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Archivio selezionato: Dottrina GLI ACCORDI DELLA CRISI CONIUGALE IN BILICO TRA LE ISTANZE DI CONSERVAZIONE E LA TUTELA DELL'AUTONOMIA DEI CONIUGI Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2014, pag. 476 Maria Giliberti Classificazioni: SEPARAZIONE DEI CONIUGI - In genere Il termine accordi prematrimoniali è l'espressione mutuata dal linguaggio anglosassone “prenuptial agreement(1), che individua il fenomeno giuridico volto a disciplinare gli accordi che i futuri sposi concludono per regolare alcuni aspetti della vita familiare e matrimoniale e la gestione di un'eventuale crisi coniugale (2). Con l'istituto dei patti prematrimoniali si assiste ad una gamma infinita di tipologie di accordi che i coniugi possono prevedere e disciplinare astrattamente. Il contenuto di tali patti prematrimoniali, dunque, può essere definito solo in via generale, considerate le innumerevoli fattispecie concrete, e non può essere predeterminato a priori dall'operatore giuridico. Il nostro ordinamento, infatti, è ancorato alle ideologie cristiane-cattoliche, ed appare ancora restìo al riconoscimento in toto di tale fattispecie giuridica, nonostante le recenti tendenze giurisprudenziali siano orientate, ad esempio, verso il riconoscimento della liceità degli accordi in vista del divorzio. A parere della scrivente, negare tale possibilità in un momento di divenire storico-giuridico che appare orientato verso parametri di autonomia contrattuale sarebbe troppo “tranchant” e produrrebbe un effetto discriminatorio in un campo, quale quello familiare, che, oggi più che mai, necessità senz'altro di tutela preventiva e di ampia libertà tra i coniugi stessi anche in vista di una sistemazione patrimoniale dell'assetto familiare conseguente alla crisi (basti pensare alle molteplici applicazioni pratiche di istituti tipici per finalità atipiche, quale, ad esempio, il trust o il vincolo di destinazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2645 ter c.c., utilizzati quali strumenti di segregazione patrimoniale in vista della crisi familiare, e contemplati a livello operativo anche negli accordi di separazione omologati innanzi all'autorità giudiziaria competente). L'interesse dei patti prematrimoniali, pertanto, si innesta nel più ampio dibattito sul rilievo dell'autonomia privata nei rapporti tra coniugi con riflessi particolarmente evidenti in riferimento all'aspetto patrimoniale derivante dalla crisi coniugale. Non sono mancati, invero, tentativi, a livello legislativo, tesi a positivizzare tali strumenti, frutto della pratica giuridica: difatti, ad esempio, con la proposta di legge n. 4563/2203 e con la successiva relazione, veniva evidenziata l'assenza di una specifica regolamentazione ex ante dell'istituto in modo vincolante per il futuro per l'ipotesi di fine del matrimonio, sulla scia dell'esperienza positivizzata di alcuni Paesi oltre Oceano. Orbene, la ratio sottesa al riconoscimento della legittimità di tale istituto sarebbe quella di giungere ad una soluzione più serena e veloce della controversia, con vantaggi tali da garantire la tutela di superiori interessi ed, in particolare, di quelli della prole coinvolti nella crisi coniugale. Invero, dal punto di vista della liceità, l'oggetto di tali accordi dovrebbe riguardare soltanto la sfera patrimoniale, ma non quella personale, sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, come, del resto, è già dimostrato dalle numerose pronunce di merito e di legittimità. Tali pronunce hanno ribadito, non sempre con convinzione, la contrarietà ai principi dell'ordinamento giuridico nel nostro apparato normativo di tali accordi, fondando tale illiceità sull'asserita lesione dei principi costituzionali concernenti il diritto di difesa ex art. 24 Cost., la libertà e la dignità della persona o il superiore interesse dei figli ed, in alcuni casi, sull'equiparazione di tali accordi a convenzioni lato sensu matrimoniali, seppure atipiche e di quantomeno dubbia ammissibilità nel nostro ordinamento. Giova ricordare che, a differenza delle convenzioni matrimoniali exart. 162 c.c. che non sono sottoposte al controllo giudiziale, nel nostro ordinamento gli accordi conclusi in sede di separazione e di divorzio sono sottoposti al controllo giudiziale mediante il meccanismo omologatorio, indipendentemente dalla portata reale o obbligatoria degli stessi. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo liberalizzato gli accordi di separaizone, in quanto atipici ma meritevoli di tutela, aventi presupposti e finalità differenti rispetto alle convenzioni

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Archivio selezionato: Dottrina

GLI ACCORDI DELLA CRISI CONIUGALE IN BILICO TRA LE ISTANZE DI CONSERVAZIONE E LA

TUTELA DELL'AUTONOMIA DEI CONIUGI

Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2014, pag. 476

Maria Giliberti

Classificazioni: SEPARAZIONE DEI CONIUGI - In genere

Il termine accordi prematrimoniali è l'espressione mutuata dal linguaggio anglosassone “prenuptial

agreement”  (1), che individua il fenomeno giuridico volto a disciplinare gli accordi che i futuri sposi

concludono per regolare alcuni aspetti della vita familiare e matrimoniale e la gestione di un'eventuale

crisi coniugale  (2).

Con l'istituto dei patti prematrimoniali si assiste ad una gamma infinita di tipologie di accordi che i coniugi

possono prevedere e disciplinare astrattamente. Il contenuto di tali patti prematrimoniali, dunque, può

essere definito solo in via generale, considerate le innumerevoli fattispecie concrete, e non può essere

predeterminato a priori dall'operatore giuridico. Il nostro ordinamento, infatti, è ancorato alle ideologie

cristiane-cattoliche, ed appare ancora restìo al riconoscimento in toto di tale fattispecie giuridica,

nonostante le recenti tendenze giurisprudenziali siano orientate, ad esempio, verso il riconoscimento della

liceità degli accordi in vista del divorzio.

A parere della scrivente, negare tale possibilità in un momento di divenire storico-giuridico che appare

orientato verso parametri di autonomia contrattuale sarebbe troppo “tranchant” e produrrebbe un effetto

discriminatorio in un campo, quale quello familiare, che, oggi più che mai, necessità senz'altro di tutela

preventiva e di ampia libertà tra i coniugi stessi anche in vista di una sistemazione patrimoniale

dell'assetto familiare conseguente alla crisi (basti pensare alle molteplici applicazioni pratiche di istituti

tipici per finalità atipiche, quale, ad esempio, il trust o il vincolo di destinazione ai sensi e per gli effetti di

cui all'art. 2645 ter c.c., utilizzati quali strumenti di segregazione patrimoniale in vista della crisi

familiare, e contemplati a livello operativo anche negli accordi di separazione omologati innanzi

all'autorità giudiziaria competente). L'interesse dei patti prematrimoniali, pertanto, si innesta nel più

ampio dibattito sul rilievo dell'autonomia privata nei rapporti tra coniugi con riflessi particolarmente

evidenti in riferimento all'aspetto patrimoniale derivante dalla crisi coniugale.

Non sono mancati, invero, tentativi, a livello legislativo, tesi a positivizzare tali strumenti, frutto della

pratica giuridica: difatti, ad esempio, con la proposta di legge n. 4563/2203 e con la successiva relazione,

veniva evidenziata l'assenza di una specifica regolamentazione ex ante dell'istituto in modo vincolante per

il futuro per l'ipotesi di fine del matrimonio, sulla scia dell'esperienza positivizzata di alcuni Paesi oltre

Oceano.

Orbene, la ratio sottesa al riconoscimento della legittimità di tale istituto sarebbe quella di giungere ad

una soluzione più serena e veloce della controversia, con vantaggi tali da garantire la tutela di superiori

interessi ed, in particolare, di quelli della prole coinvolti nella crisi coniugale. Invero, dal punto di vista

della liceità, l'oggetto di tali accordi dovrebbe riguardare soltanto la sfera patrimoniale, ma non quella

personale, sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, come, del resto, è già dimostrato dalle

numerose pronunce di merito e di legittimità. Tali pronunce hanno ribadito, non sempre con convinzione,

la contrarietà ai principi dell'ordinamento giuridico nel nostro apparato normativo di tali accordi, fondando

tale illiceità sull'asserita lesione dei principi costituzionali concernenti il diritto di difesa ex art. 24 Cost., la

libertà e la dignità della persona o il superiore interesse dei figli ed, in alcuni casi, sull'equiparazione di

tali accordi a convenzioni lato sensu matrimoniali, seppure atipiche e di quantomeno dubbia ammissibilità

nel nostro ordinamento.

Giova ricordare che, a differenza delle convenzioni matrimoniali exart. 162 c.c. che non sono sottoposte

al controllo giudiziale, nel nostro ordinamento gli accordi conclusi in sede di separazione e di divorzio

sono sottoposti al controllo giudiziale mediante il meccanismo omologatorio, indipendentemente dalla

portata reale o obbligatoria degli stessi.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo liberalizzato gli accordi di separaizone, in quanto

atipici ma meritevoli di tutela, aventi presupposti e finalità differenti rispetto alle convenzioni

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matrimoniali ex art. 162 c.c. e agli atti di liberalità, nonché autonomi rispetto al contenuto tipico

regolamentato dai coniugi. Invero, l'accordo con il quale le parti pongono fine consensualmente alla loro

convivenza può avere contenuto regolamentativo, e contenere pattuizioni sia atipiche che tipiche.

La fattispecie da cui prende le mosse l'indagine in parola, pertanto, affonda le sue radici nel fenomeno

degli accordi prematrimoniali e della rilevanza attribuita all'autonomia privata.

Difatti, è frutto dell'atavica considerazione e tradizione degli studiosi in materia, ritenere che l'alveo di

esplicazione dell'autonomia privata nell'ambito del diritto di famiglia rappresenti, per così dire, un

presupposto ed un limite intrinseco ed estrinseco dei rapporti sia familiari che personali o patrimoniali,

essendo ancora, allo stato, ignoti i confini entro i quali può essere circoscritta tale autonomia privata.

Cosa si intende per presupposto? Il criterio dell'autonomia regolamentativa degli interessi familiari

rappresenta il prius dell'espressione della libertà di autodeterminazione dei singoli, intesi sia quali

individui, sia quali individui facenti parte della formazione sociale per eccellenza che è la famiglia, ai sensi

e per gli effetti degli artt. 2 e 29 Costituzione, sia quali individui facenti parte delle formazioni sociali che

non si esplicano in formazioni giuridiche tipizzate previamente dal legislatore.

Analogamente, la libertà di autodeterminazione costituisce un limite sia interno che esterno, perché

ormai, per quanto sia stata progressivamente abbandonata la concezione pubblicistica della famiglia per

lasciare spazio ad una visione prevalentemente privatistica, il nostro legislatore resta ancorato all'atavica,

seppure autorevolissima impostazione dello Jemolo, secondo la quale “il diritto di famiglia è quell'isola

che il diritto può solo lambire”.

Tale principio, seppure oggetto ormai di revisione dottrinaria e giurisprudenziale, non può passare

inosservato, ma, al contempo, non può non essere considerata la tendenza di matrice liberale diretta a

riconoscere alla società naturale per eccellenza e a tutte le formazioni sociali in cui si esplica la libertà

dell'individuo, l'applicazione concreta e dinamica, e non solo di principio, dell'art. 1322 c.c.

Invero, la tesi riconducibile ad autorevole dottrina, che si sostanzia nell'impossibilità di estendere il

contenuto della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. anche all'ambito del diritto di famiglia, poggia le sue

basi sulla considerazione in virtù della quale gli strumenti negoziali atti a regolamentare e a definire i

rapporti familiari non possono essere qualificati quali contratti, pertanto sottoponibili alle regole

sostanziali degli stessi, ma riconducibili nell'alveo dei negozi, in quanto le prestazioni in oggetto hanno

natura, carattere, essenzialmente non patrimoniale. Tale tesi, autorevolmente sostenuta da Bianca, ha le

sue ragioni sostanziali di validità, in quanto, se è vero che la differenza tra contratto e negozio risiede

nell'assenza o nella presenza della patrimonialità della prestazione, è altrettanto vero che negli ultimi

anni, comunque, è stato sempre più avvalorato l'ampliamento della sfera di operatività dell'autonomia

privata anche nella fase patologica di sistemazione degli assetti patrimoniali conseguenti alla separazione

o al divorzio.

Tale asserito riconoscimento di spazio di operatività ha determinato l'applicazione a tali strumenti

negoziali della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. sulla base della considerazione secondo la quale gli

stessi sono leciti e meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico italiano, seppure rientranti

nell'ambito dell'atipicità, in quanto espressione di interessi sia di natura privatistica, sia di natura

pubblicistica rilevanti. Basti pensare che, nel nostro sistema giuridico, la meritevolezza degli interessi

rappresenta il baluardo moderno per il riconoscimento di nuove fattispecie giuridiche (il riferimento è alla

nuova fattispecie negoziale o norma sugli effetti, a seconda della diversa ricostruzione dottrinaria cui si

aderisce, disciplinata all'art. 2645 ter c.c., in tema di vincolo di destinazione, utilizzata sempre più

frequentemente anche al fine di sistemare l'assetto patrimoniale conseguente ad una crisi familiare).

