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GIUSEPPE UNGARETTI (1888/1970) È IL MAGGIOR RAPPRESNTANTE DELL’ERMETISMO. ERMETISMO Si afferma in Italia tra gli anni Venti e Quaranta dell’NOVECENTO (tra le due guerre). I poetici ermetici intendono LA POESIA COME MOMENTO DI FOLGORAZIONE, DI GRAZIA, come INTUIZIONE IMPROVVISA DEL MISTERO DELLA VITA. Le poesie sono BREVI, SCARNE diventano POESIA PURA, ESSENZIALE, che si esprime attraverso POCHE PAROLE DI INTENSO VALORE ALLUSIVO, SIMBOLICO Rifiutano qualsiasi FORMALISMO e riducono tutto all’essenziale; semplificano la sintassi privandola dei nessi logici, abolendo la punteggiatura e utilizzando il VERSO LIBERO E SCIOLTO. Esprimono in modo concentrato ed ESSENZIALE il SENSO I VUOTO e LA SOLITUDINE MORALE dell’uomo contemporaneo . VITA DI UNGARETTI Nacque ad ALESSANDRIA d’EGITTO nel 1888 da genitori lucchesi. Nel 1912 si trasferì a Parigi e conobbe importanti personalità artistiche e letterari. Nel 1914 partecipò attivamente alla campagna INTERVENTISTA e allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò COME VOLONTARIO. La drammatica esperienza di trincea lo spinse a una POFONDA RIFLESSIONE SULLA PRECARIETA’ DELLA VITA e su valore della FRATELLANZA. Dal 1942 insegnò letteratura italiana all’UNIVERSITA’ DI ROMA. Morì a MILANO nel 1970.

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GIUSEPPE UNGARETTI (1888/1970)

È IL MAGGIOR RAPPRESNTANTE DELL’ERMETISMO.

ERMETISMO

Si afferma in Italia tra gli anni Venti e Quaranta dell’NOVECENTO (tra le due guerre).

I poetici ermetici intendono LA POESIA COME MOMENTO DI FOLGORAZIONE, DI

GRAZIA, come INTUIZIONE IMPROVVISA DEL MISTERO DELLA VITA.

Le poesie sono BREVI, SCARNE diventano POESIA PURA, ESSENZIALE, che si esprime

attraverso POCHE PAROLE DI INTENSO VALORE ALLUSIVO, SIMBOLICO

Rifiutano qualsiasi FORMALISMO e riducono tutto all’essenziale; semplificano la

sintassi privandola dei nessi logici, abolendo la punteggiatura e utilizzando il VERSO

LIBERO E SCIOLTO.

Esprimono in modo concentrato ed ESSENZIALE il SENSO I VUOTO e LA SOLITUDINE

MORALE dell’uomo contemporaneo .

VITA DI UNGARETTI

Nacque ad ALESSANDRIA d’EGITTO nel 1888 da genitori lucchesi.

Nel 1912 si trasferì a Parigi e conobbe importanti personalità artistiche e letterari.

Nel 1914 partecipò attivamente alla campagna INTERVENTISTA e allo scoppio della

prima guerra mondiale si arruolò COME VOLONTARIO. La drammatica esperienza di

trincea lo spinse a una POFONDA RIFLESSIONE SULLA PRECARIETA’ DELLA VITA e

su valore della FRATELLANZA.

Dal 1942 insegnò letteratura italiana all’UNIVERSITA’ DI ROMA.

Morì a MILANO nel 1970.

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POESIE ERMETICHE

ETERNO

TESTO

Tra un fiore colto e l'altro donato

l'inesprimibile nulla.

PARAFRASI

Tra un fiore raccolto da me e un fiore donato

si rimane senza parole

ANALISI

La poesia è costituita da due versi.

Il primo verso si concentra sulla figura del "fiore" e, quindi, è un'immagine concreta. Inoltre il

tempo è determinato, cioè misurabile tra un fiore e l'altro.

Il secondo verso, invece, si concentra sul "nulla" che è "inesprimibile", sostantivo e aggettivo

sono due parole astratte. In questo caso il tempo è eterno in quanto il nulla (sinonimo di vuoto)

è qualcosa di non misurabile e, quindi, infinito.

Poche parole, scarne ed essenziali, e allo stesso tempo enigmatiche e profonde, che rimandano

a molteplici significati.

FIGURA RETORICA

Antitesi = "colto" e "donato" (v.1). Inteso come prendere per se stessi, cioè egoisticamente, e

dare donando, cioè in modo altruista.

Commento

In questa breve poesia il poeta esprime la triste situazione in cui gli uomini si ritrovano a vivere,

non riuscendo a comunicare, ovvero "l'inesprimibile nulla" che è eterno per il poeta. Così a far da

contrasto all'assenza di comunicazione viene in soccorso il poeta che, invece di comunicare a

voce, comunica attraverso la poesia, che egli paragona a un fiore appena raccolto e che poi

donerà alla gente come un gesto d'amore.

Si può pensare che Ungaretti voglia sottolineare come le parole non sempre sono adeguate a

esprimere e descrivere i gesti: le parole sono limitate, e difficilmente rendono giustizia piena ad

un gesto carico di significati. Un gesto d'amore, di odio, di passione, come si può rendere

realmente con le sole parole? Per quanto ci si sforzi non si riesce.

Oltretutto ogni gesto ha tantissimi significati diversi a seconda delle circostanze, delle persone,

delle storie delle persone coinvolte. Un fiore donato da un uomo ad una donna ha un diverso

significato, se è donato ad una donna giovane o anziana, oppure, il significato potrebbe essere

ancora più diverso, se è donato da un uomo ad un uomo. Dal momento che non è possibile

esprimere tutto ciò con le sole parole, ma soprattutto usandone poche, ecco che forse è meglio

tacere, far parlare il solo gesto, nient'altro.

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DORMIRE

TESTO

Vorrei imitare

questo paese

adagiato

nel suo camice

di neve

PARAFRASI

Mi piacerebbe essere

come questo paese

avvolto

nel suo manto

di neve

Poesia scritta da Ungaretti il 26/01/1917 a Santa Maria la Longa,

come Mattina e Solitudine, e facente parte della raccolta l’Allegria

“Dormire” si basa su una adunaton, ovvero l’impossibilità di ciò che il poeta

vorrebbe essere, ovvero il paese di Santa Maria la Longa, per poter fare ciò che a sua

volta al poeta pare impossibile in quel momento: adagiarsi in un riposo immoto,

silenzioso e dominato dal biancore, sinonimo di purezza e pace. Scritta in una pausa

dai combattimenti in trincea sul Carso, è possibile cogliere tutto il senso di questa

poesia solo se si tiene presente questo aspetto biografico. Un senso di rigetto nei

confronti del rumore della guerra, della morte di tanti compagni e del colore del

fango e del sangue, un anelare ad una pace che sa quasi di morte, avvolto nel

camice-sudario della neve.

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Analisi metrica:

La poesia si compone di cinque versi sciolti, senza schema metrico.

Analisi retorica:

Presenza di enjabement: vv. 1-2, vv. 2-3, vv. 3-4, vv. 4-5.

Adunaton: : Vorrei imitare questo paese adagiato nel suo camice di neve (vv. 1-5).

Metafora: adagiato nel suo camice (vv. 3-4).

Personificazione: questo paese adagiato nel suo camice (vv. 2-4).

