giro della corsica in kayak
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Dal 25 Luglio all’11 Agosto 2014. 667 km percorsi, 17 giorni di trekking in kayak attorno alla Corsica!TRANSCRIPT
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667 km percorsi, 17 giorni di trekking attorno alla
Corsica!
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Sommario
PREPARAZIONE AL VIAGGIO: IL NUOVO KAYAK .............................................. 4
PREPARAZIONE AL VIAGGIO: IL CORSO DI SICUREZZA ................................... 10
25 LUGLIO: LO SBARCO .................................................................................... 18
26 LUGLIO: IL GIORNO DEL GIUDIZIO............................................................... 37
27 LUGLIO: DISCESA VERSO SAN FLORENT .................................................... 62
28 LUGLIO: BLOCCATO NEL DESERTO ............................................................ 86
29 LUGLIO: 2° GIORNO NEL DESERTO ........................................................... 107
30 LUGLIO: ROBINSON CRUSOE ..................................................................... 116
31 LUGLIO: PASSAGGIO PER ILE ROUSSE ....................................................... 129
1 AGOSTO: LO SPETTACOLO DI CALVI ........................................................... 146
2 AGOSTO: ATTERRAGGIO NOTTURNO ALLA SCANDOLA ............................ 168
3 AGOSTO: USCITA DALLA SCANDOLA ..........................................................199
4 AGOSTO: CACCIA AL FALCO PESCATORE ................................................... 221
5 AGOSTO: LE SANGUINARIE ......................................................................... 243
6 AGOSTO: LA DISAVVENTURA DI CAPO SENETOSA ................................... 266
7 AGOSTO: IN BALIA DELLE BOCCHE ............................................................ 289
8 AGOSTO: PASSAGGIO A LEVANTE .............................................................. 314
9 AGOSTO: CAMBIO DI COSTA ....................................................................... 338
10 AGOSTO: LA FOLLE CAVALCATA A 6 NODI ............................................... 356
11 AGOSTO: ARRIVO IN VOLATA ....................................................................369
Perimetro costiero visitato
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PREPARAZIONE AL VIAGGIO: IL NUOVO KAYAK
Il trekking in Sardegna mi ha convinto definitivamente del fatto che per affrontare
lunghi viaggi in mare occorra un’imbarcazione che mi permetta di navigare con
mare mosso e con venti sostenuti. Le condizioni meteo appena descritte le ho
incontrate molto spesso in Sardegna e mi hanno costretto a navigare in condizioni
al limite delle mie capacità. Mi è capitato per esempio, di ritorno da Spargi, di avere
vento di traverso ed essere costretto a pagaiare con un solo braccio per tenere la
rotta, con conseguenze disastrose dal punto di vista fisico. Nella traversata Budelli –
Abbatoggia mi è capitato di avere il pozzetto continuamente allagato dalle onde di
un mare mosso forza 3. Se avessi voluto navigare in condizioni meteo migliori avrei
dovuto aspettare le calende greche per completare il trekking. Su queste riflessioni
matura pian piano l’idea che mi occorra un mezzo diverso, più prestante. Inizio a
fare un po’ di ricerche e mi imbatto in una miriade di siti che raccontano le gesta di
kayaker esperti a bordo dei loro “kayak da mare”. E’ la versione più antica di kayak,
quella inventata dagli Inuit 4000 anni fa in Groenlandia.
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Stretto meno di 60cm, lungo più di 5m, con pozzetto chiuso ermeticamente.
Capace di una velocità massima di 9 nodi, ben al di sopra di quella del mio sit on top!
Il prezzo non è proprio economico ma non ho alternative. Non ho alcuna esperienza
su tale mezzo e se voglio percorrere un lungo trekking durante la prossima estate
devo cominciare a provarlo sin da subito. Non ho molto tempo, dunque comincio
una ricerca matta e disperata per trovare il modello che più si confà alle mie
esigenze. A fine novembre 2013 ordino il Seabird SCOTT MV,
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un kayak che, almeno sulla carta, sembra avere quelle caratteristiche che cerco:
ampio volume per il carico dell’attrezzatura, stabilità in mare anche mosso e ottima
velocità di crociera. Il materiale di cui è costituito è in composito (fibre di vetro e di
diolene), un materiale rigido, leggero e resistente agli urti.
Lo so. Dovrei almeno provarlo un kayak di questo tipo prima di comprarlo, ma non
ho altra scelta perchè non conosco nessuno che ce l’abbia. Prima che arrivi il kayak
acquisto tutta l’attrezzatura e l’abbigliamento occorrente alle uscite invernali. Mi
sento come uno che compra una moto e tutto l’abbigliamento tecnico necessario,
senza sapere come si guida e senza mai esserci salito sopra! Sono un po’ folle. Ma
questo già lo so!
Il 13 dicembre si materializza il nuovo kayak.
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Mai visto niente di più bello! Ne sono già innamorato. Quattro giorni più tardi il varo
nelle acque di Trani. Con la bottiglia di vino sostituita dalla focaccia barese.
Per tutto l’inverno ogni occasione di buon tempo sarà sfruttata per fare un’uscita in
kayak. Le prime impressioni sono buone. Subito un ottimo feeling con la stabilità
del mezzo. Manovrabilità completamente diversa dal sit on top ma non ci vorrà
molto tempo per imparare ad inclinare lo scafo per girare. La direzionalità, grazie
alla deriva retrattile posteriore, è modificabile, tramite un comando sulla fiancata
destra che ne regola il grado di uscita. Fantastico!!!
Qualche mese dopo, come ultimo acquisto, compro la Galasport Elite Carbon, una
pagaia leggera, 700gr circa, interamente in fibra di carbonio, con lunghezza e
sfasamento delle pale regolabili. La forma della pale è allungata, simile a quella
della vecchia pagaia usata in Salento e Sardegna, a metà strada tra una pagaia
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groenlandese ed una europea olimpionica. Il feeling in acqua è ottimo. Mi ci trovo
subito bene, soprattutto sulle lunghe distanze. Ora ho tutta l’attrezzatura per il
lungo trekking che mi attende. Finalmente!
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PREPARAZIONE AL VIAGGIO: IL CORSO DI SICUREZZA
L’idea primordiale e timida di fare il giro della Corsica può prendere forma. Altri
kayakers prima di me l’hanno circumnavigata, anche in solitario. Non sarei né il
primo né l’ultimo. Probabilmente sarei l’unico a circumnavigarla in solitaria dopo
soli 7 mesi dalla prima esperienza con un kayak da mare. Sono un po’ folle. Ma
questo già lo so!
Prima però voglio imparare le manovre di sicurezza per uscire e rientrare dal kayak
in caso di capovolgimento. Si tratta di manovre assolutamente indispensabili se si
vuol navigare in sicurezza da solo e per lunghe tratte. Contatto l’istruttore Federico
Fiorini e insieme decidiamo di fare il corso poco prima della partenza, in modo da
sfruttare il viaggio fino al Circeo per arrivare poi a Livorno e prendere il traghetto
per Bastia. Parto il pomeriggio del 22 Luglio, portando in auto il kayak e tutta
l’attrezzatura per il giro della Corsica.
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In serata arrivo sul Circeo e nei seguenti due giorni completerò il corso nella
splendida cornice del lago di Sabaudia
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e del Circeo.
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Oltre alle uscite bagnate e agli autosalvataggi, ci sarà spazio anche per provare le
prime surfate ed i primi atterraggi con onda sul litorale di Sabaudia.
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Dormo, grazie all’interessamento di Federico, in uno dei tendoni
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predisposti nella sede della Scuola di Vela e Navigazione di Sabaudia,
www.scuolavela.it, che ringrazio per la cortese ospitalità.
Prima della partenza per Livorno Federico prova a sconvolgermi le idee sulla
distribuzione dell’attrezzatura e dei pesi nei gavoni. Ci riuscirà alla grande, anche
grazie alla mia totale mancanza di esperienza di carico del nuovo kayak. Rimango
interdetto a lungo ma cerco di ricordare il più possibile della sistemazione che mi
propone. Dopo la foto ricordo obbligatoria,
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carico il kayak sull’auto e mi congedo. Domattina alle 6 inizia l’imbarco sul
traghetto e la cosa che mi preoccupa di più è trovare un parcheggio gratuito vicino
al porto dove posteggiare l’auto fino al mio ritorno. Mi devo muovere. Durante il
viaggio mi sento telefonicamente con Giacomo Della Gatta, un esperto kayaker che
ho conosciuto su internet tramite il suo sito www.kayakexplorer.com e che nel 2006
compì la circumnavigazione della Corsica in solitaria. Mi darà preziose informazioni
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su quello che mi aspetta e per questo lo ringrazio tantissimo. Finalmente sono
pronto. Che l’avventura abbia inizio.
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25 LUGLIO: LO SBARCO
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Sono le 5 quando mi sveglio di soprassalto. Sono in auto, coperto dal sacco a pelo,
sdraiato alla men peggio su entrambi i sedili anteriori. Ho dormito poco e male,
tanto quanto basta però ad affrontare l’atteso giorno della partenza. Sono in un
parcheggio a strisce bianche a qualche centinaia di metri dall’ingresso turistico del
porto di Livorno.
Tra un’ora inizia l’imbarco e devo preparare il kayak senza scordare
ASSOLUTAMENTE NULLA! Il rincoglionimento mattutino mi farà dimenticare di
mettere il carrello sotto il kayak prima di caricarlo. Mi ritrovo con una quintalata di
kayak da sollevare. Ci riesco non si sa come. Mi ricordo di alcuni consigli di Federico
e riesco a fare a meno delle ingombranti sacche stagne da 20l e a fare entrare tutto
nei gavoni. Chiudo l’auto dopo l’ultima controllata.
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Mi avvio carico a ciuccio verso il gate. Rivedo le solite facce allibite dei controllori
all’ingresso, come a Civitavecchia. L’imbarco scivola liscio come l’olio. Il kayak viene
sistemato proprio a ridosso del grosso portellone.
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Si salpa. La terra ferma scompare piano piano all’orizzonte.
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Il viaggio dura su per giù 4 ore. Poco prima dell’arrivo, salgo sul ponte della nave e
guardo dal vivo, per la prima volta, l’isola che dovrò girare per intero: la Corsica.
La stratigrafia in foto è tipica dell’isola francese: mare, monti, nuvole e cielo.
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La nave entra in porto
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ed io mi affretto a raggiungere il garage più basso non appena vengono sbloccati gli
accessi. Sono un po’ emozionato. Col kayak a traino metto il primo piede sulla terra
corsa e percorro qualche centinaio di metri, fino al porticciolo turistico di Toga,
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incuriosito da tutto quello che ho attorno. Quando arrivo, trovo subito lo scivolo
e posso così iniziare le operazioni preliminari alla discesa in acqua. Vedendo proprio
lì vicino un noleggio nautico, decido di chiedere il favore di tenermi l’ingombrante
carrello per i giorni seguenti, fino al mio ritorno. La signorina al front-end è molto
cortese e acconsente senza esitazioni. Mi avviserà di non passare a riprenderlo di
sabato pomeriggio o di domenica perché il noleggio è chiuso. Non so di preciso in
che giorno completerò il tour ma non ho altra scelta; devo lasciarlo comunque.
Alle 14 la preparazione del kayak è completata
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e dopo essere uscito dal porto,
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prendo il largo nel mar di Corsica.
Il cielo è coperto ed il verde dello scisto incute quasi paura per quanto è intenso e
profondo. Sono accompagnato da un comodissimo scirocco al giardinetto che mi
spinge da dietro obbligandomi però ad una maggiore attenzione nella pagaiata.
All’altezza di Grigione, vengo accolto da un bellissimo sorriso in SUP (Stand Up
Paddle) che non posso fare a meno di fotografare…
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Proseguo baldanzoso e faccio la prima sosta, per sistemare meglio qualcosa nei
gavoni, a Miomo.
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La seconda invece la effettuo a Lavasina,
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dove tocco con mano i prezzi della Corsica: acqua e birra da 25cc 9€, diconsi N - O -
V - E - E - U - R – I!!!!!
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Per un attimo la mano si ritrae ma poi sorrido falsamente e pago. Capisco in
quell’esatto momento che non potrò, come in Salento e Sardegna, bere una birra
fredda ad ogni fermata. Pazienza.
Percorro ancora un miglio e sono nel porticciolo di Erbalunga,
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dove mi colpiscono le abitazioni costruite praticamente sul mare.
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La costa diventa man mano più selvaggia.
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Mi sto avvicinando, miglio dopo miglio, all’estremità nord di Capo Corso, famoso
proprio per la sua costa frastagliata e a picco sul mare.
Sono consapevole del fatto di aver dormito pochissimo e di essere stressato dal
lungo viaggio; non voglio strafare e decido di fermarmi per la notte, dopo soli 18km
navigati, a Marina di Pietracorbara. Ci arriverò intorno alle 18:30. E’ l’ora di cena ed
è anche l’ora di sperimentare la nuova ricetta del trekking: polenta e ragù pronto!
Tiro fuori stuoia, fornello, gavetta e chi più ne ha più ne metta, fino a che la padella
non partorisce la creatura. Nasce così una polenta prelibatissima (forse per via della
fame) che divorerò senza fretta sulla spiaggia.
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Stanchissimo per la giornata intensa appena trascorsa e appesantito dal lauto pasto
non mi rimane che montare la tenda e sdraiarmici dentro. Il resto verrà da sé. Facile
a dirsi ma difficilissimo a farsi quando la tenda è nuova ed è la prima volta che la
monti. Dopo una mezz’oretta passata a infilare i picchetti più in fondo possibile,
capisco che i micro picchetti in super lega di alluminio della mia nuova tenda non
servono a un cazzo sulla sabbia morbida. Ma tant’è. Li devo usare per forza. Non ho
alternative. O meglio: troverò un’alternativa ma non adesso. Sono troppo stanco.
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Il risultato alla fine non è malaccio.
Va a farsi benedire anche quella mezza intenzione di registrare con l’iphone il diario
della giornata. Lo farò domani. Chiudo gli occhi e, con grande emozione, ripenso ai
momenti più belli della giornata e mi addormento per la prima volta sul suolo corso.
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26 LUGLIO: IL GIORNO DEL GIUDIZIO
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Alle 6 in punto parte “Sul bel Danubio blu” di Strauss. Tutto l’inverno a pensare alla
sveglia più adatta per il trekking e adesso, sta suonando davvero. Le astronavi di
“2001: Odissea nello Spazio” danzano nella mia testa. E’ chiaro: sto ancora
dormendo! Passano 10 minuti fino a quando mi sveglio fisicamente. Esco dalla
tenda
e mi preparo alla prima colazione, intesa proprio come prima colazione del trekking.
