisme et de l’empire de Rome. Au passage, c’est le souvenir d’un passé au-thentiquement carien qui avait disparu.

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1 P. LE ROUX, “La romanisation en question”, Annales HSS, 2004, pp. 287-311.

ROMANISATION EN ASIE MINEURE ?

MAURICE SARTRE

Comme tous les concepts abstraits qui ont trop servi, la «romanisation»suscite depuis longtemps la méfiance des historiens les plus lucides. Un ar-ticle récent de Patrick Le Roux l’a partiellement réhabilitée en montrantque, bien utilisée, elle pouvait rester un concept opérationnel1. Encore faut-il préciser ce que l’on entend par là et être sûr que, lorsqu’on parle de «ro-manisation», chacun parle bien de la même chose.

Sans me lancer dans une définition théorique du terme de «romanisa-tion» qui pourrait être (et a déjà été) le sujet d’un colloque entier, je me bor-nerai à une définition simple et dépourvue d’ambiguïté du terme. Car, cha-cun peut constater au fil de ses lectures, combien l’usage du mot varie selonles langues, ou selon les spécialités des auteurs. Pour ne prendre qu’un seulexemple, nombre d’auteurs anglo-saxons, souvent peu historiens mais da-vantage philologues, emploient le terme comme un synonyme de «domina-tion politique de Rome». Ce n’est évidemment pas ma conception duconcept, ni l’usage habituel des historiens francophones. D’autres considè-rent comme «romanisée» toute personne ayant reçu la citoyenneté romaine,ce qui me paraît pour le moins abusif.

La question se trouve compliquée encore par le fait que dans le mondegrec – qui sera seul en cause ici – nous ne pouvons pas ne pas établir un pa-rallèle entre les deux termes formés de la même manière: «hellénisation» et«romanisation». Or, il est évident que «hellénisation» a acquis chez presquetous les savants une forte connotation culturelle, bien davantage que poli-tique. Dans ces conditions, «romaniser les Grecs» ne peut guère avoir lemême sens et la même portée que romaniser les Gaulois ou les Bretons!

Pour ma part, j’entends par «romanisation» l’adoption, volontaire ounon, imposée par Rome ou librement choisie, par des groupes ou par des in-dividus, de traits «culturels» – je reviendrai sur le sens de ce terme – em-pruntés à la civilisation romaine. Il faut comprendre «culturels» au sens leplus large, qu’il s’agisse de la culture matérielle (vêtement, cuisine, outils etinstruments de toutes sortes), de la culture politique, juridique et sociale

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2 Philon, Legatio ad Caium, 147.

(institutions, comportements sociaux, pratiques juridiques et judiciaires), oude la culture intellectuelle (langue, arts, divertissements, cultes). Je necherche pas à être exhaustif et j’aurai sans doute à prendre des exemples endehors du champ énuméré ici. En d’autres termes, je prends le terme de«romanisation» comme l’exacte contrepartie de «hellénisation», dont j’ob-serve qu’elle n’a jamais véhiculé les mêmes ambiguïtés que «romanisation».Naturellement, lorsque je récuse l’équivalence entre «romanisation» et «do-mination politique de Rome», je ne prétends pas que la puissance de Romene joue aucun rôle dans ce phénomène! Mais je veux seulement dire que la«romanisation» peut, éventuellement, être l’une des conséquences de la do-mination politique, elle n’est pas cette domination elle-même.

J’ai choisi une définition large, dont je n’ignore pas qu’elle peut poserproblème, mais je crois que l’enquête ne doit pas se donner de bornes tropétroites au départ. Cela signifie que nombre de questions subsidiaires doi-vent être prises en compte. La première est de savoir s’il y a adéquationentre le fait d’être «romanisé», notion passive, et le fait de «se sentir Ro-main», notion active; en d’autres termes, la romanisation aboutit-elle néces-sairement à la construction d’une réelle «identité romaine»? Question fon-damentale, à laquelle on tentera de répondre à la fin de cette communica-tion. Car il existe une question préalable, celle de savoir si l’on peut établirun inventaire d’éléments constitutifs indispensables de la romanisation oude l’identité romaine: dans la foule des traits culturels ou autres qu’offre Ro-me, suffit-il d’en retenir quelques uns, faut-il les adopter tous, certains sont-ils des marqueurs plus puissants que d’autres, d’autres sont-ils en contradic-tion manifeste avec des habitudes helléniques puissamment inscrites dansles mentalités? C’est, en quelque sorte s’interroger sur les limites en deçàdesquelles on dénie à une individu le fait d’être «Romain», et celles qu’ilfaut franchir pour avoir droit à ce titre. On devine d’emblée que la questionn’appelle pas une réponse simple.

J’ai dit plus haut que je plaçais a priori les termes hellénisation et romani-sation sur un même plan. Je ne m’en dédis pas, mais je dois tout de mêmesouligner d’emblée une difficulté récurrente qui obscurcit souvent l’enquê-te: Rome elle-même a subi très fortement l’influence de la Grèce dans saculture, sa religion civique, ses comportements artistiques. Pour paraphra-ser Paul Veyne, la «culture romaine» n’est souvent qu’une extension latinede la paide∂a grecque. Ce que Philon d’Alexandrie exprimait curieusementen créditant Auguste d’avoir ouvert nombre de nouvelles Hellades en hellé-nisant «le monde barbare dans les secteurs où il fallait le faire»2, allusion àla diffusion de cette paide∂a en Gaule, dans les Espagnes ou en Afrique.

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Romanisation en Asie Mineure ? 231

3 M. CHRISTOL - TH. DREW-BEAR, Un castellum romain près d’Apamée de Phrygie, Denkschriftender Österreichischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Kl. 189 = Ergänzungsband zu den TituliAsiae Minoris, 12, 1987; ID., “Inscriptions militaires d’Aulutrene et d’Apamée de Phrygie”, Actes duCongrès “Hiérarchie-Rangordnung de l’armée romaine sous le Haut-Empire”, Lyon 1994 (1995), pp. 58-91.

4 CIL III, 363 = IGR IV, 733, à Eumeneia de Phrygie, parmi d’autres.5 TAM V, 1, 474, corrigé par TH. DREW-BEAR, Studies presented to Sterling Dow on his Eightieth

Birthday, Durham (NC) 1984, pp. 61-63 = AE 1984, 841, à Ephèse.6 Cf. les statistiques établies naguère par B. LEVICK, Roman Colonies in Southern Asia Minor, Ox-

ford 1967; dans ces colonies, le latin apparaît comme une langue aristocratique: CL. BRIXHE, Essai sur legrec anatolien au début de notre ère, Nancy 1987, pp. 7-8. Pour Corinthe, M. SARTRE, L’Orient romain,Paris 1991, pp. 230-231; voir aussi, sur un corpus limité mais néanmoins représentatif, l’exemple de Si-nope, étudié par Claire BARAT, Sinope dans son environnement pontique, thèse Université de BordeauxIII, décembre 2006, qui confirme la place très marginale du latin, y compris dans les textes officiels.

Comment, dans ces conditions, mesurer l’impact sur le monde grec d’unepaide∂a revisitée par Rome? Car il n’est pas question de limiter l’enquêteaux seuls aspects culturels propres au génie romain, comme le droit.

On sait qu’en grec, Œllhn∂zein c’est d’abord parler grec. Comme si le pre-mier signe visible de l’hellénisation résidait dans l’usage de la langue. Il fautdonc aussi commencer par là pour la romanisation. On sait bien qu’en Oc-cident, la langue latine a supplanté totalement les langues indigènes dansl’écrit, à de rares exceptions près, et c’est bien le signe le plus visible de laromanisation de l’Occident. En Orient (je veux dire l’ensemble des pro-vinces romaines de langue grecque), rien de comparable ne s’est produit. Legrec reste la langue de communication et de culture du plus grand nombre,même s’il subsiste en de nombreuses régions des langues indigènes parfoismajoritaires. Le latin n’occupe en tout état de cause qu’une place restreinte:l’administration, l’armée, les colonies romaines; or, en Asie Mineure, on saitque l’armée n’occupe qu’une place modeste. Mais même ces espaces subis-sent la concurrence du grec. L’administration fait traduire systématiquementses édits en grec pour l’affichage dans les cités; il y a donc au mieux bilin-guisme administratif. Dans l’armée, il est vrai que les actes officiels sont te-nus en latin (cf. les textes du fortin d’Aulutrene3), mais des épitaphes sontbilingues4, voire exclusivement en grec5. Dans les colonies, nombre d’ins-criptions officielles ou privées (funéraires, dédicaces) sont rédigées en latin,mais la concurrence du grec existe aussi6. Un exemple suffira: lorsque L. Fa-bricius Longus consacre la construction «du forum, de la basilique, del’exèdre et des statues de marbre» à Cremna au temps d’Hadrien – ou plu-tôt que sa femme Vibia Tatia et sa fille Fabricia Lucilla les consacrent en sonnom car il semble être mort avant la fin du programme –, la dédicace monu-mentale est évidemment en latin (I. Cremna, 4); mais la même famille, sansaucun doute membre de l’aristocratie coloniale issue des premiers colons deCremna, fait ériger au pied des marches du forum, à l’ouest, une grande stè-

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7 ST. MITCHELL, Cremna in Pisidia, Londres 1995, pp. 66.8 MITCHELL, Cremna..., p. 55.

le portant en grec un oracle (I. Cremna, 5) du même type que ceux que l’onobserve dans toutes les cités voisines de Pisidie, Pamphylie ou Lycie7. Ainsi,bien qu’il existe des îlots de latinité dans les villes de Pisidie et de PhrygieParorée, cela reste limité, et on ne peut en faire des centres de diffusion dela langue, et, bien au contraire, les colonies romaines de peuplement, cellesque l’on vient de nommer et qui furent peuplées de Romains et d’Italiens,finirent peu à peu par se laisser gagner par le grec. Certes, il y a continuitéd’emploi du latin dans les textes officiels et sur les monnaies jusqu’au IIIe

siècle au moins. On peut le constater à Cremna comme à Antioche de Pisi-die, mais le grec n’en fut jamais absent, bien au contraire, et ne cessa de re-gagner du terrain dans les textes privés et une grande partie des textes pu-blics. C’est dire que les colonies furent bien loin d’être des pôles de diffu-sion de la langue. Tout au plus, on doit remarquer que le grec sut adopterdes mots latins tels quels, en translittération: p£trwn, kolwn∂a, kÒlwn, tri-bounÒj, pra∂twr, de plus en plus nombreux lorsqu’on avance vers le IVe

siècle, alors qu’on avait adopté dès la fin de l’époque hellénistique des tra-ductions grecques pour la plupart de ces mots.

Le seul domaine où le latin fit une percée relative est celui de l’onomas-tique. Nombre de pérégrins, notamment dans les milieux indigènes d’AsieMineure, comme en Syrie ou en Égypte, adoptèrent comme nom unique despraenomina ou des cognomina romains: les Marci, Lucii, Maximi, Seueri, Au-relii, Antonini, Valentes, etc. fleurirent partout. Le phénomène commencetôt, comme on le voit dans une famille pisidienne de Cremna, fondatriced’un culte de l’Artémis Éphésienne dans la ville. Peu après que Cremna soitdevenue colonie romaine, la prêtresse Artemeis et son mari Herpias nom-ment l’une de leur filles Pia8. Concession, peut-être, au nouveau statut de lacité, où un groupe de colons italiens venait de s’installer. Dans certains sec-teurs fraîchement hellénisés, les noms latins font presque jeu égal avec lesnoms d’origine grecque, cependant loin derrière les noms indigènes (Lycao-nie, Galatie). Mais d’une part on manque d’enquêtes précises et exhaustives,d’autre part il faut reconnaître que ces régions sont celles qui ont fourni lemoins de textes. Quoi qu’il en soit, il faut aussitôt introduire une remarquequi réduit singulièrement la portée de cette observation: en Asie comme enSyrie, tous ces noms «romains» sont adoptés sous leur forme grecque:M£rkoj, LoÚkioj, M£ximoj, SeouÁroj, AÙrˇlioj, 'Antènioj, OÙ£lhj.

Décidément, le latin ne prend pas dans le monde grec. Et comment pour-rait-il en être autrement alors que les Romains eux-mêmes, quel que soitleur mépris – parfois – pour les Graeculi considèrent le grec comme la

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9 Déjà les travaux précurseurs de G. WOOLF, “Becoming Roman, staying Greek: culture, identityand the civilising process in the Roman East”, Proceeding of the Cambridge Philological Society, 40,1994, pp. 116-143; ID., “The Formation of Roman Provincial Cultures”, dans The integration of theearly Roman Empire, eds. J. METZLER - M. MILLETT - J. SLOSTRA - N. ROYMANS, Dossiers d’Archéologiedu Musée National d’Histoire et d’Art, IV, Luxembourg 1995, pp. 9-18.

langue de la culture par excellence? Et que les Grecs ne cessent d’afficherleur supériorité linguistique et culturelle: a-t-on assez remarqué que lorsqueles Grecs s’interrogent sur les origines de la philosophie, des sciences ou desdieux, ils invoquent des parallèles ou des antécédants en Egypte, à Babylo-ne, en Perse, en Inde, voire en Gaule (avec les druides), jamais à Rome!

Ce premier élément de l’enquête me paraît être décisif par son caractèrenégatif: parler de «romanisation» dans les provinces hellénophones de l’Em-pire implique que l’on admette que celle-ci se fait en l’absence de ce qui enforme le cœur en Occident, la langue. Car je ne crois pas que l’on doive toutde suite renoncer à l’emploi du terme, même en Orient. Après tout, pour-quoi n’y aurait-il pas une «romanisation» en langue grecque? Le grec n’est-ilpas l’autre langue de l’Empire, et celle de toutes les élites romaines? N’y a-t-il pas une foule d’autres éléments qui permettent de parler de «romanisa-tion»? C’est ce qu’il faut voir en poursuivant et en étendant l’enquête. Maisnous savons déjà que la «romanisation» en Asie Mineure aura un tout autrevisage que ce que l’on nomme ainsi en Occident.

Mais avant de continuer, il convient de souligner la nécessité de distinguerentre les comportements officiels et les comportements privés, entre les actescollectifs et les décisions individuelles. En d’autres termes, il est des traits «ro-mains» adoptés par la communauté entière (une institution, un culte, unmythe), d’autres qui le sont par les individus à titre individuel (le décor d’unemaison, le goût pour tel ou tel spectacle) même si la plupart des individus ef-fectuent la même démarche. Il faut prendre en compte cette dimension de la«romanisation» si l’on ne veut pas tomber dans le schématisme. Les identitéssont à la fois collectives et personnelles, et les identités individuelles peuventdifférer de l’identité collective sans qu’il y ait contradiction. Pour être plusclair, le choix pour les individus n’est pas de savoir s’ils doivent être Grecs ouRomains, mais plutôt de savoir comment rester Grecs tout en devenant Ro-mains. On doit encore ajouter qu’en nombre de régions de Méditerranéeorientale s’ajoute une troisième identité locale, et les individus sont, en plus,Juifs, Syriens, Égyptiens, Lyciens, Cariens, Phrygiens, Galates, Cappadociens,Pontiques, etc. Les identités ne sont pas exclusives, mais combinatoires9. Onne doit jamais l’oublier et ne pas tirer de conclusions hâtives des constats quel’on peut faire. D’autant plus que tous les éléments «romains» que l’on va es-sayer de mettre en évidence n’ont pas la même portée culturelle.

* * *

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10 Sur l’intervention de Pompée, cf. W. AMELING, “Das Archontat in Bithynien und die Lex Pro-vinciae des Pompeius”, EA, 3, 1984, pp. 19-31.

11 Travail fondamental de F. KIRBIHLER, Les notables d’Éphèse, Thèse Université de Tours, 2003.

Un premier domaine où les apports proprement romains furent remar-quables me semble être celui des institutions. Cela peut surprendre car c’esta priori plutôt Rome qui doit beaucoup à la Grèce. Mais il s’agit là d’un deces retours que j’évoquais plus haut.

On a noté depuis longtemps que Rome n’avait pas cherché à imposerdans la partie grecque de l’Empire les formes politiques qui étaient lessiennes (municipes ou colonies), mais qu’elle avait soigneusement continuéà diffuser le modèle de la polis, dans la tradition des rois hellénistiques.Certes, les différences ne sont pas très importantes sur le plan structurel,mais cela importe peu. Je me demande si ce choix n’avait pas un doubleavantage, du moins à la fin de la République et au tout début de l’Empire:d’une part ne pas heurter les Grecs et les indigènes hellénisés qui étaient fa-miliers de cette forme jugée supérieure de l’organisation politique; d’autrepart permettre aux imperatores d’imiter les rois hellénistiques en se posanten archégètes des nouvelles cités et en leur donnant ainsi leur nom (Pom-peiopolis, Magnopolis, etc.). Quelles qu’en soient les raisons, cette politiquetranche avec celle qui fut menée en Occident.

Mais Rome imposa quelques modifications qui contribuent à changer enpartie la nature des régimes politiques des cités10. La plus importante fut lacréation de conseils (boulai) viagers alors que la tradition grecque les voulaitannuels, voire semestriels. En prenant modèle sur le Sénat et les conseils dedécurions des municipes d’Italie, les conseils civiques devenaient le lieu parexcellence de reconnaissance des élites municipales. Le caractère oligar-chique des régimes en sortait renforcé, et stabilisé. Peu importe d’ailleurs lesconséquences, ce qui compte, c’est l’emprunt d’une forme politique romai-ne. À cela s’ajoute la pratique de la summa honoraria, s’ajoutant aux pra-tiques évergétiques grecques. En revanche, malgré des études soignées surdes cités richement documentées (comme Ephèse), il reste impossible demettre en évidence la mise en place d’un vrai cursus honorum11. Certes, tousles gens riches finissent pas remplir toutes les magistratures, mais il n’y a pasde parcours type obligatoire.

Beaucoup plus significative fut l’intégration précoce (dès la fin de la Ré-publique) des notables grecs dans la citoyenneté romaine. La situation variebeaucoup d’une région à l’autre, et à la veille de la constitutio antoniniana de212, les contrastes sont saisissants: pratiquement tous les notables d’Asie etde Bithynie, une partie importante de ceux de Lycie-Pamphylie sont déjà ci-toyens romains, alors qu’ils le sont en moins grand nombre en Pisidie, en

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Romanisation en Asie Mineure ? 235

12 Je reste perplexe devant la signification d’une affirmation de M.-FR. BASLEZ, “Recherches surles associations d’Athènes à l’époque romaine”, dans S. FOLLET éd., L’hellénisme d’époque romaine.Nouveaux documents, nouvelles approches (Ier s. a.C.-IIIe s. p.C.), Paris 2004, pp. 105-120, au sujet desmembres des associations en question: «Les citoyens athéniens romanisés [c’est moi qui souligne] sontrares et ne représentent qu’entre 10 et 20% des responsables ou des membres d’associations. Encoren’est-on pas assuré qu’ils aient tous le statut de citoyens romains» (p. 107). Comment peut-on recon-naître qu’un Athénien est «romanisé» lorsque l’on ne possède que son nom et son rôle dans une asso-ciation? S’agirait-il d’Athéniens portant un nom romain unique, sans les tria nomina? En quoi consisteleur «romanisation»?