Pertanto, ritenendo tali tipi di accordi connotati della matrice dell'atipicità, e dotati di una propria causa,

da intendersi quale causa familiae, appare necessario, oltre che opportuno, riconoscere che l'ambito di

esplicazione della libertà contrattuale dei privati non può esprimersiad limitum in tale settore, ma

obbligatoriamente deve coniugarsi con il sistema di disposizioni inderogabili di cui all'art. 143 c.c. e

seguenti. Tale apparato di norme inderogabili è, invero, necessario quanto all'applicazione,

indipendentemente dalla valorizzazione della natura privatistica o pubblicistica degli interessi familiari e

patrimoniali sottesi alla conclusione degli accordi de quibus. Attesa, pertanto, la natura negoziale degli

stessi, e rilevata la valenza dispositiva dell'intesa oggetto della disamina, appare opportuno riconoscere le

varie fasi di alternanza di posizioni susseguitesi in giurisprudenza circa la valenza e la dimensione

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negoziale degli accordi familiari nella fase patologica o antecedente la stessa. A tal proposito, difatti,

appare sempre più consolidata l'impostazione in virtù della quale viene rivalutata la natura negoziale ed,

in quanto tale, dispositiva di tali accordi, considerati gli interessi sottesi da tutelare, sia di natura

familiare che di natura patrimoniale.

Altra impostazione, invero non prevalente, allo stato, ha riconosciuto e ravvisato l'insussistenza della

dimensione privatistica propria di tali accordi, con conseguente valorizzazione dell'aspetto pubblicistico,

negandone, come corollario, la natura negoziale.

Rilevata, pertanto, la diversità in ordine all'assetto privatistico e/o pubblicistico degli accordi in parola,

appare quantomeno necessario ravvisare nella struttura causale di tali accordi, compiuti nella fase della

separazione e/o del divorzio, il momento di solidarietà postconiugale, e pertanto riconoscere in essi la

prosecuzione dei doveri di solidarietà coniugale, di assistenza e di reciproca collaborazione ai sensi e per

gli effetti di cui all'art. 160 c.c. e seguenti. Invero, la causa di tali tipi di accordi tiene conto di istanze di

vario genere, e cioè di tipo solutorio, risarcitorio, compensativo, ed, in alcuni casi, di tipo transattivo, che

qualificano il valore delle attribuzioni patrimoniali de quibus.

La valutazione circa la legittimità degli accordi matrimoniali compiuti in sede di separazione, divorzio e

annullamento del matrimonio, deve pertanto tenere conto, come poc'anzi precisato, dell'elemento

volontaristico, nel senso che l'autonomia privata dei soggetti in tale ambito ha, a tutt'oggi, un'ampia

portata applicativa, andando ad incidere e a permeare i rapporti giuridici. Tale corollario, invero,

rappresenta il portato di un principio avente carattere generale, che si manifesta nel riconoscimento della

libertà fondamentale dell'individuo tutelata anche a livello comunitario. Tale regolamentazione, frutto

della manifestazione dell'autonomia privata, costituisce espressione non solo di una facoltà che lo Stato

concede ai cittadini, bensì anche di un diritto ineliminabile connesso con il principio della libertà

fondamentale di ciascuno avente ad oggetto il potere di autodefinire i rapporti patrimoniali.

Invero, da un punto di vista dottrinario si afferma già l'idea che l'aspetto di negozialità e di

autodeterminazione avesse uno spazio di operatività maggiore anche nell'alveo dei negozi di diritto

familiare, ed anzi si tendeva a riconoscere l'ammissibilità di tali accordi in vista della separazione anche

prima dell'introduzione della disciplina dello scioglimento del matrimonio  (3).

La giurisprudenza, invero, si era orientata su di un doppio binario, negando o ammettendo l'ammissibilità

astratta a seconda della tipologia creata. Difatti, in un primo tempo  (4), la giurisprudenza aveva ritenuto

che tali accordi avessero efficacia e valenza dopo il riconoscimento in sede processuale e, pertanto, per

quanto realizzati precedentemente alla separazione o coevamente alla stessa, gli stessi avrebbero potuto

ricevere efficacia solo se omologati dall'autorità giudiziaria competente.

Sulla base di siffatte considerazioni, tali accordi, sia di natura patrimoniale che di natura personale, se

trasfusi negli accordi omologati sarebbero validi ed efficaci; qualora, invece, tali patti non venissero

inglobati in accordi omologati, l'ammissibilità degli stessi, secondo una parte della dottrina, sarebbe

esclusa.

La ratio dell'inammissibilità di tali accordi in sede di divorzio si riconduce all'elaborazione dei seguenti

principi: illiceità della causa in primis, in quanto si ritiene che tali pattuizioni, ove non trasfuse nel verbale

omologato, avrebbero quale unico scopo quello di vincolare, di condizionare l'atteggiamento processuale

delle parti, limitandone in concreto il diritto di difesa. In secondo luogo, l'invalidità di tali accordi è da

ricondursi all'indisponibilità degli status in quanto gli stessi avrebbero ad oggetto aspetti legati

allo status familiare.

Per converso, si è affacciata un'altra opposta tesi giurisprudenziale, facente leva sulla tipologia degli

accordi e sugli interessi tutelati: secondo tale impostazione, la natura degli interessi tutelabili affonda le

sue radici sul piano lato familiare e si concreta nell'esigenza di protezione del partner e della prole  (5).

Varie, invero, sono state le ricostruzioni dottrinarie in ordine alla natura giuridica degli accordi in parola,

ma, ad avviso della scrivente, la liceità ed ammissibilità di tali accordi dovrà essere riconosciuta a

prescindere dall'inquadramento giuridico.

Secondo una prima interpretazione, tali accordi sono da qualificarsi quali convenzioni matrimoniali ai

sensi e per gli effetti di cui all'articolo 162 c.c., e, pertanto, se compiuti anteriormente alla separazione o

al divorzio sarebbero da considerarsi ammissibili.

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Tale ricostruzione non convince appieno in quanto, da un lato, avrebbe il pregio di consentire che

attraverso il meccanismo formale (atto pubblico e testi) venga data pubblicità a tali tipi di atti, anche ai

fini dell'opponibilità ai terzi, dall'altro lato, invece, tale ricostruzione risentirebbe di un mancato

coordinamento con il cit. art. 162 c.c., in quanto verrebbe “sdoganata” la tesi secondo la quale vi sarebbe

spazio nel nostro ordinamento giuridico anche per convenzioni matrimoniali atipiche. E, difatti, dubbi

sorgono in merito all'asserita atipicità delle convenzioni matrimoniali; e a maggior ragione l'atipicità non

potrebbe essere riconosciuta a priori anche in considerazione della circostanza rappresentata dalle forti

resistenze che nel panorama dottrinario incontra l'applicazione dell'art. 162 c.c. alla fase di definizione

della crisi coniugale.

Altro tipo di impostazione, cui si aderisce, trova le sue radici in risalenti sentenze giurisprudenziali  (6),

secondo le quali la causa degli accordi de quibus è di origine transattiva: l'accordo coniugale, cioè, può

ben contenere la mera regolamentazione di aspetti patrimoniali, in relazione ad una complessa vicenda

transattiva, anche non immediatamente collegati sul piano causale al regime di separazione o ai diritti od

agli obblighi derivanti dal matrimonio  (7).

Ma deriva, invero, che ove tali stipulazioni non abbiano ad oggetto rapporti economici e personali, allora

le stesse saranno valide ed efficaci in quanto l'intenzione delle parti è quella di risolvere questioni di altra

natura sul presupposto che tali patti non possono coinvolgere diritti indisponibili, né vincolare il

comportamento processuale dei comparenti durante la fase della separazione e, come corollario, senza

considerare profili di illiceità della causa o dell'oggetto.

Una tesi siffatta, del resto, non è risultata peregrina, considerato che anche recentemente la

giurisprudenza ha ammesso la legittimità degli stessi qualora questi accordi (sia in sede di separazione

che di divorzio) non siano direttamente volti a disciplinare l'assetto futuro dei rapporti patrimoniali

attinenti l'eventuale pronuncia di divorzio, bensì siano qualificati quali meri atti transattivi, “che, ponendo

fine alle controversie insorte tra i coniugi”, dispongano per il passato (8).

In sostanza, secondo tale tesi, invero, il salvataggio dell'accordo intercorso tra le parti passerebbe

attraverso la qualificazione dello stesso quale transazione, priva di qualsiasi connessione con lo

scioglimento del matrimonio, e avrebbe il crisma della liceità in quanto non riguardante il commercio

di status.

Al di là della recente ammissibilità, a cui si è assistito negli ultimi anni, circa il carattere negoziale degli

accordi di separazione personale o di quelli raggiunti in prospettiva di una separazione personale o di una

separazione di fatto  (9), si è andata, altresì, consolidando anche in giurisprudenza la tesi secondo la

quale gli accordi modificativi o in deroga delle condizioni di separazione, quand'anche non omologati né in

sede di separazione, né successivamente (con l'applicazione del procedimento di cui agli artt. 710 e 711

c.p.c.), sono da considerarsi pienamente validi ed efficaci.

Tali intese saranno da qualificarsi valide ove siano strumentali alla definizione della fattispecie solutoria in

vista della crisi del ménage familiare, purché ovviamente siano tutelati interessi familiari ed indisponibili e

che, soprattutto, mirino ad integrare e migliorare la posizione del coniuge più debole  (10).

Inoltre, il contenuto di tali accordi successivi e/o modificativi dovrà ricevere il crisma della duplice

conformità alle seguenti condizioni: conformità al dettato di cui all'art. 160 c.c. e posizione di non

interferenza rispetto alle intese già omologate dal Tribunale, il cui contenuto deve avere ad oggetto

aspetti non presi in considerazione nel patto omologato, compatibili con esso, né collegati al contenuto

necessario di tali accordi.

Pertanto, ciò che viene in considerazione, alla luce di tali premesse di fondo, è la valorizzazione del

principio di “non interferenza”, oppure del principio “di maggiore o uguale rispondenza all'interesse

tutelato”. Ad esempio, le parti, anche in sede di accordi integrativi e/o modificativi degli accordi

medesimi, potrebbero integrare il contenuto di tali patti indicando anche prestazioni diverse

dall'adempimento (ad esempio, il coniuge tenuto al versamento dell'assegno di mantenimento può cedere

all'altro coniuge o ai figli un immobile locato, a titolo di datio in solutum al fine di capitalizzare una

tantum l'ammontare dell'assegno  (11).

La peculiarità, come sopra evidenziata, di tali accordi modificativi e/o integrativi non può non tenere in

debito conto la specificità dell'applicazione dell'art. 160 c.c. anche al caso de quo, nel senso, cioè, che

tale disposizione trova o può trovare applicazione sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, nel

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senso che perdura anche nel momento di dissesto della vita familiare la solidarietà postconiugale intesa

anche quale diritto agli alimenti e al mantenimento sia nei confronti del coniuge che nei confronti dei

figli.  (12)

Alla luce di tali premesse di principio, emblematiche sono le decisioni della Corte di Cassazione in virtù

delle quali sono valide le clausole che concernono gli aspetti parentali-coniugali, anche se poi non prese

in considerazione nell'accordo omologato, compatibili con l'accordo e non modificative della sostanza dello

stesso, tra cui, ad esempio, rientrano quelle che prevedono un assegno di mantenimento superiore a

quello sottoposto ad omologazione  (13).

Ultimamente appare più accreditata la tesi che ravvisa in tali accordi (sia compiuti in sede di separazione,

sia compiuti in sede di divorzio) la natura transattiva, nella misura in cui anche in tali tipi di pattuizioni

vengano regolamentati e disciplinati aspetti patrimoniali che non incidono in via principale sugli aspetti

propri della separazione  (14). La natura transattiva, invero, è alla base anche delle recenti sentenze del

Tribunale di Torino e della recente successiva pronuncia della Cassazione  (15). A tal riguardo si ritiene

che i coniugi potrebbero disciplinare e definire in via transattiva i rapporti generati dal vincolo

matrimoniale, seppure non riferibili e non collegati causalmente all'aspetto proprio della separazione.

Anche questa tipologia di accordi, fatta propria dalla Cassazione, è valida ed efficace, e soprattutto non

crea problemi sulla illiceità della causa e/o sulla indisponibilità o illiceità dell'oggetto.

In ogni caso, invero, l'ambito di esplicazione dell'autonomia privata, che si esprime in relazione alla

tendneza alla privatizzazione della materia familiare, riveste un'importanza notevole anche nell'ambito

degli accordi in sede di divorzio: si ritiene che i patti contemporanei o anche successivi alla presentazione

dell'istanza di divorzio sono da ritenersi validi, nella misura in cui tali pattuizioni integrative, modificative,

dell'assegno divorzile non vadano ad intaccare la sfera personale ed i diritti intangibili della persona

collegati allo status.

