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« non è detto di no quando potuto, non è detto di no neppure volendo »

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Giovanna Frene - Quaderni di poesia

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Giovanna Frene

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« non è detto di no quando potuto, non è detto di no neppure volendo »

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Titolo: Giovanna Frene – Quaderni Anno: 2012 Poesie di: Giovanna Frene Fonti: Immagine di voce, Facchin 1999; Spostamento –

Poemetto per la memoria, Lietocolle 2000; Datità Manni 2001; Stato apparente, LietoColle 2004; Sara Laughs, Edizioni D’If 2007; Il noto, il nuovo, Transeuropa 2011; più un inedito.

A cura di: Luigi Bosco

Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

2011 Poesia 2.0

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QUADERNI

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Giovanna Frene

ANTOLOGIA DI POESIE

Con un Inedito

2012

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Da IMMAGINE DI VOCE (Facchin 1999) poi in STATO APPARENTE (LietoColle 2004)

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Giovanna Frene

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Dialogo sul corpo della madre ditele di non spostarsi di un passo, di non muoversi di un millimetro,

di rimanere dove si trova per conservare intatte

le energie affinché sta per morire. lo spirito è immobile, la carne scivola. ogni volta più in basso e trascina con sé il pensiero e le cose decadono avvolte in un ammasso di morte. non appena alza la mano o scuote la testa ecco che gli anni sono passati ecco che una ruga si è aggiunta sulla fronte fra gli occhi incavati acquosi rosi anch’essi dal tarlo del tempo. andate a dirle che strappi i drappi agli specchi e che dopo aspetti seduta e muta. ma ancora ogni parola deforma la bocca in fessura rossa. ossuta la carne precipita a capofitto e travolge se stessa quando sta per mutare in altra cosa immortale. la morsa rimorde e agghiaccia. di nuovo la mano si affanna all’opera consuma a poco a poco sempre in anticipo sul tempo la carne del corpo. si secca il sangue della vita in bande scure. si dovrebbe conservare intatta ogni energia ogni terrore. ditele che anche la morte si muore

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Da SPOSTAMENTO Poemetto per la memoria

(Lietocolle, 2000)

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Giovanna Frene

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II. [Cronometereologia] In un anno si corrodono le carni per un anno si sbiancano le ossa un anno svuota dell’essenza l’apparenza: se diedero alle serpi di trasmutare la bellezza in pelle ai sassi di non sentire a loro di non capire a te che non vedi la tenebra dello stare e non eri desideroso al suolo e non ti furono lievi i pesi della materia sulla cassa cosa sai dell’acqua che trapassa la tua massa? Mi hai chiesto del tempo per sapere quale terra ti serrasse

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V. [Dell’irradiazione] luce della luce dei corpi senza luce luce dell’essere dei corpi senza essere essere del tempo dei corpi senza tempo diversamente linguaggio ai bordi della parola appena pronunciata sulla tela marginale contorno lenta illuminata irradiazione di insufficienza ovale evanescente scendi sul suo capo sul suo cranio opaco come sentita nuova natura di uranio di cera nella notte svanisce della sera il tuo crepuscolo di sasso non a un passo dalla chiusa di soluzione

mortomorto senza assoluzione

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VII. [Della semina nei cieli] chiamiamo la divina zucchificazione a poco a poco fusione con la terra innesto generale infinita semina germogliogermoglio che sfoglia sull’alberodolore chiamiamo quale si vide nel campo memoria fruttificare della sera tempo che si fissa nell’oggetto del suo scorrere e lo erode e si mostra chiamiamo dispiacere dell’attesa potenzialmente vicino al luogo dell’atto il sasso che sgoccia dal ventre profondoalito di niente quando segreta la terra cova non so quale felicità: morte

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Da DATITÀ (Manni 2001)

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La mano di Canova1

l’abitudine di smembrare i corpi a partire dal cuore e dalla testa non reseca la mente dal cervello materiale rimasto nella sede dotata dalla natura deposta dal suo scettro bestiale

l’immortalità è un transito veloce più in fretta le disse la vegetazione innaturale dei tendini artistici più stretta la scansione delle idee più nitide le forme le fosse

l’inattività è l’abitudine dei corpi unigeniti indivisi nella sfera immortale non separi l’uomo ciò che l’arte ha unito nell’oscuro del principio smembrando piuttosto il mondo che la natura

1 Il riferimento a Canova è dovuto al fatto che la sua mano destra è conservata sotto spirito in un’urna in bella mostra nella biblioteca dell’ex Accademia di Belle Arti di Venezia, mentre il suo cuore è sepolto nella Basilica dei Frari; il corpo così smembrato riposa infine nella natia Possagno, nei pressi di Asolo.

