giubileo lasalliano · il tu mi stai a cuore (i care), scritto sulle pareti di barbiana, ricorda...

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Trimestrale dei Fratelli delle Scuole Cristiane - Registrazione presso il Tribunale Civile di Roma - Sezione per la Stampa, n. 83/2004 del 5 marzo 2004 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Roma GIUBILEO LASALLIANO

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Page 1: GIUBILEO LASALLIANO · Il Tu mi stai a cuore (I care), scritto sulle pareti di Barbiana, ricorda moltissime espres-sioni del La Salle. Per citarne una a caso, rivolta ai maestri:

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DIRETTORE RESPONSABILEMARIO CHIARAPINI

Consiglio di redazione:Maurizio Dossena - Gabriele Rosario MossiGiuseppe Norelli - Guido Orsi Alberto Tornatora

Collaboratori e Corrispondenti:Amilcare Boccuccia, Marco Camerini, GabriellaCapano, Alberto Castellani, MassimilianoCiavarella, Gabriele Di Giovanni, EmanueleDondolini, Sara Mancinelli, Rodolfo C. Meoli,Donato Petti, Maurizio Sormani, Grafica &Interior Designer

Archivio fotografico:Fausto Guarda, Sergio Saini, Iconografialasalliana, Archivio Provincia Italia, Serviziodi Comunicazione La Salle, www.lasalle.org

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causale: Lasalliani in Italia

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Rivista associataall’Unione Stampa Periodica Italiana

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Finito di stampare: Febbraio 2019

Italia

LASALLIANI in Italia

Marzo 2019 - Anno XVI • n. 60

SOMMARIO

I ribelli di Dio 3di Mario Chiarapini

La Salle una grande eredità 4di Rodolfo C. MeoliLa parola per te 7di Gabriele MossiSuccessi della Chiesa o successi del mondo? 11di Maurizio DossenaCelebrazioni sulla grande guerra 16di Maurizio Dossena

Rue Princesse, Parigi 8di Alberto TornatoraVerso l’alba 14di Sara Mancinelli

Qualcuno lassù ti ama... 18Un cammino 19di Massimiliano Ciavarella

Amos Oz 21di Marco Camerini

Gli ultimi giorni di Bengasi (2a parte) 23di Mario Chiarapini

Accoglienza bambini Sahrawi, 26 - Beatificazione fratel James Miller, 28 - Apertura anno giubilare, 28Riunione Confederex, 29 - Due nuovi Signum Fidei, 30 - Incontro UMAEL, 31Auguri dalla Postulazione, 31 - Solidarietà per il Sud Sudan, 32 - Giubileo lasalliano a Betlemme, 40

Appunti di viaggio 4 33di Amilcare Boccuccia

La saggezza non è artificiale 36di Giuseppe Norelli

Cambia la prima prova scritta all’esame di Stato 41di Marco CameriniStudiamo insieme 43di Alberto Castellani

Violenza di genere 46di Guido Orsi

Una persona distinta e gentile: Fratel Saverio Orlowsky 48Una persona semplice e servizievole: Fratel Liberato Brizi 49

Consigli per la lettura 51a cura di Alberto Tornatora

EDITORIALE

NOTIZIE dall’Italia e dal mondo

RIFLESSIONI

L’ULTIMA CAMPANELLA

IN LIBRERIA

LASALLIANITÀ

DIDATTICA

TEMI EDUCATIVI

STORIA NOSTRA

ANNO VOCAZIONALE

SCRITTORI DI OGGI

LASALLIANI SENZA FRONTIERE

MAGISTERO

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GIUBILEO LASALLIANOGIUBILEO LASALLIANO

Rivista trimestrale della Provincia Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane Organo di stampa dei Lasalliani: Fratelli, Amici, Docenti, Alunni, Ex-alunnihttp://www.Lasalleitalia.net

San Giovanni Battista de La Salle, Fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane

LASALLIANI in Italia

Apertura anno giubilare lasalliano

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Nell’ultimo numero di Lasalliani (n° 59/dicembre 2018) e in quello di settembre 2017/n° 54, il nostro redattore Fratel Emanuele Costa ha presentato in corposi servizi le figure di due preti (don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari) ritenuti in vita “ri-belli”, mentre oggi sono considerati “profetici”. Per fortuna, il tempo sa guardare con occhi diversi: i nemici di ieri, oggi diventano gli alleati. Perché nei loro confronti ci sono stati questi ritardi e questo cambio di prospettiva? Semplicemente perché era-no persone speciali, con un carisma straordinario. Camminavano più avanti degli altri, capaci di indi-care una strada in quel momento imprevedibile agli occhi dei più. Con un certo orgoglio, come membro della Congregazione dei Fratelli delle scuole cristia-ne, posso affermare che mentre in buona parte del mondo clericale questi profeti venivano aspramen-te contestati, nel mondo lasalliano, in quel tempo io ero semplice studente, ho percepito e raccolto

I rIbellI dI dIoI profeti sono coloro che camminano avanti agli altrie indicano una strada spesso imprevedibile ai più.La Chiesa è ricca di queste figure carismatichesorte in ogni epoca.

dichiarazioni entusiaste nei loro confronti da parte dei miei formatori, particolarmente per don Mila-ni, se non altro per la comune passione educativa. Ma non solo per questo. Le vicende dei due preti ricalcavano da vicino la difficile esistenza del mio fondatore san Giovanni Battista de La Salle, in vita contrastato dalla gerarchia, fino a essere sospeso a divinis, combattuto dalla concorrenza, contestato a volte dai suoi stessi religiosi, ma a distanza di tempo canonizzato e dichiarato patrono universale di tutti gli educatori. Il Tu mi stai a cuore (I care), scritto sulle pareti di Barbiana, ricorda moltissime espres-sioni del La Salle. Per citarne una a caso, rivolta ai maestri: ”Dovete mettere molta attenzione e molto affetto nel formare i ragazzi che sono in classe con voi”. A questo grande prete del ‘600, pioniere della scuola moderna, stavano davvero a cuore i tanti ra-gazzi di strada di quella Francia ancien régime, cui voleva offrire un futuro di speranza.

Nel giorno del giudizio i ragazzi saranno la vostra gloria se li avrete istruiti bene. La Salle

Mario Chiarapini, FscDirettore

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la dedizione personalefino all’immolazione ditutto il suo essere e deisuoi averi. Allora, modi-ficando il termine eusandone uno meno ag-gressivo potremmo direche La Salle fu un inno-vatore geniale e creativo.Fu “innovatore” nellaconcezione della scuola,dell’insegnante e deimetodi di insegnamento.

La Provvidenzaprende talvolta sentieriinattesi per condurcidove non avevamo pre-visto. È quanto accaddea La Salle, a partire dalsuo incontro con AdrienNyel nel 1679. Costuiera portatore di una ri-chiesta di MadameMaillefer, una parente diLa Salle che abitava aRouen, relativa alla fon-dazione di qualchescuola per i ragazzi po-veri a Reims, sull’esempio di quanto

Il 15 maggio 1970 Fratel MansuetoGuarnacci, Visitatore emerito delDistretto di Roma, pubblicò una

biografia di San Giovanni Battista deLa Salle dal titolo “Maestro contesta-tore sugli altari”1. Questo titolo non fuda tutti ben accolto perché parevaeccessivo e provocatorio per quelsenso negativo che il termine “conte-statore” ha e aveva ancora di più inquegli anni. Col passare del tempoperò ci si è man mano convinti che sitrattava di un titolo appropriato. LaSalle contestatore? Altro che… e checontestatore, contestatore “santo”però, cioè che non andava a costruirebarricate, a lanciare sassi o bottiglie,a incatenarsi ai cancelli per il gustodella trasgressione, ma che, per soc-correre le immense necessità dei piùe trovare forme più giuste di vita perle categorie meno abbienti, si battécontro la sua famiglia, contro le au-torità ecclesiastiche e contro i pregiu-dizi del suo tempo nei riguardidell’istruzione e dell’educazione deipoveri in particolare. Questo fece noncon le denunce e lo schiamazzo per-ché alle parole preferiva l’impegno e

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Rodolfo Meoli, Fsc

Trecento anni fa (1719) a Rouen, in Francia, moriva un uomo che ha messo le basidel sistema scolastico moderno, un santo che ha elevato il lavoro dell’educatore aministero pastorale riconosciuto dalla Chiesa. Papa Pio XII nel 1950ha proclamato La Salle patrono universale di tutti gli educatori.

1 Luigi GUARNACCI (Fratel Mansueto, fsc.), Maestro contestatore sugli altari, Editrice AeC, Roma, 1970Fratel Mansueto (Norma (LT) 12.02.1906 – Roma, 16.11.1975) fu figura di spicco dei Fratelli delle Scuole Cristiane della Provincia di Roma:

- Direttore-Preside del Collegio San Giuseppe in Roma (piazza di Spagna), dal 1948 al 1956;- Provinciale dal 1956 al 1962;- Fondatore e Preside dell’Istituto di Scienze Religiose della diocesi di Gaeta;- Per 5 anni fece parte del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione come rappresentante della F.I.D.A.E. (Federazione Italiana Dipendenti

Autorità Ecclesiastica).

La Salle patrono di tutti gli educatori (Mario Caffaro-Rore, 1950)

LA SALLEuna grande ereditàLA SALLEuna grande eredità

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aveva fatto nella sua città di resi-denza. Soltanto per non deludere larichiesta della sua parente il giovaneLa Salle rivolse l’attenzione al mondodella scuola, pensando di tirarsenefuori non appena Nyel avesse ricevutol’aiuto necessario. Non pensava chequella sarebbe stata la strada sullaquale la Provvidenza l’incamminava,impegnandolo per tutta la vita. Il con-tatto quotidiano con i maestri e conla prima scuola del Nyel a Reims, mo-strò alla sua mente positiva tutte ledeficienze strutturali e funzionali diun’istituzione precaria e improvvisatacui conveniva dare ordine e forma.

La vocazione alla missione educa-tiva nel La Sal le perciò non nacquecome qualcosa di predisposto e volutofin dal primo momento. Era figlio pri-mogenito di un magistrato e Consi-gliere al Presidiale di Reims, avevafrequentato il seminario di San Sulpi-zio e l’Università della Sorbona a Pa-rigi, era dottore in teologia e canonicodella prestigiosa cattedrale di Reims:davanti a lui si apriva un orizzontemolto luminoso. Nella figura del gio-vane ecclesiasti co tornato a Reimsdopo la solida formazione sulpizianae gli stu di in Sorbona, dedito alla curadei fratelli minori e benefi ciario di uncapitolo ecclesiastico illustre, non erafacile presagire l’uomo che avrebbescelto la causa dell’educazione popo-lare. L’incontro col signor Nyel loportò in questa direzione con storie dicomodità infrante e di sicurezzesmantellate. Confesserà in un memo-riale del 1694 di «essersi adattato,senza accorgersene e come attrattodalla Provvidenza a poco a poco, aun’opera che, proposta nell’insieme,avrebbe rifiutato»2.

Maturò pian piano e sempre piùchiaramente la persuasione che l’i -struzione è un diritto di tutti, anchedei poveri, e che la scuola è una cosaestremamente seria, per la quale oc-corre gente ade guatamente prepa-rata. Il contatto col mondo dellascuola gli mise davanti immediata-

mente la prima e più importante ca-renza della quale essa soffriva: unpersonale del tutto impreparato,raccogli ticcio e disorganizzato. LaSalle intui sce che la scuola non puòessere un mestiere, così a tappe suc-cessive va maturando l’abbozzo diuna comunità adatta alla scuolapopo lare, dove la vocazione sia il pre-supposto cui richiedere doti atti -tudinali naturali e acquisite. De cideperciò di circondarsi di persone che,ispi rate cristianamente, imparasseroa far bene scuola e dimostrasserocosa deve essere un vero educatore ecome deve essere una vera scuola.

Gli ci vollero quattro anni d’impe-gno progressivo accanto ai primi cheraccolse intorno a sé. Quattro anni diincomprensioni e rinunzie che costi-tuirono il preludio ai quaranta che,una volta deciso di imboccare quellastrada, consacrerà alla loro forma-zione e al loro accompagnamento.

Se per La Salle furono anni diffi-cili, lo furono anche per quelli che perprimi raccolse intorno a sé, alcuni deiquali ritennero eccessive le sue esi-genze, tanto che lo abbandonaronodopo poco tempo. Questi abbandoniportarono La Salle ad un più serio di-

scernimento e a rinunzie radicali persolidarizzare pienamente con loro,sposandone la precarietà economicae l’insicurezza della loro condizione. Eper questo rinun ciò al canonicato ealla sua ricca eredità di famiglia. Ab-bandonò la casa paterna, distri buì lasua eredità ai poveri, andò a far vitacomune con loro e fece voto segreta-mente, insieme a due di loro, di an-dare a elemosinare se ce ne fossestato bisogno, pur di portare avantil’impegno di creare una scuola seria.Nacquero così nel 1680 i Fratelli delleScuole Cri stiane, ai quali arrivò aproibire perfino l’uso del latino perimmergerli interamente nel ceto so-ciale più basso.

Si scontrò anche con le corte ve-dute degli ambienti clericali, perchédava vita a una comunità di soli laicisenza sacerdozio: una specie di ere siaper quei tempi, che in vece anticipavadi quasi tre secoli il Concilio VaticanoII. Con i suoi gesti profetici, con i suoiatteggiamenti, con le sue scelte eroi-che, non incarnava il tipo di prete co-munemente accettato nel mondoecclesiastico del suo tempo né nellasocietà a lui contemporanea. Era con-vinto che la Chiesa non può mante-

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2 J.-B. BLAIN (biografo di La Salle), La vie de Monsieur de La Salle, t.1, Rouen 1733, p. 169

Il 15 maggio 1950, Pio XII proclama La Salle patrono di tutti gli educatori

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nersi fuori dalle contraddizioni socialidei tempi con cui è chiamata a con-frontarsi. Fu questa convinzione che loportò all’istituzione nella vita religiosadi quell’esperienza nuova e originale:la presenza di religiosi educatori che,senza partecipare al sacerdozio mini-steriale, interpretassero in modonuovo il ruolo di “monaci laici”, im-mergendosi totalmente nella realtàdel loro tempo e contribuendo così alprogresso della società civile.

Gli autori di uno dei testi più notidi storia della scuola in Francia scri-vono: “Alla metà del diciassettesimosecolo il problema dei maestri era unodei più gravi. Il lamento nel deplorarel’incapacità e i cattivi modi dei maestridelle piccole scuole era unanime”3.

“Chi si prende cura dei piccoli stadalla parte di Dio e vince la culturadello scarto, che, al contrario, prediligei potenti e reputa inutili i poveri”4.Sembrano parole di La Salle, invecesono parole di oggi di Papa Francesco,ma sono anche di ieri e di domani,perché sono parole del Vangelo e nonhanno tempo.

La Salle non fu il solo né il primoa prendere coscienza della miseriaprofessionale dei pochi individui chesi davano all’insegnamento. Fu peròquello che vide più chiaramente ditutti la loro principale debolezza: latotale mancanza di preparazione, dimetodo e di stimoli. Per ragioni stori-che che gli studiosi hanno messo inevidenza, sappiamo che i maestridelle “petites écoles” avevano una re-putazione molto negativa e venivanoassimilati ai gruppi sociali più ignoratie ignoranti e rigettati praticamentedalla società. Lo stesso La Salle af-ferma che li “riteneva al di sotto deisuoi valletti”. Ma dovette necessaria-mente confrontarsi con questa realtà,ed è una delle sue glorie aver lottatoostinatamente per ben quaranta anni(1679-1719) per restaurarne l’imma-

gine e recuperare la coscienza dellaloro dignità. Questa coscienza pas-sava esattamente attraverso la loroseria formazione, la qualità del lorolavoro educativo, fino al loro ruoloche considerava fondamentale nellasocietà e nella Chiesa.

La Salle si adoperò come nessunaltro prima di lui per promuovere laDignità del Maestro. È diventato unluogo comune dire che “l’educazioneè una missione”; ma chi con i fatti di-mostrò di crederlo più di ogni altro fuLa Salle. La Congregazione di maestriche fondò, volle che si dedicasseesclusivamente alla scuola. Tanto cre-deva alla nobiltà del compito edu -cativo e alla suaefficacia nellasocietà, da volerche i suoi mae-stri rimanesserolaici, come ab-biamo detto:consacrati convoti religiosi sì,ma senza gli Or-dini sacri che liavrebbero fatal-mente divisi fra le cure della scuola equelle dell’altare. Così volle perchépersuaso che educare è un compito ditale im pegno, da riuscirvi scarsa-mente anche il più dotato dei mortali.

Non sempre la pedagogia ufficiale,pur senza essere vo lutamente setta-ria, riconosce i meriti dei Santi nelcampo educativo e giunge talvolta aignorarli del tutto. È una storia vec-chia questa delle “dimenticanze” diuna certa cultura quando ci sono dimezzo personaggi e organizzazionidella Chiesa cattolica. “Chi deve co-mandare a tutti, deve essere scelto datutti” per esempio, è una massima cheracchiude tutta la “democrazia rap-presentativa” usata nei monasteri be-nedettini ben sei e più secoli primadel sorgere dei Comuni o della Magna

Charta. E così in tanti altri campi,dall’agronomia alle cartiere, dalle bi-blioteche agli ospedali, dagli orfano-trofi… fino alla birra e al whisky! Cosìè stato anche per San Giovanni Bat-tista de La Salle, quasi ignorato daimanuali di pedagogia. Essere capacidi riconoscere o almeno non rinne-gare le eredità lasciateci da uomini eorganizzazioni della Chiesa, non do-vrebbe imbarazzare certi storici,anche perché andrebbe a reciprocovantaggio.

Il noto scrittore, politico e accade-mico di Francia Fernand Laudet, nel1929 onestamente lo riconobbequando pubblicò un libro intitolato

“L’Instituteur des instituteurs: saintJean-Baptiste de La Salle”5, ricono-scendo con questo titolo il ruolo fon-damentale che La Salle avevaricoperto nel dare dignità e impor-tanza ai maestri nella società. E cosìaltri dopo di lui. Titolo totalmentegiustificato e che costituisce in qual-che modo il versante laico di quelloche gli concederà Papa Pio XII procla-mandolo il 15 maggio 1950 “celestePatrono dinanzi a Dio di tutti i mae-stri”6. A evitare ogni possibile restri-zione interpretativa di questi termini,il Breve di Pio XII dice esplicitamenteche tale patrocinio si intende esteso“a tutti i maestri, sia religiosi che laici,di ambo i sessi, tanto se già esercitinoil loro ufficio, quanto se in appositescuole vi si stiano preparando”.

3 R. CHARTIER, M. COMPÈRE, D. JULIA, L’éducation en France du XVIe au XVIIIe siècle, Paris, S.E.D.E.S. 1976, p. 674 Papa FRANCESCO, 19 marzo 2018, Incontro pre-sinodale con i giovani.5 Fernand LAUDET, L’Instituteur des instituteurs: saint Jean-Baptiste de La Salle, Maison Alfred Mame et Fils, Paris, 1929.6 Breve di S. S. PIO XII, 15 maggio 1950, anno cinquantesimo della canonizzazione di san Giovanni Battista de La Salle.

(continua nel prossimo numero)

La Salle in mezzo ai ragazzi (bassorilievo in terracotta c/o la scuola La Salle-Roma)

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Gabriele Mossi Fsc

In lui era la vita... (Gv. 1,4)

Quanto generosa è la vita se vuoi pagarne il prezzoquanti brividi d’impossibile alle sorgenti della speranza alla mensa gioiosa dell’amore

il mio inno alla vita è credere contro ogni delusioneagire contro ogni amarezza, alzarmi da ogni sconfittae tendere le mani al mistero di giorni e giorniche mi chiedono un volto e un nome per essere storiail mio inno alla vitaè moltiplicare all’infinito ogni palpito d’amore è vedere in ogni lacrima un brillante di umanità è accettare il sudore della faticae fremere di commozione al vento del successo

il mio inno alla vita è una parola amica al giovane disorientato all’uomo rassegnato, al vecchio malatoil mio inno alla vitaè volerti accanto come una promessa e tenerti sul cuore come una vittoria

il mio inno alla vitaè saper pregare e vedere Dio in ogni atomo di bene in ogni creatura redenta nel grido di chi nasce, nel pianto di chi muoreperché tutto è Grazia

il mio inno alla vitaè una scommessa sull’Amore silenzioso e vivace, sofferto e gioiosotenero e forte, intimo e travolgentequell’Amore che solo saprà dire l’ultima parola.

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… la Parola per te !… la Parola per te !

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racconti lasalliani

L’abate Forbin de Janson, che nelgiro di qualche anno sarebbediventato arcivescovo di Arles,

proseguiva la sua visita nei locali diRue Princesse. Il parroco di San Sul-

pizio, M. de La Barmondière, sapevacon quale scrupolo l’abate svolgeva isuoi incarichi e per questo gli avevachiesto di rendersi conto personal-mente di come andassero le cose inquella scuola e di accertarsi dellacondotta di M. de La Salle e dei dueFratelli che il sacerdote aveva portatocon sé da Reims; voleva da lui un pa-rere per prendere una decisione defi-nitiva. L’abate, dopo avere parlato conM. Compagnon e Monsieur Rafrond,

si accingeva a ispezionare le aule e illaboratorio.