Inizio a ragionare dopo aver fatto il primo sorso alla tazza di caffè. Preparo il latte in
polvere nel pentolino. Cacao, cascata di cereali e frutta secca. Non dimentico nulla,
nemmeno le proteine in polvere. Una lavata ai denti e rimetto tutto nel kayak. Il
tuffo rigenerante prima di tirare il kayak in acqua e si parte. Purtroppo la giornata è
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uggiosa.
Lo scirocco però è piacevole. Inizio subito a giocare con le onde. Alla mia sinistra le
rocce di scisto sono davvero bellissime.
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Arrivo, giocando giocando, a Porticciolo,
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Un paesino sormontato da una torre di avvistamento genovese mezza diroccata,
dove sventola la bandiera corsa;
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Di un bianco e nero che, da lontano, ricorda un po’ la bandiera dei pirati. Più avanti
capisco che le costruzioni sul mare che ho incontrato ieri non sono affatto
un’eccezione in Corsica...
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Con questa casa si saranno spinti un po’ oltre... Di tanto in tanto il sole fa capolino
tra le nuvole.
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Faccio un giretto nel porticciolo di Santa Severa.
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Mi incuriosisce un baretto all’aperto con copertura in fico.
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Bello! Proseguendo, intravedo a riva una moto d’acqua semi-distrutta che galleggia
tra le alghe.
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Mah... Alle 10:30 supero il braccio del porto di Macinaggio
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e fermo il kayak sullo spiaggione vicino.
Mi raggiungono dei signori con cui mi intrattengo per un po’ rispondendo a tutte le
loro domande sul kayak. Gli chiedo se in paese c’è un supermercato (supermarché
dicono loro) vicino e mi indicano la strada per arrivarci. Lungo la strada sento un
odore paradisiaco di pane appena sfornato. Dopo un minuto di orologio esco dal
panificio con due baguette lunghissime. Nel supermarchè faccio incetta di formaggi
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e salumi per comporre quel panino che il mio cervello sta immaginando, in preda a
convulsioni da fame, dal momento in cui ho messo le baguette sotto il braccio.
Quando ritorno in spiaggia può iniziare il banchetto.
A pancia piena proprio non mi va di pagaiare e ripartirò solo un paio d’ore più tardi.
Nel frattempo il vento è girato e il cielo minaccia addirittura pioggia.
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Ho sbagliato ad interrompere la navigazione con vento favorevole per così tanto
tempo e vengo ulteriormente punito con un cambio di vento sfavorevole e con un
peggioramento delle condizioni meteo. Imparo la lezione ma intanto mi tocca
pagaiare e anche in fretta se voglio girare Capo Corso.
Non tolgo gli occhi dal cielo per parecchio tempo, fino a quando, fortunatamente, i
nembostrati non si allontanano.
Poco più in là scorgo l’isola di Finocchiarola
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e decido di fare un giretto da quelle parti. Finocchiarola, insieme alle altre due
isolette vicine, fa parte di una riserva naturale protetta. Se mi giro a destra vedo
nuvolacce cariche di pioggia, se mi giro a sinistra vedo il cielo sgombro.
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Significa che la perturbazione, spinta dal maestrale, si sta allontanando. Il sereno-
variabile mi accompagnerà fino a Torre S. Maria,
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dove mi fermo per ammirarla da vicino.
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Riparto e navigo in un mare turchese che delizia la mia vista.
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Atterro, poco più avanti, su Cala Francese. Quando cerco di ripartire dalla battigia
sento uno strano rumore proveniente dalla parte posteriore del kayak. Alle prime
pagaiate mi accorgo che qualcosa non va: il kayak è troppo manovrabile per avere
lo skeg fuoriuscito. Riatterro sulla spiaggia e guardando a poppa non vedo più lo
skeg. Deve essersi staccato durante la ripartenza, forse perché insabbiato. Inizio a
ravanare nella sabbia finchè non lo trovo, con il cavo d’acciaio troncato di netto.
Quello che temevo è successo davvero. Sapevo di avere lo skeg bloccato e col cavo
semitranciato ma se volevo fare questo trekking dovevo tenermelo così, non
avendo tempo per farmene spedire uno nuovo e sostituirlo. Una pazzia lo so, ma
non avevo scelta. Ora non so proprio come proseguire. Senza skeg è impossibile
navigare nel mare ventoso di Corsica. Il kayak non avrebbe la necessaria
direzionalità in caso di vento forte al traverso. Una signora e il marito poi,
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vedendomi armeggiare per tanto tempo vicino al kayak, si avvicinano per chiedermi
cosa sia successo. Sono francesi e devo parlare per forza in inglese. Mi danno una
mano a sollevare il kayak per guardare meglio l’alloggiamento dello skeg. Alla fine
trovo l’unica soluzione provvisoria attuabile. Bloccare lo skeg in una posizione
intermedia con un pezzetto di legno ad incastro. Roba alla Mc Gyver! Il problema è
che ad ogni atterraggio o ripartenza lo skeg ritornerà dentro e dovrò chiedere a
qualcuno il piacere di tirarlo fuori con l’accortezza di non far venir via il pezzetto di
legno. Una cosa dell’altro mondo! Mi obbliga persino a non atterrare in spiagge
deserte. Sono disperato. Forse sarebbe meglio lasciar perdere e tornare a casa. Ad
un certo punto viene fuori il mio solito ottimismo. Penso che se mi applicherò
riuscirò a trovare un’altra soluzione più pratica per concludere il giro dell’isola.
Come non lo so ma ci riuscirò! Con lo skeg bloccato dal pezzetto di legno, entro nel
kayak ad una distanza da riva tale da non far toccare lo skeg sul fondo sabbioso.
Ricorro ad un poderoso appoggio sulla pagaia, adagiata sul fondo, per mantenere
l’equilibrio e mi infilo dentro. La manovra riesce perché non c’è molta onda. Ma in
caso di frangenti risulterebbe impossibile da eseguirsi. Decido di non pensarci per
non demoralizzarmi ulteriormente. Percorro 2 km e mezzo. Arrivo nei pressi di
Torre dell’Agnello. Mentre giro attorno ad un gruppo di scogli affioranti, tiro fuori la
fotocamera dalla custodia per fare una foto. La pagaia viene colpita da un’onda e
colpisce a sua volta la mia mano facendo cadere la fotocamera in acqua. La vedo
scomparire nel blu. Tutte le foto fatte sino a quel momento scomparse assieme alla
fotocamera. Voglio sprofondare anche io. Non c’è più nulla da fare: si ritorna a casa,
vorrei dire. Invece registro la mia posizione sul gps. Vedo più avanti due gommoni
affiancati, ancorati sul basso fondale. Li raggiungo e chiedo alle persone a bordo se
possano aiutarmi a recuperare la fotocamera. Sono italiani e dei due uomini a
bordo, uno fa finta di nulla e l’altro mi dice di avere problemi nella compensazione.
Mi indicano però una spiaggetta minuscola più avanti dove fermarmi. Con la forza
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che solo la disperazione può dare, raggiungo e fermo il kayak sulla spiaggetta.
Prendo la maschera e mi avvio a nuoto verso il gruppo di scogli ad una estremità
della baietta. Saranno su per giù 400 metri. Porto con me il gps. Nuoto, nuoto,
nuoto. Nuoto in un mare infestato da piccole meduse marroni dall’aspetto per nulla
rassicurante. A circa metà strada, ce ne sono così tante che devo percorrere ampi
tratti sott’acqua per evitarle. Arrivo esausto nei pressi del gruppo di scogli. Guardo il
gps e vedo che sullo schermo ci sono scritte incomprensibili. Controllo lo sportellino
della porta usb e lo vedo aperto. E’ entrata acqua. Fuori uso anche il gps. A questo
punto non so chi mi da la forza di mettermi a cercare la fotocamera. Mi immergo
più volte fino a quando non la vedo, a quattro metri di profondità, adagiata su uno
scoglio. In un attimo sono sul fondo e la afferro. Quando riemergo, mi sento
chiamare da due persone su uno dei due gommoni incontrati prima. Mi fanno cenno
di avvicinarmi per un passaggio fino al kayak. Farò così. Li ringrazio e, arrivato
vicino a riva, li saluto e scendo. Scuoto il gps facendo uscire l’acqua dallo sportellino.
Provo a riaccenderlo e, con mia grossa sorpresa, scopro che funziona ancora!!! Un
po' di culo! Riprovo la stessa manovra di ingresso nel kayak in acqua alta,
riuscendoci. Mi lascio alle spalle quel posto terribile con un nodo alla gola. Vedo
nero il passato ma ancora più nero il futuro. Non mi rimane che il presente, in cui mi
immergo pagaiando. Pagaierò incessantemente e l’unica cosa che mi darà conforto
sarà pensare a come aggiustare lo skeg. Mi viene in mente un’idea ma nel
frattempo sono arrivato nei pressi di Barcaggio e devo decidere se fermarmi o no.
Sono le 18. Fermo il kayak sullo scivolo del piccolo porto
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ed entro in un bar poco distante per esorcizzare questa giornata maledetta non con
una ma con due birre ghiacciate!
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Fanculo la sfiga!
Di fronte a me l’Isola della Giraglia. A questo punto decido di girarmela tutta
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e di fermarmi poi sulla spiaggia vicina. Mangio la baguette comprata a Macinaggio
con i salumi rimasti e cerco conforto nel bel tramonto.
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Non voglio pensare a nulla e vado a letto prestissimo. Domani il sole sorgerà anche
per me.
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27 LUGLIO: DISCESA VERSO SAN FLORENT
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La sveglia delle 6 mi ricorda che è un nuovo giorno. Quando esco dalla tenda il sole
ancora non c’è.
Fa molto freddo e ho bisogno di indossare due felpe per difendermi dall’aria
pungente del mattino. Le temperature non sono quelle della Puglia. Mi trovo a circa
200 km più a nord. Tornerò alle latitudini della mia terra quando arriverò nei pressi
di Bonifacio, all’estremo sud dell’isola. Faccio colazione ma il pensiero è altrove.
Penso e ripenso a come riparare quel dannato skeg. Me la prendo abbastanza
comoda per non rischiare di dimenticare quelle piccole cose che mi sono promesso
di fare. Nel frattempo arrivano in spiaggia le due coppie di ragazzi che ho incontrato
la sera prima. Hanno dormito in due tende imboscate nella macchia dietro la
spiaggia. Me ne accorgo solo ora. Sono contento; un po’ di compagnia non mi
dispiace affatto.
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Prima di ripartire svuoto il pozzetto dall'acqua imbarcata durante l'atterraggio della
sera prima. Mi accorgo solo in questo momento che la pompa non funziona. La
guarnizione in gomma si è distaccata dallo stantuffo! L'interno della pompa non è
accessibile e sono costretto a smettere ogni tentativo di ripararla. Le imprecazioni
volano e si perdono nella brezza mattutina. Nella malaugurata ipotesi di un
ribaltamento del kayak sarò costretto ad atterrare per svuotare manualmente il
pozzetto. Ci mancava solo questo!
Quando riparto il sole è già alto sull’orizzonte. Il mare è mosso e ho bisogno dello
skeg per tenere la rotta con lo scirocco al mascone. Ma come farlo uscire? Le onde
mi impediscono di salire sul kayak dove l’acqua è profonda abbastanza da non far
toccare lo skeg sul fondo. Chiedo allora aiuto ad uno dei due ragazzi. Mi tocca
spiegargli in inglese come tirarlo fuori e bloccarlo col pezzo di legno nella posizione
ottimale. Un casino! Alla fine ci riesce e per questo lo ringrazio tantissimo. Quando
lascio la spiaggia è tardissimo e mi tocca pagaiare energicamente per recuperare un
po’ di tempo.
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Il mare si gonfia e non mi dà tregua fino all’arrivo, intorno alle 11, al porto di Centuri,
dove mi fermo per riposarmi e mangiare qualcosa.
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Parcheggio il kayak in posizione tale da non far toccare lo skeg sul fondo e lo fisso
con delle cime alla banchina. Mi viene la febbre a pensare di doverlo fare ad ogni
sosta. Fino a che non lo riparo però, non c’è alternativa. Dopo un’oretta riparto,
fiancheggiando il vicino isolotto
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e dirigendomi a sud. Il mare è sempre più incazzato!
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Quando il sole fa capolino tra i bianchi nuvoloni che coprono la terra ferma, i riflessi
sullo scisto bagnato sono accecanti.
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Fotografo tratti di costa bellissimi
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prima di arrivare all’Anse d’Aliso.
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Proseguo lungo la costa
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fino ad arrivare alla Marine de Scalo ,
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dove mi lego ad una boa
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per leggere le previsioni meteo con lo smartphone, approfittando della copertura
3G nel centro abitato.
Doppio Punta Minervio
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e mi godo un panorama fantastico dove la costa altissima e rocciosa sovrasta un
mare blu cobalto.
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Arrivato a Marina di Giottani, entro nel porticciolo turistico
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e fermo il kayak sulla rampa di sbarco dei gommoni.
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Sono le 16 e ho una fame da lupi. Ordino un panino al bar vicino e completo il pasto
con cereali e frutta secca che stuzzico mentre consulto la mappa geografica del
tratto che mi rimane da percorrere.
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Riprendo il mare un’ora più tardi,
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doppiando prima Punta di Canelle, il punto più a ovest di Capo Corso, e
costeggiando poi gli enormi spiaggioni di sabbia scura di Albo
e Nonza.
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Incastonati nella roccia e illuminati dalla calda luce del sole al tramonto, dei
caseggiati abbandonati svettano sulla costa frastagliata.
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Poche miglia mi separano da Marine de Farinole, dove si trova la spiaggia che ho
prescelto per la sosta notturna. Quando la scorgo all’orizzonte,
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ho percorso più di 40 km e nonostante ciò, quasi mi dispiace di interrompere la
navigazione lungo questa costa meravigliosa. La spiaggia è lunga e larga.
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Mentre mi preparo una deliziosa polenta con funghi porcini, il ristorante vicino inizia
a riempirsi di gente. Gli schiamazzi dei turisti mi accompagneranno fino a sera
inoltrata. E’ stata una giornata dura ma bellissima, carica di immagini e ricordi
indelebili. Durante le lunghe pagaiate ho pensato e ripensato al sistema da adottare
per estrarre lo skeg durante la navigazione. Sono ottimista. Riuscirò a risolvere il
problema! Il giorno del giudizio è solo un brutto ricordo. Posso addormentarmi col
sorriso.
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28 LUGLIO: BLOCCATO NEL DESERTO
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Un tranquillo risveglio mi permette di sbrigare le faccende mattutine con calma.
