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GIOCHI NEGATI

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Ventisei tappe per un totale di 1.338chilometri percorsi a piedi consu-mando due paia di scarpe. Per arri-

vare da Milano ad Atene e sentirsi dire:“Non può correre la Maratona olimpica.Lei non è un dilettante”. Il destinatario diquel divieto, pronunciato il 31 marzo1896, è il podista milanese Carlo Airoldi.La sentenza sportiva senza alcuna pos-sibilità d’appello è del principe Costantinodi Grecia, presidente del Comitato orga-nizzatore dei Giochi di Atene 1896. Auna settimana dall’inizio della primaOlimpiade moderna, non c’ènulla da fare. Airoldi è unturista per niente.

Il professionismo fataleA Carlo Airoldi

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Carlo Airoldi maratoneta mancato nel 1896

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Perché quel giudizio così drastico? L’italianoera “reo” di aver intascato 2000 pesetasper aver tagliato per primo il traguardodella massacrante gara Torino-Barcellona.L’intransigenza olimpica, molto aristocra-tica, prevedeva che i partecipanti al-l’Olimpiade fossero “dei veri dilettanti”.Ma questo tagliava fuori dalla competizionesportiva internazionale con ambizioni im-portanti tutti quegli atleti proletari, poveri,che mangiavano polvere e grondavanosudore nelle durissime gare podistiche eciclistiche. Gente come Airoldi, che nonpoteva certo rifiutare modesti premi indenaro che lo ripagavano un minimo perle enormi fatiche sulle strade accidentatee polverose.Airoldi è un atleta girovago. Va dove loportano i piedi e anche il bisogno di vincere“qualche palanca”. Dopo Atene, senza aver potuto essere aiGiochi, Carlo Airoldi continua la vita erra-bonda del podista e del partecipante aqualsiasi gara di forza. A Rio de Janeiro,in Brasile, vince contro un cavallo (Uranus).

A Porto Alegre però non riesce nella stessaimpresa e rischia il linciaggio degli scom-mettitori che avevano puntato su di lui. Ècapace di battere persino gli scaricatoridi porto nel sollevare chili e chili di merci.Poi, nel 1904 dice basta, e il sogno dipossedere una bicicletta diventa realtà,ma non per correre. Carlo Airoldi diventadirettore della società Voluntas che fabbricaproprio veicoli a due ruote. Dopo apreun’officina a Milano, che lascerà ai duefigli, Athos e Spartaco. Morirà nel 1929.

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Non soltanto corse a piedi o in bicicletta: Carlo Airoldi era stato in gioventù anche campione regionaledi braccio di ferro

Una veduta del lago di Maratona al giorno d’oggi

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Fin da quando, dopo un incidente allegambe subito all’età di due anni, idottori avevano detto che non sarebbe

stato più in grado di camminare, il kenianoHenry Rono ha dimostrato di avere lacapacità di affrontare gli ostacoli appa-rentemente più insuperabili. Questa suacaparbietà, oltre a un talento innato nellacorsa, gli hanno permesso, nella secondametà degli anni Settanta, di diventare ilmezzofondista più forte al mondo.Ma una cosa è essere il più forte, un’altravincere – anzi partecipare – alle Olimpiadi.A volte non dipende da te. Nel 1976,quando era una grande promessa, è co-stretto a rinunciare ai Giochi di Montrealpoiché il comitato olimpico keniano siallinea al boicottaggio dei Paesi africani.Due stagioni agonistiche più tardi, a 26anni, il talento della Rift Valley è protagonistadi un’impresa irripetibile nella storia del-l’atletica. Nello spazio di soli 81 giorniRono conquista quattro record del mondonei 10.000, 5.000, 3.000 metri e nei3.000 siepi. Il suo nome è sulla bocca ditutti e si attendono solo i Giochi di Mosca1980 per la sua definitiva consacrazione.Ancora una volta però i boicottaggi simettono di mezzo. Il Kenya appoggia ilpresidente statunitense Jimmy Cartere non invia i propri atleti in Unione So-vietica per protestare contro l’invasionedell’Afghanistan. Il sogno olimpico di Ronosi spezza definitivamente, così come lesue certezze. Non protetto dalla federazione,mal consigliato da chi sarebbe dovuto es-sergli vicino e sfruttato da manager senzascrupoli, il keniano intraprende una rapida

parabola discendente che non colpiscesolo le sue prestazioni sportive. Risucchiatodal vortice dell’alcolismo e abbandonatoda chi si professava suo amico, si ritrova avivere in un dormitorio per senza fissadimora a Washington. Dopo aver toccato ilfondo, recupera dentro di sé la forza perripartire e, dopo aver smesso di bere,riesce a ricostruirsi una vita e una carrieraallenando ad Albuquerque, in New Mexico,sempre negli Stati Uniti.