13 P. VEYNE, “L’identité grecque devant Rome et l’empereur”, REG, 1999, pp. 510-567.

Galatie, et moins encore dans les régions situées plus à l’Est. Mais commentinterpréter le phénomène en terme de «romanisation»? Écartons d’embléel’idée que deviennent citoyens romains des individus qui sont culturellementromanisés, c’est-à-dire qui parleraient latin, vénéreraient des dieux romains,auraient adopté divers comportements individuels, sociaux et économiquespropres aux Romains de souche: non seulement c’est indémontrable, mais ceserait juger le problème résolu sans la moindre vérification12. Il faut aucontraire considérer que l’acquisition de la citoyenneté romaine est l’un deséléments de la romanisation des individus, mais qu’elle ne garantit en rien àelle seule leur romanisation. En fait, pratiquement partout, avant la constitu-tio de 212, la citoyenneté vient honorer des citoyens ayant rempli descharges civiques. On peut se demander si dans l’accumulation des honneursà la grecque (timai) qui distinguent les élites de leurs concitoyens, la citoyen-neté romaine n’est pas un titre de plus, sans aucune connotation culturelleparticulière. Tout au plus, c’est la marque de la satisfaction des autorités ro-maines, qui honorent ainsi leurs plus fidèles auxiliaires locaux.

Mais on ne peut en exagérer la portée ni culturelle ni politique. Paul Vey-ne a bien montré l’hostilité non dissimulée de nombre d’intellectuels grecset de Grecs de haut rang à l’égard de Rome malgré leur loyalisme personnelenvers l’empereur13, y compris chez des gens qui passent pour être amis desRomains comme Dion de Pruse ou Plutarque. L’arrogance culturelle de l’uncomme de l’autre vis à vis de Rome exclut toute «romanisation» au sens oùon l’a entendu.

Il n’empêche que le port des tria nomina donne aux individus une identi-té romaine bien visible, et que les privilèges de la citoyenneté romaine, mê-me réduits, permettent à une fraction de la population de s’agréger au grou-pe dominant des maîtres. À défaut d’une romanisation des élites civiques,on peut sans aucun doute parler à ce propos de la mise en évidence d’uneidentité romaine. Cette appartenance est assez prestigieuse pour que les ci-toyens romains se regroupent en association, manière de se distinguer de lamasse des Grecs. Il faudrait mener une enquête systématique pour savoirjusqu’à quelle époque on repère de telles associations en Asie Mineure, et si

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14 VEYNE, p. 516.15 On trouvera des bases solides pour des comparaisons entre quelques grandes cités dans D. PAR-

RISH ed., Urbanism in Western Asia Minor. New studies on Aphrodisias, Ephesos, Hierapolis, Pergamon,Perge and Xanthos, JRA Suppl. 45, Portsmouth (RI) 2001.

elles s’ouvrent aux indigènes promus à la citoyenneté. Il est assez frappantde constater qu’en Asie Mineure un groupe distinct des «Romains» estnommé dans certains décrets honorifiques: il s’agit probablement des Ro-mains «étrangers», à l’exclusion des indigènes promus qui demeurent dansla masse des citoyens.

La citoyenneté constitue un élément important d’une identité qui permetde participer à la vie de l’Empire comme légionnaire pour les uns, commeadministrateur de haut niveau pour quelques autres, peut-être tout simple-ment comme membre d’une communauté universelle qui dépasse la cité oula province. Mais Paul Veyne a fait remarquer que seuls les Grecs entrés auservice de l’Empire comme Arrien ou Dion Cassius pouvaient gommer tota-lement leur identité grecque et parler de «nos armées» ou de «nosconquêtes» en parlant de celles de Rome, sans que l’on puisse en tirerd’autre conclusion qu’une telle formulation devait s’imposer à ces hommesdont la seule citoyenneté était «impériale»14.

Il n’en reste pas moins que l’octroi de la citoyenneté à tous les hommeslibres en 212, quelles qu’en soient les raisons profondes (et peut-être sor-dides), constitue un pas important dans la formation d’une identité romainedes habitants de la pars graeca de l’Empire. Le souci qu’eurent les nouveauxcitoyens de faire apparaître la mention de leur gentilice, même sous formeabrégée, témoigne de leur fierté et de leur sentiment d’appartenance aupeuple romain. On ne peut en réduire la portée puisqu’il ne s’agit plus, dé-sormais, de se distinguer des autres.

Si la citoyenneté ne concerne longtemps qu’une frange de la population– mais significativement à la fois les élites et les éléments les plus popu-laires, affranchis ou soldats –, en revanche nombre de traits culturels em-pruntés à Rome touchent de larges secteurs de la population. Il faudranéanmoins s’interroger, en conclusion, sur ce qu’ils révèlent en matière de«romanisation».

* * *

Le cadre de vie peut constituer un second volet de cette enquête en «ro-manisation». On sait que les villes d’Asie Mineure changèrent profondé-ment d’aspect, pour la plupart, sous le Haut Empire. Elles eurent en effetassez tôt au début du Haut Empire le souci de se moderniser et d’adopterun certain nombre de traits empruntés à l’Occident15. Certes, l’urbanisme

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16 Cf. ST. MITCHELL, “Imperial Building in the Eastern Roman Provinces”, dans S. MACREADY -F.H. THOMPSON, Roman Architecture in the Greek World, Londres 1987, pp. 18-25.

17 J. J. COULTON, “Roman Aqueducts in Asia Minor”, dans S. MACREADY - F.H. THOMPSON, Ro-man Architecture in the Greek World, Londres 1987, pp. 72-84.

18 Ephesus, the new guide, 2000, p. 76, pour le nymphée construit au temps de P. Calvisius Rusoen 92-93.

ne s’en trouve pas bouleversé, mais quelques monuments étrangers aux tra-ditions grecques font leur apparition ou se développent de façon extraordi-naire. De plus, il s’agit là d’un domaine que les plus hautes autorités ro-maines pourraient utiliser pour imprimer leur marque puisque l’on sait queles empereurs furent nombreux à financer constructions nouvelles et re-constructions dans les cités d’Asie Mineure16. On est en droit de se deman-der s’il n’ont pas profité de ces occasions pour imposer des édifices de type«romain» en remplacement des constructions de tradition hellénistique. Enréalité, l’enquête est à peu près impossible dans la mesure où il est rare quel’on possède l’édifice qu’une inscription annonce comme financée par unempereur. On doit donc se contenter de vérifier si l’urbanisme et le paysageurbain se modifient dans un sens «romain», je veux dire «occidental», audétriment des traditions locales.

Quelques plans se modifient. Ainsi, à Éphèse, on a noté que l’orientationdu nouveau quartier implanté au sud-est de la cité (secteur haut de la ville) àl’époque d’Auguste avait servi de trame pour orienter d’autres édificesconstruits ultérieurement dans d’autres secteurs de la ville. À Pergame, onretrouve de même des correspondances entre l’orientation du temple deTrajan dans la ville haute et le nouveau quartier implanté à l’époque romai-ne dans la ville basse. On fonctionne donc en partie avec d’autres modules,mais il manque à nos études un examen systématique des cadastres qui per-mettrait de voir si ces remaniements urbains s’accompagnent de transforma-tions aussi dans les campagnes.

Il n’en reste pas moins que des édifices nouveaux font leur apparitiondans le paysage urbain. Il n’est pas question d’en faire ici l’inventairepuisque chaque cité ou presque peut fournir des exemples. Des édificesinconnus dans la tradition architecturale grecque comme le macellum,marché-clos à la romaine (Sagalassos); l’amphithéâtre dont on a longtempsdouté qu’il ait pu exister en Asie Mineure, mais qui est bien attesté en Sy-rie (Césarée, Bostra, Gérasa, Éleuthéropolis) et qui a sans doute existé enAsie Mineure. On peut y ajouter la basilique judiciaire (Cremna, Antiochede Pisidie, Xanthos, Hiérapolis), les arcs de triomphe (Antioche de Pisi-die), les portes à la romaine (Attaleia, Éphèse), les aqueducs (Éphèse dès4-14 AD – aqueduc de Sextilius Pollio –, Aspendos, Sidé, Pergame, Oi-noanda, etc.)17, les nymphées (Ephèse18, Sidè, Sagalassos, Antioche de Pi-

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19 S. WALKER, “Roman Nymphaea in the Greek World”, dans S. MACREADY - F.H. THOMPSON,Roman Architecture in the Greek World, Londres 1987, pp. 60-71.

20 ID., p. 94.21 M. LYTTLETON, “The Design and Planning of Temples and Sanctuaries in Asie Minor in the Ro-

man Imperial Period”, dans S. MACREADY - F.H. THOMPSON, Roman Architecture in the Greek World,Londres 1987, pp. 38-49. L’auteur considère que le développement des cours fermées de protiques au-tour du temple est aussi un trait «romain», à l’imitation du temple de Mars Ultor, notamment, mais onpourrait aussi bien invoquer les traditions syriennes du téménos clos.

22 MITCHELL, Cremna...

sidie)19, les cryptoportiques (Éphèse20, Smyrne), les thermes, sans oublierles latrines publiques (Éphèse). Mais, sauf exception, cela consiste enl’érection de monuments isolés qui s’insèrent dans le tissu urbain préexis-tant. Il existait dans la plupart des cas une cité hellénistique antérieureque l’on ne pouvait bouleverser de fond en comble. Cela pourrait à la ri-gueur être le cas dans des villes nouvelles, des colonies fondées presque exnihilo, mais il en est peu d’exemples.

Ce phénomène n’affecte guère les monuments de tradition grecque, com-me les sanctuaires. On trouve en Asie Mineure quelques exemples detemples copiés sur les modèles romains (temples sur podium), mais beau-coup moins que ce qui est attesté par exemple dans la montagne libanaise.M. Lyttleton a bien montré que ce type d’édifice n’était pas lié spécifique-ment au culte impérial même si on le trouve employé à Antioche de Pisidiepour le temple d’Auguste ou le Traianéum de Pergame (mais aussi pour lesanctuaire de Zeus à Aizanoi ou le sanctuaire de Sérapis à Éphèse), alors qued’autres sanctuaires du culte impérial restent conformes au modèle grec dutemple sur stylobate (temple de Domitien et temple d’Hadrien à Éphèse21).

Au total, les modifications de plan et d’organisation se firent de manièrecosmétique et lentement. À Cremna, St. Mitchell note que la promotion aurang de colonie ne se traduit par aucune modification urbanistique àl’époque d’Auguste; il faut attendre l’époque d’Hadrien pour observer lamise en place d’un forum associé à une basilique22. Encore ce forum n’a-t-ilpas grand chose à voir avec les forums africains, hispaniques ou gaulois réa-lisés sur le modèle romain, avec les sanctuaires dominant l’esplanade. Pour-tant, il s’agit d’une colonie implantée en une cité très modeste, où l’héritagehellénistique ne devait pas être considérable. On devine ce qu’il en étaitdans des cités plus importantes.

On ne peut minimiser pour autant l’ampleur des changements. Dans unegrande et ancienne cité comme Éphèse, il n’est que trop visible pour le visi-teur d’aujourd’hui que le paysage urbain porte fortement la marque del’époque impériale: nombre d’édifices sont inconcevables à l’époque hellé-nistique, comme ces lourdes portes monumentales qui donnent accès à

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23 Cf. mes observations au colloque Old and New Worlds in Greek Onomastics, Oxford mars 2003,à paraître (septembre 2007).

l’agora tétragone et bien d’autres monuments.Mais je me demande s’il est légitime de porter toutes ces modifications au

compte de la «romanisation»! Certes, l’implantation d’une basilique et d’unforum vise clairement à faire d’une colonie une petite Rome. Mais la colonieest précisément un cas particulier. Pour ce qui est des autres cités, je me de-mande s’il ne faut pas considérer simplement l’introduction d’un arc, dethermes, d’un aqueduc, d’une porte monumentale comme les signes d’unemodernisation au même titre que l’élargissement de la rue nord-sud d’Apa-mée en Syrie ou la multiplication des rues à colonnades ou des façades à co-lonnes étagées. Il se met en place un modèle gréco-romain de ville, qui em-prunte à Rome comme à la Grèce, et où il serait absurde de traduire entermes strictement culturels les innovations architecturales. J’aurais tendan-ce à dire de l’architecture ce que je crois être vrai, du moins à la longue,pour l’onomastique: le philologue et le linguiste ont parfaitement raison declasser les noms sous les rubriques «noms grecs», «noms romains», «nomsindigènes», mais je ne suis pas sûr que l’historien ait le droit d’en tirer desconclusions culturelles et historiques23.

Si l’on passe de l’espace public à l’espace privé, le problème reste large-ment identique. Dans les maisons fouillées à Zeugma sur l’Euphrate commedans les belles maisons des terrasses d’Ephèse, on reste ébloui par un décorpeint que les spécialistes savent parfaitement identifier, dater et classer, maisqui ne me paraît pas davantage refléter un goût romain. L’ensemble de cesmaisons, édifiées entre le Ier s. a.C et le Ier p.C., reste absolument fidèle à unmodèle grec d’organisation. Si les peintures et mosaïques s’inscrivent dansle goût du temps, celui que l’on retrouve à la même époque à Pompéï et àRome, les thèmes en sont proprement grecs et je ne pense pas que l’on puis-se conclure à une «romanisation» des propriétaires de ces maisons. D’autantqu’il est probable que plusieurs d’entre elles appartiennent en fait à des fa-milles romaines ou d’origine romaine (unité 6 d’Éphèse, propriété de C.Flavius Furius Aptus vers la fin du IIe s. p.C.): on est donc plutôt frappé parl’engouement de ces Romains transplantés pour un décor grec!

Il faut aussi faire une place à l’omniprésence des images du pouvoir, sta-tues, dédicaces, milliaires. Car, en dépit de tout ce qui vient d’être dit, on nepeut oublier un instant, lorsque l’on parcourt les rues d’Éphèse ou celles den’importe quelle cité grecque d’Asie Mineure sous l’Empire, que Rome estlà! Mais ce n’est pas tant la forme des monuments, encore moins certainsprocédés de construction, qui le rappellent, mais l’omniprésence des imagesdu pouvoir. Certes, Éphèse est un cas limite puisqu’elle est la première cité

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24 COULTON, p. 82.25 L. ROBERT, Les gladiateurs dans l’Orient grec, Paris 1940.

de la province, le siège du proconsul, mais portraits et monuments à la gloi-re ou à la mémoire des Romains ornent chaque coin de rue: temples enl’honneur des empereurs (Domitien, Hadrien), dédicaces (nymphée de Tra-jan, fontaine de Domitien), monuments commémoratifs de proconsuls (mo-nument de C. Memmius, celui de C. Sextilius Pollio pour son gendre), sanscompter les nombreux édifices offerts par des Romains (stoa basilikos, bainde Vedius, etc.). Cela contribue certes à «romaniser» le paysage d’une cer-taine façon, à y inscrire la marque du pouvoir impérial bien plus qu’à impo-ser une culture romaine: nombre de ces édifices s’inscrivent dans une tradi-tion architecturale indigène, c’est-à-dire grecque (stoa par exemple).

* * *

J’ai paru jusqu’ici minimiser au maximum les témoins d’une possible «ro-manisation» de l’Asie. On pourrait objecter que plusieurs des édifices que jeviens de mentionner impliquent des comportements nouveaux. Ce qui estvrai, et s’il faut chercher une «romanisation», c’est à mon avis dans ce do-maine qu’il faut tenter de la trouver, dans le domaine des loisirs, des spec-tacles, des comportements collectifs! Satisfaire aux impératifs de la Natureen prenant place au milieu d’une cinquantaine de personnes dans une latri-ne publique traduit un comportement social éminemment révélateur!

Le goût des thermes s’est développé dès l’époque hellénistique au détri-ment du gymnase, mais leur foisonnement à l’époque impériale dépasse toutce que l’on peut imaginer, au point qu’on se demande parfois s’il y avait vrai-ment assez de clients pour les occuper tous. Toutes les villes en comptentplusieurs, occupant une place considérable dans la cité. Cela implique desadductions d’eau importantes. Plus que les thermes, je crois que la présencede l’eau en ville, sous forme de fontaines, bassins, nymphées, thermes portela marque de Rome bien plus que des traditions grecques en la matière.

Mais surtout le temps passé aux bains plutôt qu’au gymnase – fût-ce enspectateur – trahit une évolution certaine des mentalités et des comporte-ments sociaux. Comme le notait J. J. Coulton à propos des aqueducs24, leurdéveloppement n’est pas tant la conséquence du savoir-faire romain ou de lavolonté grecque d’imiter les occupants, que d’une modification des habi-tudes et d’une adhésion réelle à la pratique romaine du bain.

Il en va de même pour le goût des Grecs pour les gladiateurs et les jeuxde l’amphithéâtre. On sait que longtemps on crédita les Grecs d’un certainmépris pour les cruautés romaines. C’est une pure vue de l’esprit, déjà dé-noncée par Louis Robert25 et l’on a trop souvent pris la position affirmée

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26 Dion XXXVI, 17: le rhéteur s’apprête à prononcer un discours à Borysthène devant le peupleassemblé devant le temple de Zeus; «un philosophe aurait été heureux à cette vue, car tous ressem-blaient aux anciens Grecs décrits par Homère, avec les cheveux longs et la barbe flottante, et parmieux un seul était rasé, et il était ridicule et l’objet du ressentiment de tous. On disait qu’il se rasaitnon par fantaisie propre, mais par flatterie à l’égard des Romains et pour montrer son amitié poureux. On pouvait voir ainsi combien cette pratique était disgracieuse et inconvenante pour deshommes véritables».

27 W. VAN ANDRINGA, La religion en Gaule romaine: piété et politique: Ier-IIIe siècle apr. J.-C., Paris2002.

par Apollonios de Tyane pour représentative des Grecs tous ensemble; or, àl’évidence, il reprochait à ses contemporains leur goût pour ces spectacles.Tout montre en effet l’engouement des Grecs pour les ludi romains, y com-pris dans leurs formes les plus cruelles à nos yeux, combats de gladiateurs,chasses, luttes contre les bêtes sauvages. Les condamnés ad bestias ne meu-rent pas sous les yeux de moins de spectateurs à Smyrne (martyre de Poly-carpe) qu’à Rome, à Lyon ou à Carthage.

Mais, semble-t-il, les ludi romains restèrent strictement confinés à la célé-bration du culte impérial. Jamais les magistrats des cités grecques n’adoptè-rent l’habitude romaine de fêter leur entrée en charge par des ludi, alors quela pratique de la summa honoraria aurait pu les y inciter. On offre d’autrescadeaux, même sans rapport avec la charge à remplir, jamais des combats degladiateurs, des uenationes ou autres spectacles de ce genre. On y reviendraà propos du culte impérial. Notons que jamais les concours à la grecque neparurent souffrir de la concurrence des ludi romains, et que même les colo-nies romaines organisèrent des concours (Cremna).