Dopo aver preparato il kayak per la discesa in acqua, sono così rilassato e ottimista
che decido di cimentarmi nella grande impresa a cui penso da giorni: la riparazione
dello skeg; anche perché non ci sono persone in spiaggia e l’onda frangente sul
litorale mi impedisce di farlo fuoriuscire da solo. Con la punta affilata di un attrezzo
multiutensile che porto con me nel kayak, pratico un forellino nella parte centrale
dello skeg e ci faccio passare un filo di nylon per la pesca. Il filo abbraccia la coda del
kayak ed è collegato tramite una girella ad un cordino che arriva fino al pozzetto.
Con questo sistema dovrei riuscire in teoria, tirando il cordino, a provocare la
fuoriuscita dello skeg. Emozionato e preoccupato allo stesso tempo per la buona
riuscita dell’operazione mi accingo a fare la prima prova. Con mia grande sorpresa il
sistema funziona davvero! Lo provo altre volte per sicurezza ma il risultato è sempre
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lo stesso: funziona! Contento come un bambino metto il kayak in acqua e parto alla
volta di San Florent.
Percorro il bellissimo tratto di costa fino a San Florent, dove la scogliera di scisto a
picco sul mare degrada piano piano lasciando il posto a rocce calcaree di diverso
colore.
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Qualche bunker, residuo bellico della seconda guerra mondiale, è ancora visibile
lungo la costa.
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Capisco di essere vicino a San Florent quando vedo i primi villaggi turistici lungo la
costa.
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Subito prima del porto, vengo colpito dalle caratteristiche costruzioni sul mare della
cittadina corsa,
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dove per fare un tuffo in acqua è sufficiente buttarsi dalla finestra! Sono quasi le 10
quando arrivo al porto di San Florent.
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La città mi appare in tutta la sua sfolgorante bellezza.
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Dopo un rapido giro all’interno del porto, decido di volgere la prua verso la baia
attigua. So di avere la famosissima Plage de Loto a portata di pagaia e non vedo
l’ora di raggiungerla. Mi fermo sul lato ovest della baia, dove si trova il camping
Acqua Dolce.
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Tiro fuori il pannello solare per ricaricare le batterie e mi avventuro nell’interno per
cercare un punto di ristoro. Nel bar del campeggio compro un panino e faccio
rifornimento d’acqua. Al ritorno in spiaggia non credo ai miei occhi: il mare si è
agitato all’inverosimile per un vento improvviso e violento. Con la stessa velocità
con cui è apparso scompare però, permettendomi di ripartire dopo poco. Costeggio
la baia e raggiungo il faro di Fornali.
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Il mare è limpido e, dove il fondale è sabbioso, assume quel caratteristico colore
turchese.
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La fine della baia è segnata dalla presenza di una bellissima e scenografica torre
genovese mezza diroccata.
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La supero e percorro tratti di costa meravigliosi. Il mare assume tutte le tonalità
cromatiche, dal verde all’azzurro.
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Quando mi giro rivedo Capo Corso, il dito della Corsica, che ho appena lasciato. Lo
guardo con un pizzico di nostalgia; si erge in tutta la sua maestosa bellezza,
incorniciato dal profilo alto e imponente delle catene montuose a picco sul mare.
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Un rapido confronto della mia posizione sulla mappa del GPS e sulla cartina
geografica mi dà vicinissimo alla spiaggia che fremo di conoscere da prima che
partissi per questo folle tour: la Plage de Loto. Ed eccola avvicinarsi alla mia prua,
con la sua candida e finissima sabbia. Il fondale basso mi accompagna dolcemente
fino all’approdo. Il sole va e viene. Tra i bagnanti che mi guardano incuriositi, cerco
la prospettiva migliore, aspetto il momento più propizio e la luce più intensa, per
scattare la foto che immortalerà per sempre, nei miei ricordi, la bellezza di questo
angolo di paradiso. Eccola.
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Devo ripartire, il tempo sta cambiando. Ho paura che ricomincino le raffiche che
hanno spazzato la baia di San Florent durante il mio passaggio. Il vento da ovest è
sempre più teso e cerco riparo sotto la costa alla mia sinistra. L’obiettivo è quello di
girare Punta di Curza prima possibile. Non riesco a vedere le condizioni del mare
oltre la punta. Devo arrivarci per rendermi conto che il vento mi impedisce
addirittura di girare la prua del kayak. Non posso avanzare, è troppo pericoloso.
Ritorno indietro e ripiego sulla più vicina spiaggia che trovo: un lembo di sabbia
grossa e bianca su cui atterro percorrendo un improbabile corridoio tra le punte
aguzze degli scogli affioranti.
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Controllo la mappa satellitare sullo smartphone e scopro di essere nel Deserto delle
Agriate. Una distesa di arbusti bassi e fitti che si estendono a perdita d’occhio.
Lascio il kayak riponendo tutta l’attrezzatura all’interno e chiudendolo poi col
copripozzetto. L’intenzione è quella di allontanarmi un po’ per capire in che cavolo
di posto mi trovi. Percorro un sentiero in terra battuta. Il lontano ronzio di un
gruppo elettrogeno mi anticipa la presenza di un chiosco improvvisato nella
macchia. E’ l’occasione buona per farsi un panino mi dico. Un panino nel deserto! E
quando mi ricapita!? Me lo porta a passo svelto una ragazza. E’ scalza, ha i piedi neri
della terra che calpesta ed un sorriso candido. Il tavolo dove siedo ha l’affaccio
diretto sulla spiaggetta col kayak e la veduta panoramica su Capo Corso.
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Rimango a guardare il mare increspato con la speranza che il ponente cessi quanto
prima. Le raffiche sono violente. Le fronde degli alberi si piegano sotto la spinta del
vento. Rimarrò bloccato per tutto il pomeriggio. Alla fine desisto dall’idea di
ripartire e mi preparo a passare la notte sul fazzoletto di spiaggia dove sono
atterrato. Con i picchetti lillipuziani che ho sarà davvero difficile montare la tenda
col vento. Devo trovare una soluzione. Mi viene l’idea di utilizzare delle canne di
bambù come picchetti e di assicurarle sul fondo con delle grosse pietre. Il sistema
funziona e riesco ad ancorare perfettamente la tenda a terra.
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Il mare è a pochi passi e mi incute timore. Potrebbe raggiungere la tenda in caso di
mareggiata. Ma la spiaggia è così piccola che non mi permette di allontanarmi di
più. La notte si avvicina e non si preannuncia affatto tranquilla.
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29 LUGLIO: 2° GIORNO NEL DESERTO
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Il rumore della pioggia sulla tenda mi sveglia più volte durante la notte. Esco per
controllare se sono ancora a distanza di sicurezza dal mare. Mi riaddormento ma il
sonno non è mai tranquillo. Al mattino ancora piove. Rimango in tenda fino a
quando spiove. Fa un freddo boia e tira vento. Devo coprirmi con tutto quello che
ho. Intorno a me il silenzio più totale. Il chiosco è ancora chiuso. Non c’è nemmeno
l’ombra di un essere umano. Inizio il rito della colazione che a sto punto, è l’unica
nota positiva della giornata appena iniziata. Ormai sveglio, realizzo che l’unica cosa
da fare assolutamente è spostarmi su una spiaggia più grande. Sulla mappa
satellitare scorgo, a poche miglia, dietro la Punta di Curza, una spiaggia che fa al
caso mio: la Plage de Saleccia. Nell’interno vi è un campeggio ma non so di preciso
dove sia ubicato. Date le condizioni meteo non ho fretta. Il mare è al limite della
navigabilità. Se riesco ad arrivare sarò davvero bravo, mi dico. Alle 10 sono in acqua.
Ripercorro per la terza volta lo stesso tratto di mare sperando che questa sia la volta
buona. Quando arrivo in punta vengo investito dalle stesse violente raffiche di ieri.
Ricorro a continui appoggi con la pagaia per alzare e girare la prua del kayak. E’
un’impresa titanica. Alla fine ci riesco e mi ritrovo il vento in faccia. In pochi secondi
sono completamente bagnato. Mi curvo in avanti per offrire meno resistenza al
vento. Più volte rischio di farmi strappare la pagaia dalle mani. La vedo nera ed
inizio ad aver paura. Davanti a me c’è un gruppo di scogli. Scelgo la strada più breve
passando nel giardino di roccia a sinistra ma dopo pochi metri capisco subito che
non c’è abbastanza fondo e rischio seriamente di incagliarmi. Sono costretto a fare
una manovra di emergenza per ritornare indietro e girare gli scogli dall’altro lato.
Proseguo e finalmente alla mia sinistra appare la lunghissima Plage de Saleccia. I
frangenti sulla costa mi incutono timore e così scelgo di proseguire, quasi in attesa
del coraggio di atterrare. Arrivo alla punta più lontana della spiaggia. Non posso più
aspettare. Prendo coraggio e mi lancio in un mezzo surf che mi sbatte con violenza
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sulla riva. Esco rapidamente dal kayak e lo tiro in secco con tutte le forze. Ce l’ho
fatta.
Passo la mattinata in spiaggia. Attorno a me pochissimi bagnanti, intirizziti dal
freddo. Il cielo si fa grigio plumbeo
e alla fine viene anche a piovere. Nel primo pomeriggio mi cucino qualcosa al riparo
nella macchia.
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Lascio il kayak in custodia ad una famiglia italiana che ho conosciuto in spiaggia e
mi dirigo verso il camping “U Paradisu”. Passo per un acquitrino maleodorante,
percorro un sentiero sterrato, supero una radura con dei camper parcheggiati e
arrivo all’ingresso del campeggio. Faccio finta di essere un campeggiatore e mi
dirigo spedito verso i bagni.
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Riempio la borsa d’acqua e mi faccio la barba.
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Poi vado al bar e mi gusto una birra media alla spina. Metto a ricaricare le batterie
stilo del GPS e ritorno in spiaggia. Alle 17:30 apre il market e puntuale ritornerò nel
camping per acquistare frutta fresca, che non mangio da quando sono partito, e
delle ricariche per il fornelletto a gas. Si alternano schiarite e rovesci. Alla fine un
maestoso arcobaleno riempie la mia vista.
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E’ il tramonto e non avendo nulla da fare, mi dedico alla fotografia. Cerco qualche
bello scorcio da immortalare.
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La spiaggia si svuota. Rimaniamo solo io e qualche gabbiano. Monto la tenda in un
buco riparato sotto degli arbusti.
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Vengo assalito da nuvoli di zanzare che cercano di pungermi in ogni dove. Resisto.
Mi distendo sul materassino per nulla stanco ma con una voglia incredibile di
rialzarmi e ripartire di buon mattino. La media di km percorsi è davvero bassa. Di
questo passo finirò il giro dell’isola in tempi biblici. Devo fare i conti col meteo però,
che anche per domani non porta niente di buono. Vedremo.
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30 LUGLIO: ROBINSON CRUSOE
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Mi sveglio intirizzito dal freddo. Durante la notte la temperatura è scesa
vertiginosamente e ho battuto i denti dal freddo. Mi sono rannicchiato in posizione
fetale per non disperdere calore ma è servito a poco. Il sacco a pelo estivo, l’unico
che ho portato, è assolutamente inadeguato a temperature così basse. Se capiterà
ancora una notte così gelida dovrò fare in modo di avere il telo asciutto in tenda a
portata di mano per usarlo come coperta. E’ l’unica soluzione praticabile. Fuori
albeggia. Il cielo è grigio ed il mare ancora incazzato. Decido di recuperare il sonno
perso per il freddo continuando a dormire ancora un po’. Quando mi sveglio
pioviggina. Gli arbusti sopra la tenda sono un buon riparo. Mentre faccio colazione
vengo avvolto da un nuvolo di zanzare e sono costretto a cospargermi gambe e viso
col repellente. Riusciranno comunque a pungermi.
In spiaggia ci sono solo io. Dopo aver finito la colazione chiudo la tenda e mi
incammino verso il campeggio. Vado in bagno per recuperare un aspetto più umano
e poi al bar per riprendere la batteria che ho lasciato a caricare tutta la notte.
Quando ritorno in spiaggia ho già le idee chiare; nonostante le condizioni meteo
proibitive, decido di lasciare Plage de Saleccia e raggiungere Plage de Trave,
distante solo pochi km. La vicinanza del campeggio è una comodità non da poco ma
non mi va di passare un'altra notte nello stesso posto. Alle 11:15 salpo. Man mano
che avanzo la costa si fa più bassa e mi espone al forte vento proveniente dal
quadrante nord-occidentale. Avanzo a fatica tra onde altissime e un vento teso e
costante che non mi dà tregua. Quando intravedo Plage de Trave mi preparo allo
sbarco cercando il tempo giusto per atterrare senza essere travolto dai frangenti.
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La prua tocca terra alle 12:15. Mi guardo attorno: ci sono solo io.
La spiaggia è desolata e stupenda. Ricoperta di sabbia fine e bianca. Disseminata di
canne e legnetti portati qui dal mare.
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Più dietro, vicino alla macchia, la spiaggia diventa un tappeto di piccole piante dalle
foglie acuminate, impossibile da calpestare a piedi nudi.
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Completato il giro perlustrativo, ritorno al kayak e decido di parcheggiarlo vicino ad
una curiosa costruzione di rami e canne intrecciate.
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La utilizzo subito per asciugare il telo da mare e la maglietta di lycra.
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Più tardi la utilizzerò per appendere il pannello solare e ricaricare le batterie fino al
tramonto.
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La sensazione è quella di ritrovarsi naufrago su un’isola deserta senza possibilità di
fuga. E devo dire che mi piace un sacco! Durante il pomeriggio vedrò qualche raro
viandante fermarsi in spiaggia, dopo aver percorso un sentiero sterrato poco
distante, e ripartire scomparendo nella macchia. L’idea di condividere la mia isola
deserta con qualcuno non mi piace affatto. Per un giorno voglio essere Robinson
Crusoe, senza nessuno tra le palle. Per tutto il pomeriggio percorro la spiaggia in
lungo e in largo cercando di intuire gli scorci più scenografici da fotografare quando
il sole sarà poco sopra l’orizzonte. Nel frattempo faccio qualche foto di
riscaldamento in vista dell’appuntamento col tramonto.
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Col sole a pochi gradi sull’orizzonte la spiaggia cambia aspetto e si veste di colori
caldi e intensi.
Aspetto il momento giusto, con l’onda che impatta lo scoglio e proietta l’ombra
dello spruzzo verso di me. Fotografo così il più bel tramonto visto in Corsica.
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Quando cala la sera, tiro il kayak fin dietro la spiaggia, a ridosso della macchia, per
passare la notte al riparo dal vento. C’è tempo per fare un ultimo scatto.
Sento degli strani rumori provenire dal sentiero dietro di me. Quando mi giro vedo
una mucca, stupita quanto me di non essere sola.
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Basta uno sguardo a entrambi per capire che nessuno vuol fare del male all’altro.