Henry Rono: signora, le gambe di suo figlio non vanno bene neppure per camminare

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Henry Rono keniano,

ha studiato negli USA

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Uno dei migliori decatleti della storiaè stato Heino Lipp, nato in Estonia.Ma i suoi successi non hanno varcato

i confini dell’ex Unione Sovietica. Perché?Perché era un estone, la cui famiglia eracomposta da militanti nazionalisti e antisovietici. Il fratello, riconosciuto come“nazionalista sleale”, venne deportato epoi ucciso in un campo di concentramentoin Siberia.Anche Heino Lipp venne controllato dalKGB e i suoi record, sussurrati daglisportivi, ufficialmente non esistevano.Nonostante i molti inviti ricevuti, a Lipple autorità negarono sempre la possibilitàdi uscire dai confini dell’ex URSS. Peresempio, non gli fu dato il permesso direcarsi a Budapest per le Universiadinel 1949. Il pericolo era che venissenotato dai giornalisti. E così, alla vigiliadella partenza per le Olimpiadi di Helsinkidel 1952, il KGB diede parere “contrarioa far partecipare Lipp ai Giochi”. Non

solo, nel 1950 gli venne revocata ancheuna borsa di studio. E si racconta cheper vivere facesse il bracconiere. Ma an-che questo è un “si dice”. Perché HeinoLipp è un imponente fantasma dello sport.

Heino Lipp,il campione oscurato

L’estonia è una delle cosiddette repubblichebaltiche con la Lituania e LA LETTONIA. Dopo 51 anni sotto l’allora Urss, dal 1991 è di nuovo indipendente.

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Ancora oggi Heino Lipp è celebrato dagli Estoni

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Bisogna saper perdere, certo. Macome fai ad accettarlo quando qual-cuno ti impedisce di gareggiare?

Ecco, Gretel Bergmann, tedesca, saltatricein alto, a un certo punto della sua vita hadovuto fare i conti con tutto questo. Seiuna ragazza, studi, hai degli amici, ognitanto sogni un’Olimpiade, l’Olimpiade dicasa tua, Berlino 1936. Ma una mattinati svegli e ti dicono: niente più sogni, nonne hai il diritto, prenditi le tue cose evattene via. Perché hai un’altra religione,perché sei ebrea e Hitler non sopporte-rebbe la tua presenza all’Olympiastadion,magari saresti pure capace di vincere…A Gretel, accadde proprio così. Cresce aLaupheim, sulla carta geografica la trovatea sinistra di Monaco di Baviera, suddella Germania. Fino al 1933, tuttosembra procedere normalmente, la suamigliore amica – tanto per dire – è iscrittaal partito nazista. Poi, con le leggi razziali,tutto cambia. All’ingresso del campo dovesi allena, compare una scritta: “Vietatol’ingresso a cani ed ebrei”. Lei resiste,ma a un certo punto non ce la fa più: sene va in Inghilterra a studiare, salta, ga-reggia da quelle parti. Il nazismo, però,scopre che è meglio inventare qualcosaperché escludere gli ebrei così, senzaragione, può provocare la reazione delComitato Olimpico Internazionale e il boi-cottaggio dei Giochi da parte degli StatiUniti. Ma dai vieni, ci siamo sbagliati. Elei torna, forse poco convinta. Torna evince, stabilisce il nuovo record tedescocon 1 metro e 60 centimetri, è la stessamisura con cui si vinceranno le Olimpiadiqualche settimana più tardi.Basta così, tutto risolto? Neanche per so-

gno. I nazisti sono perfidi, le scrivonouna lettera e le dicono che non sarà con-vocata perché non ha ottenuto “buoni ri-sultati”. Ma se ha stabilito il record tede-sco!!! La ragione è un’altra: è ebrea. Sta-volta non ne può più, Gretel scappa negliStati Uniti, “con quattro dollari in tasca”.Nel 1942, diventa cittadina statunitense,

Gretel Bergmann, il salto in alto vietato agli ebrei

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Gretel Bergmann durante uno dei suoi salti in alto

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non ne vuole più sapere della Germania,si dimentica pure il tedesco. Passanoanni, decenni, ora il suo Paese vuolechiederle scusa: le intitolano un complessosportivo a Berlino, lo stadio a Laupheim.La invitano per fare pace, il nazismo èlontano, sconfitto, la Germania è un’altra.Lei ci pensa, all’inizio dice no, poi ciriflette: sarà bello che entrando nello stadioa lei intitolato, qualcuno possa chiedersi:“Ma chi era Gretel Bergmann? Ed è giustoche io risponda”. Un risarcimento. Anchese parziale, ridotto, minimo. Perché quel-l’Olimpiade perduta non gliela ridarà nes-suno.

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La storia di Gretel Bergmann è diventataun film tedesco nel 2009 per la regiadi Kaspar Heidelbach.