Il faudrait faire une place aux comportements, aux modes, vestimentairesou autres. On se contentera d’une anecdote révélatrice. Dans un discours,Dion rapporte explicitement le fait de se couper la barbe et la moustache àla volonté d’imiter les Romains26, ou, plus exactement, au souci de flatter lesRomains. Et d’ajouter à quel point c’est ridicule! Le port de la barbe estclairement un marqueur identitaire, au point que le philhellène Hadrienadopte la barbe grecque! Et à sa suite, nombre de Romains l’imitent.

* * *

On ne peut exclure d’une enquête en «romanisation» les aspects reli-gieux. On a montré récemment de manière décisive comment, en Gaule, la«romanisation» des notables et la promotion des peuples au rang de ciuitaspassait par l’installation au cœur de l’agglomération urbaine des dieux deRome, et non d’une interprétation romaine des dieux indigènes27. Or, il enva tout autrement dans le monde grec, pour des raisons diverses, même si cemodèle n’est pas sans exemple: on l’a montré récemment à propos du culte

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28 Article décisif de J. ALIQUOT, “Cultes locaux et traditions hellénisantes du Proche-Orient: àpropos de Leucothéa et de Mélicerte”, Topoi, 14, 2006.

29 D’une immense bibliographie, on peut extraire S. PRICE, Rituals and power: the Roman imperialcult in Asia Minor, Cambridge 1984; K. HARL, Civic coins and civic politics in the Roman East A. D.180-275, Berkeley 1987; S.J. FRIESEN, Twice Neokoros Ephesus, Asia and the cult of the Flavian imperialfamily, Leyde - New York - Köln 1993.

de Leucothéa en Phénicie28.En premier lieu, dieux grecs et dieux romains sont trop proches les uns

des autres pour que des dieux romains aient pu être considérés comme desdieux nouveaux et séduisants. Depuis longtemps avaient été établies deséquivalences entre la plupart des dieux grecs et ceux de Rome, quand ils neportaient pas le même nom (Apollon). Et de fait, aucun Grec n’a jamais jugénécessaire de nommer Jupiter son Zeus, ou Minerve son Athéna. J’énonce làune banalité, mais les Grecs seuls dans l’Empire ont adopté une positionaussi radicale. Là où tous les peuples d’Occident ont donné des signesd’une «romanisation», les Grecs s’en abstiennent.

En second lieu, on pourrait imaginer que les Grecs aient adopté néan-moins quelques divinités romaines auxquelles n’auraient pas corresponduexactement des divinités grecques pour marquer leur appartenance au mon-de de Rome. Or, sauf erreur de ma part, aucun dieu romain ne fait nullepart l’objet d’un culte public dans le monde grec, sauf éventuellement à titreprivé dans les familles d’origine italienne et évidemment dans les coloniesromaines (exemple de Bérytus par exemple avec Juno Regina, Mater Matu-ta, Venus) ou dans les milieux militaires. Le seul dieu romain honoré dans lapartie orientale de l’Empire reste l’Empereur!

La célébration du culte impérial, né précisément en Asie et en Bithynieen 29 a.C., s’est rapidement répandue dans toute l’Asie et il n’est pas la pei-ne d’insister sur l’intense compétition qui opposa les cités pour abriter unsanctuaire provincial du culte impérial29. Mais, en terme de «romanisation»,c’est le type même d’institution ambiguë. Le culte impérial est en effet uneinvention grecque puisque c’est l’adaptation à Auguste (et même déjà à Oc-tave) du culte des souverains, après qu’en aient bénéficié avant lui nombrede magistrats romains et le Sénat. Les Grecs lui conservèrent une dimensionqu’il ne connut pas en Occident (par exemple en refusant la distinctionentre divus/deus), et multiplièrent les formes d’hommage, parfois extrava-gantes. Malgré le caractère profondément grec du culte impérial, on ne peutéchapper à la conclusion que Rome sut en faire un instrument efficace deson autorité, un moyen de mesurer l’adhésion des communautés à l’hégé-monie de l’empereur. C’est l’existence du culte impérial qui explique, aumoins en partie, l’omniprésence des images du pouvoir dans les cités, enOrient comme ailleurs. Mais peut-on voir un phénomène de «romanisation»

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30 A. ERSKINE, Troy between Greece and Rome, Oxford 2001.31 VEYNE, p. 533.

dans l’adaptation par les Grecs eux-mêmes d’une invention grecque auxempereurs romains?

Dans le domaine du mythe, la domination romaine en Asie Mineure nepouvait pas ne pas avoir d’influence sur l’un des plus importants mythes lo-caux, lui-même en étroite relation avec les origines de Rome, le mythetroyen. Andrew Erskine30 s’est livré a une étude minutieuse pour montrercomment les Grecs ont réagi à la double prétention des Romains d’une part,des Iulii d’autre part de descendre des Troyens. Le choix de César, amplifiépar Virgile pour le compte d’Auguste, donnait en effet à la tradition légen-daire des origines de Rome une ampleur inattendue. Mais, à y regarder deprès, on s’aperçoit que les efforts des Grecs ont depuis longtemps consisté àintégrer Rome à leurs modes de fonctionnement diplomatique. La guerre deTroie n’a jamais été un conflit entre Grecs et Barbares mais une guerre de hé-ros. Il n’y avait donc nul discrédit à se présenter comme descendants de hé-ros troyens plutôt que de héros grecs. Dès l’époque hellénistique, les citésgrecques se sont plu à souligner leur parenté avec les Romains par le biaisd’une commune ascendance troyenne, notamment les cités de Troade(Lampsaque par exemple). Mais c’est une manière d’intégrer Rome à unepratique grecque, non une basse flatterie, une sorte de servilité envers lesprétentions romaines à une origine troyenne. En quelque sorte, les Grecs del’époque hellénistique considèrent que les Romains sont après tout des Grecscomme les autres, avant que Denys d’Halicarnasse n’en entreprenne la dé-monstration raisonnée. La fortune des mythes liés au cycle troyen relève sansaucun doute de l’affichage idéologique d’Auguste et de Rome en général,mais les Grecs ont su le détourner de manière à l’utiliser sans que l’on puisseparler d’un effet de «romanisation». Tout au plus, c’est un concession faite àces «barbares», car le monde reste divisé entre les Grecs et les autres31.

* * *

Il est temps de conclure: peut-on ou doit-on parler de «romanisation»? Al’évidence, les paysages urbains se sont largement transformés, les images dupouvoir sont partout, et des habitudes, des comportements, des goûts venusde Rome ont pénétré en Asie Mineure comme ailleurs dans l’Empire. Etpourtant, je suis plus que réticent à parler de «romanisation», tant ce termeme paraît chargé de connotation culturelle. Il me semble manquer cet élé-ment essentiel qu’est la langue, véhicule premier de la culture. Je partage surce point l’opinion exprimée par Paul Veyne que les Grecs furent, avec lesJuifs, ceux qui opposèrent la plus forte résistance à Rome, les premiers en

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32 VEYNE, pp. 529-530.33 Cf. dans ce sens S. SWAIN, Hellenisme and Empire. Language, Classicism, and Power in the

Greek World AD 50-250, Oxford 1996, notamment p. 89.34 Sur la question des identités, du moins dans les milieux de notables, cf. E. STEPHAN, Honoratio-

ren, Griechen, Polisbürger. Kollektive Identitäten innerhalb der Oberschicht des kaiserzeitlichen Kleina-sien, Göttingen 2002.

s’appuyant sur leur supériorité culturelle, les seconds en s’accrochant coûteque coûte à leurs traditions religieuses32. Et l’avantage politique pris par lesRomains sur les Grecs incita sans aucun doute ceux-ci à mettre davantageencore en relief l’excellence de leur culture; à défaut de pouvoir rivaliser po-litiquement avec ces «barbares», il convenait d’affirmer leur dépendanceculturelle à l’égard des vaincus33.

Ce faisant, je ne nie pas la forte influence exercée par Rome dans nombrede domaines, comme celui du droit (il faudra bien un jour d’intéresser deprès à la question des affranchissements), ou le remodelage du paysage ur-bain (avec l’abondance des thermes, les rues à colonnades, les aqueducs, leslatrines ou les arcs), mais cela ne me semble pas être une «romanisation»,plutôt une modernisation dans de nombreux cas, parfois le simple effet dela présence politique romaine. Mais sur le fond, la culture grecque, les habi-tudes grecques de vie, les comportements sociaux, religieux, intellectuels, neme semblent être influencés que marginalement par des pratiques venuesd’Occident. On ne peut sûrement pas parler d’une culture grecque «roma-nisée», encore moins d’une société «romanisée» sous prétexte qu’on se rendde temps en temps aux combats de gladiateurs, qu’on fréquentent desthermes construits selon une technique romaine ou que l’on utilise les la-trines publiques!

En revanche, je ne doute pas que la domination romaine a obligé lesGrecs et autres habitants de la partie orientale de l’Empire à se doter d’uneidentité nouvelle, supplémentaire, s’ajoutant aux identités déjà constituéeset les modifiant34. D’une manière ou d’une autre, Rome devait inciter les ha-bitants des provinces à se sentir «Romains» sans l’être, faute de quoi elle au-rait dû affronter des révoltes sans fin. Elle y aida en s’appuyant sur les no-tables, en les favorisant de toutes les manières pour qu’ils adhèrent très tôt àl’hgemon∂a tîn `Rwma∂wn. C’est plutôt en terme d’identité qu’il faut s’inter-roger, plutôt que de se borner à des catalogues de faits «romains» rarementpertinents.

On ne peut oublier que pour les populations grecques ou hellénisées denombreuses provinces d’Asie Mineure, l’identité grecque se double depuislongtemps d’une autre identité locale, plus ou moins affirmée: Lycien, Ca-rien, Pisidien, Phrygien, Lydien, Bithynien, etc. En adoptant ces noms pourses provinces, ou en créant à l’intérieur des provinces des koina qui repré-

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35 ST. MITCHELL, “Ethnicity, acculturation and Empire in Roman and late Roman Asie Minor”,dans ST. MITCHELL - G. GREATREX éd., Ethnicity and Culture in Late Antiquity, Londres - Swansea2000, pp. 117-150.

sentaient chaque peuple, Rome a fixé les limites des peuples (bien que Stra-bon lui reproche à juste titre d’avoir ajouté à la confusion en ne respectantpas les limites établies). Au fil du temps, comme le souligne Stephen Mit-chell35, l’ethnique qui accompagne le nom des individus se rapporte claire-ment à la province, puisque les noms qui ne correspondent pas à des pro-vinces finissent par disparaître comme ethnique. Les identités culturelless’adaptent donc à la nouvelle géographie administrative mise en place parRome.

L’identité grecque des individus se modifie donc peu à peu, et sans douteà des rythmes très différents selon les lieux et les milieux. L’affichage du ba-nal gentilice Aurelius après 212 montre la fierté que ressentent les gens mo-destes à être devenus citoyens romains. Quel que soit l’orgueil des Grecs àsouligner leur identité civique par le port de leur ethnique, en s’avouant Au-relii, ils se reconnaissaient aussi Romains! Et les notables ont depuis long-temps ce sentiment d’appartenance. En les intégrant de façon précoce dansla citoyenneté, voire dans les deux ordres supérieurs de l’État, sénateurs etchevaliers, Rome a su faire comprendre aux notables grecs ou hellénisésqu’ils n’étaient pas seulement les vaincus d’un monde disparu – ce que deshommes comme Plutarque ou Aelius Aristide ressentent néanmoins vive-ment –, mais ainsi les élites d’un monde nouveau, où ils avaient toute leurplace. N’est-ce pas cela qui explique l’intérêt des historiens grecs pour Ro-me? Lorsque Appien, Dion Cassius, Hérodien écrivent l’histoire romaine, ilsécrivent leur histoire, non celle d’un monde étranger. C’est peut-être parceque Rome n’a jamais cherché à imposer quoi que ce soit de sa culture, de seshabitudes, de ses mœurs, que les Grecs ont aussi facilement supporté unedomination qui ne remettait jamais en cause les fondements de l’identitégrecque, le patriotisme local, la notion d’agôn, les dieux et mythes de chacun.

C’est à ce prix, que les Grecs et les autres habitants des provinces de Mé-diterranée orientale purent se sentir «Romains» sans l’être culturellement.Et ils le sentirent de façon particulièrement nette lorsque la nouvelle Romevint s’installer sur leurs rives. Mais il n’est pas sûr que la fondation deConstantinople ait fait autre chose qu’ancrer davantage une conscience ro-maine déjà acquise. En fait, le terrain était prêt pour que les Grecs soient lesderniers des `Rwma√oi! L’héritage de la romanité passait entre les mains deceux qui avaient été, en terme de culture, ses plus farouches opposants.

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HISTORICAL DEVELOPMENT OF URBANIZATION IN CILICIA IN HELLENISTIC AND ROMAN PERIODS

MUSTAFA H. SAYAR

The papers presented have made it very clear that Cilicia was located at acrossroads between Anatolia and Mesopotamia, and was a place of culturalinteraction for thousands of years. The results of excavations and other re-search conducted in the area demonstrate that the historical development ofCilicia was very active. Here I would like to present some information withregard to the urbanization of the area between the Hellenistic period, whichbegan in the second half of the 4th century BC, and the Roman period,which commenced in the mid 1st century BC and ended in the second halfof the 3rd century AD. However, within the limited time available to me, itwill only be possible to present an outline of the subject.

Within the time span under consideration, approximately six hundredyears, the major activity in the area was urbanization, a process whichreached its peak between the 1st century BC and the end of the 1st centuryAD. To understand this process better, we need to talk briefly about thepre-Hellenistic settlements. Cilicia can be subdivided into two regions ac-cording to differences in the topography: the western part is termed Rough(Mountainous) Cilicia (called Kilikia Tracheia or Cilicia Aspera in the an-cient written sources), whilst the eastern part is called Plain Cilicia (or, asthe ancient authors called it, Kilikia Pedias or Cilicia Campestris). In exam-ining the urbanization process, we can distinguish four basic groups of set-tlements:

1) cities founded on or adjacent to older settlements; 2) cities that were the continuation of colonies; 3) cities either founded or renamed by the Seleucid and Ptolemaic kings;4) cities re-founded when Seleucid domination ended and Roman domina-

tion began.

1. Settlements founded on or adjacent to older settlements

Plain Cilicia (called Qedi in Hittite, and Que in Assyrian texts) had beenintensively inhabited since prehistoric times. Zephyrion was located on the

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hill where the Mersin Opera House and the Museum stand today. Thisplace is a few kilometres south of Mersin-Yümüktepe, one of the most an-cient settlements in the region.

Tarsus (or Tarsa as in the Hittite texts) is one of the oldest cities of thisgroup. Although the known archaeological finds do not provide us with aprecise foundation date for Tarsus, Gözlükule, the mound within the cityborders, dates back to the 2nd millennium BC. In the future, we hope tofind out more about the chronological sequence of Tarsus-Gözlükule (fromHittite to Roman times) from the excavation project which has been pro-posed and planned by Professor Dr. Aslı Özyar.

Adana is likewise one of the oldest settlements of Plain Cilicia. The city’santiquity is demonstrated not only by the Hittite origin of the word ‘Adana’,but also by the identification of the “People of Danuna” as the inhabitantsof Adana, on a bilingual (Hittite hieroglyphic and Phoenicean) seal dated tothe 8th century BC.

Another old settlement in Plain Cilicia is ancient Mopsuhestia, located atMisis (modern Yakapınar). The name means “the Hearth of Mopsos” andrefers to Mopsos the Oracle, the son of Apollo in mythology. According tothe tradition, Mopsos founded numerous cities in Pamphylia and Cilicia,two of which were given his own name: Mopsuhestia and Mopsukrene. Aproposed location for Mopsukrene is the vicinity of Kırııt village, north ofTarsus. Muksas, the founder of the Adana dynasty according to the Karate-pe inscriptions, was most probably Mopsos. The excavations at the Misismound have proved that this site had been inhabited since the Chalcolithicperiod. Although the name of Mopsuhestia in the Hittite period is un-known, some scholars suggest that a settlement called Pahri must be locatedsomewhere here. The earliest ancient source to mention the name of Mop-suhestia is Theopompos of Chios, a writer from the 4th century BC.

Kirhu, the capital city of the Kingdom of Pirindu, is one of the earliestsettlements of Rough Cilicia. Pirindu is identified with Meydancıkkale,which lies near modern Gülnar.

Ancient Kelenderis, which has been identified with modern Aydıncık(previously Gilinderes), is one of the most ancient settlements of RoughCilicia. Although in some ancient sources Kelenderis is defined as a colonyof the island of Samos, it is now suggested that there were already native in-habitants here before the arrival of the Samians.

Selinus, called Sallune in the year 557/556, was one of the cities at thewestern end of Rough Cilica, the region then known as Pirindu.

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2. Cities that were the continuation of colonies

From the mid 8th century BC onwards, once peace was restored in Hel-las, the Greek colonization movements took place. The first waves were di-rected towards the Mediterranean area. These reached the coastline of PlainCilicia at the beginning of the 7th century, as we learn from the ancientsources (Thucydides I 12). Furthermore, the ancient sources state that theAssyrian king Sennacherib (704-681 BC) won a victory over the colonistsboth at sea and on land, and he erected a victory monument at a city nearAnchialos, the location of which is not yet known (Arrian, Anabasis II 5,2ff). This event indicates that the coastline of Plain Cilicia remained largelyfree of colonization movements.

Unlike in Plain Cilicia, the colonists in Rough Cilicia founded a numberof ‘apoikia’ without meeting any resistance from the locals. ‘Apoikia’ meansa colony-settlement which is entirely independent of the mother-city. One ofthese was Nagidos, located at modern Bozyazı (near Aydıncık), which wasclaimed to have been established by Samian colonists (Pomponius Mela 77:Celenderis et Nagido Samiorum Coloniae). This land must have been inhab-ited by indigenous people before the Samians set foot here. As we havementioned earlier, this must also have been true of other Samian colonies onthe coast of Rough Cilicia.

There was a settlement called Holmoi, at modern Tasucu, to the east ofAphrodisias (Skylax 102; Anonymi stadiasmus sive periplus maris magni 180vd.; Strabo XIV 5,4). When we consider the locations of the apoikiai, it isclear that the sites chosen were not only natural ports with good defensivepositions, essential for sea trade, but also they had cultivable land. This mayindicate that the newcomers had an agricultural background rather than amercantile one.

According to Strabo, there was a colony called Soloi at the border be-tween Rough and Plain Cilicia. The founders of this site were from the cityof Lindos, on Rhodes. Soloi is identified with modern Viransehir near Mez-itli, a few kilometres east of Mersin (Skylax 102; Strabo XIV 5,8; Pompo-nius Mela I 71; Eusthathios; Dionysios Per. 875).