Padre Jean-Baptiste intanto pas-seggiava lentamente nel cortile, to-talmente immerso nei suoi pensieri,

tenendo tra le mani il breviario e losguardo rivolto verso il basso: a tratti,quando si arrestava, alzava gli occhima era evidente che non stesse guar-dando l’ambiente circostante tantoera combattuto sul da farsi: proprionon tollerava che i ragazzi perdesserotroppe ore di scuola e, in un certosenso, venissero addirittura sfruttatiper gli interessi privati di MonsieurRafrond il proprietario della manifat-tura di lana. L’idea del laboratorio tes-

sile per insegnare un mestiere ai ra-gazzi era venuta al parroco di SanSulpizio ma la gestione di M. Compa-gnon, il precedente direttore dellascuola, aveva permesso a MonsieurRafrond di approfittare della mano-dopera gratuita e così Jean-Baptiste,da quando aveva drasticamente limi-tato gli orari di lavoro dei ragazzi, siera fatto più di un nemico: le calunniedicevano che i ragazzi che non lavo-ravano alla manifattura si erano fattipigri e svogliati persino a scuola.Jean-Baptiste allora aveva deciso dirinunciare all’incarico ricevuto se nonfossero cambiate le cose. Piuttostosarebbe tornato a Reims dove c’eraancora tanto da fare. Ma Monsieur deLa Barmondière lo stimava molto eprima di prendere una decisione vo-leva vederci chiaro.

Nel frattempo, Fratel Claude si av-vicinò a Jean-Baptiste e gli disse cheuna donna, indicandogliela con uncenno della testa, desiderava parlarecon il Direttore per chiedere che il ni-pote potesse frequentare la scuola.L’anziana donna attendeva rispetto-samente poco distante e Jean - Bap-tiste, volgendo lo sguardo verso di lei,le sorrise incoraggiandola a farsiavanti. Era vestita di nero e i capellidi un grigio luminoso erano accura-tamente raccolti e trattenuti da unvelo azzurro scuro che le scendevafino sulle spalle. Il suo volto, pure se-gnato dal tempo, lasciava ancora in-travedere i lineamenti di unatrascorsa bellezza. L’abbigliamentomodesto della donna non si accor-dava con il portamento dignitoso che

Alberto Tornatora

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Chiesa di Saint Sulpice – Parigi

Rue Princesse, Parigi(aprile 1688)

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riflessioniracconti lasalliani

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mostrava nell’incedere. Fattasi vicino,ella accennò un inchino e disse:“Buongiorno Padre, perdonate l’ardire.Come Vi avrà già detto il maestro sonoqui per mio nipote Savinien: ha ottoanni e vorrei che venisse alla vostrascuola. Nel quartiere si è diffusa lavoce che da voi non si deve pagare egiacché noi non abbiamo i soldi per imaestri…”. Le ultime parole le avevadette abbassando lo sguardo e strin-gendo le mani che teneva composta-mente unite sul petto. “È vero, èproprio così signora”, rispose Jean -Baptiste rassicurandola. “Oh, sia rin-graziato il Signore!”, esclamò ladonna come sollevata e, superato ilmomentaneo imbarazzo, riprese adire: “Savinien è un bravo ragazzo, sa-pete? È generoso e sempre prontoquando gli si chiede di fare qualcosa.La madre è morta dopo il parto; mio fi-glio Cristiano, suo padre, era un sol-dato, un moschettiere del Re, ma oranon più perché una cannonata l’haprivato della gamba destra: è successotre anni fa in quella maledetta guerracontro gli olandesi durante l’assedio diMaastricht. Ora che è invalido per ti-rare avanti vende qualche genere di ri-storo agli spettacoli dell’Hotel deBourgogne. Anche io da giovane ho la-vorato lì”.

Quella donna era riuscita a rac-contare della sua famiglia quasi tuttoquello che Jean-Baptiste avrebbe po-tuto chiederle e aggiunse: “Lo vedete,Padre, mio nipote? È quello laggiù conil berretto verde che gioca in mezzoagli altri ragazzi”. La chioma riccio-luta che si intravedeva sotto il ber-retto, i grandi occhi castani e qualchelentiggine sul naso gli regalavano unaespressione di immediata simpatia:indossava una giacca di panno e unpaio di calzoni corti al ginocchio chesicuramente avevano visto tempi mi-gliori; pure sembrava che le suescarpe avessero preso a calci tutti isassi incontrati lungo la strada. “Lochiami signora - disse Jean–Baptiste- lo faccia venire qui da me, voglioparlargli”. Non appena Savinien sentìla voce della nonna che lo chiamava

smise di giocare e corse di filato versodi lei: si fermò al suo fianco fissandodritto negli occhi Jean-Baptiste. “Hosentito che il tuo nome è Savinien,vero giovanotto?”. “Sissignore!”, ri-spose il ragazzo togliendosi di testa ilberretto con la mano destra mentrestringeva con la sinistra l’elsa dellaspada di legno che si era legata conuna corda attorno alla vita: avevasempre con sé quella spada che si erafabbricata per giocare allo spadaccinocon il padre e non usciva mai di casasenza portarla con sé. “Quanti annihai?” chiese Jean-Baptiste. “Ottoanni, signore!” affermò con compia-cimento Savinien mentre sembravairrigidirsi sull’attenti di fronte a quel

prete che lo interrogava con atten-zione. “Bene. E come mai porti con teuna spada di legno?”, continuò a chie-dere Jean-Baptiste. “Perché da grandesarò un cadetto del Re, un moschet-tiere come mio padre e mio nonno!”,rispose orgoglioso e contento chequel sacerdote glielo avesse chiesto.“Una tradizione familiare di uominicoraggiosi!” disse Jean-Baptiste sor-preso di vedere negli occhi del ra-gazzo tanto entusiasmo. “Sì, miopadre è un eroe di guerra: ha dato lasua gamba per la Francia e mio nonnoè stato un maestro della spada: lo sache una volta, alla porta di Nesle, haaffrontato da solo cento uomini e li habattuti tutti?” rispose Savinien . PadreJean-Baptiste accennò un ‘espres-sione di meraviglia che si trasformò instupore quando Savinien aggiunse:“Mio nonno era capitano dei cadetti di

Guascogna e cantava questa canzone:“Noi siamo i cadetti di Guascogna/ diCarbonello di Castel Geloso/ Vantiamcorone quante se ne sogna/ e ciascunoè più ricco di un cencioso. / Occhiod’aquila gamba di cicogna, / denti dilupo baffi di spinoso,/ abbiamo uncappello di vecchia vigogna/ di cui co-pron le piume il feltro roso…”

La nonna gli posò una mano sullaspalla e lo interruppe dicendogli chepoteva bastare tra gli applausi e le ri-sate dei ragazzi che, poco distanti,avevano smesso di giocare e incurio-siti si erano fermati ad ascoltarlo. Sa-vinien si girò guardandosi intorno neldubbio che lo stessero prendendo ingiro ma Jean-Baptiste richiamò la sua

attenzione dicendo: “Che voce squil-lante! Canti davvero bene; sei anchemolto intonato. Vorresti cantare nelcoro della scuola? Tra due settimane èPasqua e stiamo preparando alcuniinni”. “Sì - rispose senza esitazioneSavinien - ma devo imparare le parole:nonna mi ha insegnato le preghierema non i canti”. “Per venire a scuola civuole disciplina e bisogna mettercitanto impegno - disse Jean-Baptistea Savinien che ascoltava sempre sul-l’attenti - “vedo che tu hai tanto en-tusiasmo e penso che possa fare bene.Lo sai, però, che quella spada di legnonon puoi portarla qui a scuola: dovrailasciarla a casa”. “E perché?”, chiesemeravigliato Savinien. “Perché qui siviene per imparare a leggere, a scri-vere, a fare di conto e si studia anchela religione; non si impara certo a ti-rare di spada! - rispose Jean-Baptiste.

Monsieur de La Chétardie visita la scuola di rue Princesse

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racconti lasalliani

“Piuttosto dovrai sempre portare conte i libri necessari ed essere ognigiorno puntuale all’inizio delle le-zioni”. Savinien con un’espressione unpo’ confusa si volse a guardare lanonna che, sorridendo, gli disse:“Quello che imparerai ti servirà per di-ventare un buon cristiano e un uomoonesto come tuo padre”. Poi rivolgen-dosi a Jean-Baptiste: “Padre, mio ni-pote ha ricevuto la cresima pochi mesifa proprio in questa parrocchia e vor-rei che potesse prepararsi per la co-munione qui da voi”.

“Signora, ogni giorno alle dieci etrenta noi accompagniamo i ragazzi aMessa e di pomeriggio insegniamoloro il catechismo”, disse Jean-Bapti-ste. “Sì, me ne sono accorta - ripresela nonna - infatti ho visto che anchela domenica mattina i maestri accom-pagnano i ragazzi in chiesa e chefanno lo stesso per i Vespri al pome-riggio. Sapete, mio nipote non èiscritto al registro dei poveri della par-rocchia ma ci terrei moltissimo chepotesse frequentare la vostra scuola”.“E tu, giovanotto, ascoltami bene -disse Jean-Baptiste rivolgendosi a Sa-vinien - impara subito che, come pre-scrivono i comandamenti, i ragazzihanno cinque obblighi nei confrontidei loro genitori: amarli, rispettarli,obbedire loro, assisterli durante la vitae infine pregare e fare pregare Dio perloro dopo la loro morte”. “Ogni giorno,

la mattina e la sera, dico le preghiereassieme a nonna per la mia mammache non ho conosciuta” - rispose Sa-vinien - “e che però so che mi ascoltae mi vuole bene”. “Tu sei un ragazzospeciale - disse soddisfatto Jean-Bap-tiste - tu non hai un solo angelo cu-stode, bensì tre; oltre a quello che Dioti ha dato, hai anche una nonna che sidedica a te e la tua mamma che ti pro-tegge dal cielo! Puoi rimetterti il ber-retto giovanotto”, disse e poi,rivolgendosi alla donna, “Signora, do-mattina alle otto aspettiamo Savinienper il suo primo giorno di scuola. Po-tete essere orgogliosa di vostro ni-pote”. Oh, grazie infinite Padre! -esclamò la donna – Vi ringrazio ancheda parte di mio figlio”. Ella era visibil-mente commossa e si chinò fino adinginocchiarsi per baciare la mano diJean-Baptiste che però la trattennedal gesto guardandola con unaespressione di dolce fermezza.

L’abate de Janson, intanto, uscitoda una porta secondaria, aveva com-pletato la visita dei locali e tornava,accompagnato da Fratel Rémond,verso Padre Jean-Baptiste il quale, ac-comiatatosi da Savinien e dallanonna, gli andava speditamente in-contro. L’abate gli riferì che avevaavuto modo di farsi un’idea abba-stanza precisa della situazione mache ora voleva sentire la sua versionedei fatti. “Monsignore, - rispose con

pacatezza Jean-Baptiste - so che i si-gnori con cui avete parlato hannospiegato le loro ragioni e che i fratelliVi hanno già illustrato le nostre pre-occupazioni; piuttosto adesso vorreiche foste Voi a dirmi le mancanze ed idifetti della mia gestione e che mideste i suggerimenti più utili per mi-gliorare”. All’udire queste parolel’abate fu confermato nelle sue intui-zioni e, dissimulando un intimo com-piacimento, rispose con tonobonariamente sentenzioso: “Allora, M.de La Salle, stando al numero dei ra-gazzi segnati nel registro ognuna delletre aule dovrebbe contenere circa uncentinaio di alunni: davvero un bel nu-mero. Dirò a M. de La Barmondière chela sua intenzione di utilizzare i localiin Rue du Bac per potere ospitare inmaniera più opportuna anche altri ra-gazzi del quartiere deve essere messain pratica: sono anche pienamenteconvinto che con i metodi che aveteapplicato qui e con l’aiuto di Dio riu-scirete nell’opera con successo”. Leparole dell’abate rinfrancarono final-mente Jean-Baptiste che fino ad al-lora era rimasto trepidamente sospesonell’incertezza dell’esito della visita.Guardandolo con occhi pieni di grati-tudine mentre si allontanava Jean-Baptiste ripeteva, tra sé e sé,sottovoce: “Dio sia benedetto”. ◆

Tanta gratitudine ai sostenitori di LASALLIANI IN ITALIAUn sentito ringraziamento agli amici, qui sotto elencati, che ci hanno inviato una generosa offerta.

Fumero Fratel Francesco - Galliani Fratel Renato - Proietti Fratel GiorgioBenzi Paola - Montini Fratel Luigi - Fagnola Giuseppe - Zaralli Fratel Augusto

Comunità Fratelli Ist. Gonzaga - Simoni Gastone - Palladino Giovanni Angelucci Amilcare - Luffredo Nicola/Giuliano Valeria - Pesce AndreaColelli Giancarlo - Sandulli Piero - Lucchi Pietro - Giamporcaro Ottavio

Gaglio Costantino - Bavoso Renzo - Sigismondi Luciano - Andreoni Sandra Paleari Maurizio - Tottoli Gina - Di Crosta Vincenzo - Izzo Giovanni - Sacchi Maddalena

Lau Antonio - Berghenti Maria Teresa - Santagata Salvatore

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riflessioni

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Comincerei dalla triplice acce-zione che, dal punto di vistacristiano – probabilmente, non

solo – ha il termine “mondo”: 1. l’es-senza della creazione divina, quindi

la materializzazione di un atto diamore immenso e gratuito da partedi Dio Creatore, una realtà enorme-mente buona; 2. tutto ciò che nonverge direttamente e limpidamente

verso lo spirito, quindi, non un malein sé, ma una realtà a rischio; 3. ilpeccato e il suo ambiente. Tre acce-zioni assai diverse: e come in una lin-gua ciò abbia a succedere, son pro-

blemi lessicali esemantici non dapoco, mitigati da co-noscenze collateraliche ci vengono inaiuto. È evidente che,se andiamo invece allatino o al greco, lecose cambiano unpo’, perché “mundus”e “kòsmos” ci portanosenza grandi diffi-

coltà di comprensione a cose intrin-secamente e visivamente buone.

Se noi poi mettiamo in relazionequesto termine, il mondo, con laChiesa, avviene che non ci faccia pro-

blema l’accezione numero uno, maneanche la numero tre, in quantosiamo ben consapevoli che, se GesùCristo ha costruito la sua Chiesa suuomini fragili e peccabili (avrebbe po-tuto anche affidarla ad angeli: “se…,potrei rivolgermi al Padre, che mimanderebbe più di dodici legioni diangeli…”), avrà avuto i suoi buoni mo-tivi: la Chiesa deve fare i conti anchecol peccato, ma c’è l’azione della Spi-rito. Quella che ci invischia un po’ dipiù è l’accezione numero due, inquanto è la più strisciante, e nellastoria è stata sempre - mutatis mu-tandis - questa accezione di “mondo”a creare problema per la Chiesa: l’at-trazione da parte di realtà che con laChiesa non hanno a che fare diretta-mente e con le quali nemmeno laChiesa deve confrontarsi - né tantomeno rimanerne succuba -, ma sem-

Maurizio Dossena

Successi della Chiesao successi del mondo?Riflessioni riguardo ai rischi di cadere nella trappola della mondanità

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riflessioni

mai solo conviverci. E senza abdicare,con la dovuta discrezione ma anchecon risolutezza - al suo divino man-dato di Mater et Magistra. Ed è pro-prio ciò che spesso ha difettato e cheanche oggi difetta non poco.

La prima, concreta osservazionecritica sul panorama religioso che ab-biamo scelto quale odierna indagine,ci porta al fatto che, di fatto, oggi ilRegno di Dio è offerto gratuitamentea tutti senza bisogno di meritarlo “per-ché Dio ci ama indipendentemente daciò che facciamo”: scrivo, ancora sottola suggestione di carrellate di “mo-dernità” insostenibili, che è dato tro-vare in un saggio di “teologia”, megliodi cristologia, “Cristologia per iniziare”,del gesuita spagnolo Padre José-Ra-mon Busto Saiz sj, Rettore (sic!) del-l’Università Pontificia di Madrid e do-cente di esegesi e teologia, il qualeparte dall’assunto - come criticamentecommenta il colto e arguto studiosomio concittadino Ettore Gotti Tedeschi- dei “suggerimenti di Karl Rahner ri-feriti al rischio passato di inconsape-vole eresia, che consisteva nel fattoche per considerare Gesù vero Dio, silasciava troppo in secondo piano ilfatto che egli è vero uomo ed ha avutouna storia umana che deve esser in-vestigata storicamente”. E, da qui, unaserie di conseguenze intrecciate.

Un altro esempio probante del ser-vilismo mondano che sta inaridendola Chiesa, è costituito dalle risultanzedel recente Sinodo dei Giovani, unevento nel quale gli uomini di Chiesahanno vistosamente scelto di rinun-ciare a riproporre ai giovani, con mo-dalità giovani, la Chiesa di sempre,ma hanno scelto (o accettato? o su-bìto?) di parlare un linguaggio nuovonel quale le realtà della Fede si stem-perano e si vanificano: una scelta dicampo che noi uomini di scuola nonsvenduti riteniamo inaccettabile nellascuola e che, a maggior ragione, nonsi giustifica nell’ambito delle realtàdella Fede. Esempio (un esempio cheè stato molto scandagliato): nel Do-cumento finale del Sinodo quasi maisi trova la parola “Messa”, per lo più

sostituita da Eucarestia, con la defi-nizione (al 134) “La celebrazione eu-caristica è generativa della vita dellacomunità e della sinodalità dellaChiesa. Essa è luogo di trasmissionedella fede e di formazione alla mis-sione, in cui si rende evidente che lacomunità vive di grazia e non del-l’opera delle propriemani”: è completa-mente assente la di-mensione sacrificaledella Messa, è esaltatodella Messa soltantol’aspetto conviviale:quindi, nonostante gliammonimenti dei nostriultimi santi Papi a ri-fuggire dalle male in-terpretazioni del Conci-lio, ecco che questeriappaiono alla grande,togliendo ai giovanil’opportunità di cogliereappieno il mistero di salvezza nellesue realtà forti. E così mancano, o deltutto o quasi, riferimenti a molte re-altà di fede e di etica; addirittura, perassumere le parole di un blog piutto-sto critico sull’argomento, “stupisceche per un documento rivolto ai gio-vani, in cui la vita famigliare e il ma-trimonio dovrebbero raggiungere ilposto principale, si sia completamentetralasciato l’aspetto del fidanzamentoe dei fidanzati: ma qui si sarebberotoccati argomenti divisivi come i rap-porti prematrimoniali”.

Perché avviene questo? Non è solouna questione di lessico e di uso omeno di termini che tradizionalmentehanno permeato l’approccio conosci-tivo, fin da giovani, alle cose dellaFede stessa. No, qui si tratta propriodi abdicazione, di captatio benevo-lentiae dei giovani, anzi - con la scusadei giovani - dei non-giovani: masembra proprio che il risultato siaquello opposto!

Non aiuta molto, quanto a chia-rezza da questo punto di vista, nem-meno una recente teorizzazione delPresidente della C.E.I. Card. GualtieroBassetti, secondo cui “l’unità religiosa

non significa certo l’imposizione delcristianesimo ai popoli d’Europa, tut-t’altro…”, un’affermazione senza om-bra di dubbio, certamente, ci man-cherebbe; sennonché non posso chetrovarmi d’accordo con chi, al ri-guardo, sottolinea che, se l’Europastenta a costruirsi come era stato pre-

visto dai suoi fondatori, è perchémolto si è inquinata l’idea d’Europada come la pensarono i suoi fondatori,anche perché il virus inquinante eragià in qualche piega di certo euro-peismo iniziale e, d’altra parte, lemolte religioni praticate in Europarendono complessa l’operazione.“Sempre più capiamo (Marco Tosatti)perché [in tale contesto ecclesiale]siano state esaltate figure come Pan-nella, Bonino, Napolitano. Sempre piùcapiamo perché alla Pontificia Acca-demia delle Scienze vengano invitatiJeffrey Sachs e Paul Erlich”.

Vi è un punto critico in tutto que-sto problema della mondanizzazionedella Chiesa, ed è l’assolutizzazionedel dialogo: il dialogo è una cosa seriae doverosa, è sinonimo di culturaaperta e di umanità viva, ma solo se sibasa sulle certezze della propria fedee della propria cultura, sulla propriaidentità insomma, altrimenti è opera-zione velleitaria, pericolosa e ricca diequivoci e insidie, come insegna ungrande teorico di tali certezze, PlinioCorrêa de Oliveira (1908-1995), nelsuo mirabile saggio “Trasbordo ideo-logico inavvertito e dialogo” (1965):

Card. Gualtiero Bassetti

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ebbene, oggi ravvisiamo tanto dialogoequivoco e “mondano” – e tanto invitoa tale forma di dialogo, purtroppo! –anche nella Chiesa, da parte di certisuoi esponenti; si tratta di un dialogogià di per sé massonico e con la Mas-soneria la Chiesa non ha niente in co-mune: e “il dialogo che comincia dase stesso e non dai contenuti - perché,se cominciasse dai contenuti, non par-tirebbe nemmeno - è già massonicoperchè sostituisce alla realtà una pro-spettiva razionalista, punta su un ge-nerico umanesimo universalista e suuna visione sincretistica della veritàche è nell’anima della Massoneria edè tra i suoi obiettivi primari; per il cat-tolico il dialogo si fa a partire dai con-tenuti e, se ci si accorge che questinon lo permettono, lo si blocca e nonsi modificano i contenuti per renderlopossibile”. (così “La nostra BussolaQuotidiana” del 23.10.2018, a propo-sito di un equivoco summit cattolici-massoni, proprio all’insegna del dia-logo, avvenuto a Gubbio).