Per converso, secondo quanto anche espresso dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, non pare

possano esserci spazi di legittimità per quanto concerne le intese preventive dirette alla previa

determinazione del contenuto di tali accordi: la motivazione logica-giuridica a sostegno dell'illiceità di tali

accordi è da inquadrarsi nel fatto che tali accordi violerebbero il principio di irrinunciabilità di un diritto

futuro, in quanto concernenti la sfera di indisponibilità soggettiva, creando a monte un illecito

“mercimonio di status”  (16).

In aggiunta a quanto poc'anzi espresso, le motivazioni a sostegno della tesi dell'inammissibilità si fondano

sul rispetto del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione, oltre che sull'impossibilità di una rinuncia

preventiva ad un diritto indisponibile  (17).

Per altro verso, invece, adeguandosi ad un'impostazione più possibilista e meno rigorosa, parte della

dottrina affermava che il mero elemento temporale della rinuncia ad un diritto fosse un dato obiettivo

unico, da cui non poter dedurre automaticamente l'illiceità di tali accordi, dovendosi invece, in concreto,

valutare l'illiceità della causa in relazione alla fattispecie concreta  (18).

Sulle orme di tale principio anche la giurisprudenza di merito si è spinta fino a riconoscere spazi di

autonomia agli accordi preventivi, anche nella forma di accordi transattivi, qualora una o entrambe le

parti abbiano inteso disporre previamente dei propri diritti patrimoniali (19). Sulla base, pertanto, di tali

considerazioni, si affaccia nel nostro panorama giuridico anche la consapevolezza dell'asserita

ammissibilità di accordi aventi ad oggetto una scrittura privata tra coniugi in vista del divorzio,

soprattutto se si aderisce alla tesi dottrinaria che ravvisa la natura giuridica degli accordi de quibus nella

disposizione di cui all'art. 1333 c.c.

Sulla base della natura giuridica ex art. 1333 c.c. attribuita a tali accordi, viene meno il pericolo

dell'illiceità della causa o dell'illiceità dell'oggetto, in quanto ciò che rileverebbe è l'unilateralità della

prestazione, concretizzantesi in un vincolo posto a carico di una sola parte.

Tale apertura invero possibilista resta, comunque, frenata dalla considerazione che ha attecchito

nell'alveo delle pronunce giurisprudenziali, prima tra tutte la pronuncia di legittimità risalente al

1981  (20).

Le motivazioni logiche-giuridiche a sostegno della pronuncia de qua sembrano apparentemente

attendibili.

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La Corte, nel caso di specie, non solo ha negato la disponibilità della componente assistenziale

dell'assegno divorzile, ma, in seconda battuta, ha anche escluso, contrariamente all'orientamento

contenuto nelle pregresse pronunce, che le parti possano disporre della componente risarcitoria e

compensativa.

Le motivazioni addotte a sostegno dell'inammissibilità di tali accordi sono da individuarsi in primis nella

contrarietà all'art. 160 c.c., all'art. 5 legge divorzio, e all'art. 9 legge divorzio, oltre al fatto che si

manifesta come necessaria la presenza del P.m. nel giudizio di divorzio.

In effetti, le motivazioni possono essere enucleate come segue.

Il rinvio alla disposizione di cui all'art. 160 c.c. in tema di diritti e di doveri inderogabili tra i coniugi trova

la sua ragion d'essere sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, oltre al fatto che i coniugi non

sarebbero a priori nella possibilità di derogare convenzionalmente ai loro diritti e doveri inderogabili.

Invero, appare quantomeno dubbia una tesi siffatta, in quanto, qualora i coniugi in vista di una futura

crisi coniugale decidessero di determinare il contenuto di prestazioni di carattere patrimoniale, tali accordi

sarebbero validi in quanto andrebbero ad intaccare la sfera meramente patrimoniale, senza

rappresentare espressione di un mercimonio di status.

Inoltre, senza idea di perentorietà, si può dire che a sostegno di tali accordi, compiuti preventivamente

rispetto all'inizio dell'iter divorzile, potrebbe essere riconosciuta la validità degli stessi in quanto

sarebbero sottoposti ad una duplice condizione, una di matrice legale (condicio iuris), l'altra di stampo

volontaristico (ma non meramente potestativa).

Nel caso di specie, difatti, la condicio iuris, che rappresenta la condizione di validità di tali accordi, si

concretizza proprio nella rottura del matrimonio, analogamente a quanto avviene in caso di donazione

obnuziale ex art. 785 c.c., in cui, per converso, il matrimonio costituisce la condicio iuris della donazione

stessa. Inoltre, la condizione volontaria è rappresentata dall'elemento volontaristico, che fa capo ad

entrambi i coniugi e che si sostanzia nel desiderio di entrambi di voler porre fine al vincolo coniugale.

Ad avvalorare la tesi della legittimità di tali accordi preventivi non vale il percorso argomentativo della

Cassazione, che ha rimarcato per converso l'impossibilità di disporre preventivamente dell'an e

del quantum ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 come modificata dalla legge n.

74/1987. A tale proposito, infatti, giova ricordare che la preventiva disponibilità di tale assegno non

sembrerebbe contrastare con la disposizione di cui all'art. 5 della legge sul divorzio del 1970 (come

modificata), in quanto, comunque, il riconoscimento di tale quantum previamente pattuito sarebbe

sottoposto a controllo omologatorio dell'autorità giudiziaria competente, e quest'ultima, ad ogni buon

conto, sarà costretta a valutare la congruità dell'importo predefinito dalle parti concordemente rispetto

agli indici e ai criteri per l'erogazione dell'assegno divorzile.

A nulla varrebbe l'eccezione in virtù della quale le parti potrebbero incidere soltanto sul momento

solutorio, in quanto anche la concreta erogazione della somma previamente pattuita resta sottoposta alla

duplice condicio iuris che si concreta nella sussistenza dei presuppostiex art. 5 legge sul divorzio del

1970, oltre che nella rottura del rapporto coniugale. Sulla base di tali prodromiche considerazioni,

pertanto, l'autorità giudiziaria, comunque, realizzerebbe un controllo omologatorio seppure, per così dire,

a valle.

E a nulla varrebbe l'interpretazione in virtù della quale il divorzio sarebbe stato soltanto prefigurato e non

già deciso.

Del resto, se è vero che il nostro ordinamento ammette e riconosce il divorzio congiunto quale

espressione di volontà delle parti indirizzata allo scioglimento del vincolo, perché non ammettere la

possibilità che, in un momento antecedente, temporalmente, le parti si accordino circa la determinazione

del mero quantum, senza peraltro rinunciare allo stesso assegno a priori? Difatti, si ritiene che la sola

rinuncia a priori all'assegno da parte di un coniuge rappresenti una violazione del diritto di difesa ex art.

24 Costituzione e contemporaneamente una compressione di uno status legata alla libertà personale

dell'individuo. Queste ultime motivazioni hanno rappresentato le ragioni per le quali la Suprema Corte ha

dichiarato la nullità di tali accordi per illiceità della causa, al punto che è stato, altresì, dichiarato affetto

da nullità l'accordo raggiunto già in sede di separazione, con il quale una parte, per il caso del futuro

divorzio, dichiara di rinunciare all'assegno divorzile autoproclamandosi autosufficiente  (21). Appare,

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invece, ragionevole ritenere che un'eventuale transazione avente ad oggetto la regolamentazione di

pregressi, attuali e non futuri rapporti patrimoniali, sia da considerarsi lecita  (22).

Pertanto, al fine di delimitare e di qualificare la validità o meno di un accordo, sarà opportuno valutare la

fattispecie concreta analizzando essenzialmente la causa concreta propria della transazione ed il nesso

funzionale, logico, temporale, intecorrente tra la transazione compiuta e successivamente la separazione

o il divorzio.

Qualora dall'analisi della singola fattispecie concreta non risultasse un collegamento funzionale tra la

transazione compiuta e la crisi familiare, la regolamentazione transattiva sarebbe lecita e tutelabile, ed in

questo caso non varrebbero le considerazioni sull'illiceità di tali accordi fondati sull'illiceità della causa,

sulla contrarietà all'ordine pubblico sia interno che internazionale, espressione di manifestazione

anticipata del consenso al divorzio.

Ad avvalorare la considerazione di validità di tali accordi in sede divorzile ricorre un altro principio di

diritto che riguarda le disposizioni di cui agli artt. 162 e 163 c.c. Nella specie, è ragionevole ritenere che

tali accordi non possano essere inquadrati in convenzioni matrimonialiex art. 162 e 163 c.c., sia da un

punto di vista formale, sia da un punto di vista sostanziale, e, come corollario, anche gli accordi compiuti

in vista di separazione e/o di divorzio non sono suscettibili di applicazione della disposizione di cui all'art.

160 c.c., in quanto i diritti e doveri coniugali sono inderogabili nella fase fisiologica, ma non nella fase

patologica qual è quella della crisi del matrimonio. Inoltre, l'accordo patrimoniale, seppure nella fase

prodromica rispetto alla separazione e/o divorzio, potrebbe essere validamente concluso qualora sia

sottoposto alla clausola contrattuale rebus sic stantibus, nel riconoscere la modificabilità sopravvenuta di

tali accordi in conseguenza delle modifiche patrimoniali.

Alla luce di tali considerazioni, la tesi sostenuta nelle pronunce proliferate negli anni '80 e '90 e sopra

richiamate non tiene conto di dati di fatto rilevanti, oltre che di elementi giuridici che consentirebbero uno

scardinamento delle ataviche e pregresse impostazioni.

Ultime considerazioni necessitano di essere spiegate al fine di riconoscere la validità degli accordi in vista

di divorzio.

L'assegno divorzile, avente, allo stato, una componente meramente assistenziale e non compensativa o

risarcitoria  (23), potrebbe avere, per quanto concerne la natura giuridica, sia il carattere alimentare che

quello di mantenimento.

Difatti, ove lo stesso sia da inquadrarsi nell'alveo della natura alimentare (come, a parere della scrivente,

non parrebbe) ne discenderebbe tra le conseguenze giuridiche, in particolare, l'applicazione della

disposizione di cui all'art. 447 c.p.c. relativa all'impignorabilità, all'incedibilità, all'indisponibilità e

all'incompensabilità.

Se, invece come pare preferibile, la natura del medesimo sia da inquadrarsi in una prestazione di

mantenimento, ma non avente carattere strettamente alimentare, allora le rigide regole di cui all'art. 447

c.p.c. non sarebbero applicabili al caso di specie.

Ad avvalorare tale impostazione, invero, circa il carattere non alimentare della prestazione in esame,

ricorrono i presupposti in virtù dei quali viene consentita l'erogazione della prestazione de qua: cioè lo

stato di bisogno relativo e non assoluto, parametrato, cioè, non solo al tenore di vita goduto dal soggetto

richiedente, ma anche al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Viceversa, se tali prestazioni

fossero da inquadrarsi nell'alveo delle prestazioni di natura meramente alimentare, rileverebbe soltanto lo

stato di bisogno oggettivo, cioè l'insufficienza economica di provvedere a se stessi.

Sulla base di tali premesse, appare oramai inconfutabile l'argomentazione che tende ad enfatizzare la

portata ed il valore della libertà dei coniugi anche nella fase di crisi coniugale in ordine alla scelta se

conservare o meno il loro status coniugale, ritenendosi, al limite, che tali accordi prematrimoniali di

natura economica possano coartare la volontà di uno o di entrambi qualora siano previste conseguenze

patrimoniali pregiudizievoli.

In caso contrario, sarebbero troppo rigide le argomentazioni giuridiche fondantesi sul rispetto dei diritti

indisponibili dei coniugi e sostenute dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “gli accordi

preventivi tra i coniugi in ordine al regime economico sul divorzio hanno quale effetto quello di

condizionare il comportamento processuale delle parti, violando il diritto di difesa e la libertà di scelta

(Cass. civ. n. 8912/1994; di analogo tenore Cass. civ. n. 9416/1995 e Cass. civ. n. 2955/1998). A tal

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proposito, invero, la Suprema Corte con una pronuncia recente (Cass. civ., sez. I, sentenza 21 dicembre

2012 n. 23713) ha attenuato la rigida impostazione di chiusura e ha consentito uno spiraglio di apertura

nei confronti di tali accordi in vista di divorzio, riconoscendo, invero, la possibilità di realizzare

preventivamente gli stessi, seppure in vista del divorzio, qualora l'oggetto di tali pattuizioni sia di

carattere meramente economico senza inficiare l'aspetto relativo allo status dei coniugi, valorizzando,

pertanto, la sfera dell'autonomia negoziale anche nei rapporti di famiglia. La vicenda prende le mosse

dalla seguente fattispecie: due futuri coniugi stipulavano una scrittura privata con la quale stabilivano

che, in caso di rottura del matrimonio (per separazione o per scioglimento degli effetti civili dello stesso),

la moglie avrebbe trasferito al futuro marito un determinato immobile a titolo tacitativo per le spese

sostenute per il matrimonio (nello specifico, per la ristrutturazione della casa coniugale), ricevendo dal

marito Buoni del Tesoro. Successivamente alla celebrazione del matrimonio, l'epilogo è negativo, nel

senso che i coniugi giungono prima alla separazione e poi al divorzio.

Dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'ex marito promuoveva domanda

giudiziale ex art. 2932 c.c. al fine di ottenere il trasferimento coattivo dell'immobile, ma in un primo

grado il Tribunale rigettava la domanda proposta. Pertanto, l'ex coniuge ricorreva in Appello, stavolta con

l'esito positivo del riconoscimento del diritto ad ottenere l'adempimento della prestazione dedotta in

contratto dalla moglie. L'ex moglie, tuttavia, ricorreva in Cassazione, lamentando la nullità

dell'accordo de quo per violazione della disposizione di cui all'art. 160 c.c. La Suprema Corte, invero,

interpretando l'accordo de quo alla luce dei criteri ermeneutici enucleati dall'art. 1363 c.c. giustamente ha

fatto leva sul dato funzionale causale, nel senso, cioè, di ritenere che tali accordi abbiano ad oggetto

prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali, la cui causa non è ravvisabile nello scioglimento

del matrimonio, che per converso, invece, rappresenta un mero evento condizionante.

Dunque, lo scioglimento del matrimonio non è la causa dell'accordo economico, in quanto in tale ipotesi,

secondo la S.C., l'accordo sarebbe “una sorta di dissuasione volta a condizionare la libertà decisionale

degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale”.

Esso rappresenta, a giudizio della S.C., soltanto un “mero evento condizionale”, che non è da ascriversi

né ad una condizione meramente potestativa, in quanto il fallimento del matrimonio non dipende dalla

volontà di un solo coniuge, bensì da condizioni oggettive, né ad una condizione illecita in quanto contraria

a norme imperative, ordine pubblico e buon costume.

La liceità dell'accordo, che tutela ed esprime interessi meritevoli ex art. 1322 c.c., è garantita dal fatto

che non si impinge nel divieto di contrarietà all'ordine pubblico, al buon costume e norme imperative, e

consente, pertanto, che i coniugi stabiliscano a priori alcune conseguenze economiche derivanti dal

fallimento del rapporto coniugale. Tale accordo, invero, secondo la Suprema Corte è da inquadrarsi in un

contratto a prestazioni corrispettive riconducibile nel novero della datio in solutum, strumento di

estinzione dell'obbligazione, di carattere solutorio, richiedente il consenso del creditore. La peculiarità

dell'analisi seguita dalla pronuncia in esame apre un varco di legittimità nei confronti di quegli accordi che

sono estranei, peraltro, alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di

separazione consensuale) in vista del divorzio e che intendono regolare l'intero assetto economico tra i

coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e

impoverimenti.

Nel caso di specie, secondo il convincimento del giudice adito, l'accordo, atipico, sarebbe caratterizzato

da prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali. La validità di tali accordi, pertanto, come

validamente ritiene la Suprema Corte, non contrasta con la disposizione di cui all'art. 160 c.c., in quanto

nella fase fisiologica permane l'obbligo di reciproca contribuzione tra i coniugi in relazione alle sostanze

ed alla capacità contributiva degli stessi, mentre nella fase patologica (anche nel divorzio) possono

rivivere i rapporti di dare ed avere derivanti dall'obbligo di contribuzione.

Inoltre, come ritenuto dalla S.C., nell'ottica di un'operazione deflattiva delle controversie giudiziarie in

materia familiare, l'ammissibilità di tali accordi potrebbe essere avvalorata dall'ammissibilità riconosciuta

agli accordi in vista della declaratoria di nullità del matrimonio. Difatti, se è vero che il carattere

inquisitorio di tale giudizio teso alla dichiarazione invalidante del matrimonio determina un controllo

notevole dell'autorità giudiziaria in tutto l'iter, analoghe considerazioni non potrebbero farsi qualora le

parti si limitino a chiedere l'omologa con decreto di patti stipulati privatamente dagli stessi, senza che, tra

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l'altro, l'autorità adìta possa effettuare un sindacato nel merito pieno, bensì soltanto un controllo di

legittimità  (24).

Il carattere inquisitorio, pertanto, eliminerebbe sia la possibilità di influenza delle parti sul

comportamento processuale, sia un prodromico potere dispositivo dello status di coniuge, in quanto gli

accordi preventivi in vista della nullità del matrimonio non potrebbero essere correlati con la causa di

nullità matrimoniale, che può accertare semplicemente la validità o l'invalidità dell'atto di matrimonio e

non del rapporto di matrimonio, e la dimostrazione sarebbe avvalorata, altresì, dalla natura dichiarativa

della sentenza di nullità matrimoniale  (25).

Tali conclusioni non possono non tenere conto delle istanze di modernità che si affacciano costantemente

nel nostro panorama legislativo, e che gli operatori del diritto sono costretti ad analizzare, seppure tali

istanze non siano ancora state positivizzate. Appare, invero, ancora lungo il percorso teso ad uno

scardinamento totale delle ataviche considerazioni fondate su concezioni pubblicistiche del panorama

familiare, che necessitano, de iure condendo, di essere notevolmente ridimensionate anche nell'ottica di

un vero, concreto e non fittizio ampliamento della sfera di operatività dell'autonomia privata.

Note:

(1) L'ampia dilatazione degli spazi di operatività dell'autonomia privata anche nel nostro ordinamento

ha consentito un avvicinamento tra il contenuto degli accordi realizzati nella fase di crisi coniugale e i cd.

separation agreements, figura da tempo utilizzata con successo e disinvoltura nell'esperienza di common

law propria dei Paesi anglosassoni.

(2) Per un approfondimento sull'istituto cfr. S.M.Cretney, Family law, London, 1997, 95. L'ordinamento

inglese e quello statunitense differiscono da quelli di civil law in ordine alla facoltà riconosciuta ai coniugi

di stipulare accordi aventi natura negoziale, pienamente vincolanti, relativi al mantenimento dell'altro

coniuge in costanza di matrimonio (maintenance agreements) oppure alla separazione ed al divorzio

(separation agreements).

(3) E. Quadri, Autonomia negoziale dei coniugi e recenti prospettive di riforma, in Nuova giur. civ.

comm., 2001; L. Barassi, La famiglia legittima nel nuovo codice civile, Milano, 1941, 153; M. R. Marella,

Gli accordi fra i coniugi fra suggestioni comparatistiche e diritto interno, in Separazione e divorzio, diretto

da Ferrando, I, in Giur. sist. dir. civ. e comm., Torino, 2003; P. Zatti, La separazione personale, in

Trattato dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1996, 139.

(4) Cass., sez. I, 13 febbraio 1985 n. 1208, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 658 ss.: Cass. sez. I,

28 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, II, 217. In tema di invalidità di accordi precedenti

l'omologazione se non trasfusi nel verbale di conciliazione, A. Morace Pinelli, Separazione consensuale e

negozi atipici familiari, in Giur. it., 1994, I, 304 e ss.

(5) Cass., sez. I, 13 gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993, 822. In dottrina, G. Oberto, La

natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir.,

2000, 86.

(6) Cass. 1994 n. 4647; Cass., sez. I, 17 giugno 1992 n. 7470, in Mass. Giur. it., 1992: “Il patto tra i

coniugi mediante il quale si realizzano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti

e accordi economici e a tacitazione del dovere di mantenimento, deve ritenersi valido ed operante anche

laddove inserito in un accordo per la separazione di fatto dei coniugi medesimi, alla stregua della liceità di

tale accordo, pur se non idoneo a produrre gli effetti della separazione legale”.

(7) Cass., sez. I, 15 marzo 1991 n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787.

(8) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it., 2001, I, 1318, con nota critica di M. Guarini, La

Cassazione conferma la nullità dei patti anteriori al divorzio, in Giust. civ., 2001, II, 457 ss., che

evidenzia anche come la pronuncia appaia contraddittoria, in quanto solo una modifica del rigido principio

di invalidità dei patti preventivi di divorzio avrebbe potuto giustificare la soluzione enunciata per la

convenzione transattiva, trattandosi di un accordo pur sempre incidente sull'assetto complessivo dei

rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio. Aderisce all'orientamento in esame anche Cass. 10 marzo

2006 n. 5302: “Gli accordi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in

relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento specifico all'assegno divorzile sono nulli per

illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno previsto anche a tutela del

coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizioni di cui

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all'art. 5, ottavo comma, legge n. 898/1970 nel testo modificato dalla legge n. 74 del 1987, nella parte in

cui sancisce che, su accordo convenzionale delle parti, la corresponsione dell'assegno divorzile può

avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal Tribunale, senza che si possa proporre alcuna

successiva domanda di contenuto economico, non sarà applicabile al di fuori del giudizio di divorzio e gli

accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono implicare rinuncia

all'assegno divorzile.

(9) Cass., sez. I, 13 gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993, 822. In dottrina, G. Oberto, La

natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, cit., 86 ss. Gli

accordi aventi occasione nella separazione attengono a pattuizioni patrimoniali che integrano gli estremi

di un contratto atipico valido, la cui funzione causale è da individuarsi nello spirito di sistemazione di tutti

i rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale. Sull'idoneità del verbale di

omologa della separazione ai fini della trascrizione, si veda P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in

occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, 628 ss. Prevale attualmente la risposta

positiva, secondo la quale nel verbale devono essere contenute tute le menzioni. Inoltre, a tale riguardo,

la giurisprudenza di merito ritiene opportuno o necessario l'atto notarile per una maggiore tutela dei

diritti dei minori.

(10) Ad esempio, sono stati rinvenuti validi ed efficaci gli accordi integrativi dell'accordo di separazione

omologato, qualora non siano lesivi del diritto al mantenimento e agli alimenti. In particolare, in una

fattispecie di comproprietà della casa familiare da parte dei coniugi, in regime di comunione legale ed in

assenza di prole, i giudici hanno riconosciuto la possibilità di pattuire, anche tacitamente, l'assegnazione

esclusiva della casa familiare al partner avente diritto al mantenimento come componente di questo;

Cass. 12 gennaio 2000 n. 266, in Mass. Giust. civ., 2000, 46.

(11) Il pagamento dell'assegno in un'unica soluzione è condizionato sia all'accordo delle parti, sia alla

verifica giudiziale circa la valutazione di equità.In altri ordinamenti, ad esempio in Francia, il pagamento

in un'unica soluzione, attraverso l'attribuzione di un capitale, costituisce un modo ordinario di

adempimento.

(12) Cass., sez. I, 22 gennaio 1994 n. 67, in questa Rivista, 1994, 868; Cass. 28 luglio 1997 n. 7029,

in Mass. Foro it., 1999, 677; Cass., sez. I, 18 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, 217. La

peculiarità del diritto al mantenimento e del diritto agli alimenti, quale limite entro cui poter realizzare le

intese modificative dell'accordo di separazione, si giustifica in quanto espressione di solidarietà

postconiugale, da ricondursi alla disposizione di cui all'art. 160 c.c., quale diritto di natura inderogabile.

In proposito, Cass. 24 ottobre 2007 n. 22329, in Giur. it., 2008, 1687; Cass. 10 ottobre 2005 n. 20290,

in Fam. pers. e succ., 2007, 107; M.C. Andrini, Sugli effetti personali della separazione e del divorzio, in

Separazione e divorzio, diretto da G. Ferrando, I, cit., 573 ss.

(13) Cass., sez. I, 24 febbraio 1993 n. 2270.

(14) Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787.

(15) Cass., sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23713; Trib. Torino, sez. VII, ord. 20 aprile 2012, Pres. est.

Tamagnone, secondo il quale l'accordo concluso sui profili patrimoniali tra i coniugi in sede di separazione

legale ed in vista del divorzio non contrasta né con l'ordine pubblico, né con l'art. 160 c.c. Nella specie le

parti, pochi mesi prima della pronuncia di separazione «a conclusioni congiunte», avevano convenuto che

l'erogazione dell'importo a titolo di assegno di mantenimento a carico del marito sarebbe venuta a

cessare all'atto dell'inizio della causa per la pronunzia della cessazione degli effetti civili del matrimonio,

con impegno della moglie a «nulla pretender[e] [dal marito], né a titolo di una tantum, né di

mantenimento». In sede di udienza presidenziale di divorzio la suddetta intesa è stata ritenuta valida e

vincolante, con conseguente rigetto della domanda della moglie volta ad ottenere un assegno.

(16) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in questa Rivista, 1981, 1025.

(17) Cass. 6 aprile 1997 n. 1305, in Foro it., 1997, 2247: nella specie l'ex moglie, ricevendo la somma

di lire 300.000, aveva dichiarato per iscritto di non aver null'altro a pretendere dall'ex marito.

(18) G. Ceccherini, Contratti tra coniugi in vista della cassazione del ménage, Padova, 1999, 154.