Mallos, suggested to have been a colony of Argos, is one of the most an-cient settlements of Plain Cilicia (Arrian, Anabasis II 5,9). It is situated atthe Kızıltahta village of Karatah in the Adana district. Tradition has it thatthe founders of Mallos were Amphilochos and Mopsos from Troy (StraboXIV 5,16,676).

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3. Cities either founded or renamed by the Seleucid and Ptolemaic Kings

The Hellenistic period began in the region with the Battle of Issus in 333BC, when the Persian army was defeated and driven out of Cilicia byAlexander the Great. During this period not only were the existing cities re-stored but also new ones were founded. The Persian satrapal borderline ofCilicia remained unchanged throughout Hellenistic times. The region was afocal point in the serious power struggles between the commanders ofAlexander the Great following his death in 323 BC. The first winner wasPerdikkas. He captured Cilicia in 323. In 321, after the Treaty of Tripa-radeisos, Antipatros took over control of the region. For the two years fol-lowing the Battle of Ipsus in 301 BC, Cilicia was ruled by Pleistarchos, theson of Perdikkas, and then from 299 BC by Demetrios Poliorketes.Demetrios went back to Greece in 296 BC. Thereafter began the domina-tion of Seleukos Nikator, the founder of the Seleucid dynasty.

In the 3rd century BC, most probably immediately after capturing the re-gion, Seleukos founded the city of Rhossos, which was located at modernArsuz, at the south end of the Gulf of Iskenderun. The mound and theman-made water channels of the city are still visible. Seleucid Rhossos be-came part of Roman Cilicia in 64 BC. During the reign of Augustus, the set-tlement was given not only the status of a “free city”, but also that of a “sa-cred city”, with a temple which had the right to shelter refugees. Rhossos layoutside the borders of the province of Cilicia when the regional administra-tion was rearranged in Vespasian’s reign.

Seleukos founded the city of Alexandreia kat’ Isson in order to immortal-ize the name of Alexander the Great. This city, of which no remains are ex-tant, was located in the Esentepe district of modern Iskenderun, near Hatay.

It is believed that Seleukos founded the city of Aigeai in order to securehis control over the northern part of the Gulf of Issus. It was situated at thesite of the modern town of Yumurtalık, Adana. The remains of some Romanbuildings have survived.

Seleukos also founded Seleukeia, named after himself and located on theKalykadnos (Göksu) river in central Cilicia. The settlement gave him con-trol over the strategically and economically important Kalykadnos valley.The Holmoi (Tahucu) people were forced to move into the newly-foundedcity.

During this period, most of Rough Cilicia was under the control of thepriests of the Temple of Zeus in Olba. Within their lands they were inde-pendent of the Seleucid Empire. It is believed that the construction of thetemple of Zeus Olbios, which was the most important sanctuary in the area,

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was initiated during the reign of Seleukos Nikator.After the assassination of Seleukos Nikator in September 281, his son

Antiochos I succeeded him. Whilst Antiochos was busy eliminating a revoltin North Syria, Ptolemaios II Philadelphos, the king of Egypt and one ofAlexander’s successors, occupied the Cilician coast. Cilicia remained in thehands of the Ptolemaic dynasty from 280 until 271 BC.

It is very likely that the Rough Cilician cities of Berenike and Arsinoewere founded during the reign of Ptolemaios II Philadelphos (285-246).The exact location of these sites is unknown, but it is suggested that they layin the area of modern Bozyazı, to the east of Anamur.

Anemurium, another important city of Rough Cilicia, was located 5 kilo-metres west of Anamur. Its history goes back to the 4th century BC. Liviusmentions its name in his account of the campaign of Antiochos III againstthe Ptolemaic army. Anemurium began to flourish in the early 1st centuryBC. Before that, it had remained in the shadow of Nagidos.

In the year 260 BC, following the death of Antiochos I, his son and suc-cessor Antiochos II Theos took control over the east coast of Cilicia, withthe support of the Rhodians. However a year later, after his death in 246BC, Ptolemaios III Euergetes re-captured the Cilician coast. Thereafter, bythe treaty settlement of Eurgetes and Seleukos II in 241 BC, it was agreedthat the entire coastal region of Cilicia would remain under the control ofthe Ptolemaic Empire.

However, in 223 BC, with Antiochos III’s accession to the throne, a newera began for the Seleucid Empire. In 197 BC he organized a great militarycampaign against the Ptolemaic Empire and marched into Cilicia to expelthem from Asia Minor. In the early stages of his campaign he conquered thecities of Korakesion, Zephyrion, Soloi, Aphrodisias, Korykos, and Selinus.However, he lost all his gains when he was defeated by the Romans in 189.By the Treaty of Apamea of 188 BC, he was compelled to relinquish hisclaims over Anatolia, as far as the Taurus Mountains, and also Rough Ciliciaup to the Kalykadnos valley. According to this same treaty, no Seleucid navywas allowed to pass west of the Sarpedon Cape (at modern Tahucu).

In 187, a year after the Treaty of Apamea, Antiochos died and his son Se-leukos IV succeeded to the throne, followed, after his death in 175, by Anti-ochos IV Epiphanes (175-164 BC). Antiochos restored some of the oldcities, and renamed them as had many of his predecessors in HellenisticCilicia. The aim of this practice was to make these cities appear as if theyhad been newly founded. We are aware of such cases from the evidence ofcoinage and inscriptions.

For example, during the reign of Antiochos IV, Tarsus was renamed asANTIOCHEIA PROS TO KUDNO, meaning Antiocheia on the Kydnos (=

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the modern Tarsos river), as proved by the coinage known from this period.Another city renamed at that time was Adana. On the coins issued during

the reign of Antiochos IV Epiphanes, the name of the city was A meaningANTIOCHEIA PROS TO SARO, Antiocheia on the Saros (= modern Sey-han river).

Another city renamed by Antiochos IV Epiphanes was Mallos. On in-scriptions, the name of the city is recorded as Antiocheia on the Pyramos (=modern Ceyhan): ANTIOCHEIA PROS TO PYRAMO,

The name of Mopsuhestia was also changed by Antiochos IV Epiphanes.The coinage shows that it became SELEUKEIA PROS TO PYRAMO Se-leukeia on the Pyramos.

Here is another settlement renamed by Antiochos IV. On both the coinsand inscriptions connected with the city of Kastabala, the name of the cityappears as IEROPOLITON PROS TO PYRAMO which means the sacredcity on the Pyramos.

The city of Oenoandos, the suggested location of which is at modernGözene, approximately 8 km southwest of Erzin in the Hatay, was renamedEpiphaneia. The coinage of the city attests that this renaming took placeduring the reign of Antiochos IV Epiphanes.

The location of Seleukeia on the Gulf of Issos has not yet been identified.The name of SELEUKEIA PROS TOS ISSIKO KOLPO appears only on twobronze coins issued in the 2nd century BC. It is very likely that this is justthe renaming of an old city situated on the Gulf of Iskenderun, as in the cas-es mentioned above.

4. Cities, which re-founded when Seleucid domination ended and Roman domination began

This fourth group can be subdivided into two:

a) settlements either founded or renamed by various local kings who werethe allies of Rome before the Roman domination in Cilicia;

b) cities founded as a result of the resettlement policy of the Romans. Whenthe Romans established their provincial system in Cilicia, those peoplewho were formerly either nomads or pirates were compelled to settledown. The historical events of the 1st century BC to 1st century AD wereespecially bound up with this policy, which shaped the fate of the cities.

The very first event involving Rome and Cilicia was the military campaignrequired against the pirates of the region. From the mid 2nd century BC on-wards, piracy had not only brought an end to Rhodian domination of the

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Mediterranean, but had also became a serious threat for maritime activity ingeneral. In 102 BC, the Roman Senate appointed Marcus Antonius to com-mand the mission. The aim was to destroy the pirate bases, especially thosein the coastal area of Rough Cilicia. Whether or not he achieved his aim isuncertain, though the subsequent reappearance of piracy indicates that hewas not entirely successful.

The subsequent Roman efforts made against the pirates, first by Sulla in97-96 BC, then in 84 BC by L. Licinius Murena, the propraetor of Anatolia,and finally by Cn. Cornelius Dolabella, propraetor of Cilicia between 80and 79 BC, were unable to defeat them. But in 78 BC the Roman Senateelected P. Servilius Vatia as commanding officer in Cilicia for five years, andhe ultimately overwhelmed the pirates, on land as well as at sea. In honourof this achievement he was given the name Isauricus.

While this was happening in Rough Cilicia, the Seleucid domination overPlain Cilicia, which had existed since the 4th century BC, was beginning toweaken as a result of internal power struggles over the kingship, whichcaused confusion and a power vacuum in both Plain Cilicia and other Se-leucid lands.

During this chaotic situation, an event that can be considered a turningpoint in the history of the area took place. In 83 BC, Tigranes, the king ofArmenia, who was trying to gain access to the Mediterranean, defeated theSeleucid king Antiochos X, and occupied the cities of Plain Cilicia. The an-cient sources claim that the inhabitants of the conquered cities were forcedto resettle in Tigranokerta (modern Silvan-Diyarbakır), the new capital citywhich he founded. Some of these people died on the road, a journey of hun-dreds of kilometres.

In 69, L. Licinius Lucullus, the Roman commander, marched to Anatoliain order to make war against Mithridates VI, the king of Pontus. In thecourse of this campaign, he captured Tigranokerta, the capital of Tigranes,who was allied with Mithridates. At the beginning of the year 68 he sent theCilicians back to their homes from where they had been drafted 15 yearspreviously. Lucullus entitled Antiochos XIII Asiatikos as king of the Seleu-cid kingdom of Syria and Cilicia.

However, as a result of his opponents’ complaints, Lucullus was with-drawn from his position by the Roman Senate. He was charged with beingunsuccessful in his war against Mithridates. In his place, the Senate appoint-ed Cn. Pompeius Magnus. His task was to deal with the pirates who wereallied with Mithridates. He was authorised with exceptional powersthroughout the Mediterranean area, within a territorial limit of 50 miles. Fi-nally, in the summer of 67, Pompeius defeated the pirates at Coracesium(Alanya). As a result of his victory, the piracy which for centuries had been a

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great threat in the Mediterranean area, was effectively eliminated. Most ofthe pirate population were, in fact, formerly farmers. However, when thepower vacuum brought anarchy and terror to the region, these people wereleft with virtually no choice but to become pirates in order to survive. Fol-lowing the victory of Pompeius, they were settled down in the partiallyabandoned cities of eastern Cilicia, such as Adana, Mallos and Epiphaneia.Ancient authors state that Pompeius settled most of the ex-pirates at Soliand, following the practice of the Hellenistic kings, he renamed the city af-ter himself, as Pompeiopolis.

This was the first step towards Roman domination of the strategicallyvery important Plain Cilicia, an importance fully apparent to Pompeius inrelation to his plans to make war against Mithridates and his allies. Thecities of Plain Cilicia were brought under the direct protection of Rome.Since the citizens of these places considered this event the beginning of anew era, they adopted the year 67 as the initial date for their calendars. Thedates on the Mallos, Epiphaneia, Mopsuhestia and Alexandreia kat’Issoncoins and inscriptions were given according to this new regulation. Pom-peius had bestowed the status of “free city” (civitas libera) on Mopsuhestia.In either 66 or 65 BC, he assigned the same status to Pompeiopolis (former-ly Soloi), where he established a community of veterans together with re-set-tled ex-pirates, and here too the new calendar was adopted.

The second step taken by Pompeius to secure Roman control in Ciliciawas the dethroning of Antiochos XIII, the Seleucid king who had been rec-ognized by Lucullus. By this action it was being indicated that Rome was amore reliable protector than the Seleucids, who had by now been effectivelyeliminated in the region. Pompeius, based on his status of imperium procon-sulare maius, given to him by the Roman Senate, reorganized the Cilicianprovince with the annexation of Plain and Rough Cilicia, Lycia, Pamphylia,Pisidia and Cyprus. Tarsus became the provincial capital.

However, this Cilician province established by Pompeius in 64 BC hadvanished by 40 BC, when it was given as a wedding present to Cleopatra,the Ptolemaic queen, by her husband Marcus Antonius.

Later, the mountainous part of western Cilicia was handed over toArchelaos I, the Cappadocian king, by Octavianus Augustus, the sole au-thority in the Roman Empire after defeating Marcus Antonius at Actium in31 BC. In the meantime, some parts of Plain Cilicia were left with Tarkondi-motos II Philopator, the son of an ex-pirate called Tarkondimotos.

In AD 17 Tiberius, the successor of Octavianus Augustus, took the op-portunity afforded by Tarkondimotos II’s death, and annexed his territory,together with some areas of Plain Cilicia, to the Roman province of Syria.Thereafter, Antiocheia replaced Tarsus as the new official capital of the ter-

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ritory. In AD 20, Tiberius founded the city of Augusta on the Saros (modernSeyhan), located to the north of Adana. The calendar of Augusta, the re-mains of which have been covered by the modern Seyhan Dam Lake, startswith the year 20. The land of Zeus Olbios’s sanctuary at Olba, which hadbeen the property of the Teukron, the dynasty of priest-kings, also became aRoman possession. Here, Tiberius founded the city of Diokaisareia in AD17. In later centuries, the southern parts of this temple-state were includedin the growing lands of the cities of Elaiussa-Sebaste and Korykos.

In AD 38, Caligula took from the Syrian province the lands of Cilicia andCommagene and gave them to his friend since childhood, Antiochos IV, theCommagenenian king (AD 37-38).

In either AD 51 or 52, to demonstrate his loyalty, Antiochos IV foundedNeronias in Plain Cilicia in honour of the Imperial family. The city wasnamed after Nero, who had been adopted by Claudius in AD 50. Neroniaswas located at Düziçi, in the Adana district. It was renamed Eirenepolis inthe reign of Vespasian.

Later, in the AD 72, Vespasian reorganized the eastern provinces. As partof this rearrangement he dethroned Antiochos IV, accused of disloyalty, andhe took over his lands. The Commagenian part of those lands was unitedwith the Syrian province, but from the lands of eastern and western Ciliciahe created a new provincial territory, namely the province of Cilicia. Tarsuswas the capital of this new province, which extended from Kodrigai, nearSarıseki Castle (north of Iskenderun), in the east, to the Sedre Çayı in thewest. A governor (legatus Augusti pro praetore) was appointed as the impe-rial administrator, but no legion was assigned to the province.

The last Roman city in the lands of Cilicia was Flaviopolis, founded by Ves-pasian in 73 in the northeast of Plain Cilicia. Although we have no firm evi-dence, it is commonly believed to be located at Kadirli in the Adana district.

The concomitant processes of Roman urbanization and Romanizationhad begun in the region in the 1st century BC and lasted until the thirdquarter of the 1st century AD, with the foundation of the new city ofFlaviopolis. However, in the period extending from the 1st century AD, un-til AD 260 when the campaign of the Sassanid king Shapur I took place,changes occurred in the social and political structures of the Cilician cities,according to the nature of various historical events. During the Sassanidcampaign, not only was the Roman emperor Valerian captured by Shapur Ibut also almost all the Cilician cities as far as Selinus were sacked. Thisevent is considered the end of Roman domination over Cilicia. The changesin the cities also affected urban building activities, which were especiallyconcentrated in the 2nd and 3rd centuries AD. The purpose of these activi-ties was to create city centres based on a standard construction plan.

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When we look at the historical development of urbanization in Cilicia, itis clear that from prehistoric times until the end of the Hellenstic Age in-habitation was concentrated in the coastal areas and adjacent parts, sincemaritime transportation was more practical and faster than overland move-ment. However, when the whole of Cilicia became a Roman province in AD72, not only were transportation facilities built between the coastal and in-ner Anatolian lands, but also peace was secured in the mountainous areas.Thereafter, inland settlements also began to appear. In particular, those inthe inland parts of Plain Cilicia enjoyed large-scale progress as a result ofthe eastern campaigns at the beginning of the 3rd century AD leaving theold coastal cities in their shadow. The development of urbanization in thefirst three centuries of the Roman Empire can be comprehended, to a cer-tain degree, with the help of various sources of evidence: ancient writtensources, archaeological, epigraphic, and numismatic. However, current andfuture archaeological and historical-geographic investigations in the regionwill surely provide an opportunity to obtain more detailed information onthe matter.

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1 Sulla Milesia si veda S. HARRISON, The Milesian Tales and the Roman Novel, in “GCN” IX(1988-1998), pp. 63-73; L. GRAVERINI - W. KEUHLEN - A. BARCHIESI, Il romanzo antico. Forme, testi,problemi, Roma 2006.

L’ASIA MINORE NEL ROMANZO GRECO

CONSUELO RUIZ-MONTERO

Come tutti ben sanno, le cronache dei viaggi dei logografi ionici contengo-no la prima narrativa in prosa e le Storie di Erodoto di Alicarnasso sono laprima grande opera in prosa della grecità: in esse ritroviamo molti esempi dileggende e racconti popolari – lógoi – con una forte impronta tradizionale elocale. Questi racconti, chiamati “novelle”, saranno fondamentali per la na-scita del romanzo come genere letterario da imitare, sia per quanto riguardala struttura compositiva, sia per lo stile. Tuttavia, questi racconti, akoaí, para-gonabili a quelli presenti nella Descrizione della Grecia di Pausania, si ispiranoancora a una tradizione di tipo orale (ma di Pausania parleremo piu avanti).Le prime vere e proprie narrazioni di finzione in prosa, nel senso di raccontitotalmente inventati, sono però le Tetralogie del sofista Antifonte di Ramnun-te. Viene a crearsi, perciò, uno stretto legame tra finzione e retorica, che siprotrarrà durante tutto l’Impero. Questo trasferimento della retorica anticain Asia Minore renderà possibile così la nascita di un genere di finzione inprosa, di una certa estensione e con lo scopo principale di intrattenere, che èdenominato “romanzo”. Ebbene, la mia intenzione è di vedere fino a chepunto l’Asia Minore abbia influito sugli inizi del genere romanzesco e, inol-tre, in che modo questa zona geografica venga descritta nei romanzi greci.

1. Il primo romanzo di cui si hanno notizie è intitolato Milesiaká, cioèRacconti milesi, del II sec. a.C., purtroppo però perduto. Questi racconti so-no stati attribuiti ad Aristide di Mileto, un autore sconosciuto, e furono tra-dotti in latino dall’erudito Cornelio Sisenna nell’80 a.C.; anche di questa tra-duzione resta ben poco. Nasce così un tipo di romanzo denominato fabulaMilesia, a cui si rifaranno il Satyricon di Petronio e le Metamorfosi di Apu-leio. Grazie alle citazioni di molti autori sappiamo che questo romanzo ebbeun notevole successo e che fu adottato dalle scuole di retorica1.