Papa Francesco ha messo mirabil-mente in guardia anche dalla mon-danità spirituale: «La mondanità spi-rituale, che si nasconde dietroapparenze di religiosità e persino diamore alla Chiesa, consiste nel cer-care, al posto della gloria del Signore,la gloria umana e il benessere perso-nale». Come in una radiografia il Papadescrive questa «oscura mondanità»

di chi vuole «dominare lo spazio dellaChiesa»: «godimento spurio di un au-tocompiacimento egocentrico», ri-cerca del potere, follia dei «generalidi eserciti sconfitti», neo-colonialismoecclesiastico con «piani apostoliciespansionistici», vanità di chi godeparlando di «quello che si dovrebbefare. […] Chi è caduto in questa mon-danità guarda dall’alto e da lontano,rifiuta la profezia dei fratelli, squali-fica chi gli pone domande, fa risaltarecontinuamente gli errori degli altri edè ossessionato dall’apparenza (…) nonimpara dai propri peccati né è auten-ticamente aperto al perdono». Lamondanità spirituale frena il «realeinserimento del Vangelo nel Popolo diDio e nei bisogni concreti della storia»,provocando la perdita di contatto«con la realtà sofferta del nostro po-polo fedele». Essa è priva «del sigillodi Cristo incarnato, crocifisso e risu-scitato…, non va in cerca dei lontaniné delle immense moltitudini assetatedi Cristo», dimentica la storia dellaChiesa che è «gloriosa in quanto storiadi sacrifici, di speranza, dilotta quotidiana, di vitaconsumata nel servizio, dicostanza nel lavoro fati-coso». Seguono – e vi ri-mando, perché non vogliotrasformare questo mio ar-ticolo in una predica – leindicazioni su come evi-tarla. Aggiungo solo – per-ché mi piace essere sempreil più possibile completonelle fonti – che il Papa nelfrangente si è riferito a Henri de Lubac(1896-1991), il quale, a sua volta, haposto la categoria della mondanitàspirituale a riferimento del benedet-tino tedesco, naturalizzato inglese,dom Anscar Vonier (1875-1938).

La mondanità spirituale è dunqueinsieme il più grande peccato e la piùgrande catastrofe per la Chiesa, per-ché “chi non prega il Signore, prega ildiavolo” (è sempre il Pontefice) equando non si confessa Gesù Cristo,si confessa la mondanità del diavolo,la mondanità del demonio.

Del resto,già il suosanto prede-cessore PaoloVI, nel 1968,parlò moltoc h i a r a -mente del-l’autodemolizione in atto nella Chiesa(parlarne nel 1968 suscitò contem-poraneamente grande attenzione esequela nelle persone attente e sen-sibili, reazioni assai negative in chiall’autodemolizione stava già dandoampio contributo, molta disattenzionenei rimanenti, notevolmente più at-tratti da altro…) e ancor oggi ci chie-diamo: continuerà l’autodemolizionee che cosa possiamo fare per evitarnegli atti conclusivi e per procedere alrestauro dei danni già prodotti? E quiconsigliamo l’attenta analisi di Do-menico Airoma in “Cristianità” 393(settembre-ottobre 2018).

Del resto, già Benedetto XVI ci ri-cordava (eravamo nel 2011) che “percorrispondere al suo vero compito, la

Chiesa deve sempre di nuovo fare losforzo di distaccarsi dalla mondanitàdel mondo», affinché non accada che“gli scandali prendano il posto dello«skàndalon» primario della Croce ecosì lo rendano inaccessibile, nascon-dendo la vera esigenza cristiana dietrol’inadeguatezza dei suoi messaggeri»:una Chiesa povera per i poveri? Sì, ma«se non confessa Gesù Cristo, confessala mondanità del diavolo».

E allora, più che mai, “beati i poveriin spirito, perché di essi è il regno deiCieli”! ◆

Papa Francesco

Papa Paolo VI

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anno giubilare

È un cammino, quello dei discepoli di Emmaus, verso il riconoscimento del Maestro, un cammino talvolta denso di ombre, di nascondimento, può sembrare un crepuscolo. Ma non lo è. È un cammino anche quello della Provincia Italia della Con-gregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane in questo anno di gioia per le celebrazioni del Tricentenario della morte del Fondatore San Giovanni Battista de La Salle, non in solitudi-ne, ma “insieme e in associazione”. Per questo, in centoventi tra Responsabili Scolastici, Associati, Signum Fidei, Docen-ti, Fratelli e laici, uomini e donne vicine al mondo lasalliano hanno accolto l’invito del Visitatore Provinciale Fr. Gabrie-le Di Giovanni e si sono riuniti a Paderno del Grappa per trascorrere giorni di comunità e di riscoperta del carisma lasalliano e per intravedere nuovi percorsi. I due discepoli di Emmaus hanno costantemente camminato con i partecipanti durante tutto l’evento: nella presentazio-ne del Piano Pastorale tenuta dal Prof. Enrico Sommadossi, Coordinatore del Tavolo di Pastorale e Volontariato, che ha invitato ad “accettare l’accompagnamento”; nelle parole di

Fr. Onorino Rota, già Provinciale della Congregazione dei Fra-telli Maristi, il quale, nella cronaca vissuta dell’accoglienza dei migranti sul mare di Siracusa, ha sottolineato che i discepoli non si sono arresi di fronte allo sconforto, che anzi, “stanchi di camminare, si misero a correre”; nella lezione di S. E. Mons. Angelo Vincenzo Zani che ne ha sottolineato l’immediatezza e lo slancio (ripartirono senza indugio, Lc 24, 33), pur se in salita, ormai pieni di Cristo, verso Gerusalemme; nell’intervento con-clusivo del Vicario Generale della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Fr. Jorge Gallardo de Alba, che ha fatto scorgere nei discepoli di Emmaus i Lasalliani di oggi ponendo la domanda urgente dei nostri tempi: rimanere in Emmaus o

tornare a Gerusa-lemme? rimane-re a Parmenie o tornare a Parigi? voltarsi indietro o uscire da noi stessi, dopo che Cristo ha bussato ai nostri cuori?Tra tradizione e innovazione, tra conservazione e novità hanno vissuto insieme i partecipanti nei numerosi momenti di incontro, di scambio, di dialogo: arricchiti e guidati dalla metodologia “Design for Changes” illustrata da Fratel An-tonio Ojeda Ortiz, Consultore della Congregazione per l’E-ducazione Cattolica, hanno insieme “sentito, immaginato, agito, condiviso”; nella serenità e nella seria leggerezza del serale World Cafè hanno disegnato nuovi progetti, rielabora-ti e restituiti in assemblea dal Prof. Stefano Capello, Coordi-

Nella sede dell’Istituto Filippin di Paderno del Grappa, l’evento “LIVE LA SALLE” (1-4 Novembre 2018) nell’imminenza della solenne apertura dell’Anno Giubilare Lasalliano.

VERSO L’ALBA

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anno giubilare

natore del Tavolo di Formazione; in ascolto del Prof. Paolo Bianchini (Università degli Studi di Torino) hanno percorso chilometri di storia del mondo dell’educazione, anche qui tra vecchio e nuovo. Non solo parole o pensieri: da Paderno del Grappa anche un viaggio verso altre realtà, grazie alla testimonianza della “Fondazione De La Salle Solidarietà Internazionale Onlus” por-tata dalle voci della Dott.sse Laura Ballerini e Angela Ma-tulli, rispettivamente Direttrice della Comunicazione e Di-rettrice Associata – Sviluppo, e grazie alle parole di Gemma Feri, ex studentessa dei Fratelli delle Scuole Cristiane: aiuto concreto alle zone devastate dalla guerra, dalla fame, dalla violenza su donne e bambini.

Terre lontane si vedono anche nella nuova traduzione dell’o-pera di San Giovanni Battista de La Salle “Meditazioni per il Tempo del Ritiro”, (Introduzione del Visitatore Fr. Gabriele Di Giovanni) curata e presentata dal Prof. Al-berto Tornatora del Collegio San Giuseppe-Istituto De Merode. Gli scritti del Fondatore non sono solo tradotti dalla lingua francese a quella italiana, ma anche in im-magini e in riflessioni che ci portano al presente, dentro e fuori le scuole. Non solo il presente, occorre “frequentare il futuro” (Discorso del Santo Padre Francesco all’inizio del Sino-do dedicato ai giovani), uscire dalla zona di comfort, vedere con nuovi occhi. E il futuro lo si vede con gli occhi dei ragazzi, perché loro “non sono il futuro, sono il presente”, possono condurci, se guidati, alla “trasfor-mazione culturale” e ad andare “controcorrente” (Fr. Antonio Ojeda Ortiz).Nelle parole del Coordinatore del Consiglio MEL, Prof. Sileno Rampado, sono stati delineati alcuni stru-menti in preparazione, utili a definire l’identità lasalliana e a tracciare le linee teoriche e operative, natu-ralmente condivise, per affrontare le sfide degli anni a venire. Nelle conclusioni del Visitatore Provinciale l’invito a considerare che l’Anno Giubilare Lasalliano, in modo ufficiale tramite il Decreto emanato dalla Penitenzeria Apostolica, riconosce la santità delle azioni educative, già ora, già qui. Il Tricentenario della morte del Fondatore, il quale “ha lasciato una straordinaria scia di luce e sapienza” (Omelia di S. E. Mons. Angelo Vincenzo Zani, Santa Messa del 3 novembre 2018) e che vive in opere e parole nel mondo di oggi, è allora un’occasione di festa, di fermento, di novità, senza spazi per la “retorica dell’affaticamento”, come ha sottolineato con forza il Vicario Generale che ha infine espresso apprezzamen-to per le iniziative ideate dalla Provincia Italia per questo Anno. E ha fugato ogni dubbio sulla prospettiva del crepuscolo. Se, come fece e come ci ha indicato San Giovanni Battista de La Salle, sapremo riconoscere e seguire lo Straniero, il cre-puscolo non ci sarà, sarà una nuova alba. “Il Cristo della “Cena in Emmaus” (Rembrandt) è pura ombra. Nulla deve mostrare della sua presenza. È già vissuto. C’è già stato. (…) Ha mostrato che si è compagni di strada su questa terra, che tutti siamo stranieri e di passaggio, che occorre ascoltare le parole che abbiamo ricevuto, che si deve condividere il pane e il cammino” (G. Caramore, M. Ciampa, Croce e Resurrezione, Icone, Il Mulino, 2018, p. 160).

Sara MancinelliRembrandt Van Rijn, La cena dei pellegrini in Emmaus.

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I commenti e le celebrazioni centenarie della Grande Guerra ci hanno accompagnato per cinque anni, so-prattutto per i quattro anni italiani dell’evento bellico, con fasi alterne segnate da caratteristiche di interesse diverso e connesso ad angolature diverse, per lo più contrassegnate da un grado di interesse tutto sommato medio-basso e per lo più di circostanza, salvo, in que-ste ultime settimane – soprattutto, comprensibilmente, in relazione alla data del 4 novembre 2018 – assume-re un tono improvvisamente mosso e dinamico – con conferenze, convegni, mostre, articoli a stampa -, un po’ come capita con quello spettacolo ormai desueto (ma tardo a morire, a dispetto dei costi!) che sono i giochi pi-rotecnici, nei quali, dopo piroette “da bambini”, alla fine si scatena una gragnuola di scoppiettanti e variopinte fiammate, e la gente (oggi abituata a ben altro) applau-de come bambini. Ebbene, gli storici attenti non hanno atteso le fiammate di fine-fuochi, ma hanno da tempo

intrecciato le loro riflessioni più o meno fondate sull’utile ideologico dell’inutile strage, per riprendere l’acco-rato appello di Papa Benedetto XV.A bocce ormai quasi ferme, è d’uopo mettere da parte ogni retorica e parlar chiaro anche su questo tragico evento che è stata la prima guerra cosiddetta mondiale, assolutamente convinti che la lezione sincera della Storia sia l’unica che possa far davvero bene a tutti e che “la verità è l’unica carità concessa alla storia”: non vi sono giustificazioni valide per alcuna altra via che non sia questa. Porremo come doverosa premessa tutta l’umana e cristiana solidarietà e tutta l’ammirazione per quella numerosissima schiera di Italiani i quali, per disciplina, obbedienza e amor di Patria, hanno versato il loro sangue in quell’orrendo e assurdo massacro che è stata questa guerra. Questo sì, doverosamente, ma nulla più di questo concederemo alle celebrazioni di rito. Da Italiani, ma Italiani pensanti.Il primo conflitto mondiale fu, su scala planetaria, la prima imponente guerra causata dalle ideologie che, a partire dalla Rivoluzione Francese e per tutto l’Ottocento erano imperversate nel continente; “la Prima guerra mondiale fu la manifestazione epidermica di un sostrato più profondo che fece emergere ed esprimere una rivoluzione mondiale. I campi di battaglia non vedevano più fronteggiarsi eroi intrepi-di che si guardano negli occhi sfoggiando il proprio valore; adesso era il tempo della battaglia dei materiali con l’uomo materiale tra i materiali, ingranaggio di un meccani-smo che può essere composto, scompo-sto e sostituito senza la benché minima rilevanza etica. La morte diventava seriale e il suo simbolo è il milite ignoto, l’uomo che ha versato il sangue ma di cui non im-porta sapere o men che meno ricordare il nome”. Questa lucida e concreta disami-na nelle parole di Daniele Fazio racchiude

PIÙ CHE MAI DICIAMO“INUTILE STRAGE”

Dopo un anno di celebrazioni e molta retorica sulla Grande Guerra

PIÙ CHE MAI DICIAMO“INUTILE STRAGE”

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PIÙ CHE MAI DICIAMO“INUTILE STRAGE”

Dopo un anno di celebrazioni e molta retorica sulla Grande Guerra

PIÙ CHE MAI DICIAMO“INUTILE STRAGE”

tutta la tragica realtà storica di questo dirompente evento e noi ci chiediamo come i nostri contemporanei, così (comprensibilmente) pronti a censurare qualsiasi idea di guerra che possa riguardarli, siano così facili a giustificare il massacro dei loro nonni e bisnonni…E allora completiamo il quadro argomentativo delle conseguenze di questo conflitto ideologico nella suddet-ta citazione, ricordando come “laddove ancora sussisteva nell’ambito della vita delle comunità civili un rife-rimento seppur blando a Dio, ora il campo era libero perché si potessero instaurare i nuovi idoli: la razza, la classe, la rivoluzione. I frutti avvelenati sarebbero presto stati serviti con l’ascesa dei totalitarismi e lo scoppio nel nuovo conflitto mondiale”. E ce n’è quanto basta per essere seriamente e doverosamente critici. Il quadro si completa con un altro attento studioso di tali aspetti, Oscar Sanguinetti, il quale, dopo aver egregiamente inquadrato l’inserimento della Prima Guerra Mondiale nel quadro di azione della Rivoluzione, ne vede i sin-

goli aspetti, constata le vittime, i ruoli sociali, la guerra di massa, le misere condizioni pace e le loro altrettanto tragiche conseguenze politi-che, la fine della vera Europa, per concludere che “la guerra mondiale 1914-1918 s’inscrive a pieno titolo nel processo rivoluzionario occi-dentale e non solo, come evento-svolta, pun-to di arrivo di sotto-processi pluridecennali e punto di partenza di altri processi storici dello stesso segno, che approfondiranno ideolo-gicamente e politicamente le tendenze nate dalla Rivoluzione del 1789 e aggraveranno la condizione di salute dell’habitat civile e inte-riore dell’uomo europeo e occidentale”.Ce n’è abbastanza per non sentirci affatto or-gogliosi di aver combattuto questa guerra che portò lutto, devastazione, enormità di debito

pubblico, insieme con territori che – sono fra i convinti di ciò – avremmo potuto avere con una neutralità ben più onorevole di quel voltafaccia che è stato il patto di Londra nei confronti di alleati pluridecennali.Dispiace doverlo dire, ma è la lezione della Storia e noi, da Italiani, la diciamo.

Maurizio Dossena

Il vero dramma di un Paese come l’Italia non è la difficoltà economica, ma la perdita di valori, di ideali, di spiritualità, anche nel senso laico del termine. A cambiare i valori e i riferimenti morali ha senz’altro contribuito un quarantennio di sottocultura televisiva che è riuscita gradualmente a stravolgere la so-cietà italiana, modificandone la mentalità, cancellandone cultura e tradizioni. Si è arrivati a convincere che ciò che propina la televisione è più vero della vita reale. “L’ha detto la televisione!”, si sente spesso dire, mentre alcuni programmi sono una vera offesa all’intelligenza delle persone. L’invasività televisiva ha determinato la corsa al prodotto mediatico e alle celebrità che questo di volta in volta sforna, con un conseguente disprezzo per i non famosi e i perdenti, risultando plagiati e attratti più da ciò che luccica che da ciò che illumina. Un risultato disumanizzante e antitetico con il messaggio evangelico che punta all’essenzialità e non alle apparenze. Così succede di vedere file di migliaia di giovani presso le agen-zie selezionatrici per sottoporsi a provini che, superati, li possano lanciare alla ribalta. Una comparsata televisiva è l’assicurazione all’esistenza. Compaio quindi sono. E quando certi personaggi, in passato famosi, non si vedono più in televisione sono considerati morti, fino ad averne una smentita quando dovessero riapparire, magari invecchiati, in qualche spettacolo revival. Anche il calo di coloro che leg-gono si spiega con il prevalere della cultura dell’immagine, imposta dalla televisione, che impedisce la riflessione personale. Ma l’impoverimento culturale va di pari passo con quello spirituale. Non c’è da meravigliarsi allora, se i nostri giovani e non solo, siano sempre più anemici e denutriti spiritualmente.

The Dreamer

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Il dramma di un Paese Sestante

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Qualcuno lassù ti ama e...ti chiama!

Gesù ti invita: Vieni e vedi

Andando via di là, Gesù vide un uomo, chia-mato Matteo, seduto al banco delle impo-ste, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccato-ri e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dice-vano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.  Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,9-13).

Appuntamenti vocazionali con Jean-Baptiste de La Salle• IO SONO UNA MISSIONE: Campo vocazionale 28 luglio - 4 agosto 2019 (a servizio dei giovani migranti)

• SIMPOSIO DELLE VOCAZIONI LASALLIANE in VAL CLAREA 25 - 29 agosto 2019 Per tutte le vocazioni lasalliane e le loro famiglie

anno vocazionale

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Sono un Signum Fidei, mi sono consacrato il 24 novembre 2018, ma anche un docente lasalliano, quindi un educatore nella scuola. Il mio percorso di Signum Fidei è iniziato molti anni fa poiché, grazie alla Provvidenza, ancor prima di intrapren-dere a insegnare, nell’anno scolastico 2002-2003, ebbi la grazia di conoscere San Giovanni Battista de La Salle e la congregazione da lui fondata. All’epoca avevo già deciso di dedicare la mia vita all’insegnamento nella scuola elementare ma cer-cavo ancora di capire quale fosse la volontà del Signore sulla mia esistenza, sul mio essere cristia-no; cercavo di scoprire il progetto di Dio su di me. E nel corso degli anni, la progressiva conoscenza del Fondatore, della sua profonda spiritualità e del suo messaggio educativo mi hanno aiutato a capire che il mio “destino” sarebbe stato indisso-lubilmente legato all’insegnamento nella scuola cattolica. Naturalmente, come ogni percorso di discernimento e di crescita spirituale che si rispet-tino, ho impiegato diversi anni per comprendere appieno che la Provvidenza mi indirizzava verso la fraternità Signum Fidei. Appena conobbi il La Salle, del resto, pur avendo immediatamente per-cepito in me un forte desiderio di conoscere e ap-profondire sia la sua spiritualità che la sua pedago-gia, ho anche cercato di prendere il giusto tempo al fine di “leggere” nella storia della mia vita i “se-gni” della volontà del Padre. Grazie alla sapiente guida del mio padre spirituale, ho costantemente tentato di distinguere il lato “emotivo” e istintivo da quello “razionale” della fede. In un percorso di crescita spirituale, infatti, è sempre preferibile diffidare dei “moti” della propria emotività; solo con la perseveranza nella preghiera e la regolarità nella vita sacramentale (anche quotidiana) si può comprendere davvero la volontà del Signore. Ciò che mi ha fatto innamorare del fondatore è il suo messaggio evangelico. Mai come oggi i bambi-ni e i ragazzi necessitano di un messaggio cristia-no vero, autentico e profondo. Trovo che in questo periodo di “emergenza educativa” un Signum Fi-dei possa davvero collaborare più che degnamen-te all’opera di Dio. Un’opera fatta innanzitutto di testimonianza; una testimonianza che si concretiz-za nello zelo quotidiano grazie al quale si serve il Signore nelle classi che ci sono state affidate; uno zelo che scaturisce da una profonda fede e che tra-sforma la propria vita e la propria azione educativa quotidiana in un profondo atto di amore. Un atto

di amore che è servizio. E non vi è servizio evange-lico senza un dono: il dono di noi stessi, di ciò che siamo, della nostra volontà, della nostra stessa esi-stenza terrena. Diventare Signum Fidei per me ha significato passare dallo status di cristiano “spet-tatore” a quello di cristiano “attore”; un minusco-lo e insignificante attore di quel grande progetto di salvezza che il Signore non potrebbe mettere in atto senza il piccolo apporto di ognuno di noi. Ma il cammino che ho iniziato con la mia prima con-sacrazione non costituisce affatto un punto d’arri-vo bensì un nuovo inizio; l’inizio di un percorso attraverso il quale scegliere ogni giorno di servire Dio. Si tratta di un percorso entusiasmante ma pie-no di insidie e di numerosi ostacoli. Un educatore cristiano che voglia davvero essere un testimone di fede, un “segno” per il prossimo, non può che coltivare continuamente se stesso e la sua anima attraverso un colloquio interiore quotidiano. Sono fiducioso nella bontà del Signore poiché ripongo tutta quanta la mia fiducia in Dio. Egli agisce sem-pre bene e per il meglio della nostra vita. Questa mia scelta, forse, non è stata compresa da tutti, tal-volta anche da amici o parenti ma, come ci insegna “L’imitazione di Cristo” è bene non curarci di sapere chi ci sia favorevole o contrario: l’unica cosa della quale dobbiamo aver cura è infatti che il Signore sia con noi in tutto ciò che facciamo.Nel mio percorso di aspirante Signum Fidei ho avuto l’opportunità (e la grande fortuna) di poter conoscere delle persone straordinarie: tra queste il mio ricordo affettuoso e la mia gratitudine vanno a Fratel Gian Piero Salvai, la cui grande fede, ac-compagnata da una profonda vita spirituale, mi ha sempre incoraggiato nel proseguire il cammi-no intrapreso, anche e soprattutto nei momenti di “arresto” o di difficoltà. Il mio sentimento di af-fetto, il mio pensiero e la mia riconoscenza vanno anche a Fratel Mario Chiarapini, direttore dell’isti-tuto presso il quale insegno attualmente, cui devo la mia preparazione in questo ultimo anno che ha preceduto la mia prima consacrazione; a Fratel Remo Vergaro, mio primo coordinatore quando operavo presso il doposcuola dell’Istituto Pio IX e mia guida nel muovere i primi passi nel mondo della scuola lasalliana; nonché al compianto Fra-tel Mario Presciuttini, cui devo gran parte della conoscenza della storia dell’istituto dei Fratelli. Un ultimo sentito ringraziamento, infine, a Fratel Osvaldo Tafaro, mio primo direttore, una persona

Un cammino

L’entusiasmo di essere un apostolo nella scuola

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capace di grande ascolto che nei miei primi anni di insegnamento mi ha sempre supportato, incorag-giandomi a proseguire nel cammino intrapreso. Un ringraziamento sincero, infine, lo rivolgo a tut-ti i miei cari alunni di questi sedici anni di scuola, alla loro fantasia, al loro affetto, alla loro gioia di vivere. Spesso mi è capitato di non sentirmi all’al-tezza del grande compito affidatomi ma, oltre a un costante aiuto del Signore, ho sempre tratto parte del mio entusiasmo e della mia forza dal sorriso, dalla spensieratezza e dalla presenza gioiosa dei fanciulli. Che il Fondatore mi aiuti a ricordare co-stantemente di essere, per ognuno di loro, un pic-colo angelo custode.