COMMENTO

Ungaretti parla di sé e degli altri uomini che si trovano nella sua stessa situazione nel

freddo e nudo paesaggio del Carso a combattere la 1° guerra mondiale. Per

l'esattezza si trovano a Santa Maria La Longa: località di riposo per i combattenti

nelle retrovie del fronte. Nel testo si assiste a una vera e propria "personificazione"

del paese stesso, che si riflette in lui (e Ungaretti si riflette in quel paese).

Appesantito per la stanchezza e la malinconia, vorrebbe quasi "adagiarsi" come a

"imitare" il paese steso sulla neve: l'obiettivo è quello di dormire, cioè di

dimenticare - anche solo per poche ore - la sofferenza, la brutalità e l'insensatezza

della guerra. Quello che cerca davvero il poeta è la tranquillità, la serenità e la

pace.

Ed essendo questo un desiderio irrealizzabile (perché la guerra non cesserà mai di

esistere) gli viene in soccorso la sua immaginazione: essa si comporta come una

difesa andandogli a creare un mondo tutto suo (puro) dove potersi nascondere,

riposare in silenzio (la neve attutisce i rumori), trovare sollievo e, soprattutto,

ritrovare la speranza, perché nonostante tutto (la paura della morte) sono ancora

vivi.

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STASERA TESTO

Versa, 21 maggio 1916

Balaustrata di brezza per appoggiare stasera

la mia malinconia

PARAFRASI

Una balaustra accarezzata dalla brezza

che in questa sera sorregge

la mia malinconia

ANALISI

Metrica: tre versi in ottonari piani.

Ungaretti è considerato il precursore dell'Ermetismo poiché le sue poesie

sono molto brevi, ridotte all'essenziale ed ermetiche (cioè chiuse e di difficile

comprensione) esattamente come quelle degli ermetici.

Nelle poesie si tende a sottovalutare l'importanza del titolo, ma sarebbe un

errore gravissimo farlo anche in questa. Il titolo "stasera" serve a dare

una collocazione temporale: non si parla del passato e nemmeno del futuro,

bensì del presente, di questa specifica sera.

FIGURE RETORICHE

Enjambements = vv. 1-2; 2-3.

Analogia = "Balaustrata di brezza" (v. 1).

Allitterazione della "b" e della "r" = "balaustrata" e "brezza" (v. 1).

Allitterazione della "m" = "mia" e "malinconia" (v. 3)

Metonimia = "per appoggiare...la mia malinconia" (v. 2).

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COMMENTO

In questa poesia Ungaretti cerca un sostegno per la sua malinconia, che è

diventata così pesante al punto da non riuscire più a sorreggerla da solo, e si

affida a una balaustrata (un parapetto) fatta di brezza leggera. La sensazione

è quella che la sua malinconia sia lì ferma ad ammirare un paesaggio statico,

nonché la propria condizione di vita. La scelta del titolo "stasera" conferma

quanto detto: non fa riferimento al futuro e nemmeno al passato, ma a quello

che sta accadendo in quella determinata sera, come se il tempo si fosse

bloccato. La scelta della brezza (vento debole locale di breve durata), che

stimola le emozioni, può essere dovuta al fatto che il poeta desidera essere

confortato dagli elementi naturali, che si trovi nelle vicinanze del mare (brezza

marina) o che la balaustra esista solo nella sua immaginazione.

Non bisogna dimenticare che ci troviamo in piena prima guerra mondiale, che

il poeta ha vissuto al fronte. Egli potrebbe anche essere al fronte e non aver

alcun appoggio e allora la brezza che in quel momento lo sfiora appena, per

via della malinconia, gli dà quella sensazione di essere sorretto da una

balaustra. Da notare che la poesia descrive il contatto fra due cose astratte,

la brezza e la malinconia, che per la loro condizione astratta non potrebbero

mai e poi mai congiungersi come invece sostiene il testo della poesia. Sta

usando la tecnica dell'ermetismo: ovvero quel procedimento per il quale ci si

serve di un oggetto qualsiasi per rappresentare qualcos'altro. Da ciò

possiamo dedurre che la malinconia e il poeta sono un tutt'uno: egli si illude

di poter addossare almeno una parte del peso della malinconia sulla

balaustra ma, quest'ultima non è reale (perché è di brezza), e anche se lo

fosse la malinconia non potrebbe posarsi ugualmente su di essa (perché è

astratta); quindi la malinconia non è scaturita dalla brezza ma è sempre stata

dentro il poeta che continua a sostenerne tutto il peso.

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IN DORMIVEGLIA

TESTO

Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916

Assisto la notte violentata

L’aria e` crivellata

come una trina

dalle schioppettate

degli uomini

ritratti

nelle trincee

come le lumache nel loro guscio

Mi pare

che un affannato

nugolo di scalpellini

batta il lastricato

di pietra di lava

delle mie strade

ed io l’ascolti

non vedendo

in dormiveglia

PARAFRASI

:

Assisto la notte profanata dagli spari

L’aria è trapassata

Come un pizzo

Dagli spari

Degli uomini in trincea

Come le lumache

Sembra che molti spari

Battano la pietra di lava

Delle strade

E io lo ascolto e basta

Dato che sono in dormiveglia

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COMMENTO

La poesia è composta da versi liberi.

Manca, come è consuetudine di Ungaretti, la punteggiatura. L’aspetto fonico è molto interessante, in quanto il recupero memoriale scatta proprio a livello acustico: si ripetono ossessivamente i suoni "duri" : assisTo, noTTe, vilenTaTa, cRivellaTa, Trina, schioppeTTaTe, riTRaTTi, TRincee, affannaTo, baTTa, lasTRicaTo, pieTRa, sTRade, ascolTi.

I soldati nelle trincee sono contratti, in posizione difensiva estrema, accovacciati e pur vigili, come a volte succede per le lumache, che tirano fuori la testa se tutto intorno è tranquillo, ma, come avvertono un pericolo, si ritraggono nel loro guscio e non escono se non dopo un po' di tempo. Il primo verso è un ipallage, perché non è la notte ad essere violentata, ma piuttosto i soldati in trincea: violentati nella loro dignità di persone, nella loro libertà, nelle loro individualità a causa della guerra.

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MATTINA

TESTO

Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917

M’illumino

d’immenso

PARAFRASI

La luce del mattino dopo la notte

rende l'immensità del creato,

che mi pervade e riempie di gioia.

Analisi retorico-stilistica

Sono due versi ternari che vedono una prevalenza del suono /m/, che, appunto,

nell’essere il primo suono emesso dai bambini, si avvicina molto all’incomunicabilità.

«M’illumino / d’immenso» è una sinestesia perché immensità e luminosità si

percepiscono diversamente.

Figure retoriche

Sinestesia = "M'illumino d'immenso" (vv. 1-2).

La lirica è costruita su un'unica sinestesia analogica, che mette in connessione campi

diversi della percezione: la vista e il tatto, perché la luce oltre a vedersi è anche calore; e

l'olfatto, perché è apertura all'aria fresca del mattino (la lirica si intitola Mattina); e l'udito,

perché l'immensità è eco e silenzio. L'altra connessione è tutta interiore, in quanto

l'immensità è il luogo dello spirito in cui si acquietano tutti i desideri di infinito e di eterno

dell'uomo.

L’analogia pone quindi in stretta relazione il finito, rappresentato dal poeta nella sua

pochezza d'uomo, e l'infinito, rappresentato dall'immensità in cui terra, cielo e mare si

fondono e confondono, così come il pronome "mi" che richiama l'individualità del poeta e

della sua personale esperienza, attraverso l'elisione, è fuso e confuso con la luce che lo

proietta nella dimensione dell'assoluto.