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Snow and Grow

laetus Quando le mie radici saranno sottoterra in un sottostare affastellato di nevi sottomesso all’immacolato incelestiare imbrunire centrifugo verso il sottovuoto a cui per incognita propulsione diacronica le svettanti travature avvinghiandosi si inerpicano sul piombo tessendo trame disordini infecti quando la nostra immagine come rappresentazione restringerà il campo visuale ai nostri cervelli e da quelli all’erezione dell’affilata lama – (si) innesta sul tronco l’idea dell’usura delle cose e se quel che resta è solo un santo campetto il tempo mi avrà detto di crescere a dismisura

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Per l’operazione subita

siamo per noi stessi la stessa immagine per gli altri

sia da vivi che da morti

tutto questo anche la fruttificazione dei miei tagli ricuciti è una preparazione all’inutile un esercizio per il balsamo ad azione oggettuale (virtuale) è un segno che forse l’essere abbracciante è anche i nolenti i dolenti incalliti allibiti tutto questo mi fa eclissare prima nel sonno dell’ipotesi temporale stabilita come una foglia ingiallita rinvigorisce alla roteante visione dell’allontanarsi del ramo e non vede la terra dell’attesa dove non appena stesa sarà putrefazione così dormo ogni momento un’anticipazione affatto vera verso l’occasione dei miei forni crematori a involucro mi sento fluttuante corporale oscillante nella notte interiore a forma |di corpo mentale| scivolosa illucidita dentro un antro di beato sfondamento tutto quello che viene verso la mia immagine azione pura di uno sguardo senza paragone non sussiste come me in diversa maniera esistente e dunque non mi differisce la visione viva del vivo mentale nell’esito di illusione dal percepire morta una |mente corporale| tutto quello che è non rimane nell’essere non esce dall’essere non entra in niente non sta stesa con me la mia assenza operante lontano

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un giorno finirà la tensione di ostacolare il progetto con l’apertura dal basso della soppressione del sonno

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Da SARA LAUGHS (Edizioni D’If 2007)

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questo vetro alitato in una sola direzione che presto un colpo inferto dall’opposto infrangerà

come un cielo stellato come aprirlo anche un solo momento senza che si rompa il diaframma salvifico? non perché si è nelle cose si vive ma per i segni del piombo

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Castore e Polluce, in prospettiva aerea

Cava caerula candet [Nevio]

L’ultima fioritura del corpo sarà eterea. Il semprenero sempreverde sbuca e fiorendo fiorisce e s’addice alla sua sorte che il virgulto adduca la sua morte. Ma qui quale pietra serba il nome e come nel suo progressivo

inceneritosi decedere fissare nell’aria la perenne memoria tra astri alternativamente semprevivi sempremorti? La visione veduta offusca la ragione e ovunque semina cecità: per i due occhi spenti insieme, per i due volti gemelli schiantati

non esiste ulteriore fioritura di mura neppure nel vento: la prima semina fiorì in orbite in orbite fiorì il lampo. Se il seme non muore non può nascere la pianta [se noi non moriamo non possiamo essere seppelliti] senza la cassa-bacello nessun tempo di attesa legherebbe i vivi ai morti perché cresca la pianta che non muore il tempo della sospensione deve essere ogni volta seminato.

Se l’ultima semina seminò l’etere fiorito e non un sasso cancellò l’anonimato stellare del fiore qui rinvigorisce il puro ramo del domani al sonno alterno [eterno, sempreverde, semprescuro, inferiore] e sotto la cenere lo stesso sentimento ovale di un momento

scaglia al cielo ingenerato un infuocato furore divino.