Massimiliano Ciavarella

Signore della messe,

BENEDICI i tuoi giovani con il dono del coraggio di rispondere alla tua chiamata. Apri i loro cuori ai grandi ideali e alle grandi cose.

ISPIRA tutti i discepoli all’amore e al dono reciproci, perché le vocazioni fioriscano nella buona terra dei fedeli.

INSTILLA in coloro che vivono la vita religiosa, i ministeri par-rocchiali e la famiglia la fiducia e la grazia per invitare altri ad ab-bracciare il coraggioso e nobile sentiero di una vita donata a Te.

UNISCICI a Gesù attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola, il servizio ai Poveri e i sacramenti, in modo che possiamo coo-perare con Te per costruire il tuo Regno di misericordia e verità, di giustizia e pace. Amen.

Papa Francesco

Oggi i giovani devono essere in moto, i gio-

vani devono camminare; per lavorare per le

vocazioni bisogna far camminare i giovani, e

questo si fa accompagnando.

L’apostolato del camminare. E come cammi-

nare, come? Inventare azioni pastorali che

coinvolgano i giovani, in qualcosa che faccia

fare loro qualcosa: nelle vacanze andiamo una

settimana a fare una missione in quel paese, o

a fare aiuto sociale a quell’altro, o tutte le set-

timane andiamo in ospedale, questo, quello…,

o a dare da mangiare ai senzatetto nelle gran-

di città… ci sono… I giovani hanno bisogno

di questo, e si sentono Chiesa quando fanno

questo. Anche i giovani che non si confessano,

forse, o non fanno la Comunione, ma si sento-

no Chiesa. Poi, si confesseranno, poi, faranno

la Comunione; ma tu, mettili in cammino. E

camminando, il Signore parla, il Signore chia-

ma. E viene un’idea: dobbiamo fare questo…;

io voglio fare…; e si coinvolgono nei problemi

altrui. Giovani in cammino, non fermi. I giovani

fermi, che hanno tutto sicuro… sono giovani

in pensione! E ce ne sono tanti, oggi! Giovani

che hanno tutto assicurato: sono pensionati

della vita. Studiano, avranno una professione,

ma il cuore è già chiuso. E sono pensionati.

Dunque, camminare, camminare con loro, farli

camminare, farli andare. E nel cammino trova-

no domande, domande a cui è difficile rispon-

dere! Io vi confesso, quando ho fatto le visite

in alcuni Paesi o anche qui in Italia, in alcune

città, di solito faccio una riunione o un pranzo

con un gruppo di giovani. Le domande che ti

fanno, in quei momenti, ti fanno tremare, per-

ché tu non sai come rispondere… Perché sono

inquieti [in senso positivo: sono in ricerca], e

questa inquietudine è una grazia di Dio, è una

grazia di Dio. Tu non puoi fermare l’inquietu-

dine. Diranno stupidaggini, a volte, ma sono

inquieti, e questo è ciò che conta. E questa

inquietudine è necessario farla camminare.

Papa Francesco, 5 gennaio 2017

Le parole della Chiesa, Madre e Maestra

Val Clarea, un luogo ameno per riflettere e pregare

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“Tante persone sono oggi furiose con i mu-sulmani. Non dobbiamo però dimenticare che quanto è successo a Parigi ha prima di tutto a che fare con i fanatici e non con i musul-mani. Nel mondo islamico persiste un forte sentimento di frustrazione, rabbia, un pro-fondo senso di sconfitta e umiliazione. Solo i musulmani potrebbero e dovrebbero provare a confrontarsi con questi sentimenti e cer-care di guarirli”. Queste parole, tratte da un’intervista rilasciata al Corriere della Sera l’11 gennaio 2014 da Amos Oz, ap-paiono quanto mai opportune per inizia-re a parlare di Giuda (Feltrinelli, 2014): un bellissimo romanzo - bastava molto poco perché lo definissimo il suo più suggesti-vo e profondo… chiariremo quel “poco” - che nei drammatici fatti di Parigi ha tro-vato un motivo in più per essere letto e apprezzato. Semplicemente, l’ideologia che lo sostiene, le motivazioni letterarie che alimentano l’intreccio riflettono la posizione degli intellettuali israeliani più moderati ed equilibrati (Yehoshua fra tutti, si rilegga L’amante) di fronte all’in-tegralismo armato jihaidista.Sullo sfondo di una Gerusalemme umi-da e polverosa, densa di profumi spe-ziati e intriganti, per lo più notturna ma improvvisamente illuminata da albe sul Sinai e rinfrescata da brezze terse e rigi-de (una presenza pulsante del libro, ma-gnificamente descritta) si incontrano, nel 1959, i destini misteriosi del colto Ger-shom Wald, dell’affascinante nuora Ata-lia e del timido studente Shemuel Asch, che ha interrotto i suoi promettenti studi universitari ferito nei suoi sogni politici e

Amos Oz uno scrittore che non ha mai tradito “Giuda”È morto lo scrittore israeliano Amos Oz (Gerusalemme, 4 maggio 1939 - 28 dicembre 2018) autore di romanzi come Una storia di amore e di tenebra, in cui ha narrato insieme la storia della sua famiglia e la vicenda storica della nascita di Israele. Negli anni Sessanta aveva aderito al movimento pacifista Shalōm ‘akhshāv («Pace ora»), insieme ad altri intellettuali e scrittori come Abraham Yehoshua e David Grossman.

affettivi, lontano da una famiglia in dissesto e alla ricerca di un momentaneo impiego. Lo troverà assistendo Wald, in una casa dove si aggirano i fantasmi drammatici di un

passato che lega disperatamente l’anziano alla sfuggente donna e ha il volto di due straordinari “protagonisti in assenza” (per ricorrere a una definizione narratologica) che non cessano un attimo di tormentare i vivi, incapaci a tratti di considerarsi tali: Micah, il marito di Atalia e figlio del vecchio (precocemente morto nel conflitto arabo-i-sraeliano del ’48) e Shaltiel Abrabanel, padre di Atalia. Il “muezzin” che, nel pieno della guerra d’Indipendenza del ‘47-‘48 - fermamente convinto che la decisione di fondare uno stato ebraico senza l’avvio di un dialogo costruttivo con i Palestinesi fosse uno sbaglio - lascia il Comitato sio-nista, in disaccordo con “il sognatore Ben-Gurion, il pifferaio magico che ha condotto tutti al massacro. Al macello. Alla cac-ciata. All’odio eterno fra due comunità”. E sarà quest’ultimo, “ateo, come tutti i socialisti sionisti”, presidente sino al ‘48 dell’Agenzia ebraica - governo ombra degli ebrei residen-ti in Palestina sotto il mandato britannico - il promotore vincente, sino al 1963, della politica israeliana e delle sue aperture alle potenze occidentali anti-arabe.Il delicatissimo conflitto lascia, grazie alla sapienza nar-

Amos Oz

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ricordando un grande scrittore

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rativa di Oz, il macrocosmo della Storia per riprodursi nel microcosmo, a tratti claustrofobico, di silenzi carichi di rancore, di stanze assorte dove un genitore e una mo-glie vivono accanto in nome dell’amore per la medesima persona, più forte, alla fine, delle convinzioni culturali e politiche dell’ebreo Wald e della “figlia dell’Arabo” Atalia, che sulle alture di Gerusalemme ha perso l’uomo della sua vita, prima che constatare il fallimento, nell’ignomi-nia, delle idee di un padre (inconsciamente) amato. Chi è il traditore? Che significa tradire? Perché è questo il tratto che salda, in Giuda, la dimensione storico-politi-ca a quella religiosa. “Chi è pronto al cambiamento, chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento”, sostie-ne Shemuel, parlando dei suoi studi su Giuda: il colto e intelligente possidente della città di Keriot - unico fra

gli apostoli a non essere originario della Galilea - inviato dal-la casta ortodossa gerosolimitana per infiltrarsi fra i segua-ci del Nazareno, ne diviene il più fervente discepolo, stru-mento consapevole di un tradimento necessario, maturato non certo per l’insignificante compenso di trenta denari (la paga mensile di un suo salariato) ma per la sopravvenuta, esaltante fiducia in un progetto di redenzione universale dell’uomo. Ed è in nome di questo che incoraggia e sostie-ne “il vero e unico figlio di Dio”, Gesù, “nato e morto ebreo”, fe-dele alla Torah, certamente riformatore “fondamentalista” e fautore del ritorno a un ebraismo primitivo, depurato dalle ridondanze spirituali di Farisei e Sadducei, secondo l’ipo-tesi della tesi di laurea mai conclusa e suggestivamente maturata sulla scorta di una bibliografia che va da Giusep-pe Flavio a Yehuda Halevi, da Maimonide a Nahmanide (è il terzo tradimento, quello del talentuoso studente avviato alla carriera universitaria nei confronti dei suoi professori

e della famiglia). Giuda come Abra-banel, allora, tra-ditori per la Storia - contingente e soprannatura-le - banditi dal consesso uma-no dei Templi e delle Convenzioni interna-zionali da una “damnatio memoriae” che l’ambizioso libro di Oz sembra voler in-terrompere nel nome della tolleranza, sola capace di riavviare il confronto fra Ebrei e Cristiani (“Fintanto che da loro ogni bambino continuerà a succhiare con il latte della madre il fatto che esistono delle creature che hanno assassinato Dio non conosceremo pace” con-fessa Wald), Arabi e Israeliani, il presente angoscioso dei personaggi e un trascorso di rimorsi e rimpianti con il quale la par-tita è aperta.È nelle corde dell’autore e (probabilmente) non poteva mancare la componente sentimentale, che egli ha saputo sempre affrontare con miracolosa abilità, sondando i meandri più intimi della passionalità, particolarmente all’interno dei rapporti di coppia: stavolta - forse perché sovrastata dalle tematiche cui abbiamo accennato - ci sembra l’anello debole del tutto. Sarà la doverosa speranza che uno dei massimi scrittori contemporanei ci regali una storia ancora migliore o altro, comunque proprio la vicenda d’amore, nella sua prevedibilità, lascia delusi… nessuna “scatola nera”, tutto è abbastanza chiaro sin dalle prime pagine, come sempre formalmente ipno-tiche e raffinate, nell’apparente sempli-cità strutturale di dialoghi e descrizioni. Certamente Amos Oz sa “narrare” e il monologo di Giuda (cap. 47) insieme alle sorprendenti pagine 209-213, sulle quali non sveliamo volutamente nulla, ne sono un nitido esempio che non mancherà di emozionare il lettore.

Marco Camerini

Lo scrittore nel suo studio

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storia nostra

Il colpo di Stato, benché incruento, ha avuto il suo inevitabile sviluppo con conseguenze dolorose per gli stranieri presenti in Libia, costretti a lasciare il Paese e ogni loro proprietà.

GLI ULTIMI GIORNI DI BENGASI

Dopo tre giorni dall’inizio dell’anno scolastico, la situazione si complica.

L’ambasciatore d’Italia in Libia, dott. Carlo Calenda, corso a Roma, lascia vacante l’ambasciata di Tri-poli. Il 14 ottobre, nella scuola di Bengasi, fin dal mattino si respi-

ra un’aria che non promette nulla di buono. Gli avvenimenti hanno un’improvvisa accelerazione. Fra-tel Luigi Montini che, finché vis-se in Africa era conosciuto con il nome di Goffredo, ricevuto con la vestizione religiosa, ne fa la crona-ca così come si sono verificati con

uno stile incalzante ed essenziale, direi tacitiano.

Alle 10.30, un ufficiale e due po-liziotti irrompono nell’istituto, visita-no la scuola e sottopongono il diret-tore Fratel Luigi a un interrogatorio improvvisato, dal quale risulta che tutto si è svolto secondo le norme e che l’apertura dell’anno scolastico è avvenuta regolarmente, come sta-bilito dalle autorità libiche nella per-sona del responsabile Muftah Badi. Andandosene, i tre fanno i loro com-menti in arabo captati da un alunno, che subito va a riferire a Fratel Luigi. Sembra che abbiano detto: “Questa è la più bella scuola di Bengasi, la vo-gliamo scuola araba”.

2a parte

Mario Chiarapini, Fsc

Panorama di Bengasi (foto d’epoca)

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tata, il Ten. Zentani decide allora di fare una telefonata al Cap. Kharrubi, membro della giunta del Comando della rivoluzione e comandante del-la zona di Bengasi, dal quale ottiene una deroga: anziché ventiquattro ore, la permanenza può essere pro-lungata a quarantotto ore, a condi-zione che tutti gli insegnanti resti-no confinati nei loro appartamenti “in domicilio coatto”, come annota Fratel Luigi Montini, il quale precisa che “nessuna notifica scritta viene rilasciata. Viene posto un corpo di guardia all’ingresso. È tassativa-mente proibito ricevere visite. A me e ai Fratelli è poi lasciata libertà di movimento con l’obbligo di presen-tarsi, di volta in volta, ai poliziotti di guardia. In questa occasione gli Ufficiali visitano il piano superiore dell’edificio, ritirano le chiavi della Direzione, sigillano le aule e tutti gli altri locali”.

Al pomeriggio, alle 15.30, il Di-rettore Fratel Luigi corre in Consola-to e riferisce tutto al Console Gene-rale dott. Enrico Lanata che informa subito, in assenza dell’ambasciato-re, il dott. Anfuso dell’ambasciata di Tripoli, inviando al tempo stesso un telegramma al ministero degli Affari esteri di Roma con preghiera di in-formare la Segreteria di Stato.

Dopo un quarto d’ora, alle 15.45, Fratel Luigi si reca nella curia vescovile e, assente il ve-scovo, relaziona ogni cosa al Pro-vicario P. Alfonso Casini, che telefo-nicamente informa Mons. Giustino Giulio Pastorino, dopo di che mette in guardia i responsabili delle altre due scuole cattoliche, Madre An-cilla Codecasa e Padre Giovanni De Falco. Provvidenzialmente, infatti, dopo meno di un’ora, alle 15.45, alcuni ufficiali e poliziotti irrompo-no nell’istituto delle Suore di Ivrea, dove però non viene posta nessuna guardia, né consegnata alcuna noti-fica di chiusura, né sigillate porte e ritirate chiavi come al La Salle.

La giornata continua e si chiude allo stesso modo convulso come era iniziata. Ma lascio la parola a Fratel Luigi Montini, protagonista di quelle

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storia nostra

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Non affermavano niente di nuo-vo. La tradizione lasalliana di come debba essere gestita una scuola non si smentiva neanche in terra d’Afri-ca. Due anni prima (25-02-1967), il principe ereditario Hasan1, dopo aver visitato l’Istituto La Salle, aveva dichiarato tutta la sua ammirazio-ne per la perfetta organizzazione e meticolosità del lavoro che vi veni-va svolto, augurando al Direttore e a tutti gli insegnanti ogni successo e prosperità.

Il resto della mattinata trascor-re senza particolari colpi di scena, ma al pomeriggio, esattamente alle 14.00, come ci riferisce pun-tualmente Fratel Luigi, dal cancello posteriore, ordinariamente aperto, entrano alcuni ufficiali (Ten. Ab-dulwahab Ez-Zentani, Cap. Mustafa Arnaùti, il segretario del Ten. Col.

Musa Scelwui, il Sottoten. Moha-med Sciaab e Khalifa Queri) accom-pagnati da diversi poliziotti. Si pre-sentano e il Ten. Zentani, con tono deciso, con la traduzione del Cap. Arnaùti, ordina: “Entro ventiquattro ore dovete lasciare la scuola e ritor-nare tutti in Italia”. Il direttore Fra-tel Luigi fa presente che è realisti-camente impossibile chiudere una scuola, la cui apertura è avvenuta da pochi giorni e con regolare per-messo. La discussione si fa conci-

1 Principe ereditario, fu formalmente Re di Libia per un giorno, dopo l’abdicazione dello zio Idris, ma non esercitò mai alcun potere poiché subito esautorato da Gheddafi.

(Traduzione della scritta in lingua araba sotto la bandiera libica)

In nome di Dioclemente e misericordioso

Ho visitato l’istituto “De La Salle” nel giorno di sabato 25.02.1967 allo scopo di rendermi conto dell’andamento dell’insegnamen-to ivi impartito in via generale ed, in particolare, di quello della lin-gua araba e della cultura religiosa nazionale.Sono rimasto molto ammirato per la perfetta organizzazione e me-ticolosità del lavoro svolto e per l’ottima sorveglianza riscontrata in detto Istituto, al quale esprimo per la circostanza, la mia stima ed ammirazione, sollecitando il cor-po insegnante, sia esso naziona-le che italiano, ad applicare ogni sua attività e zelo soprattutto in favore dell’insegnamento della lingua araba e della religione. Au-guro al Sig. Direttore dell’Istituto Fratel Luigi Montini e a tutti gli in-segnanti, siano essi nazionali che italiani, ogni successo e prosperi-tà sotto la guida del potente So-vrano Idris, che Dio lo protegga e Lo assista, e dell’amato Principe Ereditario. 25.02.1967.

L’Ispettore dell’Insegnamento Li-bero in Bengàsi

Muftah Badi

Il Ministro dell’Istruzione e dell’In-segnamento

Mohamed Senussi Mortadi

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ore drammatiche: “Come da ordine ricevuto, alle 17.00, mi reco in Poli-zia con i passaporti dei Fratelli; ven-go lungamente interrogato: su me stesso, sugli insegnanti, sugli alun-ni, sulla scuola, sull’insegnamento della lingua araba (svolta sempre con maestri inviati dalla Pubblica Istruzione libica), sulla dipendenza gerarchica della scuola stessa. L’in-terrogatorio ha termine verso le ore 20,00: saprò poi solo il giorno dopo che non mi hanno arrestato perché un ufficiale (un amico) si è rifiutato di farlo non sapendo dove mettere in gabbia (!) un religioso!!!”.

In quella giornata non venne in-terrogata nessuna suora, ma il gior-no dopo, 15 ottobre, la Polizia ritira i passaporti anche alle tredici suo-re dell’Immacolata Concezione di Ivrea, ottenendo anch’esse la pro-

storia nostra

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roga di lasciare il Paese entro qua-rantott’ore.

Alle 18.00, viene chiusa anche la scuola “Giovanni XXIII”, ritirate le chiavi e messa una guardia al por-tone d’ingresso. Al pomeriggio, ore 15.45, Fratel Luigi invia un telegram-ma al Visitatore Provinciale Fratel Felice Cometto: “Scuola improvvi-samente chiusa ordini militari - non conosco motivo - forse rientreremo tutti breve scadenza - prego non avvisare famiglie et non allarmare Fratelli - Luigi”. Più tardi, il Fratel-lo Assistente viene avvertito dalla Nunziatura Apostolica di Beirut che al mattino la nostra scuola e quella delle Suore d’Ivrea sono state occu-pate da militari armati. Comunque, la partenza dei 21 religiosi (7 Fratel-li-13 Suore e un Padre) è rimandata al 18 ottobre.

Si vivono giornate molto concita-te. Il 16 ottobre vengono “incollati”, sulle porte d’ingresso dell’Istituto “De La Salle” e dell’Istituto delle Suore, due cartelli manoscritti a firma del Ten. Zentani con l’avviso della chiusura “fino a nuovo ordi-ne”. Curiosamente il cartello posto sul nostro portone e su quello delle Suore porta la stessa scritta: “Chiu-so il De La Salle e scuole dipenden-ti”. Nel frattempo, la Polizia informa il Console Generale italiano, con lettera firmata dal Ten. Abdulwahab Ez-Zentani dell’Uff. Passaporti e Re-sidenze degli stranieri, a nome del Cap. Mustafa Kharrubi della Giunta del Comitato della Rivoluzione, del-la necessità che i religiosi, nell’in-teresse del Paese, lascino Bengasi, adducendo come motivo di tale provvedimento l’accusa di organiz-zare “riunioni sediziose”.