Spesso quando si va ad analizzare questa poesia si sottovaluta il titolo che, però, è

assolutamente fondamentale ed è parte integrante della lirica.

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Il titolo "Mattina", o meglio il mattino, è il momento in cui la luce nascente vince le tenebre

della notte, e rivela le cose prima adombrate dal buio. Quella luce che svela tutto, dà il

senso dell'immensità.

Metaforicamente, può essere Mattino, anche la folgorazione del poeta che scopre la sua

ispirazione che lo porta alla ricerca di parole chiave che, nella loro brevità esprimano tutti i

significati possibili (immensi, quindi, perché inesauribili).

Il messaggio che la lirica vuol comunicare è la fusione di due elementi contrapposti:

- da una parte il singolo, ciò che è finito (l'autore);

- dall'altra l'immenso, ciò che respira in una dimensione d'assolutezza.

Straordinaria per concisione, essenzialità, potenza evocativa ed espressiva, questa

brevissima lirica è composta da due soli versi-parola, dal momento che le elisioni fondono

nella pronuncia il pronome e la preposizione in un'unica emissione di fiato con il verbo e il

sostantivo.

COMMENTO

Scritto nel 1917, il brevissimo testo è confluito nell'Allegria con il titolo definitivo di Mattina,

mentre in alcune stampe precedenti aveva quello di Cielo e Mare. Questo primitivo titolo

aiuta ad attribuire il giusto significato al testo: Ungaretti si alza di mattina, in riva al mare;

qui il poeta s'illumina perché assiste al sorgere del sole, la cui luce si riflette sul mare.

L'idea di immenso scaturisce invece dall'impressione che cielo e mare, nella luce del

mattino, si fondono in un'unica, infinita chiarita.

è l’esempio più tipico dell'Ermetismo e con questa poesia Ungaretti ha voluto esprimere

tutto l'entusiasmo del nuovo giorno, la sua gioia nel vedere il mondo al mattino. Ciò che

produce la sensazione di magia non può essere spiegato, altrimenti perderebbe il suo

fascino e secondo molti esperti in letteratura questa poesia è più vera e piena di significati

che alcuni romanzi. Bisogna tenere conto che a quanto pare l'ispirazione per questa

poesia Ungaretti l'ebbe durante il servizio militare, quando un mattino scorse dalla sua

postazione nei pressi di Trieste in montagna il sole riflesso nel mare adriatico che diventa

così un annuncio di speranza, e volge il pensiero dalle brutture della guerra alle bellezze

del creato. Egli ha voluto così esprimere con due parole la gioia di immergersi nella

bellezza del creato dopo il frangente doloroso della guerra, quando tornò dal fronte

con i suoi amici martoriati.

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SERENO

Testo

Dopo tanta nebbia a una

a una

si svelano

le stelle

Respiro

il fresco

che mi lascia

il colore del cielo

Mi riconosco

immagine

passeggera

Presa in un giro

Immortale.

PARAFRASI

Dopo un lungo periodo di nebbia

un po' alla volta

si rivedono le stelle

Respiro la frescura

che proviene direttamente dal cielo

Mi rendo conto di essere

un individuo di passaggio

Nel ritmo immortale

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Metrica: La lunghezza dei versi è varia; questi sono raggruppati in strofe. I versi sono

liberi.

La punteggiatura è completamente assente e le parole usate utilizzano un linguaggio

semplice.

Il titolo della poesia "Sereno" viene usato sia per indicare un cielo stellato privo di nubi e

di nebbia (un cielo sereno), sia per indicare lo stato di assoluta tranquillità interiore, senza

turbamenti o preoccupazioni (un animo sereno).

FIGURE RETORICHE

Enambements = vv. 1-2; 3-4; 5-6; 7-8; 9-10; 12-13; 14-15.

Antitesi = "passeggera" e "immortale" (v.13 e v.15)

COMMENTO

La poesia "Sereno" è stata scritta nel mese di luglio 1918, nel pieno della stagione estiva, ma soprattutto a pochi mesi dalla fine della Grande Guerra. In estate il cielo è solitamente limpido, privo di nuvole e di nebbia, che avrebbero impedito la visione del cielo stellato. Il poeta dice che le stelle appaiono una alla volta come se stesse ripensando all'inverno, periodo nel quale ogni volta che scrutava il cielo non riusciva a scorgere nessuna stella. Man mano che i mesi trascorrevano, vedeva apparire ogni sera sempre più stelle in cielo, che hanno raggiunto il numero più alto proprio nel mese di luglio. Questo suo osservare le stelle può essere visto come un tentativo di Ungaretti di congiungersi con la natura (anche perché è cresciuto in Alessandria, un paese esotico), e approfitta della fine della guerra per respirare la frescura del cielo e riempirsi gli occhi di impressioni, di immagini e sentimenti che non provava più da molto tempo. La guerra di trincea, quella combattuta a poche centinaia, a volte poche decine di metri di distanza, rintanati dentro camminamenti scavati per decine di chilometri, il tutto per conquistare pochi metri di terreno che poi venivano regolarmente persi, gli aveva negato tutte queste emozioni, mostrandogli ritratti di immensa crudeltà e brutalità. Ne sono testimonianza la poesia Veglia in cui si trova buttato vicino a un compagno morto sotto il bagliore della luna piena, la poesia San Martino del Carso che parla di morte e distruzione, oppure la poesia Sono una creaturache trasmette così tanta sofferenza che si sono esaurite perfino le lacrime per piangere. Tutti questi ricordi sono i "doni" che la guerra gli ha fatto, e che lui non ha potuto rifiutare, portando con sé per sempre quello smisurato bagaglio. Ma dopo tante indicibili brutalità, in lui torna il desiderio di riscoprire la natura, di sentirsi legato ad essa. Nella guerra, l'uomo sente la presenza costante della morte, e per questo motivo si attacca disperatamente a tutto ciò che possa rappresentare vita, come la natura stessa. Tuttavia, attraverso i versi finali, ci tiene a precisare che è consapevole della limitatezza della vita umana, che non è altro che un qualcosa di passaggio all'interno di un progetto molto più grande.

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LE POESIE DELLA GUERRA

VEGLIA

Testo della poesia

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

1. Un’intera nottata 2. buttato vicino 3. a un compagno 4. massacrato 5. con la sua bocca 6. digrignata 7. volta al plenilunio 8. con la congestione 9. delle sue mani 10. penetrata 11. nel mio silenzio 12. ho scritto 13. lettere piene d’amore

14. Non sono mai stato 15. tanto 16. attaccato alla vita

Parafrasi

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

1. Un’intera nottata 2. sdraiato accanto 3. ad un compagno 4. massacrato 5. con la bocca 6. contratta (con i denti in mostra) 7. rivolta verso la luna piena 8. con le sue mani congestionate (quindi gonfie e livide) 10. penetrate 11. nel mio silenzio (nel profondo, nell’intimo del poeta) 12. ho scritto 13. lettere piene d’amore (alla morte il poeta oppone la vita “della scrittura”).

14. Non sono mai stato 15. tanto 16. attaccato alla vita

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Parafrasi discorsiva

Un’intera nottata sdraiato accanto ad un compagno massacrato con la bocca contratta, (con i denti in mostra) rivolta verso la luna piena, con le sue mani congestionate (quindi gonfie e livide) penetrate nel mio silenzio (nel profondo, nell’intimo del poeta) ho scritto lettere piene d’amore (alla morte il poeta oppone la vita “della scrittura”).