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La disapprovazione del germoglio, il consenso del seme: più vicino alla sua lontananza insedia la materia l’orto sfiorito:

il tempo corporale fiorendo sfiorirà: la terra schizzata in alto e il prato profondamente spostato:

e l’azione carnale totalmente votata alla ustione: il seme bruciato prima della fruttificazione apparente: ‘Nonpenso Nonfaccio & dunque [Corp.] Nonsono’ Risplende lassù nel sonno il cielo anzi è un’orbita vasta per sempre incandescente prematura fioritura nell’alto osanna nell’alto

osama os-oris – –

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Da IL NOTO, IL NUOVO (Transeuropa 2011)

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Dalla sezione: Colpa e simulazione I. Giovanni dalle Bande Nere ...la sua propagazione non è l'opera di un istante

2, non

di qualcuno: che salvaguardia la tecnica e la scarsezza di merce, lo scopo, indebolisce il mezzo

3; l'arma contro chi spara è puntata

scarica, solo se chi poi è colpito non si sposta per primo in avanti; si muore per cancrena, per leggerezza di campo, di corazza, cavalli piccoli; vinti solo dal vinto.

si aprono i piedi immacolati delle nuove propagazioni come cammini da registrare, parti di tre, disarmati: necessario negare il sopra, se sotto; necessaria

se dopo, l'abrasione; dire al monumento che se saldo, crolla, se crollato, resiste al dispaccio finale che risolve il vuoto come “perché”: è stato risposto che per salvare, perché lo serva e lo salvi, si rivolge alla fonte della perdita, all'io non concesso, al fine respiro dello strumento invocato, che precipita con le mani, non se ritratte, o non volendo; servendosi: come in terra, i nostri nemici sono piccoli vermi

4, inermi schegge di colubrina

5 sullo spessore, e sempre

2 L'espressione è citata da Carl von Clausewitz, Della guerra; parti di tre, invece, è la sintesi di un concetto mutuato dalla stessa opera. 3 Vedi le ultime acquisizioni teoretiche di Emanuele Severino in fatto di capitalismo e tecnica; lo stesso riferimento vale anche per i versi sottostanti è stato risposto che per salvare ecc. 4 Frase pronunciata da Hitler il 22 agosto 1939 ai suoi comandanti militari, riuniti nella sua casa di montagna, il Berghof; la citazione è tratta da Nicholson Baker, Cenere d'uomo.

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nello stesso gioco non conta non poter vedere, prima che volere; il cambiare le cose in prospettiva, come invenzione, postazione, circonferenze di età: cerchi la gamba tra le gambe e non la vedi

6,

nome sottomesso a leggi, da sé vinta, in sé corrosa.

5 Si tratta di una particolare arma da fuoco, di piccolo calibro, in uso nel XVI secolo; citata nel film Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi. 6 Giovanni dalle Bande Nere venne ferito due volte alle gambe. Alla prima ferita, procurata alla coscia da un colpo di archibugio nel febbraio del 1525, egli sopravvisse. Fu le seconda ferita ad essere mortale: il 25 novembre 1526 egli venne infatti raggiunto da un micidiale colpo di falconetto – arma di nuova invenzione – , con la conseguenza che neppure l'amputazione della gamba riuscirà a frenare il dilagare della cancrena. Giovanni dalle Bande Nere moriva a Mantova il 30 novembre 1526, appena ventottenne.

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III. Mattatoio H.G.7

“Oggi le nostre lancette girano solo all'indietro” (A. Politkovskaja)

I. laddove tristezza, tiranno

8, potere che domina il mondo.

laddove tiranno, potere, tristezza che prescinde l'impronta sul muro, la scavalca, la riforma con grappoli, istinto di fuga e insieme ritorno

per le chiare ragioni che incontrano sul posto lama e cibo, sempre lo stesso posto, la virtù cardinale degli insepolti, parassiti II. trasformati nel popolo dei ratti

9, rimuovono gli esseri umani. che aleggia

sul posto, il fruscio d'ali, va all'incontro con il marchio di esistere,

si interseca al vertiginoso concrescere botanico e sociale per le chiare ragioni che non guarda negli occhi lo sguardo, ritorna al buon senso, la virtù cardinale degli insensibili, pulizia

7 Il titolo viene dall'unione di due noti titoli della letteratura, Mattatoio n. 5 e Dissipatio H.G. La citazione della frase di Anna Politkovskaja è tratta da Cecenia, il disonore russo. 8 L'espressione è la rielaborazione di un concetto di Gilles Deleuze. 9 L'espressione viene da W.G. Sebald, Storia naturale della distruzione.