La caratteristica principale di questi racconti è, forse, l’identità tra autore

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2 Po 1460b; Rh 1370b25; 1371b10-12.3 Apuleius and Folklore, London 1983.4 Cfr. D.S. 8,20,1; Plut., Lyc. 4,3,1; Athen. 12,26,27; Schol. ad Ranas 542 (cf. Theocr. 15, 125);

Schol. ad Eccles. 883.5 Per la cronologia dei papiri del romanzo si veda S.A. STEPHENS - J.J. WINKLER, Ancient Greek

Novels. The Fragments, Princeton 1995; Mª PAZ LÓPEZ MARTÍNEZ, Fragmentos papiráceos de novelagriega, Alicante 1998; J.R. MORGAN, On the Fringes of the Canon: Work on the Fragments of AncientGreek Fiction (1936-1994), in “ANRW” II.34.4, pp. 3293-3390.

e protagonista. Dal suffisso del titolo possiamo dedurre che essi appartene-vano alla tradizione locale, ma non sappiano se il nesso con Mileto dipendedal narratore/autore o dal fatto che l’azione si svolge in questa città. I rac-conti sono formati da diverse storie intrecciate, e la tematica solitamente ègiocosa oppure licenziosa; a volte, però, vi ritroviamo anche una tematicadiciamo idealista, come nella favola di Amore e Psiche.

La prima persona garantiva la verisimiglianza del racconto, per cui l’ele-mento thaumastón, citato da Aristotele nella Poetica e nella Retorica2, proba-bilmente era fondamentale anche nei Racconti milesi, così come era fonda-mentale nelle opere di Apuleio, che isto sermone Milesio voleva provocare laadmiratio del lettore. Ci sarebbe un nesso con la paradossografia, thaumasia:in uno di questi racconti fantastici si narrava la trasformazione di un uomoin asino, argomento ampiamente documentato nell’iconografia e nella narra-tiva greco-latina, e nel folklore internazionale, come Scobie ha evidenziato3,e come ora conferma un papiro di Ossirinco pubblicato da D. Obbink.

Perciò grazie alle Milesie di Aristide nasce un tipo di romanzo che inGrecia è rappresentato dall’Asino, un romanzo attribuito a Luciano, i cuiconfini geografici sono stati spostati nella Grecia continentale, anche se l’au-tore è pur sempre un sofista. Ebbene non si sa fino a che punto Aristide ab-bia potuto influire sul romanzo d’amore, considerato tradizionalmente il ro-manzo greco per eccellenza, anche se poi il loro sviluppo fu parallelo. La re-torica sarà sempre presente in questo tipo di romanzo d’amore e c’è da ag-giungere, inoltre, che una parte fondamentale della trama amorosa dellaCalliroe di Caritone si svolge a Mileto. Tradizionalmente infatti la Ionia, e inparticolare Mileto, erano famosi per la loro tryphé e venivano considerati illuogo perfetto per la “dolce vita” e quindi per l´amore4. Non per niente irettori consigliavano il dialetto ionico per le narrazioni amene, mitiche ederotiche.

2. I papiri di Nino sono stati considerati anteriori alla metà del I sec. d.C.,per cui probabilmente appartengono al romanzo d’amore più antico che co-nosciamo5. Potrebbero addirittura essere associati alle Assyriaká di un certoSenofonte di Antiochia, citato dalla Suda. Bowie, dopo che furono trovati dei

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6 Cfr. MORGAN, On the Fringes...7 Pseudol. 25: œgè se, w’ ¢c£riste, p◊nhta kaπ ¥poron paralaboàsa kaπ b∂ou deÒmenon, ta\ m‹n

prîta œn to√j qe£troij eÙdokime√n œpo∂hsa, nàn m‹n N∂non, nàn d‹ Mht∂ocon, e≈ta meta\ mikrÕn

'Acill◊a tiqe√sa. 8 Per lo studio di questo romanzo è fondamentale T. HÄGG - B. UTAS, The Virgin and her Lover.

Fragments of an Ancient Greek Novel and a Persian Epic Poem, Leiden 2003.

rilievi di Nino e Semiramide ad Afrodisia, è giunto alla conclusione che il ro-manzo d’amore era nato lì; e ha dedotto la stessa cosa dopo aver trovato nelleiscrizioni di questa città l’antroponimo di Antonio Diogene6: è infatti proprioquello il nome dell’autore di Le incredibili avventure al di lá di Tule. Recente-mente Bowie ha associato Nino e “Ninoe”, l’antico nome di Afrodisia, peravanzare l’ipotesi che Caritone o un altro autore di Afrodisia avrebbe potutoscrivere il romanzo di Nino: questa ipotesi è difficilmente compatibile con lacronologia di Caritone, che esamineremo dopo. È vero che Afrodisia fu uncentro culturale e intellettuale molto rinomato nei primi secoli dell’impero eche il dato iconografico citato da Bowie potrebbe supportare l’idea della dif-fusione del romanzo di Nino; ma non possiamo certo affermare che Afrodisiafu la culla di questo romanzo o di tutto il genere letterario.

I confini geografici di Nino, dell’Assiria e dell’Armenia, vanno oltre l’AsiaMinore, anche se il suo tasso di retoricità lo rapporta alla zona geografica checi riguarda. Infatti la retorica asiatica, asianista, di Egesia di Magnesia, critica-ta da Cicerone, fiorì in Asia minore e si diffuse anche in epoche successive.

Nino e Semiramide sono personaggi provenienti dall’Oriente e introdottipoi nella tradizione storiografica e retorica greca. Eppure fino ad allora nonc’è pervenuta nessuna testimonianza riguardante la loro storia d’amore: citroviamo forse di fronte a una leggenda locale? Non si sa, ma quasi sicura-mente ci troviamo di fronte a una storia di tradizione orale, elaborata retori-camente: il testo è infatti pieno di paideia greca. Si è addirittura pensato chesi potesse trattare di propaganda nazionalista seleucide. Comunque, ad An-tiochia e Alessandretta di Siria sono stati ritrovati due mosaici, datati all’in-circa nel 200 d.C., in cui Nino appare come figura centrale. Luciano (Pseu-dol. 25) dice che Nino, Metioco o Achille erano dei personaggi rappresenta-ti nel teatro, inteso sia come mimo, sia come declamazione retorica7: eccoqui un’altra prova della diffusione di questi primi romanzi.

Effettivamente, Metioco è anche il protagonista, insieme a Partenope, diun romanzo d’amore che si è conservato solo in frammenti papiracei del II-III sec. d.C., anche se un óstrakon, datato da Cavallo agli inizi del I sec.d.C., riporta l’originale a una data anteriore8. L’azione si svolge nel VI sec.a.C. e c’è confusione di date e di personaggi, il che era tipico della tradizio-ne orale e delle declamazioni retoriche. L’eroina è la figlia di Policrate di Sa-mo e Metioco è tracio – o frigio, come dicono altre fonti piú tarde –, e sono

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9 De salt. 54: k¨n e≥j th\ n 'As∂an p£lin diabÍj, polla\ k¢ke√ dr£mata: h ga\ r S£moj eÙqu\ j kaπ

tÕ Polukr£touj p£qoj kaπ tÁj qugatrÕj aÙtoà m◊cri Persîn pl£nh... Cf. ibid. 2: orîn œsqÁsi ma-

laka√j kaπ °smasin ¢kol£stoij œnabrunÒmenon kaπ mimoÚmenon œrwtika\ gÚnaia, tîn p£lai ta\ j ma-

clot£taj, Fa∂draj kaπ ParqenÒpaj kaπ `RodÒpaj tin£j... 10 Per la questione delle origini del romanzo greco rinvio al mio articolo The Rise of the Greek

Novel, in G. SCHMELING (ed.), The Novel in Antiquity, Leiden 1996, pp. 29-85, con abbondante bi-bliografia.

personaggi che risalgono a Erodoto. Anche il filosofo Anassimene viene ci-tato nei frammenti. Luciano (De salt. 54) narra le peripezie (pláne) di Parte-nope fino al suo arrivo in Persia e aggiunge che si tratta di un argomentomolto rappresentato in Asia9. Può darsi quindi che l’Asia Minore abbia avu-to un ruolo preciso nella trama, un ruolo che comunque contribuì alla suadiffusione e alla sua popolarità, che si estese così fino in Oriente. Effettiva-mente, oltre ai mosaici ritrovati nella città di Antiochia, ci restano circa 400versi di un poema epico persiano dell’XI secolo, L’amante e la vergine, che sirifà a questo romanzo e rappresenta un valido aiuto per la sua ricostruzione,il cui epilogo è molto discusso.

In altri papiri c’è invece uno scenario egiziano o fenicio, come per esem-pio nelle Storie fenicie di Lolliano, dalla tematica oscena e comico-parodisti-ca, datate al II-III sec. d.C. Particolarmente interessante al riguardo è l’ipo-tesi che l’autore possa essere Lolliano di Efeso: tale ipotesi è negata daglistudisosi proprio perché questa tematica sarebbe estranea al famoso sofistadel II secolo. Ma il nesso tra gli autori del romanzo e la sofistica è fuor didubbio. Vedremo infatti che la seconda sofistica fa da cornice a tutti i ro-manzi integralmente conservati; e quando parliamo della seconda sofistica ciriferiamo soprattutto all’Asia Minore, anche se in Siria ci furono molto pro-babilmente delle manifestazioni simili. Hägg e Bowie avevano infatti già in-dividuato nell’Asia Minore le origini del romanzo d’amore, ma è anche veroche più volte è stato detto che l’Egitto è la patria d’origine del romanzo gre-co: sarebbe dunque opportuno soffermarci, anche se brevemente, su questaquestione.

3. In primo luogo, perché l’Egitto è presente in quasi tutti i romanzi greci,sia per quanto riguarda la struttura, sia come spazio geografico? Questo fattoha a che vedere con le origini del genere o con i suoi sviluppi o con tutti edue gli aspetti? La tesi di Kerényi, esagerata e ingrandita da Merkelbach (se-condo cui ogni episodio dei romanzi d’amore avrebbe un valore misterico equesti Mysterientexte devono essere spiegati da un aretalogo), oggi non è piùaccettata dagli specialisti, anche se effettivamente ci sarebbe un elemento are-talogico in quasi tutti i romanzi, il che suppone una sfumatura misterica mol-to importante. Però vi sono altre possibilità che riguardano l’Egitto10.

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11 Si veda C. JOUANNO, Naissance et Métamorphoses du “Roman d’Alexandre”, Domaine grec, Paris2002.

Barns suggerì che i testi simili al Sogno di Nectanebo, tradotti dal demoti-co, fossero molto probabilmente serviti da modello per la nascita del roman-zo come genere: tale nascita sarebbe avvenuta ad Alessandria. Però Necta-nebo non assomiglia ai frammenti di Nino: non usa la stessa struttura, né lastessa lingua, non si rifà alla sua ideologia e, probabilmente, non ha nemme-no la stessa estensione: si tratta di un tipo di “novella” molto comune e fre-quente in Egitto. La paideia greca, inoltre, non è presente in questo raccon-to demotico e i papiri del romanzo che hanno uno scenario egiziano, comeTinufi, Amenofi o Sesoncosi, sembra proprio che non risalgano a una versio-ne originale demotica.

Esiste comunque ancora un’altra possibilità per quanto riguarda l’Egitto,se prendiamo in considerazione un “romanzo” più ampio, senza associarlosolo al romanzo d’amore. Abbiamo detto sopra che la Milesia è un tipo diromanzo: ebbene, esiste anche un altro romanzo molto importante, o forsepiú importante: il romanzo biografico. Ne sono esempi la Vita diAlessandro, la Vita di Esopo, la Vita di Secondo o la Vita di Omero attribuitaa Erodoto e scritta in uno ionico mimetico e artificioso del II sec. d.C.

La Vita di Alessandro di Macedonia è ritenuta il lascito forse piú impor-tante di tutta l’antichità. Il testo più antico conservato, la “recensione A”, èdel III-IV sec. d.C. e fu scritto ad Alessandria11. Le diverse recensioni suquesta vita romanzata hanno foggiato una “tradizione aperta”, nella quale latradizione orale occupa un posto decisivo. Purtroppo non possiamo qui en-trare nel merito della complessa tradizione del testo: resta comunque chiaroche di biografie romanzate su Alessandro se ne scrissero già a partire dallasua morte – o anche prima –, e che fin dall’epoca ellenistica ve n’erano tan-tissime, talvolta perfino drammatiche e sensazionaliste. Alcune lettere e al-cuni episodi sono stati conservati nei papiri del II e I sec. a.C. In questeVite, l’Egitto era un argomento inevitabile: i circoli sacerdotali egizi da unaparte e i Tolomei dall’altra ebbero molto a che vedere con la formazione el’ideologia di questi testi. Ebbene, se le Vite di Alessandro sono anteriori alromanzo d’amore, questa è la ragione per cui in quest’ultimo, per lo menoagli inizi, si trovano delle figure storiche: infatti anche Nino e Sesoncosi so-no dei grandi conquistatori. In questo senso, possiamo dire che l’Egitto haavuto una certa influenza sul romanzo d’amore.

4. Anche la Calliroe di Caritone di Afrodisia, il primo romanzo d’amore anoi giunto integralmente, è stato considerato una “novella storica”. La cro-nologia di questo romanzo si colloca tra la metà del I e i primi decenni del

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12 RUIZ-MONTERO, Chariton von Aphrodisias: ein Überblick, in “ANRW” II.34.2, pp. 1006-1054.13 W. KISSEL, Aules Persius Flaccus. Satiren, Heidelberg 1990, pp. 285-287.14 De Callirhoe narrationes amatoriae, ed. B.P. REARDON, Monachii - Lipsiae 2004.15 BOWIE, The Chronology of the Earlier Greek Novels, in “Ancient Narrative” 2 (2002), pp. 47-63. 16 Cf. “MAMA” VIII; L. ROBERT, Hellenica, XIII, Paris 1965; J. REYNOLDS, Aphrodisias and

Rome, London 1982; C. RUIZ-MONTERO, Caritón de Afrodisias y el mundo real, in P. LIVIABELLA - A.M.SCARCELLA (edd.), Piccolo mondo antico, Perugia 1989, pp. 107-149 (cfr. “ANRW” II.34.2).

17 Car∂twni. Memnˇsesqai tîn sîn lÒgwn o∏ei tou\ j “Ellhnaj, œpeida\ n teleutˇsVj: o≤ d‹ mhd‹n

Ôntej, opÒte e≥s∂n, t∂nej ¨n e≈en, opÒte oÙk e≥s∂n;18 Fra “consumo” e impegno”: usi didattici della narrativa nel mondo antico, in O. PECERE - A.

STRAMAGLIA, La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, Cassino 1996, pp. 97-166.

II sec. d.C.12. L’assenza di atticismi in questo romanzo, sostenuta da Papa-nikolaou, non appare più una tesi accettabile, perché Hernández Lara ha di-mostrato che esiste una proporzione di atticismi del 9,5%.

Che il verso di Persio (I 134), his mane edictum, post prandia Callirroendo, scritto nel 62 d.C., si riferisca alla stessa Calliroe protagonista del nostroromanzo, non è affatto dimostrato. Dal contesto della satira deduciamo chepotrebbe essere una mima o una meretrice, come suggerisce Kissel nel suocommento13, anche se non la pensano cosí né Reardon, nella sua recenteedizione14, né Bowie, secondo cui la Calliroe era anteriore a Persio ed anchea Nino (ma i dati papirologici rendono difficile l’ipotesi)15.

Studiandone il lessico, potremmo collocare l’autore intorno al 100 d.C.Inoltre ci sarebbe da dire che Caritone fornisce molti più dati, rispetto adaltri romanzieri. Partendo dai dati dei realia, ho proposto la suddetta data,mentre alcuni storici come Baslez e Jones pensano che possa appartenereaddirittura ai primi decenni del II secolo Se così fosse, Caritone rientrereb-be nella seconda sofistica, e sembra proprio che sia così: questa è almenol´impressione che si evince dal romanzo da tutti i punti di vista. In seguitofaremo una sintesi dei dati più significativi che fornisce la sua opera sull’A-sia Minore16.

Su Caritone abbiamo comunque pochi dati. All’inizio del romanzo, leg-giamo: Car∂twn 'AfrodisieÚj. 'AqhnagÒrou toà ˛ˇtoroj ØpografeÚj, p£qojœrwtikÕn œn SurakoÚsaij genÒmenon dihgˇsomai. Inoltre a un certo Caritonecosì scrive Filostrato (Epist. 66): «A Caritone. Tu credi che quando morirai iGreci si recorderanno della tua opera. Quelli che in vita non sono nessuno,che importanza potrebbero avere dopo la morte?»17. Ma il disprezzo di Filo-strato sta a testimoniare la popolarità di Caritone, se si tratta davvero del no-stro romanziere. Stramaglia ha del resto osservato che il nome di Caritoneappare in una lista di autori letterari conservata in un papiro scolastico18.

Se ci basiamo sulla sfragís del suo romanzo, di origine ionica, osserviamoche si parla di una professione che ha a che vedere con la retorica e si fa men-zione del “retore Atenagora”, che sicuramente era famoso e conosciuto dal

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19 “AAG” XI 150: ‘ 'ArkadikÕn p∂lon kat’ œnÚpnion 'Ark£di dîron

`Erme∂V ˛ˇtwr qÁken 'AqhnagÒraj.’e≥ m‹n kaπ ˛ˇtwr kat’ œnÚpnion, o∏somen `ErmÍ:

e≥ d' Ûpar, ¢rke∂tw: ‘QÁken 'AqhnagÒraj’.

pubblico, visto che viene citato da Caritone: Ammiano, un poeta della Anto-logia degli inizi del II sec. d.C., attacca un certo “retore Atenagora”, di cuinon abbiamo altre notizie, ma che potrebbe essere lo stesso personaggio19.

La città di Afrodisia non compare esplicitamente nel romanzo, anche sepoi in esso tutto ruota attorno ad Afrodite, così come ad Afrodisia tuttoruotava attorno alla dea patria, e le iscrizioni lo mostrano chiaramente. In-fatti Afrodite non è un mero espediente retorico.

La storia è un páthos erotikón che si svolge a Siracusa: la tradizionale for-mula d’inizio introduce una storia d’amore, la cui protagonista è la figlia delfamoso Ermocrate di Siracusa, anche se non sappiamo il suo nome e nonabbiamo nemmeno altri dati storici. La tematica siciliana è comunque moltosfruttata nelle declamazioni dell’impero, per cui il nostro romanzo è associa-to con la seconda sofistica.

Lo scenario geografico del romanzo si colloca tra Siracusa, Mileto e Babi-lonia; ma, mentre Siracusa e Babilonia sono descritte in un modo piuttostoconvenzionale, Mileto (dove si svolge la storia d’amore tra Calliroe e Dioni-sio, il signore della Ionia) invece no. Forse Caritone aveva scelto questa cittàper rimanere fedele alla tradizione letteraria e “milesia”: fatto sta che la cittàviene presentata come se fosse un luogo familiare. Viene citato il nome delporto Dókimos e del tempio alla Homónoia, che protrebbe essere paragona-to ad altri templi simili e altrettanto familiari, dato che un analogo tempio ètestimoniato anche ad Afrodisia. Le nozze di Cherea e Calliroe, celebrateproprio lí, rappresentano la concordia civica, ampiamente documentata inepoca imperiale, perché, effettivamente, i padri dei nostri eroi erano nemicipolitici: si tratta delle nozze tra i rappresentanti della élite locale.