Non sono mai stato tanto attaccato alla vita

Figure Retoriche

• Allitterazioni vv.1-2: “Un’intera nottata/buttato vicino”; v. 13 “lettere piene d’amore”;vv. 14-15-16: “Non sono mai stato/tanto/ attaccato alla vita”

• Metafore vv. 8-11: “con la congestione/delle sue mani/penetrata/nel mio silenzio”

• Metrica:

• Versi liberi. Si ritrovano i modi dell’espressionismo nell’estrema semplicità del linguaggio e nella crudezza delle immagini. Il ritmo è lento con pause determinanti per isolare le singole immagini e mettere in rilievo il significato dei vocaboli più angoscianti, evidenziando la disumanità della situazione

Commento

Veglia viene composta da Ungaretti il 23 dicembre 1915 ed entra a far parte della sezione Il Porto Sepolto dell’opera L’Allegria (che esce nell’edizione definitiva il 1931).

Il componimento, come d’altronde tutta la raccolta, reca testimonianza della difficile esperienza del primo conflitto mondiale, combattuto tra il 1914 e il 1918.

Il poeta è chiamato a confrontarsi in maniera diretta con la morte del compagno. Un’immagine forte rimarcata dall’ossessiva scansione ritmica conferita dalla ripetizione della doppia “t”, che ci trasporta verso il fulcro retorico dell’intero componimento. Dal verso 8 fino al verso 11, infatti, ha inizio una metafora straziante, in cui la corporalità del compagno morto “penetra” nell’interiorità del poeta. Ma quest’esperienza angosciante sfocia, per un paradosso simile a quello che caratterizza il titolo dell’intera raccolta, in un contrario pensiero vitale. Il ritmo più lento dall’accentazione dilatata che ha inizio dal verso 11, ci trasporta sul finale delle “lettere piene d’amore” e dell’attaccamento alla vita che solo il dolore più estremo, come la visione d’un morto ucciso nella realtà di guerra, può suscitare.

Nella poesia Veglia, si notino, a questo proposito, i brevissimi versi costituiti dai soli participi passati: “massacrato”, “digrignata”, “penetrata”. Parole dalla fortissima intensità semantica a cui viene lasciato enorme spazio e visibilità.

La contrapposizione vita/morte costituisce il fulcro della lirica e sullo sfondo permane la denuncia dell’assurdità delle guerre, di ogni guerra.

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FRATELLI

Testo della poesia

Mariano, il 15 luglio 1916

1. Di che reggimento siete 2. fratelli?

3. Parola tremante 4. nella notte

5. Foglia appena nata

6. Nell’aria spasimante 7. involontaria rivolta 8. dell’uomo presente alla sua 9. fragilità

10. Fratelli

Parafrasi

Mariano, il 15 luglio 1916

1. A quale reggimento appartenete 2. fratelli?

3. La parola fratelli trema 4. nella notte

5. Come una foglia appena nata

6. Nell’aria della notte, lacerata da scoppi e lamenti, 7. c’è un’involontaria rivolta 8. dell’uomo, consapevole della propria 9. fragilità

10. Fratelli

Parafrasi discorsiva

Fratelli, a quale reggimento appartenete? La parola fratelli trema nella notte, come una foglia appena nata.

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Nell’aria della notte, lacerata da scoppi e lamenti, c’è un’involontaria rivolta dell’uomo, consapevole della propria fragilità.

Figure Retoriche

• Analogie vv. 3-4: “Parola tremante/ nella notte”; v. 5: “Foglia appena nata”; vv. 6-9;

• Enjambements vv. 1-2; vv. 3-4; vv. 6-7; vv. 7-8; vv. 8-9;

• Iperbato “vv. 1-2: Di che reggimento siete/ fratelli?”;

• Metafore v. 6: aria spasimante”.

Metrica:

Cinque strofe di versi liberi. Non essendovi che un solo verbo (siete al v.1) la centralità viene assunta da sostantivi e aggettivi che si affiancano l’uno all’altro. Dal punto di vista stilistico, Ungaretti rende il linguaggio estremamente suggestivo attraverso l’uso di termini essenziali ed immediati. Poche parole scarne e crude e un termine che scandisce tutta la lirica: fratelli, ripetuta all’inizio e alla fine della lirica. Spazi bianchi, scomposizione dei versi e pause servono a dare rilievo al valore delle poche e scarne parole utilizzate

Commento

La poesia Fratelli, come ci comunica il poeta stesso, viene composta durante la Prima Guerra Mondiale, il 15 luglio del 1916, e si apre con una domanda che viene rivolta ai soldati che, nell’oscurità della notte, non sono immediatamente riconoscibili al poeta e ai suoi commilitoni, i quali desiderano conoscere il reggimento d’appartenenza dei militari che si ritrovano di fronte. Il punto interrogativo del verso 2 è, come spesso accade in questa fase della poetica ungarettiana, l’unico segno d’interpunzione presente nella lirica.

Compare subito la parola chiave della poesia che coincide col titolo stesso ed assume particolare rilevanza anche perché viene posta in fondo alla frase, in un verso isolato, attraverso l’artificio retorico dell’iperbato: si tratta del termine fratelli. Il vocabolo in questione assume una connotazione diversa dal solito e rappresenta un segno di speranza e di nuovo vigore. Anche in questa lirica, come in Soldati, Ungaretti ricorre all’uso dell’analogia con l’immagine della foglia appena nata che è accompagnata dal sentimento di fratellanza che s’istituisce fra i soldati che sono accomunati dalla paura di perdere la vita.

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Ancora nel componimento Fratelli, come in Soldati, si parla della fragilità umana, della precarietà della vita e del timore primordiale, dovuto all’aleggiare costante della morte. Tuttavia, con l’appellativo di fratelli, i soldati riconquistano la propria umanità e l’immagine della foglia diventa un elemento di consolazione e un tiepido affacciarsi della vigoria e della positività, nonostante l’esperienza traumatica della guerra.

La poesia verte su uno dei temi fondamentali del primo Ungaretti: la "fraternità degli uomini nella sofferenza", nel caso specifico è la fraterna solidarietà che lega i soldati nella condizione di fragilità imposta dalla guerra. Gli uomini legati dal comune destino di morte si uniscono nel comune sentimento di precarietà non solo legato alla situazione contingente ma riferito anche alla condizione umana nel suo complesso. La solidarietà rappresenta l’istintiva reazione (involontaria rivolta) alla constatazione della precarietà umana.

I soldati, avendo sempre davanti ai propri occhi immagini di morte, sono ben consapevoli della tragedia alla quale stanno prendendo parte e di quanto siano fragili, tuttavia riescono anche a comprendere che la caducità è una caratteristica peculiare dell’intera condizione umana e accomuna tutti gli uomini in un sentimento di dolorosa fraternità. Gli uomini prendono coscienza di ciò e desiderano ribellarsi all’orrore della guerra attraverso un’”involontaria rivolta” che possa permettere loro di tornare gradualmente alla vita.

Colpisce come il componimento termini con la parola-chiave Fratelli, posta nuovamente in posizione isolata che crea una circolarità col titolo che, come in altre poesie di Ungaretti, è parte integrante della lirica.

Il poeta, che ha vissuto in prima persona la terribile esperienza dei due conflitti mondiali, esprime in versi ciò che sente, senza usare immagini violente, ma ricorrendo ai propri moti dell’animo e la drammaticità dell’esperienza viene accentuata dall’utilizzo dei cosiddetti versicoli che si stagliano sulla pagina bianca e rivelano tutta loro potenza.