E’ la mia terza notte nel Deserto delle Agriate. Chiudo gli occhi pensando che
probabilmente sarà l’ultima; domani il tempo dovrebbe migliorare. Mi dispiace
lasciarlo, nonostante mi abbia fermato qui per quasi tre giorni. Probabilmente,
penso, lo ha fatto solo per mostrarmi la sua intima e selvaggia bellezza.
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31 LUGLIO: PASSAGGIO PER ILE ROUSSE
Quando esco dalla tenda mi accoglie finalmente una bella giornata!
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La mattinata scivola veloce. Ci siamo solo io ed un gabbiano. Non vedo più la
mucca. Dopo due ore dal risveglio sono già in acqua.
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Prima però sono costretto a sostituire il filo di nylon che sostiene lo skeg, tranciato
di netto dopo l’atterraggio violento del giorno prima. Purtroppo l’esiguo diametro
(0.40mm) fa sì che il filo si spezzi facilmente nei punti in cui sfrega tra skeg e scafo.
Non posso farci nulla, non ho un filo più spesso; dovrò comprarlo in un negozio di
pesca nel porto più vicino.
Inizio la navigazione con pochissimo vento ma con una divertente (almeno per ora)
onda lunga.
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Godo all’inverosimile mentre alla mia sinistra sfilano paesaggi di rara, bucolica
bellezza. In poche ore percorro le stessa miglia che ho percorso nei due giorni
precedenti. Man mano che avanzo, l’onda lunga diventa sempre più insidiosa,
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rompendosi persino in prossimità di scogli sommersi. Devo stare quindi attento ad
individuarli con sufficiente anticipo per modificare in tempo la rotta. Dopo tre ore di
navigazione mi lascio alle spalle il Deserto delle Agriate e mi avvicino alla famosa
Plage de Ostriconi.
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Decido di atterrare in surf sulle onde lunghe che si frangono a riva.
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Mi fermerò solo un quarto d’ora. Alla ripartenza il mare è ancora più grosso e vengo
colpito da un’onda enorme che mi strappa la sacca stagna dagli elastici sulla coperta
dietro il pozzetto. Me ne accorgerò dopo un po’ e dovrò tornare indietro per
cercarla. Fortunatamente l’ha presa un bagnante che ora, vedendomi, mi raggiunge
a nuoto e me la restituisce.
Continuo la navigazione costeggiando lo spiaggione di Lozari
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e dirigendo poi la prua verso la famosissima località turistica di Ile Rousse.
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Sembra di essere alla Terza Spiaggia di Golfo Aranci in Sardegna!!! L’acqua è
meravigliosa: turchese e trasparentissima. La spiaggia di fronte a me è zeppa di
asciugamani e ombrelloni. Atterro e tiro in secco il kayak in un minuscolo corridoio
di spiaggia libera.
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Lo spettacolo è incredibile! Ile Rousse ha la fama di essere uno dei più bei posti della
Corsica. Ora capisco il perché! Alla mia sinistra c’è il porto e più avanti l’Isola Rossa,
collegata a questo tramite un istmo di terra.
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E’ ora di pranzo e la fame, nonostante i prezzi proibitivi, mi spinge ad entrare in un
ristorante proprio sulla spiaggia, a poche decine di metri dal kayak. Quando entro
mi accorgo che è tutto pieno e la gente, a differenza mia, è vestita di tutto punto.
Affianco, noto un baretto che fa anche i panini e decido così di accontentarmi di un
panino all’odore di pollo a soli 6,50€!! Finito il panino, mi faccio indicare il più vicino
supermercato e lo raggiungo a piedi attraverso i bellissimi vicoli della cittadina
corsa. Lungo la strada mi fermo a comprare un secondo panino (con pollo vero
stavolta!). Saccheggio poi il supermercato di ogni genere alimentare commestibile
da un italiano e mi dirigo, carico di buste, verso il porto, dove spero di trovare un
negozio di pesca aperto. Non lo troverò.
E’ passata già mezz’ora da quando ho lasciato il kayak; quindi ritorno in spiaggia per
sistemare nei gavoni i viveri appena comprati. Tutto quello che non entra nel kayak
lo mangio all’istante, sotto gli sguardi allibiti dei vicini. Tra questi, un signore
svizzero che mi fa ogni sorta di domanda sul mio viaggio. Intenerito dalle condizioni
in cui ho scelto di trascorrere le vacanze, mi regala un altro picchetto, ovvero una
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canna di bambù uguale alle altre legate sulla coperta del kayak. Un gesto bello e
semplice che ho apprezzato tantissimo!
Quando riparto mi accorgo che si è rotto un’altra volta il filo di nylon che mantiene
lo skeg e sono quindi costretto a sostituirlo per l’ennesima volta prima di ripartire in
direzione del molo. La maledizione dello skeg è iniziata il secondo giorno del
trekking e ancora mi perseguita! Giro attorno all’Isola Rossa
e scopro con mia grossa sorpresa di avere un forte vento contrario.
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La velocità di avanzamento è troppo bassa e decido di atterrare sulla più vicina
spiaggia per aspettare che cessino almeno le forti raffiche di vento. Sono sulla
Spiaggia di Ghjunchitu: un ammasso di alghe in putrefazione dall’odore
nauseabondo. Ci rimango giusto un po’. Risostituisco per la terza volta il filo di
nylon dello skeg e prendo il largo in un mare al limite della navigabilità. Mi dimeno
per qualche miglio tra onde altissime e vento teso. Stanchissimo, riesco a girare
punta Vallitoni e scendere fino allo spiaggione di Algajola. Il problema dello sbarco
con onda lo risolvo alla kamikaze! Faccio un atterraggio di fortuna a cavallo di un
enorme frangente che mi trascina a riva con violenza esagerata. Esco dal pozzetto
stordito e tiro velocemente il kayak in secco.
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Sono le 19. Per oggi ne ho avuto abbastanza. Ceno col filoncino e lo svizzero
comprati ad Ile Rousse
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e mi godo, tra un morso e l’altro, il bellissimo tramonto.
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All’imbrunire monto la tenda e crollo per la stanchezza. Che giornata!
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1 AGOSTO: LO SPETTACOLO DI CALVI
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Ho dormito comodo, talmente comodo che non voglio più svegliarmi. Merito della
buona sagomatura del giaciglio che ho fatto prima di addormentarmi. Quando
suona la sveglia delle 6 sento di colpo il rumore della tenda sbattuta dal vento e il
forte sciabordio delle onde a riva. Comprendo che le previsioni del giorno prima,
che davano ancora libeccio forza 3-4, sono confermate. Spengo la sveglia e decido
di dormire un’altra mezz’oretta. Al successivo risveglio sento uno strano vocio fuori
della tenda. Incuriosito, esco. Vedo delle persone a qualche decina di metri da me,
armate di treppiedi e macchine fotografiche, che guardano tutte in una direzione. Io
però non vedo nulla. Mi avvicino ancora un po’ e scorgo un paio di gambe femminili
che fuoriescono dal bagnasciuga.
Sono nel pieno di un set fotografico all’aperto! La cosa non mi entusiasma affatto.
Mi accorgo di non poter fare la solita pisciata mattutina con lo sguardo rivolto al
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mare, ma devo accovacciarmi dietro la tenda come una femminuccia. La giornata
parte male.
Sento cambiare il vento, che ora inizia a spirare da est, proprio nella direzione che
dovrò percorrere. E’ un’occasione da prendere al volo! Smonto la tenda in un
battibaleno e preparo il kayak per la partenza, saltando addirittura la colazione. La
solita litigata con i frangenti a riva per prendere il largo e mi lascio lo spiaggione di
Algajola alle spalle. Per un po’ il vento mi spinge. Poi, quando sono vicino al Porto
della Marina di S. Ambrogio,
ritorna il solito cazzo di libeccio e sono costretto a fermarmi sulla spiaggia più
vicina. Faccio colazione con l’unico panino rimasto nel gavone e mi preparo ad una
lunga, difficile traversata nel Golfo di Calvi, per raggiungere l’omonima città.
Quando giro Punta Spanu, mi investe un vento tesissimo. Non riesco ad avanzare a
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più di 2 nodi. Per sei lunghi estenuanti chilometri lotto con onde alte più di 1 metro
che si frangono sulle fiancate del kayak e faccio una fatica enorme a mantenere la
direzione. Punto con la prua del kayak il promontorio di Calvi,
sul quale è arroccata la vecchia cittadella fortificata. La meta si avvicina
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e dopo due ore di folle pagaiata, ormai allo stremo delle forze, giungo finalmente in
vista della cittadella prima
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e del porto poi.
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Al riparo dalle raffiche impetuose, raggiungo in scioltezza la spiaggia.
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E’ stata la traversata più impegnativa da quando sono partito. Sono distrutto. Per
un’oretta rimango immobile come il pannello solare steso sul kayak. Mi affido al
sole per ricaricare le batterie. A meno che il vento non scada, la navigazione finisce
qui, almeno per oggi.
Il panorama è mozzafiato! E’ come stare a Portofino avendo dietro le Dolomiti.
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Mai visto niente del genere. E’ surreale per quanto è bello. “Ci rimarrò tutta la
giornata, dovesse pure cessare il vento” sentenzio.
Ad un certo punto non credo alle mie orecchie: sento vicinissimo il fischio di un
treno. Mi giro di scatto e vedo a 10m (diconsi dieci metri) dalla spiaggia un treno che
passa. “Ma dove cazzo mi trovo” esclamo! Ancora basito oltrepasso gli alberi dietro
la spiaggia alla ricerca della ferrovia. Quando la vedo ancora non ci credo;
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una ferrovia che passa a 10m dal mare, sopraelevata solo di un paio di metri e senza
nessuna protezione per i pedoni!
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Mai vista nella mia vita.
Chiudo tutta l’attrezzatura nel kayak e vado a saccheggiare il gigantesco
supermercato a soli 100m dalla spiaggia.
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Poi ritorno al kayak per riporre la spesa e mi dileguo nella città.
E’ bellissima!
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La percorro in lungo e in largo. Visito il porto,
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e le viuzze dietro il porto affollate di turisti che fanno shopping nei negozi.
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Compro dei nuovi infradito, incredibile ma vero, a soli 5€. Meno di un panino!
Riesco, con immensa gioia, a trovare un negozio di pesca dove compro il filo di
nylon più spesso che mi serviva per lo skeg.
Vado in un bagno pubblico dotato di tutti i comfort e immortalo l’indimenticabile
evento con un selfie!
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Mi perdo nella folla e per la prima volta mi sento un turista uguale agli altri.
Stanchissimo, poco prima del tramonto, ritorno, carico a ciuccio, dal mio compagno
d’avventura.
Non c’è più il sole in spiaggia.
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Aspetto ancora un po’ e davanti a me appare uno degli spettacoli più belli visti
finora. Il tramonto sul Golfo di Calvi.
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Il mare diventa rosso dei raggi di sole che rimbalzano sui monti. L’apoteosi! Rimarrò
incantato per una mezz’oretta buona, fino al calar delle tenebre.
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Dopo tutto quello che ho mangiato nel pomeriggio non ho bisogno di cenare e
quindi monto direttamente la tenda. Per la notte mi preoccupa un po’ la vicinanza
del centro abitato e il via vai di persone sulla spiaggia. Infatti ci vorrà un po’ di
tempo fino a che mi addormenti. Domani le previsioni sono buone e spero di
percorrere finalmente un lungo tratto di costa.
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2 AGOSTO: ATTERRAGGIO NOTTURNO ALLA SCANDOLA
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Mi sveglio dopo una notte travagliatissima, in cui me ne sono successe di ogni. Il
tipo che mi ha vomitato ad un passo dalla tenda facendomi sobbalzare al primo
conato di vomito. La coppia seduta sulla panchina poco distante che giocava a chi
scoreggiava più forte. L’ubriaco di turno che con tutta la spiaggia a disposizione
veniva a pisciare ad un metro dalla mia tenda. E dulcis in fundo il treno, che a soli
10m da me, quando passava sembrava ti stesse investendo in pieno! Le previsioni
negative della sera prima sono state tutte confermate: nottata di merda!
Quando esco dalla tenda è ancora molto presto e faccio in tempo a vedere il sole
sorgere dietro i monti della sponda opposta del golfo.
Il ricordo della notte appena trascorsa piano piano svanisce e lascia il posto
all’entusiasmo per questo nuovo giorno di pagaiata all’insegna del bel tempo.
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Faccio colazione col panino che avrei dovuto mangiare la sera prima. Guadagno un
po’ di tempo e alle 8 sono in acqua. Supero la cittadella fortificata
ed entro nel Golfo della Revellata. Supero l’omonima punta ed il suo caratteristico
faro.
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Sulla mappa leggo “Grotte des Veaux Marins”. E’ la grotta dei buoi marini che prima
della partenza mi ero promesso di visitare. Mi avvicino alla costa e inizio a
scandagliarla metro per metro.
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Sul gps non è segnata e questo non mi aiuta ad individuarla. Dopo un primo
passaggio, della grotta nemmeno l’ombra; devo averla saltata. Ritorno indietro e
finalmente la trovo. Mi ci infilo dentro e scatto qualche foto.
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Faccio una prima sosta nella baia di Nichiareto.
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Proseguo ancora e dopo un suggestivo passaggio tra la costa ed un lungo isolotto,
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giro Capo Morsetta ed entro nella Baia di Crovani.
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E’ ora di pranzo e dirigo la prua verso Argentella, un paesino in cui spero di trovare
uno snack-bar aperto. Mi accoglie una spiaggia scura e ciottolosa.
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Ad un centinaio di metri c’è un ristorante. Non voglio andarci ma ci entro per
chiedere se c’è un posto dove mangiare una cosa al volo. Mi indicano il bar dentro il
vicino campeggio. Mi incammino e lo raggiungo,
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attraversandolo tutto per raggiungere l’ingresso dove si trova il bar. Scopro che
hanno solo dei cornetti e non fanno panini. Disperato ritorno al ristorante e mi
faccio servire un piatto di salumi e formaggi locali.
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Li divoro con 1 Kg circa di pane. Totale: 30€! Mortacci loro! Argentella è costosella
direi... Alle 15:40 riparto velocemente. Entro nel Golfo di Galeria
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e mi fermo sulla spiaggetta vicina all’omonimo paese
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per consultare la mappa satellitare e pianificare le tappe successive. Ho a portata di
kayak la Riserva Naturale della Scandola, uno dei posti più belli di tutta la Corsica!
Voglio assolutamente vederla! Non potrò fermarmi la notte poiché le spiagge sono
interdette al campeggio libero. Non lontana però, 10Km circa, c’è la famosa
Girolata. Me ne ha parlato benissimo Giacomo al telefono prima di imbarcarmi per
Bastia. Sono al limite come orario e se non parto subito rischio di arrivarci dopo il
tramonto. Così mi rimetto in mare e pagaio forte, doppiando Punta Rossa
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e tagliando tutto il Golfo di Focolara. Supero Punta Nera
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e mi ritrovo nel bel mezzo della Scandola,
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avvolto da rocce di granito rosso e colate di lava scura.