Nelle iscrizioni di Afrodisia ci sono anche i nomi di Atenagora, Cherea,Dionisio e Adrasto – esperto in leggi, nel romanzo come nella vita reale –, eprobabilmente anche il nome di Foca. Ma vediamo adesso il personaggio diDionisio di Mileto. Egli è il primo cittadino della Ionia grazie alla sua ric-chezza e al suo lignaggio, e viene definito piú volte euergétes e sotér: nelleiscrizioni di Afrodisia, nei decreti onorifici e nei testi letterari dell’epoca.Colto e di spirito umanitario, Dionisio è stato paragonato ad alcuni perso-naggi storici come Polemone, Scopeliano ad Erode Attico. In effetti Dioni-sio di Mileto è il nome di un famoso sofista asianista contemporaneo di Po-lemone (88-145 d.C.). Persino Baslez ha affermato che una villa ritrovata re-centemente in alcuni scavi nei dintorni di Mileto potrebbe essere la stessa

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villa che nel romanzo apparteneva a Dionisio: ma potrebbe essere anchetrattarsi di una coincidenza.

La designazione di Dionisio come satrápes del Gran Re persiano, Artaser-se, è quella che ricevono i governatori provinciali secondo Plutarco e Arria-no, e perciò, come ha osservato Schwartz, si potrebbe stabilire una sorta diequazione tra la corte persiana del romanzo e la corte romana imperiale. Inquesto modo i Greci potevano riaffermare la propria identità nei confrontidi un conquistatore che reputavano inferiore culturalmente, ma con cui col-laboravano nell’amministrazione dell’impero.

Riprendendo il nostro discorso sugli usi dell’arcaismo nella seconda sofi-stica, dobbiamo dire che a Caritone non interessa fornire dei dati precisisulle magistrature, sui ceti sociali o sull’economia della sua epoca, anche se idati che egli ci fornisce sui mezzi di produzione dell’epoca imperiale coinci-dono con quelli che conosciamo da altre fonti. Sarebbe interessante soffer-marci sulla polivalenza del termine strategós, che veniva usato per indicareanche una specie di capo della polizia, simile al nocturnae custodiae prefectuscitato da Apuleio (Met. I 14-25) e identificato da Millar con il nuktostrategósdelle iscrizioni. Altrettanto significativa è la denominazione tymborykhos da-ta ai briganti della tomba di Calliroe a Siracusa: si tratta di un termine usatonelle iscrizioni di Afrodisia per descrivere questi malfattori, che vengonochiamati anche con alcuni aggettivi usati nel romanzo per il pirata Terone:epáratos, miarós.

Passiamo adesso agli aspetti più noti della sua ideologia. Cominciamodalla religione.

Quando Caritone parla delle epifanie di Afrodite e della fede dei milesinei confronti della dea, sembra proprio che trasferisca a Mileto il culto vivoche esisteva nella sua città natale. Lo stesso succede con il culto alla Afrodi-te di Siracusa, anche se quest’ultimo apparterrebbe a un culto reale. InoltreAfrodite di Siracusa viene equiparata alla Tyche: vengono infatti usati glistessi epiteti per ambedue, come nelle rappresentazioni artistiche e sullemonete di Afrodisia.

Insomma Caritone fa della propaganda sulla dea locale. Non siamo co-munque in grado di affermare se egli sia stato un innovatore in questo sensoo se si sia attenuto a dei modelli precedenti: Filodemo (de poematis 9) citagli aretalogi insieme ad altri syngrapheís, ma non abbiamo notizie sulla lorofunzione e i frammenti papiracei non sono qui di grande aiuto.

Per quanto riguarda la morale sociale sostenuta nel romanzo, possiamo di-re che gli eroi sono idealizzati. Il loro idealismo sentimentale comporta la di-fesa della castità e della fedeltà coniugale, e pertanto la difesa del matrimonioe della famiglia. I termini usati per definire Calliroe (sophrosyne, philandría,philoteknía) li ritroviamo sia nei testi letterari di Plinio, Tacito, Seneca e Plu-

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20 Si veda C. RUIZ-MONTERO, Xenophon von Ephesos: ein Überblick, in “ANRW” II.34.2, pp.1088-1138.

21 J.N. O’SULLIVAN, Xenophon of Ephesus. His compositional Technique and the Birth of the Novel,Berlin - New York 1995.

tarco, sia negli epitafi imperiali greci e latini. Particolarmente significativa è alriguardo la presenza dell’emblema di pudicitia, cioè sophrosyne, sulle monetedi Adriano. Il moralismo e la continenza sessuale sono difesi anche dallo stoi-co Musonio Rufo e da Plutarco. Ma la novità consiste nell’attribuire questivalori a Cherea, il protagonista maschile che si vanta di essere fedele e casto,e che condivide con la sua amata Calliroe la paideia: uno dei valori greci piúimportanti in quest’epoca, quando la cultura era tenuta in gran considerazio-ne e costituiva un segno di identità nazionale. Questo ideale è tutt’uno conquello della philantropía. Effettivamente entrambi i termini sono program-matici nel romanzo, mediante la formula philántropos kaì pepaideuménos.Comunque, il personaggio che vive più intensamente questi ideali tipicamen-te ellenici è Dionisio di Mileto. L’educazione e la civilizzazione ci spingonoad essere umanitari con il prossimo: questa è la dottrina che difendono so-prattutto i cinici e gli stoici, e che risale a Isocrate.

La capacità di riconoscere nell’altro “un fratello e un amico”, come diceMitridate a Cherea (IV 3,6), e tutti gli ideali di cui sopra, diffusi dalla secon-da sofistica, fanno sì che questo romanzo vada ben oltre la sua epoca. Nonci troviamo dunque di fronte a un genere marginale: nemmeno il pubblicodi Caritone lo era, perche Caritone era un pepaideuménos.

5. Un altro romanzo che rientra nella seconda sofistica e la cui azione sisvolge in Asia Minore sono le Efesiache di Senofonte di Efeso, scritte verosi-milmente nel II sec. d.C., sia perché l’autore conosce Caritone, sia perché èimitato dai romanzieri successivi20. D’altro canto, sia l’ambito sociale diquesto romanzo, sia quello letterario seguono questo percorso: non ha per-ciò alcun senso anticipare la cronologia al I secolo, come ha proposto O’Sul-livan, adducendo che la trama di questo romanzo si rifà al folklore più diquella di Caritone21. Secondo me, questa interpretazione è sbagliata, comevedremo in seguito.

Su Senofonte abbiamo alcune notizie che provengono dalla Suda:

(XI 49) <Xenofîn> 'AntioceÚj, ≤storikÒj. Babulwniak£: ⁄sti d‹ œrwtik£.(XI 50) <Xenofîn> 'Ef◊sioj, ≤storikÒj. 'Efesiak£: ⁄sti d‹ œrwtik£ bibl∂a i perπ

'AbrokÒmou kaπ 'Anq∂aj: kaπ Perπ tÁj pÒlewj 'Efes∂wn: kaπ ¥lla. (XI 51) <Xenofîn> KÚprioj, ≤storikÒj. Kupriak£: ⁄sti d‹ kaπ aÙta\ œrwtikîn

Øpoq◊sewn ≤stor∂a per∂ te KinÚran kaπ MÚrran kaπ ”Adwnin.

Non possiamo affermare con sicurezza che si tratta del suo vero nome,

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22 Per altri autori si veda O’SULLIVAN (cfr. n. 21); RUIZ-MONTERO (cfr. n. 20).23 Cfr. C. RUIZ-MONTERO, Xenophon of Ephesus and Orality in the Roman Empire, in “Ancient

Narrative” 3 (2003), pp. 43-62.

perché la Suda cita altri Senofonte autori di romanzi; e nemmeno che vengada Efeso, perché gli altri Senofonte a volte vengono associati al titolo delleproprie opere, come nel caso delle Milesiaká di Aristide di Mileto.

In questo caso Senofonte narra la storia d’amore tra Anzia ed Abrocome,due giovani oriundi di Efeso: il tempio di Artemide sarà testimone del loroamore, come quello di Afrodite nel romanzo di Caritone. Da molti anni nonsi è del tutto sicuri che la descrizione della processione iniziale, in cui sfilal’eroina nelle vesti di Artemide cacciatrice, corrisponda alla realtà: comun-que è anche vero che questa Artemide compare nell’iconografia di Efeso delII sec. d.C. La distanza, tracciata dall’autore, tra il tempio di Efeso e l’oraco-lo di Apollo presso Colofone è letteraria, e proviene da Erodoto (I 26).

Senofonte probabilmente scrisse altre opere, come dice la Suda. Esichiodi Mileto gli attribuisce anche un’opera periegetica su Efeso.

Ma uno dei temi di maggiore discussione riguardava soprattutto il nume-ro di libri che costituivano il romanzo: secondo la Suda erano dieci, mentrenell’unico manoscritto conservato del testo (di cui non rimane nessun papi-ro), sarebbero cinque. L’ipotesi di un’epitome è stata sostenuta dalla mag-gior parte degli studiosi, a cominciare da Rohde e Bürger, ma oggi si è piùpropensi ad ammettere che si tratta della tecnica narrativa di Senofonte, ve-loce e scorrevole, e del suo stile ripetitivo e formulare, che rende questo ro-manzo particolare22: effettivamente la storia del romanzo si avvicina moltoal racconto popolare di origine orale e che il modo di esprimersi imita la lo-gografia ionica. Senofonte utilizza gli arcaismi di quell’epoca, quando ilmassimo esponente della letteratura era Pausania, un magnifico testimonedelle leggende orali, dei culti, dei rituali e dei costumi locali nel II secolo.Senofonte è, come Pausania, un testimone di primissimo ordine della so-pravvivenza della narrativa orale nell’impero, per cui è anche un pepai-deuménos. Erodoto e Senofonte di Atene, i due grandi modelli stilistici dellaaphéleia retorica, sono utilizzati anche dal nostro autore23.

La descrizione dell’itinerario geografico seguito dagli eroi durante i loroviaggi e dal bandito Ipotoo, che percorre tutto l’impero, è in effetti un temamolto sviluppato in questo autore: non esiste infatti nessun altro romanzocosì “turistico” e nessun altro romanzo in cui si citino tanti nomi propri, no-mi di persone e nomi geografici. Hägg ha contato circa 50 nomi di città, iso-le e regioni nelle 70 pagine della Teubner. Inoltre Senofonte è così diligentenell’uso dell’arcaismo che non parla di Cesarea, ma di Mazacon, l’antico no-me di questa cittá. Un altro aspetto significativo è che la maggior parte degli

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antroponimi provengono da Erodoto oppure si ritrovano nei mitografi, co-me Apollodoro o Igino.

Si è pensato che Senofonte fosse egiziano o, tutt’al più, che fosse nato ofosse oriundo di Efeso, pur vivendo ad Alessandria, proprio perché cono-sceva così bene il delta del Nilo e il Basso Egitto (cita alcuni luoghi scono-ciuti, come Areia) e perché in questo romanzo dava molta importanza alculto di Iside. Ci sono alcune testimonianze di homónoia tra le due città aitempi di Gordiano III (238-244), ma già sotto la dinastia degli Antonini Isi-de compare, insieme ad Artemide, sulle monete di Efeso.

Gli autori dell’epoca di Senofonte, e lo stesso Senofonte, evitavano i ter-mini tecnici quando si riferivano alle cariche pubbliche. Per esempio, l’ire-narca di Cilicia (II 13,3; III 9,5), una carica molto importante, non venivamai chiamato eirenárches o eirenarchós: il termine è attestato nelle iscrizionia partire dal 116-117 d.C., ma esisteva probabilmente anche prima di questadata e ciò non ci aiuta a precisare la cronologia. Questi aveva il compito diperseguire i banditi e veniva aiutato, sempre secondo le iscrizioni, da unatruppa, i diogmítai, a quanto pare oi diókontes citati nel romanzo, in questocaso a Tarso. Senofonte era al corrente dell’esistenza di una lingua specialein Cappadocia, una lingua che il bandito Ipotoo conosceva. Questo perso-naggio era ammirato dagli abitanti del posto, per cui non aveva nessuna re-mora a comportarsi come un bandito: ciò era abbastanza normale anche an-ni addietro, secondo Tucidide. Sappiamo dalle iscrizioni che i banditi eranoabbastanza comuni in queste regioni. Essi venivano spesso e volontieri citatinelle declamazioni retoriche.

I personaggi che pullulano nel romanzo, la cui trama scorre velocissima,appartengono a tutti i ceti sociali, e ci offrono un mosaico ricco e selettivodella vita reale del II sec. d.C., nonostante l’idealizzazione e i tratti arcaici.Bisogna anche sottolineare che nell’autobiografia di Ipotoo l’autore cita unaprofessione molto alla moda in quell’epoca: un technítes lógon, un sofista.

Come dicevamo riguardo al romanzo di Caritone, le Efesiache difendonodegli ideali ben precisi. La castità, sophrosyne, veniva qui difesa in un modoesorbitante: per essa si può uccidere o morire. Ed effettivamente tutti gliepisodi confermano questo aspetto: Anzia ed Abrocome da questo punto divista sono dei veri e propri eroi. Oltre alla castità, c’è anche l’esaltazione re-ligiosa di Iside, che durante l’impero salva gli eroi dalla morte o da un lega-me indesiderato. È infatti vero che Artemide apre e chiude il romanzo, madurante la trama viene sostituita da Iside, aiutata da altri dei come Apollo,Elio e l’oracolo di Api. Per questo motivo è stato detto che in questo roman-zo, come nella Villa Adriana, sono presenti tutti i culti. Senofonte ci tra-smette inoltre un culto vivo: egli cioè cita una sfilza di templi di Iside, pre-senti in Asia Minore, nelle isole orientali del Mediterraneo e in Egitto, che

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esistono veramente. Molto probabilmente Senofonte era legato a questo cul-to e forse lo era anche il suo pubblico.

Una ricerca sistematica e dettagliata dei collegamenti fra questo romanzoe le iscrizioni, o le altre manifestazioni del suo ambito sociale e culturale,protrebbe chiarirci alcuni aspetti della società del II sec. d.C., e forse ci aiu-terebbe a stabilire con precisione anche l’ambito cronologico e geografico incui visse questo autore. Caritone e Senofonte sono dunque due rappresen-tanti della seconda sofistica e costituiscono inoltre la prova dello stretto le-game esistente tra quest’ultima e l’Asia Minore, per motivi patriottici, peresigenze letterarie o per entrambe le cose.

6. Questi romanzi non sono certo dei documenti storici, ma sono comun-que utili, anzi indispensabili, sia per i filologi sia per gli storici, perché graziead essi è possibile ricostruire quel mondo greco-romano ancora così presen-te e così vicino a noi. Per concludere, possiamo dire che questa zona asiati-ca, privilegiata fin dal VI sec. a.C., ritornò al suo splendore durante l’epocaellenistica e soprattutto nei primi secoli dell’impero, quando era ancora esoprattutto greca, e quando, cercando di ricongiungere passato e presente,proiettò la sua paideia nel futuro e ci lasciò un monumento perenne, che ciconsente adesso di coniugare l’utile con il dilettevole, così che ringraziamoAfrodite, Iside e la Fondazione Canussio.

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1 Die Ergebnisse dieser Feldforschungen sind bisher veröffentlicht worden in: Lykische StudienBd. 1-6 (Asia Minor Studien 9.18.24.29.41.48) und Lykische Studien Bd. 7 (Tübinger AlthistorischeStudien, Bd. 2, 2007): Zu einzelnen Siedlungen und Fundkategorien sind Monographien (Dissertatio-nen und Habilitationsschriften) erschienen. Eine zusammenfassende historische Auswertung ist imDruck: F. KOLB, Burg - Polis - Bischofssitz. Geschichte einer Siedlungskammer in der Südwesttürkei.

2 Vgl. zu diesem Gutshof M. MILLER, Gehöfte auf dem Gebiet von Kyaneai, in: F. KOLB (Hrsg.),Lykische Studien 2. Forschungen auf dem Gebiet der Polis Kyaneai in Zentrallykien. Bericht über dieKampagne 1991 (Asia Minor Studien 18), 1995, 69-83; U. HAILER, Gehöfte und Gehöftwirtschaft aufdem Gebiet der Polis Kyaneai in Zentrallykien (Yavu-Bergland) (Antiquitas Reihe 3), 2007 (im Druck).

AKKULTURATION IN DER LYKISCHEN ‘PROVINZ’ UNTER RÖMISCHER HERRSCHAFT

FRANK KOLB

Im Rahmen der Feldforschungen der Universität Tübingen auf dem Ge-biet der Polis Kyaneai in der im Südwesten der Türkei gelegenen antikenLandschaft Lykien1 wurde ein großer kaiserzeitlicher Gutshof des 2.Jhs.n.Chr. am Fuß des Siedlungshügels der zentrallykischen Stadt Kyaneaigefunden2 (Abb. 1.2). Seine Lage und Architektur unterscheiden sichgrundlegend von dem wehrhaften Charakter der bis in den Späthellenismushinein von der Elite jener Polis errichteten, von griechischer Architektur be-einflußten Turmgehöfte (Abb. 3.4). In der Pax Romana benötigte man keinefortifikatorisch gesicherten Gehöfte mehr. Andererseits ist der kaiserzeitli-che Gutshof in der traditionellen lykischen Bauweise mit großen Stein-blöcken ohne Kalkmörtel und Ziegelsteine und erst recht ohne römischesopus caementicium errichtet worden. Erst in der byzantinischen Zeit wurdeüber dem Raum IX ein Gebäude in gemörteltem Mauerwerk aufgesetzt. Be-merkenswert und für die Gegend ungewöhnlich ist die Konstruktion des inder ersten Bauphase noch nicht unterteilten Raumes II/III (Abb. 5). Hiertrugen vier im Quadrat angeordnete Pfeiler mit Kapitellen ein Dach. Zuvermuten ist ein Atrium mit quadratischer Dachöffnung (compluvium), eineim Osten des Imperium Romanum sehr seltene Erscheinung. Dies entsprichtnicht der in der zentrallykischen Region üblichen Bauweise von Häusernund Gehöften. Sowohl im ländlichen als auch im städtischen Kontext bleibtvon der archaischen Epoche bis in die Kaiserzeit hinein das parataktisch an-geordnete Reihenraumhaus prägend. Es hat einen vorgelagerten Korridoroder Außenhof, aber keinen Innenhof. Die Architektur des Gutshofes bei

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3. Blick auf den kaiserzeitlichen Gutshof des Alkimos (Gesamtansicht).

4. Alkimos-Hof: Blick auf das Mauerwerk.

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3 Vgl. dazu F. KOLB, Von der Burg zur Polis. Akkulturation in einer lykischen Provinz, Jahrbuchdes Historischen Kollegs 2000 (2001), 39-83.