Ungaretti, infatti, è costantemente alla ricerca della parola essenziale, nuda che, liberata da ogni ornamento, riesce finalmente a restituire il proprio senso profondo.

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SAN MARTINO DEL CARSO

Testo della poesia

1. Di queste case 2. non è rimasto 3. che qualche 4. brandello di muro

5. Di tanti 6. che mi corrispondevano 7. non è rimasto 8. neppure tanto

9. Ma nel cuore 10. nessuna croce manca

11. È il mio cuore 12. il paese più straziato.

Parafrasi

1. Di queste case 2. Sono rimasti 3. soltanto alcuni 4. pezzi di muro

5. Dei tanti 6. che contraccambiavano il mio affetto 7. non è rimasto 8. neppure questo

9. Ma nel mio cuore 10. non manca nessun ricordo:

11. È proprio il mio cuore 12. il posto più lacerato e addolorato.

Parafrasi discorsiva

Sono rimasti soltanto alcuni pezzi di muro di queste case; non è rimasto neppure questo dei tanti che contraccambiavano il mio affetto. Ma nel mio cuore non manca nessun ricordo: è proprio il mio cuore il posto più lacerato e addolorato.

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Figure Retoriche

• Metafore “qualche brandello di muro” (v. 4); “nessuna croce manca” (v. 10);

• Analogia “è il mio cuore il paese più straziato” (v. 12); • Parallelismi “Di queste case / non è rimasto” (vv. 1-2) – “Di tanti / … / non è rimasto” (vv. 5

e 7); “Di tanti” – “neppure tanto” (v. 8); “Ma nel cuore” (v. 9) – “É il mio cuore” (v. 11); • Iterazioni “non è rimasto…non è rimasto” (v. 2 e 7); “tanti…tanto” (v. 5 e 8); • Anafore“di…di” (v. 1 e 5);

• Epifora “cuore…cuore” (v. 9 e 11); • Allitterazione della “a”: “case-rimasto-qualche-tanti-tanto-manca-straziato”; della “r”:

“rimasto-brandello-muro-corrispondevano-neppure-cuore-croce-straziato”; della “c”: “nel cuore nessuna croce manca”;

• Chiasmi “nessuna croce manca / è il mio cuore il paese più straziato”. (vv. 10-11-12)

Metrica: Quattro strofe di versi liberi. I due ultimi distici sono endecasillabi spezzati. Una serie di antitesi contribuiscono all’efficacia emozionale della poesia: i brandelli dei muri e i resti dei compagni (non è rimasto neppure tanto); i tanti amici e il neppure tanto; il cuore fitto di croci in opposizione alla desolazione del paesaggio. Sono frequenti le espressioni negative (non è rimasto, nessuna, neppure, manca). Assente la punteggiatura.

Commento

San Martino del Carso fa parte della sezione Il Porto sepolto della raccolta l’Allegria. La poesia, una delle più famose dell’intera raccolta, ci presenta immagini belliche molto crude: le case ridotte a brandelli, soldati uccisi dei quali non è rimasto nulla. Il paesaggio è umanizzato ed appare massacrato così come sono stati massacrati i soldati. L’immagine di un paese distrutto dalla guerra, San Martino del Carso, viene interiorizzata ed è per il poeta l’equivalente del suo cuore, distrutto dalla dolorosa perdita di tanti amici cari. Ancora una volta il poeta trova nelle immagini esterne una corrispondenza con quanto egli prova nel suo animo. La lirica è di un’estrema essenzialità. Eliminando ogni descrizione e ogni effusione sentimentale Ungaretti riesce a rendere con il minimo di parole la sua pena e quella di tutto un paese.

Tutti i componimenti de L’Allegria di Ungaretti recano in calce l’indicazione del luogo e della data di composizione, conferendo alla raccolta il carattere di un vero e proprio diario di guerra. Infatti, al centro sta l’esperienza del poeta nella Grande Guerra, combattuta come volontario in trincea. In questa raccolta di poesie, appare molto forte la volontà di rinascere dopo la tremenda esperienza della guerra, attraverso la poesia che è la sola forza in grado di riportare un po’ di dignità ed umanità in un mondo devastato.

In particolare, San Martino del Carso tratta degli effetti devastanti della guerra, che non risparmia nulla, dello strazio che la morte porta nel mondo e nel cuore del poeta. All’inizio prevale l’immagine della distruzione del paese, ormai fatto solo di macerie di rovine; poi, il poeta si focalizza maggiormente sul proprio stato d’animo: Ungaretti, come

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gli è tipico, trova una forte analogia tra le immagini del mondo esterno e il sentimento interiore del suo cuore. La condizione del paese devastato è, infatti, del tutto analoga a quella del cuore del poeta, come confermano i due versi finali.

La struttura del componimento è circolare: l’immagine finale del cuore straziato richiama quella iniziale del “brandello di muro”, così come si richiamano a vicenda le “case” del primo verso e il “paese” dell’ultimo.

Il ricordo degli amici scomparsi è presente e vivo nel cuore del poeta e vi rimarrà per sempre: le croci non evocano solo l’immagine di un cimitero, ma anche quella della passione di Cristo. È questa la cosa importante: ciò che rimane in mezzo a tanta distruzione senza speranza è proprio il cuore del poeta e il suo dolore, che ha il potere di redimere e di riportare quell’umanità che sembrava perduta, di ricostruire nel cuore addirittura un “paese”, quel paese che sembrava irrimediabilmente distrutto. Il fatto che degli amici deceduti non sia rimasto nulla, neanche un “brandello”, è indice di una devastazione ancor più totale e profonda di quella del paese.

La caratteristica formalmente più appariscente in questa lirica di Ungaretti è l’insistito, quasi ossessivo, ricorso all’iterazione sia a livello lessicale che sintattico e fonico. Il linguaggio è semplice e piano. Risulta straniante l’impiego del sostantivo “brandello”, solitamente da collegare alla carne umana o a pezzi di stoffa, riferito, in questo caso, alla parola “muro”. Il “ma” con cui si apre la terza strofa è una congiunzione avversativa molto forte e serve a sottolineare l’importanza particolare del ricordo.

La lirica è essenziale e priva di punteggiatura, per isolare ed esaltare le singole parole; si basa tutta su una serie di contrapposizioni: di San Martino resta qualche brandello di muro, dei morti cari allo scrittore non resta nulla; San Martino è un paese straziato, più straziato è il cuore del poeta.

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SOLDATI

Testo della poesia

Bosco di Courton, luglio 1918

1. Si sta come 2. d’autunno 3. sugli alberi 4. le foglie

Parafrasi

Bosco di Courton, luglio 1918

1. Si sta (=i soldati stanno) come 2. in autunno 3. sugli alberi 4. le foglie

Parafrasi discorsiva

I soldati sono come le foglie in autunno.

Figure Retoriche

• Analogia vv. 1-2-3-4: Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie. • Enjambements vv. 1-2: Si sta come/ d’autunno.

• Similitudini vv. 1-2-3-4: Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie.

Metrica:

Quattro versi liberi: unendo i versi 1-2 e 3-4 si ottengono due perfetti settenari. L’assenza della punteggiatura, come in molte altre liriche di Ungaretti, accentua la capacità espressiva delle parole

Commento

La guerra nel Carso è fonte di grande ispirazione per Ungaretti, il quale scrive in trincea diverse poesie, prima apparse sulla rivista «Lacerba» nel 1915 e poi pubblicate, nel dicembre 1916, nella raccolta Il porto sepolto: il diario dal fronte. A queste poesie se ne aggiungono altre, confluite prima nella raccolta Allegria di naufragi del 1919, poi nell’edizione dell’Allegria del 1931 e, con altre varianti, in quella definitiva del 1942.