(19) Trib. Napoli 28 marzo 1979, in Foro it., Rep., 1980; App. Milano 22 gennaio 1980, in questa

Rivista, 1980, 874; Trib. Bari 14 febbraio 1980, in Giur. it., 1981, I, 2, 210.

(20) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in Foro it., 1981, I, 184; la decisione de qua concerne il caso di un

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accordo tra coniugi con il quale veniva previsto il diritto del marito di mantenere fermo, per un

determinato periodo di tempo, l'importo dell'assegno dovuto alla moglie, anche in caso di eventuale

divorzio.

(21) Cass. 11 agosto 1992 n. 9494, in Giur. it., 1993, I, 1, 1495; nella stessa linea anche Cass., sez. I,

12 febbraio 2003 n. 2079, in Fam. e dir., 2003, 344 (nella specie si trattava dell'affermazione, di cui è

stata dichiarata l'illegittimità, del coniuge più debole che liberava, in vista del divorzio, l'altro coniuge da

ogni obbligazione patrimoniale nei suoi confronti).

(22) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it., 2001, I, 1318. Ovviamente non tutti gli atti di

transazione risultano essere validi ed efficaci; anzi, in una pronuncia i giudici di legittimità hanno

dichiarato la nullità degli accordi per illiceità della causa, con i quali il marito, in sede di separazione

consensuale, si era impegnato al trasferimento di un appartamento alla moglie, la quale, dal canto suo,

aveva rinunciato al mantenimento dichiarando espressamente di non pretendere alcunché in caso di

divorzio, rinunciando, quindi, anche all'assegno di cui all'art. 5 legge 898/1970.

(23) La legge di modifica del divorzio (legge 6 marzo 1987 n. 74) unitamente alla pronuncia a Sezioni

Unite della Cassazione (Cass. sez. unite 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro it., 1991, I, 74) ha

riformato l'art. 5, comma 6, legge divorzio nella parte in cui ha riconosciuto sostanzialmente all'assegno

in parola natura meramente assistenziale, subordinando la corresponsione dell'assegno al coniuge più

debole alla mancanza di mezzi adeguati e all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. Pertanto,

alla luce delle novità così introdotte viene sottratto alla disponibilità delle parti l'intero importo

dell'assegno di divorzio, avente ormai natura meramente assistenziale.

(24) Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, in Giur. it., 1993, I, 1, 1672.

(25) Analogamente Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, cit.

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CONSERVAZIONE E LA TUTELA DELL'AUTONOMIA DEI CONIUGI Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1,

2014, pag. 476 Maria Giliberti Classificazioni: SEPARAZIONE DEI CONIUGI In genere Il termine accordi

prematrimoniali è l'espressione mutuata dal linguaggio anglosassone “prenuptial agreement” (1), che

individua il fenomeno giuridico volto a disciplinare gli accordi che i futuri sposi concludono per regolare

alcuni aspetti della vita familiare e matrimoniale e la gestione di un'eventuale crisi coniugale (2). Con

l'istituto dei patti prematrimoniali si assiste ad una gamma infinita di tipologie di accordi che i coniugi

possono prevedere e disciplinare astrattamente. Il contenuto di tali patti prematrimoniali, dunque, può

essere definito solo in via generale, considerate le innumerevoli fattispecie concrete, e non può essere

predeterminato a priori dall'operatore giuridico. Il nostro ordinamento, infatti, è ancorato alle ideologie

cristianecattoliche, ed appare ancora restìo al riconoscimento in toto di tale fattispecie giuridica,

nonostante le recenti tendenze giurisprudenziali siano orientate, ad esempio, verso il riconoscimento della

liceità degli accordi in vista del divorzio. A parere della scrivente, negare tale possibilità in un momento di

divenire storicogiuridico che appare orientato verso parametri di autonomia contrattuale sarebbe troppo

“tranchant” e produrrebbe un effetto discriminatorio in un campo, quale quello familiare, che, oggi più che

mai, necessità senz'altro di tutela preventiva e di ampia libertà tra i coniugi stessi anche in vista di una

sistemazione patrimoniale dell'assetto familiare conseguente alla crisi (basti pensare alle molteplici

applicazioni pratiche di istituti tipici per finalità atipiche, quale, ad esempio, il trust o il vincolo di

destinazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2645 ter c.c., utilizzati quali strumenti di segregazione

patrimoniale in vista della crisi familiare, e contemplati a livello operativo anche negli accordi di

separazione omologati innanzi all'autorità giudiziaria competente). L'interesse dei patti prematrimoniali,

pertanto, si innesta nel più ampio dibattito sul rilievo dell'autonomia privata nei rapporti tra coniugi con

riflessi particolarmente evidenti in riferimento all'aspetto patrimoniale derivante dalla crisi coniugale. Non

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sono mancati, invero, tentativi, a livello legislativo, tesi a positivizzare tali strumenti, frutto della pratica

giuridica: difatti, ad esempio, con la proposta di legge n. 4563/2203 e con la successiva relazione, veniva

evidenziata l'assenza di una specifica regolamentazione ex ante dell'istituto in modo vincolante per il futuro

per l'ipotesi di fine del matrimonio, sulla scia dell'esperienza positivizzata di alcuni Paesi oltre Oceano.

Orbene, la ratio sottesa al riconoscimento della legittimità di tale istituto sarebbe quella di giungere ad una

soluzione più serena e veloce della controversia, con vantaggi tali da garantire la tutela di superiori interessi

ed, in particolare, di quelli della prole coinvolti nella crisi coniugale. Invero, dal punto di vista della liceità,

l'oggetto di tali accordi dovrebbe riguardare soltanto la sfera patrimoniale, ma non quella personale, sia

nella fase fisiologica che nella fase patologica, come, del resto, è già dimostrato dalle numerose pronunce

di merito e di legittimità. Tali pronunce hanno ribadito, non sempre con convinzione, la contrarietà ai

principi dell'ordinamento giuridico nel nostro apparato normativo di tali accordi, fondando tale illiceità

sull'asserita lesione dei principi costituzionali concernenti il diritto di difesa ex art. 24 Cost., la libertà e la

dignità della persona o il superiore interesse dei figli ed, in alcuni casi, sull'equiparazione di tali accordi a

convenzioni lato sensu matrimoniali, seppure atipiche e di quantomeno dubbia ammissibilità nel nostro

ordinamento. Giova ricordare che, a differenza delle convenzioni matrimoniali exart. 162 c.c. che non sono

sottoposte al controllo giudiziale, nel nostro ordinamento gli accordi conclusi in sede di separazione e di

divorzio sono sottoposti al controllo giudiziale mediante il meccanismo omologatorio, indipendentemente

dalla portata reale o obbligatoria degli stessi. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo

liberalizzato gli accordi di separaizone, in quanto atipici ma meritevoli di tutela, aventi presupposti e finalità

differenti rispetto alle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c. e agli atti di liberalità, nonché autonomi

rispetto al contenuto tipico regolamentato dai coniugi. Invero, l'accordo con il quale le parti pongono fine

consensualmente alla loro convivenza può avere contenuto regolamentativo, e contenere pattuizioni sia

atipiche che tipiche.2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 2/10 La fattispecie da cui prende le mosse

l'indagine in parola, pertanto, affonda le sue radici nel fenomeno degli accordi prematrimoniali e della

rilevanza attribuita all'autonomia privata. Difatti, è frutto dell'atavica considerazione e tradizione degli

studiosi in materia, ritenere che l'alveo di esplicazione dell'autonomia privata nell'ambito del diritto di

famiglia rappresenti, per così dire, un presupposto ed un limite intrinseco ed estrinseco dei rapporti sia

familiari che personali o patrimoniali, essendo ancora, allo stato, ignoti i confini entro i quali può essere

circoscritta tale autonomia privata. Cosa si intende per presupposto? Il criterio dell'autonomia

regolamentativa degli interessi familiari rappresenta il prius dell'espressione della libertà di

autodeterminazione dei singoli, intesi sia quali individui, sia quali individui facenti parte della formazione

sociale per eccellenza che è la famiglia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2 e 29 Costituzione, sia quali

individui facenti parte delle formazioni sociali che non si esplicano in formazioni giuridiche tipizzate

previamente dal legislatore. Analogamente, la libertà di autodeterminazione costituisce un limite sia

interno che esterno, perché ormai, per quanto sia stata progressivamente abbandonata la concezione

pubblicistica della famiglia per lasciare spazio ad una visione prevalentemente privatistica, il nostro

legislatore resta ancorato all'atavica, seppure autorevolissima impostazione dello Jemolo, secondo la quale

“il diritto di famiglia è quell'isola che il diritto può solo lambire”. Tale principio, seppure oggetto ormai di

revisione dottrinaria e giurisprudenziale, non può passare inosservato, ma, al contempo, non può non

essere considerata la tendenza di matrice liberale diretta a riconoscere alla società naturale per eccellenza

e a tutte le formazioni sociali in cui si esplica la libertà dell'individuo, l'applicazione concreta e dinamica, e

non solo di principio, dell'art. 1322 c.c. Invero, la tesi riconducibile ad autorevole dottrina, che si sostanzia

nell'impossibilità di estendere il contenuto della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. anche all'ambito del

diritto di famiglia, poggia le sue basi sulla considerazione in virtù della quale gli strumenti negoziali atti a

regolamentare e a definire i rapporti familiari non possono essere qualificati quali contratti, pertanto

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sottoponibili alle regole sostanziali degli stessi, ma riconducibili nell'alveo dei negozi, in quanto le

prestazioni in oggetto hanno natura, carattere, essenzialmente non patrimoniale. Tale tesi, autorevolmente

sostenuta da Bianca, ha le sue ragioni sostanziali di validità, in quanto, se è vero che la differenza tra

contratto e negozio risiede nell'assenza o nella presenza della patrimonialità della prestazione, è altrettanto

vero che negli ultimi anni, comunque, è stato sempre più avvalorato l'ampliamento della sfera di

operatività dell'autonomia privata anche nella fase patologica di sistemazione degli assetti patrimoniali

conseguenti alla separazione o al divorzio. Tale asserito riconoscimento di spazio di operatività ha

determinato l'applicazione a tali strumenti negoziali della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. sulla base

della considerazione secondo la quale gli stessi sono leciti e meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento

giuridico italiano, seppure rientranti nell'ambito dell'atipicità, in quanto espressione di interessi sia di

natura privatistica, sia di natura pubblicistica rilevanti. Basti pensare che, nel nostro sistema giuridico, la

meritevolezza degli interessi rappresenta il baluardo moderno per il riconoscimento di nuove fattispecie

giuridiche (il riferimento è alla nuova fattispecie negoziale o norma sugli effetti, a seconda della diversa

ricostruzione dottrinaria cui si aderisce, disciplinata all'art. 2645 ter c.c., in tema di vincolo di destinazione,

utilizzata sempre più frequentemente anche al fine di sistemare l'assetto patrimoniale conseguente ad una

crisi familiare). Pertanto, ritenendo tali tipi di accordi connotati della matrice dell'atipicità, e dotati di una

propria causa, da intendersi quale causa familiae, appare necessario, oltre che opportuno, riconoscere che

l'ambito di esplicazione della libertà contrattuale dei privati non può esprimersi ad limitum in tale settore,

ma obbligatoriamente deve coniugarsi con il sistema di disposizioni inderogabili di cui all'art. 143 c.c. e

seguenti. Tale apparato di norme inderogabili è, invero, necessario quanto all'applicazione,

indipendentemente dalla valorizzazione della natura privatistica o pubblicistica degli interessi familiari e

patrimoniali sottesi alla conclusione degli accordi de quibus. Attesa, pertanto, la natura negoziale degli

stessi, e rilevata la valenza dispositiva dell'intesa oggetto della disamina, appare opportuno riconoscere le

varie fasi di alternanza di posizioni susseguitesi in giurisprudenza circa la valenza e la dimensione negoziale

degli accordi familiari nella fase patologica o antecedente la stessa. A tal proposito, difatti, appare sempre

più consolidata l'impostazione in virtù della quale viene rivalutata la natura negoziale ed, in quanto tale,

dispositiva di tali accordi, considerati gli interessi sottesi da tutelare, sia di natura familiare che di natura

patrimoniale. Altra impostazione, invero non prevalente, allo stato, ha riconosciuto e ravvisato

l'insussistenza della dimensione privatistica propria di tali accordi, con conseguente valorizzazione

dell'aspetto pubblicistico, negandone, come corollario, la natura negoziale. Rilevata, pertanto, la diversità

in ordine all'assetto privatistico e/o pubblicistico degli accordi in parola, appare2/3/2015