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III. vivono ancora tra le nostre, crescono esposti al triste. della distruzione, l'ala, che sopra il fatto, si rifà; potere. altre tristi, rovesciate ai suoi piedi

10 per il vento, ventre del progresso.

lo scavalca per le chiare ragioni che se è per sé non incontra niente di intero, spada che ritorna alla roccia, la virtù cardinale degli insidiosi,

patria

10 Da Walter Benjamin, Angelus Novus.

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VII. Colpa e simulazione

“E' un carnefice chiunque contribuisce consapevolmente […], in modo tangibile, alla morte o eliminazione di altri, o a fare

del male ad altri nel quadro di un programma di annientamento [...]” (D. Goldhagen)11

l'ordine delle forze, l'idea inevasa del bene, invisibile, è sotto gli occhi di tutti. raggiunge il suo scopo, il banchetto integro12:

il corpo è sacro, saturo, è fatto: figliastro di intenzioni; il cibo è un potere diverso, ma sempre-cibo nel sempre-banchetto:

forza, o carne di potere, o tutto-potere, o vita che deriva dalla vita;

da ciò deriva la simulazione, la nostra vera imposta fine: come è messo in atto, da chi è messo in atto, solo così non è “come se”; non è detto di no quando potuto, non è detto di no neppure volendo:

seppure comando, eppure volontà, a priori natura

11 Da Daniel Goldhagen, Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia dell'umanità. 12 Rielaborazione di un verso della poesia Tristia di Geoffrey Hill, in Re Travicello.

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Da UN INEDITO

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Pro(s)perare meglio la semivita dell’arte o la semiarte della vita? perché la parola si scavi una culla fra i pensieri vaporosi e carnali sei la fiamma il bruciare l’ustione o il bruciante l’essere arso la cenere? perché non in uno ci si moltiplica non in molti ci si semplifica ma rimessi al solito colare dell’essere unitante non rinasce alcunché di noto neppure pensieri consueti consistenti e spirituali tale il solo nuovo del verbo tale il nostro scrivere tale forse un vivere sopra un unico dualismo

inevitabile e finale non si affretti il silenzio

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(Foto di Laura Callegaro)

Giovanna Frene (Asolo, dicembre 1968) vive tra Crespano del Grappa (TV) e Padova. Diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, è laureata in Lettere all’Università di Padova con una tesi sul primo Zanzotto; si è poi addottorata in Storia della Lingua, sotto la guida di P.V. Mengaldo, studiando l'epistolario di Metastasio. Ha pubblicato Immagine di voce, Facchin 1999; Spostamento - Poemetto per la memoria, Lietocolle 2000; Datità, postfazione di A. Zanzotto, Manni 2001; Stato apparente (Immagine di voce e l’inedito Triade 1990), Lietocolle 2004; Sara Laughs, D’If 2007; Il noto, il nuovo, prefazione di P. Zublena, postfazione di S. De March, fotografie di L. Callegaro, traduzione inglese di J. Scappettone e J. Calahan, Transeuropa 2011; e, con lo pseudonimo di Federica Marte, il prosimetro Orfeo è morto, Lietocolle 2002. Ha pubblicato poesie in riviste italiane e straniere, tra cui “Paragone”, “Il

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Verri”, “Anterem”, “Poesia”, “Gradiva”, “Atelier” e “Chicago Review” (Chicago, 2011), “Italian Poetry Review” (New York, 2010), “Aufgabe” (New York, 2009). È inclusa in varie antologie poetiche, tra cui Parola Plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, Sossella 2005; Nuovi poeti italiani, a cura di P. Zublena, «Nuova Corrente» n. 135, 2005; Poeti degli Anni Zero, a cura di V. Ostuni, Ponte alle Grazie, 2011; Nuovi poeti italiani 6, a cura di G. Rosadini, Einaudi 2012. È tradotta in antologie di poesia italiana statunitensi e spagnole, tra cui Jardines secretos. Joven Poesía Italiana, a cura di Emilio Coco, Sial/Contrapunto, Madrid 2008. Ha pubblicato saggi e recensioni in “Paragone”, “Lingua e Stile”, “Studi novecenteschi”, “L’immaginazione”, “Testuale” ecc.

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