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Il titolo Il porto sepolto nasce da un ricordo dell’infanzia del poeta vissuta ad Alessandra d’Egitto: la notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia del deserto, di un’era anteriore alla fondazione della città e di cui si è persa la memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche modo, simbolo del mistero dell’esistenza. La vita, infatti, è un mistero così difficile da decodificare che, anche in mezzo alla morte e alla distruzione portata dalla guerra può nascere un’illogica vigoria, dalla quale deriva il titolo definitivo Allegria. Nonostante la maggior parte delle liriche contenute nella raccolta facciano riferimento alla guerra e alla morte, il titolo Allegria è giustificato, dunque, dal fatto che il sentimento d’allegria scaturisce nell’attimo in cui l’uomo acquisisce la consapevolezza di essere riuscito a scampare alla morte.

Originariamente, la lirica Soldati (che appartiene alla sezione dell’Allegria intitolata Girovago) aveva per titolo il sostantivo Militari che, come quello poi scelto definitivamente, risultava essere parte integrante del testo e un ausilio indispensabile per comprendere il significato stesso della poesia.

Il poeta “racconta” la condizione dei soldati, paragonandoli alle foglie degli alberi in autunno. Le parole-chiave della lirica sono proprio «autunno» (v. 2) e «foglie» (v.4). L’analogia nasce dalla somiglianza che s’instaura fra la fragilità delle foglie d’autunno, destinate inesorabilmente a cadere e ad essere spazzate via dal vento, e la precarietà della condizione dei soldati al fronte che, in qualsiasi momento, possono cadere a terra per un colpo di arma da fuoco. Il poeta ricorre spesso nelle sue liriche all’artificio retorico dell’analogia per sovrapporre in maniera immediata immagini che sono in apparenza molto distanti fra loro, fondendole senza ricorrere all’utilizzo di passaggi logici espliciti.

Ungaretti racconta con pochissime parole, ma in maniera molto esplicita l’incertezza e la precarietà della vita dei soldati al fronte. Il poeta associa, dunque, la vita umana e le foglie, come avevano già fatto in passato autori come Omero (nell’Iliade) e Virgilio e come si era già verificato nella Bibbia.

La condizione dei soldati al fronte è particolarmente difficile, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico. Sono uomini fragili (come le foglie) perché sono lontani dai propri affetti più cari e costretti a rischiare la propria vita, oltre che a vedere ogni giorno immagini funeree negli occhi dei propri compagni. Tuttavia, Ungaretti sembra dirci che non è necessario essere soldati per vivere una situazione di precarietà: la riflessione pare universalizzarsi perché i soldati potrebbero essere tutti gli uomini e la guerra, in un certo qual senso, potrebbe rappresentare la vita stessa

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che è assurda, come ogni conflitto, perché contrassegnata dalla consapevolezza della finitudine. A riprova di ciò, notiamo l’utilizzo della forma impersonale «Si sta» (v. 1) che rende la situazione universale, in quanto tutti abbiamo un equilibrio precario e su ognuno di noi aleggia la presenza della morte.

La precarietà è ben esplicitata attraverso il ricorso all’enjambement dei primi due versi che crea un effetto di sospensione e trasmette un’immagine che si discosta molto dalla stabilità. Ungaretti che, come ci suggerisce all’inizio della lirica, sta svolgendo il suo ruolo come soldato in trincea nel bosco di Courton (in Francia) vuole raccontare, dunque, al lettore la tragedia della guerra e la precarietà della stessa condizione umana.

Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere con estrema efficacia la condizione del soldato che da un momento all’altro può essere stroncata dalla guerra così come una foglia in autunno in procinto di staccarsi dal ramo: basta un colpo di vento per far morire la foglia, così come basta un colpo di fucile a far cadere il soldato. La fragilità insita sempre nella condizione umana è accentuata dalla contingenza bellica, che rende ancor più precaria l’esistenza dell’uomo.

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SONO UNA CREATURA Testo della poesia

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

1. Come questa pietra 2. del S. Michele 3. così fredda 4. così dura 5. così prosciugata 6. così refrattaria 7. così totalmente 8. disanimata

9. Come questa pietra 10. è il mio pianto 11. che non si vede

12. La morte 13. si sconta 14. vivendo

Parafrasi

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

1. Come questa pietra 2. del San Michele 3. così fredda 4. così dura 5. così arida 6. così insensibile 7. così totalmente 8. priva di vita

9. Come questa pietra 10. è il mio pianto 11. che non si manifesta all’esterno

12. La morte 13. si sconta 14. già durante la vita

Parafrasi discorsiva

Il mio pianto che non si manifesta all’esterno è come questa roccia del San Michele, così fredda, così dura, così arida, così resistente, così totalmente priva di vita. La morte si sconta già durante la vita.

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Figure Retoriche

• Similitudini “Come questa pietra…è il mio pianto” (vv. 1-9);

• Assonananze “pietra-fredda”; “prosciugata-refrattaria-disanimata”; “Michele-totalmente”; • Allitterazioni del gruppo di consonanti “s”, “t” ed “r”: “questa pietra; prosciugata refrattaria”

disaminata; della “p”: “pietra / pianto”

• Epanalessi “Come questa pietra”(v. 1 e 9); • Anafore “così…così”(vv. 3-7);

• Anastrofe “come questa pietra / è il mio pianto” (vv. 9-10); • Ossimoro “la morte si sconta vivendo” (vv. 12-14); • Enjambements “pietra / del San Michele” (vv. 1-2); “totalmente / disanimata” (vv. 7-8);

• Climax “fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata”.

Analisi La forma e lo stile. Sono una creatura si articola in tre brevi strofe di versi liberi. Le prime due sono costruite su un’unica similitudine, caratterizzata dal distanziamento dei due termini di paragone. Il differimento del secondo termine di paragone suscita un senso di attesa, così come accade nella poesia Soldati, ma in questo caso è l’anafora “così” a giocare un ruolo fondamentale: la sua ossessiva ripetizione (ben 5 volte) genera una gradazione di segno negativo (da fredda a disanimata) che appartiene al campo semantico della morte. L’ultima breve strofa ha invece carattere proverbiale-aforistico ed è uno dei più celebri ossimori della poesia ungarettiana, che ancora una volta fa leva sulla contrapposizione vita/morte: la morte / si sconta / vivendo.

I temi

Come Veglia, la poesia tematizza il rapporto tra vita e morte, ma ne rovescia l’esito. Mentre nella prima il contatto con la morte amplifica l’istinto vitale, qui prevale il sentimento di angoscia e di atroce sofferenza che la vita al fronte – e la vita in generale – riserva all’essere umano. La strofa finale, la morte / si sconta / vivendo, suggerisce l’impossibile fuga dal dolore e il lento consumarsi della vita. D’altronde le prime due strofe mostrano la progressiva disumanizzazione dell’uomo che si ritrova ad essere “disanimato” come la pietra del monte San Michele. Se da un lato questo processo ha come esito la lenta adesione dell’uomo alla natura, tema caro a Ungaretti, dall’altro sottolinea la perdita da parte dell’uomo di provare emozioni e sentimenti positivi, generando un effetto contrastante. Allo stesso modo, il pianto del poeta, che per analogia fonosimbolica richiama il canto, l’attività poetica, sembra prosciugarsi: sembra che qui Ungaretti voglia sottintendere l’estrema scarnificazione e frantumazione a cui sottopone la sua lirica

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Commento

Le liriche del Porto sepolto, la prima delle raccolte poi confluite nel 1931 nell’Allegria, sono caratterizzate in particolare dal procedimento dell’analogia, che consente di abbandonare ogni residuo descrittivo o realistico. Il verso tradizionale viene distrutto e la parola assume il significato metafisico di una illuminazione improvvisa e illuminante, grazie agli arditi accostamenti analogici e all’autonomia particolare che assume all’interno di versi brevissimi o costituiti da una sola parola. Il tema principale è il ricordo della guerra, che permette di raggiungere una rinnovata identità.