Il 17 ottobre Fratel Luigi Montini scrive testualmente: “Alle 10,15 spedi-sco un altro telegramma: “Domani 18 rientriamo tutti - saluti Luigi”. Il Vatica-no e L’Ambasciata d’Italia interpongo-no i loro buoni uffici presso le autori-tà militari locali. Il Vicario Apostolico Mons. Giulio Pastorino, che si trova a Roma, rientra immediatamente a Ben-gasi. Poco dopo le 12,00, dalla Polizia libica, telefonano in Consolato che la partenza dei religiosi è provvisoria-mente sospesa; mi sembra di intravve-dere una schiarita. Alle 17,20 informo i Superiori con un nuovo telegramma: “Sospesa partenza - emersa qualche speranza - saluti Luigi”.

In Italia, l’unico quotidiano a pubblicare la notizia della chiusu-ra delle scuole a Bengasi è stato Il Tempo.

continua . . .

Alla rispettabile Ambasciata d’Italia

On.le Console della Repubblica Italia-Bengasi

...Il Consiglio del Comando della rivoluzione ritiene che la par-tenza degli Italiani dell’Istituto “De la Salle” sia richiesta, in questo momento, nell’interesse del Paese.

Considerato il fatto che essi sono sudditi della Repubblica Italia-na, il Consiglio del Comando della Rivoluzione, si onora di chiedere di portare a termine le pratiche della loro partenza in un lasso di tempo che non superi le 48 ore, per cui è necessario mettersi in con-tatto con una Compagnia aerea per l’acquisto dei biglietti di viaggio, perché essi, come hanno fatto notare, non posseggono le somme sufficienti a questo fine. (I nominativi sono scritti nella lista allegata).

Il Consiglio del Comitato della Rivoluzione se il Consolato della Repubblica Italiana lo ritiene opportuno, chiede la risposta in questo stesso giorno.

Con i migliori saluti

Il Capitano Musthafa El-Kharrubi

Lungomare e Cattedrale di Bengasi (foto d’epoca)

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notizie

Se in un caldo e torrido po-meriggio romano di inizioluglio una persona avessecercato un buon motivo perscoprire o ricordare quantosia piacevole il verbo “incon-trare”, il 3 e 4 luglio 2018,presso l’Istituto Colle “LaSalle” in Roma le si sarebbepresentata una grande occa-sione per farlo! Come ognianno l’Associazione TerraFutura - Progetto Sahrawi“Mi casa Es Tu Casa” di Aci-reale (CT) è stata promotricedell’Accoglienza di ottobambini tra gli 8 e i 12 anni edel loro accompagnatore.Ancora una volta le porte

dell’Istituto sono state aperte ad Aziz, Chrif, Ibnatta, Labiad, Mi-natu, Mulay, Nanna, Koria e Jalil, arrivati dopo un lungo viaggioiniziato dai campi profughi sahrawi siti vicino la città di Tindouf,nel deserto algerino. Insieme a Sara, Alba e Ilaria la disponibilitàdi Fratel Alberto e Fratel Ciro, coadiuvati da amici corsi in aiuto,ha permesso di organizzare al meglio le prime ore di permanenzain Italia di questi ospiti speciali. Il progetto “Mi Casa Es Tu Casa” nasce nel 2015, quando un paiodi persone che avevano collaborato precedentemente a un altroprogetto sahrawi sempre nella città di Acireale, si riuniscono perripartire. “Il nome è dato da una frase che mi ripeteva sempre Mohamed,un accompagnatore venuto in Italia per due anni durante l’avventuradell’altro progetto, poi morto per una malattia, simbolo vivente per me

Bambini Sahrawi in attesa di un’alba migliore

Le tristi vicende di un popolo

I Sahrawi vivono dal 1975 nei campiprofughi nel deserto algerino, a seguitodell’occupazione illegale del loro terri-torio da parte del Marocco. Hannoscelto la via pacifica di risoluzione delconflitto, deponendo le armi e chie-dendo un referendum di autodetermi-nazione, che a tutt’oggi non è statoeffettuato. Nei campi si vive tra tendee case di sabbia, spazzate via e rico-struite a ogni pioggia. D’estate si rag-giungono i 56 gradi. Non si coltiva, silavora poco, si vive dei pochi aiuti uma-nitari che arrivano.

Cartina del Sahara Occidentale

Il popolo Sahrawi, cioè "sahariano" ècostituito dai gruppi tribali arabo-ber-beri tradizionalmente residenti nellezone del Sahara Occidentale che, giànel corso della dominazione spagnola,avevano cominciato negli anni trenta areclamare la loro indipendenza.Su quel territorio, ricco di fosfati emolto pescoso, avanza pretese anche ilMarocco, per questo le popolazionidella regione stanno incontrandograndi difficoltà per realizzare le loroambizioni ed essere riconosciuti su unpiano internazionale e persino inter-arabo.

SOLIDARIETÀ

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notizie

dell’accoglienza. Casa sua è davvero statacasa mia quando due anni fa, nonostantelui non ci fosse più, la sua famiglia, per mesconosciuta fino a quel momento, mi ha ac-colto come fossi una figlia”, racconta SaraScudero, educatrice del progetto. “MiCasa Es Tu Casa” è collegato a tantealtre iniziative presenti in molte re-gioni d’Italia, diversi progetti attra-verso i quali varie associazioni facenticapo all’Associazione Nazionale di Solida-rietà con il Popolo Sahrawi (ANSPS) sicollegano a un’idea portata avanti in diversi stati d’Eu-ropa ed extra-europei. Nel periodo di permanenza inItalia i bambini scoprono quello che c’è fuori dal de-serto, possono toccare con mano ciò che hanno sempre

e solo studiato sui libri di scuola: si aprono al mondo.Allo stesso tempo le attività sono scelte in modo tale dapermettere loro di far conoscere la storia del loro po-polo, attraverso incontri istituzionali, grandi eventi, tra-smissioni radio e tv. A questi obiettivi si unisce lapossibilità di effettuare tutte le visite mediche e di cu-rarsi laddove necessario, passare due mesi in un climadiverso, scoprire il mare, molti animali, la città, alcunicibi assolutamente nuovi e soprattutto una cultura di-versa. Si svolgono a tal proposito laboratori intercultu-rali durante i quali i bambini sahrawi insegnano aibimbi italiani a preparare e mangiare il couscous, e gliitaliani insegnano ai sahrawi a creare giochi. Scambisemplici, ma efficaci e intensi per la crescita di tutti.“Impariamo ad aprire le nostre menti e i nostri cuori. Allefamiglie italiane viene data l’occasione di rendersi utili, e

devo dire che lo fanno con gioia, e di viag-giare rimanendo a casa loro, attraverso iracconti dei piccoli sahrawi”, afferma Saracon il suo instancabile entusiasmo. Arenderla ancora più convinta del pro-getto l’esperienza da lei vissuta pressoi campi profughi, importante per la co-noscenza diretta del popolo e di alcunedelle famiglie dei bambini. “La mia esperienza ai campi sahrawi è statamagica. Era importante, lo sognavo da anni:andare per poter raccontare in prima per-sona e toccare con mano la vita dei bambiniche accoglievo d’estate. Era fondamentalecapire da dove venissero per poterli acco-gliere al meglio. Era importante rincontrarechi era stato qui negli anni del precedenteprogetto (accoglienza 2008-2011), vedere sestava bene, riabbracciarlo, conoscere la suafamiglia che si era fidata ciecamente di noiaffidandoci suo/a figlio/a. E con tanti sonodavvero riuscita a farlo. Sono partita sola eho dormito da due amiche sahrawi, in duevillaggi diversi. Ho incontrato tantissimefamiglie in tre villaggi su cinque, e sonostata accolta da tutti come se fossi stata dasempre parte del loro popolo. Mi sono sen-tita a casa, ovunque e con chiunque”. Il sorriso dei bambini appena uscitidalla doccia che corrono e giocano en-tusiasti nei loro abiti puliti segna l’iniziodi questa nuova avventura del 2018, eci porta lontano, lungo tempi e distanzedi un popolo che ha scelto la pace e cheattende ogni giorno un’alba migliore.

Gabriella Capano

Il gruppo al Colle La Salle

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notizieCITTÀ DEL VATICANO

9 novembre 2018: giorno importante per il nostroIstituto, in quanto è stato pubblicato dal- l’Osserva-tore Romano il Decreto Papale sul “martirio delServo di Dio Fratel James Miller della Congregazionedei Fratelli delle Scuole Cristiane, nato a StevensPoint (USA) il 21 settembre 1944 e ucciso in odio allafede a Huehuetenango (Guatemala), dove era cono-sciuto con il nome di Hermano Santiago, il 13 febbraio1982. Morire a 28 anni! Una vita breve che però ha lasciato un segno. Il mar-tire è un testimone della fede e dell’amore per Dio e

per la missione educativa. Un giovane nel fiore degli anni. Probabilmente, anzi sicuramente anchelui, come ogni essere umano, avrà avuto i suoi difetti, ma il sacrificio della sua vita che, qualcunoha chiamato battesimo di sangue, ha lavato ogni sua imperfezione. Anche i santi, del resto, sonodiventati tali non perché fossero esenti da difetti, ma per il fatto che si sono sempre sforzati di com-piere la volontà di Dio.James ha cercato di vivere la sua vocazione in pienezza, consapevole che una fede autentica lasciatraccia e dà testimonianza. Ai giovani radunati a Cracovia nell’estate del 2016, papa Francesco hadetto che “siamo venuti al mondo per lasciare un’impronta”. Fratel James ha vissuto nell’ordinarietà,giorno dopo giorno, ma ha lasciato sicuramente un’impronta. Ha avuto il coraggio di contrapporrei valori del Vangelo ai valori del tornaconto e della violenza delle bande criminali, venditori dimorte. Fratel James ha sacrificato la sua vita per salvare quella dei suoi alunni.

Approvata la beatificazione di Fratel James Santiago Miller

Alle 18 di sabato 17 novembre 2018, nel santuariodi San Giovanni Battista de La Salle, presso la CasaGeneralizia di Roma, si è aperto solennementel’Anno Giubilare Lasalliano, concesso da Sua San-tità Papa Francesco in occasione della ricorrenzadel 3° centenario della morte del Fondatore deiFratelli delle Scuole Cristiane. La cerimonia, pre-sieduta da Sua Eccellenza Mons. Marcello Barto-lucci, Segretario della Congregazione delle Causedei Santi, è stata concelebrata da Sua EccellenzaMons. Eugenio Binini, arcivescovo emerito delladiocesi di Massa Carrara e da altri otto sacerdoti.Numerosi i partecipanti, Fratelli e Lasalliani.La cerimonia ha avuto due momenti. Il primonell’atrio del santuario con la lettura di una partedel Decreto di indizione dell’Anno Giubilare, perpoi entrare in chiesa attraversando la porta dellachiesetta di Parménie (Francia), ricostruita simbo-

licamente su tela, dove San Giovanni Battista deLa Salle si ritirò per pregare e meditare nel mo-mento più buio della sua vita. Dietro la croce e ilcero pasquale, sono entrati per primi i celebranti epoi tutti i presenti alla cerimonia, portando inmano una candelina accesa, simbolo della fede inCristo e nella sua misericordia.

Apertura Anno Giubilare Lasalliano

ANNO GIUBILARE LASALLIANO 17 novembre 2018 - 31 dicembre 2019

ROMA - CASA GENERALIZIA

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Gli ex-alunni della scuola cattolica testimoni degli insegnamenti ricevuti.“Uomini e donne per gli altri”.

notizie

ROMA - CASA GENERALIZIA

La Confederex ha compiuto sessantacinque anni (1953-2018)

Papa Pio XII, subito dopo la conclusionedella guerra, chiese alle diverse associazionicattoliche, anche internazionali, di riunirsiper coordinare le loro azioni e, da questolungimirante e moderno progetto del Pon-tefice, conseguì che molte Congregazioni re-ligiose educanti, che pur non avevanol’associazione ex-alunni, iniziarono ad ag-gregarne nei loro collegi e nelle loro scuole,sicché, nel corso degli anni, si vennero a for-mare le diverse federazioni nazionali. Il Convegno anniversario ha avuto la suagiornata centrale sabato 17 novembre 2018,mentre l’atto fondativo era avvenuto, nel1953, presso l’Istituto S. Giuseppe de Me-rode in Piazza di Spagna, ove la PresidenteNazionale Comm. Liliana Beriozza, insieme

con il Consiglio Nazionale della Confede-rex, ha accolto i convegnisti e presentato imessaggi di saluto, a iniziare da quello delPresidente della Repubblica. Gli illustri re-latori, l’arcivescovo Brugnaro e il sindacoemerito Albertini, hanno simpaticamentemesso a disposizione degli organizzatoridel convegno e dei diversi intervenuti lelinee di fondo delle loro biografie, rispetti-vamente nell’ambito di una forte espe-rienza vocazionale, ecclesiale e pastorale ilprimo, nel servizio politico e amministra-tivo il secondo, entrambi in piena linea apartire dalla forte suggestione e consapevo-lezza dell’importanza del significato dellaloro frequentazione giovanile della ScuolaCattolica.

Il 16-17-18 novembre si è svolto a Roma presso la Casa Generalizia dei Fratelli delle ScuoleCristiane il convegno celebrativo dei sessantacinque anni dalla fondazione della Confederex,Confederazione delle Associazioni Ex-Allievi delle Scuole Cattoliche, che partecipa anche all’OMA-AEEC (Organisation Mondiale des Anciens et Anciennes Élèves de l’Enseignement Catholique).

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notizie

Colle La Salle, 24 novembre2018, ore 17.00

Nella Cappella del Colle LaSalle sono convenuti nume-rosi Fratelli, diversi amici ecolleghi e, naturalmente, igenitori di Massimiliano Cia-varella e Daniele Spadoni,aspiranti Signum Fidei,pronti a emettere la loroprima consacrazione al Si-gnore. Il cammino dei dueSignum Fidei, iniziato alcunianni fa, è ora arrivato allameta, ma non per fermarsibensì per ripartire guidatidalla luce della fede, al finedi irradiarla intorno a loro,in famiglia e nell’ambiente dilavoro. Massimiliano è un docentelasalliano e il suo incontrocon san Giovanni Battista deLa Salle risale a oltre quin-

dici anni fa (vedi la sua testi-monianza a pag. 19 dellarivista). Ha vissuto lungheesperienze didattiche, dap-

prima in in due scuole lasal-liane, poi in una scuoladell’Opus Dei e ora di nuovonella scuola La Salle di ViaPagano; Daniele, ex-alunno e

papà di un alunno, daquando ha terminato glistudi collabora, in ogni mo-mento libero dal suo lavoro,

con la comunità dei Fratellidel Colle La Salle. I due giovani, oltre alla loropreparazione remota, negliultimi anni hanno avuto unaserie di contatti con alcuniFratelli e hanno partecipato avari incontri lasalliani e ri-tiri. In quest’ultimo anno,hanno anche approfondito laconoscenza del Fondatorecon incontri formativi speci-fici, guidati dallo studio dialcune meditazioni.Massimiliano e Daniele sonomolto motivati, decisi a testi-moniare la loro fede secondolo spirito di san GiovanniBattista de La Salle, hannogià pensato come continuarela loro formazione. Il loro en-tusiasmo conforta tutto ilmondo lasalliano che auguraloro tanta gioia spirituale e lemigliori soddisfazioni apo-stoliche.

Consacrazione di due nuovi Signum Fidei

ROMA - COLLE LA SALLE

Il momento della consacrazione

La liturgia della Parola

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notizie

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Nei giorni 14 e 15 novembre, presso la CasaGeneralizia di Roma, si è tenuto l'incontro dialcuni delegati Umael (Unione mondiale ExAlunni Lasalliani) voluto dal Presidente diturno Mickael Portevin dell'Istituto Univer-sitario di Beauvais. Hanno partecipato dele-gati ex-alunni e Fratelli provenienti daColombia, Francia, Messico, Congo e Guate-mala. Per l’Italia erano presenti il Presidente Fabri-zio Panesi e Maurizio Sormani. Si è discussosul futuro degli ex-alunni a livello mondiale,sul loro ruolo e quali debbano essere le stra-tegie per arrivare a progetti comuni al ser-vizio della Missione Lasalliana secondo laformula: testimonianza, servizio, comunione. Il gruppo “La Salle Foundation“ è interve-nuto con Fratel Amilcare Boccuccia per il-lustrare le attività che stanno portando avantiin favore delle realtà lasalliane nei paesi piùpoveri, con progetti impegnativi per costi erealizzazione. I partecipanti, stupiti di essereall'oscuro di tale realtà, che hanno commen-tato con parole di grande apprezzamento,hanno auspicato una maggiore comunica-zione.Si è poi abbozzato una lista di suggerimentie indicazioni da portare al Consiglio Umael,che si riunirà in dicembre in Messico, e con-tribuiranno a preparare il prossimo Con-gresso mondiale del 2019 che si terrà negliStati Uniti, probabilmente a Philadelphia. Inquella data, si celebreranno anche i 25 anni difondazione dell'Umael. Era infatti il 1994quando ci si ritrovò per la prima volta aHerez de la Frontera in Spagna, con la parte-cipazione di tanti ex-alunni italiani, sotto laguida di Fratel Bruno Bordone e AlbertoZappa. Questo di Roma è stato un incontrocon tanti spunti e proposte da sviluppare, im-prontato all’amicizia e alla cordialità. Al ter-mine dei lavori, si sono tutti uniti allaComunità dei Fratelli nella Santa Messa so-lenne per l'apertura dell'anno giubilare lasal-liano concesso da Papa Francesco.

Maurizio Sormani

ROMA - CASA GENERALIZIA

Incontro delegati UMAEL

L’augurio è accom-pagnato da un consuntivo confortante. A300 anni dalla morte di San Giovanni Bat-tista de La Salle, l’Istituto da Lui fondatoha donato alla Chiesa 13 Fratelli Santi(oltre al Fondatore), 7 altri Santi tra ex-alunni e affiliati all’Istituto, 151 Fratelli Beati,12 altri Beati tra ex-alunni e affiliati e 9 Fra-telli Venerabili. Ciò vuol dire che il carismalasalliano permette la fioritura della san-tità ed è di grande attualità per il benedella Chiesa. Dalla numerosa schiera deinostri santi e beati si evince anche che l’at-tuale Postulatore, Fratel Rodolfo Meoli, ei suoi predecessori hanno lavorato moltobene. A tutti loro è dunque doveroso unpensiero di gratitudine.

Auguri di buon AnnoGiubilare Lasalliano

dalla Postulazione

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notizie

“Give me 5 (Dammi il cinque) per il Sud Sudan” è una “raccolta fondi flash” - una sfida di un giornoper gli studenti Lasalliani di tutto il mondo per “dare il 5”, per la nuova scuola secondaria a Rumbek.Dona 5 euro e restituisci ciò che la guerra ha rubato a quegli studenti. “Give me 5 per il Sud Sudan” vi rende investitori di questa scuola - partner nella missione Lasalliana!L’invito è rivolto a ogni scuola lasalliana, ma anche a tutte le persone generose. Scegliete un venerdì e donate 5 euro, per la nuova scuola secondaria a Rumbek, Sud Sudan.Questo atto di sostegno sarà un segno concreto della vostra solidarietà con i vostri compagni Lasal-liani che hanno bisogno di aiuto.“Give me 5 per il Sud Sudan”! Un giorno per donare. Un giorno per fare la differenza.

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Appunti di viaggio 4

A Makpandu, la sera, nel quadrato di cie-lo circoscritto dal cortile interno ho rivisto la costellazione di Orione proprio allo zenit, tanto da dovermi piegare all’indietro fino a farmi male al collo per osservarla meglio. Mi torna in mente la frase di Guido Tonel-li sul bosone di Higs, il bosone di Dio: “Dal fluttuare del vuoto all’improvviso il boso-ne crea una reazione che in miliardesimi di miliardesimi di secondo dà origine alla ma-teria, e tutto ha inizio…”. Siamo un punto infinitesimale di uno dei possibili miliardi di universi. Per moltissimi secoli ci siamo cre-duti al centro dell’universo e anche quando abbiamo dovuto rinunciare a questa prete-sa assurda, abbiamo continuato a ritenerci speciali, unici, superiori… a chi? Noi cristia-ni ci crediamo così importanti che in questo immenso universo o multi-universi, ne sia-mo talmente convinti che il tutto si è fatto come noi. Siamo incorreggibilmente malati di mania di grandezza. Questa è la sfida più grande alla mia fede: “Perché noi?”. Quan-

do cerco di sondare dentro di me questo fluttuare tra il nulla e il tutto, la mia mente si “spaura”, come Leopardi di fronte all’in-finito. Tutto e nulla, gli estremi si toccano. È come l’inizio: “Il fluttuare del vuoto che con l’intervento del bosone fa esplodere il tutto!”. Cosa siamo? Una creazione imper-fetta che tende alla perfezione e prende coscienza e, nella misura che questa co-scienza/consapevolezza aumenta, si avvia il processo di una crescita all’infinito dello spirito che si realizzerà in altre dimensioni oppure… tutto è uno scherzo della nostra mente che rifugge la morte e crea l’illusio-ne dell’eterno? Sfortunatamente oppure fortunatamente nessuno può provare l’una o l’altra teoria semplicemente perché, per loro natura, sono al di là delle dimensioni esperienziali percepite dall’uomo a cui resta la possibilità di scegliere. Un salto nel buio sia per chi conclude che siamo solo reazioni chimiche ed elettriche e tutto finisce sotto un palmo di terra, sia per chi conclude che

lasalliani senza frontiere

La situazione politica in Sud-Sudan non è affatto risolta. La presenza delle missionarie e dei missionari in quel paese con tante situazioni drammatiche è di grande importanza. Resta forte la speranza in un futuro vivibile.