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La mancanza del sole immerge questo paradiso in un’atmosfera tetra e minacciosa.
La costa buia e nera di lava incute timore. Immagino le forze che hanno plasmato
questi luoghi e scompaio di fronte a loro. Scivolo in un mare color petrolio fino alla
Plage d’Elbo.
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Attorno a me un silenzio irreale. Bastioni di roccia scura che si innalzano imponenti.
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Rocce multicolore che prendono le forme più bizzarre.
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Voglio guardarmele metro per metro così mi rimetto sul kayak e raggiungo Punta
Palazzu, la punta più estrema del golfo.
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Negli anfratti delle rocce a picco sul mare si aprono calette turchesi
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e grotte profonde e altissime.
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Vista da vicino la roccia vulcanica ha una caratteristica struttura esagonale, come se
ancora liquida fosse stata estrusa nel passaggio attraverso dei fori di ugual forma.
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Quando guardo il GPS mi accorgo che sono le 19:30. A colorare in un baleno le rocce
prima scure è il sole basso sull’orizzonte, sotto la coltre di nuvole.
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La Scandola mi ha rapito e portato in una dimensione senza tempo. E’ tardissimo!
Cerco di recuperare tempo pagaiando forte ma devo fare i conti col vento che nel
frattempo si è alzato impetuoso ad ore 12. Vengo affiancato da un gommone di
guardie del parco che mi dicono che nella Scandola è vietato fermarsi e mi chiedono
dove abbia intenzione di pernottare. Gli dico in inglese che sono diretto a Girolata.
Con gentilezza si congedano e ripartono. Riprende la lotta contro il vento che limita
la mia velocità a circa 2 nodi e mezzo. Mancano ancora 10km a Girolata e inizio a
sudare freddo all’idea di atterrare con l’oscurità. La traversata del Golfo di Solana
mi porterà via le ultime energie rimaste. Ho percorso più di 50km e non è ancora
finita. Quando doppio Punta Scandola, finalmente, entro nel Golfo di Girolata. Sono
le 21:00 e il sole è sparito sotto l’orizzonte da un pezzo. Mi rimane solo un barlume
di luce crepuscolare in rapidissimo affievolimento. Man mano che avanzo diventa
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tutto più scuro. La sagoma dei monti si staglia sempre meno sul blu intenso del
cielo. A metà golfo sprofondo nell’oscurità più totale. Di Girolata nemmeno
l’ombra. Non ci sono luci all’orizzonte, nessun segno della presenza di un paese.
Vedo solo le fievoli e tremolanti luci di qualche barca a vela in rada nel golfo. Navigo
nel buio più pesto. Ho paura. Dal dayhatch anteriore tiro fuori la torcia frontale per
essere almeno visibile agli altri natanti. Prendo anche lo smartphone e cerco di
capire dalle mappe satellitari dove mi trovi. Sono nel bel mezzo del golfo e Girolata
è dietro un piccolo promontorio, proprio di fronte a me.
Ecco perché non riuscivo a vederla! Devo girare attorno al promontorio facendo
attenzione agli scogli. Potrei avvicinarmi troppo alla costa e infrangermi contro
qualche scoglio affiorante. Senza indugiare prendo la decisione di utilizzare la
mappa satellitare come guida nella manovra, mantenendo una distanza di sicurezza
di 15-20m dalla linea di costa che vedo sulla mappa. Che Dio me la mandi buona!
Avanzando, mi accorgo che un segnale luminoso indica esattamente il lato sinistro
dell’ingresso nella baia. Lo punto. Avverto la presenza della costa dal rumore delle
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onde che vi si infrangono. A orecchio la distanza dalle rocce è quella di sicurezza che
mi sono imposto. Sono attento al più piccolo rumore che proviene dall’acqua per
avere il tempo di schivare un ostacolo improvviso che mi si dovesse parare dinanzi.
Inizio a sentire un vocio via via crescente. Poi d’un tratto mi si spalanca alla vista
un’intera parete rocciosa ricoperta di luci. Sono le luci dei ristoranti che tappezzano
completamente il versante nord-est del promontorio. Lo stesso che mi impediva
prima di vedere. “E’ Girolata!” grido. Un brivido di gioia mi percorre la schiena.
Scarico tutta la tensione in un sorriso indurito dalla salsedine che mi ricopre il viso.
Alla mia destra il porticciolo, con un tripudio di luci provenienti dalle barche
ormeggiate strette, l’una di fianco all’altra. Scivolo silenzioso come un’anguilla tra i
riflessi di luci colorate sull’acqua piatta. Tocco terra su una piccola spiaggetta dove
tirano in secco i gozzi. Sono le 22:00. Ho percorso più di 58km.
Attorno a me è tutto in festa. Negozietti ovunque, pieni di luci colorate. Voci e
risate echeggiano dalla parte alta del paese. Sembra il paese dei balocchi. Mi lascio
travolgere anch’io da questa atmosfera festante. Chiudo tutto nel kayak e col
sorriso ormai stampato sul volto mi dirigo in un ristorantino per mangiare qualcosa.
Mi accoglie una cameriera bionda, sorridente, con tanto di pantaloncino in jeans
stracciato e occhi azzurri come il mare. Mi dico “Ma questo posto è il paradiso!”.
Solo la fame riesce a distrarmi da cotanta bellezza e ordino panino, patatine, due
birre medie alla spina e un gelato.
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A stomaco pieno ritorno al kayak. Sento tutta la stanchezza ora. Proprio ora che
devo montare la tenda. Mi faccio forza e tiro fuori dal kayak tutta l’attrezzatura.
Montata la tenda a due metri dal mare, vorrei ancora fare qualcosa. Mi dispiace
addormentarmi e lasciare il mondo attorno a me in festa. E’ l’ultimo pensiero prima
di cadere in un sonno profondo.
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3 AGOSTO: USCITA DALLA SCANDOLA
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Mi sveglio come un cencio. La schiena è a pezzi dopo le 10 ore di pagaiata di ieri. Ho
dormito poco e male. Dagli yacht ormeggiati non sono mai cessati gli schiamazzi. I
ristoranti si sono spenti solo a notte inoltrata. Nel bel mezzo del sonno vengo
svegliato da alcuni cani che iniziano ad abbaiare. Uno in particolare è a due passi
dalla tenda e fa un casino infernale. Conto fino a 10, poi, mi faccio forza ed esco per
allontanarlo. E’ una bestia gigantesca! Quando gli grido “Za, via!” non mi guarda
nemmeno. Sconfitto, ritorno dentro e con pazienza aspetto che finisca di abbaiare
per riaddormentarmi.
Di svegli ci siamo io e due vacche nere al pascolo.
Mi guardo attorno e noto subito uno stupendo pontile dove fare colazione.
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Bevo una tazza di caffè sospeso sul mare. Vedo i pescetti sotto di me banchettare
con le briciole dei biscotti. Tutto intorno tace. E’ un momento di felicità che sento
scorrere fuori e dentro di me. Non lo scorderò.
La luce del sole illumina il percorso fatto la sera prima nel buio pesto col kayak,
guidato solo dalle mappe satellitari. Una follia ben riuscita!
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Mi arrampico sui vicoli che portano alla parte alta di Girolata e mi godo il panorama.
Quando riscendo vedo alcune persone vicino ad un ristorantino. Mi ci infilo dentro
per usufruire del bagno. Un asino mi fiuta incuriosito.
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Quando esco scopro di chi sono quei kayak parcheggiati sulla stessa spiaggetta
dove ho dormito io.
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Un ragazzo con due lunghe baguette sotto il braccio mi dice di appartenere ad un
gruppo di sette kayaker con bambini al seguito diretti a Porto. C’è addirittura un
kayak gonfiabile. Li avverto che le forti raffiche di vento potrebbero causargli non
pochi problemi per giungere senza pericolo fino a destinazione. Ma il tipo è
fiducioso, mi dice che ce la faranno, nonostante tutto. Gli chiedo dove abbia preso il
pane e mi indica un negozietto poco distante. Uscirò anch’io con due lunghe
baguette sotto il braccio. A malincuore, proprio mentre riprende vita, lascio
Girolata, famosa per essere uno dei pochi luoghi della Corsica raggiungibile solo via
mare. Mi attende una giornata di pagaiata ricca di nuove emozioni. Non voglio farle
attendere. Esco dal golfo e doppio Capo Senino.
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Nel Golfo di Porto sosto prima su Plage de Gradelle, una bella spiaggia di ciotoli
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e poi sulla Plage de Bussaglia.
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Qui mi rifocillo con la classica accoppiata panino e birra. Sono vicinissimo a Porto e
sta soffiando un vento che può portarmi fuori dal golfo in men che non si dica.
Riparto. La costa alta e rocciosa mi nasconde alla vista Porto
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ma dietro l’ultimo gruppo di scogli che mi separa da essa, intravedo la bellissima
torre genovese, simbolo della città.
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Vista da vicino è davvero suggestiva.
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Alla mia sinistra scorre il lungo spiaggione di Porto. Non mi fermo e decido di
proseguire uscendo dal golfo. Purtroppo il vento è girato ancora una volta e me lo
ritrovo implacabile ad ore 12. Dopo 3 miglia di strenua lotta sono esausto e riparo in
una graziosa spiaggetta con sabbia grossa di granito, superaffollata di bagnanti. E’
la spiaggia della Ficajola.
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Aspetterò per una mezz’oretta una possibile scaduta di vento ma la sorte non è
dalla mia parte. Sono costretto a ripartire con lo stesso vento e lo stesso mare.
L’immenso Golfo di Porto non mi vuole lasciar andare. Appena riparto, incontro un
tipo con uno strano kayak a pedali che si sbraccia per salutarmi.
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Il tratto di costa che attraverso è uno dei più belli visti sull’isola!
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La costa è disseminata di bizzarre formazioni rocciose chiamate Calanche. Sono
patrimonio dell’Unesco dal 1983.
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Finalmente esco dal Golfo doppiando Capo Rosso. Trovo un vento ancora più teso e
un mare con un’onda lunga davvero insidiosa sotto costa.
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Sono le 19 e la programmata sosta sulla Plage d’Arone
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non posso farla perché i frangenti sono altissimi e rischierei di danneggiare il kayak
nell’atterraggio. Mi attacco ad una boa e consulto le mappe satellitari per
individuare un possibile approdo in sicurezza. C’è a qualche miglio, nell’Anse de
Chiuni, una spiaggia rientrata e riparata che dovrebbe fare al caso mio. Mi stacco
dalla boa e riparto. Tutta la costa è battuta da un’onda lunga martellante che la
flagella a colpi di frangenti schiumosi.
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All’entrata dell’insenatura incontro alcuni kayakers a cui chiedo le condizioni del
mare sulla spiaggia in fondo. Mi rassicurano dicendomi che non batte l’onda lunga e
che è possibile atterrare in sicurezza. Percorro il tratto che mi separa dalla spiaggia
senza più l’ansia che ho provato fino a quel momento. Atterro in una zona
caratterizzata dalla presenza di acque stagnanti. Preferisco spostarmi di un
centinaio di metri trainando a mano il kayak in acqua bassa. Quando riatterro vengo
circondato da un nuvolo di zanzare. Mi cospargo di Autan e mi infilo felpa e
pantaloni lunghi. Ho percorso 43km che insieme ai 58 del giorno prima fanno una
stanchezza incredibile! C’è giusto il tempo per cucinare una polenta con salsiccia e
formaggio e per montare la tenda. Crollo appena tocco il cuscino.
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4 AGOSTO: CACCIA AL FALCO PESCATORE
Sveglia alle 6, prima dell’alba.
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Tutto tace. Il gorgoglio del caffè nella moka segna l’inizio del nuovo giorno.
Consumato il rito della colazione si passa allo stivaggio nel kayak. Tutto fila liscio
fino alla ripartenza, quando mi accorgo di avere lo skeg bloccato. Purtroppo è un
inconveniente che capita spesso quando la grana della sabbia non è fine. Con la
santa pazienza riatterro e sblocco lo skeg. Alla ripartenza è di nuovo bloccato. Sono
le 8:30 e sono già incazzato. ”Quanto potrei ancora incazzarmi se per la terza volta
lo sblocco e lui si riblocca?”. Questa è la mia preoccupazione. Perciò desisto dal
proposito di risbloccarlo. Mi avvio nell’acqua liscia come l’olio tra i natanti ancorati
alle boe. Direzione sud-ovest verso Punta d’Omigna. Dopo 4km sono fuori dalla
Baia de Chioni. L’onda lunga del giorno prima c’è ancora, ahimè! Taglio dritto fino a
Punta di Cargese, poi costeggio, passando prima per il porto
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e arrivando poi a Plage de Manasina. Vorrei atterrare ma l’onda lunga non me lo
permette. C’è troppo frangente a riva. Surfare un’onda con un kayak che pesa 70kg
si può anche fare ma se si può evitare è meglio. Sarebbe stata l’occasione giusta per
sbloccare lo skeg, ma niente. Anche stavolta. E’ destino si vede: che il 4 agosto 2014
Marco deve navigare senza skeg è destino. Lo accetto borbottando… Dovrò fare
altri 10km prima di atterrare sulla Plage de Sagone.
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Quando atterro scatta il gelatone. Entro in un bar sulla spiaggia e faccio amicizia
con il barista. E’ un ragazzo di colore simpaticissimo. Parla bene l’italiano perché è
stato a Milano parecchi anni e ci ritorna spesso per andare a trovare i genitori che
risiedono ancora là. E’ venuto in Corsica per fare la stagione e, a sentirlo, sembra
proprio che ci rimarrà! I Corsi sono molto ospitali, concordiamo entrambi, e non si fa
fatica a trovare lavoro. Tra una chiacchiera e l’altra mi riempie la sacca con 10l
d’acqua.
In spiaggia il kayak prende il sole col pannello fotovoltaico in bella mostra. La sosta
stavolta è lunga. Ripartirò solo dopo un’oretta abbondante.
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Il Golfo di Sagone è davvero enorme; decido quindi di tagliarlo un po’ navigando ad
oltre un miglio dalla costa.
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Quando prendo ricontatto con la terra la costa è rocciosa e frastagliata.
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Uno spettacolo per gli occhi. Entro nel Golfo de Lava doppiando Punta Parragiola
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e faccio poi una breve sosta sulla bellissima Plage de Port Provencal.
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Sono le 16:30 e mancano solo 15km all’Anse de Minaccia dove ho deciso di passare
la notte. Ho tempo a sufficienza per esplorare tutti gli anfratti dello splendido Golfe
de Lava, dove mi trovo ora. L’acqua è straordinariamente verde! Un color smeraldo
ed una trasparenza unica!