4 C. GERNER-HANSEN, Der Grabtempel des Xanthippos und seines Sohnes Neikostratos, in: F.KOLB (Hrsg.), Lykische Studien 4. Feldforschungen auf dem Gebiet von Kyaneai (Yavu-Bergland). Ergeb-nisse der Kampagnen 1993/94 (Asia Minor Studien 29), 1998, 25-41.

Kyaneai zeigt hingegen anscheinend eine Mischung von lykischen und römi-schen Elementen.

Was wissen wir über die Eigentümer des Gehöftes? Vom Eingang kannman eine gerade Linie genau in die Mitte einer exedraförmigen Monument-gruppe ziehen, die dem Gutshof gegenüberliegt. Auf einem hohen Podiumsind U-förmig drei Sarkophage aufgestellt (Abb. 5.6.8). Der große Sarko-phag in der Mitte verfügt über einen spitzbogigen Deckel mit Giebelfirst.Diese Deckelform ist charakteristisch für den lykischen Sarkophag vom 5.Jh.v.Chr. bis in die Spätantike. Wie andere lykische Grabtypen, z.B. dieFelsgräber, imitiert diese Dachform in Holz errichtete Hausarchitektur. Inder klassischen Zeit zeigte auch noch der Sarkophagkasten Elemente derHolzarchitektur. In der hellenistischen Epoche übernahm man jedoch vomgriechischen Sarkophagtyp die schlichte Truhenform. Das wird in der Fol-gezeit der dominierende Grabtyp in Lykien, wie ihn auch die Sarkophageunseres Gehöftes zeigen. Diese nivellierende Tendenz dürfte eine Folge derEinführung der Polis-Verfassung in Lykien um die Mitte des 4. Jhs.v.Chr.sein. Der Übergang von der für das archaisch-klassische Lykien charakteri-stischen Dynastenherrschaft, die sich auf eine kleine aristokratische Ober-schicht stützte, zu einem mit gleichen politischen Rechten ausgestattetenPolis-Bürgertum3 brachte auch im Grabwesen Gleichheit durch begrenzteMonumentalität. In der hellenistischen Zeit gibt es in Lykien keine wirklichherausragenden Gräber mehr.

Dies ändert sich wieder in der Kaiserzeit. Diese bildet zwar einerseits denHöhepunkt der Sarkophagproduktion. So konnten wir in den Nekropolenvon Kyaneai mehr als 300 Sarkophage registrieren. Daneben erscheinenaber große Mausoleen, z.T. mit Substruktionen aus opus caementicium, undTempelgräber, wie wir sie z.B. in den Nekropolen Roms finden. Auch die ly-kische Kleinstadt Kyaneai hat ein Exemplar aus der Zeit um 200 n.Chr. auf-zuweisen, das einer der herausragenden Familien der Stadt gehörte4 (Abb.7). Der Eigentümer unseres Gutshofes hat hingegen auf diese aristokrati-sche Grabform verzichtet, aber nicht auf andere römische Elemente.

Der Sarkophagdeckel weist an den Schmalseiten die an lykischen Sarko-phagen seit der klassischen Zeit gängigen Bossen in Form von Löwenproto-men auf. An den Langseiten haben die Bossen jedoch die Gestalt von Ad-lern (Abb. 8). Dieses Motiv taucht erst in der römischen Kaiserzeit auf. DerAdler ist bekanntlich in Rom das Symbol der Apotheose. Die zum Gutshof

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5. Grundrißplan des Alkimos-Hofes mit Monumentgruppe.

6. Blick auf die Monumentgruppe (Gesamtansicht).

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hin gerichtete Schauseite des Kastens trägt ferner eine gerahmte Inschrift-tabula mit Henkeln in Rundschildform. Sie wird von zwei mit Peplos bzw.Chiton bekleideten weiblichen Figuren gehalten; sie tragen die in Lykieneingebürgerte griechische Frauentracht. Kaiserzeitlich sind jedoch die Ver-zierung der tabula als solche und ihre Beschränkung auf die Frontseite desSarkophags. In der hellenistischen Epoche befanden sich solche tabulae zu-mindest auf zwei, bisweilen auf allen vier Seiten des Sarkophags. Die Beto-nung der Schauseite erklärt sich aus der systematischen Aufreihung vonGräbern an Straßen im suburbanen Bereich. Dies läßt sich in Lykien erst fürdie Kaiserzeit feststellen und scheint römische Gräberstraßen nachzuah-men. Zwischen unserem Gehöft und der 6.50 m entfernt stehenden Sarko-phaggruppe führte eine Straße zur Westnekropole von Kyaneai empor. DieNekropolen Kyaneais waren in der Kaiserzeit systematisch entlang den Aus-fallstraßen geordnet (Abb. 9), und die Zahl der kaiserzeitlichen Familien-gräber bietet Bestattungsraum für wesentlich mehr Personen als im städti-schen Zentrum gelebt haben können. Gleichzeitig läßt sich eine starke Re-duktion der Gräberzahl im Landgebiet feststellen. Offensichtlich haben ei-nigermaßen wohlhabende Familien Wert darauf gelegt, ihr Grab an denStraßen aufzustellen, die auf das Zentrum der Polis zuführten, auch wenn

7. Tempelgrab der Xanthippoi und Neikostratoi in Kyaneai.

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sie nicht in der Stadt wohnten. Man wollte im zentralen Ort der Polis alsBürgerfamilie präsent sein. Auch an der Ausstattung Kyaneais mit öffentli-chen Bauten vor allem im 2. Jh.n.Chr. läßt sich feststellen, daß die Elite derPolis sich nunmehr stärker als zuvor mit dem Zentralort identifizierte. Diesdürfte u.a. damit zusammenhängen, daß frühestens im 1. Jh.v.Chr., vielleichtgar erst im Zusammenhang mit der Umwandlung Lykiens in eine römischeProvinz im Jahr 43 n.Chr. flächendeckend in den lykischen Poleis eine Rats-versammlung, eine boule, eingerichtet wurde. Nunmehr war die Führungs-schicht in einem politischen Gremium vertreten, welches im Polis-Zentrumtagte. Eine in Patara, der Provinzhauptstadt Lykiens, gefundene Inschriftzeigt, daß der Kaiser Claudius anläßlich der Umwandlung Lykiens in eineProvinz eine Aristokratisierung der politischen Verhältnisse in Lykien in

8. Nahaufnahme des mittleren Sarkophags der Monumentgruppe des Alkimos-Hofes.

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5 S. SAHIN - M. ADAK, Stadiasmus Patarensis - Ein zweiter Vorbericht über das claudische Straßen-bauprogramm in Lykien, in: R. FREI-STOLBA (Hrsg.), Siedlung und Verkehr im römischen Reich. Aktendes Kolloquiums zu Ehren von H.E.Herzig, Bern 28.-29.6.2001 (2004), 227-262; C.P. JONES, The Claudi-an Monument at Patara, Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 137, 2001, 161-168. Boule im 1.Jh.v.Chr.: TAM II 168 (Hippoukome); 548b (Tlos).

6 Vgl. dazu F. KOLB, Aspekte der Akkulturation in Lykien in archaischer und klassischer Zeit, in:Licia e Lidia prima dell’ellenizzazione. Atti del convegno internazionale, Roma 11-12 ottobre 1999, a cu-ra di M. GIORGIERI u.a., 2003, 207-237.

Gestalt einer Übertragung der Macht vom Volk auf die Ratsherren verfügthat5.

Der mittlere Sarkophag an unserem Gutshof wird auf beiden Seiten flan-kiert von zwei kastenförmigen Sarkophagen mit flachem Deckel. Eintiefun-gen in der Oberfläche lassen in einem Fall auf die Aufstellung einer bronze-nen Menschenstatue, im anderen Fall auf einen bronzenen Grablöwenschließen. Der Löwe war in Lykien seit früher Zeit der Grabwächter. Außer-gewöhnlich bei einem lykischen Gräberkomplex ist der hier getriebene Auf-wand mit Bronzestatuen, von denen eine vielleicht den Inhaber des Gutsho-fes darstellte.

Zu einem späteren Zeitpunkt wurden an die U-förmige Grabanlagerechts und links zwei Annexe mit Ehrendenkmälern angebaut. Währendvon dem nordwestlichen nur ein profilierter, unbeschrifteter Block erhaltenist, schließt im Südwesten ein Pfeiler an (Abb. 5.6). Pfeiler im Kontext mitGrabanlagen haben in Lykien eine bis ins 6. Jh.v.Chr. zurückverfolgbareTradition. Neben gewaltigen Pfeilergräbern taucht die Pfeilerform auch inkleineren Dimensionen als Begleiter von Sarkophagen auf, so bei einemklassischen Sarkophag in der Südostnekropole von Kyaneai. Am kaiserzeit-lichen Pfeiler des Gutshofes weist eine Eintiefung mit Dübellöchern wohlauf die Anbringung einer bronzenen Inschrift hin; der lykische Pfeiler hathier die Funktion einer griechischen Stele angenommen. Daneben erhobsich auf dem Podium ein jetzt nach hinten verstürztes Monument mit einerEhreninschrift für die Frau des Gutshofbesitzers. Diese Inschrift ist ebensoauf griechisch abgefaßt wie die Inschriften auf den Sarkophagen. Die Lykierhaben zwar ursprünglich über eine eigene Sprache verfügt, welche zur soge-nannten luwischen Sprachgruppe gehörte, die mit dem Hethitischen ver-wandt war. Aber spätestens seit etwa 300 v.Chr. ist die griechische Sprachedas einzige Medium öffentlicher schriftlicher Kommunikation, und wir wis-sen nicht, ob das Lykische als Sprache überhaupt weitergelebt hat.

Diese linguistische Assimilation an die hellenistische Zivilisation ist dasbeeindruckendste Element eines seit dem 6. Jh.v.Chr. zu beobachtendenAkkulturationsprozesses6. In dessen Verlauf hat sich der südliche, küstenna-he Teil des seit der zweiten Hälfte des 2. Jts. bezeugten anatolischen Volkes

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7 Cic. Verr. II 4,10 (21); Att. 5,6.8 Vgl. F. KOLB, Lykiens Weg in die römische Provinzordnung, in: N. EHRHARDT - L.-M. GÜNTHER

(Hrsgg.), Widerstand - Anpassung - Integration. Die griechische Staatenwelt und Rom. Festschrift für J.Deininger zum 65. Geburtstag, 2002, 207-221.

9 Vgl. R. BEHRWALD, Der Lykische Bund. Untersuchungen zu Geschichte und Verfassung (Antiqui-tas R. 1, Bd. 48), 2000, bes. 117ff.

10 Die Inschrift wird im Faszikel Tituli Asiae Minoris II 4 publiziert werden.

der Termilen bzw. Lukka, wie sie in der anatolisch-vorderorientalischenAußenbezeichnung hießen, als Träger einer lykischen Kultur überhaupt erstformiert. Anatolische, orientalische und vor allem griechische Einflüsseführten im 6. und 5. Jh.v.Chr. zur Herausbildung einer lykischen Schrift, ei-ner Steinarchitektur, einer Münzprägung, einer Repräsentationskunst undzur Umsetzung lykischer Holzbauweise in steinerne Grabarchitektur.

Als Cicero im Jahr 51/50 v.Chr. als Statthalter von Kilikien Lykier in seineAuxiliartruppen rekrutiert, bezeichnet er sie als Graeci homines7. In der Tatwar der Hellenisierungsprozess bis in die Selbstbezeichnung fortgeschritten:Die Lykier nannten sich nicht mehr Termilen, sondern übernahmen diegriechische Bezeichnung Lykioi. Es gab jedoch weiterhin eine lykische Iden-tität. Gestärkt wurde sie durch die Gründung eines Lykischen Bundes zuBeginn des 2. Jhs.v.Chr.

Wann beginnt der Einfluß Roms? Nach dem römischen Sieg über denSeleukidenkönig Antiochos III. im Jahr 190 wurde Lykien Teil des römi-schen Hegemonialbereiches8. Diese Verbindung mit Rom fand ihren Aus-druck in der Einrichtung eines Kultes der Göttin Roma. Vielleicht in Ver-bindung mit ihren Festspielen wurden bereits in späthellenistischer ZeitSpiele römischen Typs eingeführt, Gladiatorenkämpfe und Tierhetzen, undzwar anscheinend auch im kleinen Kyaneai. Dominierend blieben freilichSpiele griechischen Typs, die mit dem Gymnasium und kultischen Festenverbunden waren.

Mit der Umwandlung Lykiens in eine römische Provinz im Jahr 43 n.Chr.verstärkt sich römischer Einfluß in vielen Bereichen, insbesondere in derGestaltung des Lykischen Bundes als Landtag der Provinz sowie in Institu-tionen und Ämtern der lykischen Poleis9. Die lateinische Sprache spielt frei-lich im kaiserzeitlichen Lykien so gut wie keine Rolle. Die wenigen lateini-schen Inschriften betreffen ausnahmslos römische Kaiser oder Verwaltungs-träger bzw. Militärs. Dies weist auf eine schwache Präsenz lateinisch spre-chender Personen in Lykien hin. Zwar gab es in der Provinzhauptstadt Pa-tara einen Statthalter mit seinem officium sowie kaiserliche Prokuratoren.Aber Lykien war eine provincia inermis mit einer einzigen Reiterkohorte. InKyaneai fanden wir nur eine einzige lateinische Inschrift, die einem centuriovon seiner Frau gesetzt worden ist10. Da dieser Quintus Caelius, Sohn des

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11 Zur Ehreninschrift für Seisadla siehe F. KOLB - M. ZIMMERMANN, Epigraphica Anatolica 16, 1990,130f. Nr. 7, mit der Korrektur durch M. ZIMMERMANN, in: Lykische Studien 2 (siehe Anm. 2), 54f.

12 Vgl. Th. SCHÄFER, Imperii Insignia: Sella Curulis und Fasces. Zur Repräsentation römischer Ma-gistrate, 1989, 101ff.

13 M. ZIMMERMANN, in: Lykische Studien 1. Die Siedlungskammer von Kyaneai, hrsg. v. F. KOLB

(Asia Minor Studien 9), 1993, 139. Die Inschrift für Antoninus Pius wird in TAM II 4 publiziert.

Marcus, aus der Tribus Claudia das Cognomen Lysimachos trägt, das aufdem Gebiet von Kyaneai des öfteren vorkommt, könnte er aus dieser lyki-schen Kleinstadt stammen.

Doch zurück zu unserem Gutshof. Die Namen in den Inschriften der Sar-kophage und Ehrenmonumente des Gutshofes bei Kyaneai sind nicht rö-misch. Der Besitzer des Gutshofes trägt den griechischen Namen Alkimos.Er hat die Gräber für sich selbst, seine Söhne Neikostratos und Alkimos, fer-ner für des letztgenannten Ehefrau Lykia sowie für seinen Freund Aristar-chos, Sohn des Iason, und dessen Frau errichten lassen. Seine Ehefrau heißtSeisadla, ein lykischer Name. Die ihr gewidmete Ehreninschrift verweist je-doch auch auf römischen Einfluß11. Es wird gesagt, daß sie aus glanzvollerund berühmter Familie stamme, und die Bezeichnung ihrer Herkunft mitlamprotatos verwendet die übliche griechische Übersetzung des lateinischenclarissimus. Dies deutet auf Verwandtschaft mit Mitgliedern der senatori-schen Reichsaristokratie hin. Dafür spricht auch der unmittelbar neben ihrerEhreninschrift liegende skulptierte Block, der die Reihe der Ehrenmonu-mente komplettierte (Abb. 10). Er imitiert eine sella castrensis, die militäri-sche Form der sella curulis. Eine sella castrensis steht für das proprätorischeImperium oder die Statthalterschaft einer kaiserlichen Provinz12. Als selb-ständiges Monument erinnert sie an öffentlich aufgestellte Memorialsessel,z.B. für vergöttlichte Kaiser. Die sella castrensis bezeichnet mithin einen An-spruch auf eine Privatapotheose und schließt somit an die Adlerprotomendes Sarkophags an. Hinzu kommt, daß zwischen dem Gutshof und der Sar-kophaggruppe die obere Hälfte eines kleinen runden Grabaltars gefundenwurde, der anscheinend Mann und Frau abbildet, wohl den Gutsbesitzer Al-kimos und seine Ehefrau Seisadla als Empfänger von Opfergaben im Grab-kult. Festzuhalten ist jedenfalls, daß sich hier ein Eindringen römischer reli-giöser Einflüsse in die lykische Privatsphäre feststellen läßt.

Nicht zufällig erfolgt dabei eine Anknüpfung an den Kaiserkult, der inLykien vielleicht schon unter Caesar, jedenfalls aber in der augusteischenEpoche eingeführt wurde. Der südliche Teil der Agora von Kyaneai scheintdem Kaiserkult gewidmet zu sein: Dort fanden sich auf engstem Raum vierStatuenbasen, von denen zwei noch lesbare Inschriften hinterlassen haben:Eine ist einem Kaiser namens Marcus Aurelius Antoninus gewidmet, diezweite Antoninus Pius13. Die Statuenbasis für Antoninus Pius ist integriert

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14 Vgl. R. BEHRWALD u.a., in: Lykische Studien 4 (siehe Anm. 4), 191. 15 Pausanias VII 21,13. Vgl. A. THOMSEN, in: Lykische Studien 2 (siehe Anm. 2), 43-48.

in einen nur 6x5 m messenden Tempel; es dürfte sich um den Kaiserkult-tempel von Kyaneai handeln. Mehrere Inschriften bezeugen ein entspre-chendes Priestertum in Kyaneai. Die politische Bedeutung des Kaiserkulteswird auch daran deutlich, daß sich in den lykischen Poleis eine Datierungdes Jahres nach Kaiserkultpriestern des Lykischen Bundes statt nach lokalenPriestern durchsetzt14.