Amilcare Boccuccia, Fsc

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lasalliani senza frontiere

questi sono segni di una dimensione più grande, intraprendendo un cammino all’in-finito. Purché si resti tesi in questa ricerca non vi è differenza tra chi crede e chi dice di non credere, l’unica differenza è quando ci lasciamo infognare nella materialità totale, dove l’egoismo, il potere, l’avidità ci fanno calpestare tutto e tutti, e si giunge al mon-do che ci circonda. E devo ammettere che spesso ho le stesse tendenze omicide e violente anche se mascherate da un senso pelo-so di giustizia. Quanto cam-mino per giungere a “amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi odiano”. Ma chi era per dire questo? Visto come è morto, come tante persone qui intorno a me… e avendo la forza di dire “perdonali perché non sanno quello che fanno”.

Queste tre giovani donne, Rosa, Merlyn e Raquel han-no una forza e una serenità difficile da comprendere in questa situazione. Quando sento Merlyn che canta come un usignolo, mi domando: “Come fa a contatto con tanta miseria e vio-lenza”. Raquel mi ha accompagnato attra-verso il campo dei rifugiati che inizia fuori del cancello e ha per tutti un sorriso, una battuta, una parola di conforto, perfino per

il pazzo che le grida in continuazione che lei è sua moglie. Non ha nulla da distribuire, ma si avverte che la sua presenza e quella delle altre per la gente è più importante di quello che possono o non possono material-mente dare. Quando le chiedo cosa significa l’espressione che ripetono quasi tutti, mi risponde: “Abbiamo fame”. Vivono ammassati gli uni sugli altri, la polvere pervade tutto. Man mano che procediamo si fa sera e qua e là vengono accesi dei fuochi. Mettono una pentolina su due sassi per preparare la cena fatta di nulla. Qualche capanna addirittura non ha fuoco perché non c’è proprio nulla

da cuocere. Sr. Rosa, quando le raccontiamo a tavola delle preoccupazioni di Padre Ma-rio sul comportamento delle ragazze, dice: “Perché meravigliarsi, se fossi io a non man-giare non per uno, due, tre giorni, ma per mesi cosa dovrei fare? La prima necessità è sopravvivere! Lo farei anch’io e non sarebbe la paura dell’AIDS a fermarmi!”. Sono col-pito, ma devo ammettere che ha ragione.

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Carta geografica del Sud-Sudan

Dal 2013 a oggi oltre 100 mila vittime, costrette alla fuga 2 milioni di persone

Dove sono il nostro perbenismo e il falso pudore?

Quando la mattina preghiamo insieme, mi domando quanto sia difficile farlo. Sa-rebbe molto più facile e onesto gridare: “Ma dove sei?”. Eppure, eccole qui sorri-denti e pronte come ogni giorno a tendere

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lasalliani senza frontiere

una mano, anche quando questa trema di paura. Forza incomprensibile e fragilità as-soluta. Come spiegare tutto questo?

Il volo che l’indomani doveva riportarmi a Juba è stato annullato, quindi starò un giorno in più a Yambio nel centro di prepa-razione degli insegnanti.

Qui ho incontrato nuovamente le pionie-re della “prima ora”, Suor Margaret Scott e Sr. Margaret Sheehan che sono giunte all’inizio del progetto inter-congregazio-nale nel 2008 e sono ancora sul campo. Gli altri membri della comunità sono nuovi ar-rivati, incluso il signor Gabriel Hurrish che ha lavorato al progetto nell’ufficio di Roma nel 2010/11 e ora è un volontario laico di Maryknoller con un contratto di tre anni. La proprietà del Teacher Training, che ricor-davo con una semplice recinzione con rete metallica, ora ha un muro alto 3 metri con

filo spinato in cima. È stato realizzato dopo l’attacco alla comunità nel periodo natalizio del 2015, esperien-za molto traumatica: una suora di una certa età è sta-ta violentata e tutti gli altri minacciati di morte.

Sono stati aggiunti nuovi edifici: dormitori per ragaz-ze, nuova area per la cucina, biblioteca e sala informati-

ca, più stanze per la comunità e un nuovo blocco per i volontari laici che per ora è oc-cupato dalle suore francescane.

L’impressione è di un’atmosfera rilassata, ma parlando con il personale si percepisce un certo livello di preoccupazione e ansia a causa della situazione politica irrisolta. Solo pochi giorni fa il parroco e un formatore keniota degli Apostoli di Gesù, una congre-gazione locale, sono stati fermati sulla via per Yambio da due uomini della sicurezza, malmenati, riportati a Tombora da dove provenivano, e detenuti per alcuni giorni. Il sacerdote è stato espulso sotto l’accusa di “traffico di esseri umani”. Dicono che que-sto fa parte di una guerra personale del Governatore di Tombora contro la Chiesa Cattolica e più specificamente contro il Ve-scovo.

Gli studenti (106), la maggioranza ragaz-zi, sono meno dell’anno precedente perché non potendo viaggiare via ter-ra devono prendere l’ae-reo e non riescono a paga-re il biglietto. La relazione tra studenti e insegnanti è molto distesa, amichevo-le e rispettosa. Studiano molto e lo standard è mol-to alto: devono affrontare un esame di ammissione. Chi non lo supererà avrà la possibilità di partecipare a corsi di recupero semestra-le, specialmente in inglese, per poi ripetere l’esame.

continua . . .

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Un fuoco, due sassi e una cena fatta di nulla

Sud-Sudan: la paga dei soldati sono le donne

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Una nuova alleanza per unanuova società. Sulle grandiquestioni della vita non si puòignorare la voce degli anziani.Il pensiero di papa Francescoin un nuovo libro(La saggezza del tempo).

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il papa e gli anziani

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Per educare è necessario il villag-gio. Suona più o meno così unproverbio africano. Il villaggio

però oggi non c’è più, o quasi. Som-merso nei liquidi di una società cheha perso i suoi riferimenti e privilegial’individualismo; una società che nonriconosce il legame, o quasi; che fa-tica alla convergenza sociale – l’io èprevalente – e comunque preferiscel’identità alla differenza; esprimendorealtà sempre più segnate da integra-lismo e intolleranza, da distanze piùche da accettazione. Con profili esa-sperati di competizione e opposizione.E linguaggi barbaramente conse-guenti.

Ci siamo incattiviti. Il termine èufficiale – è nel rapporto del Censistargato 2018 – ma la portata globale.Un brutto termine che – al di là di uf-ficialità e congiunture – non indicacerto orizzonti di gloria. Al massimosentieri selvaggi.

L’isola che non c’è segnala un fu-turo che non supera il presente. Forseperché ha creduto di poter fare ameno del passato. In un mondo in cuila competizione non risparmia nem-meno il rapporto tra giovani e adulti,con soluzioni che spesso non preser-vano neppure chi per età dovrebbesentirsi al riparo, una voce fuori dalcoro viene proprio da papa Francesco:“Per camminare verso il futuro serve

libro è avvenuta proprio – comeevento speciale - durante l’ultimo si-nodo, quello sui giovani. Del resto du-rante un altro evento del sinodo ilPapa commentando la foto di un gio-vane e un anziano aveva detto chequella era la via. Quale via? Un’alle-anza tra giovani e anziani. È questoche porta nel cuore papa Francesco, èquesto che sente che il Signore vuole.E lo dice in modo molto diretto. “Glianziani hanno la saggezza. A loro èstato affidato il compito di trasmet-tere l’esperienza della vita, la storia diuna famiglia, di una comunità, di unpopolo”. Ricordando che la certezza èvenuta nella preghiera, meditandoGioele: “Io effonderò il mio spiritosopra ogni uomo e diverranno profetii vostri figli e le vostre figlie; i vostri

il passato, servono radici profondeche aiutano a vivere il presente e lesue sfide. Serve memoria, serve co-raggio, serve sana utopia”. Questo èun passaggio estremamente indica-tivo della prefazione di un libro (Lasaggezza del tempo, a cura di p. An-tonio Spadaro, edizione Marsilio) cheraccoglie circa 90 testimonianze dianziani di tutto il mondo in dialogocol Papa sulle grandi questioni dellavita (lavoro, lotta, amore, morte esperanza). E parte integrante del vo-lume sono le foto, che danno un voltoconcreto agli interventi. Come dire, ilPapa e i nonni ci hanno messo la fac-cia. In tutti i sensi. No, non sono soloparole, dietro c’è il volto, la vita diqueste persone.

Il bello è che la presentazione del

Giuseppe Norelli

LA SAGGEZZANON È ARTIFICIALE

Incontro del Papa con gli anziani

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il papa e gli anziani

anziani faranno sogni, i vostri giovaniavranno visioni” (3,1).

Se mettiamo da parte gli anzianiperdiamo il bene della loro saggezza,quel segreto che li ha fatti andareavanti nella vita. E non si tratta dellasemplice esperienza che oggi nonconsideriamo più saggezza per viadelle possibilità tecnologiche. La sag-gezza che viene dalla loro storia èqualcosa di personale che non potràmai essere sostituita dalla Rete. È lasaggezza dell’esperienza personale diquella vita che permette di vedereoltre. È la saggezza di quel nonno, diquell’anziano che sa che cosa passa ecosa resta. Lo sa perché lo ha speri-mentato sulla sua pelle, metaboliz-zato nella sua storia. Con i suoisuccessi e i suoi fallimenti. Avanti!Sempre. È questo il sogno: ciò checonta non è non cadere, ma non ri-manere a terra. È questo il messaggiodei fallimenti: trovare quella portache ti apre al futuro, alla vita. Perchéogni vita è importante, è questa la ve-rità. Una verità che neppure la culturadello scarto può negare. E i giovaniche non hanno tempo per ascoltaregli anziani o pregiudizialmente li evi-tano compromettono la loro storia.Perché i sogni che l’anziano può faresulla base della sua lunga esperienzadi vita sono indispensabili per svilup-pare nei giovani la creatività dellaloro profezia.

Certo non è facile resistere allamentalità corrente. Ma trascurareil patrimonio di esperienze di unavita non porta al futuro. Neppureaccelerando. Tra il virtuale e ilreale lo spazio è pieno di sorprese.E i tempi non sono certo semprequelli di un clic. I giovani hannopaura del tempo che corre, il tuttoe subito spesso significa accon-

sinceramente quale sarebbe stata lareazione? Prosegue padre Cedric: ”Sesento la misericordia di Dio per i mieipeccati, come posso comunicare que-sta misericordia, questo amore incon-dizionato a chi mi sta intorno? Con lapresenza, con l’ascolto, tendendo unamano, con un tocco lieve? È quello checerco di fare nelle piccole cose di ognigiorno. Non c’è niente di straordinario.Il tocco della misericordia di Dio si ri-flette sul mio atteggiamento e sul miocomportamento. È una scintilla, unmodo di agire. È un nuovo modo di ap-procciarsi all’altro. È questa la miseri-cordia, secondo me. Non è soltanto:Non preoccuparti per ciò che hai fatto.Ti perdono. La misericordia non sonosolo parole. È un atto tangibile, vivo evibrante, che non smette mai di cre-scere e diventa sempre più profondo”.

L’amore è creativo, bisogna guar-dare le cose con creatività, non la-sciarsi vincere dagli inconvenientidella vita. Con umorismo; facendoemergere tutto quel positivo che c’èin noi invece di attaccarci alle nostredisavventure. Perché quel positivo tiporta a vedere le cose con altri occhi.Certo l’irrequietezza è nella naturaumana. Fa parte del limite, dei nostrilimiti. Però non va assolutizzata: sesiamo aperti alla grazia di Dio, nem-meno il nostro limite ci limita, nem-meno il limite ci allontana da Lui.Perché la fede – ci dice il Papa – nonè pagare un pedaggio per la salvezza,è andare avanti per la gratuità di Dio.Che ci fa crescere meglio di quantopossiamo immaginare. Dal punto incui siamo veramente e dalle nostrereali capacità. Che Lui conosce meglio

di noi.Allora anche l’ansia -

tutta giovanile - delle oppor-tunità che sembrano passaree la paura del tempo chefugge irrimediabilmente pos-sono essere superate. Con lapreghiera.

Se questa è porsi cosìcome siamo dinanzi a Dio,cos’è il tempo davanti al-l’Eterno? �

tentarsi delp rovv i so r io .I m p o n e n d oalla vita sca-denze che nonci apparten-gono. PapaFrancesco dice

che dobbiamo imparare dagli anzianila saggezza del tempo perché è nellerughe che si leggono le speranze diuna vita. E proprio sulle rughe citauna battuta dell’indimenticabile AnnaMagnani (una delle più grandi attricidi cinema, n.d.r.): “C’ho messo tuttauna vita a farmele venire!”. Come dire:l’età non è un numero che ci avvicinaalla morte; è vita, è quell’ironia che ciporta a dare il giusto peso alle cose.A vedere il positivo che può essercidietro ogni cosa.

Naturalmente per trasmetteresaggezza, si deve invecchiare bene.Con saggezza. Spesso delle piccole di-savventure diventano drammi: nonabbiamo più il senso delle propor-zioni. A tal proposito voglio riportareuna testimonianza raccolta nel libroche mi ha particolarmente colpito,quella di padre Cedric. “L’altro giornostavo scrivendo un documento e unapersona accanto a me ci ha rovesciatosopra una tazza di caffè. Ci avevo la-vorato moltissimo, era pieno di anno-tazioni, ma ormai era tutto macchiato.All’inizio non ho saputo come reagire,ma quella persona non dimenticheràmai le mie parole: Ti preparo un’altratazza di caffè? Bastano piccoli, sem-plici gesti per migliorare o rovinare lagiornata degli altri”.

Se la cosa fosse accaduta a noi,

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A CENTO ANNI DALLA GRANDE GUERRABeppe Baricada e Ulderico Cremonesi, Ritratti in guerra.

Cinque grugliaschesi nella bufera 1915-18.

Nella Sala Consiliare del Comune di Grugliasco, il 15 Novembre 2018 alle ore 21, da‐vanti a un pubblico insolitamente numeroso, c’è stata la presentazione del libro RI‐TRATTI IN GUERRA ‐ CINQUE GRUGLIASCHESI NELLA BUFERA DEL 1915‐18, di Beppe Baricadae Fratel Ulderico Cremonesi, introduzione del giornalista Patrizio Romano del quo‐tidiano LA STAMPA, interventi delle autorità, espo‐sizione degli autori,canti militari del‐l’epoca eseguiti dalCORO LA FONTE, direttodal maestro GianniPadovan, ex‐allievo,

lettura di brani significativi estrapo‐lati dai diari dei cinque personaggi proposti da al‐lievi della SCUOLA LA SALLE e da attori dellacompagnia I VIANDANTI.Un mix di arte e di memorie storiche, definito dal‐l’Assessore alla Cultura “degna cornice per i cinquemanoscritti recuperati e offerti alla cittadinanza”,perché a Grugliasco, come ha affermato lo storico edocente di istituzioni militari Gianni Oliva nella pre‐fazione, “non ci sarebbe stato modo migliore per ricor-dare i 100 anni dal 1918”.Il libro non è per gli amanti degli squilli di tromba edelle bandiere al vento!“Ogni guerra genera violenza e tenebra della ragione. Tuttavia, nel suo buio che annulla certezze e spegne speranze,tremolano le fiammelle di quanti hanno, sì, ubbidito alla chiamata alle armi, ma senza rinunciare a quelle carat-teristiche personali che sono una ricchezza per tutta l’umanità”. Non ritratti di guerra (titolo molto frequente),ma RITRATTI IN GUERRA per indicare come cinque personaggi ci abbiano fornito, certo senza accorgersene, un pro‐prio autoritratto relativo a un periodo speciale della loro vita.A un secolo dagli avvenimenti del 1915/18 cinque personalità grugliaschesi (Nicola Arduino, pittore; Paolo Giu‐seppe Secco, Fratel Giacinto; Paolo Giuliani, Fratel Prospero; Vittoria Bronzino, Suor Scolastica; Lorenzo Borgo‐gno, Fratel Cesare) hanno lasciato una variegata testimonianza della loro umanità e dei giorni in cui sono stati

travolti dalla bufera della guerra.

IN VETRINA

Intervento del Sindaco

Collezione Memoria VivaLa rete di comunicazione della RELAL, nel cercare di promuovere la conoscenzadei progetti realizzati nei distretti che lo compongono, mette a disposizionedella comunità regionale il primo documento della Collezione Memoria Viva.È una pubblicazione che fornisce un resoconto di alcune delle risposte che larete educativa La Salle offre ai bisogni del nostro tempo. Oggi, come alle originidell’Istituto, esistono sfide che continuano a impressionare e lasciano un’im-pronta profonda su molti cuori. Ciò spinge la comunità lasalliana, a livello re-gionale, a essere lo strumento con cui Dio si presenta ai suoi figli, in particolare

ai bambini e ai giovani più bisognosi. Le iniziative della RELAL e di altre Regioni dell’Istituto sono lo specchiodel dinamismo e della vitalità della missione educativa lasalliana. La Salle diceva: “Ringraziate Dio, che haavuto la bontà di servirsi di voi per procurare ai ragazzi un beneficio così grande […] e siate fedeli ed esattia concederlo” (Med.194.1).“Attraversando la frontiera per toccare i cuori” presenta alcuni esempi del lavoro che è stato svolto nella Re-gione.

RELAL (Regione Lasalliana dell’America Latina)Attraversando la frontiera per toccare i cuori

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Donato PettiOpzione De La SalleEffatà, 2018, pp.240, € 14

Opzione De La Salle di Donato Pettisi pone in assoluta contiguità conil precedente Liberi di educare, in Ita-lia come in Europa (Armando, 2018).Intenzione dell’A. è offrire una so-luzione praticabile e convincenteche coincida con il perseguimentoe l’applicazione di un sistema pe-dagogico secolare e pure attualis-simo quale quello lasalliano,significativamente nel Tricentena-rio della morte del suo ideatore.Articolati e storicamente esaustivi,i primi capitoli approfondiscono labiografia del de La Salle, nato danobile famiglia nel 1651 (il pro-getto di rinascita sociale ed eccle-siale mediante la fondazione diuna scuola popolare, la scelta radi-cale di vita comunitaria con reli-giosi laici dediti esclusivamenteall’insegnamento, l’ostilità degliambienti ecclesiastici e giansenisti,sino al voto di Associazione del1691 e alla fondazione dei Fratellidelle Scuole Cristiane) e insiemel’incidenza che la sua “provoca-zione” esercitò immediatamente -pur fra crisi e momenti di incer-tezza, acuitisi nel triennio 1712-1714 - nella Francia pre-illuminista: garantire un’istruzione

bandono sotto la sua guida e allasua presenza, testimone e annun-ciatore del Vangelo, nel nome diGesù realizza un progetto di vitapiena, fa dono totale ed esclusivo delsuo amore al prossimo e, depositariodei doni del Signore, vi si consacracon un gesto radicale che escludeogni altro padrone.Nel titolo del libro vi è tutta l’ur-genza di ricominciare dall’educa-zione per colmare carenze e deficitdegli stessi nuclei familiari: in que-sto senso “l’opzione La Salle” puòe deve risultare - per loro come peri professori - guida affidabile e pre-ziosa cui ricorrere per elaborare, incontinuità con una secolare espe-rienza/tradizione, una “nuovascuola cristiana”, sistema inclusivo,fraterno e comunitario al serviziodei giovani, capace di dialogare conloro al fine di inserirli nel vivo delledinamiche sociali ed ecclesiali diquesto nostro incerto presente.Scuola di speranza, di creatività, divita (ultra)terrena. Ora come tre-cento anni fa.

Marco Camerini

a poveri e artigiani attraverso un in-segnamento simultaneo pergruppi omogenei con attenzionealla specificità del singolo e confe-rire nuova dignità agli insegnantidando vita all’inedita figura delmaestro laico - cristiano, non Fra-tello ma educato nel carisma lasal-liano e sottoposto a una capillareopera di aggiornamento - costitui-rono intuizioni straordinarie per lesfide educative del XVII sec., allafine non molto dissimili dalle at-tuali. Ma è nella seconda e terzaparte del libro, dedicate al profiloe al ministero dell’educatore, che sidefiniscono le potenzialità dellaproposta oggetto dell’analisi diPetti, la quale radica i suoi presup-posti in una vera teologia dell’edu-cazione. In tale prospettiva questiviene chiamato da Dio a ricono-scersi, con spirito di zelo (terminichiave del lessico lasalliano) nelcontesto di un provvidenziale di-segno superiore: cooperatore diCristo in un’opera di apostolatospirituale prima e oltre che cultu-rale, disposto a vivere in totale ab-

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Le edizioni Segno di Udine hannostampato il libro a cura di donMarcello Stanzione : “ Con san Gio-vanni Battista de La Salle ieri, oggi edomani. 365 giorni con il fondatoredelle Scuole Cristiane nel terzo cente-nario della morte”. Le scuole lasal-liane presenti in tutti i cinquecontinenti sono la conferma dellasolidità dell’ideale educativo diGiovanni Battista de La Salle, lasua concretezza storica, la forzaapostolica che hanno animato tantieducatori in ogni parte del mondo.Don Marcello Stanzione, ex alunnodei Fratelli delle Scuole Cristiane al

UN LIBRO PER CELEBRARESAN GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE

IN PRIMO PIANO

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in primo piano

Colle La Salle di Roma, per ognigiorno dell’anno ci presenta e ci in-terpella con un’illuminazione o unammonimento tratto dagli scritti diS. Giovanni Battista de La Salle,“Celeste Patrono degli Educatori”,a trecento anni dalla sua morte;ogni giorno un argomento speci-fico per la giornata. Quest’offertaritmica non è un’invenzionenuova; la saggezza pedagogica perscaturire non ha aspettato i nostrigiorni; era già emersa in passato econtinua ora una prassi anticanella tradizione didattica dellaCongregazione dei Fratelli delleScuole Cristiane, i quali hannosempre trovato conveniente inau-gurare la giornata con un tempo diriflessione, che della giornata ri-chiamasse il valore ed il fine. I temi

si susseguono svariatissimi; cia-scuno è netto nella sua individua-lità, eppure lo si sente fuso inun’armonia organica, che ha la ge-nuinità di ciò che è vivo; sono lesingole tessere di un mosaico, cia-scuna brilla in sé, ma ciascuna con-corre ad aprire un’unitaria visionesolenne, ricca di richiamo. Questasfilata che a ogni passo si ricostrui-sce e si rinnova, rassicura e invo-glia; promette sempre nuovointeresse in un tono sempre nuovo.Di fronte al flusso di parole scialbeche, nel mondo sociale e politico,slittano mosce sul pensiero senzaincidere, qui ci sono parole chesuonano e risuonano, dicono e si-gnificano. L’area nella quale ci simuove è di fondamentale impor -tanza; è quell’ educazione che

alla vita fornisce le motivazionidel suo esserci e i metodi per sco-prirne le attrattive che la ren donoappagante. L’educazione, radicee frutto della cultura, è l’illumi-nazione della vita, che ne rivelala natura, ne mostra la sublimità,ne giustifica il fine, il quale, men-tre la trascende, la corona. Edu-care è vedere e far vedere; èconoscere il cammino e segna-larlo agli altri, è procurarsi laforza per la marcia e sommi -nistrarla agli altri. È la missionepiù alta per ogni uomo, quellapiù impegnativa, quella più esal-tante, ma insieme anche la piùardua e perciò, specialmente ora,la più disattesa.