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La costa è sormontata da montagne verdi come il mare.
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E’ in questo meraviglioso scenario che vedo volteggiare sulla mia testa, per la prima
volta, un falco pescatore. Non è facile fotografarlo senza teleobiettivo ma voglio
portare a casa almeno uno scatto di questo rapace. Il risultato non è entusiasmante
ma l’importante è che si veda.
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Seguendolo con lo sguardo riesco ad individuare il suo nido, costruito su uno
spuntone di roccia.
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Da lassù il falco gode di un’ampia visuale sul tratto di costa sottostante. Quando mi
allontano, mi rammarico di non averlo visto in azione, mentre si lancia in picchiata.
Un vero peccato! La passeggiata sotto costa continua. Raggiungo Capo di Feno
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ed esco dal Golfo de Lava. Un maestralotto sostenuto mi spinge da poppa e mi
allevia la fatica delle ultime pagaiate. La costa si fa più bassa e lascia libero lo
sguardo di osservare l’entroterra ricoperto da un manto verde di vegetazione.
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Salto due tre spiaggette alla mia sinistra e approdo su una minuscola e riparata.
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Quando vanno via gli ultimi bagnanti rimango solo su quest’angolo di paradiso col
sole che mi dà il suo ultimo bacio.
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La lampada frontale che ho nel day hatch anteriore e che ho usato per l’atterraggio
notturno a Girolata, è completamente zuppa. Il pacco di pile ricaricabili galleggia in
una poltiglia elettrochimica di ruggine disciolta in acqua di mare. Per fortuna ho una
lampada frontale di riserva che mi permetterà comunque di cucinare e montare la
tenda. Per la prima volta da quando sono partito devo ricaricare le numerose stilo
che ho usato per alimentare il GPS. Sono più di una dozzina e non mi basterà una
sola notte per farlo. Sono le 22 quando registro con le ultime forze rimaste il diario
della giornata. Mi addormento col suono dolce delle onde a riva.
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5 AGOSTO: LE SANGUINARIE
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Di buon mattino apro gli occhi. Mi sembra di sentire strani rumori fuori della tenda.
Quando esco vedo una mucca ed il suo vitellino che brucano tranquillamente, per
niente impensieriti dalla mia presenza.
La scenetta bucolica mi spalanca il sorriso. Faccio colazione mentre mamma e
piccolo mi gironzolano attorno. Faccio un po’ di manutenzione all’attrezzatura del
kayak e, una volta pronto, saluto i due amici a quattro zampe e scendo in acqua. Il
mare è una tavola.
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Ne approfitto per visitare tutti gli anfratti che mi solleticano la curiosità. All’uscita
dell’Anse de Minaccia scorgo, a qualche centinaia di metri più a largo, un gruppo di
kayaker.
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Purtroppo vanno in direzione opposta alla mia e desisto così dall’iniziale intenzione
di raggiungerli. Proseguo ad un buon ritmo, spronato dalla vicinanza della tripla
sagoma delle Isole Sanguinarie, ormai prossime.
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Su ciascuna sommità delle tre isolette c’è una costruzione. Sulla prima un bellissimo
faro bianco con cupola nera su cui volteggiano i rapaci pescatori.
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Sulla seconda una costruzione moderna e sulla terza una antica torre genovese.
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La terza isoletta è la più bella, con un verde pendio che si immerge dolcemente nel
mare. Giro la punta estrema e lo spettacolo è di quelli da scolpire per sempre nella
memoria.
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Il fruscio del kayak non passa inascoltato ad un pastore tedesco che fa la guardia ad
un immenso catamarano.
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Sono entrato ormai nell’ampio golfo di Ajaccio. Dopo aver percorso circa una
quindicina di km, mi fermo su una deliziosa spiaggetta
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dove mi rifocillo un po’ e approfitto della connessione 3G per dare la mia posizione
gps sul sito. Sono quasi 24 ore che i miei non sanno che fine abbia fatto! Sull’Anse
de Minaccia ero infatti completamente isolato. Quando riparto mi accorgo subito
che lo scenario è cambiato. La costa è ad alto grado di antropizzazione
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e come se non bastasse, sfilo di fianco ad un immenso cimitero alle porte di Ajaccio.
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Ma ecco volteggiare sulla mia testa un enorme falco pescatore.
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Lo seguo con lo sguardo senza perderlo mai di vista e finalmente riesco a godermi
lo spettacolo della sua picchiata in acqua a qualche decina di metri da me. Che
emozione vedere questo enorme uccello ripiegare le ali e precipitare in caduta
libera!!! Sono contento come un bambino.
Attraverso tutta la costa di Ajaccio
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e proseguo con il vento a tribordo fino al porto,
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dove dovrò decidere se anticipare o far passare un grosso traghetto entrante nel
porto. Mi suona da lontano per avvisarmi del pericolo ma secondo i miei calcoli ho
tempo a sufficienza per anticiparlo e allontanarmi di parecchio prima che incroci la
mia rotta. La decisione di continuare dritto non viene vista di buon occhio dal
comandante della nave che inizia a strombazzarmi di brutto. Tutto questo casino
attira l’attenzione di una motovedetta della capitaneria di porto che mi raggiunge a
tutto gas per dirmi di allontanarmi in fretta. Mi sembra di rivivere le stesse emozioni
provate durante il giro dell’Isola di S. Stefano nell’Arcipelago della Maddalena, dove
dei militari mi intimavano col megafono di allontanarmi dall’area militare
interdetta. Annuisco col capo e continuo a pagaiare a 4 nodi. La motovedetta mi è
sempre alle calcagna e il tipo continua ad urlarmi dietro. Sinceramente non capisco
il motivo di tanto nervosismo e, ad un certo punto, per sincerarmi della mia
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posizione, mi giro per un secondo e vedo sfilare il traghetto lontanissimo dietro di
me.
A quel punto, ancora ansimante per lo sprint, gli faccio un gesto internazionale di
disappunto….diciamo così. Ma non è finita ancora. Viro di 90° a destra e mi ritrovo
un forte libeccio al mascone che mi accompagnerà per 6km fino all’incontro con la
sponda opposta del golfo. Dopo un’ora di traversata quasi svengo dalla stanchezza
e riparo in una sperduta spiaggetta semideserta.
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Riprendo le forze e riparto pagaiando il più possibile sotto costa per non incontrare
le forti raffiche del mare aperto. La costa va via via spogliandosi della presenza
umana
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fino a diventare di nuovo selvaggia e brulla, mano a mano che ci si allontana da
Ajaccio. La giornata volge al termine e si avvicina la programmata sosta notturna.
Con mia grande sorpresa, dopo aver girato verso le 20 Punta della Castagna, scopro
che la spiaggia che avevo individuato dalle mappe satellitari non esiste! Il sole mi è
appena tramontato dietro le spalle e inizio ad avere anche freddo. E’ un momento
delicato. Devo decidere se tornare indietro o proseguire. Tiro fuori il cellulare,
nonostante il mare mosso, e vedo che la prossima spiaggia è troppo distante;
decido di ritornare indietro all’ultima spiaggia che ho visto. Sono senza forze ma
stringendo i denti ce la posso fare. Mentre riattraverso il giardino di roccia di Punta
della Castagna,
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scorgo una spiaggetta piccola piccola al di là degli scogli. Ok, la spiaggia c’è, ma
come arrivarci? Riesco a trovare un corridoio nell’acqua bassissima tra gli scogli ma
rischio di toccare il fondo se non prendo bene il tempo tra un’onda e l’altra. Dopo
alcuni tentennamenti prendo coraggio e attraverso. “Fortuna juvat audaces”.
Riesco a raggiungere l’arenile senza arrecare danno al kayak.
E’ quasi buio. Dopo aver cucinato e montato la tenda c’è solo il tempo di registrare
qualche minuto di racconto vocale. Il rumore delle onde frangenti sugli scogli è
assordante ma i 51km di navigazione mi fanno addormentare in un attimo.
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6 AGOSTO: LA DISAVVENTURA DI CAPO SENETOSA
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Sveglia alle 6. La mattinata scorre tranquilla e alle 8 sono già in acqua. Scivolo lungo
il Golfo d’Arena Rossa, con la costa che fa capolino a tratti oltre la cresta dell’onda
lunga
Il panorama è incredibilmente bello. Il suono ciclico e incessante delle onde sugli
scogli accompagna la lunga e piacevole pagaiata.
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All’uscita dal golfo c’è Capo di Muro,
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che supero con la stessa curiosità che precede ogni giro di punta. Lo scenario
cambia e con esso anche il mare. Entro nell’Anse d’Orzo e dirigo la prua verso la
spiaggia in fondo alla baia. Durante la navigazione passo vicino a due scogli a forma
di testa di polpo,
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che mi ricordano quello visto l’anno prima a Giardinelli, sulla costa est dell’isola di
Maddalena. A qualche centinaia di metri dalla spiaggia scorgo la presenza di due
grossi stabilimenti balneari coi tetti ricoperti di foglie di palma secche,
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di cui uno con issate la bandiere dei pirati.
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Quando atterro
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mi dirigo ovviamente verso quest’ultimo. Il locale è bellissimo.
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Il mare turchese fa da sfondo ai pagliuti ombrelloni.
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Al bancone, tra un sorso e l’altro all’immancabile birra, chiacchiero con il barman.
Dietro il bancone c’è un grosso specchio con riflesso un tipo barbuto e abbronzato:
sono io. Non mi ricordo neppure l’ultima volta che mi sono rasato. A quel punto gli
chiedo dove sia il bagno. Ritorno al kayak e dopo un minuto sono di nuovo nello
stabilimento, col rasoio in mano, che mi dirigo tutto sorridente verso la porticina
che mi ha indicato. Qualche minuto ed esco con un volto nuovo.
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A malincuore lascio la bellissima Cala d’ Orzo
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e mi incammino in un mare color smeraldo,
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girando prima Capo Nero e tagliando poi tutta la Baia di Cupabia. Prima di girare la
Punta di Porto Pollo, passo inavvertitamente su una secca e vengo travolto da
un’onda che per poco non mi fa schiantare sugli scogli. Quando atterro sullo
spiaggione di Porto Pollo ho ancora il cuore in gola. E’ ora di pranzo e ho una fame
che non ci vedo. Lascio il kayak sulla spiaggia e risalgo le viuzze del paese alla
ricerca disperata di un market aperto. Purtroppo l’unico che c’è è chiuso. Sulla
strada del ritorno però trovo una gelateria artigianale. Spiego alla ragazza che
voglio il loro gelato più grande e lei col sorriso mi prepara un enorme cono con due
misere palline di gelato dentro. Le parlo in molte lingue per farle capire che voglio
più gelato e alla fine me ne esco con un gelato a tre palle, due di cioccolato e una di
cocco.
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Non è proprio quello che volevo ma può bastare per placare la fame, almeno per un
po’. Accanto alla gelateria, fortuna vuole, c’è una pizzeria aperta dove faccio scorta
di tranci di pizza (si fa per dire). Non ho potuto fare scorta di viveri nel market ma
almeno ho la cena assicurata!
Quando riparto, so di avere di fronte Propriano,
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Un paese molto più grande di Porto Pollo, dotato di scalo marittimo. A qualche
chilometro dalla meta, la prima cosa che vedo è la sagoma di un grosso traghetto di
linea.
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Avvicinandomi ancora, individuo dietro il molo una grossa spiaggia, e decido di
fermarmi.
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Non faccio nemmeno a tempo a mettere la prua in secco, che vengo raggiunto da
una bagnina con fischietto e cappellino che mi spiega che l’atterraggio dei kayak su
quella spiaggia è interdetto. Come al solito questa cosa mi fa storcere il naso;
perché in caso di emergenza, per stanchezza o malore, nessuno può impedire ad un
kayaker di atterrare su una spiaggia. E’ da codice penale. Ma tant’è. Lo fanno in
Italia, lo fanno anche in Francia. Riprendo il largo e atterro sulla più vicina
spiaggetta dove consulto le mappe satellitari per individuare le prossime tappe e la
spiaggia dove passare la notte. A poco più di 4 miglia c’è Campomoro, con una bella
spiaggia lunga; ma penso di farcela a proseguire oltre. L’approdo successivo è 3
miglia oltre Campomoro, in una caletta rientrata. Se arrivo stanco mi fermo lì, se
no, luce permettendo, c’è Cala di Conca, ancora 2 miglia e mezza oltre. Ho la
batteria del cellulare scarica e non potrò caricarla fino alla prossima fermata.
Giro della Corsica in kayak
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Riparto e mi godo la vista di una costa altissima e disseminata di isolotti fino a
Campomoro,
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dove decido di non fermarmi. Non mi fermerò nemmeno alla successiva e deciderò
quindi di arrivare all’ultima caletta che avevo individuato sulla mappa, Cala di
Conca. Inizio ad essere davvero stanco ma sono costretto ad accelerare il ritmo di
pagaiata perché il sole è già tramontato. Quando manca meno di un miglio alla
meta, mi si avvicina un gommone della capitaneria che mi chiede se faccio parte
dell’altro gruppo di kayakers. Gli rispondo di no. Mi avvisano inoltre che sulla
spiaggia dove sono diretto non è permesso il bivacco. Rimango ammutolito. Mi
indicano la direzione per trovare un’altra spiaggia. E’ 500m oltre la fine
dell’insenatura. Mi suggeriscono di raggiungere gli altri kayakers perché sono diretti
proprio là. Il sole è sparito da un pezzo e inizio a temere di arrivarci di notte. La
paura mi fa pagaiare fortissimo. Quando arrivo alla punta è ormai calata l’oscurità e
dei kayakers, nemmeno l’ombra. Panico totale. Avanzo ancora un po’, giro la punta
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e li vedo, fermi, di fronte ad un tratto di costa rocciosa su cui è impossibile atterrare.
Teoricamente sono più vicino di loro alla fantomatica spiaggia. Decido di non
raggiungerli, per non perdere minuti preziosi. Dopo 500m però non vedo nessuna
spiaggia. Solo roccia irta e tagliente. Sono istanti drammatici in cui non so cosa fare.
Ho davvero paura e la paura mi offusca la mente. Mi ricordo di non avere né il
cellulare carico per vedere dove si trova la spiaggia, né la lampada frontale
funzionante per un atterraggio di fortuna in piena oscurità. Le tenebre mi
avvolgono e non trovo il coraggio per proseguire oltre. Posso solo tornare dai
kayakers, 500m indietro, o tentare l’atterraggio di fortuna sugli scogli, rischiando di
danneggiare il kayak. Sono attimi di terrore come mai li ho provati. Forse solo una
volta, quando da bambino mi arrampicai su un costone di roccia alto una decina di
metri e persi le forze prima di arrivare in cima, rischiando di sfracellarmi al suolo.