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3/10 quantomeno necessario ravvisare nella struttura causale di tali accordi, compiuti nella fase della

separazione e/o del divorzio, il momento di solidarietà postconiugale, e pertanto riconoscere in essi la

prosecuzione dei doveri di solidarietà coniugale, di assistenza e di reciproca collaborazione ai sensi e per gli

effetti di cui all'art. 160 c.c. e seguenti. Invero, la causa di tali tipi di accordi tiene conto di istanze di vario

genere, e cioè di tipo solutorio, risarcitorio, compensativo, ed, in alcuni casi, di tipo transattivo, che

qualificano il valore delle attribuzioni patrimoniali de quibus. La valutazione circa la legittimità degli accordi

matrimoniali compiuti in sede di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio, deve pertanto

tenere conto, come poc'anzi precisato, dell'elemento volontaristico, nel senso che l'autonomia privata dei

soggetti in tale ambito ha, a tutt'oggi, un'ampia portata applicativa, andando ad incidere e a permeare i

rapporti giuridici. Tale corollario, invero, rappresenta il portato di un principio avente carattere generale,

che si manifesta nel riconoscimento della libertà fondamentale dell'individuo tutelata anche a livello

comunitario. Tale regolamentazione, frutto della manifestazione dell'autonomia privata, costituisce

espressione non solo di una facoltà che lo Stato concede ai cittadini, bensì anche di un diritto ineliminabile

connesso con il principio della libertà fondamentale di ciascuno avente ad oggetto il potere di autodefinire i

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rapporti patrimoniali. Invero, da un punto di vista dottrinario si afferma già l'idea che l'aspetto di

negozialità e di autodeterminazione avesse uno spazio di operatività maggiore anche nell'alveo dei negozi

di diritto familiare, ed anzi si tendeva a riconoscere l'ammissibilità di tali accordi in vista della separazione

anche prima dell'introduzione della disciplina dello scioglimento del matrimonio (3). La giurisprudenza,

invero, si era orientata su di un doppio binario, negando o ammettendo l'ammissibilità astratta a seconda

della tipologia creata. Difatti, in un primo tempo (4), la giurisprudenza aveva ritenuto che tali accordi

avessero efficacia e valenza dopo il riconoscimento in sede processuale e, pertanto, per quanto realizzati

precedentemente alla separazione o coevamente alla stessa, gli stessi avrebbero potuto ricevere efficacia

solo se omologati dall'autorità giudiziaria competente. Sulla base di siffatte considerazioni, tali accordi, sia

di natura patrimoniale che di natura personale, se trasfusi negli accordi omologati sarebbero validi ed

efficaci; qualora, invece, tali patti non venissero inglobati in accordi omologati, l'ammissibilità degli stessi,

secondo una parte della dottrina, sarebbe esclusa. La ratio dell'inammissibilità di tali accordi in sede di

divorzio si riconduce all'elaborazione dei seguenti principi: illiceità della causa in primis, in quanto si ritiene

che tali pattuizioni, ove non trasfuse nel verbale omologato, avrebbero quale unico scopo quello di

vincolare, di condizionare l'atteggiamento processuale delle parti, limitandone in concreto il diritto di

difesa. In secondo luogo, l'invalidità di tali accordi è da ricondursi all'indisponibilità degli status in quanto gli

stessi avrebbero ad oggetto aspetti legati allo status familiare. Per converso, si è affacciata un'altra opposta

tesi giurisprudenziale, facente leva sulla tipologia degli accordi e sugli interessi tutelati: secondo tale

impostazione, la natura degli interessi tutelabili affonda le sue radici sul piano lato familiare e si concreta

nell'esigenza di protezione del partner e della prole (5). Varie, invero, sono state le ricostruzioni dottrinarie

in ordine alla natura giuridica degli accordi in parola, ma, ad avviso della scrivente, la liceità ed ammissibilità

di tali accordi dovrà essere riconosciuta a prescindere dall'inquadramento giuridico. Secondo una prima

interpretazione, tali accordi sono da qualificarsi quali convenzioni matrimoniali ai sensi e per gli effetti di cui

all'articolo 162 c.c., e, pertanto, se compiuti anteriormente alla separazione o al divorzio sarebbero da

considerarsi ammissibili. Tale ricostruzione non convince appieno in quanto, da un lato, avrebbe il pregio di

consentire che attraverso il meccanismo formale (atto pubblico e testi) venga data pubblicità a tali tipi di

atti, anche ai fini dell'opponibilità ai terzi, dall'altro lato, invece, tale ricostruzione risentirebbe di un

mancato coordinamento con il cit. art. 162 c.c., in quanto verrebbe “sdoganata” la tesi secondo la quale vi

sarebbe spazio nel nostro ordinamento giuridico anche per convenzioni matrimoniali atipiche. E, difatti,

dubbi sorgono in merito all'asserita atipicità delle convenzioni matrimoniali; e a maggior ragione l'atipicità

non potrebbe essere riconosciuta a priori anche in considerazione della circostanza rappresentata dalle

forti resistenze che nel panorama dottrinario incontra l'applicazione dell'art. 162 c.c. alla fase di definizione

della crisi coniugale. Altro tipo di impostazione, cui si aderisce, trova le sue radici in risalenti sentenze

giurisprudenziali (6), secondo le quali la causa degli accordi de quibus è di origine transattiva: l'accordo

coniugale, cioè, può ben contenere la mera regolamentazione di aspetti patrimoniali, in relazione ad una

complessa vicenda transattiva, anche non immediatamente collegati sul piano causale al regime di

separazione o ai diritti od agli obblighi derivanti dal matrimonio (7). Ma deriva, invero, che ove tali

stipulazioni non abbiano ad oggetto rapporti economici e personali, allora le2/3/2015

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4/10 stesse saranno valide ed efficaci in quanto l'intenzione delle parti è quella di risolvere questioni di

altra natura sul presupposto che tali patti non possono coinvolgere diritti indisponibili, né vincolare il

comportamento processuale dei comparenti durante la fase della separazione e, come corollario, senza

considerare profili di illiceità della causa o dell'oggetto. Una tesi siffatta, del resto, non è risultata peregrina,

considerato che anche recentemente la giurisprudenza ha ammesso la legittimità degli stessi qualora questi

accordi (sia in sede di separazione che di divorzio) non siano direttamente volti a disciplinare l'assetto

futuro dei rapporti patrimoniali attinenti l'eventuale pronuncia di divorzio, bensì siano qualificati quali meri

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atti transattivi, “che, ponendo fine alle controversie insorte tra i coniugi”, dispongano per il passato (8). In

sostanza, secondo tale tesi, invero, il salvataggio dell'accordo intercorso tra le parti passerebbe attraverso

la qualificazione dello stesso quale transazione, priva di qualsiasi connessione con lo scioglimento del

matrimonio, e avrebbe il crisma della liceità in quanto non riguardante il commercio di status. Al di là della

recente ammissibilità, a cui si è assistito negli ultimi anni, circa il carattere negoziale degli accordi di

separazione personale o di quelli raggiunti in prospettiva di una separazione personale o di una separazione

di fatto (9), si è andata, altresì, consolidando anche in giurisprudenza la tesi secondo la quale gli accordi

modificativi o in deroga delle condizioni di separazione, quand'anche non omologati né in sede di

separazione, né successivamente (con l'applicazione del procedimento di cui agli artt. 710 e 711 c.p.c.),

sono da considerarsi pienamente validi ed efficaci. Tali intese saranno da qualificarsi valide ove siano

strumentali alla definizione della fattispecie solutoria in vista della crisi del ménage familiare, purché

ovviamente siano tutelati interessi familiari ed indisponibili e che, soprattutto, mirino ad integrare e

migliorare la posizione del coniuge più debole (10). Inoltre, il contenuto di tali accordi successivi e/o

modificativi dovrà ricevere il crisma della duplice conformità alle seguenti condizioni: conformità al dettato

di cui all'art. 160 c.c. e posizione di non interferenza rispetto alle intese già omologate dal Tribunale, il cui

contenuto deve avere ad oggetto aspetti non presi in considerazione nel patto omologato, compatibili con

esso, né collegati al contenuto necessario di tali accordi. Pertanto, ciò che viene in considerazione, alla luce

di tali premesse di fondo, è la valorizzazione del principio di “non interferenza”, oppure del principio “di

maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato”. Ad esempio, le parti, anche in sede di accordi

integrativi e/o modificativi degli accordi medesimi, potrebbero integrare il contenuto di tali patti indicando

anche prestazioni diverse dall'adempimento (ad esempio, il coniuge tenuto al versamento dell'assegno di

mantenimento può cedere all'altro coniuge o ai figli un immobile locato, a titolo di datio in solutum al fine

di capitalizzare una tantum l'ammontare dell'assegno (11). La peculiarità, come sopra evidenziata, di tali

accordi modificativi e/o integrativi non può non tenere in debito conto la specificità dell'applicazione

dell'art. 160 c.c. anche al caso de quo, nel senso, cioè, che tale disposizione trova o può trovare

applicazione sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, nel senso che perdura anche nel momento di

dissesto della vita familiare la solidarietà postconiugale intesa anche quale diritto agli alimenti e al

mantenimento sia nei confronti del coniuge che nei confronti dei figli. (12) Alla luce di tali premesse di

principio, emblematiche sono le decisioni della Corte di Cassazione in virtù delle quali sono valide le

clausole che concernono gli aspetti parentaliconiugali, anche se poi non prese in considerazione

nell'accordo omologato, compatibili con l'accordo e non modificative della sostanza dello stesso, tra cui, ad

esempio, rientrano quelle che prevedono un assegno di mantenimento superiore a quello sottoposto ad

omologazione (13). Ultimamente appare più accreditata la tesi che ravvisa in tali accordi (sia compiuti in

sede di separazione, sia compiuti in sede di divorzio) la natura transattiva, nella misura in cui anche in tali

tipi di pattuizioni vengano regolamentati e disciplinati aspetti patrimoniali che non incidono in via

principale sugli aspetti propri della separazione (14). La natura transattiva, invero, è alla base anche delle

recenti sentenze del Tribunale di Torino e della recente successiva pronuncia della Cassazione (15). A tal

riguardo si ritiene che i coniugi potrebbero disciplinare e definire in via transattiva i rapporti generati dal

vincolo matrimoniale, seppure non riferibili e non collegati causalmente all'aspetto proprio della

separazione. Anche questa tipologia di accordi, fatta propria dalla Cassazione, è valida ed efficace, e

soprattutto non crea problemi sulla illiceità della causa e/o sulla indisponibilità o illiceità dell'oggetto. In

ogni caso, invero, l'ambito di esplicazione dell'autonomia privata, che si esprime in relazione alla tendneza

alla privatizzazione della materia familiare, riveste un'importanza notevole anche nell'ambito degli accordi

in sede di divorzio: si ritiene che i patti contemporanei o anche successivi alla presentazione dell'istanza di

divorzio sono da ritenersi validi, nella misura in cui tali pattuizioni integrative, modificative,

dell'assegno2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

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http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 5/10 divorzile non vadano ad intaccare la sfera

personale ed i diritti intangibili della persona collegati allo status. Per converso, secondo quanto anche

espresso dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, non pare possano esserci spazi di legittimità per

quanto concerne le intese preventive dirette alla previa determinazione del contenuto di tali accordi: la

motivazione logicagiuridica a sostegno dell'illiceità di tali accordi è da inquadrarsi nel fatto che tali accordi

violerebbero il principio di irrinunciabilità di un diritto futuro, in quanto concernenti la sfera di

indisponibilità soggettiva, creando a monte un illecito “mercimonio di status” (16). In aggiunta a quanto

poc'anzi espresso, le motivazioni a sostegno della tesi dell'inammissibilità si fondano sul rispetto del diritto

di difesa ex art. 24 della Costituzione, oltre che sull'impossibilità di una rinuncia preventiva ad un diritto

indisponibile (17). Per altro verso, invece, adeguandosi ad un'impostazione più possibilista e meno rigorosa,

parte della dottrina affermava che il mero elemento temporale della rinuncia ad un diritto fosse un dato

obiettivo unico, da cui non poter dedurre automaticamente l'illiceità di tali accordi, dovendosi invece, in

concreto, valutare l'illiceità della causa in relazione alla fattispecie concreta (18). Sulle orme di tale principio

anche la giurisprudenza di merito si è spinta fino a riconoscere spazi di autonomia agli accordi preventivi,

anche nella forma di accordi transattivi, qualora una o entrambe le parti abbiano inteso disporre

previamente dei propri diritti patrimoniali (19). Sulla base, pertanto, di tali considerazioni, si affaccia nel

nostro panorama giuridico anche la consapevolezza dell'asserita ammissibilità di accordi aventi ad oggetto

una scrittura privata tra coniugi in vista del divorzio, soprattutto se si aderisce alla tesi dottrinaria che

ravvisa la natura giuridica degli accordi de quibus nella disposizione di cui all'art. 1333 c.c. Sulla base della

natura giuridica ex art. 1333 c.c. attribuita a tali accordi, viene meno il pericolo dell'illiceità della causa o

dell'illiceità dell'oggetto, in quanto ciò che rileverebbe è l'unilateralità della prestazione, concretizzantesi in

un vincolo posto a carico di una sola parte. Tale apertura invero possibilista resta, comunque, frenata dalla

considerazione che ha attecchito nell'alveo delle pronunce giurisprudenziali, prima tra tutte la pronuncia di

legittimità risalente al 1981 (20). Le motivazioni logichegiuridiche a sostegno della pronuncia de qua