Donato Petti, Fsc

Giubileo lasallianopresso la chiesa della Nativitàa Betlemme

Il settore Terra Santa-Giordania ha celebrato unaMessa presso la basilica della Natività, nellachiesa di Santa Caterina, in occasione dell’annogiubilare lasalliano, domenica 9 dicembre 2018.Più di 350 lasalliani di 4 collegi e dell’universitàsi sono riuniti per pregare insieme e celebrare iltricentenario dalla morte del Fondatore. Eranopresenti nove Fratelli che lavorano nella regione.Il celebrante padre Samuel Fahim, che conoscemolto bene i Fratelli, ha fatto un’omelia in cui haparlato della vocazione dei Fratelli e della sua im-

portanza nelmondo di oggi, nonché del la-voro che i Fratelli hanno svoltoin Palestina, Israele e Giordania.Successivamente, il parrocoRami Asakrieh, francescano, haringraziato i Fratelli per il lorolavoro e la loro presenza a Be-tlemme dal 1893.Alla fine della celebrazione,Fratel Daoud Kassabry, responsabile della pastorale, dopo aver spiegatoil significato di questo evento, ha ringraziato il coro, i cantori di Gerusa-lemme, i sacerdoti e i vescovi concelebranti e tutti gli insegnanti.

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secondario mutamento di struttura e una diversadefinizione dei criteri valutativi che impongono, evidente-mente, l’adozione di nuovi parametri, alcuni dei quali, per-altro, non dissimili rispetto al passato, soprattutto per latipologia A. Quest’ultima, in particolare, esce decisamentevalorizzata con due tracce in luogo di una, opportuna-mente rispondendo all’esigenza, per uno studente giuntoal termine del ciclo di studi superiore, di comprendere consicurezza e in profondità un testo letterario in prosa o in

poesia, interagire con esso inserendolo nel proprioorizzonte formativo ed esistenziale1, contestualizzarlonel panorama della storia letteraria italiana. Spiace,semmai, desumere che entrambe le proposte di lavororiguarderanno brani/liriche comprese nel periodo cheva dall’Unità ad oggi (evidentemente imprescindibilel’attenzione al ‘900, ma l’opportunità delle dueopzioni consentiva di non escludere - magari saltu-ariamente - sondaggi ottocenteschi su autori qualiLeopardi) e cogliere una minor attenzione agli aspettiformali e stilistici: ridimensionare il peso di domandeinerenti quesiti metrici e retorici potrebbe favorire un

Nel più ampio contesto della revisione dell’Esame diStato - avviata dal Ministero dell’Istruzione e affi-data, in attesa di approvazione, al Documento di

lavoro redatto dalla specifica Commissione nominata conDM 499/2017 - meritano una breve riflessione le nuovetipologie della prima prova scritta (che acquisisce, fra l’al-tro, con 20 punti, un maggior peso nel voto finale comp-lessivo). Sempre in numero di sette, prevedono un non

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scuola

Marco Camerini

CAMBIA LA PRIMA PROVA SCRITTA DELL’ESAME DI STATOIN MEGLIO

Anche il ministro Bussetti ha voluto rivedere, come i suoi predecessori, l’esame di ma-

turità. Alle novità già previste dalla Buona Scuola per la maturità 2019 (soppressione

della ‘terza prova’, maggior peso dei ‘crediti’), Bussetti annuncia due cambiamenti di

rilievo per quanto riguarda la seconda prova scritta e i criteri di valutazione delle prove.

La seconda prova scritta potrà avere carattere bi o anche pluri-disciplinare, riempiendo

in qualche modo il vuoto di pluridisciplinarità creato dall’abbandono della ‘terza prova’.

1 Verranno riportati in corsivo passaggi e frasi tratti dal citato Documento di lavoro.

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scuola

eccessivo impressionismo critico nell’approccio testualeanche se, certamente, l’applicazione di tali strumenti dianalisi non deve tradursi, a livello di ciclo liceale, in steriletecnicismo.È la novità più evidente, farà discutere i professori (nu-merosi i perplessi della prima ora, fra i quali chi scrive),meno gli studenti che non l’hanno mai molto amato, nétanto meno veramente capito: scompare il saggio brevee la tipologia B (tre tracce) consisterà nell’interpre-tazione/comprensione di un singolo passo di ambitoartistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecno-logico, economico-sociale seguita da un commento in cuiil candidato esporrà le sue riflessioni intorno alla (o alle)tesi di fondo avanzate: di fatto un’ulteriore prova dianalisi testuale, semplicemente appli-cata a contesti non letterari, che ri-mangono quelli della vecchia tipologia.In proposito la Commissione stessa, siapure in una nota, ha dovuto ammet-tere che nel saggio breve l’indicazionedi citazioni disparate, talvolta nu-merose, induceva lo studente a redi-gere un centone, dal quale non sipoteva evincere in nessun modo la suacapacità di sviluppare un discorso au-tonomo e ben strutturato; il terminestesso, pretenzioso ed ingombrante, di“saggio” escludeva – nel suo riferirsi aduna scrittura oggettiva di estrazioneaccademica – giudizi di valore person-ale del discente, spesso diffidato (nellesin troppo numerose “guide alla com-posizione”) dall’inserire valutazioni soggettive, se nonaddirittura dal ricorrere ad espressioni quali “secondome”, “a mio avviso”, “credo”. Va da sé che ben pochi do-centi, in sede di correzione, erano disposti a penalizzareun candidato quando esprimeva opinioni ed impressionimagari assai originali e colpevoli solo di esulare da unsistematico ricorso alle fonti (quanto e come andavanocitate? Querelle infinita) determinando un’indubbia con-fusione, pur con il supporto di specifiche griglie, al mo-mento della valutazione conclusiva collegiale. Piùdolorosa l’eliminazione del tema storico “tradizionale”(tipologia C) il quale, al contrario, avrebbe anche incon-trato i favori di tutti, se non fosse che – con il passaredegli anni – il livello di difficoltà degli argomenti pro-posti è esponenzialmente aumentato e i titoli delle piùrecenti Maturità risultavano pertinenti più al Concorsouniversitario per un Dottorato di ricerca che ad un con-testo scolastico, sia pure di ultimo anno. Basterà ricor-

dare, citandole sommariamente, alcune tracce eclatanti:“I processi e le prospettive di sviluppo delle attualimacro-economie emergenti: Cina, India, Giappone” o “Lefoibe: una ferita umana e storica aperta, su cui anche ilGoverno italiano si è espresso sin dagli anni ’60 con in-terventi autorevoli e decreti legislativi” che hannocostretto questa tipologia ad essere statisticamente lameno scelta, anche da parte di ragazzi sinceramente ap-passionati al fatto storico. Rimane, infine, con due tracceinvece di una, la ex tipologia D (attuale C), riflessionecritica su tematiche di attualità, sin dalla prima riformala più simile al tema classico con suggestioni vicine al-l’orizzonte esperienziale delle studentesse e degli stu-denti, libera comunicazione del proprio vissuto e della

propria sensibilità. Retaggio del vecchio saggio breve/ar-ticolo di giornale il fatto che si potrà chiedere al can-didato di fornire un titolo coerente allo svolgimento e diorganizzare il commento attraverso una scansione in-terna, con paragrafi muniti di titolo, il che finisce conl’alterare un po’ lo spirito ed il senso di una prova parti-colarmente cara agli alunni proprio nella misura in cuiera l’unica a non imporre alcun tipo di vincolo all’espres-sione della personale creatività.Al di là, comunque, di una riforma in cui prevalgono si-curamente apporti e spunti positivi, crediamo sia essen-ziale che la composizione scritta possa (tornare ad)essere, per chi la redige prima che per quanti la valutano,un piacere interiore, lo stimolo ad un proficuo, arric-chente, sincero confronto con se stessi, l’esaltantescommessa di affrontare e vincere ogni timore verso la“pagina bianca”. Tanto più seducente e preziosa di unfreddo, asettico display. ◆

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Un insegnante per far superare la noia e la fatica dello studio deve riu-scire a creare delle situazioni favorevoli. Alcuni verbi possono fargli daguida: affascinare, motivare, divertire, coniugando realtà e teoria, la-vorando e ricercando insieme… alunni e docenti. Alberto Castellani, Fsc

AFFASCINAREIl gioco riesce, se rendi lo studio appetibile. Il piacere dellascoperta a domande poste da loro e non confezionate daaltri. Il gusto per la bellezza di un quadro, di una poesia,di un racconto. La soddisfazione per una lettera scritta,una filastrocca inventata, una storia costruita. Una letterao un articolo di cronaca pubblicato su un quotidiano. Lagioia di un esperimento, l’osservazione in un bosco, la vi-sita a un museo… Ciò che non interessa, non si ama,tanto meno si studia. Alimentare il cuore oltre la memoria

e l’intelligenza.

MOTIVARENon “con” e “per” il voto, né per la paura di unanota sul diario o il desiderio di una ricompensaa base di euro. Conoscere, capire, studiare è allatua portata, stimola la tua crescita. Diventigrande. Cresci come persona. Trovi più facil-mente un posto di lavoro. Non sei estraneo a testesso e al mondo in cui vivi. La tua vita acquistaun senso. Il Bello, il Sapere, la Cultura ripaganoda soli. Non hanno bisogno di placebo.

DIVERTIREMaria Montessori: “Per imparare bisogna emo-

Vi piace la scuola? - così mons. GiovanniSantucci ai bambini del corso primario dellescuole cattoliche massesi nella Messad’inaugurazione del nuovo anno scolastico. Un fritto misto di no e di sì, la risposta.Quando pongo questa domanda, quellidella scuola dell’Infanzia mi rispondono unsonoro sììììììì, quelli della scuola Media unsonoro nooooooo. Col passare degli anni, passa la voglia,chissà perché. Che c’entri la fatica dello studio?

Da piccolo io studiavo poco. Stavo attentoalle spiegazioni anche per superare la… ve-rifica di mamma Anna e godere la liberauscita. Da liceale sono stato la disperazionedi fratel Lorenzo, mio professore di greco e latino, che mitoglieva punti perché, pur avendo saputo la lezione, nonpossedevo scritto il quaderno degli appunti con mille co-lori, mille titoli e mille sottolineature. Dalla mia avevouna discreta memoria visiva, che, però, non mi è stataamica nel procurarmi un metodo di studio. Mi bastavaqualche sottolineatura nel testo e la solita furbata distare attento in aula.Dopo circa cinquanta anni di scuola Primaria sono con-vinto che se voglio insegnare a studiare ai miei giovanis-simi alunni, devo creare delle situazioni favorevoli.

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Studiamo insieme

didattica

Studiamo insieme

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didattica

zionare. Molti però pensano che se ti divertinon impari”. La lezione non può provocaresbadigli, sonnolenza, apatia. Bisogna inven-tarsi qualsiasi cosa per non scrivere poi sullascheda di valutazione “poco interessato/a”,che tradotto vuol dire “non mi sono inven-tato nulla per interessarlo/a”. Se spiego lefrazioni e comincio da numeratore, linea difrazione e denominatore; proseguo con pro-pria, impropria e apparente e aggiungo com-plementare, cosa vuoi che gliene importiall’alunno? Se invece gli ricordo il valoredelle note e un terzo della classe solfeggiauna semibreve, un altro terzo due minime el’ultimo terzo quattro semiminime, avrò ac-ceso dell’interesse e procuratomi del mate-riale (coinvolgente) per riflettere sullefrazioni. Della serie Tutti insieme appassio-natamente con Julie Andrews.

CONIUGARE REALTÀ E TEORIADal sasso che cade a Newton, dall’ombra di una meri-diana a Keplero, da un cartone per le uova alla tavola pi-tagorica, dalla domanda del mattino all’argomento delprogramma anticipato al momento, ma anche dalle pa-gine di Scienze all’orto, da quelle di Storia a un museo,dal disegno di una foce a delta o a estuario sulle rive diun fiume. E non soltanto come gita di classe di fine anno.Ma curando un contatto costante con il territorio, senzatimori di chiacchiere a bordo pista che ti etichettano diattivismo smodato, di sindrome di learning by doing (im-parare facendo) o di spontaneismo.

RIDURSI ALL’ESSENZIALESu un argomento far emergere gli elementi essenziali dopoaver sondato le conoscenze degli alunni con domande chefacilitano il dialogo. Annunciato l’argomento, non spiegarenulla. Lasciare dire. Non un monologo, ma un dialogo. Si

pensa e si ragiona a voce alta, si corregge, si smentisce, siconferma, si integra, s’inquadra l’argomento in una visioned’insieme. La Terra, vista dagli astronauti, è più compren-sibile di quella parcellizzata sui libri di testo. Il “maestro”è moribondo, l’audience delle lezioni frontali oggi è in fortecalo. Socrate raccontava di una levatrice. Al momento c’èbisogno di “motivatori” che aiutino a riporre negli scaffalidel sapere (discipline scolastiche), l’enorme quantità di datida cui sono bombardati i bambini, dando loro le chiavi deicassetti (matrici cognitive).

APRIRE IL LIBRO, LA LIM E INTERNETFotografare la pagina di testo. Ridurla quasi a icona sulloschermo. Quali elementi s’intravedono? Il titolo, delle fi-gure, dei sottotitoli, delle parole colorate… Tentare di dareloro un senso. Ingrandire l’icona. Verificare. Tracciare lineedi collegamento tra i codici (parole e immagini). È il suntoda studiare. Arricchire con l’aiuto di un motore di ricerca.Sviluppare uno schema logico o una mappa concettuale.Non da solo. Insieme. Quindici-venti minuti di studio in

aula con domande al seguito: orali, scritte, in-dividuali, a squadre, a quiz… magari verificandoquanto appreso in contesti diversi, nuovi. Oltreil binomio, non sempre vincente, Io spiego-ve-diamo sei hai studiato e capito!Riporre il contenuto appreso nello… scaffalegiusto (una striscia storica, un genere lettera-rio…) magari con l’intenzione di tornarci soprain un lavoro di gruppo.

INSEGNARE A IMPARAREA IMPARAREDopo anni si acquisisce un metodo, eccome, ar-ricchito dall’individualità di ognuno. Perché se èvero che esistono i metodi di ogni disciplina (sto-

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didattica

rico, scientifico, geografico...) e che vanno fatti conosceree possibilmente praticati, va insegnata soprattutto la me-todologia per favorire la comprensione di un testo, di unquadro, di un fenomeno. Arte difficile: decifrare, capire ladinamica, carpire i legami logici, ricavare i dati, insommascannerizzare il tutto per renderlo comprensibile e godibile.“Al bambino non possiamo consegnare l’oceano, un sec-chiello alla volta. Però gli possiamo insegnare a nuotarenell’oceano e allora andrà fin dove le sue forze lo porte-ranno, poi inventerà una barca e navigherà con la barca, poicon la nave. (...) La conoscenza non è una quantità. È unaricerca. Noi non dobbiamo dare ai bambini quantità di sa-

pere, ma strumenti per ricercare (...)”. Così Gianni Rodari inGrammatica della fantasia, libro da tenere sul comodino.

STUDIARE A SCUOLACon il maestro e i compagni. Alle 16.00 si torna a casa, gli zainirestano in aula. Si cambia scuola: una palestra, un’associazione,la casa di amici. Alla fine della settimana si portano i quadernie quanto altro a mamma e papà perché possano congratularsidei progressi compiuti. La scuola che dà troppi compiti a casaha problemi. Non sta bene. Imbottisce le teste. Non… perdetempo a insegnare a studiare per rendere il bambino autonomonel tanto decantato “imparare a imparare”. ◆

Testimonianza

LA MIA STORIA DI LASALLIANO

Sono entrato all’Istituto La Marmora dei Fratelli delle Scuole Cristiane in quinta elementareed è grazie a questa scuola che la mia fede, unitamente agli insegnamenti della mia famiglia,si è fortificata. Qui ho conosciuto maestri e maestre che mi hanno formato non solo scola-sticamente ma per la vita, facendomi abbracciare la fede, rafforzandola di giorno in giorno.Tanti i Fratelli che sono stati miei educatori: per ricordarli tutti dovrei scrivere un libro. Aognuno di loro devo tanta riconoscenza, perché è grazie a loro che oggi sono un ex alunno

convintamente lasalliano sulle orme di SanGiovanni Battista de La Salle, impegnatonella vita quotidiana, guidato dalla sua spi-ritualità.Essere lasalliano per me significa mettermial servizio dei più poveri e in particolaredei giovani. Essere lasalliano per me signi-fica essere “servo tra i servi“o meglio es-sere testimone di fede nelle attività che Diomi chiama a svolgere giorno per giorno,come il lavoro di giornalista, il servizio alladiocesi nella parrocchia della Cattedralecome ministro straordinario della comu-nione eucaristica al fianco dei sofferenti,portando una parola di conforto a chi sisente solo. Ripetere nel profondo del mio

cuore: viva Gesù nei nostri cuori, è per me affermare la mia unità a Dio dicendo che nonsono più io che vivo ma è Cristo che vive in me. Essere lasalliano per me è essere come ilnostro Fondatore servitore del prossimo, difensore dei poveri, garante della fede ma rap-presentante di Cristo nella vita terrena. Considerare la liturgia come il centro della vita e ilcuore della celebrazione eucaristica significa rendere appieno la giornata. La Salle da sacer-dote fondò la nostra congregazione laicale ma in questa congregazione che è una famigliaoggi si vedono dipanarsi tanti rami. Uno di questi rami per me è proprio quello di essereservo dei servi, configurandomi a Cristo nella liturgia secondo le forme vocazionali previstedal sacramento dell’Ordine per diffondere maggiormente nella Chiesa la figura di questonostro grande Santo che oggi è il patrono di tutti i maestri e gli educatori. Nei suoi confrontidobbiamo perciò esprimere la più profonda gratitudine e invocarlo spesso.

Emanuele Dondolini

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Purtroppo, anche questo argo-mento che segna il nostro primoappuntamento del 2019 non ha

bisogno di troppe presentazioni inquanto si auto-documenta nei telegior-nali e nei media che ci informano quo-tidianamente.

Come al solito cerchiamo prima difare un po’ di chiarezza nella termino-logia di riferimento che, nelle sue in-tersezioni tra mondo mediatico emondo scientifico, spesso crea ulterioredisorientamento.

Quando parliamo di violenza di ge-nere o di femminicidio si pensa subitoa una donna violata o uccisa per manodi un uomo proprio in quanto donna enon certamente perché coinvolta acci-dentalmente, ad esempio, in una rapinaa un supermercato.

I dati mondiali dell’OMS (Organiz-zazione Mondiale della Sanità) nonchéquelli nazionali dell’Istat parlano di vio-lenza generica subita e dichiarata dacirca 1 donna su 3 nel corso della pro-pria vita. Visti così i numeri fanno paurama vanno necessariamente scremati dauna serie di casi che nulla hanno a chefare con quello che ci interessa ossia laviolenza di genere o, ancora più nello

specifico, la violenza nelle relazioni in-time o di coppia.

Quindi, una volta chiarito che perfemminicidio intendiamo generica-mente l’uccisione di una donna da partedi un uomo per motivi di genere e legatia una relazione vissuta o respinta, cer-

chiamo di capire da dove nasce questofenomeno. Sicuramente esso affonda lesue radici in molte società di stampo ecultura patriarcale che vedevano (e pur-troppo in alcune di esse vedono an-cora…) la donna subordinata e soggio-gata all’uomo a prescindere dal suoruolo sociale e quindi motivato da una“semplice” questione di genere. Pen-siamo solo per un attimo al famoso “de-litto d’onore” riconosciuto dal nostrocodice penale fino al1981… Questo sce-nario quasi medioe-vale vedeva come deltutto normale diversitipi di violenza cheoggi potremmo clas-sificare in varie tipo-logie quali quella fi-sica, psicologica,economica, sessuale,ecc.

In realtà, almeno in questo caso,quella psicologica è sempre sovraordi-nata rispetto a tutte le altre nel sensoche mentre, ad esempio, una violenzapsicologica non sempre comprende an-che quella fisica, al contrario quella fi-sica implica automaticamente ancheuna violenza psicologica e così via pertutte le altre forme citate. Inoltre, sap-piamo anche che le “cicatrici” psicolo-giche sono spesso più indelebili di quellefisiche perché sono dinamiche e per-manenti nel senso che non riusciremomai a liberarcene definitivamente; almassimo possiamo sperare di poterciconvivere in modo più sereno e funzio-nale rispetto ai nostri stili di vita abitualie precedenti alla violenza stessa.