Quella volta ce la feci. Ma questa? Quando sembra tutto ormai perso, vedo dietro di
me la sagoma di alcuni kayak che vengono nella mia direzione, ad un centinaio di
metri. Mi giro e raggiungo il primo. E’ francese e in inglese mi spiega che il capo
gruppo è poco più dietro. Non vedo nessuno, è buio pesto. Rimango fermo,
impietrito. Dopo pochi secondi mi viene incontro proprio lui. Gli chiedo se sappia
dove sia la spiaggia. Mi dice che è oltre la punta, sotto l’enorme faro. Gli chiedo se
sia sicuro. ”Sure” mi risponde lui. Incredulo, glielo richiedo ancora e lui di nuovo:
“sure”. Allora o la va o la spacca, mi dico. Mi faccio coraggio e pagaio a velocità
supersonica, lasciandomi dietro il gruppo di kayak. Le pale affondano in acqua ma
io non le vedo. Sono vicinissimo alla costa e non vedo gli scogli, sento solo il rumore
delle onde che si infrangono. Ad un certo punto il mare arretra e si apre alla mia
sinistra uno scorcio più chiaro. Ci entro. Pochi metri e il rumore delle onde inizia a
cambiare. Una sagoma bassa e chiara mi viene incontro. E’ la spiaggia. E’ la
salvezza. Inizio a gridare “beeeeeach, beeeeeeach” verso il gruppo. Quando tocco
terra ancora non ci credo. Ce l’ho fatta anche stavolta! Le gambe ancora mi
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tremano. Tiro il kayak in secco. Una ad una arrivano le sagome degli altri kayakers.
Mi sbraccio per segnalargli la mia posizione. In pochi secondi la paura lascia il posto
alla gioia, incontenibile. I ricordi a tratti, come la luce del faro sopra di noi, di quella
incredibile sera: le voci di ragazze, il bagno notturno, le tende, il rumore di stoviglie,
il fuoco dei fornelli, i miei morsi alla pizza, lo sfinimento dentro la tenda.
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7 AGOSTO: IN BALIA DELLE BOCCHE
“Sul bel Danubio blu” di Strauss parte alle 5:40. In pochi secondi sono fuori dalla
tenda, curiosissimo di guardare il posto dove sono atterrato ieri sera. Alla mia
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destra c’è un tappeto di kayak spiaggiati e, poco oltre, alcuni sacchiletto dove
dormono i compagni naufraghi dell’ultima disavventura.
Alla mia sinistra, nascosto da alcuni cespugli, c’è quello che mi sembra essere il capo
spedizione, Mister “sure!”,
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in versione “karate kid”. Fa sempre piacere sapere che c’è qualcuno più pazzo di te!
Forse è la prima volta, da quando sono partito, che mi sento normale. Terminati i
suoi esercizi di joga, ci salutiamo. Si presenta come Francois ed è effettivamente il
capo spedizione dei kayakers. Sta facendo un multiday trip lungo la costa
occidentale della Corsica. Non è la prima volta che fa giri lunghi, ha anche
effettuato il periplo dell’Islanda. Uno tosto insomma! Mi chiede del mio viaggio e
dopo le risposte in inglese maccheronico che gli do, si congeda facendomi un in
bocca al lupo per il buon proseguimento del trekking.
Dietro di me il faro di Capo Senetosa, arrugginito e malconcio. Proprio come me,
dopo i 58km di ieri.
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Parto con la colazione, affamato per la misera cena con due tranci di pizza di ieri
sera. A stomaco pieno mi riesce tutto meglio; metto a posto l’attrezzatura e alle
7:30 sono nel mio elemento naturale: l’acqua. Il mare è calmo
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e ne approfitto per sgranchirmi la schiena con una pagaiata lenta e bassa. Doppio
Capo Zivia
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e taglio il Golfo di Murtoli e quello di Roccapina.
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Durante la mattinata sono molto attento nel riconoscere sulle spiagge qualsiasi
struttura che assomigli ad un chiosco o ad uno snack bar. Ho molta fame, già da
subito, e va via via aumentando con l’approssimarsi dell’ora di pranzo. Verso
mezzogiorno ho proprio i crampi allo stomaco e quando arrivo nell’Anse Fornello,
mi ci infilo dentro alla ricerca di cibo. Atterro prima su una spiaggetta laterale. Ci
sono solo ombrelloni. Un signore mi riaccende la speranza dicendomi che sulla
spiaggia in fondo alla baia, Plage de Monacia, c’è un tipo col camioncino che fa i
panini. Riparto con la bavetta, che non è una leggera brezza d’aria fresca, ma è
proprio l’acquolina residua , quella che non riesci a trattenere e che ti inumidisce le
labbra. Riatterro sull’altra spiaggia e seguendo delle indicazioni ed un percorso
transennato con paletti in legno, mi ritrovo di fronte il camioncino. Bianco sporco,
fumante.
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Mi avvicino e l’odore è quello tipico del “panino alla kitemurt” sul lungomare di Bari.
Quando ritorno al kayak ho 4 panini, due nello stomaco e due nella busta. Questi
ultimi per la cena. Scott mi sta aspettando per godersi la mia reazione nel vedere la
bionda sdraiata affianco a lui.
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Non mi si fila nemmeno di striscio ma non fa niente; mi ringalluzzisce quel tanto che
basta a farmi rimanere lì mezz’ora ancora. Registro il diario audio della mattinata
con intercalari lunghi e sospirati. Dopo un po’ si alza (la bionda) e si allontana.
Ridivento lucido abbastanza per pensare al tragitto da fare nel pomeriggio. Ho
percorso una ventina di km e per arrivare a Bonifacio ne occorrono almeno
altrettanti. Il vento si è fatto teso e la navigazione non scorrerà più tranquilla come
nel mattino. Riparto a malincuore, lasciandomi quel ben di Dio a poppa, ed esco
dall’Anse Fornello. Faccio un bel po’ di strada. Salto le insenature successive perchè
simili alle precedenti. Proseguo con un vento che diventa sempre più forte. Viene da
ovest, è un ponente che mi spinge al giardinetto dalla fiancata destra. Ottimo per
arrivare senza troppa fatica nel Golfo di Ventilegne, subito prima di Capo di Feno.
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Quando ci arrivo, fermo il kayak sulla minuscola spiaggia di un isolotto, l’isola di
Tonnara, a 200m dalla costa.
Lo percorro a piedi per vedere la situazione del mare lungo la costa che percorrerò.
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Fino a Capo di Feno non avrò più il ponente al giardinetto ma al traverso. Questo
renderà la navigazione molto più delicata. Da Capo di Feno in poi navigherò,
praticamente col vento in poppa, nelle temibili Bocche di Bonifacio, famose per i
forti venti e le forti correnti che le attraversano. Se sarò bravo riuscirò ad arrivare a
Bonifacio e subito dopo troverò un posto per fermarmi.
Quando riparto, il vento si è ulteriormente alzato e le raffiche sono diventate più
violente. Le onde impattano sulla fiancata destra e mettono in crisi la stabilità
primaria del kayak, nonostante sia più stabile perchè carico di attrezzatura. Stringo i
denti fino a Capo di Feno, affrontando raffiche talmente forti che gli unici ad uscire
in mare sono i kite-surf.
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Quando giro il capo, il mare come al solito è cambiato. In peggio. Le onde sono alte
quanto me ed il vento è così teso che vengo spinto a 3 nodi senza pagaiare. Uso la
pagaia soprattutto per correggere e per appoggiare. All’inizio la cosa è divertente
poi pian piano comincia a far paura. Non posso navigare troppo vicino alla costa
perché le onde di rimbalzo, in questa situazione, sono pericolose. Mi tengo più o
meno a 300m dalla costa.
Nel frattempo mi viene incontro lo spettacolo magnifico delle falesie, che appaiono
e scompaiono dietro le onde. Mi viene la pella d’oca dall’emozione. Sto per passare
dalla costa ovest alla costa est della Corsica.
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Ogni volta che tiro fuori la fotocamera per scattare, devo lasciare la pagaia e
rimango in balìa delle onde. Sudo freddo ogni volta che lo faccio. Ogni scatto in
queste condizioni è un gesto ai limiti dell’azzardo. Ma non posso non fotografare
Bonifacio, la vertiginosa città costruita sulle falesie calcaree e la sua costa bianco
accecante.
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Cerco con lo sguardo un possibile sbarco lungo la costa ma non ve n’è. Inizio ad
avere paura. Sembra un vicolo senza uscita. Posso solo seguire la corrente. Sento
ripetutamente le onde alzare la poppa del kayak e spingerlo a surfare in avanti. Non
posso permetterlo, è troppo pericoloso. Metto la pagaia in acqua per rallentare il
kayak e impedire il surfing. Quando arrivo di fronte all’ingresso del porto sono quasi
tentato dall’entrare ma il traffico di motonavi e barconi turistici in entrata e uscita
mi fa subito cambiare idea. Schizzano a velocità folli e creano onde altissime.
Viaggiano come se ci fossero solo loro in mare. Mi sento un puntino insignificante.
Sono costretto ad avanzare, sono in balìa delle bocche e posso solo assecondare
l’immensa forza che mi trascina. Non posso più scattare foto. Tutte le mie energie
sono concentrate sull’equilibrio. Le mie gambe, ancora una volta in questo lungo
trekking, tremano. Non è passato nemmeno un giorno dalla disavventura di Capo
Giro della Corsica in kayak
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Senetosa, che mi ritrovo in una situazione ancora più pericolosa. Comincio a
disperare di farcela, quando tutto a un tratto, dietro un grosso scoglio, vedo
apparire magicamente una spiaggetta. Sopra di essa, ancora una volta, un grosso
faro che la sovrasta.
Non credo ai miei occhi. E’ proprio una spiaggia! Giro il kayak con tutte le forze che
ho e vengo investito a sinistra da raffiche potentissime che a momenti non mi
ribaltano. Mi ricordano la tromba d'aria all’entrata del porto di Monopoli, che, due
mesi fa, fece ribaltare ben due kayak su cinque. Il kayak percorre barcollando i 300m
fino a riva e atterra, con una sonora insabbiata, sull’agognato lido.
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Per festeggiare mi immergo in acqua con cappello, occhiali e paraspruzzi. Assaporo
la quiete che regna sotto la superficie. Per qualche istante non voglio uscire più.
Col vento così forte non è possibile cucinare e cascano a fagiolo i panini preparati
alla Plage de Monacia. Mentre li divoro seduto sul telo,
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osservo, basito, il via vai di imbarcazioni della Capitaneria di Porto di Bonifacio che
soccorrono i natanti in panne nello stretto. Il vento è così forte che alza la sabbia
della spiaggia, nonostante sia riparata dal ponente. Il turbinio del vento è
incessante, intervallato solo da raffiche ancora più forti.
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Al tramonto cala un po’ il vento e la spiaggia diventa più silenziosa.
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Di fronte a me la famosa “nave di roccia” in uno scenario da cartolina.
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Si intravede la costa della Sardegna con l’Arcipelago della Maddalena, dove sono
stato l’anno passato. I due trekking si uniscono qui, nel punto di minor distanza. Il
faro sopra di me, il faro di Capo Pertusato,
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segna il punto più vicino all’Italia della costa corsa. Prende anche la wind e ne
approfitto per una lunga chiacchierata telefonica con mio fratello. Quando inizia a
fare buio, ho già preparato la tenda con largo anticipo, mettendo dei grossi sassi sui
picchetti in canna di bambù.
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Così non dovrebbe volare. Nonostante siano calate le raffiche il vento è ancora
fortissimo. Per una mezzora buona, durante il montaggio, ho lottato col telo della
tenda che svolazzava come un fazzoletto. Se mi fosse scappato di mano, lo avrei
recuperato a Civitavecchia. Domani le previsioni portano vento forza 2-3 ma non c’è
da fidarsi dopo che hanno cannato completamente sul ponente di oggi. Non voglio
nutrire false speranze. Domattina mi alzerò e vedrò.
Il rumore nella tenda è assordante ma non sarà un problema addormentarsi dopo
una giornata del genere.
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8 AGOSTO: PASSAGGIO A LEVANTE
Quando mi sveglio il vento si è ormai calmato e io sono solo in spiaggia. Faccio
colazione con la vista imponente della nave di roccia di fronte a me. La guardo per
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tutto il tempo cercando di intuire l’angolazione giusta per fotografarla. E’ in ombra
e la foto non renderebbe giustizia alla bellezza di questo scorcio. Man mano che
passa il tempo il sole si alza e inizia ad illuminarla dal basso verso l’alto. Prolungo le
operazioni preliminari alla partenza lasciandomi come ultima cosa da fare lo scatto
a cui sto pensando da quando mi sono alzato. Quando il sole la illumina tutta sono
le 7:30 e posso finalmente fotografarla.
Soddisfatto del risultato, predo il largo.
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Direzione est, fino al punto di minor distanza della costa dall’isola di Cavallo. Un
vento da ovest rende briosa la navigazione e mi ricorda il ponente impetuoso di ieri,
che ha seminato scompiglio tra le imbarcazioni che navigavano nelle bocche e mi ha
fatto vivere indimenticabili attimi di panico. Quando raggiungo il punto prestabilito,
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inizio subito la traversata. Passo per l’Isola Piana e poi raggiungo l’Isola di Cavallo;
ribattezzata subito “Isola di Cavalli”, per le lussuose ville sparse lungo la sua costa.
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Mi fermo a Cala Greco. Un posto splendido, con sabbia finissima e mare
trasparente.
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Riparto, faccio un mezzo giro dell’isola e punto a Lavezzi. Il mare è già cambiato.
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La chiglia solleva spruzzi d’acqua spinti da un vento che oscilla tra il libeccio e il
maestrale. Inizia ad assomigliare sempre più al ponente imbestialito di ieri. Navigo
con somma cautela fino ad arrivare a Lavezzi. Imbocco un corridoio tra scogli di
granito grigio levigato, in tutto e per tutto simili a quelli della penisola di Giardinelli,
a Maddalena. D'altronde mi trovo sul suolo corso più vicino alla Sardegna.
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Atterro su una spiaggetta affollata di bagnanti. Non c’è più il sole e la permanenza
in spiaggia dura quanto basta a placare la fame con quel che mi rimane da
mangiare: un mezzo panino condito col sugo pronto.
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Mi sfilano sotto gli occhi panini enormi tra le mani di bambini panzuti rimpinzati di
cibo dalle mamme. Simpatici! Quando riparto ed esco dal corridoio, il mare,
sferzato dal vento ancora più teso, fa paura.