Dies war freilich der einzige nennenswerte Beitrag Roms zur Religion inLykien. Hingegen werden die ab der spätklassisch-frühhellenistischen Zeitoft mit griechischen Namen versehenen alten einheimischen Gottheitennicht nur weiterhin verehrt, sondern erleben im 2./3. Jh.n.Chr. eine neueBlüte. Pausanias erwähnt in der zweiten Hälfte des 2. Jhs.n.Chr. ein Wasser-Orakel des Apollon Thyrxeus ganz nahe bei Kyaneai. Thyrxeus ist die Gräzi-sierung des lykischen Wortes thuraxxi. Wir haben dieses Orakel wahr-scheinlich am Fuß des Siedlungshügels von Kyaneai gefunden15 (Abb. 11).Überbaut mit einer modernen Betoneinfassung, läßt sich noch die großeFreitreppe eines Stufenbrunnens erkennen, der mit einer sorgfältig gebau-

10. Skulptierter Block mit Darstellung einer sella castrensis.

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ten kaiserzeitlichen Mauer restauriert worden ist. Als Kyaneai um 240n.Chr. noch einmal Münzen prägt, wird der Orakelgott Apollon beim Opferan einem Felsaltar abgebildet (Abb. 12). Solche Felsaltäre sind seit dem 6.Jh.v.Chr. auf dem Gebiet von Kyaneai bezeugt und werden offensichtlichnoch in der Kaiserzeit für Opferhandlungen genutzt (Abb. 13). Auf einerparallelen Münzemission erscheint die mit einem gräzisierten Namen ausge-stattete altlykische Göttin Eleuthera, welche Hauptgottheit nicht nur vonKyaneai, sondern auch des benachbarten Myra war. Sie wird mit Artemisgleichgesetzt in Gestalt der anatolischen Muttergöttin. Auf den Münzen vonMyra erscheint ihr Bildnis in der Baumkrone einer Zypresse (Abb. 14).Wohl ausschließlich ins 3. Jh.n.Chr. gehören die Zwölf-Götter-Reliefs, die

11. Apollon-Thyrxeus-Orakelstätte bei Kya-neai: Blick in den Brun-nen mit Freitreppe undantiken Mauern.

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12. Münzprägung Kyaneaisunter Gordian III. mit demOrakelgott Apollon beim Op-fer an einem Felsaltar.

13. Felsaltar auf dem Gebiet von Kyaneai.

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16 B. FREYER-SCHAUENBURG, Die lykischen Zwölf-Götter-Reliefs (Asia Minor Studien 13) 1994.17 Vgl. G. NEUMANN - M. ZIMMERMANN, Die lykischen Götter der Agora. Neulesung der griechisch-

lykischen Bilingue TL 72a-b in Kyaneai, in: Lykische Studien 6. Feldforschungen auf dem Gebiet der Po-lis Kyaneai in Zentrallykien. Bericht über die Ergebnisse der Kampagnen 1996 und 1997, hrsg. v. F. KOLB

(Asia Minor Studien 48), 2003, 187-192. Zu Xanthos siehe TAM I 44c, Z. 22 (= CEG I 177).

vor allem in Zentrallykien gefunden wurden (Abb. 15), auch eines auf demGebiet von Kyaneai16. Sie zeigen in einem oberen Register zwölf mit der Tu-nika bekleidete, in der rechten Hand eine Lanze tragende Gestalten. In ih-rer Mitte steht, durch Umrahmung hervorgehoben, eine dreizehnte Figur,die bisweilen Artemis mit einem altanatolischen Handgestus, bisweilen einemit Lanze bewaffnete männliche Gestalt darstellt, die gelegentlich als“Vater” bezeichnet wird. Sie mag mit dem altlykischen Wettergott Trqqasidentisch sein. Das untere Relief zeigt zwölf Hunde, zwischen denen exaktunterhalb der dreizehnten Gestalt des oberen Reliefs eine unbewaffnete Fi-gur steht, die ebenfalls eine Gottheit sein muß. Es ist anzunehmen, daß diezwölf Götter dieser kaiserzeitlichen Reliefs in Kontinuität zu jenen altlyki-schen Zwölf Göttern stehen, die auf einem Inschriftenpfeiler von Xanthosund auf einem klassischen Sarkophag von Kyaneai um 400 v.Chr. als Götterder Agora benannt werden. Vielleicht sind sie sogar im Zusammenhang zusehen mit den hethitischen zwölf Göttern17.

14. MünzprägungMyras unter Gordi-an III. mit Darstel-lung der GöttinEleuthera.

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18 Vgl. F. KOLB, in: Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts Istanbul 41, 1991, 243-247.

Nochmals zu unserem Gutshof: In späterer Zeit wurde südwestlich andas Podium für die Ehrenmonumente des Gutshofes ein weiterer lykischerSarkophag angereiht, der laut Inschrift einem Lysandros, Bürger von Kya-neai und Aperlai, gehörte (Abb. 6). Lysandros hat offensichtlich den Alki-mos-Hof gekauft. Der Mann stammte aus einer renommierten Familie desHafenortes Aperlai, welche verwandtschaftliche Beziehungen zu einem rö-mischen Bürger aus Kyaneai hatte. Dieser hieß Sextus Marcius Hegelochia-nus Eutribos. Das Bürgerrecht muß ein Vorfahr von dem um die Mitte des1. Jhs.n.Chr. amtierenden Statthalter Lykiens, Sextus Marcius, erhalten ha-ben. Sextus Marcius Hegelochianus war verheiratet mit der Tochter einergewissen Erpidase, welche in Aperlai als Repräsentantin ihrer Familie eineführende Rolle spielte. Entweder sie selbst oder ihre Tochter in einer weite-ren Ehe war verheiratet mit einem Tiberius Claudius Ptolemaios. Auch dieSchwester der Erpidase, namens Ptolemais, war mit Inhabern des römi-schen Bürgerrechtes verwandt, nämlich mit Tiberius und Aurelius ClaudiusFortunatus. Deren lateinisches Cognomen scheint darauf hinzudeuten, daßsie nicht aus Lykien stammten18.

In dem Hafenort Aperlai gab es eine umfangreiche Purpurproduktion aus

15. Relief mit Darstellung der lykischen Zwölf Götter.

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19 R.L. HOHLFELDER - R.L. VANN, Uncovering the Maritime Secrets of Aperlae, a Coastal Settle-ment of Ancient Lycia, Journal of Near Eastern Studies 61, 1998, 26-37; B. LEADBETTER, Diocletian andthe Purple Mile of Aperlae, Epigraphica Anatolica 36, 2003, 127-136; IGR III 691.

20 Veturius Fronto: CIG 4303h8. 21 Vgl. M. WÖRRLE, Stadt und Fest im kaiserzeitlichen Kleinasien, 1988, 56-76.

Purpurschnecken. Daran war vor allem der römische Kaiserhof interessiert,und in Aperlai wurde das Fragment einer Säule mit einer Ehreninschrift fürdie Kaiser der Tetrarchie gefunden19. Die erwähnten römischen Bürger mö-gen in diesem Purpurgeschäft engagiert gewesen sein. Im benachbarten Ha-fenort Timiussa betrieb ein Veturius Fronto offensichtlich Geschäfte ingroßem Maßstab und verfügte über zahlreiche Sklaven. Spätestens im 2.Jh.n.Chr. gibt es mithin in der zentrallykischen Region römische Bürger, vondenen manche wohl aus Italien stammen, Veturius vielleicht aus Etrurien20.

Aber schon recht früh gab es auch Bürgerrechtsverleihungen an Lykier.Im westlykischen Lydai und im nordlykischen Oinoanda treffen wir z.B. aufLykier, welche Gaius Iulius heißen und folglich das römische Bürgerrechtentweder von Caesar oder von Augustus erhalten haben. Mitglieder ihrerFamilien stiegen in die ritterliche und senatorische Reichsaristokratie auf.Dies gilt auch für andere Lykier, vor allem für solche, die das GentilnomenClaudius tragen, deren Familien mithin das römische Bürgerrecht um dieMitte des 1. Jhs.n.Chr. erhalten hatten21.

Insgesamt war das römische Bürgerrecht in der lykischen Elite vor derConstitutio Antoniniana von 212 n.Chr. jedoch nicht sonderlich verbreitet,dementsprechend auch nicht die lateinische Namengebung. Im kaiserzeitli-chen Lykien trägt man vor allem griechische Namen, z.T. auch noch lyki-sche. Bei Frauen finden sich lykische Namen freilich kaum noch. Dies warin der hellenistischen Zeit noch ganz anders, als sie fast ausschließlich lyki-sche Namen trugen. Zu jener Zeit war die griechische Namengebung fastgänzlich auf Männer beschränkt. Dies deutet darauf hin, daß in der helleni-stischen Epoche griechische Namen mit der Teilnahme am öffentlichen Le-ben verbunden waren. Zentrallykien und insbesondere Kyaneai waren inder Namengebung jedoch konservativer als etwa die Orte des Xanthostalsund des westlichen Lykien. Während es dort schon im 2. und 1. Jh.v.Chr.fast nur griechische Personennamen gibt, zeigt eine späthellenistische Na-menliste aus Kyaneai, daß etwa die Hälfte der Männer lykische Namenträgt. In der Kaiserzeit hingegen beschleunigt sich auch hier der Hellenisie-rungsprozeß. Nun reduziert sich das lykische Namenmaterial in Kyaneai aufmaximal ein Drittel. Während der Kaiserzeit versuchen ferner führende Ly-kier, mit prestigeträchtigen Namen ihre gesellschaftliche Position zu definie-ren. So konstruieren z.B. die Licinnii von Oinoanda, die ihr römisches Bür-gerrecht und ihr Gentilnomen von dem zur Zeit Neros amtierenden römi-

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22 S. COLVIN, Names in Hellenistic and Roman Lycia, in: S. COLVIN (Hrsg.), The Graeco-RomanEast. Politics, Culture, Society, 2004, 44-84.

23 H. HALFMANN, Die Senatoren aus dem westlichen Teil des Imperium Romanum bis zum Endedes 2. Jhs.n.Chr., 1979, bes. 34ff., 93ff.

24 CHR. KOKKINIA, Die Opramoas-Inschrift von Rhodiapolis. Euergetismus und soziale Elite in Lyki-en (Antiquitas R. 3, Bd. 40), 2000, bes. 245f.

25 M. ZIMMERMANN, Untersuchungen zur historischen Landeskunde Zentrallykiens (Antiquitas R. 1,Bd. 42), 1992, 252-270; KOKKINIA, a.O., 229-231.

26 R.BEHRWALD u.a., in: Lykische Studien 4 (siehe Anm. 4), 176-182.

schen Statthalter C. Licinnius Mucianus erhalten hatten, einen fiktivenStammbaum, der ihre Abstammung von spartanischen Vorfahren beweisensollte. Der Rückgriff auf Heroen und andere große Persönlichkeiten dergriechischen Literatur erklärt auch aus Homers Ilias entlehnte Personenna-men wie Sarpedon und Tlepolemos22.

Noch im 2. Jh.n.Chr. haben führende Lykier nicht nur keine Ämter in derrömischen Reichsverwaltung bekleidet23, sondern nicht einmal nach dem rö-mischen Bürgerrecht gestrebt. Opramoas aus der ostlykischen Polis Rhodia-polis hat zwar auf seinem mitten in der Stadt errichteten Heroon die längsteuns erhaltene griechische Inschrift hinterlassen; er hat ferner höchste Ämterim Lykischen Bund bekleidet, Geld an zahlreiche lykische Poleis im Wert vonmehr als 1 Million Denaren gespendet und das Bürgerrecht aller lykischenPoleis erhalten. Aber er erstrebte nicht das römische Bürgerrecht24. Entspre-chendes gilt für Iason von Kyaneai, dem die größte Felsinschrift der grie-chisch-römischen Antike gewidmet wurde; in ihr werden seine Verdiensteund Ehrungen aufgeführt. Diese hat der Kaiser Antoninus Pius persönlichbestätigt, aber das römische Bürgerrecht besitzt Iason nicht25. Die Inhaberdes bereits erwähnten Tempelgrabes von Kyaneai nehmen erst um 200 n.Chr.das römische Bürgerrecht an, und auch eine Frau namens Lykia Sthenele, diean der Hauptstraße von Kyaneai einen Memorialbau erhielt, in welchem ihreStatue aufgestellt war, besaß nicht das römische Bürgerrecht26. Andererseitsist die Errichtung von Memorialbauten im Stadtzentrum, wie sie Opramoasund Lykia Sthenele zugestanden wurde, typisch für die römische Kaiserzeit.

Mit Opramoas und Iason taucht ein neuer Aristokraten-Typus in Lykienauf, der über ganz andere Dimensionen von Reichtum und sozialem Prestigein ganz Lykien verfügt, als wir dies für die hellenistische Epoche kennen. Dievon der Reichsverwaltung forcierte Aristokratisierung der lykischen Gesell-schaft hatte anscheinend ökonomische Folgen. Diese führten z.B. auf demGebiet von Kyaneai offensichtlich zu gravierenden Veränderungen in derländlichen Siedlungsstruktur. So trat das Einzelgehöft allmählich zurück zu-gunsten bäuerlicher Weiler, deren Zahl in dem von uns erforschten Gebietvon etwa zehn in hellenistischer Zeit auf 55 im 3. Jh. und sogar auf 67 in derSpätantike anwuchs. Dies änderte zwar, wie zahlreiche Pressanlagen in die-

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27 Vgl. A. SANLI-ERLER, Bauern in der Polis. Ländliche Siedlungen und agrarische Wirtschaftsfor-men im zentrallykischen Yavu-Bergland (Tübinger Althistorische Studien 1) 2006.

28 Vgl. z.B. L. u. J. ROBERT, Revue des Études Grecques 96, 1983, 130. Vgl. zusammenfassend zurlykischen Elite der Kaiserzeit H. BRANDT - F. KOLB, Lycia et Pamphylia. Eine römische Provinz im Süd-westen Kleinasiens, 20052, 105-108.

29 Vgl. BRANDT - KOLB, a.O., 37-39. 30 Die inschriftliche Dokumentation findet sich in Tituli Asiae Minoris II 4 (noch unpubliziert).

sen Weilern zeigen, nichts an der in hellenistischer Zeit eingeführten markt-und exportorientierten Agrarproduktion. Man muß aber fragen, ob derWandel im Siedlungsbild nicht eine Akkumulation von Grundbesitz in denHänden herausragender Persönlichkeiten, wie Opramoas und Iason, und da-mit verbunden eine Umwandlung freier Bauern in Pachtbauern anzeigt27.

Das lykische Identitätsbewußtsein von Aristokraten wie Opramoas undIason konnte sich aufgrund der kaiserzeitlichen Aristokratisierung der lyki-schen Gesellschaft und Politik erst voll entfalten. Die Bezeichnung führen-der Mitglieder der lykischen Elite als “Väter, Mütter, Söhne oder Töchterder Polis” überträgt Titulaturen des Kaiserhauses auf die Provinzgesell-schaft. Philanthropische Wohltaten eines Opramoas in Gestalt von Alimen-tarstiftungen und überhaupt sein geradezu ‘monarchischer’ Euergetismusimitieren kaiserliche Vorbilder28. Auf der Ebene unterhalb der Aristokratieführte römischer Einfluß zu einer Differenzierung der Bürgerschaft. Es gabÄmter, die nur von Mitgliedern des Rates bekleidet werden durften, und dieBürgerschaft wurde unterteilt in solche, die zum Empfang kostenloser Ge-treidespenden berechtigt waren, und die übrigen poleitai. In Tlos umfaßtedie privilegierte Gruppe z.B. 1100, in Oinoanda 500 Bürger. Auch erst inder Kaiserzeit erscheint die Gerusia als Honoratioren-Club lykischer Gym-nasien und spielt im öffentlichen Leben eine gewichtige Rolle29.

Ferner machen sich römische Rechtsinstitute im Lykien der Hohen Kai-serzeit bemerkbar, selbst in der eher rückständigen zentrallykischen Region.Ein Einwohner von Kyaneai bezeichnet sich mit dem lateinischen Terminusinquilinus. Mehrfach taucht der Begriff patronus in Inschriften auf, obwohlweder der Freilasser noch der Freigelassene das römische Bürgerrecht besit-zen und auch keineswegs sicher ist, daß die betreffenden Freilassungenwirklich nach römischem Recht erfolgt sind. Dem entspricht, daß die zuvorrestriktiv gehandhabte Sitte der Freilassung sich unter römischem Einflußerheblich lockerte und Freigelassene das Bürgerrecht der jeweiligen Polis,in der sie lebten, erhielten, wie dies im römischen Westen üblich war. Römi-sche Rechtsprinzipien beeinflussen ferner den Status der lykischen Frau: Siegenießt das Privileg des ius trium liberorum, und erst kaiserzeitlich ist auchdas Institut der Eheschließung kata phernimaian, welche die in die Ehe mit-gebrachte Mitgift der Ehefrau rechtlich absichert30.

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31 Vgl. BRANDT - KOLB, a.O., 40-65.

Alle Schichten der Bevölkerung bewegen sich ab der zweiten Hälfte des1. Jhs.n.Chr. zunehmend in einem von römischer bzw. Reichsarchitektur ge-prägten Ambiente. Römische Thermen, Aquädukte, Ehrenbögen undBrücken, in den bedeutenden Städten auch Theaterbauten römischen Typs,ferner Basiliken, im Einzelfall ein italischer Podiumstempel, ferner prunk-volle Nymphäen, barocke Architekturformen und Ansätze zu einer orthogo-nalen Stadtanlage mit Imitation sogenannter syrischer Kolonnadenstraßensind die Paraphernalia imperialer Architektur in Lykien. Einige dieser Ele-mente dringen bis in provinzielle Kleinstädte wie Kyaneai ein. Hafenortebzw. küstennahe Städte waren offensichtlich bei diesem Prozeß bevorteilt31.

Die Begegnung lykischer, griechischer und römischer Zivilisation hat mit-hin in der Kaiserzeit zu einer komplexen Synthese geführt, wie sie sich z.B.am Mikrokosmos des Alkimos-Hofes beobachten läßt. Sie brachte einelykisch-hellenistische, mit römischen Einsprengseln versehene kulturelleIdentität hervor, die sich in einem weitgehend römisch-imperial gestaltetenpolitischen, gesellschaftlichen, wirtschaftlichen und archtektonischen Rah-men entfaltete. Dabei lassen sich regionale und lokale Unterschiede, etwazwischen West- und Zentrallykien, zwischen bedeutenderen Zentren wiePatara, Xanthos, Tlos und Myra einerseits und provinziellen Landstädtchenwie Kyaneai andererseits feststellen. Akkulturationsprozesse unterschiedli-cher Intensität spielten sich auf allen aus unseren Quellen rekonstruierbarenEbenen menschlichen Lebens ab. Lykische religiöse Traditionen z.B. wur-den häufig nur terminologisch überlagert. Private Architektur hielt trotz ge-wisser äußerer Beeinflussung im wesentlichen an einheimischen Formenfest. Hingegen wurden der politische, gesellschaftliche und wirtschaftlicheBereich sowie die öffentlichen Bauten weitestgehend griechisch und rö-misch geprägt. Insgesamt konnten sich die Lykier dem Modernisierungs-druck der antiken Hochkulturen nicht entziehen.

Die Eingliederung der Landschaft in das Imperium Romanum führte nichtzuletzt zu einer verstärkten Hellenisierung. Dennoch darf man weder den rö-mischen Einfluß noch das Beharrungsvermögen einheimischer Traditionenunterschätzen. Wenn der heutige Besucher Lykiens den Eindruck einer un-verkennbaren Eigenart dieser Landschaft empfängt, so beruht dies auf demoffenkundigen Respekt, den die antike und auch noch die byzantinische Be-völkerung den Monumenten ihrer Vergangenheit entgegenbrachte. Diese Er-innerungskultur ist nicht als Widerstand gegen Fremdeinflüsse zu deuten.Lykischer Patriotismus war ohne weiteres vereinbar mit der Integration derLandschaft in die hellenistisch-römische Koine des Imperium Romanum.

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