Tutti i componimenti dell’Allegria recano in calce l’indicazione del luogo e della data di composizione, conferendo alla raccolta il carattere di un vero e proprio diario di guerra. Infatti, al centro sta l’esperienza del poeta nella Grande Guerra, combattuta come volontario in trincea. In questa raccolta di poesie, appare molto forte la volontà di rinascere dopo la tremenda esperienza della guerra, attraverso la poesia che è la sola forza in grado di riportare un po’ di dignità ed umanità in un mondo devastato.

San Michele, come ci ricorda già il titolo, è un monte del Carso, celebre per le sanguinose battaglie della Prima Guerra Mondiale. Il Carso è una terra aspra, pietrosa e arida, che può quindi essere agevolmente paragonata al pianto del poeta che si prosciuga subito: è un dolore interno che logora l’anima, perché non rimangono neanche più lacrime per piangere. La pietrificazione reale corrisponde perfettamente all’inaridimento interiore: il dolore del poeta è così disumano che anche il suo pianto si blocca dentro, non riesce a manifestarsi all’esterno.

Sono una creatura è caratterizzata da brevità, istantaneità, iterazione martellante, spezzato ritmico che isola le parole, e soprattutto dall’analogia, un espediente retorico tipico della poesia simbolista. La brevità mira ad ottenere il massimo di espressività utilizzando meno parole possibili; l’anafora è fondamentale a questo scopo. Come sempre nell’Allegria, la punteggiatura è assente e sostituita dagli spazi bianchi, corrispondenti a pause di silenzio.

Pietra e acqua sono immagini tipiche dell’Allegria, tuttavia qui l’acqua del pianto non ha ancora una valenza purificatrice, è soltanto simbolo di un dolore disumano. La memoria dei caduti di guerra è il punto chiave della poesia ungarettiana. La poesia si conclude con un proverbio, ma si tratta di un proverbio di difficile interpretazione: si può dire che i morti lasciano in coloro che restano in vita un rimpianto, una sorta di senso di colpa, forse in questo senso “la morte si sconta vivendo”. L’ossimoro fa sì che vita e morte si identifichino e il gerundio “vivendo” ne rovescia il rapporto tradizionale, poiché sottolinea la durata nel tempo di una condizione di morte di per sé momentanea: in tal modo, la morte è vista al passato e risulta quasi meno dolorosa della vita stessa.

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ALTRE POESIE

IN MEMORIA (SI CHIAMAVA MOAMMED SCEB)

TESTO 1. Si chiamava 2. Moammed Sceab 3. Discendente 4. di emiri di nomadi 5. suicida 6. perché non aveva più 7. Patria 8. Amò la Francia 9. e mutò nome 10. Fu Marcel 11. ma non era Francese 12. e non sapeva più 13. vivere 14. nella tenda dei suoi 15. dove si ascolta la cantilena 16. del Corano 17. gustando un caffè 18. E non sapeva 19. sciogliere 20. il canto 21. del suo abbandono 22. L’ho accompagnato 23. insieme alla padrona dell’albergo 24. dove abitavamo 25. a Parigi 26. dal numero 5 della rue des Carmes 27. appassito vicolo in discesa. 28. Riposa 29. nel camposanto d’Ivry 30. sobborgo che pare 31. sempre 32. in una giornata 33. di una 34. decomposta fiera 35. E forse io solo 36. so ancora 37. che visse

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PARAFRASI Il suo nome era Moammed Sceab (esule arabo amico d’infanzia di Ungaretti). Discendente di capi mussulmani nomadi (Emiri di nomadi: capi di tribù arabe che vivevano nomadi nel deserto) suicida perché non sopportava più la condizione di esule (non aveva più patria – non era più arabo ma neanche francese). Amava la Francia e cambiò il suo nome (mutò nome: per sentirsi più francese). Si fece chiamare Marcel, ma non era un francese e non era più neppure arabo, non riusciva più a vivere come un arabo nomade, nella tenda, ascoltando il Corano e sorseggiando un caffè (Non…suoi: l’esperienza francese aveva modificato la sua cultura e il suo modo di vivere, rendendolo incapace di adattarsi di nuovo alle consuetudini e alla mentalità della sua gente). E non riusciva a risolvere nella poesia il senso angoscioso dell’abbandono, della mancanza di patria (Sciogliere il canto del suo abbandono: nella poesia avrebbe potuto esprimersi e trovare quindi uno sfogo liberatorio). Ho accompagnato il suo feretro (l’ho accompagnato – per l’ultimo viaggio) insieme alla padrona dell’albergo(l’isolamento e la solitudine dell’amico vengono messi in rilievo da numero esiguo di persone che seguono il funerale) che ci ospitava a Parigi dal numero 5 della Rue des Carmes, del triste vicolo in discesa [il poeta elenca una serie di particolari insignificanti per evidenziare il senso di estraneità che una grande metropoli può far percepire]. Ora egli riposa nel cimitero d’Ivry (grosso sobborgo parigino sulla Senna), sobborgo che appare sempre come in una giornata di festa ormai finita (decomposta fiera – anche in questo caso il poeta vuole trasmettere con annotazioni di cronaca grigia e triste il senso di angoscia e squallore con un ritmo prosastico che non dà alcun spazio alla retorica). Forse solo io so che visse (il poeta si assume il compito di garantire attraverso il ricordo e la sua poesia la sopravvivenza dell’amico).

Analisi e commento:

In memoria è dedicato all’amico Moammed Sceab. L’amicizia risaliva all’adolescenza, Schea e Ungaretti furono compagni di studi ad Alessandria d’Egitto e successivamente emigrarono insieme a Parigi, dove vissero nello stesso albergo. A Parigi Sceab si suicidò, non sopportando più la propria condizione di nomade, privo di patria. Ungaretti ha sempre associato la figura di Sceab alla propria ricerca di identità letteraria. Questa lirica è dominata dal motivo dello sradicamento e della perdita d’identità, percepite anche da Ungaretti nel suo sentirsi estraneo al mondo. Ma il poeta al contrario dell’amico riesce ad esprimere attraverso la sua lirica il senso di lacerazione e di sradicamento ed inoltre attraverso la poesia riesce a far vivere il ricordo dell’amico e

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lasciare una testimonianza che duri nel tempo. Metrica: Otto strofe di versi liberi. I verbi oscillano tra passato e presente, fino ai versi finali dove i due tempi si incontrano nell’opposizione tra il passato della vita conclusa dell’amico e il presente del ricordo. L’uso di parole quotidiane e scarne, il ritmo prosastico, l’assenza di punteggiatura (l’inizio dei vari periodi è segnalato dalla presenza di lettere maiuscole) contribuiscono alla ricercata rinuncia di ogni retorica. I versi brevi o brevissimi contribuiscono a dare il massimo risalto alle singole parole.