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Intimorito e preoccupato di rimanere bloccato dal vento sull’isola in caso di rinforzo,
rinuncio al giro di Lavezzi e ritorno all’Isola di Cavallo, affrontando un ventaccio al
mascone. Durante la traversata il vento gira ancora e me lo ritrovo a poppa fino
all’incontro con la costa. Esausto, mi fermo su una spiaggia meravigliosa.
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Controllo le mappe satellitari alla ricerca di eventuali approdi e ne trovo in
abundantiam. Rassicurato dalla scoperta, mi rimetto in navigazione, con il vento al
giardinetto che mi spinge.
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Decido di saltare il Golfo di Santa Manza, la Baia di Rondinara e Porto Novo. Infine
entro nel Golfo di Santa Giulia per atterrare sulla spiaggetta più vicina al centro
abitato. L’intenzione è quella di fare cambusa in un supermercato. La spiaggia è
gremita di gente e fatico non poco a trovare uno spazietto in cui fare entrare il
kayak. Chiedo scusa in inglese a dei ragazzi a cui ho insabbiato gli asciugamani e
loro mi rispondono in italiano. Facciamo subito amicizia e ne approfitto per
chiedergli del supermercato. Mi dicono che è a poche centinaia di metri, apre alle
16. Alle 16:05 lascio il kayak con l’attrezzatura stivata ed il pannello solare esposto
sul copripozzetto. Dopo poco ritorno, carico a ciuccio, con mezzo market nelle
buste, sotto gli sguardi increduli dei ragazzi italiani. “Non vorrai mica mettere tutta
quella roba nel kayak?!” mi dicono. Dopo un quarto d’ora di sudori e imprechi
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silenziosi, gli dimostro che era proprio quello che volevo fare. Ce n’è per tutti e
riesco anche ad offrirgli delle cioccolate. Dopo la foto di rito,
riparto alla volta di Porto Vecchio. La costa si fa via via più bassa e le rocce a picco
sul mare lasciano il posto a declivi sabbiosi.
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Durante il tragitto costiero vengo frenato dal vento, che è cambiato per l’ennesima
volta. Decido così, dopo 47km percorsi, di fermarmi in una spiaggetta, subito prima
dell’ingresso nel Golfo di Porto Vecchio. Il nome sulla mappa è Punta Chiappa. E fin
qui nulla di strano. Vengo accompagnato nell’ultimo tratto da un trimarano a pedali
con due uomini a bordo, che sembrano puntare anche loro alla stessa spiaggia.
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Mi diverto ad accelerare il ritmo di pagaiata per stargli dietro e addirittura arrivo
primo alla spiaggia.
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Quando atterro e mi giro per guardarli li vedo in piedi, nudi. Cioè sono vestiti sopra
ma non sotto. Seduti sul trimarano sembravano vestiti ovviamente. Durante
l’alaggio del kayak, inciampo su una pietra e mentre mi rimetto in piedi, vedo una
sagoma che mi si avvicina chiedendomi se avessi bisogno di una mano. E’ un uomo,
tutto nudo questo. Gentilmente rifiuto…Capisco di essere finito in un campeggio di
nudisti. Poco male mi dico, ci saranno anche le donne. Per tutta la serata, durante la
cena e il montaggio della tenda, la mia presenza attira l’attenzione delle persone
con le tende nelle piazzole più vicine al mare. Sfileranno davanti a me sul
bagnasciuga per curiosare, tutti rigorosamente nudi, tutti uomini. Nessuna donna.
Capita l’antifona, mi faccio passare la mezza voglia di fare un giretto nel campeggio
e inizio a pensare seriamente a come trascorrere la nottata in sicurezza. Quando
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chiudo meticolosamente la tenda mi viene in mente la frase di Checco nel film
“Cado dalle nubi” che dice: “famm stà tranquill pur a me”. Mi addormento ridendo.
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9 AGOSTO: CAMBIO DI COSTA
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Alle 5:30 sono in piedi. La colazione procede abbondante grazie alle scorte
rimpinguate a Santa Giulia. Faccio un giretto nel villaggio, approfittando della
tenue luce dell’aurora.
Non appena vengo raggiunto in spiaggia dai primi bagnanti, tutti nudi e tutti
uomini, capisco che è ora di levare le tende. Scappo col kayak da Punta Chiappa e
mi addentro nel Golfo di Porto Vecchio. Supero il faro
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e inizio la traversata col mare liscio come l’olio. Il panorama dei monti dietro il golfo
è magnifico. I profili montuosi si accavallano e si sovrastano colorandosi via via di
tinte più chiare fino a diventare dello stesso colore del cielo.
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Sfioro un vecchio faro, proprio in mezzo al golfo.
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Poi un gruppo di scogli affioranti.
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Si alza nel frattempo un delizioso scirocco da poppa che mi rende la pagaiata meno
pesante. Faccio la prima sosta a Pinarellu e la seconda all’Anse de Favone.
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La giornata è calda e umida e sono costretto a fare più soste per bere e rinfrescarmi
con un bagno. Termino anche le scorte d’acqua e sono costretto a farmi riempire la
sacca d’acqua in un bar. Me la riempiono di acqua refrigerata addirittura! Ormai, a
fine trekking, posso affermare con sicurezza che i Corsi sono gente ospitale e
gentile, anche con gli italiani. Alle 14:30 arrivo al Porto di Solenzara
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e atterro sulla prima spiaggia che vedo.
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Riprendo poi il largo lasciandomi alle spalle gli ultimi chilometri di costa verde e
frastagliata.
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Dopo, solo distese sabbiose con vegetazione bassa e vacche al pascolo.
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La costa è cambiata. Ho lasciato le ultime rocce prima di Solenzara e le rivedrò solo
a Bastia. Gli spiaggioni di natura alluvionale della costa orientale sono iniziati. Si
apre l’ultima fase del trekking, fatta di pagaiate ininterrotte lungo una monotona
costa dorata. Di tanto in tanto qualcosa di diverso attira la mia attenzione: un relitto
semiaffondato,
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due gendarmi a cavallo.
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un albero in riva al mare appoggiato sulle radici.
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La voglia di terminare il giro cresce di giorno in giorno e mi spinge a percorrere più
chilometri che posso. Gli acciacchi cominciano a farsi sentire e soffro soprattutto
per una fastidiosa contrattura alla parte destra del trapezio che mi costringe a
ripetuti stretching sul kayak, durante la navigazione. Supero Ghisonaccia e pagaio
le ultime miglia fino all’Etang di Urbino. Posso atterrare in qualunque punto perché
la costa è tutta sabbiosa. Dopo aver percorso 55km decido che per oggi può
bastare.
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Con questo ritmo dovrei farcela a raggiungere Bastia entro la mattinata di
dopodomani e prendere il traghetto delle 14 per Livorno. Se domani faccio altri
50km me ne rimarranno una ventina dopodomani e potrò arrivare così in tempo a
Bastia. Sono assorto in questi pensieri mentre mangio la polenta con salsiccia e
formaggio in riva al mare. Sono isolato, non c’è linea, non posso dare la mia
posizione sul sito. Nessuno sa dove mi trovi in questo momento. Che bello!
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10 AGOSTO: LA FOLLE CAVALCATA A 6 NODI
Mi alzo rincoglionito e stanco. I 55km di ieri me li sento tutti sulla schiena. Devo
stringere i denti. Manca ormai poco alla fine del viaggio. Piego la tenda
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completamente zuppa dell’umidità della notte e prendo il largo dopo la solita lotta
con i frangenti a riva e lo skeg rotto. Quando passo vicino all’ingresso dell’Etang
d’Urbino,
mi vengono incontro stormi d’uccelli acquatici in formazione a V. La prima
emozione del giorno. Supero anche l’ingresso dell’Etang de Sale
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e nel frattempo si alza un bel vento da sud che mi spinge con forza. Attraverso
chilometri di spiaggia ininterrotta dove vedo solo uomini nudi. Mi tengo
prudentemente distante dalla riva ma non basta. Mi raggiungono col windsurf
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o direttamente a nuoto.
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Rido da solo.
La giornata è caldissima e sono costretto a fare un paio di soste per rinfrescarmi e
bere. Le soste con il mare mosso e il litorale sabbioso mettono in crisi il sistema
artigianale di fuoriuscita dello skeg. Devo chiedere aiuto a qualcuno per farlo
fuoriuscire dopo essere entrato nel kayak. All’ultima ripartenza il tipo lo tira così
forte da staccarlo dalla sede e lasciarlo appeso al filo di nylon. Devo tenermelo così
fino alla prossima sosta. Il vento monta ancora e diventa pericoloso. Attraverso
chilometri e chilometri di costa.
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All’ingresso del Port de Taverna lo scirocco forza 5 delle previsioni è realtà. Quasi
non riesco a girare il kayak per entrarci dento. L’unico posto dove posso atterrare è
una spiaggia melmosa e maleodorante all’interno del porto.
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Una specie di discarica a cielo aperto con rifiuti di ogni tipo. Sono costretto a
mangiare turandomi il naso. Dopo un’oretta sono talmente nauseato che prometto
a me stesso di ripartire al più presto. Le raffiche si intensificano
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e spazzano qualunque cosa gli si pari d’avanti. Mi arrampico sui grossi massi del
braccio per scrutare il mare. Lo spettacolo è da brivido!
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Tira così tanto vento che inizio a tremare dal freddo nonostante la maglia di lycra e
il giubbino. Ricorro alla doppia felpa per scaldarmi. Sono bloccato sulla più brutta
spiaggia su cui abbia mai messo piede e inizio a disperare di poter ripartire in
giornata. L’idea di passarci addirittura la notte diventa il mio incubo. I miei progetti
di arrivare domani in mattinata a Bastia stanno fallendo miseramente. Vedo tutto
nero. Ma non mi voglio arrendere al destino e decido di scrutare attentamente il
mare alla ricerca del minimo accenno di scaduta del vento. Passano le ore ma le
raffiche sono sempre impetuose e inizio piano piano a rassegnarmi all’idea di
passare la notte in porto. Verso le 19 la svolta; cala leggermente l’intensità delle
raffiche. Con il cuore a mille prendo l’ardita decisione di ripartire. Mi assicuro della
fuoriuscita dello skeg e percorro i 50m fino all’uscita dal porto neanche fossero gli
ultimi metri prima di una cascata. Quando esco vengo investito da un vento che
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ricorda quello generato da un treno in corsa. La punta del kayak si gira da sola e la
mia schiena diventa una vela. Dopo pochi metri il gps segna l’incredibile velocità di
6 nodi! La poppa del kayak viene ripetutamente alzata da onde enormi che
schiumano proprio sotto di me. Ogni volta che succede parto in surfata e uso la
pagaia esclusivamente per stabilizzare il kayak. Se mi capovolgo è la fine. Non lo
voglio nemmeno immaginare. La terra sfila alla mia sinistra a velocità pazzesca.
Perdo la cognizione del tempo. La battaglia dura un’ora. Poi, esausto, decido di
atterrare. Ho percorso più di 10km nella più folle corsa in kayak che abbia mai fatto.
Ho Bastia a 35 km. Se anticipo la sveglia, domani posso farcela ad arrivare in tempo
per prendere il traghetto. Lotto con la tenda per una buona mezz’oretta fino a che
non riesco a bloccarla sulla sabbia. Senza le canne di bambù come picchetti non ce
l’avrei potuta fare. Metto la sveglia alle 5 e nonostante il frastuono della tenda
sbattuta dal vento, piombo in un sonno profondissimo.
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11 AGOSTO: ARRIVO IN VOLATA
Il gran giorno è arrivato. Mi sveglio alle 5. E’ buio pesto. Mi sento un po’ Guido
Grugnola durante una delle sue solite levatacce notturne. La tenda è bagnatissima e
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mi chiedo come cavolo faccia a ripiegarla così ogni mattina quando parte in kayak
prima dell’alba. Mah... Il mare è liscio come l’olio e inizio a pagaiare alle 6:20 con lo
sguardo rivolto a oriente per veder sorgere il sole.
Mi separano dalla meta poco più di 30km. So di non poter fare soste. So che, a
meno di bisogni impellenti, non potrò atterrare e dovrò pagaiare ininterrottamente
per ore e ore fino a Bastia. Mi rinfresco con cappellate d’acqua di mare mentre il
kayak è ancora in corsa. Mi fermo ogni tanto per bere e per alzare dal sedile il mio
povero sedere anchilosato. Ho delle fastidiose irritazioni sulle cosce dovute allo
sfregamento sui premicosce e il contatto con l’acqua di mare mi procura un bruciore
a tratti insopportabile. Ma tant’è. Anche la sofferenza fa parte dell’avventura. Del
viaggio rimarranno solo i ricordi più belli, mi dico. Pagaio forte e ritmato, su una
media di 3 nodi e mezzo. Per guadagnare tempo, percorro una traiettoria rettilinea
che taglia tutto il Golfo di Bastia. La navigazione lontano dalla costa diventa
solitaria e alienante. Per distrarmi conto le meduse che mi scivolano sotto il kayak.
Passano le ore ma mi sembra di non muovermi affatto. La sagoma degli edifici di
Bastia impercettibilmente si avvicina. Il tempo scorre a rallentatore. Quando arrivo
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in vista del porto, sono attentissimo nello scrutare l’orizzonte dietro di me, alla
ricerca di qualche traghetto che possa incrociare la mia rotta. Per fortuna non ve ne
sono e proseguo sicuro e veloce verso l’ingresso del porto turistico che ho segnato
sul gps. Ad un certo punto, da lontano, vedo uscire dal porto l’unico traghetto della
Moby presente in banchina. Vengo assalito dal dubbio che, per qualche motivo a
me ignoto, sia stata annullata la partenza del traghetto Moby per Livorno. Panico.
Decido di non pensarci più e di concentrarmi sulle ultime miglia di pagaiate. Man
mano che procedo, la preoccupazione lascia il posto alla felicità. E’ una gioia
interiore, intima, che non viene fuori. Quando, verso le 12, la prua del kayak tocca la
scivolo del porticciolo turistico dal quale si era staccata 17 giorni prima,
scompaiono d’incanto tutti i dolori, la fatica e la fame di 6 ore e mezza di pagaiata
ininterrotte. C’è solo una incontenibile, indescrivibile felicità. Ho circumnavigato la
Corsica con la sola forza delle mie braccia.
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Riprendo il carrello che avevo lasciato al noleggio e mi incammino fino al porto.
Faccio il biglietto e proseguo fino alla banchina. Qui trovo il traghetto che mi
riporterà a Livorno. L’imbarco, a parte la ruota del carrello bucata, procederà senza
intoppi. Così pure il viaggio fino a casa.
Finisce qui il mio viaggio. Lo dedico, come sempre, a tutti i sognatori, a coloro che
non sanno vivere troppo distanti dal mare, a chi sa immaginare un mondo migliore,
ai viaggiatori di ogni età che come me vivono di emozioni.
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