Gretel a Berlino, alle Olimpiadi, fu so-stituita da Dora Ratjen, che si classificòal quarto posto e che più tardi fu alcentro di un caso: non era una donna,ma un “intersessuale”.

Gretel vive a New York, ha passato i100 anni di vita, come suo maritoBruno Lambert.

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Nel diario sopravvissuto alla sua morte,lo chiama più volte il Maestro. Il Mae-stro di Miguel Benancio Sanchez, il

fondista e poeta argentino che è uno dei30mila desaparecidos e a cui è dedicatala Corsa di Miguel, è Osvaldo Suarez. Luialle Olimpiadi ci andò, Il suo allievo no.Nella notte fra l'8 e il 9 gennaio del 1978

una banda paramilitare sequestrò Miguela casa sua, in un angolo dell'immensaperiferia di Buenos Aires: se lo portò via,lo incarcerò, gli bendò gli occhi, nonascoltò la sua rabbia coraggiosa: "Checosa state facendo? Io corro per l'Argentina,per il mio Paese, che senso ha tuttoquesto?", strillava Miguel nel silenzio tom-bale, rotto solo dalle urla dei torturati, nel

centro clandestino del Vesuvio, dove passòpresumibilmente i suoi ultimi giorni. Perchégli strapparono la vita? Perché pensava,parlava, o magari si trovava in un'agenda"sbagliata": in quell'Argentina della finedegli anni '70, si moriva così.Ma per un momento lasciamo perdere ilfinale tragico di questa storia. Pensiamo a

Miguel su un campo d'atletica, la sua se-conda casa, che consegna ogni giorno almaestro Osvaldo Suarez le sue poesie cheparlano di amore e di corsa. E il maestroche risponde con i suoi racconti. E parladelle Olimpiadi, e parla di quando, nel1956, lo esclusero per ragioni politiche:era peronista, seguace del generale Peron,appena deposto con un colpo di stato

Miguel Sanchez, quanti sogni desaparecidos

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La Corsa di Miguel raduna ogni anno a Roma migliaia di podisti

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l'anno prima. E di quando invece partì perRoma, e partì se non da favorito, quasi,visto che aveva vinto tre volte la Corrida diSan Silvestro, la corsa di fine anno, la piùimportante del Sudamerica. Suarez rac-conta a Miguel e forse Miguel pensa chea Mosca, 1980, può andarci pure lui,pensa ai regali che porterebbe a mammaSusanna, pensa a tutte le cose che potrebbeinsegnare ai bambini grazie a quelle Olim-piadi. Non pensa a vincere, quello ètroppo, la sua medaglia d'oro sarebbefatta di parole, di conoscenze, di sensazioni:il mondo è mio e io sono del mondo,avrebbe pensato. Osvaldo gli racconta diquando sul Raccordo Anulare di Roma fuvittima di una crisi di disidratazione, acqua,vi prego. Un ciclista uruguaiano passavada quelle parti con una tanica e giù abere. Ma troppo, troppo, fino a ubriacarsi

di acqua.A fermarsi, e a ripartire lentamentecon gli altri che l'avevano già superato.Ma lui che va avanti, l'importante è arrivare,noni nel caso di Osvaldo. Che poi, è inevi-tabile, penserà solo una cosa: se avessibevuto prima...Quella cartolina lì: il campo di atletica diVilla Dominico, qualche fermata di trenodalla capitale Buenos Aires, con loro due,Miguel e Osvaldo, che pensano al bellodella vita e invece arriva il brutto, il bruttis-simo, lo sport che non ce la fa a reagireall'orrore, anzi ne finisce schiavo. Pochimesi dopo, l'Argentina vincerà il Mondialedi calcio in quello stadio Monumental chesi trova a una decina di isolati da unadelle caserme della tortura, l'Esma. Si faràfesta, prima che la storia, e i suoi soprav-vissuti, raccontino che cosa nascondevanoquei gol.

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A Miguel Benancio Sanchez è dedicatala Corsa di Miguel l'ultima domenicadi gennaio, a Roma. Ma anche tanteiniziative nelle scuole che culminanonello Staffettone di Miguel per lescuole elementari e nel Mille di Miguelper medie e superiori.

L'Argentina vinse due volte la medagliad'oro della maratona: con Juan CarlosZabala nel 1932 a Los Angeles e conDelfo Cabrera a Londra nel 1948.Reynaldo Gorno fu invece secondodietro Zatopek a Helsinki nel 1952.

Anche l'Argentina ricorda ogni annoMiguel Benancio Sanchez con unaserie di iniziative. La via dove si trovail centro di preparazione olimpica diBuenos Aires, il Cenard, è intitolatadal 2012 a Miguel.

Miguel Sanchez era nato a Bella Vista nel 1952

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