È questa una poesia fortemente autobiografica, come tutta la produzione del poeta, che identificava il proprio compito nello "scrivere una bella biografia", cioè sapere esprimere attraverso la poesia una vita pienamente vissuta. Moammed Sceab è un esule e immigrato in un Paese straniero, a cui tenta con tutte le sue forze di adattarsi, cambiando anche il nome e perdendo così la sua identità. Questa perdita segna profondamente la sua figura, sospesa tra le sue tradizioni natie e il nuovo mondo in cui si trova a vivere, che non riesce a interiorizzare. Moammed è l'alter ego, il doppio di Ungaretti, ma ciò che differenzia il poeta dall'amico è il canto, è la possibilità di esprime questa crisi d'identità attraverso la poesia. In questo componimento Ungaretti vuole ricordare il suo amico Moammed Sceab che nel 1913 si suicidò a Parigi; nella capitale francese il poeta studiò e con una precisa collocazione geografica ricorda dove abitava l’amico. Il componimento può essere suddiviso in due parti:

• nella prima: l’incipit è una breve presentazione delle generalità del compagno e delle origini probabilmente africane e di certo islamico. La terza strofa coincide con la descrizione della volontà di Moammed di riconoscersi in una patria, tanto che cambiò il suo nome in Marcel mutando così le proprie tradizioni; la condizione dell’amico è definita da una serie di formule negative che rimarcano l’incapacità di integrarsi.

• nella seconda: Ungaretti rievoca la triste scena del funerale in un piccolo paesaggio urbano; l’estrema precisione geografica stride con la vaghezza della descrizione delle sue origini, ma fondamentali sono le ultime strofe dove il poeta crea uno scambio tra natura e vita umana. Con l’ultima

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strofa invece Ungaretti affida alla poesia la funzione di eternare e ricordare per sempre il suo amico Moammed.

Tempi verbali. La prima parte del componimento viene scritta utilizzando il tempo passato, proseguendo invece con la rievocazione del funerale si ha un progressivo ritorno al presente. Caratteristiche. E’ caratterizzato da versi brevi, scarnificazione della parola, isolamento ed estrema lentezza che ricordano una cerimonia funebre. Temi. Seppur in questo testo non siano presenti temi quali la guerra, ricorrono comunque alcuni tratti dell’Allegria (la raccolta di opere di Ungaretti):

• il senso di estraneità;

• lo spaesamento;

• la perdita di identità.

Allo stesso tempo con questa poesia Ungaretti volle rappresentare una situazione reale: il difficile incontro-scontro di civiltà e tradizioni.

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LA MADRE

Testo della poesia

1. E il cuore quando d’un ultimo battito 2. avrà fatto cadere il muro d’ombra, 3. per condurmi, Madre, sino al Signore, 4. come una volta mi darai la mano.

5. In ginocchio, decisa 6. sarai una statua davanti all’Eterno, 7. come già ti vedeva 8. quando eri ancora in vita.

9. Alzerai tremante le vecchie braccia, 10. come quando spirasti 11. dicendo: Mio Dio, eccomi.

12. E solo quando m’avrà perdonato, 13. ti verrà desiderio di guardarmi.

14. Ricorderai d’avermi atteso tanto, 15. e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Parafrasi

1. E quando il mio cuore con un il suo ultimo battito 2. avrà fatto cadere il muro misterioso della morte 3. per condurmi, o madre, al cospetto del Signore, 4. tu mi darai la mano come al tempo dell’infanzia.

5. In ginocchio, decisa, 6. tu resterai immobile come una statua ad attendere il giudizio dell’Eterno, 7. nello stesso atteggiamento in cui ti vedevo 8. quando eri ancora in vita.

9. Solleverai le tue braccia anziane tremanti, 10. come quando moristi 11. dicendo: “Eccomi, mio Dio”.

12. E solo quando (Dio) m’avrà perdonato, 13. ti verrà il desiderio di guardarmi.

14. Ti ricorderai di avermi atteso a lungo, 15. e avrai negli occhi un sospiro di serenità.

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Parafrasi discorsiva

E quando il mio cuore con il suo ultimo battito avrà fatto cadere il muro misterioso della morte per condurmi, o madre, al cospetto del Signore, tu mi darai la mano come al tempo dell’infanzia. In ginocchio, decisa, tu resterai immobile come una statua ad attendere il giudizio dell’Eterno, nello stesso atteggiamento in cui ti vedevo quando eri ancora in vita. Solleverai le tue braccia anziane tremanti, come quando moristi dicendo: “Eccomi, mio Dio”. E solo quando (Dio) m’avrà perdonato, ti verrà il desiderio di guardarmi. Ti ricorderai di avermi atteso a lungo, e avrai negli occhi un sospiro di serenità.

Figure Retoriche

• Analogia v. 2: “avrà fatto cadere il muro d’ombra”; • Anastrofe v. 1-2: “E il cuore quando d’un ultimo battito/ avrà fatto cadere il muro d’ombra”;

v. 4: “come una volta mi darai la mano”; • Metafore v. 6: “sarai una statua davanti all’Eterno”;

• Sinestesia v. 15: “e avrai negli occhi un rapido sospiro”.

Metrica: Il componimento è composto da cinque strofe di endecasillabi e settenari alternati liberamente (due quartine, una terzina e due distici). La costruzione sintattica è più complessa rispetto alla produzione poetica precedente, i versi sono più ermetici con analogie più oscure

Commento

La lirica La madre appartiene alla raccolta Sentimento del tempo, uscita per la prima volta nel 1933 e comprendente poesie scritte a partire dagli anni venti. La raccolta si concentra soprattutto sul tema dei paesaggi romani e laziali, che prendono il posto dei paesaggi parigini e di quelli di trincea. Il tema della guerra lascia ora spazio a riflessioni di carattere più generale sullo scorrere del tempo, sull’attesa della morte, sulla solitudine dell’uomo di fronte al dolore. Dal punto di vista metrico, il poeta ritorna al verso e alla sintassi tradizionale – dopo la frantumazione ritmica in particolare dell’Allegria, utilizzando l’endecasillabo e il settenario.

Cambia la stessa impostazione delle liriche che non sono più il frutto di illuminazioni improvvise, ma il risultato di una riflessione ben più profonda e di una ricerca del senso stesso dell’esistenza, nascosto dietro il muro d’ombra (v. 2) costituito dalle effimere apparenze del mondo.

Ungaretti scrive La madre nel 1930 in occasione della morte della madre, due anni dopo la sua conversione e il suo ritorno alla fede cristiana. Il poeta immagina il momento in cui, dopo che il suo cuore avrà smesso di battere facendo cadere l’ostacolo terreno (muro d’ombra) che impedisce agli esseri umani di vedere l’aldilà, egli si ritroverà al cospetto del Signore.

In quel momento rivedrà la madre che gli darà la mano come al tempo dell’infanzia, e sarà lì in ginocchio, immobile, in attesa del giudizio divino, mantenendo lo stesso atteggiamento che aveva quando era ancora in vita e si raccoglieva in preghiera. Sua

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madre sarà lì ad intercedere, con fermezza, per lui presso Dio e, soltanto quando sarà sicura di aver garantito al suo pargoletto il perdono divino, si girerà per guardarlo. La donna mostra un atteggiamento profondamente cristiano sia perché accetta serenamente la propria morte, sia perché prega per intercedere per il figlio.

È evidente il cammino di conversione compiuto da Ungaretti e il suo profondo sentimento cristiano. Nella poesia La madre la morte è vista come il momento in cui si può vedere la luce divina e si possono ritrovare le persone care.