sembrano apparentemente attendibili. La Corte, nel caso di specie, non solo ha negato la disponibilità della

componente assistenziale dell'assegno divorzile, ma, in seconda battuta, ha anche escluso, contrariamente

all'orientamento contenuto nelle pregresse pronunce, che le parti possano disporre della componente

risarcitoria e compensativa. Le motivazioni addotte a sostegno dell'inammissibilità di tali accordi sono da

individuarsi in primis nella contrarietà all'art. 160 c.c., all'art. 5 legge divorzio, e all'art. 9 legge divorzio,

oltre al fatto che si manifesta come necessaria la presenza del P.m. nel giudizio di divorzio. In effetti, le

motivazioni possono essere enucleate come segue. Il rinvio alla disposizione di cui all'art. 160 c.c. in tema di

diritti e di doveri inderogabili tra i coniugi trova la sua ragion d'essere sia nella fase fisiologica che nella fase

patologica, oltre al fatto che i coniugi non sarebbero a priori nella possibilità di derogare

convenzionalmente ai loro diritti e doveri inderogabili. Invero, appare quantomeno dubbia una tesi siffatta,

in quanto, qualora i coniugi in vista di una futura crisi coniugale decidessero di determinare il contenuto di

prestazioni di carattere patrimoniale, tali accordi sarebbero validi in quanto andrebbero ad intaccare la

sfera meramente patrimoniale, senza rappresentare espressione di un mercimonio di status. Inoltre, senza

idea di perentorietà, si può dire che a sostegno di tali accordi, compiuti preventivamente rispetto all'inizio

dell'iter divorzile, potrebbe essere riconosciuta la validità degli stessi in quanto sarebbero sottoposti ad una

duplice condizione, una di matrice legale (condicio iuris), l'altra di stampo volontaristico (ma non

meramente potestativa). Nel caso di specie, difatti, la condicio iuris, che rappresenta la condizione di

validità di tali accordi, si concretizza proprio nella rottura del matrimonio, analogamente a quanto avviene

in caso di donazione obnuziale ex art. 785 c.c., in cui, per converso, il matrimonio costituisce la condicio

iuris della donazione stessa. Inoltre, la condizione volontaria è rappresentata dall'elemento volontaristico,

che fa capo ad entrambi i coniugi e che si sostanzia nel desiderio di entrambi di voler porre fine al vincolo

coniugale. Ad avvalorare la tesi della legittimità di tali accordi preventivi non vale il percorso argomentativo

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della Cassazione, che ha rimarcato per converso l'impossibilità di disporre preventivamente dell'an e del

quantum ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 come modificata dalla legge n. 74/1987. A

tale proposito, infatti, giova ricordare che la preventiva disponibilità di tale assegno non sembrerebbe

contrastare con la disposizione di cui all'art. 5 della legge sul divorzio del 1970 (come modificata), in

quanto, comunque, il riconoscimento di tale quantum previamente pattuito sarebbe sottoposto a controllo

omologatorio2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 6/10 dell'autorità giudiziaria competente, e

quest'ultima, ad ogni buon conto, sarà costretta a valutare la congruità dell'importo predefinito dalle parti

concordemente rispetto agli indici e ai criteri per l'erogazione dell'assegno divorzile. A nulla varrebbe

l'eccezione in virtù della quale le parti potrebbero incidere soltanto sul momento solutorio, in quanto

anche la concreta erogazione della somma previamente pattuita resta sottoposta alla duplice condicio iuris

che si concreta nella sussistenza dei presupposti ex art. 5 legge sul divorzio del 1970, oltre che nella rottura

del rapporto coniugale. Sulla base di tali prodromiche considerazioni, pertanto, l'autorità giudiziaria,

comunque, realizzerebbe un controllo omologatorio seppure, per così dire, a valle. E a nulla varrebbe

l'interpretazione in virtù della quale il divorzio sarebbe stato soltanto prefigurato e non già deciso. Del

resto, se è vero che il nostro ordinamento ammette e riconosce il divorzio congiunto quale espressione di

volontà delle parti indirizzata allo scioglimento del vincolo, perché non ammettere la possibilità che, in un

momento antecedente, temporalmente, le parti si accordino circa la determinazione del mero quantum,

senza peraltro rinunciare allo stesso assegno a priori? Difatti, si ritiene che la sola rinuncia a priori

all'assegno da parte di un coniuge rappresenti una violazione del diritto di difesa ex art. 24 Costituzione e

contemporaneamente una compressione di uno status legata alla libertà personale dell'individuo. Queste

ultime motivazioni hanno rappresentato le ragioni per le quali la Suprema Corte ha dichiarato la nullità di

tali accordi per illiceità della causa, al punto che è stato, altresì, dichiarato affetto da nullità l'accordo

raggiunto già in sede di separazione, con il quale una parte, per il caso del futuro divorzio, dichiara di

rinunciare all'assegno divorzile autoproclamandosi autosufficiente (21). Appare, invece, ragionevole

ritenere che un'eventuale transazione avente ad oggetto la regolamentazione di pregressi, attuali e non

futuri rapporti patrimoniali, sia da considerarsi lecita (22). Pertanto, al fine di delimitare e di qualificare la

validità o meno di un accordo, sarà opportuno valutare la fattispecie concreta analizzando essenzialmente

la causa concreta propria della transazione ed il nesso funzionale, logico, temporale, intecorrente tra la

transazione compiuta e successivamente la separazione o il divorzio. Qualora dall'analisi della singola

fattispecie concreta non risultasse un collegamento funzionale tra la transazione compiuta e la crisi

familiare, la regolamentazione transattiva sarebbe lecita e tutelabile, ed in questo caso non varrebbero le

considerazioni sull'illiceità di tali accordi fondati sull'illiceità della causa, sulla contrarietà all'ordine pubblico

sia interno che internazionale, espressione di manifestazione anticipata del consenso al divorzio. Ad

avvalorare la considerazione di validità di tali accordi in sede divorzile ricorre un altro principio di diritto che

riguarda le disposizioni di cui agli artt. 162 e 163 c.c. Nella specie, è ragionevole ritenere che tali accordi

non possano essere inquadrati in convenzioni matrimoniali ex art. 162 e 163 c.c., sia da un punto di vista

formale, sia da un punto di vista sostanziale, e, come corollario, anche gli accordi compiuti in vista di

separazione e/o di divorzio non sono suscettibili di applicazione della disposizione di cui all'art. 160 c.c., in

quanto i diritti e doveri coniugali sono inderogabili nella fase fisiologica, ma non nella fase patologica qual è

quella della crisi del matrimonio. Inoltre, l'accordo patrimoniale, seppure nella fase prodromica rispetto alla

separazione e/o divorzio, potrebbe essere validamente concluso qualora sia sottoposto alla clausola

contrattuale rebus sic stantibus, nel riconoscere la modificabilità sopravvenuta di tali accordi in

conseguenza delle modifiche patrimoniali. Alla luce di tali considerazioni, la tesi sostenuta nelle pronunce

proliferate negli anni '80 e '90 e sopra richiamate non tiene conto di dati di fatto rilevanti, oltre che di

elementi giuridici che consentirebbero uno scardinamento delle ataviche e pregresse impostazioni. Ultime

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considerazioni necessitano di essere spiegate al fine di riconoscere la validità degli accordi in vista di

divorzio. L'assegno divorzile, avente, allo stato, una componente meramente assistenziale e non

compensativa o risarcitoria (23), potrebbe avere, per quanto concerne la natura giuridica, sia il carattere

alimentare che quello di mantenimento. Difatti, ove lo stesso sia da inquadrarsi nell'alveo della natura

alimentare (come, a parere della scrivente, non parrebbe) ne discenderebbe tra le conseguenze giuridiche,

in particolare, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 447 c.p.c. relativa all'impignorabilità,

all'incedibilità, all'indisponibilità e all'incompensabilità. Se, invece come pare preferibile, la natura del

medesimo sia da inquadrarsi in una prestazione di mantenimento, ma non avente carattere strettamente

alimentare, allora le rigide regole di cui all'art. 447 c.p.c. non sarebbero applicabili al caso di

specie.2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 7/10 Ad avvalorare tale impostazione, invero, circa

il carattere non alimentare della prestazione in esame, ricorrono i presupposti in virtù dei quali viene

consentita l'erogazione della prestazione de qua: cioè lo stato di bisogno relativo e non assoluto,

parametrato, cioè, non solo al tenore di vita goduto dal soggetto richiedente, ma anche al tenore di vita

goduto in costanza di matrimonio. Viceversa, se tali prestazioni fossero da inquadrarsi nell'alveo delle

prestazioni di natura meramente alimentare, rileverebbe soltanto lo stato di bisogno oggettivo, cioè

l'insufficienza economica di provvedere a se stessi. Sulla base di tali premesse, appare oramai inconfutabile

l'argomentazione che tende ad enfatizzare la portata ed il valore della libertà dei coniugi anche nella fase di

crisi coniugale in ordine alla scelta se conservare o meno il loro status coniugale, ritenendosi, al limite, che

tali accordi prematrimoniali di natura economica possano coartare la volontà di uno o di entrambi qualora

siano previste conseguenze patrimoniali pregiudizievoli. In caso contrario, sarebbero troppo rigide le

argomentazioni giuridiche fondantesi sul rispetto dei diritti indisponibili dei coniugi e sostenute dalla

giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “gli accordi preventivi tra i coniugi in ordine al regime

economico sul divorzio hanno quale effetto quello di condizionare il comportamento processuale delle

parti, violando il diritto di difesa e la libertà di scelta (Cass. civ. n. 8912/1994; di analogo tenore Cass. civ. n.

9416/1995 e Cass. civ. n. 2955/1998). A tal proposito, invero, la Suprema Corte con una pronuncia recente

(Cass. civ., sez. I, sentenza 21 dicembre 2012 n. 23713) ha attenuato la rigida impostazione di chiusura e ha

consentito uno spiraglio di apertura nei confronti di tali accordi in vista di divorzio, riconoscendo, invero, la

possibilità di realizzare preventivamente gli stessi, seppure in vista del divorzio, qualora l'oggetto di tali

pattuizioni sia di carattere meramente economico senza inficiare l'aspetto relativo allo status dei coniugi,

valorizzando, pertanto, la sfera dell'autonomia negoziale anche nei rapporti di famiglia. La vicenda prende

le mosse dalla seguente fattispecie: due futuri coniugi stipulavano una scrittura privata con la quale

stabilivano che, in caso di rottura del matrimonio (per separazione o per scioglimento degli effetti civili

dello stesso), la moglie avrebbe trasferito al futuro marito un determinato immobile a titolo tacitativo per

le spese sostenute per il matrimonio (nello specifico, per la ristrutturazione della casa coniugale), ricevendo

dal marito Buoni del Tesoro. Successivamente alla celebrazione del matrimonio, l'epilogo è negativo, nel

senso che i coniugi giungono prima alla separazione e poi al divorzio. Dichiarata la cessazione degli effetti

civili del matrimonio, l'ex marito promuoveva domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. al fine di ottenere il

trasferimento coattivo dell'immobile, ma in un primo grado il Tribunale rigettava la domanda proposta.