Se circoscriviamo il fenomeno al-l’Italia i dati sono in leggera discesa evedono gli psicologi tirati in ballo quasisempre a danno avvenuto, solo per cer-care di incollare i cocci che necessaria-mente cocci resteranno. Potenzial-mente, però, la psicologia può faremolto di più soprattutto nella fase diprevenzione e di educazione al pro-blema ma questo di nuovo si scontra

Guido Orsi

Cambiare la cultura, insegnare il rispetto,svelare il nascosto,proteggere la donna, rieducare l’uomo.

VIOLENZA DI GENEREVIOLENZA DI GENERE

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con fattori culturali stratificati neglianni e difficili da sgretolare.

La psicologia in Italia è relativa-mente giovane rispetto, ad esempio, allamedicina e spesso rientra in quell’im-maginario collettivo che la vede coin-volta principalmente nella cura di ma-lattie mentali o di disagi

comportamentali, quasi fosse un alter-ego della psichiatria. In realtà non ècosì perché parliamo di due disciplinemolto diverse che si sovrappongonofondamentalmente solo della fase divalutazione e diagnosi del problema mache poi seguono strade molto diverse.

Intervento psicologico oggi significasoprattutto informazione, formazione,educazione, sostegno, promozione dellasalute o del benessere e, certamente,anche diagnosi e cura di patologie, di-sturbi o disagi della sfera psichica. Tuttequeste componenti sono fondamentalinella lotta al femminicidio, perché ser-vono a creare conoscenza e consape-volezza del fenomeno per poterlo pre-venire più che curare. E non ci riferiamosolo al genere femminile che, sicura-mente, è l’attore principale in quantovittima di questa assurda dinamica, masoprattutto a quello maschile che devesforzarsi per capire e accettare che ladonna, seppur diversa sul piano fisico,ha gli stessi diritti dell’uomo senza se esenza ma. Anzi, se consideriamo la stu-penda ed esclusiva capacità femminiledi generare figli, è facile intuire che ledonne hanno più diritti dell’uomo che,a sua volta, dovrebbe avere tutto l’in-teresse a riconoscerli e tutelarli.

Ma la realtà purtroppo è molto di-versa.

La maggior parte dei casi di femmi-nicidio nasce da storie lunghe, trava-gliate, segnate da crescenti episodi di

violenza (insulti, percosse, stalking…)che alla fine, quando l’uomo si senteincapace a imporre il suo assurdo biso-gno di predominio o controllo sullacompagna o “preda”, non vede altrastrada che ricorrere alla violenzaestrema senza via di ritorno. Questo cispinge a incoraggiare le donne di qual-

siasi età, stato sociale, etniao religione, a denunciareanche la minima forma diviolenza di qualsiasi tiposeppur nel suo stato em-brionale.

Il silenzio, la copertura,l’illusione di guarigione, lasperanza di redenzione, ilbisogno di sicurezza, nonfanno altro che nutrire pe-ricolosamente il seme di

prevaricazione che alcuni uomini por-tano dentro di sé per poi farla svilupparefino alle dimen-sioni che gene-rano il gestoestremo. Ladonna che de-nuncia aiuta sestessa a evitaretraumi, i proprifigli a evitare didiventare bullima anche ilcompagno/ma-rito a evitare didiventare un ef-ferato assas-sino.

Quasi sempre, come è giusto chesia, ci si occupa esclusivamente delladonna lasciando l’uomo al suo destinodi espiazione della pena senza prendersicura del suo recupero e del suo ritornoin società. Questo provoca spesso dellerecidive che generano poi delitti ancorapiù gravi. Pensiamo ai casi in cui l’uomoè finito in carcere per una prima vio-lenza o abuso e che, alla prima occa-sione di permesso o uscita premio, tornadalla vittima per finire “l’opera”.

Quindi cosa fare per cercare di af-frontare il problema frontalmente inun’ottica radicale e quanto più possibiledefinitiva?

Proviamo a dividere le soluzioni perattori diretti e indiretti del fenomeno.

FAMIGLIE: promozione e educazioneal rispetto dell’altro, dentro e fuori ilnucleo familiare, finalizzato al benes-sere familiare e sociale secondo le nor-mali regole di convivenza civile;

ISTITUZIONI (scuole, forze di polizia,legislatore, ecc.): formazione e controllocontinuo dei fenomeni di violenza, tu-tela e sostegno delle vittime, pene se-vere e certe commisurate al tipo di reatoma con programmi di recupero dell’ag-gressore finalizzati alla risoluzione delproblema e al rientro in società;

VITTIME (o potenziali): denuncia im-mediata agli organi competenti al ben-ché minimo segnale di minaccia, viola-zione o gesto persecutorio subito;

PREDATORI (o potenziali): consape-volezza e accettazione del proprio pro-blema con richiesta spontanea per unpercorso di recupero e redenzione de-finitiva.

Letta così potrebbe sembrare unospezzone dal libro dei sogni ma rinun-ciare a crederci e ad agire in questosenso sarebbe un’ulteriore legittima-zione del fenomeno consolidandolosempre di più come una caratteristicapermanente nelle relazioni umane piut-tosto che inquadrarlo come una dram-matica inversione del percorso evolutivodel genere umano.

Tempo fa in una delle tante campa-gne divulgative sul fenomeno del fem-minicidio lessi una frase che mi hamolto colpito per il suo apparente dop-pio senso ma che trasmette l’essenzadel problema in modo molto efficace:“La debolezza non è in chi riceve unoschiaffo ma in chi lo dà. Una donna nonè fatta per convivere con un debole”. ◆

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Il Signore, dopo unalunga vita, carica dianni (96 per l’esat-tezza) ha preso consé Fratel Saverio Or-loswsky. Era in pra-tica il decano deiFratelli presentinella Sacra Famigliadel Colle, dove risie-deva da 16 anni. Lasua scomparsa ci la-

scia tutti addolorati e un po’ più soli.Fratel Saverio ha attraversato un secolo comeun nobile di altri tempi: sempre gentile, macon un certo aplomb che poteva apparire di-stacco. Per noi italiani caciaroni e disordinati,sembrava un po’ un estraneo. E lo era. Carat-terialmente era un uomo indipendente.La sua presenza al Colle qualche volta è statadiscussa in forma un po’ ingenerosa, soprat-tutto perché non compresa. Essa va invece in-quadrata in un contesto preciso. Fratel Saverio è stato, suo malgrado, unesule: costretto a vivere lontano dalla suaterra e dalla sua patria. Negli anni aveva presoanche la cittadinanza italiana: un uomo dun-que tra due mondi e due culture. Divenutoitaliano, non smise tuttavia di essere e sen-tirsi polacco: con la nostra lingua, ad esem-pio, ha mantenuto sempre qualche distinguo,ma su questo, lui avrebbe scherzosamentedetto: “Me ne fischio”, espressione italianainesatta nel suono, ma non nella sostanza.Questa sua condizione di vita da esule, l’ab-biamo quasi persa nei sedici anni che ha pas-sato al Colle, ma non dobbiamo e possiamodimenticarla, anche perché ci permette dicomprenderne un po’ la personalità che inogni caso è rimasta serena negli anni, non miè mai sembrato uno che si piangesse addosso.Nato il 17 luglio del 1922 a Poraz (nella Polo-nia del sud quasi al confine con la Slovacchiae vicina ai Carpazi, una zona rurale) non fecein tempo a diventare adulto che si ritrovò lapatria occupata dai tedeschi e dai sovietici chea partire dal 1939 se ne spartirono le spogliecome altre volte era accaduto nella storia. In quegli anni, morirono più di 6 milioni di po-

lacchi (il 25% della popolazione) metà deiquali ebrei, sia per mano tedesca che permano sovietica. Il nostro Wladyslaw aveva trai 18 e i 23 anni: l’età della giovinezza. È inquesto clima storico particolarmente difficile,siamo subito dopo la seconda guerra mon-diale, che matura lentamente la sua voca-zione: la sua vestizione risale al 1951 e aveva29 anni. Non era dunque un bambino e le condizionistoriche non consentono di pensare che fosseuna scelta di comodo. Al contrario. Il che ci faintravedere la sua tempra interiore.Le condizioni di vita dei religiosi polacchi del-l’epoca non erano delle migliori, per cui i su-periori portarono quasi subito Fratel Saverioa Roma presso la Casa Generalizia già nel1954 senza particolari mansioni, quasi a vo-lerlo proteggere da situazioni di pericolo:aveva 32 anni. Tuttavia, tornò in Polonia perla sua professione perpetua emessa a Czesto-kowa il giorno dell’assunta del 1959.Lo ritroviamo nel 1963 al secondo noviziatocome infermiere: il Concilio era alle porte e ilmondo ecclesiale era in fermento, ma la Polo-nia continuava a essere sotto il regime sovie-tico. Bisognerà attendere Giovanni Paolo IIperché le cose cambino.Quella di infermiere sarà una delle attività chedistinguerà il suo impegno religioso e ne pla-smerà l’animo attento ai bisogni degli altri. Esarà per lui anche giusta fonte di orgoglio per-sonale: svolgeva la sua funzione sempre in ca-mice bianco e fino alla fine ha avuto qualchedubbio sull’operato dei medici. Il fatto di es-sere giunto a 96 anni, da questo punto divista, è certamente un punto a suo favore: imedici non me ne vogliano. Tra l’altro non li-mitava il suo servizio ai Fratelli della Casa Ge-neralizia svolgendo anche il ruolo diinfermiere volontario presso la allora clinicaMoscati (oggi Columbus).Dal 1966 al 1981 sarà dunque l’infermieredella Casa Generalizia: 15 anni di ininterrottoservizio e in questa veste io giovane Fratellopersonalmente l’ho incontrato.Successivamente dal 1982 al 1985 viene im-pegnato nella cura della Casa per poi occu-parsi dell’Ufficio del personale, con puntualità

Una persona distinta e gentile: Fratel SAVERIO (Wladyslaw) ORLOWSKYPoraz (Polonia) 17/07/1922 - Roma 13/12/2018

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l’ultima campanella

e precisione sino al 2002. Tale ufficio tienesempre aggiornata la lista dei Fratelli nelmondo e all’epoca non c’erano ancora stru-menti elettronici: si faceva tutto a mano. Unlavoro che ben si confaceva al suo agire meti-coloso anche nelle piccole cose, ad esempionel fumo: fumava ad orario. Ed era amabil-mente preso in giro per questo. Ed anche luici scherzava.Giunto all’età 80 anni, siamo nel 2002, chiedeai Superiori di poter rimanere in Italia, suapatria di adozione. D’altro canto, aveva tra-scorso in Italia quasi 50 anni: in Polonia pro-babilmente non gli restavano legami. Ed alColle avrebbe potuto incontrare le suore chevenivano dalla sua stessa patria: di fatto nondisdegnava lunghe chiacchierate con loro

nella sua lingua natia. Anche in questo casoperciò la sua richiesta di restare in Italia neisuoi ultimi anni va letta in modo positivo ecome un esempio: una realistica presa d’attodella sua situazione di vita ed un agire con-seguente.Così fu accolto al Colle, dove ha trascorso isuoi ultimi 16 anni, (per un totale di 64 anniin Italia: letteralmente una vita) testimo-niando a tutti una fedeltà indiscussa al suoabito religioso, una pietà senza smancerie,una delicatezza d’animo senza sentimentali-smi. Gentile con tutti, ma senza sottomis-sione, riservato e in fondo sempre sereno. Ciha lasciato senza disturbare. Il Signore lo ac-colga tra i giusti.

Gabriele Di Giovanni, Fsc

La semplicità è una virtù davvero eccezionale e piuttosto rara. Ce nerendiamo conto solo quando si incontrano persone autentiche comeFratel Liberato, il quale è stato un uomo semplice, servizievole, senza

complessi e complicazioni, maanche profondamente reli-gioso, di una religiosità che simanifestava nella sua pietà, nelle sue buone maniere,nel suo candido sorriso, nella sincera venerazione, pernulla servile, verso i superiori. Essere semplice è qualcosa di straordinario: è sem-plice, infatti, colui che è riuscito a sistemare le cose, ivalori e messo ordine nella propria vita, liberandosi disovrastrutture e di tante cose inutili; è semplice, in-somma, colui che ha svolto un paziente lavoro di sem-plificazione. La semplicità non ha nulla a che vedere con la sem-plicioneria e la superficialità, che sono cose che re-stano all’esterno e toccano esclusivamentel’epidermide delle persone. Il semplicione è tale perchéha un vuoto centrale, la persona semplice invece haun centro nella propria vita, cui fa riferimento e at-torno a cui ruotano pensieri, azioni, parole e atteggia-menti. E il centro per il nostro Fratello è stato lospirito di fede e lo zelo come sua logica emanazione,vissuti in tutta semplicità, senza complicazioni ed elu-cubrazioni mentali.

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Una persona semplice e servizievole: Fratel LIBERATO (Giuseppe) BRIZIPiansano (VT) 21/03/1925 - Roma 28/12/2018

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Chi desidera consultare i numeri precedenti di“Lasalliani in Italia”

può entrare nel sito: www.lasalleitalia.netcliccando Pubblicazioni

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Fratel Liberato era tutt’altro che un sempli-cione e sicuramente non un presuntuoso. Co-nosceva i propri limiti e con la sua semplicità,tradotta in servizio generoso, dava il suo con-tributo all’istituzione ed esprimeva squisitacarità per i suoi confratelli. È stato addetto alla cucina, alla guida delloscuolabus, agli acquisti e ad altre mansioni indiverse istituti della Provincia: a Roma (CasaGeneralizia, Colle La Salle, Pio IX, Villa Flami-nia, Pio XII), ma anche a Torre del Greco e alLa Salle di Napoli. Gli ultimi quattordici annili ha trascorsi nella comunità della Sacra Fa-miglia del Colle La Salle, assistito amorevol-mente dalle Suore della Misericordia di SanCarlo Borromeo.Era entrato al Noviziato nel 1946 e ha emessola Professione perpetua il 7 agosto 1952.La sua amicizia era genuina e a tutta prova,come pure la sua fiducia incondizionata verso

i superiori, al punto che una volta, fermato daun vigile mentre guidava contromano, a suascusante, lasciando basita e interdetta laguardia municipale, rispose: “Scusi, ma mel’ha detto il direttore di passare qui”. Mi è capitato tante volte di assistere alle pre-mure che riservava al suo ex-direttore FratelLudovico Raiola, quando questi, avanti neglianni, pur trovandosi in altra comunità, avevabisogno di essere accompagnato ora per unavisita medica ora per una vacanza. Era sem-pre disponibile e sollecito, anche quando lapersona che stava aiutando si comportava avolte in modo scorbutico. Sono convinto che la semplicità di Fratel Li-berato non sia mai stata una cosa semplice.Solo le persone ricche interiormente appaionosemplici.

Mario Chiarapini, Fsc

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Per il cambio indirizzo comunicare anche il vecchio

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Ripensare la hybris

Carlo Bordoni

Il paradosso di Icaro

Il Saggiatore 2018, pp. 352

Euro 21,00

Consigli per la letturaa cura di Alberto Tornatora

in libreria

Essere o non essere

Ivano DionigiQuando la vitati viene a trovareLucrezio, Seneca e noi

Laterza 2018, pp. 125Euro 17,00

Per una meravigliosa e tremenda ambiguità linguistica, la morte ela vita sono iscritte nella stessa parola bios: bíos è vita, biós è arco.Noi siamo così un cerchio incompiuto, imperfetto, un arco, in cui ini-zio e fine non coincidono. Solitari restare a riva a osservare le tem-peste della vita o salire a bordo senza troppo curarci dei compagnidi viaggio? Seguire le leggi del cosmo o le leggi dell’io? Scegliere lapolitica o l’antipolitica? Il negotium o l’otium? Credere o capire difronte a Dio e alla morte? Seguire la lezione dei padri o la rivolu-zione dei figli? Basta volgere lo sguardo al mondo classico di Atenee Roma per trovare i nostri più naturali interlocutori, coloro che cihanno preceduti nelle nostre stesse domande. Lucrezio e Senecahanno fatto il controcanto al presente ponendosi le domande ul-time. Non importa quali risposte abbiano dato, importa invece laloro allergia al pensiero unico, tanto da averci prospettato conce-zioni diverse e rivali del mondo. Importa il coraggio di sperimentare,in solitudine e in autonomia, cosa significa sopportare la veritàquando la vita ti viene a trovare. A loro dobbiamo rivolgerci per ri-cordarci come eravamo e come potremmo essere.

L’uomo è la più tronfia, superba e tracotante delle creature. La ne-cessità di soddisfare i suoi bisogni e la sete di conoscenza lo hannoindotto a esplorare, a sperimentare, a spostare il limite sempre unpo’ più in là. All’inizio è stata una questione di sopravvivenza, poi èdiventato un meccanismo talmente abituale da risultare connatu-rato, a tratti perverso: competere con gli dèi, sottomettere gli ani-mali, dominare la natura, sconfiggere la morte. Questa è la hybris, iltragico errore di Icaro. Per Carlo Bordoni è alla hybris che va ricon-dotta la crisi del nostro tempo. Oggi i valori di democrazia, libertà,uguaglianza e progresso appaiono scarnificati, scoloriti e intermit-tenti, fragili origami privi di autorevolezza e sacrificati al dio dell’ec-cesso; oggi si profetizza un nuovo declino dell’Occidente. Perché ilcolmo della tracotanza consiste nell’ignorare deliberatamente il fu-turo, nel vivere in un eterno presente dominato dalla voracità delbenessere e da un’inquietante forma di indifferenza. Ma, parados-salmente, è proprio grazie alla hybris che possiamo riscattare il pre-sente e nutrire speranze per il futuro: avere la spinta a superare ilimiti significa saper deviare dal percorso già tracciato, compiere unoscarto e magari trovare una nuova via.

Parva sed apta mihi

Mauro Novelli

La finestra di LeopardiViaggio nelle case dei grandiscrittori italiani

Feltrinelli 2018, pp. 204Euro 18,00

“Per lunghi secoli, ci ricorda l’autore, quando l’unità politica non erache un sogno confuso, l’Italia fu innanzitutto un’espressione lette-raria, una tradizione poetica”. Non c’è, di questo, una testimonianzamigliore dei tanti luoghi in cui vissero gli scrittori. Ville eleganti e pa-lazzi nobiliari, ma anche appartamenti dignitosi, umili case conta-dine, castelli arroccati su una rupe, celle di prigione e persino vagoniferroviari: l’assortimento dei luoghi abitati dai nostri scrittori e dallenostre scrittrici ben riflette l’affascinante complessità della culturaitaliana. “La finestra di Leopardi” è un viaggio sentimentale, ironicoe insieme appassionato, nelle dimore dei grandi autori, quelli cheabbiamo conosciuto a scuola: Petrarca, Manzoni, Pavese, Fenoglio,Leopardi, D’Annunzio, Tasso, Carducci, Pascoli, Quasimodo, Piran-dello, Deledda, Pasolini e tanti altri ancora. Fra queste mura, su que-sti tavoli, nella cornice di una finestra, davanti a un focolare oppuredietro le sbarre, sono nate le parole che hanno cementato la nostraidentità nazionale. Mauro Novelli, docente all’Università Statale diMilano e vicepresidente di Casa Manzoni, perlustra stanze nelle qualiil turbine dell’ispirazione sollevò tempeste, mentre ora si offronoquiete allo sguardo dell’ospite. Questo libro non è il resoconto di undevoto pellegrinaggio, né un saggio accademico o una sempliceguida, ma il racconto innescato dal connubio fra ciò che gli autorihanno scritto, ciò che è capitato nei loro ambienti privati e ciò che sivede visitandoli oggi, perché le case possiedono una straordinariapotenzialità narrativa.

Per chi suona la campana

Nuccio Ordine

Gli uomini non sono isoleI classici ci aiutano a vivere

La nave di Teseo 2018, pp. 280Euro 15,00

“Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso; ciascuno è un pezzo del con-tinente, una parte dell’oceano. Se una zolla di terra viene portata via dalmare, l’Europa ne è diminuita [...]; la morte di qualsiasi uomo mi dimi-nuisce, perché sono preso nell’umanità, e perciò non mandar mai a chie-dere per chi suona la campana; essa suona per te” (John Donne).Prendendo le mosse dalla commovente meditazione di John Donne(1624) a cui si ispira il titolo del volume, Nuccio Ordine arricchisce la sua“biblioteca ideale” invitandoci a leggere (e a rileggere) altre meravigliosepagine della letteratura mondiale. Convinto che una brillante citazionepossa sollecitare la curiosità dei lettori e incoraggiarli a impossessarsidell’opera intera, Ordine prosegue la sua battaglia a favore dei classici,mostrando come la letteratura sia fondamentale per rendere l’umanitàpiù solidale e più umana. In un’epoca segnata da brutali egoismi, dallaripresa dei razzismi e dell’antisemitismo, dalle terribili disuguaglianzeeconomiche e sociali, dalla paura dello “straniero”, queste pagine invi-tano a capire che “vivere per gli altri” è un’opportunità per dare un sensoforte alla nostra vita. Sulla scia di L’utilità dell’inutile (tradotto in 32 Paesi)e di Classici per la vita (tradotto in 6 lingue), questo nuovo volume è uninno a ciò che nella nostra società viene considerato ingiustamente “inu-tile” perché non produce profitto.

Page 52: GIUBILEO LASALLIANO · Il Tu mi stai a cuore (I care), scritto sulle pareti di Barbiana, ricorda moltissime espres-sioni del La Salle. Per citarne una a caso, rivolta ai maestri:

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