Pertanto, l'ex coniuge ricorreva in Appello, stavolta con l'esito positivo del riconoscimento del diritto ad

ottenere l'adempimento della prestazione dedotta in contratto dalla moglie. L'ex moglie, tuttavia, ricorreva

in Cassazione, lamentando la nullità dell'accordo de quo per violazione della disposizione di cui all'art. 160

c.c. La Suprema Corte, invero, interpretando l'accordo de quo alla luce dei criteri ermeneutici enucleati

dall'art. 1363 c.c. giustamente ha fatto leva sul dato funzionale causale, nel senso, cioè, di ritenere che tali

accordi abbiano ad oggetto prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali, la cui causa non è

ravvisabile nello scioglimento del matrimonio, che per converso, invece, rappresenta un mero evento

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condizionante. Dunque, lo scioglimento del matrimonio non è la causa dell'accordo economico, in quanto

in tale ipotesi, secondo la S.C., l'accordo sarebbe “una sorta di dissuasione volta a condizionare la libertà

decisionale degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo

coniugale”. Esso rappresenta, a giudizio della S.C., soltanto un “mero evento condizionale”, che non è da

ascriversi né ad una condizione meramente potestativa, in quanto il fallimento del matrimonio non dipende

dalla volontà di un solo coniuge, bensì da condizioni oggettive, né ad una condizione illecita in quanto

contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume. La liceità dell'accordo, che tutela ed

esprime interessi meritevoli ex art. 1322 c.c., è garantita dal fatto che non si impinge nel divieto di

contrarietà all'ordine pubblico, al buon costume e norme imperative, e consente, pertanto, che i coniugi

stabiliscano a priori alcune conseguenze economiche derivanti dal fallimento del rapporto coniugale. Tale

accordo, invero, secondo la Suprema Corte è da inquadrarsi in un contratto a prestazioni corrispettive

riconducibile nel novero della datio in solutum, strumento di estinzione dell'obbligazione, di carattere

solutorio, richiedente il consenso del creditore. La peculiarità dell'analisi seguita dalla pronuncia in esame

apre un varco di legittimità nei confronti di quegli accordi che sono estranei, peraltro, alla categoria degli

accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio e che

intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione

di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti. Nel caso di specie, secondo il convincimento del

giudice adito, l'accordo, atipico, sarebbe caratterizzato da2/3/2015

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8/10 prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali. La validità di tali accordi, pertanto, come

validamente ritiene la Suprema Corte, non contrasta con la disposizione di cui all'art. 160 c.c., in quanto

nella fase fisiologica permane l'obbligo di reciproca contribuzione tra i coniugi in relazione alle sostanze ed

alla capacità contributiva degli stessi, mentre nella fase patologica (anche nel divorzio) possono rivivere i

rapporti di dare ed avere derivanti dall'obbligo di contribuzione. Inoltre, come ritenuto dalla S.C., nell'ottica

di un'operazione deflattiva delle controversie giudiziarie in materia familiare, l'ammissibilità di tali accordi

potrebbe essere avvalorata dall'ammissibilità riconosciuta agli accordi in vista della declaratoria di nullità

del matrimonio. Difatti, se è vero che il carattere inquisitorio di tale giudizio teso alla dichiarazione

invalidante del matrimonio determina un controllo notevole dell'autorità giudiziaria in tutto l'iter, analoghe

considerazioni non potrebbero farsi qualora le parti si limitino a chiedere l'omologa con decreto di patti

stipulati privatamente dagli stessi, senza che, tra l'altro, l'autorità adìta possa effettuare un sindacato nel

merito pieno, bensì soltanto un controllo di legittimità (24). Il carattere inquisitorio, pertanto, eliminerebbe

sia la possibilità di influenza delle parti sul comportamento processuale, sia un prodromico potere

dispositivo dello status di coniuge, in quanto gli accordi preventivi in vista della nullità del matrimonio non

potrebbero essere correlati con la causa di nullità matrimoniale, che può accertare semplicemente la

validità o l'invalidità dell'atto di matrimonio e non del rapporto di matrimonio, e la dimostrazione sarebbe

avvalorata, altresì, dalla natura dichiarativa della sentenza di nullità matrimoniale (25). Tali conclusioni non

possono non tenere conto delle istanze di modernità che si affacciano costantemente nel nostro panorama

legislativo, e che gli operatori del diritto sono costretti ad analizzare, seppure tali istanze non siano ancora

state positivizzate. Appare, invero, ancora lungo il percorso teso ad uno scardinamento totale delle

ataviche considerazioni fondate su concezioni pubblicistiche del panorama familiare, che necessitano, de

iure condendo, di essere notevolmente ridimensionate anche nell'ottica di un vero, concreto e non fittizio

ampliamento della sfera di operatività dell'autonomia privata. Note: (1) L'ampia dilatazione degli spazi di

operatività dell'autonomia privata anche nel nostro ordinamento ha consentito un avvicinamento tra il

contenuto degli accordi realizzati nella fase di crisi coniugale e i cd. separation agreements, figura da tempo

utilizzata con successo e disinvoltura nell'esperienza di common law propria dei Paesi anglosassoni. (2) Per

un approfondimento sull'istituto cfr. S.M.Cretney, Family law, London, 1997, 95. L'ordinamento inglese e

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quello statunitense differiscono da quelli di civil law in ordine alla facoltà riconosciuta ai coniugi di stipulare

accordi aventi natura negoziale, pienamente vincolanti, relativi al mantenimento dell'altro coniuge in

costanza di matrimonio (maintenance agreements) oppure alla separazione ed al divorzio (separation

agreements). (3) E. Quadri, Autonomia negoziale dei coniugi e recenti prospettive di riforma, in Nuova giur.

civ. comm., 2001; L. Barassi, La famiglia legittima nel nuovo codice civile, Milano, 1941, 153; M. R. Marella,

Gli accordi fra i coniugi fra suggestioni comparatistiche e diritto interno, in Separazione e divorzio, diretto

da Ferrando, I, in Giur. sist. dir. civ. e comm., Torino, 2003; P. Zatti, La separazione personale, in Trattato

dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1996, 139. (4) Cass., sez. I, 13 febbraio 1985 n. 1208, in Nuova giur.

civ. comm., 1985, I, 658 ss.: Cass. sez. I, 28 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, II, 217. In tema di

invalidità di accordi precedenti l'omologazione se non trasfusi nel verbale di conciliazione, A. Morace

Pinelli, Separazione consensuale e negozi atipici familiari, in Giur. it., 1994, I, 304 e ss. (5) Cass., sez. I, 13

gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993, 822. In dottrina, G. Oberto, La natura dell'accordo di

separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir., 2000, 86. (6) Cass. 1994

n. 4647; Cass., sez. I, 17 giugno 1992 n. 7470, in Mass. Giur. it., 1992: “Il patto tra i coniugi mediante il quale

si realizzano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti e accordi economici e a

tacitazione del dovere di mantenimento, deve ritenersi valido ed operante anche laddove inserito in un

accordo per la separazione di fatto dei coniugi medesimi, alla stregua della liceità di tale accordo, pur se

non idoneo a produrre gli effetti della separazione legale”. (7) Cass., sez. I, 15 marzo 1991 n. 2788, in Foro

it., 1991, I, 1787. (8) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it., 2001, I, 1318, con nota critica di M.

Guarini, La Cassazione conferma la nullità dei patti anteriori al divorzio, in Giust. civ., 2001, II, 457 ss., che

evidenzia2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 9/10 anche come la pronuncia appaia

contraddittoria, in quanto solo una modifica del rigido principio di invalidità dei patti preventivi di divorzio

avrebbe potuto giustificare la soluzione enunciata per la convenzione transattiva, trattandosi di un accordo

pur sempre incidente sull'assetto complessivo dei rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio. Aderisce

all'orientamento in esame anche Cass. 10 marzo 2006 n. 5302: “Gli accordi diretti a fissare, in sede di

separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento

specifico all'assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di

detto assegno previsto anche a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo.

Ne consegue che la disposizioni di cui all'art. 5, ottavo comma, legge n. 898/1970 nel testo modificato dalla

legge n. 74 del 1987, nella parte in cui sancisce che, su accordo convenzionale delle parti, la corresponsione

dell'assegno divorzile può avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal Tribunale, senza che si

possa proporre alcuna successiva domanda di contenuto economico, non sarà applicabile al di fuori del

giudizio di divorzio e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono

implicare rinuncia all'assegno divorzile. (9) Cass., sez. I, 13 gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993,

822. In dottrina, G. Oberto, La natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad

esso applicabili, cit., 86 ss. Gli accordi aventi occasione nella separazione attengono a pattuizioni

patrimoniali che integrano gli estremi di un contratto atipico valido, la cui funzione causale è da individuarsi

nello spirito di sistemazione di tutti i rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza

matrimoniale. Sull'idoneità del verbale di omologa della separazione ai fini della trascrizione, si veda P.

Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, 628

ss. Prevale attualmente la risposta positiva, secondo la quale nel verbale devono essere contenute tute le

menzioni. Inoltre, a tale riguardo, la giurisprudenza di merito ritiene opportuno o necessario l'atto notarile

per una maggiore tutela dei diritti dei minori. (10) Ad esempio, sono stati rinvenuti validi ed efficaci gli

accordi integrativi dell'accordo di separazione omologato, qualora non siano lesivi del diritto al

mantenimento e agli alimenti. In particolare, in una fattispecie di comproprietà della casa familiare da parte

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dei coniugi, in regime di comunione legale ed in assenza di prole, i giudici hanno riconosciuto la possibilità

di pattuire, anche tacitamente, l'assegnazione esclusiva della casa familiare al partner avente diritto al

mantenimento come componente di questo; Cass. 12 gennaio 2000 n. 266, in Mass. Giust. civ., 2000, 46.

(11) Il pagamento dell'assegno in un'unica soluzione è condizionato sia all'accordo delle parti, sia alla

verifica giudiziale circa la valutazione di equità.In altri ordinamenti, ad esempio in Francia, il pagamento in

un'unica soluzione, attraverso l'attribuzione di un capitale, costituisce un modo ordinario di adempimento.

(12) Cass., sez. I, 22 gennaio 1994 n. 67, in questa Rivista, 1994, 868; Cass. 28 luglio 1997 n. 7029, in Mass.

Foro it., 1999, 677; Cass., sez. I, 18 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, 217. La peculiarità del

diritto al mantenimento e del diritto agli alimenti, quale limite entro cui poter realizzare le intese

modificative dell'accordo di separazione, si giustifica in quanto espressione di solidarietà postconiugale, da

ricondursi alla disposizione di cui all'art. 160 c.c., quale diritto di natura inderogabile. In proposito, Cass. 24

ottobre 2007 n. 22329, in Giur. it., 2008, 1687; Cass. 10 ottobre 2005 n. 20290, in Fam. pers. e succ., 2007,

107; M.C. Andrini, Sugli effetti personali della separazione e del divorzio, in Separazione e divorzio, diretto

da G. Ferrando, I, cit., 573 ss. (13) Cass., sez. I, 24 febbraio 1993 n. 2270. (14) Cass. civ., sez. I, 15 marzo

1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787. (15) Cass., sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23713; Trib. Torino, sez. VII,

ord. 20 aprile 2012, Pres. est. Tamagnone, secondo il quale l'accordo concluso sui profili patrimoniali tra i

coniugi in sede di separazione legale ed in vista del divorzio non contrasta né con l'ordine pubblico, né con

l'art. 160 c.c. Nella specie le parti, pochi mesi prima della pronuncia di separazione «a conclusioni

congiunte», avevano convenuto che l'erogazione dell'importo a titolo di assegno di mantenimento a carico

del marito sarebbe venuta a cessare all'atto dell'inizio della causa per la pronunzia della cessazione degli

effetti civili del matrimonio, con impegno della moglie a «nulla pretender[e] [dal marito], né a titolo di una

tantum, né di mantenimento». In sede di udienza presidenziale di divorzio la suddetta intesa è stata

ritenuta valida e vincolante, con conseguente rigetto della domanda della moglie volta ad ottenere un

assegno. (16) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in questa Rivista, 1981, 1025. (17) Cass. 6 aprile 1997 n. 1305,

in Foro it., 1997, 2247: nella specie l'ex moglie, ricevendo la somma di lire 300.000, aveva dichiarato per

iscritto di non aver null'altro a pretendere dall'ex marito. (18) G. Ceccherini, Contratti tra coniugi in vista

della cassazione del ménage, Padova, 1999, 154. (19) Trib. Napoli 28 marzo 1979, in Foro it., Rep., 1980;

App. Milano 22 gennaio 1980, in questa Rivista,2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 10/10 1980, 874; Trib. Bari 14 febbraio 1980, in

Giur. it., 1981, I, 2, 210. (20) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in Foro it., 1981, I, 184; la decisione de qua

concerne il caso di un accordo tra coniugi con il quale veniva previsto il diritto del marito di mantenere

fermo, per un determinato periodo di tempo, l'importo dell'assegno dovuto alla moglie, anche in caso di

eventuale divorzio. (21) Cass. 11 agosto 1992 n. 9494, in Giur. it., 1993, I, 1, 1495; nella stessa linea anche

Cass., sez. I, 12 febbraio 2003 n. 2079, in Fam. e dir., 2003, 344 (nella specie si trattava dell'affermazione, di

cui è stata dichiarata l'illegittimità, del coniuge più debole che liberava, in vista del divorzio, l'altro coniuge

da ogni obbligazione patrimoniale nei suoi confronti). (22) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it.,

2001, I, 1318. Ovviamente non tutti gli atti di transazione risultano essere validi ed efficaci; anzi, in una

pronuncia i giudici di legittimità hanno dichiarato la nullità degli accordi per illiceità della causa, con i quali il

marito, in sede di separazione consensuale, si era impegnato al trasferimento di un appartamento alla

moglie, la quale, dal canto suo, aveva rinunciato al mantenimento dichiarando espressamente di non

pretendere alcunché in caso di divorzio, rinunciando, quindi, anche all'assegno di cui all'art. 5 legge

898/1970. (23) La legge di modifica del divorzio (legge 6 marzo 1987 n. 74) unitamente alla pronuncia a

Sezioni Unite della Cassazione (Cass. sez. unite 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro it., 1991, I, 74) ha

riformato l'art. 5, comma 6, legge divorzio nella parte in cui ha riconosciuto sostanzialmente all'assegno in

parola natura meramente assistenziale, subordinando la corresponsione dell'assegno al coniuge più debole

alla mancanza di mezzi adeguati e all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. Pertanto, alla luce

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delle novità così introdotte viene sottratto alla disponibilità delle parti l'intero importo dell'assegno di

divorzio, avente ormai natura meramente assistenziale. (24) Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, in Giur. it., 1993,

I, 1, 1672. (25) Analogamente Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, cit.